Immigrati . . . Imprenditori . . . Sicurezza . . . Il ... · Il governo della Paura ... del lavoro...

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Periodico di approfondimento, aggiornamento e confronto tematico della ANNO 4 - N.30 LUGLIO-AGOSTO 2008 ...continua a pagina 2 Sommario IMMIGRATI . . . IMPRENDITORI . . . SICUREZZA . . . IL GOVERNO DELLA P AURA 1 IMMIGRAZIONE E SICUREZZA 2 OMBRE E PROBLEMATICITÀ DELLA NUOVA RIFORMA 4 BOCCIATA L’UNIONE EUROPEA, ANCORA UNA VOLTA6 LO SCIOPERO E IL BRAND 3 – LA NOTIZIA 7 UN PRESIDENTE PER LA UILT UCS LOMBARDIA 9 SCIOPERO RINASCENTE: VINTA LA SCOMMESSA DI UN APPUNTAMENTO IMPORTANTE! 10 CONTRIBUTI DAI LETTORI 11 GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA COOPERAZIONE 12 T URISMO RESPONSABILE 15 REDAZIONALE 16 Immigrati . . . Imprenditori . . . Sicurezza . . . Il governo della Paura Nella tragica catena dei morti sul lavoro, emerge la figura dell’imprenditore immigrato che, facilitato dalla lingua e dalla conoscenza della realtà italiana in cui opera, riesce con più facilità a sfruttare i propri connazionali, per vantaggio personale e dei “colleghi” imprenditori italiani. Nel diabolico meccanismo “appalto-subappalto-lavoro-nero-irregolare” è facile comprendere come operano le imprese socialmente irresponsabili. Si affidano legalmente appalti ad imprese che subappaltano i lavori ad altre imprese, che non rispettano la legge e i con- tratti, realizzando nei confronti dei lavoratori un illegittimo profitto. Se è vero che non può esistere un appaltatore senza un appaltante che gli affida il lavoro da eseguire, risulta evidente che, soltanto responsabilizzando entrambi e l’eventuale ente/ concessionario pubblico, sia dal punto di vista civile e penale, sia contrattualmente, si può contrastare più efficacemente l’illegalità, il lavoro nero, gli infortuni e le morti sul lavoro. La tragedia di Settimo Milanese, dove due giovani egiziani sono morti da schiavi per mano di un loro connazionale che, con la sua impresa, lavorava per conto di un’altra impresa italiana di dimensioni più grandi, dimostra che, nella filiera del lavoro il contrasto principale non è tra italiani e immigrati, ma tra loro e le imprese irresponsabili oggettivamente alleate

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Periodico di approfondimento,

aggiornamento e confronto tematico della

Anno 4 - n.30LugLio-Agosto 2008

...continua a pagina 2

Sommario

immigrAti . . . imprenditori . . . sicurezzA . . . iL governo deLLA pAurA 1immigrAzione e sicurezzA 2ombre e probLemAticità deLLA nuovA riformA 4bocciAtA L’unione europeA, AncorA unA voLtA… 6Lo sciopero e iL brAnd 3 – LA notiziA 7un presidente per LA uiLtucs LombArdiA 9sciopero rinAscente: vintA LA scommessA di un AppuntAmento importAnte! 10contributi dAi Lettori 11giornAtA internAzionALe deLLA cooperAzione 12turismo responsAbiLe 15redAzionALe 16

Immigrati . . . Imprenditori . . . Sicurezza . . . Il governo della Paura

Nella tragica catena dei morti sul lavoro, emerge la figura dell’imprenditore immigrato che, facilitato dalla lingua e dalla conoscenza della realtà italiana in cui opera, riesce con più facilità a sfruttare i propri connazionali, per vantaggio personale e dei “colleghi” imprenditori italiani.

Nel diabolico meccanismo “appalto-subappalto-lavoro-nero-irregolare” è facile comprendere come operano le imprese socialmente irresponsabili.

Si affidano legalmente appalti ad imprese che subappaltano i lavori ad altre imprese, che non rispettano la legge e i con-tratti, realizzando nei confronti dei lavoratori un illegittimo profitto.

Se è vero che non può esistere un appaltatore senza un appaltante che gli affida il lavoro da eseguire, risulta evidente che, soltanto responsabilizzando entrambi e l’eventuale ente/concessionario pubblico, sia dal punto di vista civile e penale, sia contrattualmente, si può contrastare più efficacemente l’illegalità, il lavoro nero, gli infortuni e le morti sul lavoro.

La tragedia di Settimo Milanese, dove due giovani egiziani sono morti da schiavi per mano di un loro connazionale che, con la sua impresa, lavorava per conto di un’altra impresa italiana di dimensioni più grandi, dimostra che, nella filiera del lavoro il contrasto principale non è tra italiani e immigrati, ma tra loro e le imprese irresponsabili oggettivamente alleate

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Area Sindacale N.30 - Luglio-Agosto 2008

rischi di xenofobiA

Immigrazione e sicurezzaViene semplicemente da sostenere che tutto il mondo è

paese considerando gli ultimi avvenimenti del Sud Africa dove è ripartita la caccia allo straniero…

I problemi di un’economia che non cresce, il degrado delle città, sono sempre addossati allo straniero cioè all’immi-grato… l’Italia non fa eccezione. Allora che fare? Buttiamoli tutti fuori?

L’ultima campagna elettorale, vinta esasperando il tema della sicurezza e ponendo fortemente l’accento sull’’immigra-zione portatrice di criminalità, ha creato un clima d’intolleranza nel paese.

Il tema della sicurezza ha assunto una centralità nella di-scussione politica e influenza sempre di più le scelte dell’ammi-

nello sfruttamento dei lavoratori, meglio ancora se immigrati e clandestini (ricattabili).

Questa ennesima tragedia sul lavoro, dimostra ancora una volta che della vera sicurezza poco importa ai politici che hanno bisogno di generare paura per giustificare misure e leggi squallide sul piano umano, civile, culturale, del diritto.

L’Italia dei paradossi e dell’irrisolto conflitto d’interessi, che impedisce d’informare correttamente i cittadini, con tutto quello che ne consegue, è di nuovo alle prese con un governo intollerante con i disperati, generoso e ipergarantista con se stesso e i suoi amici particolari.

Un governo che, per giustificare misure straordinarie come l’utilizzo dell’esercito e il blocco politico dei processi (se non sono queste prove di regime)… tra cui quello per corruzione riguardante lo stesso presidente del consiglio, alimenta l’allarme sociale che dichiara di voler contrastare.

Povera Costituzione e povera Patria del diritto.

Detto questo non bisogna commettere l’errore di con-dannare in blocco qualsiasi proposta/decisione del governo (allargato alle regioni e ai territori che politicamente controlla) in materia di sicurezza e altro.

Il problema della sicurezza esiste e per noi costituisce materia rivendicativa, se per sicurezza s’intende, come noi in-tendiamo, la condizione complessiva dei cittadini, nel lavoro, nei quartieri, a casa propria e nel sociale.

Il governo Berlusconi fa leva sulla paura gonfiata ad arte per limitare diritti individuali, libertà d’informazione, autonomia della magistratura e delle istituzioni prevista dalla Costituzione Italiana.

Nessuno può sostenere ragionevolmente che in Italia c’è una dittatura.

Ma nessun osservatore indipendente può obiettivamente negare che dopo l’indecoroso spettacolo internazionale del quinquennio 2001-2006, sia ricominciato nel nostro paese il tentativo di piegare le istituzioni ad interessi di parte e talvolta

personali.

Una ventata di conformismo ha colpito l’Italia e in parti-colare alcune regioni i cui cittadini, in maggioranza, sembrano gradire i peggiori governanti.

Con tutti i limiti, i ritardi e i difetti che si possono ricono-scere alle confederazioni sindacali, esse rappresentano ancora un punto di riferimento sicuro per i lavoratori, i pensionati, i cittadini.

Speriamo che i gruppi dirigenti, a tutti i livelli, noi com-presi, siano all’altezza del compito e sappiano resistere alle pressioni “sistematiche” della destra italiana, convinta di poter fare quello che vuole, quando vince le elezioni.

Coraggio compagne e compagni.

Chi ci ha regalato la democrazia e restituito la libertà nel 1945 dalla quale è nata la Repubblica merita il nostro impe-gno e la nostra lealtà affinché nessuno cancelli i valori della Costituzione sui quali si regge.

Valori che si materializzano nel diritto al lavoro e alla sua umanizzazione, a una retribuzione dignitosa e a uno stato so-ciale costituito da servizi alla persona, alla famiglia, all’infanzia e agli anziani, da una scuola pubblica degna di questo nome, dalla sicurezza come bene primario da garantire a tutti.

Riscoprire la dignità delle proprie idee, della propria storia e del proprio essere progressisti in senso lato, nel lavoro e nel sociale, al di là di come ciascuno/a di noi vota, è più impor-tante che mai.

La UILTuCS si ritrova in pieno in questa necessità, nel contesto di un sentimento unitario che per raccogliere le forze e orientarle nella direzione giusta ha bisogno di superare il particolarismo esasperato e le identità negative che mirano ad inventare nemici e capri espiatori per sviare l’attenzione dai problemi reali.

Giovanni Gazzo

nistrazione pubblica, degli enti locali e del governo, portando a volte a delle prese di posizione assai discutibili.

Anche i media hanno contributo a determinare un vero e proprio allarme sociale, partendo da singoli episodi, descrivono le città invivibili e insicure per i problemi legati all’immigra-zione.

Una prospettiva non rosea per rom e immigrati che sono e saranno sempre più gli obiettivi ed i bersagli di questa cam-pagna denigratoria quasi voluta.

Influenzando l’opinione pubblica, creando paure e appren-sioni nei confronti di una parte di cittadini italiani, che, pur non provando una naturale repulsione, subiscono il progressivo deterioramento del tessuto sociale e culturale.

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Se si associa in modo dubbio i comportamenti illegali alle categorie più deboli e ai soggetti che vivono in condizione di disagio abitativo e sociale si crea un clima d’insicurezza e di paura che è sempre ricondotto alla presenza degli emarginati, dei poveri e degli immigrati.

Da anni associazione del terzo settore partecipano con impegno e competenza all’individuazione e sperimentazione dei percorsi d’inclusione sociale per superare in modo positivo le tante situazioni di disagio nelle città, collaborando con le amministrazioni pubbliche e mettendo a disposizione il proprio radicamento nel territorio e il lavoro di tanti operatori.

E’ necessario un intervento che metta al centro le persone con i loro percorsi, senza rinunciare a dare riposte concrete, seppur difficili e complesse, alle paure e ai quesiti posti da tanti cittadini, anziché limitarsi a fare semplici dichiarazioni.

Il clima dell’insicurezza va affrontato alla radice, miglio-rando la condizione sociale, il lavoro, la stabilità e, soprat-tutto l’adeguamento dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni.

La repressione dei comportamenti criminosi, giocata solamente sui temi della sicurezza, che fa filtrare tra le righe sentimenti razzisti o discriminatori non può e non deve tradursi in persecuzione e la lotta all’immigrazione clandestina non deve trasformarsi in una guerra tra poveri.

“CI PRENDIAMO CURA DI TE”

Iniziativa della Provincia di Milano a sostegno delle famiglie, per la regolarizzazione del lavoro di cura.D.C. Cultura e Affari Sociali - V.le Piceno 60 - Milano

Obiettivi dell’iniziativa:Favorire e potenziare la regolarizzazione del lavoro di cura, sostenendo le famiglie che, attraverso la

collaborazione di assistenti familiari, mantengono un proprio congiunto (anziano e/o disabile) al domicilio.

Sostenere le famiglie, il cui reddito non superi i 40.000 euro valore ISEE, che non beneficiano di altre forme di sostegno economico (buoni, voucher, assegni di cura ecc...) già previsti a favore della

domiciliarità, erogati da altri Enti Pubblici.

A chi è rivolto:A famiglie e singoli cittadini (anziani e/o disabili) residenti nel territorio di Milano e Provincia.

In che cosa consiste:La Provincia di Milano riconosce direttamente alle famiglie, che regolarizzeranno nell’anno 2008

l’assistente familiare del proprio congiunto, un contributo pari a € 0,50/h per il monte ore regolarizzato.Il contributo avrà la durata di un anno e verrà concesso per il monte ore effettivamente regolarizzato, e per

un minimo di 25/h settimanali.Per ottenerlo, le famiglie dovranno documentare di aver provveduto al versamento dei contributi previdenziali in favore dell’assistente familiare (tramite l’esibizione di copia dei bollettini c.c.p.).

Accanto ad una giusta attività di repressione, che deve svol-gersi nel rispetto della legge con le giuste garanzie, va fatta una mediazione sociale per la risoluzione dei conflitti che impedisca la crescita del razzismo e la frammentazione sociale.

Un’occasione mancata quella per la riforma della normativa sull’immigrazione (Bossi – Fini) della scorsa legislatura che, non ha consentito di uscire dalla logica dell’emergenza e della precarietà

Chi ha responsabilità di governare ha il dovere di non alimentare la violenza, usando un linguaggio misurato, ha la responsabilità di riportare la discussione su un tema così delicato, come l’immigrazione, su un terreno costruttivo e di confronto.

La campagna elettorale è finita.

E’ auspicabile coinvolgere le minoranze e gli stessi immigra-ti a trovare soluzioni per una migliore convivenza, nell’attesa di ottenere il tanto temuto diritto al voto amministrativo.

In Europa non si può accettare lo spostamento delle merci e dei capitali e, rifiutare quello delle persone.

Felicite Ngo Tonye

Per Ulteriori Informazioni:A.S.S.O Srl - Via Salvini, 4 - MilanoRomina Raciti [email protected]

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LA riformA deLLA strutturA deLLA contrAttAzione

Ombre e problematicità della nuova riformaIl documento unitario di Cgil, Cisl e Uil sulla riforma dei

contratti mi preoccupa parecchio!

Lor signori sicuramente non sanno che vuol dire lavorare in fabbrica o in un ipermercato, affrontare faticose turnazioni in nome della flessibilità buona e con bassi livelli di sicurezza. La precarietà picchia duro, nel lavoro e nella vita…é non è sfiga!

E’ il modo contemporaneo di sfruttare il lavoro e di legare la nostra vita al profitto delle imprese! Sono troppo giovane per etichettarmi da comunista, ma non per citare Marx: “L’operaio vende se stesso, e pezzo a pezzo. Egli mette all’asta 8, 10, 12 ore della sua vita, ogni giorno e al miglior offerente, al possessore delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei mezzi di sussistenza, cioè il capitalista. L’operaio non appartiene né a un proprietario, né alla terra, ma per 8, 10, 12, 15 ore della sua vita quotidiana appartiene a colui che le compra.”. Eppure noi ci siamo, lavoriamo, produciamo la ricchezza di questo Paese. E a che prezzo? In Italia ci sono 4 morti sul lavoro ogni giorno, 1.328 l’anno. In pratica ogni giorno c’è un’ecatombe di operai sul lavoro. Omicidi perpetrati in nome del capitalismo.

Come vogliono i padroni aumentare i nostri salari? La musica la conosciamo tutti, si ripete ossessivamente dai palazzi dei poteri forti a quelli della politica: in Italia c’è un basso livello di produttività e, di conseguenza, i salari non possono che essere bassi, tra i più poveri in Europa.

Per loro c’è un solo sistema per aumentare i salari, lavorare di più!

Per anni ci è stato detto che l’abolizione della scala mobile era una scelta inevitabile, sia per salvare il Paese sia per rilanciare la contrattazione. Poi ci è stato detto che legare la contrattazione all’inflazione programmata era una scelta inevitabile per salvare il Paese e potenziare la contrattazione di secondo livello. Ci è stato anche detto che una contrattazione decentrata, non più legata ai vecchi premi di produzione ma al salario di risultato era un modo per intascare quella quota di produttività che invece i cattivi padroni si sarebbero intascati totalmente senza dividerla con nessuno. Insomma ci è stato detto che con il nuovo modello contrattuale uscito dall’accordo del 23 luglio 1993 avremmo aumentato il nostro potere contrattuale sul salario.

Le cose in realtà non sono andate così. I salari diminuivano mentre rendite e profitti aumentavano. Non si può oggi parlare di emergenza salariale senza indicare nella svolta concertativa del 1993 la principale responsabile della caduta retributiva. Il vertice sindacale confederale, incapace ed indisponibile ad una coraggiosa verifica critica dell’esperienza precedente, prende semplicemente atto della emergenza salariale (come se non avesse alcuna responsabilità a riguardo) e cerca di scaricare quasi esclusivamente sulle politiche fiscali l’onere salvifico di tutelare i salari.

Ora nella nuova riforma della contrattazione si sostiene che il contratto nazionale dovrebbe tutelare il potere di acquisto,

assegnandogli solo il compito di recuperare l’inflazione. Di fatto un ridimensionamento della contrattazione nazionale.

L’obiettivo del documento sindacale non è l’aumento delle retribuzioni, ma formalizzare definitivamente che al contratto nazionale compete solo l’obiettivo (tentativo) di inseguire l’inflazione. Sostituendo il riferimento alla ”inflazio-ne programmata” con quello alla “inflazione realisticamente prevedibile” si fa solo un giro di parole che non cambia nulla rispetto al protocollo del 1993 se non nella cancellazione, anche formale, di ogni riferimento alla possibilità, per il CCNL, di contrattare la redistribuzione di quote di produttività, nei tre anni di durata che rischia di diluire ancora di più nel tempo gli scarsi aumenti salariali.

La proposta sindacale unitaria punta tutto sullo sviluppo della contrattazione decentrata. Dal lato della ”emergenza salariale” questa è un’assurdità e per almeno due motivi.

1. Innanzitutto la contrattazione decentrata è già oggi il punto di vera debolezza dell’iniziativa sindacale. Solo il 10% delle aziende riesce oggi a stipulare un accordo aziendale, con un grosso squilibrio tra nord e sud.

2. In secondo luogo spostare il baricentro salariale sul livello decentrato significa optare per una contrattazione che porta inevitabilmente a risultati diversi, a salari diversi, ad una pesante divisione tra aziende sindacalmente forti e quelle deboli col rischio di una progressiva marginalizzazione salariale delle seconde che non riusciranno ad avere se non insufficienti tutele da una ormai residuale contrattazione nazionale.

Per altro, nella proposta sindacale, si sostiene che occorre proseguire nella strada della detassazione e della decontribu-zione del salario aziendale, salario ben lungi dall’essere esigibile da tutti i lavoratori e, in particolare, da quelli del tessuto delle piccole e medie aziende. Tale salario, inoltre, oltre ad essere incerto, è comunque legato agli andamenti aziendali, ed è subordinato alle disponibilità dei lavoratori a aderire alle ri-chieste di aumento della produttività e redditività di impresa, che si traduce inevitabilmente in maggiore intensità di lavoro e flessibilità, di disponibilità a politiche aziendali di riduzione dei costi, ad accettare modifiche sull’orario di lavoro e sulla sua distribuzione, dunque all’incremento dello sfruttamento. Inoltre, queste agevolazioni fiscali o contributive saranno a carico dello stato e dunque di tutti, paradossalmente pagate anche da chi il salario aziendale non lo percepisce; esse costi-tuiranno ulteriori elementi di divisione e di frammentazione tra i lavoratori.

Il modello sindacale che ne esce è quello di un’organiz-zazione sempre più centralistica nelle sue decisioni, dove il potere è tutto concentrato al vertice, cioè nelle sole segreterie, dove i normali e statutari organismi decisionali sono ridotti a semplici recettori di una linea già decisa, chiamati in sintesi solo a votare la fiducia al proprio segretario generale. Un’or-ganizzazione ordinata in modo gerarchico, interessata solo alla riproduzione di sé stessa, indifferente nel rapporto con i suoi rappresentati.).

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Si immagina poi di “contrattualizzare” alcuni aspetti dello stato sociale, anche attraverso enti “bilaterali”, con il risultato di frammentare e diversificare tutele ora universali, tornando a modelli giustamente abbandonati molti decenni fa.

Sul terreno della rappresentanza e della rappresentatività, la bozza di documento propone, anziché la via legislativa, che in coerenza col dettato costituzionale non potrebbe che partire dal garantire la libertà di iniziativa e di organizzazione sindacale per tutti con centro il diritto dei lavoratori ad eleggere propri rappresentanti nei luoghi di lavoro, un percorso “pattizio”.

Il documento sindacale cita esplicitamente che le nuove regole sulla rappresentanza devono derivare da un accordo tra Cgil Cisl Uil, che le associazioni padronali dovrebbero poi accogliere e rendere agibile nei luoghi di lavoro. Cioè un Patto tra Cgil Cisl Uil e Confindustria quasi che il problema della rappresentanza e della democrazia nei luoghi di lavoro non sia un diritto a prescindere (quindi da rendere esigibile per legge ed a tutti) da quelle che sono le tutele che Cgil Cisl Uil hanno l’interesse a stabilire per se stesse.

Il documento pone come centrale la questione della “misura della rappresentanza”. Una questione pensata più per escludere e bloccare sul nascere nuove forme aggregative che possono essere concorrenti con Cgil Cisl Uil che per aumentare la partecipazione dei lavoratori e la democrazia. Praticamente è come se alle elezioni politiche possono partecipare solo quelle forze che nelle precedenti elezioni hanno ottenuto un tot.

L’operazione di Cgil Cisl Uil è una vera e propria offesa alla concezione della democrazia sindacale, perché l’unico metro democratico per misurare la rappresentatività di una proposta e della lista che la sostiene è quella che questa possa liberamente essere portata alla discussione, alla verifica ed al voto dei lavoratori.

Solo il voto dei lavoratori può dire se una proposta o una lista sono rappresentative di ciò che i lavoratori vogliono e chiedono.

Con la nuova proposta di Cgil Cisl e Uil, si afferma in-vece che solo le organizzazioni che oggi hanno la maggio-ranza possono presumere di essere rappresentate e che i la-voratori possono scegliere solo tra queste. Praticamente Cgil Cisl Uil propongono un Patto tra loro e Confindustria che deleghi solo a loro il potere di rappresentare i lavoratori, una forma di tutela delle organiz-zazioni che ricorda molto (e qua voglio essere spinto e pro-vocatorio) il Patto di Palazzo Vidoni, a Roma, stipulato nel 1925 fra la Confindustria e la Confederazione fascista delle corporazioni.

E’ chiaro, se pensiamo ai

caratteri che sottendono la scelta di andare per via pattizia, che l’obiettivo dichiarato di aumentare così la partecipazione dei lavoratori c’entra ben poco. Semmai si può dire che con il nuovo Patto sulle regole, Cgil Cisl Uil regolano i rapporti tra di loro (Patto federativo) e tra loro e le altre organizzazioni concorrenti limitando l’agibilità a quelle che non si riconoscono nei contenuti del Patto.

Si ripropongono quindi le stesse illusioni concertative che hanno portato negli ultimi 15 anni al generale peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Illusioni che, paiono vere solo ad una burocrazia autoreferenziale che chiede di veder rico-nosciuta la sua disponibilità a mettere sul piatto della “salvezza nazionale” il suo potere formale, sperando in cambio di essere accreditata come forza responsabile ed affidabile agli occhi dei soggetti fondatori del nuovo ordine neocorporativo.

Un riconoscimento che, ovviamente, è possibile solo ac-cettando la centralità del mercato e della redditività di impresa come obiettivo cui tutto deve subordinarsi.

Non è un caso che la discussione aperta sui nuovi modelli contrattuali e sulle nuove regole della rappresentanza sia stata condotta come se riguardasse solo le organizzazioni ed i rap-porti tra le stesse. I lavoratori sono ormai ridotti a semplici spettatori. Nessuno si è preoccupato di coinvolgerli, nessuno si è curato di loro e di ciò che potevano dire e proporre.

E proprio perché si parla di rappresentanza trovo grave che questo percorso si sia avviato senza alcun coinvolgimento dei diretti interessati. Le lavoratrici e i lavoratori!

Quando tutti parlano di te con chiunque e nessun viene a chiedere a te come la pensi tu, vuol dire che ci si sta preparando una bella fregatura.

Dal punto di vista dei lavoratori l’urgenza è oggi quella di rispondere all’emergenza salariale (e non solo) rimettendo

mano ad un sistema contrattuale (quello concertativo) che ha dimostrato, no-nostante i trionfalismi e le celebrazioni che lo hanno sostenuto, di non essere riuscito neppure a tutelare le retribuzioni dall’inflazione, ed in ciò dimostrando il suo fallimento.

Altrettanto urgente è rimettere mano alle forme della rappresentanza per ri-lanciare quella democrazia partecipativa senza la quale è impossibile emancipare il lavoro dalle derive burocratiche e fondare una prassi ed una strategia sindacale capace di rappresentare im-mediatamente i bisogni che il mondo del lavoro esprime.

Una maggiore democrazia sindacale fondata sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di decidere con pratiche tra-sparenti e controllate sulle piattaforme e sugli accordi.

Giuseppe Pugliese

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scenAri europei

Bocciata l’Unione Europea, ancora una volta…Con il No irlandese espresso dal referendum popolare nei

confronti del nuovo Trattato Europeo, versione del Trattato rinnovata dopo che quella approvata 4 anni fa fu bocciata in situazione analoga dal referendum francese del 2005, meno di un milione di persone blocca un processo che ne coinvolge mezzo miliardo. Si potrebbero leggere i due eventi combinati come se la “costituzionalizzazione” dell’Unione Europea fosse un processo antipopolare, che riesce ad andare avanti solo se sottratto al giudizio dei cittadini tramite referendum, che si arresta ogni qual volta le popolazioni sono coinvolte diret-tamente. Ma non mi fermerei a questo giudizio d’acchito, e cercherei di capire se siamo in presenza di un vero Antieuro-peismo. Io penso di no: penso si tratti piuttosto del rifiuto popolare di una politica che si preoccupa del funzionamento del mercato ma non del benessere, né dello sviluppo, né della sicurezza (sociale) delle persone.

Ed ora si va avanti lo stesso? Un trattato internazionale deve essere approvato da tutti i paesi che sono all’origine del patto. Anche se tutti gli altri 26 ratificano il Trattato, tecnicamente il Trattato è morto. Politicamente si può chiedere di rifare il referendum come nel 2001, quando l’Irlanda bocciò il tratta-to di Nizza (quello inerente le politiche della sicurezza, della giustizia e l’introduzione della carta dei diritti sociali, quello che fu osteggiato anche dalla Gran Bretagna) per ratificarlo un anno dopo con un secondo referendum, sulla base del fatto che era stato aggiunto un protocollo che prevedeva alcune deroghe. Oggi questa pare una via difficile. L’alibi della scarsa partecipazione non funziona, né si saprebbe quali deroghe aggiungere. Bisognerebbe decidere, ma sarebbe un rivoluzio-namento politico, senza base giuridica, che i paesi che sono contrari si distaccassero dall’Unione.

Ma, a questo punto, la domanda da porsi è un’altra, e va ben ol-tre un rompicapo di carattere tecnico/giu-ridico sulle forme di ratifica. Si può consi-derare il voto irlandese un fastidioso incidente di percorso? Secondo me no, prima di tutto perché non penso che gli irlandesi la pensino in maniera diversa da molti altri popoli. L’Ir-landa è solo la spia di un malessere più grande: una vasta parte della popolazione europea non è necessariamente contro l’Unione ma, se chiamata a esprimersi, si schiera contro la po-

litica dell’Unione. Un po’ come dire che la maggioranza degli europei è, secondo sondaggi di opinione, contro la politica di Bush, ma non è antiamericana.

Come già sostenni ai tempi della bocciatura francese la maggior parte dei francesi che votarono No non erano contro l’Unione, che era anche una loro creatura, ma contro la sua politica, considerata poco sociale. Il distacco è cresciuto, senza che Bruxelles si preoccupasse di porvi riparo.

Formulare valutazioni identitarie, affermando che l’Euro-pa è bocciata dai popoli perchè c’è un deficit di democrazia, di trasparenza, di comunicazione, in definitiva di identità, sarebbe per me errore fatale. Perché un’identità l’Unione se l’è progressivamente data, ed è molto forte. E’ sempre di più un grande mercato in continua espansione. Ha regole per la gestione del mercato e autorità indipendenti preposte al loro funzionamento, ma non ha alcuna anima sociale. Facciamo considerazioni esemplificative.

La Banca centrale europea è la più potente del mondo nell’amministrazione della politica monetaria, ed è sciolta da ogni riferimento politico. L’obiettivo unico è la stabilità mo-netaria, come garanzia del funzionamento del mercato. Poco importa se la zona euro, la seconda potenza mondiale, cresce a ritmi incredibilmente bassi.

La Commissione europea è custode del trattato di Maa-stricht che impone il pareggio del bilancio a prescindere dalle condizioni economiche generali: una politica che potrebbe essere obbligata per l’Italia indebitata fino al collo, ma non per gli altri normali paesi europei. Oggi, mentre si riducono le prospettive di crescita, la politica dell’asse Francoforte-Bruxelles è del tipo che gli economisti definiscono pro-ciclica: in altri termini, che asseconda la congiuntura negativa invece di inter-venire per correggerla. Non è mancanza di politica, ma la scelta di una politica che affida solo al mercato il funzionamento generale dell’economia.

Solo la settimana scorsa, il Consiglio dei ministri (del lavo-ro) toglie il vincolo delle 48 ore medie settimanali, se l’impresa ottiene l’accordo individuale del lavoratore a lavorare fino a 60-65 ore settimanali. A Bruxelles la riduzione del ruolo della contrattazione collettiva rientra nella “modernizzazione” del diritto del lavoro.

Che non si affermi che l’Unione non ha un’identità politica. Gli esempi portati attestano il contrario.

Si risolverà la questione irlandese? Forse sì, in un modo o nell’altro. Ma come s’intende affrontare la più generale questio-ne europea? Si torna a parlare della necessità di un’avanguardia che porti avanti il disegno europeo (l’Europa a due velocità). Un’avanguardia di Stati che si ritagli uno spazio proprio all’in-terno delle istituzioni europee. In termini formali, la previsione esiste sotto forma di un regime di “cooperazioni rafforzate” adottato da un gruppo di paesi che prendano il largo, uscendo dalla grande bonaccia che minaccia la paralisi ma si scontra con i tecnocrati di Bruxelles che vi leggono una diminuzione

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del proprio potere autoreferenziale. Ma, soprattutto, pone un’altra domanda. Un’avanguardia politica dell’Unione per fare quale politica? Continuare ad andare “a due velocità” ma sempre sulla stessa strada bocciata dai cittadini?

La sinistra italiana, almeno nella sua componente riformi-sta, ha dimostrato ahimè ad oggi solo tanta retorica europeista, retorica intessuta di torpore ideologico, senza alcuna chiara idea o progetto di come produrre politiche sociali europee, far avanzare il rapporto tra i popoli e le istituzioni, senza riuscire a discutere di contenuti politici. Ha un atteggiamento fideistico. E il PD non riesce nemmeno a decidere come schierarsi nel Parlamento europeo… La sinistra radicale invece pare distratta e confusa tra una tensione verso la pratica dell’internazionali-

smo e una opposizione ideale al modello dell’Europa liberista, opposizione più che altro testimoniale senza riuscire a incidere elle dinamiche europee.

C’è da augurarsi che la crisi aperta dalla piccola Irlanda stimoli una nuova riflessione sull’Europa, non contro l’Unio-ne europea, ma al contrario per salvarla dalla sua vocazione autodistruttiva.

Roberto Pennati

Questioni sindAcALi

Lo sciopero e il brand 3 – la notiziaNel numero 28 di Area Sindacale abbiamo dato l’avvio

ad una riflessione improntata su in un analisi che mettesse in parallelo e in contatto, tecniche di marketing e metodologie di conflitto.

Nella prima puntata la nostra attenzione si era soffermata sul significato di sciopero e, soprattutto, della sua efficacia conflittuale nei nostri settori.

Nel numero scorso, invece, ab-biamo provato a fare un attenta ri-flessione sulle modalità di conflitto, partendo dal presupposto che lo sciopero, come unico mezzo di lotta, potrebbe apparire ormai obsoleto e non del tutto efficace. In un secolo dove tutto è immagine, infatti, gli esempi riportati illustravano tecni-che mirate essenzialmente a colpire l’azienda non attraverso l’astensione dal lavoro, ovvero attraverso il calo della produttività, ma attraverso la pressione sul proprio brand.

In questa puntata cercheremo di ana-lizzare l’importanza di utilizzare, in modo a noi più utile possibile, i media, siano essi la carta stampata, il web la televisione.

Come è possibile notare, anche in questo periodo di lotta per il rinnovo del contratto, l’attenzione dell’informazione., e in gene-rale per il settore sindacale, è scarsa se non nulla.

Un buon comunicato stampa o una mani-festazione di medie dimensioni faticano sempre a trovare spazio sui giornali.

Tutto ciò non è casuale, visto che il mondo, la vita quotidiana, sono una continua produzione di eventi e ciascuno di questi può essere considerato unico solo dalle persone che vi sono coinvolte.

Uno sciopero, se pur modesto, per chi lo vive è sicuramente un evento di interesse.

Queste stesse persone, o altre per cui l’evento è oggetti-vamente importante, infatti possono ritenere che la rilevanza dell’accadimento sia tale da giustificare l’amplificazione da parte dei mezzi di informazione.

Purtroppo c’è una sovrabbondanza di eventi e solo alcuni saranno processati dal sistema dell’informa-zione.

Le notizie, in questo caso, vanno considerate un prodotto come qual-siasi altro, la cui materia prima è la massa infini-ta e informe di accadi-menti che caratterizza-no la vita sociale e i cui consumatori sono un insieme di persone di-verse che vogliono sia soddisfatta un’esigenza non praticamente de-finibile.

Secondo le teo-rie più accreditate i media rispondono a uno strano mix di bi-sogni (informazione, identità personale, integrazione sociale e intrattenimento) di-versamente declinati e miscelati nella molti-tudine eterogenea dei consumatori.

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Gli eventi che riescono a diventare notizie devono perciò essere in grado di vincere una serie di barriere poste dalle routine produttive del giornalismo stesso.

Per superare queste barriere un avvenimento deve avere già in origine una serie di caratteristiche che lo rendano poten-zialmente “notiziabile”.

Parliamo quindi di valore della notizia.

Si tratta fondamentalmente, e in poche parole, di tre criteri di valutazione giornalistica che operano in maniera congiunta.

Il primo è sicuramente il contenuto che si articola a sua vol-ta in altri due fattori: l’importanza e l’interesse della notizia.

Del primo fanno parte: livello gerarchico dei soggetti coinvolti (es. classico se il presidente del consiglio si rompe un piede è una notizia, se a rompervelo siete voi ...), impatto sull’interesse nazionale e prossimità (es. cade il governo in Norvegia potrebbe essere una notizia, se Bossi dice che il go-verno non durerà tutta la legislatura, è una notizia), quantità di persone coinvolte; rilevanza rispetto a sviluppi futuri (vale per la situazione in medio oriente, ma anche per un delitto che sembra avere tutte le caratteristiche di un giallo a puntate).

Per quanto riguarda il secondo fattore, ovvero l’interesse del pubblico, entrano in gioco una serie di fattori non facilmente sistematizzabili.

Quello che è centrale è infatti la capacità dell’evento di sconfinare nell’entertainment di divenire interessante di coin-volgere e, quello che più interessa a noi, di creare solidarietà.

Per essere chiari, dobbiamo iniziare col dire che pur esisten-do differenze fra le testate e tra i singoli professionisti sembra possibile identificare un gusto comune per il fatto curioso, spettacolare, strano o paradossale.

Il secondo criterio è in verità un altro insieme di criteri che si spiegano in termini di consonanza con le procedure produttive e le possibilità tecniche del mezzo.

Saranno quindi privilegiati gli eventi facilmente sinte-tizzabili (perché le notizie devono essere brevi); cattivi (la nera è più letta della bianca; la rosa è letta più della bianca ); nuovi almeno rispetto alla periodicità della testata.

Infine bisogna tener conto del bilanciamento com-plessivo della testata, perché la soglia di notiziabilità di certi fatti dipende da quanto una categoria di eventi è già presente nel “palinsesto” del prodotto informativo: insomma non sperate di ottenere la prima pagina di uno sciopero il giorno dell’elezione del Papa. I criteri relativi alla concorrenza e alla proprietà sono delineati dalle situazioni di competizione economica che caratterizza il mercato dei media.

Qui il nostro settore è maestro perché, solo raramente le testate si scagliano contro i propri inserzionisti e, come ben sapete, la Gdo in generale è uno dei canali finanziari più remunerativi per la carta stampata.

La confezione di un evento news, quindi, è il mo-mento eminentemente creativo dell’operazione.

Bisogna confezionare un evento in modo che sia in

grado di superare i filtri del sistema media.

Tolti gli eventi nazionali o quelli si settore sarà quindi quasi sempre più semplice confezionare un evento curioso o strano pensato per le pagine di cronaca o di costume.

Il paranormale, l’estremo, l’improbabile sono gli scenari più semplici da utilizzare, ma è talvolta più produttivo realizzare spiazzamenti in territori informativi in cui il pubblico è meno incline alla sospensione dell’incredulità. In alcune occasioni può essere la stessa operazione di guerriglia marketing a essere oggetto di interesse per la stampa.

Una volta raggiunta la visibilità mediale la news deve essere in grado di replicarsi nel tessuto sociale.

Deve cioè essere abbastanza interessante da trasformare una parte consistente del pubblico dei media in untori desiderosi di condividere la news con altri.

La news deve diventare passaparola, leggenda metropo-litana, gossip o comunque un virus in grado di aumentare il prestigio o l’autostima di chi la diffonde.

Perché ciò avvenga la notizia deve essere facilmente comu-nicabile e leggibile dotata, per di più, di un certo spazio attorno in modo che non perda di interesse immediatamente.

Nel prossimo numero analizzeremo nel dettaglio le tecni-che principali per utilizzare, secondo le regole sopra esposte, o media.

Continua...

Roberto Ciccarelli

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vitA d’orgAnizzAzione

Un Presidente per la UILTuCS LombardiaLa UILTuCS Lombardia avrà un Presidente.

La decisione, assunta nell’ambito del VI Congresso, è stata sicuramente di portata storica:

“Il Congresso della UILTuCS Lombardia, riunito a Milano il 19, 20 e 21 aprile 2006:

Delibera la istituzione del Presidente della UILTuCS Lom-bardia ed il suo conseguente inserimento nello Statuto della UILTuCS Regionale.

Delega i poteri congressuali a tal fine al Direttivo eletto dal Congresso allo scopo di individuare poteri e funzioni da assegnare al Presidente e di indicare la persona da designare”

Si è trattato di una scelta che ha impegnato l’organizzazione in un atto che innova la struttura stessa dell’organizzazione, irrobustendone l’assetto di regia.

Le ragioni di questa evoluzione stanno nella storia e nell’identità della nostra struttura.

La UILTuCS Lombardia è una struttura regionale di catego-ria che ha radici profonde nei settori lavorativi che rappresenta e che, nel tempo, ha saputo attrezzare un assetto completo di servizi ai lavoratori che la rendono idealmente autonoma nello svolgimento della sua missione di rappresentanza e tutela.

La lavoratrice o il lavoratore che si rivolge alla UILTuCS Lombardia, trova, non solo la competenza contrattuale ma anche buona parte dei servizi di tutela individuale di cui necessita.

È un risultato importante, costruito con determinazione, pazienza e costanza nel tempo.

È il frutto di un modo di intendere il sindacato, e quindi di dirigerne la crescita, che ha lavorato a lungo e bene e che ha anche saputo aggregare e far maturare un patrimonio umano e professionale che ha permesso il raggiungimento di questo stadio di sviluppo.

L’istituzione del ruolo di presidenza rappresenta, a questo punto, un’opportunità per garantire il mantenimento nel futu-ro dei risultati raggiunti ed una assicurazione per il prosieguo dell’organizzazione nella direzione della crescita.

Abbiamo appena concluso la fase delle conferenze organiz-zative di categoria e stiamo quindi imboccando il biennio che ci condurrà alla celebrazione del VII Congresso.

L’impegno congressuale andrebbe quindi ora onorato e l’or-ganizzazione dovrebbe riuscire a definire la precisa fisionomia della figura del Presidente.

Se per l’indicazione della persona da designare, vi sono oggettivamente pochi dubbi nell’individuare nell’attuale Segre-tario Generale il candidato unico dell’intera organizzazione, il ragionamento deve farsi più scrupoloso quando deve focalizzare il dettaglio dei poteri e delle funzioni.

Il rischio di definire una carica onoraria, di cui certamente

l’organizzazione non ha bisogno e che, come è stato già chiarito, decisamente non corrisponde al senso della scelta, è alto.

Da un lato per la novità che essa rappresenta e dall’altro per il necessario riverbero verso il ruolo del Segretario Generale che fino ad oggi ha rappresentato la figura unica di massima rappresentanza e responsabilità dell’organizzazione e che, in presenza di un Presidente dell’Organizzazione, non potrà non essere ridefinita a sua volta nelle funzioni e nei poteri.

In questo senso andrebbe allora ricercato l’equilibrio necessario che sappia definire una direzione articolata su due direttrici complementari: su un versante, la garanzia di un forte presidio ed una adeguata capacità propositiva sui diversi fronti sindacali nei quali l’organizzazione deve qualificare la propria presenza e dall’altro, il buon funzionamento dell’in-sieme dell’organizzazione e la garanzia di uno sviluppo, sia del proprio tessuto strutturale che della propria presenza nelle istanze bilaterali dei nostri settori.

Una Segreteria Generale quindi, fortemente impegnata e coinvolta nel coordinare e dirigere l’azione politico contrat-tuale della UILTuCS Lombardia, esercitando un forte ruolo di indirizzo e di propositività sindacale che sappia stimolare ed orientare l’organizzazione nelle scelte e nelle battaglie di ogni giorno ed una Presidenza, concentrata sulla struttura dell’or-ganizzazione, sulla sua identità, sul suo sviluppo ed evoluzione che ne amministri la vita interna e le estensioni nel mondo della bilateralità, esercitando un ruolo di governo dell’orga-nizzazione e di controllo/garanzia degli assetti amministrativi ed organizzativi interni e di orientamento verso le politiche di welfare contrattuale collegate alla bilateralità.

Una struttura di direzione caratterizzata quindi da una decisa complementarietà ed adeguata ai crescenti impegni di sviluppo e di presidio delle aree di intervento sindacale che il futuro ci impone.

Non deve essere commesso l’errore di definire un profilo del ruolo di Presidenza, meramente onorifico e di vuota isti-tuzionalità.

L’organizzazione ha già ben chiaro che non esiste la neces-sità di dotare l’organizzazione di una figura rituale o di pura immagine.

Così come l’intero corpo della UILTuCS Lombardia deve essere caratterizzato, in ogni suo strato, da forte operatività e da livelli chiari di competenza e responsabilità, per prima la sua dirigenza rappresenterà questo stile senza contemplare figure di dorata irrilevanza.

Questa è la condizione per assicurare all’organizzazione la continuità necessaria al progredire del suo sviluppo e per assicurare l’efficacia della sua azione di tutela dei lavoratori che rappresentiamo.

Sergio Del Zotto

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vertenze sindAcALi

Sciopero Rinascente: vinta la scommessa di un appuntamento importante!

Siamo stati in tanti a manifestare il nostro sdegno contro Rinascente. Non contro l’azienda ma contro la Dirigenza e il Consiglio di Amministrazione insensibile alle prerogative dei lavoratori. Rabbia urlata con i megafoni da lavoratrici e lavora-tori arrivati da tutta Italia per manifestare contro il disinteresse di responsabili che non sanno e non vogliono raccogliere gli spazi di collaborazione offerti dal sindacato e preferiscono farsi i conti in tasca costruendo ad arte situazioni di crisi che non ci sono, con una faccia tosta fuori dal comune.

Per chi non avesse seguito le puntate di questa triste tele-novela ricordo solo che questa Dirigenza ha deciso di licenziare più di 70 persone della filiale di Napoli adducendo ritardi nella consegna dei lavori e dei permessi amministrativi della nuova sede acquistata appositamente per rilanciare le attività commerciali. Anche Bari doveva essere rilanciata ed invece ha chiuso e gli spazi sono stati venduti alla concorrenza. Anche Torino faceva parte del piano di rilancio settennale ed invece ha clamorosamente chiuso anch’essa. Hanno chiuso anche Lodi e Bergamo per ragioni economiche.

Anche le filiali di Palermo e Roma stanno vivendo questa pazzesca agonia con la spada di Damocle sospesa sulla testa durante l’attesa di trasferirsi in spazi immobiliari più adeguati. Ma adeguati per cosa? Forse per le speculazioni immobiliari?

Rinascente è un glorioso marchio blasonato che ha scelto di posizionarsi in luoghi di prestigio nelle città Italiane per sviluppare al meglio la sua attività prevalente: il commercio di abbigliamento e di oggettistica per la casa. Da qualche tempo, proprio da quando è cambiata la composizione sociale del gruppo, con l’ingresso di Pirelli Real Estate e gli interessi delle banche, si sono accorti di possedere un bel patrimonio immobiliare e che la vendita dello stesso poteva fruttare più dell’attività tradizionale e storica del gruppo. Ma la cosa più in-quietante l’abbiamo scoperta in questi giorni. Facendo una vi-sura camerale ci siamo accorti che la società ha affianco al nome

di alcune banche la dicitura: pegno. Cosa significa? Certamente che quote delle azioni societarie sono state date “a garanzia” di una qualche opera-zione. Pagamento di debiti? Richiesta di liquidità per nuovi investimenti? Oppure preambolo di opera-zione di spin off per il controllo del patri-monio immobiliare o chissà cos’altro! Perché nei numerosi incontri che si sono tenuti non è stato fatto accenno a questa importante modifica delle condizioni societarie? Ormai non ci stupisce più nulla! Per questo e per discutere il futuro della società le tre segreterie di Filcams, Fisascat e UILTuCS hanno chiesto un incontro urgente al Ministero delle Attività Produttive (ora Ministero dello Sviluppo) e al Ministero del Lavoro perché questa non è un azienda qualunque. Penso che anche i Ministri Scaiola e Sacconi se ne rendano conto.

Ma dato che le cattive notizie non arrivano mai da sole, proprio nel giorno della manifestazione, la dirigenza locale della Rinascente di Roma annunciava la drastica decisione di mettere in cassa integrazione la filiale di Roma Colonna. Eccola la ciliegina sulla torta! Un motivo in più per urlare la nostra incazzatura contro questa dirigenza che assume decisioni scellerate senza dire mai chiaramente quello che fa!

La manifestazione ha comunque avuto un gran successo di partecipazione! Sono arrivati in tanti da Roma, da Genova,

da Palermo, da Catania, da Firenze, da Cagliari e da altre province del nostro paese. Il messaggio è arrivato ed è arrivato chiaro: cara dirigenza, i lavoratori sono stanchi delle vostre bugie e non si fidano più delle storielle raccontate! Per questo trionfavano in Piazza Duomo i cartelli con le parodie delle immagini di pinocchio, speriamo che questa storia del pegno non sia assimilabile a quella delle monetine sotterrate dal gatto e la volpe con la promessa della crescita di un albero di monete!

Michele Tamburrelli

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Contributi dai Lettori

Il grande inganno

Sono passate poche settimane dall’insediamento del nuovo Governo. Rifletto sulle politiche del lavoro che oggi i giovani devono affrontare. L’altro giorno parlavo con un ragazzo di 27 anni. Non ha un lavoro fisso. La sera collabora presso un centro fitness. Sorridendo mi ha detto “Aldo, allora me lo trovi un lavoro?” Gli ho chiesto: cosa ti piacerebbe fare?

Mi ha posto alcune domande, ho letto il suo curriculum e, oltre alla sua volontà ad impegnarsi ho notato anche la mancanza di idee chiare per il progetto sul quale indirizzarsi a livello lavorativo.

Questo è solo un esempio… non per testare la maturità dei giovani, ma per regolare la sensibilità che i giovani, soprattutto quelli occidentali, hanno verso un modello di vita che, spesso le televisioni mostrano, ma che attualmente non esiste più. Il tutto genera un’enorme confusione tra realtà e finzione.

I precari aumentano e, quando parlo di precari, non in-tendo i ragazzi che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro, ma, alla forza lavoro che pur avendo lottato per la conquista dello statuto dei lavoratori con le generazioni precedenti, ha portato ad una consuetudine istituzionale che ognuno di noi dovrebbe conoscere, ma con nuove leggi sempre meno chiare e sempre più male interpretate, che consentono il ribaltamento dei valori come la famiglia, l’uguaglianza, e la giustizia sociale, diventa difficile sostenere.

Se le righe precedenti consentono un’analisi verosimile di

quello che dico (e lo dico perché mi occupo di lavoro) molti, banalmente, sottraggono la possibilità e la volontà per trovare una nuova via d’uscita per aiutare le generazioni future. O meglio: sempre più conviene dire che in Cina, in India, si produce tutto a basso costo quindi l’offerta rimane sempre la stessa, e allora cosa facciamo per i nostri lavoratori?

Sto riflettendo da un po’ di tempo sulle nuove economie emergenti. In realtà soluzioni rapide ed efficaci ci sarebbero come ad esempio: l’imposizione dei dazi doganali con un co-sto del lavoro basso, oppure le multe per il rischio di prodotti lavorati male o peggio ancora dannosi per la salute come è capitato lo scorso anno.

Le soluzioni possono essere anche utili, ma non è detto che siano le migliori nel lungo periodo.

Oppure tutto è frutto di una situazione che via via negli anni è diventata difficile fino ad arrivare ad essere impossi-bile.

Se questo è vero perché i governi, anziché continuare a mentire, non hanno il coraggio di chiedere aiuto proprio ai cittadini per cercare di risolvere questo momento difficile?

A dire sempre le bugie non ci guadagna più nessuno, è necessario avere il coraggio di tirarsi su le maniche e compiere uno sforzo per il bene di tutti.

Aldo Gasparri

Hai avuto bisogno di una collaborazione domestica e hai trovato una colf? una baby sitter? una badante?

Vorresti essere per lei un buon datore di lavoro che rispetta le norme e le leggi?

Vorresti fare tutto ciò che serve per essere in regola?

Se tutto ti sembra troppo complicato, perchè in fondo tu non sei un’azienda e non puoi pagare un commer-cialista, allora da oggi hai un aiuto in più

Un servizio nato per semplificare il rispetto delle norme e delle leggi con la competenza necessaria

Rivolgiti ad “Asso Lavoro Domestico” per assolvere a tutte le adempienze previste dalla legge e sarai per la tua collaboratrice domestica il datore di lavoro che vorresti avere tu.

Asso - Lavoro Domestico

Via Salvini, 4

20122 Milano

tel. 02-760679213

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mercAto e responsAbiLità sociALAe

Giornata Internazionale della CooperazioneIl 5 luglio si è celebrata in tutto il mondo la Giornata

Internazionale della Cooperazione.

Se Cooperare significa unire le forze (o le debolezze per meglio difendersi), il suo rafforzamento costituisce un fattore di coerenza rispetto ai bisogni essenziali delle persone.

Guerre legali e illegali, commerciali e finanziario/mone-tarie (Sergio Marchionne ha definito criminale la politica di Bush sul dollaro), rappresentano l’esatto opposto della cultura Cooperativa.

Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.

Anche dal punto di vista della legalità la cooperazione si contrappone alla criminalità economica, come si può consta-tare in Sicilia con la gestione cooperativa a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi, anche grazie all’iniziativa di un prete coraggioso come Don Luigi Ciotti con Libera Terra

Celebrare la Cooperazione in tutto il mondo significa im-plicitamente avvalorare l’idea che un altro modo di concepire l’economia, la finanza, la cultura e l’informazione, è possibile. Anzi, è necessario.

Pur nel rispetto di una filosofia del mercato, se questo è concepito come figlio e non padrone della volontà generale, che la Politica dovrebbe rappresentare in ogni paese e istituzione internazionale.

La concorrenza, d’altra parte, per esprimere la sua virtù, non deve manifestarsi all’interno di un’unica forma giuridica di azienda (privata), ma anche tra forme diverse, tra le quali le cooperative vere e più in generale le organizzazioni senza scopo di lucro sono tra le più efficaci, anche dal punto di vista del rispetto dell’ambiente, della sicurezza dei lavoratori e del controllo della filiera produttiva.

Più cooperazione richiede una migliore e più efficace Informazione e Formazione a chi ci lavora, ai soci e ai cit-tadini in generale, per aiutare a capire in che cosa consista la differenza tra una s.p.a. e una società cooperativa.

Talvolta, infatti, questa differenza non si apprezza per carenza d’informazione e di conseguenza si concentra l’at-tenzione solo su un singolo piuttosto che sull’insieme dei fattori che rendono sociale l’economia, come prevede la Costituzione italiana all’articolo 41 che in estrema sintesi mette in equilibrio il “che cosa” e il “come”, affinché il concetto di libertà (d’iniziativa economica e imprenditoria-le) sia sempre accompagnato dalla responsabilità, per non connotarsi di egoismo e negatività.

Al dunque, quindi, a una più estesa presenza della cooperazione deve corrispondere un rafforzamento dell’eco-nomia sociale, affinché dietro un marchio non vi sia solo l’aggressività concorrenziale che non si perita di utilizzare mezzi e sistemi che non fanno onore a chi li pratica, come lo sfruttamento minorile, il lavoro nero e illegale.

In Italia non siamo certo a livelli ottimali, dal punto di

vista del coinvolgimento e della partecipazione alle scelte dei lavoratori occupati nelle cooperative della grande distribuzione, ma la differenza con le aziende private è netta.

Il solo esempio della previdenza complementare può aiutare a capire.

A fronte di una media del 7% di adesioni al “fondo pensio-ne complementare”, nel terziario, nelle cooperative di consumo siamo attorno al 50%.

Questi opposti risultati, che comportano un costo del lavo-ro maggiore a carico delle aziende cooperative con un maggior numerosi aderenti al fondo pensione di categoria, hanno una chiara motivazione.

Un comportamento passivo, a-sociale delle aziende di grande distribuzione, a fronte della collaborazione dei gruppi dirigenti delle società cooperative nei confronti dei lavoratori dipendenti e di quelli più giovani in particolari che hanno maggior bisogno di essere informati e aiutati a compiere la scelta più efficace per il loro futuro previdenziale.

Anteo

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Da: “Il pane e le rose”, 5 luglio 2008

Iniziano gli scioperi e la lotta dei lavoratori del magazzino Bennet

Nessun diritto, nessun rispetto della dignità umana. Gli orari non sono mai certi, se non ti lamenti arriverai, forse, alle 8 ore e magari agli straordinari; altrimenti farai meno ore e sarai pagato di meno. Spesso non sono pagate tutte le ore lavorate, ma solo quelle decise dalla coop. (che in certi casi non mette i badge). Oppure, magari al turno di notte, dopo due ore vieni mandato via perché c’è “poco lavoro” e sei pagato per le sole due ore. Se questo non basta sei cambiato di mansione o di posto di lavoro come e quando vogliono. [...] In questo contesto i lavoratori di una serie di coop di facchinaggio come la Leonardo appalto ai magazzini BENNET di Origgio[...] che negli scorsi giorni hanno avviato una serie di proteste.

Da: “Il manifesto”, 04 Luglio 2008 (di: Antonio Sciotto)

Denuncia delle Rsu di Corsico, ferito anche un bambino. Ikea, infortuni a catena. L’azienda: «Lavoratori distratti»

Una catena di infortuni nell’ultimo anno (sarebbero 33), tre seri in soli cinque giorni. Si è ferito anche un bambino, il figlio di alcuni clienti colpito in testa da una navetta di legno; un oggetto leggero, ma se dallo scaffale del self service fosse caduto un articolo di diversi chili la cosa sarebbe potuta andare diversamente. Co-munque è stata chiamata l’ambulanza. Siamo all’Ikea di Corsico, nel milanese, il centro più grande dei 13 della multinazionale svedese in Italia, che conta 400 dipendenti fissi più 300 precari, concentrati nei periodi di picco. La denuncia arriva da Rsu, Rls (rappresentante alla sicurezza) e Filcams Cgil, che hanno anche raccontato di uno scontro tra le «slitte» (i carrelli di movimen-tazione merci), tarate su una velocità eccessiva, che ha ferito al piede un dipendente; e di un lavoratore che ha subito una sutura di 21 punti al braccio dopo essere stato ferito da un coltello mal posizionato in un carrello. A breve giro di posta è arrivata la re-plica dell’azienda: «Ikea non scende a compromessi sulla sicurezza. L’oggetto che ha colpito il bambino era stato mal posizionato su un ripiano. Rimandano invece a casualità o distrazione tutti gli incidenti accaduti ai dipendenti». Come dire, ci scusiamo solo con i clienti. I[...] I delegati parlano di «mancanza di adeguate misure di sicurezza: muletti che cadono dalle ribalte dei camion, porte antincendio sfondate, bancali che precipitano da 8 metri, per non parlare poi dello stress prolungato causato da eccessivi carichi di lavoro». E ancora: «gli addetti di notte lavorano con l’areazione spenta e con le sole luci di emergenza». [...]

Da: “Il giornale”, 3 luglio 2008 (di Giacomo Susca)

«Soldi alle scuole che rispolverano il grembiule»

Quasi invisibili per nove mesi all’anno nelle loro uniformi dietro banconi e vassoi, le «scodellatrici» di Milano e provincia hanno deciso di scendere in piazza. Le inservienti alle mense delle scuole materne, elementari e medie hanno manifestato ieri per ri-vendicare «i propri diritti». E, a sentire i sindacati - Filcams Cgil, Cisl Fisascat e Uil Tucs - che le hanno portate sotto la prefettura prima, e a palazzo Isimbardi e palazzo Marino dopo - i milanesi dovrebbero ringraziare, «perché sfilando di questi tempi ci augu-riamo che con l’avvio del prossimo anno scolastico i problemi si risolvano, altrimenti dovremo ricorrere a forme di lotta più dure, con i disagi che i cittadini possono immaginare». [...] «Le società che ci danno lavoro non sempre sono serie. Ma è il sistema stesso che spinge le retribuzioni al ribasso», spiegano le più agguerrite. «Serviamo i pasti dalle due e mezza alle quattro ore al giorno. La maggior parte di noi viene da fuori città, così per raggiungere le scuole va via fino al 70 per cento dell’orario di lavoro. Tutto questo per paghe mensili che vanno da 300 a 500 euro, e a volte non ci è concesso di lavorare nemmeno le ore previste da contratto, non parliamo degli straordinari». [...]

Da: “Ansa”, 2 luglio 2008

Wal-Mart condannata a maxi-multa - Mancato rispetto pausa dipendenti

N.Y. - Wal-Mart e’ stata condannata da un tribunale del Minnesota a sborsare 6,5 milioni di dollari di danni a circa 59.000 dipendenti.Il colosso della distribuzione Usa e’ stato ri-conosciuto colpevole di aver violato i tempi delle pause di lavoro. I singoli risarcimenti saranno stabiliti nell’ambito di un processo che avra’ luogo il 28 ottobre. Sempre oggi un dipendente della Wal-Mart e’ stato condannato ad un risarcimento di 7,5 milioni di dollari per aver discriminato un sottoposto.

Da: “Lo schermo” settimanale locale, 2 luglio 2008

Liberalizzazione dell’orario di lavoro nella vigilanza privata

LUCCA - La liberalizzazione dell’orario di lavoro nel settore della vigilanza privata fa lanciare un grido di allarme sulla si-tuazione generale che si sta verificando in Italia. A denunciare la situazione è Umberto Franchi, segretario provinciale della Filcams-Cgil che afferma: [...] “Il 25 Giugno scorso, il Governo Berlusconi

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ha emanato un nuovo Decreto Legge e già in vigore, cancellando il settore della vigilanza dall’applicazione del D.L. 66/2003 che regola l’orario di lavoro. Un settore sempre a rischio che non ha più regole sull’orario di lavoro, e lasciato alla pura gestione aziendale senza alcun diritto per i lavoratori”. Questa è la denuncia che arriva dalla Filcams-Cgil e dal suo segretario provinciale, Umberto Marchi, il quale sottolinea come sia: “Inammissibile quanto fatto”, poiché “non ci saranno limiti giornalieri di orario, né vincoli sul riposo giornaliero e settimanale, riportando il settore della vigi-lanza privata ad un passato ormai dimenticato”. [...]

Da: “Finanza e mercati”, 22 giugno 2008

Mercadona: la verità sull’ “affaire” Esselunga

Finanza e Mercati sulla carta stampata, e successivamente DM Distribuzione Moderna on line, hanno pubblicato la notizia della possibile cessione del Gruppo italiano Esselunga al fenomeno distributivo spagnolo Mercadona. Successivamente Esselunga ha però emesso un comunicato dove smentisce la notizia in modo assoluto. Cosa c’è di vero? Tempo fa il Ministro dell’Industria spagnolo Ignacio Cruz Roche affermò: “Se nei prossimi cinque anni le compagnie della distribuzione alimentare vogliono continuare a crescere devono affrontare l’internazionalizzazione, perché la saturazione del mercato è vicina”. Attualmente El Corte Ingles è presente in Portogallo e sta preparando il suo imminente arrivo in Italia. Zara è già una catena di successo anche nel nostro Paese. [...]Il Presidente del Gruppo Juan Roig ha recentemente dichiarato che “se si manterrà il ritmo di crescita di 100 aperture all’anno sino al 2010, avremo una saturazione del nostro mercato, per cui sarà il momento di andare all’estero”. [...]

Da: “Il messaggero”, 17 giugno 2008

Coop nel mirino Ue

BRUXELLES (17 giugno) - Il sistema di agevolazioni fiscali di cui godono le cooperative che operano nei settori della distribu-zione e dei servizi bancari finisce nel mirino della Commissione europea. Il sospetto è quello dell’esistenza di aiuti di Stato illegali incompatibili col diritto comunitario, soprattutto per quel che riguarda le grandi coop. Per questo i servizi dell’Antitrust Ue hanno inviato una lettera al governo italiano, chiedendo spiega-zioni. Tutto nasce da una serie di denunce inviate a Bruxelles, a partire da quella di Federdistribuzione, l’associazione che riunisce tutte le più grandi catene commerciali italiane. [...] Ma le coop si sono sempre difese, sostenendo come la loro quota di mercato sia rimasta costante negli anni, a fronte dell’irrefrenabile affermazione di gruppi come Carrefour o Auchan, il cui successo dimostrerebbe la vitalità competitiva del settore della grande distribuzione. [...] Le agevolazioni fiscali sotto esame riguardano in particolare una serie di norme che permettono l’abbattimento del reddito imponi-bile. «Nelle grandi linee - spiegano i servizi dell’Antitrust Ue - la Commissione riconosce l’importanza e il contributo significativo delle cooperative all’economia e alla società in generale. È quindi possibile distinguerle dalle imprese lucrative, specie quando si tratta di cooperative mutualistiche pure, che realizzano redditi esclusi-vamente con i propri membri». Ma è anche vero che «malgrado la loro specificità, le cooperative realizzano utili anche tramite

attività con “non membri” e hanno un comportamento sul mercato analogo a quello delle imprese lucrative».[...]

Da: “AGI”, 11 giugno 2008

Confcommercio: fondo est, 1 milione di iscritti in un anno

(AGI) - Roma, 11 giu. - Oltre 150.000 aziende, circa un milione di lavoratori, 25.000 nuove iscrizioni ogni mese, 140.000 prestazioni erogate in poco piu’ di un anno. Sono questi i numeri di Fondo Est, il fondo di assistenza sanitaria integrati-va di commercio, turismo, servizi e settori affini nato nel 2005 in attuazione dei Contratti Nazionali di Lavoro sottoscritti da Confcommercio, Fipe, Fiavet e Cgil,Cisl e Uil. In pochi mesi di attivita’, dall’aprile del 2007, il Fondo ha erogato piu’ di 140.000 prestazioni in tutta Italia, attraverso tre canali: rimborso dei ticket nel Servizio Sanitario Nazionale, utilizzo di strutture convenzionate e utilizzo di strutture private[....] “L’assistenza sanitaria integrativa peri dipendenti e’ un passo avanti nel welfare contrattuale - ha aggiunto il vice presidente Brunetto Boco - che completa il panorama delle assistenze gia’ previste per dirigenti e quadri e interessa sia l’azienda che i dipendenti, infatti se per il dipendente costituisce una tutela, per l’azienda e’ un punto di forza nei processi di gestione delle risorse umane”.

Da: “Il piccolo”, 2 giugno 2008

Corso Italia: chiude l’Upim , arriverà la spagnola Zara

Si sta concretizzando la trattativa di locazione tra il gruppo Zara e l’imprenditore Vittorio Tabacchi, presidente del gruppo Safilo, noto immobiliarista e proprietario dell’immobile di corso Italia 18 che oggi ospita uno dei due punti vendita triestini della Upim. [...] Sarà il destino, eppure anche nel resto d’Italia Zara ha più volte ereditato proprio gli spazi dei magazzini Upim: così è successo a Livorno, a Cagliari, a Novara e da pochi giorni nella vicina Udine, dove il gruppo spagnolo fondato nel 1960 ha aperto il suo negozio, attesissimo, ed immediatamente preso d’assalto dai friulani incuriositi anche dal battage pubblicitario che ha ruotato attorno all’evento. E se a Udine, dove nel vicino viale, i centri commerciali e i mega store nascono come funghi, l’apertura di questa nuova realtà spagnola ha creato scompiglio e fatto notizia, figuriamoci a Trieste. I rumors, le chiacchiere e le indiscrezioni giravano da tempo ma ora le trattative per la locazione dell’immobile sembrano proprio aver raggiunto una certa concretezza. [...]

a cura di R. C.

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Area Sindacale N.30 - Luglio-Agosto 2008

Turismo Responsabiledistruzione e sfruttamento, ma si fa portatore di principi uni-versali: equità, sostenibilità e tolleranza. Il turismo responsabile (anche chiamato ecoturismo) nasce alla fine degli anni ‘80 e si caratterizza per l’attenzione rivolta alla tutela dell’ambiente e per la tutela del benessere delle popolazioni che abitano nei luoghi turistici, spesso muovendosi in concerto con le finalità del commercio equo e solidale.

Gli obiettivi del turismo responsabile sono:

il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente e in particolare •dell’ecosistema e della biodiversità. Per ottenere questo si cerca di abbattere l’impatto ambientale delle strutture e delle attività legate al turismo; il rispetto e la salvaguardia della cultura tradizionale delle •popolazioni locali; ottenere il requisito di consenso informato da parte di tali •popolazioni sulle attività intraprese a scopo turistico;favorire la partecipazione attiva delle popolazioni locali •nella gestione delle imprese ecoturistiche;condividere con le popolazioni locali i benefici socio-•economici derivanti dal turismo.

Negli anni si sono formate nuove figure professionali che si dedicano in maniera esclusiva alla promozione e all’organiz-zazione del turismo responsabile.

Questi tendono ad utilizzare esclusivamente operatori e strutture locali che offrono adeguate garanzie di rispetto dell’ambiente e delle popolazioni locali e nel contempo cercano di sensibilizzare i propri clienti rispetto a principi ambientalisti e sociali e non raramente chiedono loro di denunciare eventuali situazioni critiche di degrado ambientale o sociale osservate durante la loro permanenza nei luoghi.

Recentemente anche i grandi tour operator tradizionali offrono pacchetti ecoturistici o naturalistici.

Perciò prima di metterti in viaggio poniti questi quesiti:

Chiediti perché viaggi; •Informati sulla storia e sulla cultura del paese di desti-•nazione;Fatti spiegare dal tuo agente di viaggio qual è la sua •etica;Scegli di entrare in sintonia con la cultura che ti ospita. •Viaggiare non è una gara a vedere più posti possibili;Metti in valigia lo spirito di adattamento;•Rispetta le persone, l’ambiente e il patrimonio storico •culturale;Scegli, se possibile, guide locali;•Non ostentare ricchezza stridente rispetto al tenore di •vita locale;

Siamo a Luglio, tempo di vacanze.

Penso sia utile fare una breve riflessione su come gestiremo le nostre ferie nel caso ci recassimo nei cosiddetti paradisi turistici stranieri.

Per molte persone lavorare nel settore turistico costituisce una valida alternativa alla disoccupazione.

Nonostante ciò, spesso gli stranieri detengono le posizioni migliori, lasciando ai locali i lavori mal pagati, come facchi-no o cameriere, che offrono scarse opportunità di sviluppo professionale.

I lavoratori dell’industria turistica guadagnano in media il 20% in meno dei lavoratori di altri settori economici. Molti dei posti di lavoro che occupano non sono conformi agli standard internazionali del lavoro.

Vi è poi il dramma che 19 milioni di bambini di età in-feriore ai 18 anni lavorano attualmente nel turismo e circa 2 milioni di questi sono stati coinvolti nel boom dell’industria del “turismo sessuale” nel Sudest asiatico o in America latina, dove rischiano di contrarre l’AIDS o altre forme di malattie sessualmente trasmissibili.

Il turismo può inoltre spingere la popolazione locale ad abbandonare le attività tradizionali dell’agricoltura e della pe-sca, con effetti sulla disponibilità di prodotti locali e maggiore dipendenza dalle importazioni estere.

Il turismo ha inoltre notevoli impatti sulle culture locali.

Spesso le comunità indigene si trovano nel ruolo di “at-trazioni” turistiche in eventi che non hanno contribuito a concepire e realizzare. I promotori turistici tendono a ridurre culture complesse a istantanee da cartolina o da pieghevole turistico.

Alla luce di tutto ciò, sarà opportuno tentare una defini-zione del “viaggiatore” e del “turista”.

Viaggiatore è colui che considera il viaggio una parte essenziale e predominante nella propria vita come attività determinante e irrinunciabile qualunque sia la motivazione che lo spinge a viaggiare, sia quando viaggia o non. Turista è invece colui che considera il viaggio come un diversivo, una evasione transitoria rispetto alla sua vita normale, pur sempre importante e rivitalizzante, sia dal punto di vista culturale e del soddisfacimento di curiosità che nella ricerca di rottura del ritmo giornaliero e quindi di distensione ed evasione dalla routine quotidiana.

Esiste un modo di viaggiare la cui prima caratteristica è la consapevolezza di sé e delle proprie azioni. Questo è Turi-smo Responsabile: un viaggiatore etico e consapevole che va incontro ai paesi di destinazione, alla gente e alla natura con rispetto e disponibilità. Un viaggiare che sceglie di non avallare

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Area Sindacale N.30 - Luglio-Agosto 2008

Direttore Responsabile: Guido Baroni

Direzione Editoriale: Sergio Del Zotto

Impaginazione : Sergio Del Zotto

Illustrazioni: Asso srl

Per contributi e suggerimenti scrivete a:

“Area Sindacale”

Via Salvini, 420122 Milanoe-mail: [email protected]. 02-7606791

Anno 4° - N.ro 30 - Luglio-Agosto 2008 - periodicità mensile

Editrice: Asso srl

Via Salvini, 4 - 20122 Milano

...segue Redazionale

Immagini: Asso srl

In Redazione: Susanna Artico, Roberto Ciccarelli, Gabriel-la Dearca e Sergio Del Zotto

Gli articoli di questo numero sono di: Anteo, Rober-to Ciccarelli, Gabriella Dearca, Sergio Del Zotto, Aldo Gasparri, Giovanni Gazzo, Felicitè Ngo Tonye, Roberto Pennati, Giuseppe Pugliese, Michele Tamburrelli.

La tiratura di questo numero è di: 10.000 copie

Pubblicazione Registrata con il numero 852 del 16/11/2005 presso il Registro Stampe del Tribunale di Milano

Prima effettuare scatti fotografici o riprese video chiedi •il permesso;Non assumere comportamenti offensivi per usi e costumi •locali;Non cercare l’esotico, cerca l’autentico;•Concentrati sui rapporti umani.•

«Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principio di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture.»

Associazione Italiana per il Turismo Responsabile (AITR) .

Gabriella Dearca

RedazionaleAria di Vacanze che si avvicinano ed anche il redazionale,

che sente com tutti il bisogno di riposo, si fa un po’ da parte e lascia la prima pagina ai contenuti di questo numero che si presenta ricco di spunti per un’estate di relax ma anche di riflessioni.

Mentre qualcuno sente il bisogno di schedare i bambini Rom, noi sentiamo la necessità di ragionare sui veri conflitti che non sono tra le etnie ma, come sempre, tra sfruttatori e vittime, di qualsiasi razza o nazionalità,

Sentiamo il bisogno di parlare dei rischi dei lavoratori della Rinascente, dei problemi dell’unità europea, dei nuovi modi di lottare sindacalmente, del nuovo accordo sul modello contrattuale.

Ed inoltre, qualche elemento di positività come la buona cooperazione ed un modo di vivere il turismo che non è fatto solo di consumo ma anche di responsabilità... in tempi di ferie, non potevamo non parlarne, vero?

Buona lettura e buone vacanze... ci rivediamo a Settem-bre!

la Redazione