IMMUNO REUMATO · Come avviene l’inibizione delle COX da parte dei FANS? 3 modi: 1. inibizione...

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FARMACOLOGIA IMMUNO- REUMATO

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FARMACOLOGIA

IMMUNO-REUMATO

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FANS

Sono privi del nucleo steroideo.

Tutti i FANS hanno in comune 3 caratteristiche:

· sono antinfiammatori; · sono analgesici; · sono antipiretici.

In più l’acido acetilsialicilico (ASA) è un potente antiaggregante piastrinico.

Tutti i FANS hanno lo stesso meccanismo d’azione, che consiste nell’inibizione della COX.

Le COX (ciclossigenasi) sono:

· la COX1

· costitutiva;

· la COX2

· inducibile in cellule che partecipano al processo infiammatorio (linfociti, fagociti, cellule endoteliali)

· costitutiva in rene, SNC, apparato riproduttivo, osso

La COX2 è in realtà la Prostaglandina-H-sintasi (PGHsintasi), un enzima con 2 attività catalitiche:

1. ciclossigenasica; 2. perossidasica.

I FANS bloccano solo la funzione ciclossigenasica.

Cosa fa la PGHsintasi? prende l’acido arachidonico dalle membrane, lo trasforma in PGG2 (grazie all’attività ciclossigenasica), e poi in PGH2 (grazie all’attività perossidasica). La PGH2 viene trasformata poi nei diversi tessuti a seconda dei diversi enzimi presenti in:

· prostaglandine PG, coinvolte nei processi infiammatori; · prostacicline PGI antiaggreganti; · trombossani TBX pro-aggreganti piastrinici.

Concetti generali sull’infiammazione: segni clinici (eritema, edema ed aumento della temperatura) e fasi.

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FASE ACUTA: vasodilatazione (PG) e aumento della permeabilità del microcircolo (bradichinina e istamina).

FASE SUBACUTA: dell’infiltrazione linfocitaria (fattori chemiotattici che richiamano i neutrofili).

FASE PROLIFERATIVA: fibrosi (fibroblasti).

Nella fase ACUTA c’è attivazione delle cellule endoteliali con aumento dell’espressione di:

· Recettori di adesione:

Selectina E (espressa su endotelio)

Selectina P ( “ “ endotelio e piastrine)

Selectina L ( “ “ linfociti, lega la selettina E)

· Molecole di adesione intercellulare:

ICAM (sull’endotelio, legano le integrine linfocitarie)

VCAM (vascolari)

Sostanze a forte azione chemiotattica che favoriscono la fase di infiltrazione linfocitaria:

· LTB4, PAF, IL8, IL1

Alcuni farmaci come il NAPROSSENE riescono oltre agli altri effetti a inibire la chemiotassi neutrofila, come non si sa, e non si sa neanche quanto l’inibizione della chemiotassi influisca realmente sull’effetto antinfiamatorio.

Come avviene l’inibizione delle COX da parte dei FANS?

3 modi:

1. inibizione competitiva reversibile; la maggior parte dei FANS agisce con questo meccanismo: il sito catalitico della ciclossigenasi è una tasca dove entra l’acido arachidonico, vi si lega e viene trasformato. I FANS che agiscono secondo questo meccanismo si legano al posto dell’acido arachidonico.

2. inibizione tempo dipendente; 3. inibizione irreversibile; solo l’ASA: acetila una Ser nella tasca catalitica creando un

restringimento della tasca stessa che impedisce quindi all’acido arachidonico di entrare e raggiungere il sito catalitico.

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Più precisamente, l’aspirina entra nella tasca, si lega ad una arginina (Arg 120) e così riesce ad acetilare la Ser (nella COX1 la Ser 529 o 530; nella COX2 la Ser 516); l’acetilazione della Ser516 nella COX2 permette comunque una metabolizzazione dell’acido arachidonico, ma con la generazione di un metabolita differente che non è più in grado di originare PG, PGI e TBX.

COX 1

La tasca catalitica della COX2 è più larga di quella della COX1 (una Valina 509 col suo lungo residuo aminoacidico forma una biforcazione, tipo diverticolo), per questo motivo alcuni farmaci che sono più grandi sono selettivi per la COX2 perché non entrano nella tasca di COX1 (si chiamano COXIB).

COX 1 COX2 Classificazione dei FANS per struttura chimica

Derivati degli acidi carbossilici:

· salicilati · ASA (aspirina);

Derivati dell’acido propionico:

· IBUPROFENE · KETOPROFENE · FENOPROFENE · OXALIPROZEN · Altri;

Derivati dell’acido acetico:

· INDOMETACINA · SULINDAC · ETODOLAC · DICLOFENAC · KETOROLAC · TOLMETIN

Acidi enolici derivati dell’OXICAM:

· PIROXICAM · MELOXICAM

Paraminofenoli:

· PARACETAMOLO

Sulfonamilidi:

· NIMESULIDE

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Indicazioni

Come analgesici:

· dolore muscolo-articolare sia acuto (tendiniti, borsiti, radiculiti, attacchi di gotta) che cronico (artrite, osteoartrite, spondilite anchilosante)

· Mal di denti · Dismenorrea · Dolore post-operatorio · Emicrania e cefalea. · Dolore neuropatico: è quello che origina da una lesione diretta del nervo. Il dolore

neuropatico ha 2 componenti: l’allodinia (percezione di dolore in seguito a stimoli non dolorosi) e l’iperalgesia (aumento della sensibilità a stimoli dolorosi); è molto importante la componente dell’iperalgesia; le PG aumentano la sensibilità dei neuroni nocicettivi alle sostanze algogene, per cui i FANS (che ne inibiscono la sintesi) funzionano in questi casi.

nella mastocitosi sistemica (c’è iperproduzione di PGD2).

Per indurre la chiusura del dotto di Botallo (INDOMETACINA e IBUPROFENE)

Nella Sindrome di Bartter:

Caratterizzata da iperreninemia - iperaldosteronismo - aumento della bradichinina – ipokaliemia – insensibilità alla azione vasopressoria della Ag2; questo insieme di sintomi deriva da un aumento della PGE2 che dà origine alla iperreninemia che causa tutto il resto.

Come tocolitici: ritardano le contrazioni uterine, si utilizzano per ritardare il travaglio; di conseguenza sono da evitare nell’ultimo trimestre di gravidanza a meno che non si desideri questo effetto.

Come antipiretici: l’aumento della temperatura è dato da un aumento della PGE2 negli organi circumventricolari originato a sua volta da un aumento della IL1 (pirogeno endogeno). La PGE2 agisce sui nuclei dell’ipotalamo spostando verso l’alto la soglia di regolazione della temperatura.

Come antidiuretici

IL-1 (il piogeno endogeno) → mastociti → prod di PGE2 negli organi circumventricolari → ipotalamo disregolato nel settaggio della temperatura corporea.

SALICILATI ED ASA

ASA acido acetilsalicilico

x os;

t/2=15 min.

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Idrolizzato ad acido salicilico dalle esterasi plasmatiche; nel sangue portale (quindi prima di essere idrolizzato) interagisce con le piastrine che hanno la COX1 e la TBXsintasi, blocca la COX1 impedendo la formazione di TBX che è un pro-aggregante.

La t/2 delle piastrine è 10 giorni; una volta che l’ASA ha bloccato le COX1 delle piastrine (in modo irreversibile) queste non avranno la possibilità di generarne di nuove (sono residui citoplasmatici, non hanno nucleo), e pertanto l’effetto antiaggregante risulterà molto potente (sono sufficienti basse dosi: da noi aspirinetta 100mg, negli USA si da a dosi di 75mg ma sarebbero sufficienti dosi ancora più basse intorno ai 30-40 mg/die). Se un paziente in trattamento antiaggregante con ASA deve sottoporsi ad un intervento chirurgico dovrà sospendere la cura almeno 5 - 6 giorni prima per avere il tempo di generare nuove piastrine (con delle COX funzionanti e quindi con una normale funzione di aggregazione piastrinica grazie alla produzione di Trombossano).

In generale, un paziente che prende aspirina sanguinerà di più (anche ad esempio dal dentista)

L’acido salicilico è molto meno potente dell’ASA, pertanto per le indicazioni diverse da quella anti-aggregante (cioè come antidolorifico e antiinfiammatorio) saranno necessarie dosi molto più alte (da 350 a 650 mg ogni 6h).

EFFETTI COLLATERALI

· Non utilizzare sotto i 15 anni: Sindrome di Reye caratterizzata da danno epatico (vacuolizzazione) ed encefalopatia (morte nel 50% dei casi). Questa evenienza si verifica soprattutto in corso di infezioni da virus influenzali e da virus che causano malattie esantematiche.

· Danno gastrico: entità variabile da dispepsia, erosioni della mucosa che possono evolvere ad ulcere, che possono essere asintomatiche o sanguinanti.

Questo perché viene inibita la produzione di PG che nello stomaco hanno 3 funzioni protettive nei confronti della mucosa:

1. diminuiscono la produzioni di HCl; 2. aumentano la produzione di muco; 3. migliorano il flusso sanguigno mucosale (gli agenti dannosi vengono portati via

rapidamente).

L’inibizione della COX1 nello stomaco fa diminuire le PG e quindi favorisce l’erosione della mucosa, l’eventuale emorragia è invece dovuta principalmente all’effetto antiaggregante dell’inibizione della COX1 piastrinica.

Parte del danno è dovuto anche al fatto che una piccola parte della dose viene assorbita dallo stomaco. L’ASA è un acido debole e in ambiente acido rimane indissociato, come tale passa le membrane ed entra nella cellula della mucosa gastrica dove incontra un PH neutro (PH = 7,4) e quindi dissocia (perde il protone) e rimane intrappolato nella cellula. Le forme tamponate dell’ASA quindi riducono solo parzialmente il danno gastrico (riducendo l’assorbimento nello stomaco), mentre il danno dovuto all’inibizione delle COX è mantenuto.

· Intossicazione da salicilati e ASA:

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LIEVE: “salicilismo”, dovuto all’uso cronico. Quadro: cefalea, febbre, disturbi della visione, tinnito, iperventilazione (che da una alcalosi respiratoria compensata), nausea e vomito.

GRAVE:

1. acidosi metabolica perché disaccoppiano la fosforilazione ossidativa mitocondriale soprattutto nel muscolo scheletrico. Quindi si verifica un aumento della CO2 che causa iperventilazione, con aumento dei bicarbonati plasmatici. L’alcalosi è compensata inizialmente dall’aumento dell’eliminazione dei bicarbonati da parte del rene. L’iperventilazione è in parte dovuta ad una azione diretta dei salicilati sui centri respiratori. (fin qui è come nell’intossicazione lieve).

A dosi massicce i salicilati e ASA inibiscono direttamente la ventilazione e si instaura così una forma di acidosi dovuta al fatto che il rene continua ad eliminare impropriamente i bicarbonati. Nel rene si formano acidi forti che non vengono eliminati che determinano il passaggio dell’acidosi da respiratoria a metabolica. .

2. Effetti sul sistema cardiocircolatorio: vasodilatazione periferica, diminuzione dell’ematocrito, aumento della gittata cardiaca → scompenso cardiaco congestizio.

Quindi il trattamento dell’intossicazione grave consiste nel sostegno dell’attività cardiocircolatoria e nella correzione dell’acidosi; gli effetti dell’acidosi combinati a quelli sul sistema cardiocircolatorio causano un grave danno al SNC con convulsioni fino al coma.

INDOMETACINA

È un antinfiammatorio molto potente.

Indicazioni: osteoartrosi, artrite, spondilite anchilosante, attacchi di gotta (MAI dare salicilati perché competono nel tubulo renale con l’eliminazione degli urati).

Non si utilizza come antipiretico tranne che nella febbre in corso di linfoma di Hodgkin poiché ha molti effetti collaterali.

Indicato per la chiusura del dotto di Botallo (con attenzione perché può causare nel neonato importanti danni renali, interrompere se il flusso renale diminuisce).

SULINDAC

La sua potenza come antinfiammatorio è la metà di quella dell’INDOMETACINA.

Indicazione: osteoartrite, artrite, spondilite anchilosante, dolore acuto, dismenorrea.

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È un profarmaco. È un sulfossido che viene ridotto in modo reversibile a solfuro.

riduzione

SULFOSSIDO

profarmaco

Ossidazione da parte della FMO1 flavinmonossidasi renale

SOLFURO

attivo

La maggior parte viene metabolizzata nel fegato a SULFONE dalla FMO3, metabolita inattivo

escreto dal rene

È poco tossico per il rene perché viene inattivato dalla FMO1

ETODOLAC

Dolore post-chirurgico.

DICLOFENAC

È il VoltarenÒ . Esiste una formazione con analoghi delle PG (misoprostolo) per diminuire la tossicità gastrica (ArtrotecÒ ).

Indicazioni: dolore acuto e cronico. Non come antipiretico.

È metabolizzato dal CYP 2C9, lo stesso citocromo che metabolizza l’S-warfarin. Quest’ultimo è un farmaco con un bassissimo indice terapeutico per tanto bisogna fare molta attenzione alle interazioni. Tutti i FANS come anche il warfarin circolano molto legati alle proteine plasmatiche,

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per tanto il paziente in cura con warfarin oltre a non poter assumere il diclofenac dovrà stare attento anche con gli altri FANS.

Il CYP 2C9 aggiunge gruppi ossidrilici al diclofenac in varie posizioni; se lo aggiunge in posizione 5 si forma l’N5 DIIDRODICLOFENAC che a sua volta è metabolizzato dal CYP 2C19 che è polimorfo. Negli individui con scarsa attività del CYP 2C19 si avrà un accumulo epatico di N5 DIIDRODICLOFENAC dannoso per il fegato.

KETODOLAC

Per via parenterale (sia ev che im) ma anche per os. nel dolore post-operatorio (unica indicazione). Non si può utilizzare per più di 5 giorni consecutivi.

IBUPROFENE E SIMILI

BuscofenÒ , AntalgilÒ , MomentÒ , CibalginaÒ .

Sono tutti simili tra loro per t/2, caratteristiche, indicazioni.

Tranne il naprossene: t/2 16h (tutti gli altri 1, 2h). Inoltre il NAPROSSENE inibisce più direttamente i neutrofili.

Sembrano essere meglio tollerati a livello GI e renale, ma sono molto più cari ad esempio rispetto all’aspirina.

Indicazioni: dolore cronico e acuto e per l’ibuprofene la chiusura del dotto di Botallo.

PARACETAMOLO

È un analgesico e un antipiretico ma non è antinfiammatorio perché in ambiente ricco di perossidi (quale è il focolaio di una infiammazione) non inibisce le COX. Pertanto non è propriamente un FANS.

È la TachipirinaÒ , molto usata nei bambini per via della possibilità in questi di sviluppare Sd di Reye con l’aspirina. Il principale effetto collaterale è il danno epatico.

In caso di sovradosaggio avremo la saturazione della glucurono-coniugazione e della sulfo-coniugazione, il farmaco verrà pertanto metabolizzato da CYP 2E1 a parabenzochinonimina tossica per fegato e rene. → necrosi acuta fulminante del fegato.

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La tossicità epatica si manifesta con nausea e vomito nelle prime 4-6 h e in questi casi si interviene con N-acetilcisteina (x os o ev) che ristabilisce la scorta del GSH.

[NOTA: su queste cose rivedere la parte dell’anno scorso, ha fatto riferimenti a cose già spiegate molto rapidamente]

Prima di somministrare l’Nacetilcisteina dobbiamo misurare la concentrazione ematica del farmaco, e lo facciamo utilizzando la cosiddetta LINEA 200:

[ ] di

paracetamolo in mg/ml

tempo

4h

15h

200mg/ml

45 mg/ml

Il tempo zero è l’assunzione del farmaco. Entro le 4h dall’assunzione non sappiamo nulla sulla concentrazione del farmaco. Possiamo misurarla dalle 4 alle 15 ore, se il valore che troviamo si trova a destra della retta standard (cioè la concentrazione è più elevata) vuol dire che c’è una concentrazione tossica del farmaco, e interveniamo con N-acetilcisteina. Se ci troviamo a sinistra, cioè più in basso, la concentrazione non è tossica e non interverremo.

NIMESULIDE

Pochi anni fa è stata tolta dal commercio per numerosi casi di danni epatici gravi, e sottoposta al EMEA (organismo europeo di monitoraggio dei farmaci, qualcosa del genere), per essere poi riammessa. È al giorno d’oggi il FANS più venduto, anche se la tossicità epatica è ancora comune (dal danno lieve alla morte, ovviamente meno comune!) Si sono visti anche casi di anemia.

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COXIB Inibitori più o meno selettivi della COX2 (principalmente inducibile ma anche costitutiva come a livello di rene, SNC, ecc)

· CELECOXIB à ha una selettività intermedia perchèinibisce anche la COX1; il suo IC50

COX2/COX1 è pari a 30, cioè inibisce la COX2 30 volte in più rispetto alla COX1; · ROFECOXIB · ETORICOXIB · VALDECOXIB · PARECOXIB

Tutti questi altri hanno un IC50 pari a 270, cioè sono molto più selettivi per COX2.

Nello stomaco l’enzima principale è la COX1, perciò un farmaco selettivamente inibitorio della COX2 non inibisce la COX1 e quindi si avrà una produzione continua di prostaglandine gastroprotettive.

Sui bordi delle ulcere però è espressa la COX2 (che permette la rigenerazione delle ulcere), perciò non bisogna dare inibitori della COX2 se vi sono già ulcere in atto.

Negli studi di fase 1 si somministra il farmaco a pazienti sani à in questo modo si valuta la sicurezza e non l’eficacia sull’uomo;

negli studi di fase 2 à si valuta soprattutto l’efficacia;

negli studi di fase 3 à si valutano entrambe su larga scala.

Dopo l’immissione in commercio sono stati effettuati 2 studi:

· VIGOR: “VI” sta per VIOX (nome commerciale del ROFECOXIB), “GOR” sta per research outcome g. i.; con tale studio si valutava la sicurezza gastrointestinale del ROFECOXIB confrontato con il NAPROSSENE (uno dei FANS con più lunga emivita, circa 16 h). Si valutava l’eventuale presenza di danni gastrointestinali gravi come ulcere sanguinanti ed erosioni della mucosa gastrica. Si è visto che il ROFECOXIB dava il 60% in meno di danni. Però i pazienti trattati con ROFECOXIB avevano maggiori effetti cardiovascolari con una aumentata incidenza di IMA. Si pensava al contrario che il NAPROSSENE proteggesse dai rischi cardiovascolari, dal momento che la sua lunga emivita inibisce la produzione di trombossano da parte delle piastrine à effetto antiaggregante; ma si è visto che in realtà non è così e che questo effetto antiaggregante in realtà non c’era.

· CLASS: Lavoro sulla sicurezza del CELECOXIB nell’artrite reumatoide. Tale studio risulta a sua volta costituito dall’insieme di due studi: uno che confrontava il CELECOXIB con l’ IBUPROFENE (FANS inibitore maggiormente della COX…); e un altro che metteva a confronto il CELECOXIB con il DICLOFENAC (FANS che inibisce entrambe le COX ma soprattutto la COX2 (con IC50 vicino a quello del CELECOXIB).

In tale secondo studio si è visto inoltre che CELECOXIB e DICLOFENAC avevano una maggiore incidenza di danni gastrointestinali. Mentre nel primo studio si è visto che

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CELECOXIB dava danni gastrointestinali gravi ma in misura comunque minore rispetto all’IBUPROFENE.

Le differenze tra CELECOXIB e ROFECOXIB (oltre all’inibizione della COX2) riguardano soprattutto il metabolismo; in particolare il CELECOXIB è metabolizzato dal CYP 2c9 (stesso cyp che metabolizza l’S – WARFARIN; è pertanto pericoloso somministrarlo in pazienti in terapia con WARFARIN perché potrebbe verificarsi una competizione di substrato) e dal CYP 3 a 4 inibitore debole del cyp 2D6 nonché cyp che metabolizza numerosi farmaci (antidepressivi triciclici, estroprogestinici, ecc).

Al contrario il ROFECOXIB va incontro a glucurono – coniugazione e viene poi escreto con le urine, pertanto dal punto di vista del metabolismo risulta sicuramente più vantaggioso.

Pochi anni fa si sono visti gli effetti cardiotossici del ROFECOXIB perciò nel giugno 2005 è stato tolto dal commercio.

L’EMEA (Europa) ha così rivalutato l’effetto rischio/beneficio di tutti i COXIB ed è stata così effettuata un’altra sospensione a carico del VALDECOXIB per due effetti collaterali: infarto del miocardio e reazioni di ipersensibilità gravi (Steven – Johnson).

Sembra tuttavia che l’effetto cardiotossico in persone predisposte sia un effetto “di classe” a carico cioè di tutti i COXIB.

EFFETTI DELLA TERAPIA CON INIBITORI DELLA COX2

· Piastrine: contengono soprattutto COX1, viene perciò prodotto più trombossano à pro – aggregante piastrinico;

· Endotelio: contiene soprattutto COX2 che a questo livello favorisce la produzione di prostaciclinaà antiaggregante. Pertanto se questa viene inibita l’effetto sarà contrario e quindi proaggregante; perciò in tutti i pazienti in terapia per patologie cardiovascolari non si possono somministrare COXIB.

Inoltre bisogna limitare nel tempo la terapia con COXIB che vanno quindi somministrati solo quando è necessario ad es. nella riattivazione di patologie infiammatorie croniche.

ETORICOXIB à Ha emivita più lunga che permette una sola somministrazione al giorno (ciò vale solo per questo farmaco appartenente ai COXIB).

PARECOXIB à E’ invece l’unico che è somministrato per via parenterale; in realtà è un profarmaco che viene metabolizzato in VALDECOXIB. A questo punto è lecito chiedersi come mai la somministrazione del PARECOXIB è consentita dal momento che il VALDECOXIB è stato sospeso. In realtà il PARECOXIB ha meno effetti collaterali e poi viene indicato solo in pazienti post – chirurgici (quindi solo per periodi brevi). Inoltre la protezione dai danni gastrointestinali non è accertata, pare che protegga solo per danni gravi che però sono più gravi. Perciò si sta rivalutando il profilo rischio/beneficio e quindi decidere se tenerli o meno in fascia A e inoltre si sta pensando di dare insieme gastroprotettori.

· inibitore di pompa à MELOPROLOLO · analogo delle prostaglandine à MESOPROSTOLO ; quest’ultimo associato al DICLOFENAC

(FANS) è in commercio col nome di ARTROTEC

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Se un soggetto assume ASPIRINA (a piccole dosi: 100mg à come antiaggregante e non come antinfiammatorio) e poi prende un FANS à l’effetto dell’aspirina cessa (per competizione) e si dovrà aumentare la dose di aspirina.

Un altro FANS: PIROXICAM (FELDENE) ha il vantaggio di avere una lunga emivita e ciò consente quindi una sola somministrazione al giorno; ma ha effetti avversi, quindi non è stato ancora valutato il rapporto rischio/beneficio.

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GLUCOCORTICOIDI Nelle patologie immunoreattive:

· Agiscono come antinfiammatori; · Immunosoppressori; · Regolano il metabolismo del glucosio.

Il glucocorticoide maggiormente prodotto nel nostro organismo è il CORTISOLO, nella corticale del surrene con 21 atomi di carbonio ed un OH in pos. 11.

STRUTTURA DEL CORTISOLO

· Doppio legame in posizione 4,5, · Chetone in pos. 3; · Due metili in pos. 18 e 19; · I due atomi di carbonio (20, 21) legati alla posizione 17; · -OH in pos. 11.

Sono tutte componenti essenziali per la funzione del cortisolo.

Il CORTISOLO si lega a due recettori: GR (recettore dei glucocorticoidi) ed MR (recettore dei mineralcorticoidi à maggiore affinità).

I glucocorticoidi di sintesi vs cortisolo:

- CORTISOLO :

· Attività glucocorticoidea = 1 · Attività mineralcorticoidea =1 · Emivita breve = 8 – 12h

- GLUCOCORTICOIDI DI SINTESI:

· PREDNISONE; · PREDNISOLONEà doppio legame in pos. 1,2; · 6 α – METIL PREDNISOLONE à come il prednisolone ma con un gruppo metile in pos. 6

sotto il piano della molecola.

Il PREDNISONE non è un ossidrile ma un chetone (ha infatti un chetone in pos. 11) à è quindi un pro – farmaco come il cortisone e come tale inattivo, deve perciò essere metabolizzato a PREDNISOLONE; non va quindi somministrato per e.v. ma per os.

Questi farmaci, rispetto al cortisolo, hanno una maggiore attività glucocorticoidea e una ridotta attività mineralcorticoidea con minori effetti ipertensivi.

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PREDNISONE:

· attività mineralcorticoidea = 0,8; · attività glucocorticoidea à 4 volte più potente;

6 – α – METILPREDNISOLONE:

· attività glucocorticoidea à 5 volte più potente del cortisolo; · attività mineralcorticoidea = 0,5; · t/2 à 12 – 36 h emivita intermedia, maggiore rispetto al cortisolo ma minore rispetto al

DESAMETASONE (atomo di Fluoro in pos.9) e al BETAMETASONE; (hanno un metile in pos.16 à β (sopra al piano della molecola nel BETAMETASONE) ; à α (sotto al piano della molecola nel DESAMETASONE).

DESAMETASONE E BETAMETASONE:

· attività glucocorticoidea 25 volte maggiore; · arrività mineralcorticoidea = 0 · t/2 à 36 – 72 h

Nelle patologie infiammatorie croniche vengono utilizzati in glucocorticoide a t/2 intermedia e non uno ad emivita lunga, altrimenti si hanno maggiori effetti avversi. Non si dà PREDNISONE se non c’è l’enzima 11 βHSD (deficit raro).

Differenze tra PREDNISOLONE e 6 – α – METILPREDNISOLONE:

· una prima differenza riguarda potenza e attività mineralcorticoidea; · una seconda differenza riguarda il legame alle proteine plasmatiche:

o PREDNISOLONE e PREDNISONE solo legati per l’80% alla TRANSCORTINA (o GBG) e per il 5% all’ albumina; la TRANSCORTINA ha una affinità molto alta ma pochi siti di legame e dunque scarsa efficacia à legame facilmente saturabile, aumenta quindi la quota libera e c’è un rischio maggiore di effetti tossici.

o Il 6α – METILPREDNISOLONE, invece, è legato all’albumina à legame non facilmente saturabile; per intervalli di dose tra 15 mg e 1g c’è una minore incidenza di effetti tossici al variare della dose.

Meccanismo d’azione dei glucocorticoidi

· Recettoriale: si legano a recettori citosolici, legati alle proteine delle HSP (heat shock protein) e queste all’IMMUNOFILLINA e DINEINA. Quando si lega il glucocorticoide determina il cambiamento di legame con una immunofillina diversa à tutto il complesso trasloca nel nucleo (il recettore GR può entrare nel nucleo sia in forma dimerica che monometrica).

· Nel nucleo à sequenza GRE (responsiva ai glucocorticoidi) che può essere inibitoria o attivatoria (quest’ultima di solito è attivata dal recettore in conformazione dimerica).

In forma monometrica prevale una azione “molecolare” à invece di legarsi al DNA, si lega a fattori di trascrizione : NFkB (che nei linfociti B regola la trascrizione delle catene leggere k) e AP – 1.

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Tali due fattori di trascrizione possono essere sia attivati che inibiti.ù

NFkB è formato da p65 e p50, presenti nel citosol in forma inattiva perché legate a Ifk α à (viene degradato nei protesomi) quando questo non è legato p65 e p50 traslocano nel nucleo.

L’attivazione di NFkB si ha quando c’è un danno alla cellula à ossia in corso di infiammazione. I glucocorticoidi interagiscono con NFkB e lo bloccano, sia direttamente (fisicamente), sia indirettamente (aumentando la trascrizione di Ifk α.

AP – 1 à si forma dall’unione dei geni JUN e FOS ( o dall’unione di due JUN – JUN, o dall’unione di JUN – FOS)

Quando i glucocorticoidi si legano all’omodimero JUN – JUN lo attivano; quandoinvece si legano all’eterodimero JUN- FOS lo inattivano (questo avviene soprattutto quando il recettore per il glucocorticoide è in forma monometrica)

I glucocorticoidi possono agire anche con altri due meccanismi determinando:

· Effetti aspecifici à mediati dall’interazione aspecifica dei glucocorticoidi con i lipidi della membrana plasmatica à alterano lo strato lipidico e quindi l’attività delle proteine, in particolare quelle dei canali per il calcio (che sono chiusi) à questi canali del calcio sono importanti per l’attivazione dei linfociti T, perciò i glucocorticoidi con questo effetto aspecifico (che è velocissimo) inibiscono l’attivazione dei linfociti T à effetto acuto

· Effetti sui recettori di membrana à hanno effetti tessuto – specifici nonostante i recettori siano quasi “ubiquitari” à questo perché vi è una glicoproteina P che “butta fuori” il glucocorticoide.

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IMMUNOSOPPRESSORI INTRODUZIONE

Sinapsi: dal greco, “giunzione, contatto”; in immunologia, l’incontro del linfocita T con la cellula presentante l’antigene (APC).

Nel contatto tra queste 2 cellule si formano complessi SMAC, di attivazione sopramolecolare che derivano da molecole della superficie dei linfociti T e molecole giustapposte sulle APC.

SMAC:

· cSMAC (centrali) PIU FREQUENTI · pSMAC (periferici) · dSMAC (distali).

A seconda delle zone della sinapsi in cui si formano (c-p-d).

Si individuano tramite FRET, tecnica avanzata di confocale che consente di capire quando 2 molecole sono legate in base alla fluorescenza emessa.

Sulla APC abbiamo: antigene + molecola MHC II.

cSMAC:

Sul linfocita T abbiamo:

· TCR (2 subunità a e b + altre 4 subunità che formano l’antigene CD3, di queste la più importante è z (zeta).

· Accanto al TCR abbiamo CD4/CD8, presenti insieme solo nella cellula naive.

pSMAC:

Sul linfocita T (in periferia) abbiamo:

· CD28 coattivatore del linf.T; · ICOS; · CTL4 effetto frenante sul linf.T per evitare una risposta immunitaria smoderata;

CORECETTORI ESSENZIALI PER L’ATTIVAZIONE DEL LINF.T

Molecola sul linfocita T: Si complessa con molecola sulla APC:

CD28 CD80

CTLA4 CD86

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LFA-1 (nella zona periferica) ICAM (LFA1 si complessa anche con la ICAM dell’endotelio, grazie a ciò i linf.T raggiungono i tessuti periferici)

CD2 (espresso solo dai linf.T attivati) LFA3

LFA3

LFA1

ICAM

CD2

CTLA4

CD28

CD86

CD80

MHC II +

Antigene

TCR +

CD3

dSMAC: sono formati da altri complessi come CD43 e CD45. Quando l’antigene è riconosciuto dal TCR

· CD4 e CD8 reclutano la tyr-kinasi LCK che fosforila residui di Tyr su TCR; · I residui fosforilati attraggono le proteine adattatrici con dominio SH2; · a questi si lega ZAP70 SYK (un’altra tyr-kinasi) che fosforila la subunità z del CD3; · in seguito a ciò altre proteine come LAT (con dominio SH2) vengono calamitate in questa

regione.

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Il risultato finale è l’aumento della attività della PCLg (fosfolipasi Cg, che idrolizza il PIP2 con formazione di DAG e IP3).

La PCLb è attivata da recettori accoppiati a proteine Gq.

La PCLg1 è attivata quando ci sono fosfotirosine sulla membrana.

Þ si forma INS1,4,5 P3 Þ con aumento di Ca2+

Il Ca2+ va ad attivare la calcineurina o proteina fosfatasi 2B, che è responsabile della differenziazione e proliferazione dei linfociti T.

Come?

Nel citoplasma del linf.T c’è il fattore NFAT (fattore nucleare di trascrizione del linf.T attivato); NFAT ha un P legato e come tale non può entrare nel nucleo, la calcineurina rimuove il P; una volta penetrato nel nucleo NFAT incontra nNFAT (nucleare) e forma con questo un dimero, che innesca la trascrizione genica per il gene che codifica per IL2 (questa citochina prodotta dal linfocita T agisce sullo stessa cellula o sui T vicini).

Il recettore per IL2 ha una subunità a (detta p55 o CD25) che entra nel citoplasma e innesca la differenziazione e proliferazione del linfocita T.

CD28 partecipa al processo di attivazione attraverso la stimolazione della PI3K.

CTLA4 partecipa attivando tyr fosfatasi che spengono il segnale (effetto frenante).

FARMACI IMMUNOSOPPRESSORI

Inibitori della calcineurina:

1. CICLOSPORINA; 2. TACROLIMUS (FK506)

Hanno consentito il trapianto d’organo e paradossalmente nonostante la loro nefrotossicità hanno allungato i tempi per il trapianto di rene. CICLOSPORINA

Peptide ciclico di 11aa (D-ala in posizione 8, tutti gli altri sono L-aa); è una sostanza naturale prodotta da Beauveria Nivea.

Modalità di somministrazione:

· x os: capsule di gelatina o soluzione per via orale (SANDIMMUNE da 25 o 100mg); · x ev: diluita in etanolo e in olio di castoro polietossilato + 0,9% NaCl o 5% destrani

(100mg/ml).

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In alternativa al SANDIMMUNE ci sono formulazioni microemulsionate (NEORAL) assorbita più rapidamente.

Queste 2 forme non sono bioequivalenti, cioè hanno diversa biodisponibilità (BD).

È necessario trovare il dosaggio appropriato della ciclosporina per ogni paziente in forma individuale, e va controllato sempre nelle stesse condizioni di assorbimento (per cui non si può cambiare forma farmaceutica anche se sei tratta della stessa molecola).

SANDIMMUNE è stato tolto dal commercio.

Il cibo rallenta l’assorbimento:

· ß 13% AUC; · ß 30% Cmax.

per questo la terapia si fa sempre con o senza cibo ma mai modificando la modalità di assunzione:1h prima dei pasti o 2h dopo.

T ½: bifasica 5-18h

Volume di distribuzione: 3-5 L/kg, quindi diffonde molto bene nel LEC, passa nel latte materno e al feto.

Metabolismo: CYP 3A4

INIBITORI CYP3A4 (Ý [ ] PLASMATICA) INDUTTORI CYP3A4 (ß [ ] PLASMATICA)

Macrolidi (eritro/claritro -micina) Fenobarbital

Succo di pompelmo (i flavonoidi inibiscono CYP 3A4 intestinale)

Carbamezapina

Ritonavir (inibitore proteasi, terapia HIV) Fenitoina

Ketoconazolo Oxcarbamezapina

Rifampicina

Octreotide

Tiolopidina

Eliminazione: feci, come tutti i farmaci a struttura peptidica che vengono riassorbiti nel tubulo contorto prossimale.

Indicazioni:

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1. trapianti rene (prolunga il tempo prima del rigetto per permettere all’organo di attecchire) fegato, cuore (la ciclosporina ne ha permesso la realizzazione)

2. artrite reumatoide (AR):

· FANS (e COXIB); · Medrol (o corticosteroidi) · Disease modifiers (modificatori della malattia): non sintomatici ma patogenetici, cioè

agiscono sulla evoluzione della patologia.

Tra questi la ciclosporina non è di prima scelta: METOTREXATE, Sali d’oro, Antimalarici, Sulfasalazina; in alternativa, nei casi in cui non c’è risposta, ciclosporina.

Ulteriore alternativa: farmaci biologici (anti-citochine)

3. Behçet (ulcerazioni sistemiche con complicanze in vari organi (occhio: uveite: cecità); la ciclosporina si utilizza insieme ad altri farmaci.

4. Sarcoidosi, non di prima scelta. 5. Sclerodermia per ß l’ispessimento cutaneo ma non influisce sulla patologia d’organo. 6. Artrite psoriasica (deformante e irreversibile) la ciclosporina è di prima scelta. 7. IBD (Crohn). 8. Sd. Nefrosica (paradossalmente…è nefrotossica).

Effetti collaterali:

1. Nefrotossicità:

· costrizione dell’art. renale (danno primario, perché Ý renina, AT2 e endotelina, e ß NO e PGE2). Le alterazioni sono identiche a quelle di una arteriopatia obliterante:

· patologia del TCP; · danno glomerulare e mesangiale; · fibrosi interstiziale (dovuta al TGFβ).

Non somministrare con altri farmaci nefrotossici (antivirali, cefalosporine, aminoglicosidi, vancomicina, cisplatino, Litio, anfotericina)

Bisogna mantenere il GFR>30 mL , altrimenti sospendere.

2. Neurotossicità lieve. 3. Ipertensione (soprattutto nei pz che prendono ciclosporina per trapianto di cuore). 4. Iperkaliemia (conseguenza della nefrotossicità). 5. Irsutismo (la nefrotossicità comporta alterazione del metabolismo di alcuni ormoni

steroidei). 6. Iperplasia gengivale.

Interazioni:

1. glucocorticoidi: rischio di iperglicemia (più col tacrolimus che con la ciclosporina). 2. sirolimus (Ý gli effetti collaterali di entrambi).

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3. MTX (ßla clearance del metotrexate, impedendone la corretta eliminazione, il mtx è epatotossico, può causare cirrosi, e mielotossico).

4. clearance di prednisolone, digossina,ß statine (lovastatina)

LA CICLOSPORINA NON INIBISCE DIRETTAMENTE LA CALCINEURINA: TALE INIBIZIONE è MEDIATA DALLA CICLOFILLINA A (CHE LEGA LA CALCINEURINA E LA INIBISCE) MA SENZA LA CICLOSPORINA, LA CICLOFILLINA A NON PUO AGIRE.

TACROLIMUS o FK506

Inibisce la calcineurina in seguito al legame con FKBP12.

Somministrazione:

x os: 5mg/ml (influenzato dal cibo, assumere sempre con o senza cibo)

x ev: 0,5 o 1 o 5 mg

· I dosaggi sono più bassi rispetto alla ciclosporina perché è più potente.

Metabolismo: CYP 3A4 (vedi sopra per inibitori e induttori).

T ½: 16h (somministrazione giornaliera).

Molto legato alle proteina plasmatiche (75%-95%), soprattutto alla a1glicoproteina acida.

Poco utilizzato nelle terapie immunoreattive (intende per le patologie autoimmuni), si usa soprattutto nel rigetto dei trapianti.

Effetti collaterali:

· nefrotossicità (meno frequente che con la ciclosporina); · neurotossicità (molto di più): tremori, scosse miocloniche, convulsioni, agitazione; · diabete (molto più diabetogeno della ciclosporina): inibisce l’attività delle cellule b (ancora

peggio se associato a glucocorticoidi).

SIROLIMUS (o rapamicina)

Non è un inibitore della calcineurina; si lega a FKBP12 come il tacrolimus.

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Quando IL2 si lega al suo recettore sul linfocita T viene avviata la proliferazione con transizione della cellula dalla fase G1 alla fase S, e si attiva il ciclo cellulare.

Nella transizione G1-S si attiva mTOR (proteina intracellulare, nei mammiferi); il sirolimus lega FKBP12 inibendo mTOR e arrestando così il ciclo cellulare.

Dosaggio: 3-12/m² (più potente della ciclosporina)

T ½ più lunga: fino a 5-6gg.

Effetto terapeutico di lunga durata, induce quindi anche tolleranza immunologica.

Metabolismo: CYP 3A4.

Assorbimento dipendente dal cibo.

Effetti collaterali:

1. non è nefrotossico: utilizzato nei protocolli di rescue (recupero, salvataggio) del rene, ma potenzia la tossicità della ciclosporina;

2. aumento notevole di trigliceridi e colesterolo; 3. l’uno potenzia gli effetti avversi dell’altro (come la ciclosporina).

ANTIMETABOLITI:

Bisogna che abbiano specificità cellulare per non dare alterazioni sistemiche.

METOTREXATO, AZATIOPRINA (profarmaco della 6-meraptopurina)

· antineoplastici.

MOFETILE DI MICOFENOLATO, LEFLUNOMIDE

· interferiscono col metabolismo cellulare ma non sono antineoplastici.

Mofetile di micofenolato

Estere dell’acido micofenolico: principio attivo.

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X os da 1g a 3g/die (poco potente)

Metabolismo dell’acido micofenolico: glucuronoconiugazione ed escrezione renale per secrezione tubulare (interferisce con altri farmaci a secrezione tubulare come il probenecid).

Meccanismo d’azione: inibisce l’inosin monofosfato deidrogenasi, enzima coinvolto in una via di sintesi dei nucleotidi purinici (via fondamentale nei linfociti ma meno nelle altre cellule).

Effetti collaterali:

1. apparato gastrointestinale; 2. ematologia: mielosoppressione, neutropenia (la sintesi di purine è importante anche al

livello del midollo osseo);

Indicazioni:

· nefrite lupica; · protocolli di immunosoppressione in cui si vuole risparmiare il rene (rescue).

Leflunomide

Usato nell’artrite reumatoide.

Inibitore della diidroorotato deidrogenasi (sintesi delle pirimidine).

T ½ lunga, per via della circolazione enteroepatica (fegato-bile-intestino e poi ricircola); ciò comporta:

1. epatotossicità elevata: aumento delle transaminasi fino a insufficienza epatica (additiva a quella col metotrexato: attenzione ai portocolli combinati);

2. teratogenicità: malformazioni fetali compatibili con la vita, mai usare in gravidanza.

Come si fa per eliminarlo dalla circolazione? COLESTIRAMINA, 3vv /die per 8 giorni. È una resina, che intrappola la leflunomide nel fegato -> bile -> eliminazione con le feci.

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FARMACI BIOLOGICI

Farmaci biologici e uso in reumatologia (anticorpi monoclonali e proteine di fusione)

Premessa 1

Generalità sui farmaci biologici

I farmaci biologici sono di due tipi: anticorpi monoclinali e proteine di fusione. Gli anticorpi sono

prodotti dalle plasmacellule e da alcune cellule B della memoria immunologia. Si tratta di molecole

complesse, formate da domini multipli, con azioni neutralizzanti o litiche mediate dall’intervento

del complemento o dai leucociti che esprimono i recettori Fcg. Gli anticorpi sono composti da due

catene pesanti e sue catene leggere. Ad un’estremità dell’anticorpo, due regioni variabili (V)

identiche hanno un’elevata complementarietà nei confronti dell’antigene. La regione costante ©

presente nell’altra estremità è determinante per il destino dell’antigene legato all’anticorpo. Nella

regione V, tre corti segmenti peptidici delle catene leggere e tre delle catene pesanti formano i

CDR (regioni che determinano la complementarietà o regioni ipervariabili), che conferiscono la

specificità di legame nei confronti dell’antigene. Nella produzione di anticorpi monoclinali (Kohler

e Milstein, 1975), cellule B isolate da animali (spesso topi) immunizzati vengono fuse a cellule

tumorali (cellule di mielosa) con formazione di ibridomi, cioè cellule immortalizzate che secernono

anticorpi dotati di una singola specificità (cioè monoclinali). L’applicazione di tecniche di

ingegneria genetica ha portato alla produzione di anticorpi chimerici, in cui la regione costante

dell’anticorpo è sostituita da sequenze umane (il 33% degli amino acidi rimangono murini), ed

anticorpi umanizzati, in cui la porzione costante e parte della regione variabile (escòuse le regioni

ipervariabili) sono sostituite da sequenze umane (solo il 10% dell’anticorpo è murino). Sono stati

prodotto anche anticorpi interamente umani utilizzando cellule B originariamente isolate da topi

geneticamente modificati che producono immunoglobuline umane al posto dello loro

immunoglobuline (il transgene delle immunoglobuline umane è inserito su un background di

delezione genetica – knockout – delle immunoglobuline murine). Le tecniche di ingegneria

genetica hanno anche per mezzo la realizzazione delle proteine di fusione, in cui una porzione

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proteica di qualunque natura (ad esempio una porzione di un recettore di membrana) è fusa con i

domini CH2 e CH3 della porzione costante di un’immunoglobulina.

Sia per i monoclinali che per le proteine di fusione bisogna considerare che le cellule B producono

9differenti tipi di anticorpi, denominati isotipi, e cioè IgG1-4, IgM, IgA1-2, IgD e IgE. Ognuno di

questi isotipi ha caratteristiche uniche, ed è quindi importante selezionare l’isotipo desiderato per

ottimizzare il profilo di efficacia e tollerabilità dei farmaci biologici. Ad esempio, le IgG formano la

classe di Ig predominante nel plasma, ed i recettori per l’IgG (recettori FcgR) possono mediare una

varietà di effetti biologici, quali la fagocitosi, la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente,

la presentazione dell’antigene, il rilascio di citochine, la degranulazione, e la sintesi di anticorpi. Gli

anticorpi IgG1 rapresentano gli anticorpi terapeutici di prima scelta per la loro lunga emivita

biologica (>20 giorni) e la loro capacità di interagire con il sistema immunitario nell’uomo. L’uso

delle IgG2 è meno pratico perché i loro recettori, denominati FcgIIa (CD32), presentano varianti

all’eliche con differenti capacità di legame. Tutti gli anticorpi IgG possono interagire con i recettori

FcRn localizzati sulle cellule endoteliali, che proteggono gli anticorpi dalla degradazione

intracellulare. Altri isotipi non sono in grado di interagire con i recettori FcRn e, quindi, presentano

un’emivita più breve che ne limita gli impieghi clinici.

Premessa 2. Nomenclatura degli anticorpi monoclonali

Tutti gli anticorpi monoclonali presentano il suffisso terminale mab (es. adalimumab, infliximab,

etc.). L’infisso che precede il suffisso mab denota l’origine degli anticorpi. Gli anticorpi

interamente murini hanno come infisso “o”. Questi anticorpi sono riconosciuti come stranei

dall’organismo umano, e quindi sono sottoposti a rapida clearance e/o provocano reazioni

allergiche. Se la regione costente è sostituita dalla regione costante umana, l’anticorpo è definito

chimerico ed ha come infisso “xi” (ad esempio, infliximab, basiliximab). Se anche parte della

regione variabile viene sostituita da sequenze umane, l’anticorpo si definisce umanizzato e

presenta l’infisso “zu” (ad esempio, alemtuzumab, natalizumab). Anticorpi interamente umani

hanno l’infisso “u” (ad esempio, adalimumab).

L’infisso che precede l’infisso di origine si rifersice al bersaglio clinico ed è tipicamente formato da

una consonante, una vocale ed un’altra consonante. Tuttavia, l’ultima consonante viene omessa

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se l’infisso d’origine comincia con una consonante (come avviene nel caso degli infissi xi e zu).

Esempi di infissi che si riferiscono al bersaglio sono: ci(r) per il sistema circolatorio (ad esempio,

bevacizumab = monoclonale umanizzato anti-angiogenico anti-VEGF; abiciximab = chmerico anti

recettore del fibrinogeno per inibire l’aggregazione piastrinica); ne(r) per il sistema nervoso (ad

esempio, bapineuzumab = monoclonale umanizzato contro le placche amiloidi della malattia di

Alzheimer); li(m) per il sistema immunitario (ad esempio, adalimumab = anticorpo anti-TNF

interamente umano); ki(n) per le interleuchine; vi(r) per le infezioni virali (ad esempio, palivizumab

= anticorpo umanizzato diretto nei confronti di una proteina del virus RSV); tu(m) per tumori in

senso lato (ad esempio, alemtuzumab = anti-C52 utilizzato per il trattamento della leucemia a

cellule B – anche utilizzato però nella sclerosi multipla ed in altre patologie immunoreattive);

fu(ng) per le infezioni fungine; ba(c) per le infezioni batteriche; le(s) per le lesioni infettive; e mu(l)

per l’apparato muscolo scheletrico.

Premessa 3. Sinopsi sulla sinapsi immunologica

Nella sinapsi immunologica (presentazione dell’antigene presente sulle cellule APC – ad esempio,

cellule dendritiche o, a volte, cellule B – ai linfociti T naive) ha un ruolo chiave il TCR/CD3 espresso

dai linfociti T. Tuttavia, il segnale prodotto da TCR/CD3 è di per sé insufficiente e deve essere

amplificato o comunque regolato da co-recettori, quali CD28, ICOS, CTLA4, PD1, CD7 e TIM1,

espressi da differenti subsets di linfociti T.

L’antigene, nel contesto dell’MHC interagisce con TCR/CD3. La regione non-polimorfica dell’MHC

interagisce contemporaneamente con CD4 e CD8. L’interazione recluta la tirosin chinasi, LCK, nel

territorio del complesso TCR/CD3, e LCK fosforila residui di tirosina localizzati nella catena zeta del

TCR. Le tiroxine fosforilate reclutano altre proteine dotate di domini SH2, quali ZAP70 e Syk.

Vengono quindi fosforilate alcune proteine “adaptor”, quali LAT (clinker per l’attivazione delle

cellule T), che espandono e integrano le vie di segnalazione intracellulare. LAT e SLP76 reclutano la

fosfolipasi-g1, che idrolizza il fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato e forma inositolo-1,4,5-trifosfato

(IP3). L’IP3 rilascia calcio dai calciosomi. Il calcio attiva la calcineurina (protein fosfatasi 2B), la

quale defosforila il fattore di trascrizione NFAT, permettendone la traslocazione nel nucleo. NFAT

nel nucleo forma un dimero con un altro NFAT (già localizzato all’interno del nucleo), inducendo

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l’espressoine di geni fondamentali per la risposta immune (ad esempio, il gene che codifica per

l’IL-2).

I corecettori CD28 e CTLA4 presenti sulle membrane dei linfociti T interagiscono con CD80 e CD86

presenti sulla membrana della cellula dendritica (CTLA4 si lega preferenzialmente a CD80). ICOS si

lega a B7H. ICOS e CTLA4 sono prevalentemente espressi dalle cellule T attivate e dalle cellule T

della memoria. CD28, CTLA4 e ICOS sono in grado di attivare la via della fosfatidilinositolo-3-

chinasi e porta alla fosforilazione di Akt (vedi recettore per l’insulina) e contribuiscono così ai

meccanismi di segnalazione intracellulare.

Premessa 4. L’anticorpo monoclonale archetipico: il muromonab-CD3 (OKT3)

Il muromonab è un anticorpo monoclonale interamente murino diretto nei confronti della catena

ipsilon dell’antigene CD3 (componente monomorfica associata al TCR) ed utilizzato sin dagli anni

80 per evitare il rigetto dei trapianti. Viene qui descritto perché è il primo e offre lo spunto per la

trattazione degli effetti avversi acuti dei farmaci biologici.

Si tratta di una IgG2a interamente murina. Agisce determinando una rapida internalizzazione del

TCR con deplezione delle cellule T da sangue, milza e linfonodi (sia per induzione di apoptosi

cellulare che per emarginazione dei linfociti T attraverso l’endotelio vascolare nei polmoni ed in

altri organi). L’anticorpo riduce inoltre la produzione di IL-2 ed altre citochine.

Viene impiegato per via e.v. come singolo bolo (5 mg/fiala/die) per 10-14 giorni. I linfociti T

scompaiono dopo qualche minuto e tironano in circolo entro una settimana dalla fine della

terapia.

Tossicità acuta (descritta anche con altri biologici a seguire)

SINDROME DA RILASCIO DA CITOCHINE

Inizia 30 min dopo l’infusione e può persistere per ore. Dipende dal legame nei confronti del

recettore per la porzione Fc /vedi oltre) e dall’attivazione iniziale dei linfociti T. Dipende dal

rilascio iniziale (prima della deplezione) di IL-2, IL-6, TNFa, IFNg. Il TNF è la causa maggiore di

tossicità. La sintomatologia è maggiore con la prima dose (Reazione da prima dose) e

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comprende: febbre, brividi, rigidità, cefalea, tremore, disturbi gastro-intestinali, dolori

addominali, malessere, artralgia, mialgie, astenia, e, a volte, disturbi cardiovascolari con

collasso/edema polmonare e meningite asettica. Il pretrattamento con cortisonici è

protettivo.

Focus sui farmaci biologici utilizzati nelle patologie immunoreattive

Sinopsi sui meccanismi patogenetici dell’artrite reumatoide (RA) (già trattati nei documenti

inviati in precedenza)

La RA è una malattia cronica infiammatoria della sinovia, che riveste la superficie non sottoposta a

pressione meccanica (letteralmente, “non-weight-bearing”) delle articolazioni e produce l liquido

sinoviale. Nella sinovia vi sono 2 tipi di sinoviociti: (i) simile ai macrofagi e (ii) simile ai fibroblasti,

che risiedono nello strato sub-intimale.

Nella RA, la membrana sinoviale è invasa da cellule T e B (a volte organizzate in follicoli linfoidi) e

da cellule tipiche dell’infiammazione (ad esempio, mastociti). I sinoviociti proliferano, la sinovia

iperplastica diviene invasiva e porta alla distruzione della cartilagine articolare e dell’osso. La

sinovite è definita (i) “follicolare” quando i centri germinativi si organizzano come nei linfonodi e le

cellule dendritiche follicolari sono circondate da cellule B e cellule T; (ii) “aggregata quando i

follicoli sono assenti ma le cellule T e B si organizzano in raggruppamenti (clusters); e (iii) “diffusa”

quando le cellule T e B sono sparse.

La via finale comune è rappresentata dalle citochine pro-infiammatorie (IL-6, IL-1beta, IL-15, IL-17,

TNF-alfa), e le metalloproteasi della matrice (MMP) prodotte da cellule T, macrofagi, sinoviociti di

tipo B, e osteoclasti. Naturalmente, l’interazione tra linfociti T e linfociti B è critica per la

patogenesi della RA. Da un canto, i linfociti T attivano i linfociti B ed i macrofagi attraverso la

produzione di citochine e anche il contatto intercellulare. Dall’altro, i linfociti T sono attivati dalle

cellule APC (cellule che presentano l’antigene) che sono rappresentate non solo dalle cellule

dendritiche ma anche dagli stessi linfociti B (i quali secernono anche citochine e chemio chine).

Come già sottolineato, gli osteoclasti sono attivati per intervento del recettore RANK (recettore

attivatore del sistema NFkappaB) attivato dal ligando di RANK (RANKL) espresso dai fibroblasti

della sinovia e dalle cellule T. Inoltre, gli osteclasti sono attivati dall’IL-17 prodotta dalle cellule T.

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Si ritiene infine che le cellule di tipo B (simili ai fibroblasti) della sinovia presentino caratteristiche

di malignità (ad esempio, esprimono oncogeni e perdono l’inibizione da contatto). Per alcuni

queste cellule hanno un ruolo critico nella patogenesi della RA.

1. Farmaci biologici diretti contro antigeni di superficie delle cellule T

Gli anticorpi monoclonali diretti nei confronti di antigeni delle cellule T sono stati i primi ad essere

sintetizzati e si dimostravano altamente efficienti nell’induzione della tolleranza immunologica

negli animali da esperimento. Nell’uomo, tuttavia, gli anticorpi anti-CD4, anti-CD5 e anti-CD52

(alemtuzumab, CAMPATH-1H) non dimostravano una grande efficacia nei confronti della RA

(l’alemtuzumab tuttavia è usato nel trattamento della leucemia a cellule B ed è uno dei farmaci più

efficaci – ma cneh più pericolosi – nel trattamento della sclerosi multipla). Non è chiaro perché

questi farmaci non presentino grande efficacia nella RA. Infatti la proteina di fusione CTLA4Ig, che

inibisce i linfociti T, è stata di recente approvata per il trattamento della RA.

Anticorpi anti-CD4

Sono stati prodotti anticorpi murini, chimerici, umanizzati ed interamente umani diretti nei

confronti di almeno 3 epitopi sull’antigene CD4. I trials clinici non hanno abuto successo nella RA. I

vari anticorpi presentano effetti diversi a seconda dell’epitopo target, dell’affinità nei confronti

dell’antigene, delle caratteristiche delle regioni costante e variabile. Le azioni biologiche

consistono: (i) nell’inibizione funzionale dei linfociti T attraverso il legame con il CD4; (ii) la

deplezione dei linfociti T per mezzo del sequestramento da parte dei linfonodi, della citotossicità

indotta da complemento, dalla citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente, e

dall’induzione dell’apoptosi. Perché questi monoclonali non sono efficaci nella RA? Una possibilità

è che i tempi di trattamento e le dosi non siano sufficienti (nell’animale da esperimento

l’induzione della tolleranza richiede lunghi tempi e non sono disponibili indicatori affidabili

dell’efficacia clinica). Altra possibilità da tenere presente è che il target (CD4) è largamente diffuso

e gli anticorpi possono quindi colpire anche cellule “utili” (per esempio cellule che mediano i

meccanismi di immunotolleranza). Inoltre, quati farmaci inducono una serie di effetti avversi che

ne complicano l’uso, ad esempio: reazioni da infusione e sintomi simil-influenzali (non severi ma

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imprevedibili). Più problematici sono i rash cutanei e le vasculiti (vedi oltre nel capitolo “effetti

avversi”.

Anticorpi anti-C52

L’anticorpo umanizzato alemtuzumab è diretto nei confronti dell’antigene CD52 espresso sui

linfociti CD4+ e CD8+, dalle cellule NK e dai moniciti. Nel caso della RA, è stata dimostrata una certa

efficacia nel breve termine, ma il rapporto rischio-beneficio non è favorevole. Le reazioni da

infusione sono più severe: la somministrazione di alemtuzumab per via endovenosa o

sottocutanea nella RA (o anche in alcune forme di vasculiti autoimmuni) ha determinato reazioni

avverse acute dose-dipendenti, quali febbre, rash, rigidità, ipotensione. Questi effetti

caratterizzano la “reazione da prima dose” o “sindrome da rilascio di citochine”. Quando utilizzato

nel trattamento della sclerosi multipla, l’uso dell’alemtuzumab può determinare la ricomparsa dei

sintomi neurologici come reazione da rilascio di citochine. Tali effetti avversi possono essere

minimizzati dal pretrattamento con corticosteroidi. Gli effetti avversi acuti descritti possono

derivare da una serie di meccanismi indotti dall’alemtuzumab, quali (i) “trans-crosslinking” cioè un

meccanismo che lega insieme due cellule del sistema immune che esprimono il recettore FcgR

(legame mediato dalla porzione Fc del monoclonale); e (ii) “cis-crosslinking” tra CD52 e CD16 da

parte del monoclonale sulla superficie della stessa cellula.

Il probema più grave legato all’uso dell’alemtuzumab (e anche dei monoclonali anti-CD4) è una

linfopenia duratura che non era prevista sulla base dei dati ottenuti dalla sperimentazione

animale. Alla base della linfopenia vi è una possibile riduzione della funzione del timo nei pazienti

con RA o una disregolazione dell’IL-17. Nonostante la linfopenia, tuttavia, le infezioni

opportunistiche sono rare. La cosa curiosa (e svantaggiosa per la terapia) è che in pazienti con RA

trattati con alemtuzumab la sinovite ritorna durante il periodo caratterizzato da linfopenia (con

presenza di cellule T nella sinvia ed espansione oligoclonale nel sangue periferico). Perché? Forse

per un meccanismo di espansione delle cellule T naive o delle cellule T della memoria immunlogica

che si instaura come evento reattivo di compenso nei confronti della linfopenia. A volte, i pazienti

con sclerosi multipla trattati con alemtuzumab sviluppano autoimmunità secondaria (ad esempio,

tiroiditi).

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TGN1412

Si tratta di un anticorpo monoclonale che presenta attività biologica e si comporta come

“superagonista” (cioè come agonista più efficace rispetto all’agonista naturale) dell’antigene

CD28. Questo era un farmaco biologico promettente perché il cross-linking FcgR-dipendente di un

epitopo sull’antigene CD28 determina un’espansione selettive delle Treg (cellule T regolatorie

responsabili della tolleranza immunologica) con effetti di spegnimento nei confronti

dell’autoimmunità. Purtroppo nell’uomo il TGN1412 causa insufficienza a carico di molti organi

(“multiorgan failure”) e sindrome da rilascio di citochine (letteralmente, “cytokine storm” o

tempesta di citochine) simile a quella prodotta dal muromonab (anticorpo mnoclonale

interamente murino diretto nei confronti della catena epsilon sull’antigene CD3 dei linfociti T ed

utilizzato per il trattamento del rigetto dei trapianti). Tutti i volontari sani trattati con TGN1412 in

fase I (la fase della sperimentazione farmacologica in cui si esamina se il farmaco è sicuro in

volontari sani) hanno sviluppato infiltrati polmonari, insufficienza renale, CID, trombocitopenia,

linfopenia e monocitopenia.

2. Farmaci biologici diretti nei confronti dei linfociti B

Contrariamente ai farmaci biologici diretti nei confronti dei linfociti T, anticorpi monoclonali e

proteine di fusione diretti contro antigeni di superficie dei linfociti B o contro fattori necessari per

la sopravvivenza dei linfociti B (fattori della stessa famiglia del TNF) si sono rivelati promettenti

nel trattamento della RA. I farmaci includono: il rituximab (anticorpo chimerico diretto nei

confronti dell’antigene CD20), l’epratuzumab (anticorpo umanizzato anti-CD22), il belimumab

(anticorpo interamente umano anti BLyS/BAFF – singla che indica: stimolatore dei linfociti

B/fattore attivante delle cellule B della famiglia del TNF), e proteine di fusione dirette nei confronti

dei recettori per BlyS/BAFF, quali TACI. Le proteine di fusione sono: TACI-Ig e BAFFR-Fc/BR3-Fc.

L’uso del rituximab nel trattamento della RA deriva da evidenze ottenute in pazienti con linfoma

(per cui il farmaco era stato sviluppato) associato ad artrite. Il farmaco induce una rapida

deplezione dei linfociti B nel sangue, ma la risposta clinica massimale sia nella RA che nel LES

(altra indicazione) si osserva dopo 12 settimane. Alcune considerazioni sul rituximab: (i) si

somministra alla dose di 1 g per via e.v. ripetuto dopo 14 giorni; (ii) la deplezione dei linfociti B è

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associata una riduzione modesta delle IgM e del fattore reumatoide. La riduzione delle IgM diviene

più marcata dopo cicli ripetuti di terapia. Le IgG e le IgA non si riducono parallelamente alla

riduzione delle IgM; (iii) la ricostituzione delle cellule B dopo l’effetto iniziale della terapia avviene

in tempi diversi in pazienti diversi; nei pazienti con RA e LES la ripopolazione delle cellule B dopo

rituximab segue un profilo temporale tipico con un recupero ritardato delle cellule della memoria

CD27+; (iv) come nel caso dell’alemtuzumab, il rituximab può indurre reazioni avverse da prima

dose (meno gravi ai dosaggi utilizzati per il trattamento della RA rispetto a quelli utilizzati per il

trattamento die linfomi) controllate dai cortisonici.

Nel caso del belimumab, la deplezione delle cellule B periferiche si sviluppa più tardivamente ed è

meno marcata rispetto a quella indotta dal rituximab. L’efficacia del belimumab nella RA è

limitata, mentre il farmaco è utile nel trattamento del LES.

L’epratuzumab mostra anche una maggiore utilità nel trattamento del LES e della sindrome di

Sjogren rispetto alla RA. Il farmaco induce una riduzione dei linfociti B periferici del 35-50% senza

riduzione dei linfociti T e degli autoanticorpi circolanti.

Considerazioni generali sull’uso dei farmaci biologici diretti nei confronti dei linfociti B nel

trattamento delle patologie immunoreattive:

1. La deplezione delle cellule B è utile nel trattamento della RA

2. Gli effetti dei farmaci sulle cellule B periferiche dipendono dall’antigene target (ad

esempio, CD20 nel caso del rituximab e CD22 nel caso dell’epratuzumab o fattori di crescita

nel caso del belimumab o delle proteine di fusione).

3. La ricostituzione delle cellule B è variabile.

4. Sarà importante stabilire nel postmarketing se il rituximab o gli altri farmaci inducono

linfopenia duratura con pericolo di inefioni opportunistiche o di autoimmunità secondaria

(come osservato nel caso dell’alemtuzumab).

3) Farmaci biologici diretti nei confronti di citochine pro-infiammatorie

I farmaci anti-TNFa utilizzati nel trattamento della RA e di altre patologie immunoreattive sono i

seguenti: infliximab (monoclonale chimerico), adalimumab (monoclonale umanizzato),

certolizumab (frammento Fab’ pegilato umanizzato), etanercept (proteina di fusione costituita

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dal dominio extracellulare del recettore p75 del TNFa fuso con la porzione compresa tra i domini

CH2 e CH3 dell’IgG1 umana.

In generale, questi farmaci sono efficaci nei confronti della RA (precoce e tardiva), spondilite

anchilosante, psoriasi, morbo di Chron e RCU.

L’etanercept aumenta la mortalità in condizioni di sepsi.

L’uso di questi farmaci si inquandra nella complessa biologia del TNFa. Il TNFa biologicamente

attivo è legato alla membrana. Può essere idrolizzato dall’enzima TACE e diventare solubile

(presente in quantità di pg nel sague). I recettori p55 e p75 per il TNF a si trovano anch’essi in

forma legata o solubile (idrolizzati da TACE) e sono presenti nel sangue in quantità di ng. I recettori

solubili sono in genere neutralizzanti nei confronti del TNFa, ma possono anche stabilizzare

l’attività del TNFa legato. L’uso dei farmaci anti-TNFa enfatizza l’eterogeneità della RA sotto il

profilo patogenetico. In alcuni pazienti questi farmaci inducono remissione della RA; in altri sono

inefficaci.

I meccanismi d’azione di tali farmaci comprendono: (1) la neutralizzazione del TNF ;a(2) il cross-

linking di molecole di TNF legate alla membrana con “reverse signaling” (cioè conseguenze

biochimiche nelle cellule che esprimono il TNF) ed induzione di apoptosi; (3) lisi delle membrane

che esprimono il TNF; e (4) apoptosi dei monociti o delle cellule T mediati dall’azione tossica degli

anticorpi monoclonali o dalla deprivazione di citochine. L’etanercept neutralizza la linfotossina

oltre al TNFa , ma le conseguenze cliniche di questo effetto non sono note.

In generale: infliximab e adalimumab neutralizzano il TNF solubile (++), si legano al TNF espresso

sulla membrana (+++), inibiscono l’idrolisi del TNF sulle membrane (++), medino meccanismi di

citotossicità indotta dal complemento o di citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente

(+++), sono induttori di apoptosi (+++), ed inducono morte dei leucociti polimorfonucleati (+++). Il

certolizumab pegol neutralizza in modo maggiore il TNF solubile (+++), si lega allo stesso modo al

TNF presente sulle membrane (+++), inibisce l’idrolisi del TNF legato alle membrane (+++), ma non

causa effetti citotossici, apoptosi, o morte dei leucociti polimorfonucleati. L’etanercept è meno

efficace dei monoclonali nell’interagire con il TNF legato o nell’inibirne l’idrolisi (ma si lega molto

bene al TNF solubile), media meccanismi di citotossicità (++) è un debole induttore di apoptosi (+/-

), ed induce morte dei leucociti polimorfonucleati.

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Nella RA, l’infliximab si somministra e.v. alla dose di 3 mg/kg. La somministrazione si riete dopo 3-

6 settimane. Dosi più alte con diversi intervalli si possono utilizzare nel morbo di Chron e nella

RCU. L’infliximab si può somministrare in associazione con metotrexate nei cui confronti esercita

azione sinergica. L’etanercept si somministra per via s.c. alla dose di 25-50 mg due volte alla

settimana per 12-24 settimane. L’adalimumab si somministra alla dose di 40 mg s.c. ogni due

settimane nella RA. Il certolizumab mostra efficacia sia nella RA che nel morbo di Chron

nonostante non sia in grado di indurre citotossicità o apoptosi.

L’anakinra è un antagonista del recettore per l’IL-1 che presenta breve emivita. Ha modesta

efficacia nella RA, ma mostra grande efficacia nella sindrome di Muckle-Wells (rara malattia

autosomica dominante caratterizzata da orticaria, sordità e amiloidosi) e nella malattia di Still

(artrite reumatoide giovanile ad esordio sistemico).

Discuteremo adesso tre aspetti correlati alla biologia e all’impiego clinico dei farmaci biologici

1. Interazione Fc/FcgR

La porzione Fc degli anticorpi monoclonali può influenzare il meccanismo d’azione, la

farmacocinetica e gli effetti avversi degli anticorpi monoclonali e delle proteine di fusione (ad

esempio, le vie di clearance ed i meccanismi di citotossicità). La porzione Fc viene modificata ad

arte per modulare l’interazione con il recettore FcgR (ad esempio, modificando lo stato di

glicosilazione).

La regione Fc di un monoclonale o di una Ig presente nelle proteine di fusione aumenta l’emivita

del farmaco biologico legandosi al recettore FcRn (recettore di Brambell o recettore FcgR

neonatale). Tale legame facilita il riciclaggio dei monoclonali e ne riduce il catabolismo.

Il legame della porzione Fc con il recettore FcgR classico attiva reazioni cellulari specifiche: può

dare origine a reazioni di infusione (ad esempio, il monoclonale anti-CD3 con porzione Fc

aglicosilata è meno tossico del monoclonale anti-CD3 normale – OKT3 -). Naturalmente la porzione

Fc lega il complemento. Tutti i farmaci biologici a struttura IgG1, quali anti-CD4, infliximab,

adalimumab, alemtuzumab, rituximab ed etanercept, presentano la stessa porzione Fc che media

meccanismi di citotossicità mediati dal complemento o meccanismi di citotossicità cellulo-mediata

anticorpo-dipendente. Esistono variazioni interindividuali nei meccanismi di citotossicità che

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dipendono dal polimorfismo del recettore FcgR (e quindi dall’affinità del recettore FcgR nei

confronti della porzione Fc del monoclonale o della proteina di fusione). Ad esempio, sono state

descritte varianti polimorfiche del recettore FcgRIIIa (CD16). La genotipizzazione dei pazienti

potrebbe permettere l’individualizzazione della terapia al fine di evitare la sindrome da rilascio di

citochine o altri effetti avversi.

2. Immunogenicità

Tutti i farmaci biologici possono essere immunogenici, anche se i monoclinali interamente umani

lo sono di meno (ad esempio, l’adalimumab lo è nel 12% dei pazienti e solo nel 2% se

somministrato in associazione con il metotrexate). La formazione di anticorpi contro i farmaci

biologici può avere le seguenti conseguenze:

1. anticorpi diretti nei confronti della regione V (anticorpi anti-idiotipo contro la

regione dell’anticorpo che lega l’antigene) sono in genere neutralizzanti nei

confronti dei farmaci biologici.

2. Anticorpi anti-Fc accelerano la clearance dei farmaci biologici (in questo caso il

paziente può richiedere dosi più alte di monoclinali o proteine di fusione).

3. Anticorpi anti-isotipo o anti-allotipo possono essere responsabili della malattia da

siero osservata in alcuni pazienti.

4. Le reazioni anafilattiche possono svilupparsi ma sono rare.

Infine, nel caso delle reazioni da prima dose, bisogna distinguere quelle che dipendono da

meccanismi di imunogenicità da quelle che invece derivano dal rilascio di citochine (entrambe,

comunque, sono sensibili al pretrattamento con cortisonici).

3. Effetti avversi cronici dei farmaci biologici

Difficili da prevedere sulla base degli studi in vitro e ex vivo. I principali effetti sono i seguenti:

1. aumentata incidenza di TBC o di altre patologie da micobatteri osservata con

farnaci anti-TNF. Dipende dal ruolo critico svolto dal TNFa nella formazione e nel

mantenimento del granuloma. In particolare, il TNF di membrana ha un ruolo

fondamentale nel controllo del micobatterio e contribuisce alla reazione dell’ospite

contro l’infezione acuta (il TNF solubile, invece, media effetti pro-infiammatori).

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2. La demielinizzazione riscontrata nel sistema nervoso centrale di pazienti trattati con

farmaci anti-TNF non ha una spiegazione logica perché i livelli di TNF mostrano una

correlazione positiva con i sintomi della sclerosi multipla. Nonostante questo, i

farmaci anti-TNF possono indurre un peggioramento dei sintomi della sclerosi

multipla ed indurre demielinizzazione de novo. E’ interessante osservare che nel

topo knockout privo di TNF e sottoposto al modello dell’EAE (encefalomielite

autoimmune sperimentale – modello di sclerosi multipla -) sono compromessi i

meccanismi di rimielinizzazione. La stessa cosa potrebbe avvenire nell’uomo con i

farmaci anti-TNF.

3. Un’altra situazione paradossale riguarda il cuore. L’insufficienza cardiaca cronica si

associa ad elevati livelli di TNFa. La citochina sembra coinvolta nei meccanismi di

rimodellamento cardiaco. Tuttavia, farmaci anti-TNF possono precipitare

l’insufficienza cardiaca od indurla de novo. Questo dato è di grande rilievo perché la

RA di lunga durata si associa a disturbi cardiaci e vascolari ed è la forma che

maggiormente si tratta con farmaci biologici.

4. Naturalmente i farmaci biologici possono portare allo sviluppo di infezioni

opportunistiche o tumori come conseguenza dell’immunosoppressione, anche se

questi farmaci sono in teoria più mirati (cioè hanno un target immunologico

specifico) rispetto agli immunosoppressori classici, quali ciclosporina, tacrolimus.

sirolimus, antimetaboliti (metotrexate, mofetile di micofenolato, leflunomide,

teriflunomide, cladribina), e ciclofosfamide. Casi (a volte mortali) di infezioni

erpetiche (inclusa encefalite da varicella-zoster) sono stati riportati negli studi clinici

con farmaci biologici. Una particolare effetto avverso oggi di gran moda è la PML

(leucoencefalopatia multifocale progressiva) osservata in una piccola percentuale di

pazienti con sclerosi multipla e morbo di Chron trattati con natalizumab (Tysabri). Il

natalizumab è un monoclonale umanizzato diretto nei confrontidell’integrina a4.

Nel caso della sclerosi multipla, il natalizumab previene l’interazione delle integrine

a4ß1 con VCAM-1, inibendo il passaggio dei linfociti attraverso la barriera emato-

encefalica. Nel caso del morbo di Chron, il natalizumab previene l’interazione delle

integrine a4ß7 e l’addressina espressa nelle veule del piccolo intestino. Tale

interazione è critica per il trasferimento dei linfociti nelle placche del Peyer. La PML

osservata raramente con il natalizumab (e spesso in associazione con altri

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immunoregolatori quali gli interferoni) dipende dall’attivazione del virus JC

(poliomavirus) che produce demielinazzione con formazione di corpi inclusi negli

oligodendrociti (quindi a carico del Sistema Nervoso Centrale). La PML è stata

osservata anche con altri farmaci biologici, quali infliximab e rituximab).

Altri farmaci biologici selezionati utilizzati nel rigetto dei trapianti e nelle patologie

immunoreattive

Daclizumab (IgG1 umanizzata) e Basiliximab (chimerico): sono anticorpi anti CD25 (subunità a del

recettore per l’IL-2 (necessaria per l’espansione iniziale dei linfociti T e per tante altre funzioni).

Usati per prevenire il rigetto dei trapianti in acuto. Associati ad immunosoppressori, quali

ciclosporina, cortisosteroidi e mofetile di micofenolato. Non inducono sindrome da rilascio di

citochine.

Efalizumab: IgG1 umanizzata anti-LFA-1 (in particolare diretta nei confronti dell’antigene CD11a di

LFA-1. Previene l’interazione di LFA-1 dei linfociti T con ICAM-1 espressa dalle cellule APC,

dall’endotelio vascolare, dalle cellule del derma e dell’epidermide. Utilizzato pre prevenire il

rigetto dei trapianti di cuore e nella psoriasi. Nella psoriasi si somministra s.c. una vola alla

settimana per 12-24 settimane alla dose di 1 mg/kg.

Alefactept: Proteina di fusione. Primo farmaco biologico approvato per il trattamento della

psoriasi severa (ad esempio, artrite psoriasica). E’ una proteina di fusione interamente umana

composta da LFA-3 + Fc di IgG1. L’LFA-3 lega CD2 nelle cellule T effettrici della memoria

immunologica (cioè le cellule T della memoria periferiche). Si somministra per cia i.m. alla dose di

15 mg/settimana per 12 settimane.

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Artride reumatoide (RA)

I criteri attuali di classificazione (che risalgono agli anni 80) sono i seguenti (almeno 4):

1. Rigidità mattutina di almeno 1 ora, presente per almeno 6 settimane.

2. Almeno 3 articolazioni colpite con edema dei tessuti molli per almeno 6 settimane.

3. Almeno un’area edematosa nel polso, nell’articolazione metacarpofalangea, o

nell’articolazione interfalangea prossimale per almeno 6 settimane.

4. Coinvolgimento delle stesse aree articolari nei due lati del corpo (artrite simmetrica) per

almeno 6 settimane.

5. Noduli reumatoidi subcutanei all’osservazione clinica.

6. Positività per il fattore reumatoide.

7. Alterazioni radiologiche alle mani/polsi (erosioni e decalcificazioni ossee inequivocabili).

Tuttavia, almeno 2 dei criteri (presenza di noduli ed erosioni) non sono in genere presenti al

momento della diagnosi e dell’inizio del trattamento. Così si è in cerca di una nuova definizione

della patologia basata sulle recenti conoscenze sotto il profilo molecolare che possa essere

utilizzata per una diagnosi precoce e per le decisioni di natura terapeutica. L’EULAR (European

League Against Rheumatism) e l’ACR (American College of Rheumatology) stanno elaborando i

nuovi criteri classificativi.

Sono anche importanti le differenti fasi del decorso longitudinale della malattia: in individui

geneticamente suscettibili, specifici fattori ambientali possono attivare reazioni immunitarie

potenzialmente patogenetiche, inclusa la formazione di anticorpi. Anni dopo, eventi scatenanti

quali traumi o infezioni possono contribuire a dirigere la reazione immune verso le articolazioni

causando infiammazione articolare. Se l’infiammazione diviene cronica, il fenotipo può soddisfare i

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criteri per la diagnosi di artrite reumatoide, ed in questo caso l’infiammazione porta a distruzione

delle articolazioni e alle complicanze sistemiche con aumentata comorbilità. Le comorbilità sono

una diretta conseguenza della cronicizzazione della malattia e derivano da processi infiammatori

cumulativi. Il trattamento attivo porta a modificazioni marcate del decorso a lungo termine della

malattia. Infatti, manifestazioni extra-articolari quali amiloidosi, sirositi, scleriti ed episcleriti, ed i

noduli sottocutanei sono in diminuzione rispetto agli eventi cardiovascolari ai linfomi ed alle

conseguenze a breve termine della malattia, quali il dolore e la fatica.

La malattia include almeno due sottotipi con differenti cause e grado di severità. La suddivisione si

è classicamente basata sulla presenza o assenza del fattore reumatoide. Tuttavia, si tende oggi a

dare più importanza alla presenza o assenza di anticorpi contro l’antigene proteico citrullinato

(ACPA) denominati anche anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato (CCP). La determinazione di

anticorpi ACPA è più specifica per l’artrite reumaoide rispetto al fattore reumaoide e rappresenta

un test più utile per la diagnosi precoce della malattia. Dal punto di vista prognostico, invece, non

c’è grande differenza tra ACPA o fattore reumatoide (le caratteristiche cliniche hanno maggiore

importanza).

Eziopatogenesi

La RA è una malattia genetica complessa, nel senso che molti geni, fattori ambientali e fattori

stocastici (chance) contribuiscono alla patogenesi. La genetica influisce per il 50%. I fattori di

rischio sono importanti sin dalla via fetale (il peso alla nascita e l’MHC materno potrebbero

influenzare il rischio di sviluppare la RA in futuro).

L’attivazione dei linfociti T e B MHCII-dipendente rappresenta un fattore patogenetico

determinante della RA. Per esempio, gli alleli HLA DR che conferiscono suscettibilità nei confronti

della malattia hanno tutti un aminoacido in comune nella catena beta. Inoltre, varianti alleliche

HLA DRB1 rappresentano fattori di rischio nei confronti della variante ACPA-positiva di RA. Un

altro gene correlato alla variante ACPA-positiva è PTPN22, che codifica per una tirosin fosfatasi che

contribuisce ai meccanismi di traduzione del segnale nei linfociti T e nei linfociti B. L’insieme dei

dati su HLA DRB1 e PTPN22 suggeriscono che il coinvolgimento dell’immunità mediata dai linfociti

T e B è ristretto alla variante di RA caratterizzata dalla positività nei confronti di ACPA e fattore

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reumatoide. Altri fattori genetici di rischio (sempre ristretti alla variante ACPA-positiva) sono i geni

TRAF1 (locus C5), STAT4 e OLIG3-AIP3.

Il fattore di rischio ambientale meggiormente associato alla malattia è il fumo di sigaretta. Altri

potenziali fattori includono la polvere di silicio e gli oli minerali. E’ stata descritta una formaa

severa di RA (sindrome di Caplan) tra i lavoratori delle miniere di carbone. La terapia sostitutiva

in menopausa si è dimostrata protettiva in molti studi (ma non in tutti), ed un moderato consumo

di alcool sembra diminuire il rischio di RA e riduce la severità dell’artrite sperimentale nei roditori.

Il fumo di sigaretta costituisce un fattore di rischio esclusivo per la variante di RA positiva per ACPA

e fattore reumatoide, ed è stata dimostrata un’interazione tra gli alleli HLA DR associati alla

malattia ed il fumo di sigaretta in questa variante. Questi dati suffragano ulteriormente l’ipotesi

che le due varianti di RA (ACPA/FR positiva e negativa) sono distinte sotto il profilo genetico.

Come conciliare i fattori di rischio con la patogenesi della malattia?

Quando il polmone è esposto a fumo di sigaretta, polvere di silicio, carbone o infezioni, si attivano

i macrofagi ed alcune cellule vanno incontro a morte (apoptosi o necrosi). Questo processo

potrebbe stimolare la sintesi e l’attività di enzimi denominati peptidilarginina deiminasi, che

causano citrullinazione (cioè trasformazione di arginina in citrullina) in alcune proteine del

polmone. Alcune di queste proteine modificate interagirebbero con cellule APC (cellule

dendritiche, macrofagi) che presentano il sito di legame per l’epitopo. Ciò determinerenne la

risposta immunitaria nei confronti di peptidie citrullinati. Il fumo di sigaretta potrebbe

ulteriormente contribuire all’attivazione dei linfociti T e B attivando le cellule APC nel polmone e

promuovendo l’interazione tra cellule dendritiche e linfociti nella sinapsi immunologia. In molti

casi, gli anticorpi ACPA anti citrullina vengono prodotti prima dell’esordio clinico della malattia e

potrebbero contribuire alla distruzione delle articolazioni dopo formazione dei peptidi citrullinati in

sede articolare. Il complesso immune tra ACPA e peptidi citrullinati si legherebbe ai recettori Fc

sulla superficie dei macrofagi della sinovia, contribuendo alla cronicizzazione dell’inifiammazione

articolare. Altri anticorpi diretti nei confronti della porzione Fc delle immunoglobuline (ad esempio

il Fattore Reumatoide) potrebbero contribuire alla patogenesi del danno articolare. Naturalmente

è determinante capire quali antigeni citrullinati vengano riconosciuti dal sistema immunitario nel

polmone e nelle articolazioni, e quali fattori, in aggiunta al fumo di sigaretta, siano in grado di

attivare la risposta immunitaria nei confronti di antigeni citrullinati.

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Infiammazione delle articolazioni

Nonostante la reazione immunitaria sia considerata un primum movens della RA ACPA (o FR)-

positiva, una cascata di meccanismi molecolari comuni alle due varianti di RA (quindi anche alla

variante ACPA-negativa) è chiamata in causa nella patogenesi dell’infiammazione articolare. In

ultima analisi, tale attività infiammatoria si traduce nella distruzione delle articolazioni mediante

intervento dell’immunità innata e, soprattutto, per un’alterata regolazione delle citochine e di altri

mediatori dell’infiammazione. I principali attori sono il TNF-a, l’IL-6, l’IL-1, linfociti T e B (presenti

nella sinovia), e RANKL (attivatore recettoriale del ligande NFkB), quest’ultimo determinante per

l’attivazione degli osteoclasti che porta alla distruzione ossea.

Un possibile schema è il seguente: nella sinovia, le cellule che presentano l’antigene (ad esempio,

cellule dendritiche) comunicano con i linfociti T attraverso il complesso MHC-TCR, e l’attivazione

delle cellule T avviene solo in presenza di segnali co-stimolatori (CD28-CD80/86). Le cellule B

funzionano sia come cdellule che presentano l’antigene che come cellule che producono anticorpi.

I macrofagi attivati da segnali che originano dalle cellule T o dai complessi immuni producono TNF-

a, IL-1 e IL-6, che a loro volta aumentano l’espressione di molecole di adesione e l’ulteriore

produzione di citochine. Nella sinovia sono presenti cellule Th17, che originano dai linfociti T naive

in risposta all’IL-6/IL-23 e producono IL-17. L’IL-17 aumenta il rilascio di citochine, la produzione di

enzimi che erodono la cartilagine, e l’espressione di molecole che inducono il riassorbimento

osseo, quali RANKL.

Outcomes

La fatica, che un tempo si riteneva parte della cosiddetta “personalità RA” è in realtà una

condizione causata dall’azione diretta di IL-1 e IL-6 sui loro recettori localizzati sulle cellule

endoteliali cerebrali. Queste rispondono attraverso la produzione di prostaglandine, che a loro

volta segnalano all’interno del parenchima cerebrale. La fatica è dunque uno stato che dovrebbe

essere misurato come una componente dell’outcome del paziente e risponde in modo pronto e

precoce alla terapia moderna con antagonisti delle citochine.

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La distruzione dell’osso e delle cartilagini (erosione e assottigliamento dello spazio articolare

all’Rx) sono i maggiori effetti della RA, e la distruzione delle articolazioni rappresenta un evento

precoce della malattia. I meccanismi che sottendono i due fenomeni sono diversi, nonostante

siano riconducibili allo stesso evento patogenetico. Le citochine proinfirmmatorie, quali TNF-a, IL-

1 e IL-17, agiscono in modo sinergico nello stimolare la produzione di metalloproteinasi della

matrice (MMP) da parte di fibroblasti e macrofagi. Delle 19 MMP conosciute, almeno MMP1 e

MMP3 svolgono un ruolo importante nella patogenesi della RA in quanto capaci di degradare le

proteine strutturali della matrice extracellulare della cartilagine.

La RA causa erosioni locali e osteopenia iuxta-articolare e generale. Lo sviluppo delle erosioni

dipende da almeno tre differenti meccanismi: (i) gli osteoclasti sono attivati da precursori simili ai

macrofagi dopo stimolazione da parte di RANKL; (ii)le cellule T attivate agiscono direttamente sugli

osteoclasti; (iii) sinoviociti simili ai fibroblasti divengono attivi nel panno articolare. I bifosfonati

dimostrano efficacia nei confronti dell’osteopenia e delle erosioni nella RA.

Il TNF-a, l’IL-1 e probabilmente l’IL-6 possono stimolare l’espressione ed il rilascio di RANKL in

fibroblasti, cellule T ed osteoblasti. Sia RANKL legato alla membrana che RANKL solubile attivano

RANK sulla superficie dei precursori degli osteoclasti (che drivano da precursori mieloidi o da

macrofagi). Tale processo è antagonizzato dall’osteoprotegerina, una proteina solubile della

superfamiglia dei recettori per il TNF, che agisce da recettore “decoy” per RANKL (cioè si sostituisce

a RANK), inibendo così la produzione di osteoclasti. Normalmente esiste un equilibrio tra RANKL e

osteprotegerina necessario per il mantenimento della massa ossea. Se l’equilibrio è spostato in

favore di RANKL (per aumentata produzione di RANKL o per ridotta produzione di

osteoprotegerina), si ha distruzione dell’osso.

La distruzione della cartilagine (ed il conseguente assottigliamento dello spazio articolare) dipende

dall’attivazione di enzimi proteolitici da parte di citochine proinfiammatorie. Studi clinici

dimostrano che un inibitore di RANKL previene l’ersione ossea ma non la degenerazione della

cartilagine.

La mortalità associata a RA è largamente riconducibile ad episodi di ischemia miocardica

(maggiore incidenza di attacchi cardiaci e morte improvvisa di origine cardiaca). L’ischemia

miocardica non dipende da aterosclerosi o dal trattamento con corticosteroidi ma è una diretta

conseguenza dell’infiammazione associata a RA.

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Benchè non frequente, un aumentato rischio di linfoma è stato associato a RA (anche in questo

caso, l’aumentata incidenza di linfoma non dipende dalla terapia immunosoppressiva – ma vedi

oltre). Tale evidenza ha creato le premesse per dimostrare che una duratura stimolazione

policlonale delle cellule B può portare alla formazione di linfomi. Esistono delle nuove terapie

dirette nei confronti dei linfociti B che dimostrano efficacia sia vs. RA che vs. i linfomi associati a

RA.

Progressione della RA e trattamento

Lo sviluppo di metodi che valutano lo stato di malattia ed il danno articolare è stato fondamentale

per misurare l’efficacia dei farmaci antireumatici denominati DMARDS (disease-modifying anti-

rheumatic drugs) o modificatori dello stat di malattia. Gli effetti del trattamento possono essere

valutati in termini di miglioramento relativo o di miglioramento assoluto. La risposta ACR misura le

modificazioni relative; il “disease activity score” (DAS) è invece un indice assoluto dello stato di

malattia. Oggi lo stato “disease-free”, cioè la remissione, è diventato un obiettivo perseguibile per

un certo numero di pazienti. E’ importante definire esattamente il concetto di remissione. Uno dei

criteri è il “DAS28 remission” che però ha i suoi limiti perché non tiene conto di una possibile

infiammazione subclinica residua che può continuare a danneggiare le articolazioni. Lo stato

funzionale è tradizionalmente misurato mediante HAQ (health assessment questionnaire) per

l’artite, dove un indice tra 1 e 3 indica sia l’attività della malattia che il danno. Naturalmente la

diagnosi con NMR, ultrasonografia e Rx è essenziale.

STRATEGIE DI TRATTAMENTO

I dati di numerosi studi clinici negli ultimi 10 anni dimostramo inequivocabilmente che un

trattamento precoce ed aggressivo con DMARDs (modificatori dello stato di malattia), quali

metotrexate, sulfasalazina, idrossiclorochina, leflunomide, e corticosteroidi è particolarmente

efficace per il controllo dell’infiammazione e la prevenzione dell’erosione ossea. I corticosteroidi

possono essere considerati sia farmaci sintomatici (inieme ai FANS) che modificatori dello stato

di malattia a seconda dei punti di vista. Il tempismo ed il controllo dell’efficacia è fondamentale.

Uno studio dimostra il valore potenziale di un inizio precoce del trattamento, addirittura prima che

un’artrite non-specifica venga diagnosticata come RA.

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La prima innovazione nello sviluppo di farmaci attivi nei confronti di aspetti specifici dell’immunità

innata derivava da studi di base sul TNF e sul ruolo di questa citochina nel danno articolare. I

farmaci anti-TNF approvati nel trattamento della RA sono l’infliximab (anticorpo monoclonale

chimerico anti-TNF), l’adalimumab (anticorpo monoclonale umanizzato anti-TNF), e l’etanercept

(recettore solubile del TNF sotto forma di una proteina di fusione). Questi farmaci neutralizzano

l’azione del TNF circolante e del TNF della sinovia. Da successivi studi emergeva che questi farmaci

biologici erano più efficaci quando combinati col metotrexate. Questa procedura si rivelava in

grado non solo di ridurre l’infiammazione ma anche di eradicare del tutto la distruzione delle

articolazioni anche in presenza di attività infiammatoria residua. Il metotrexate è un potente

inibitore della diidrofolatoreduttasi (il tetraidrofolato è un donatore di residui monocarboniosi

essenziale per la sintesi delle basi pirimidiniche e puriniche).

Il successo dei farmaci biologici anti-TNF ha stimolato la ricerca di altri farmaci biologici diretti nei

confronti di molecole coinvolte nella patogenesi della RA. La prima di queste molecole è stata

l’anankira, una versione ricombinante dell’antagonista del recettore umano per l’IL-1. Questo

farmaco inibisce il legame dell’IL-1 al suo recettore di membrana. Tuttavia, l’anankira non ha mai

mostrato l’efficacia dei biologici anti-TNF.

Il tocilizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto nei confronti dei recettori per l’IL-6.

Il farmaco è oggi approvato in Giappone ma non in altre parti del mondo. Sembra efficace nei

confronti dell’infiammazione e dell’erosione ossea.

Più di recente, sono stati approvati farmaci diretti nei confronti dei linfociti B e T. L’Abatacept è

una proteina di fusione che consiste del dominio extracellulare di CTLA4 ed un frammento della

porzione Fc dell’IgG che inibisce segnali di co-stimolazione essenziali per l’attivazione dei linfociti

T.

Il Rituximab è un anticorpo monoclonale che si lega al CD20 sulla superficie delle cellule pre-B e

delle cellule B mature e depleta i linfociti B dalla circolazione.

Anticipazione della lezione sui farmaci biologici: Tutti i monoclonali finiscono in “mab”. L’infisso

“xi” prima di mab indica che l’anticorpo è chimerico (cioè la porzione Fc è umana ed il resto è

murino) (es. infliximab); l’infisso “zu” prima di mab indica che l’anticorpo è umanizzato (porzione

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Fc umana e parte della regione variabli umana) (ed. tocilizumab); la lettera “u” prima di mab

indica che l’anticorpo è interamente umano (es. adalimumab). L’infisso ancora precedente indica

il target: “tu” indica che l’anticorpo è diretto contro tumori (es. rituximab); li(m) indica che

l’anticorpo è diretto nei confronti del sistema immunitario (es. adalimumab); “ci” nei confronti

dell’apparato cardiovascolare (es. abciximab – anti rec. fibrinogeno); “neu” nei confronti del

sistema nervoso (es. bapineuzumab – anticorpo anti peptide beta-amiloide nell’Alzheimer), etc.

Sinora i dati ottenuti con DMARDs o con farmaci biologici hanno dimostrato risposte variabili in

pazienti con RA. Le ragioni della variabilità di risposta non sono note. Sono state chiamate in causa

variazioni interindividuali dell’espressione di citochine, e studi preliminari indicano che individui

con elevati livelli di TNF nelle articolazioni sono più responsivi a farmaci anti-TNF mentre pazienti

che hanno molti linfociti B nella sinovia rispondono meglio al rituximab.

L’obiettivo primario della terapia è quello di intervenire in modo precoce e specifico. Attualmente,

la strategia farmacologia più utilizzata è cominciare il trattamento precoce dell’artrite con

metotrexate combinato in alcuni casi con basse dosi di corticosteroidi, se tollerate. Altri farmaci

complementari possono essere aggiunti se gli obiettivi terapeutici non sono raggiunti nell’arco di

2-3 mesi. L’aggiunta di farmaci biologici anti-TNF è altamente efficace nel ridurre l’attività della

RA e la degenerazione articolare in pazienti con insufficiente risposta al trattamento iniziale con

farmaci non-biologici. Per coloro che non realizzano gli obiettivi terapeutici dopo il primo ciclo con

farmaci anti-TNF si suggerisce l’impiego alternativo di abatacept (CTLA4Ig) o rituximab (anti-

CD20). Studi osservazionali suggeriscono che anche la sostituzione di un farmaco anti-TNF con

un altro farmaco anti-TNF può essere efficace.

Quest’approccio terapeutico è tuttavia messo in discussione da dati recenti che dimostran invece

l’utilità di iniziare il trattamento nel modo più aggressivo possibile, riducendo successivamente il

carico farmacologico a seconda dei risultati ottenuti. Si può ad esempio cominciare con alte dosi

di corticosteroidi o con combinazioni di DMARDs. Inltre, un trattamento iniziale con farmaci

biologici anti-TNF combinati con metotrexate può permettere una successiva riduzine dei farmaci

anti-TNF in pazienti che raggiungono uno stato “disease-free”. La scelta del regime terapeutico in

relazione alle caratteristiche individuali dei pazienti con RA può essere facilitata dalla realizzazione

di registri gestiti dagli organismi regolatori (ad esempio, dall’AIFA in Italia). I registri sono anche

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utili per il monitoraggio degli effetti avversi che, ad esempio, complicano l’impiego dei farmaci

biologici. La metanalisi degli studi clinici ed i registri hanno permesso di stabilire che il trattamento

con farmaci anti-TNF si associa ad un aumentato rischio di specifiche infezioni, in particolare

TBC. Questi problemi di natura infettiva possono essere gestiti nel modo migliore se previsti sulla

base dei registri. Un altro problema è rappresentato da un aumentato rischio di tumori ed in

particolare di linfomi. Nel caso dei linfomi, tuttavia, il rischio sembra dipendere dall’attività della

malattia piuttosto che dall’uso dei farmaci anti-TNF (vedi sopra). Nel caso dei tumori solidi i dati

sono contraddittori. I dati dei registri non dimostrano alcuna associazione con i farmaci anti-TNF,

mentre la metanalisi degli studi clinici randomizzati suggerisce un aumento di tumori solidi a tempi

brevi dopo l’inizio del trattamento con farmaci anti-TNF. L’algoritmo presente nella figura che

trovate nel ppt tiene conto della valutazione mediante DAS28 e HAQ ed illustra le possibili scelte

terapeutiche in base alla risposta ai vari regimi farmacologici.

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TERAPIA DELLA MALARIA La malaria è l’infezione causata da protozoi che causa più morti all’anno: 2-9,5 milioni/anno.

L’agente responsabile è il PLASMODIO, 4 specie:

1. falciparum; 2. vivax; 3. ovale; 4. malariae.

Il vettore è la zanzara ANOPHELE.

L’anopheles inocula nel sangue gli sporozoiti (forma che risiede nelle ghiandole salivari della zanzara), questi raggiungono il fegato, dando luogo alla I FASE DI INVASIONE TISSUTALE; nel fegato gli sporozoiti vanno incontro a divisioni nucleari senza divisione cellulare, per un periodo che va da 5 a 15 giorni a seconda del tipo di plasmodio. Gli sporozoiti multinucleati si rompono e liberano nel sangue i merozoiti (INIZIO DELL’INFEZIONE SISTEMICA); i merozoiti entrano negli eritrociti e metabolizzano l’eme; nell’eritrocita si riforma lo sporozoita attraverso un processo di proliferazione e riproduzione asessuata. Lo sporozoita va di nuovo incontro a divisioni nucleari senza divisione cellulare, si rompe di nuovo e riversa i merozoiti nel sangue. Questo ciclo dura da 48 a 72 ore a seconda del tipo di plasmodio. L’ondata di merozoiti nel sangue causa febbre, che chiameremo terzana se il ciclo dura 48h (febbre al 1°-3°-6° giorno) o quartana se dura 72h (febbre al 1°-4°-8° giorno).

All’interno dell’eritrocita può anche avvenire un differenziamento sessuale: i gameti si riversano nel sangue come i merozoiti; l’anophele che punge il soggetto infetto preleva i gameti che nell’intestino della zanzara compiono il ciclo di riproduzione sessuata: oociste -> zigote -> sporozoita (nelle ghiandole salivari).

CLASSI DI FARMACI:

1. farmaci che agiscono sulla forma epatica primaria (FASE TISSUTALE che precede l’infezione sistemica) azione profilattica sulle forme precoci di infezione (non parliamo della profilassi che fa ad esempio il viaggiatore, quella è un’altra cosa: -> PROGUANILE (unico farmaco).

2. farmaci che agiscono sulle forme epatiche latenti (recidivanti); solo nell’infezione da vivax e ovale parte degli sporozoiti non lascia il fegato (con il rilascio dei merozoiti nel sangue) ma rimane in forma latente con possibilità si ricadute (anche per anni dopo l’infezione):

PRIMACHINA:

- si utilizza aggiunge alla profilassi quando il soggetto deve andare in una zona endemica per queste forme recidivanti (vivax/ovale);

- si utilizza per eradicare e terminare l’avvenuta infezione a carattere recidivante.

3. farmaci schizontocidi (gli schizonti sono le forme proliferanti che quando si rompono danno origine ai merozoiti). Ne esistono 2 gruppi.

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I GRUPPO (potenti, rapido effetto chimico):

- alcaloidi della cincona e derivati (CHININO, CHINIDINA, CLOROCHINA, MEFOCHINA); sono estratti della corteccia della pianta.

- ATOVAQUONE (famiglia delle artemisinine).

II GRUPPO (meno potenti, con latenza d’azione)

· antifolati; · antibiotici (sulfonammidi -> sulfadossina, tetracicline -> doxiciclina)

4. farmaci attivi sui gameti (limitano la diffusione della malattia): alcaloidi della cincona.

QUALI FARMACI USIAMO IN PROFILASSI E IN CLINICA, A SECONDA DEL TIPO DI PLASMODIO:

P.falciparum – MALARIA TERZANA MALIGNA:

Malattia aggressiva e pericolosa; colonizzazione da parte dei merozoiti di tutti gli stadi differenziativi degli eritrociti (reticolociti -> emazie mature) che vengono trattenuti nel microcircolo. Clinicamente abbiamo ipotensione, ipoglicemia, fino a shock cardiovascolare e morte; si deve intervenire tempestivamente, se la terapia viene iniziata troppo tardi, anche se riusciamo a eradicare l’infezione il paziente può morire lo stesso.

P.vivax – TERZANA BENIGNA CON POSSIBILITA DI RECIDIVA:

Gli eritrociti non vengono sequestrati nel microcircolo.

P.ovale – TERZANA BENIGNA PIU RARA, CON POSSIBILITA DI RECIDIVA:

Ancora più facile da curare.

P.malariae – QUARTANA BENIGNA:

Sintomi non gravi, ma gli attacchi si possono manifestare anche dopo anni dal momento dell’infezione.

ARTEMISININE

Schizontocidi, struttura molecolare del sesquiterpene: ciclo a 7 atomi con ponte di ossigeno e endo-perossido. L’endoperossido è responsabile dell’attività, il metile aumenta la potenza.

Aumenta la potenza

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DIIDROARTEMISININA: molto liofila -> x os.

ARTEMISININA: lipofila -> x os (o -> supposte rettali se il paziente ha vomito).

ARTEMETERE: -> i.m..

ARTESUNATO (sale emisuccinato): -> x os; -> rettale; -> i.m.; -> x ev

Si utilizzano solo nell’infezione da P.falciparum, che è molto difficile da eradicare anche perché spesso resistente (resistenza agli alcaloidi della vinca, soprattutto clorochina).

Sono attivi su:

· falciparum clorochina sensibile; · falciparum clorochina resistente; · falciparum MDR (multi-drug-resistant);

MECCANISMO D’AZIONE:

Attività determinata dall’endoperossido. Penetrano nel plasmodio; visto che il plasmodio nell’eritrocita metabolizza Fe ed eme, il ferro eminico rompe l’endoperossido della molecola; la rottura causata dall’eme attiva la molecola che interagisce con le proteine del plasmodio causando danno e morte del merozoita. Agiscono dunque sulla forma eritrocitaria e si utilizza per evitare l’insorgenza di resistenze.

Tutti i farmaci una volta somministrati vengono metabolizzati a DIIDROARTEMISININA, che è da 10 a 100 volte più potente di tutti i farmaci che si utilizzano contro il falciparum.

La terapia dura 5-7gg, è la più rapida ed efficace, ed è anche molto sicura. Spesso si utilizzano in associazione con gli alcaloidi della cincona: soprattutto la MEFLOCHINA (composto di sintesi).

Protocollo classico:

· ARTESUNATO (4mg pro kg al giorno I; 2mg pro kg dal giorno II al V); · MEFLOCHINA (25mg por kg al giorno II, 36-48h dopo la prima dose di artesunato, una sola

somministrazione).

Seguendo questo schema, prolungato al massimo fino a 7gg, la terapia è sicura. Altrimenti possono insorgere effetti collaterali.

EFFETTI COLLATERALI

Se si superano i 7 gg.

· blocco cardiaco di I grado reversibile;

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· diminuzione del n° di reticolociti e neutrofili.

Se si eccede con le dosi:

· tossicità per il SNC; · tossicità per il cuore; · tossicità per il feto (si può somministrare in gravidanza purché si rispetti lo schema).

L’ARTEMISININA induce il CYP 2C19 (diltiazem, propranololo, warfarin, antidepressivi quali imipramina e citaloprem); non si conosce il significato clinico di queste interazioni.

ATOVAQUONE

Analogo dell’ubiquinone, interferisce con la catena respiratoria mitocondriale, bloccando il citocromo BC1 che è il complesso primario della catena di trasporto degli elettroni. Altera quindi il potenziale di membrana del plasmodio.

Non è molto potente se somministrato da solo, si somministra associato al PROGUANILE: si trovano associati in commercio col nome MALARONE ®.

Quando diamo il MALARONE?

Nella terapia del falciparum e vivax clorochina resistenti, 1v/die per 3 gg.

Si usano per evitare l’insorgenza di resistenze.

EFFETTI COLLATERALI

ATOVAQUONE:

· nel 20% dei pazienti atopici: reazioni maculopapulose: non dare; · nausea vomito diarrea; · cefalea.

Il PROGUANILE è uno degli antimalarici meno tossici (solo disturbi tratto GI).

ALCALOIDI DELLA CINCONA

· CHININO; · CHINIDINA (isomero destrogiro del chinino, più potente e più tossico);

Composti di sintesi:

· MEFLOCHINA; · CLOROCHINA.

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CLOROCHINA

In commercio come tale o come diidroclorochina.

Si utilizza sia in profilassi che in terapia (anche se ora molti ceppi di falciparum e vivax sono resistenti).

PROFILASSI:

1 volta a settimana (250mg) iniziando 1 settimana prima della partenza; 1 volta a settimana per tutta la durata del soggiorno nella zona endemica continuando per 4 settimane dopo il ritorno.

Se la zona è endemica per vivax e ovale si associa la PRIMACHINA x evitare recidive.

TERAPIA:

dosi più elevate.

È dotata anche di attività antinfiammatoria (a dosi più alte), e si usa nell’artrite reumatoide con manifestazioni lievi, nel lupus e nelle porfirie.

MECCANISMO D’AZIONE:

Il plasmodio metabolizza l’hb liberando Fe e eme; l’eme è reattivo, potenzialmente tossico per il plasmodio che lo ha metabolizzato. Per evitare questa tossicità il plasmodio forma dei polimeri di eme: emozoita è la forma polimerizzata non tossica.

La clorochina interferisce con la polimerizzazione dell’eme che da il via a reazioni ossidative che danneggiano il plasmodio; la clorochina è una base debole che penetra nei vacuoli acidi del plasmodio, alza il pH ed è proprio il pH basico che impedisce la polimerizzazione.

RESISTENZA:

Mediata dall’espressione della glicoproteina P? Il gene MDR del plasmodio codifica per le glicoproteine P, ma non sono queste che mediano la resistenza.

La proteina CG2 è una proteina con meccanismo analogo a quello della glicoproteina P (espulsione del farmaco all’esterno del plasmodio) ed è la responsabile della resistenza.

VIE DI SOMMINISTRAZIONE E DOSI:

È molto versatile: x os, i.m., x ev, rettale.

Ampio volume di distribuzione (100L/kg); immagazzinata in fegato, polmoni, reni.

In terapia è necessario dare una dose di carico alta, perché deve raggiungere una [ ] ematica adeguata (non ci serve nei tessuti ma nel sangue!):

1° dose 16mg/kg;

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poi a 6-12-24-36h 8mg/kg;

la febbre deve scendere subito e dobbiamo avere entro le 48h lo striscio di sangue negativo, altrimenti è un ceppo resistente, quindi dobbiamo interrompere la clorochina e cambiare strategia.

INTERAZIONI:

· non può essere dato a pazienti con miastenia gravis o epilessia: interferisce con la trasmissione a livello della placca neuromuscolare e interferisce con gli antiepilettici;

· non può essere data insieme alla meflochina perché abbassa la soglia epilettica; · non può essere dato insieme ad amiodarone: insorgenza di aritmie; · non può essere dato insieme a digossina e ciclosporina: ne aumenta gli effetti tossici

perché ritarda il loro metabolismo

EFFETTI COLLATERALI:

Se si presta attenzione alle dosi gli effetti collaterali sono solo GI: nausea, vomito, diarrea, cefalea.

Ad alte dosi (raro): tossicità per il SNC -> convulsioni.

MEFLOCHINA

Si usa in profilassi e terapia del falciparum e vivax resistenti alla clorochina. È molto attiva.

Il protocollo della profilassi è lo stesso della clorochina, ma la meflochina è molto più tossica: in circa il 50% dei pazienti avremo:

· disturbi gastrointestinali (nausea vomito, cefalea, diarrea); · disturbi neurologici (della vista e dell’udito); · disturbi psichiatrici (!).

Comunque è l’unico farmaco efficace nella profilassi del falciparum clorochina resistente (offre una copertura del 90%). Se gli effetti collaterali risultano intollerabili si può fare PROGUANILE+CLOROCHINA ma è molto meno efficace (la copertura è minore, gli effetti collaterali interessano in tratto gastrointestinale, si sceglie nei bambini perché non tollerano gli effetti collaterali della meflochina).

CHININO/CHINIDINA

Meno potente della meflochina nella profilassi del falciparum clorochina resistente. Molto efficace nell’attacco acuto da falciparum.

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CHINIDINA

x ev (più potente, più tossica) in infusione continua finchè il paziente non può passare a:

CHININO

X os.

EFFETTI COLLATERALI:

“Cinconismo”:

ototossicita: tinnito, perdita dell’udito per le alte frequenze;

tossicità oculare: diminuzione della vista;

GI: nausea, vomito, diarrea, cefalea;

GRAVI: febbre, ipotensione, ipoglicemia.

PROGUANILE/PIRIMETAMINA

Sono antifolati.

PROGUANILE

Lo troviamo nel MALARONE® o da solo (nella profilassi del falciparum clorochina resistente, a bassa copertura).

Inibisce la diidrofolato redattasi, quindi la formazione di tetraidrofolati necessari per la sintesi del DNA (blocca la replicazione).

Ha una latenza d’azione, quindi non si utilizza mai da solo (con l’ATOVAQUONE potenzia il collasso del potenziale di membrana).

Da pochi effetti collaterali (tratto GI)

PIRIMETAMINA

Non si dà da sola ma in associazione alla sulfadossina (FANSIDAR®) che ne potenzia l’effetto: inibisce la sintesi del PABA da parte della diidropteroato sintasi.

Sintesi dei folati:

PABA FOLATO DIIDROPTEROATO

Diidropteroato sintasi diidrofolato reduttasi

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Non dare a pazienti con deficit di G6Pdeidrogenasi (Sardegna, Grecia, Iran, Africa): può scatenare anemia emolitica.

Non è molto usato perché ci sono molte resistenze (II scelta).

EFFETTI COLLATERALI

· anemia megaloblastica: per deficit di folati (si somministra LEUCOVORINA SODICA, che è acido folinico – lo stesso che si da col metotrexato);

· 1:5000 – 1:8000 affezioni cutanee gravi:

Sd. Steven Johnson / orticaria / epidermolisi / dermatite esfoliativa.

PRIMACHINA

Si usa per evitare le ricadute di vivax e ovale.

Profilassi (se la zona è endemica per vivax / ovale) e terapia.

Il vivax non si coltiva in laboratorio, per cui si sa poco sul meccanismo d’azione della primachina. Forse agisce attraverso reazioni di ossidazione.

TETRACICLINE

Inibiscono la sintesi proteica, si usano per potenziare l’effetto eradicante della clorochina.