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il libro del

mare

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mare

testi Roberto Giangreco

illustrazioni Francesco Cometto

grafica www.kromosoma.com

stampa Grafiche Vieristampato in carta ecologica

2008 Legambientewww.legambiente.eu

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indiceprefazioneintroduzione

cap 1 elementi di ecologiacap 2 elementi di oceanografia di base

i fattori abioticii fattori biotici

cap 3 caratteristiche degli ecosistemi marinicap 4 gli ambienti del marecap 5 il Mediterraneo, le sue caratteristiche e specificitàcap 6 la prateria di posidonia

cap 7 le costesistema dunalemacchia mediterraneastagni salmastri e laghi costieri

cap 8 la pressione dell’uomo sugli ecosistemi marinil’inquinamentola pesca incontrollata e la pesca abusiva il turismo selvaggiola pressione sulle coste

cap 9 i cambiamenti climaticiil cambiamento climatico e il marela meridionalizzazione del Mediterraneola tropicalizzazione del Mediterraneol’invasione delle specie aliene

cap 10 il futuro che ci aspetta

appendicegli abitanti del mare il mare d’invernoattività per i ragazzi

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Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’al più è stato complice della sua irrequietezzaÓ

(Joseph Conrad)

Vascelli pirati e mostri marini, terre di conquista e tesori da scoprire.Il mare delle imprese avventurose di Conrad, delle fantastiche esplorazioni del Nautilus e del

suo Capitano, re dei nostri sogni di bambini, non più complice ma amico, oggi affida la suasorte proprio a noi.

Superate le ancestrali paure abbiamo imparato ad usarlo, talvolta nel peggiore dei modi.Rubandogli l’ossigeno, uccidendo i suoi predatori, scaricando nei suoi fondali rifiuti di ogni genere.

Nel lungo viaggio di questi anni ho visto recuperare in pochi metri d’acqua le cose piùassurde. Lavatrici, pneumatici, motorini, batterie esauste, lattine e plastica ma anche armi, bombedi profondità, siluri. Rifiuti che il tempo di una vita non riuscirà a cancellare, ma che in soli 50anni attaccati dalla ruggine diventeranno pericolosi. Se è vero come dicono che la natura sviluppai suoi anticorpi e risponde ai veleni producendone di nuovi per difendersi, non voglio immaginarecosa sarà il futuro del nostro pianeta blu.

Ma il mare come sta? Ci chiediamo in continuazione. Sopravvive, rispondiamo. Anzi risponde agli sforzi che, grazie all’infaticabile missione di

associazioni ambientaliste come Legambiente a cui dobbiamo essere grati, sono stati fatti inquesti anni per la sua tutela.

Non c’è riserva o Area Marina Protetta dove l’effetto parco non abbia dato straordinari risultati.La rete di Amp di cui il nostro Paese si è dotato ha confermato che la strada della tutela integraledi alcune zone è quella giusta, moltiplicando in pochi anni la risorsa, reintroducendo specieoramai scomparse, riproducendo l’indispensabile biodiversità.

Gestione integrata della fascia costiera, controllo della cementificazione, organismi dicoordinamento e controllo internazionali, rispetto delle regole internazionali e degli accordi siglatidagli Stati più sensibili all’emergenza ambientale, sono le nuove sfide da sostenere.

Ho imparato in Galizia, durante il disastro del Prestige, che ognuno di noi deve fare la suaparte. A Finisterre, Roberto Giangreco, in veste di esperto per il Servizio Difesa Mare del Ministerodell’Ambiente, mi ha mostrato una piccola pallina nera galleggiante. Era una infinitesima partedella marea nera che stava invadendo le coste spagnole, francesi e portoghesi, una minuscolagoccia di greggio che portata dalla corrente avrebbe potuto arrivare ovunque e come quellamilioni di altre. Anche quella andava rimossa e per farlo bastava una sola persona.

Li voglio vivi è un inno alla consapevolezza. È il risultato di una vita dedicata alla natura,all’ambiente, al mare.

È il libro giusto per chi ha voglia di trovare la propria goccia di mare da difendere.

Donatella Bianchi Giornalista, conduttrice di Linea blu

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Li Voglio Vivi compie dieci anniNel corso del tempo la campagna ha posto all’attenzione del grande pubblico e delle scuole l’affascinante mondo

del mare e delle coste italiane; ha cercato di presentarne, in modo divulgativo ma scientificamente corretto, un quadrocompleto, partendo dalla storia naturale degli organismi che lo popolano e dalla descrizione dell’ambiente fisico, delladinamica e del funzionamento degli ecosistemi marino-costieri, analizzando le minacce che ne mettono in pericolo lasopravvivenza e gli scenari futuri che il cambiamento climatico prospetta al Mare Nostrum.

Per non disperdere il patrimonio di esperienza accumulato nel corso di questi anni, patrimonio che ha dimostratodi essere ampiamente gradito ed apprezzato dai ragazzi e dagli adulti che sono entrati in contatto con questa campagna,abbiamo pensato insieme al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di raccogliere e riorganizzareil materiale realizzato in un unico volume, che possa consentire al lettore di approfondire in modo sistematico laconoscenza del nostro mare e delle nostre coste e di comprendere, oltre i pericoli che ne minacciano il futuro, anchei comportamenti virtuosi che ognuno di noi potrà in prima persona praticare.

Allo scopo di approfondire le tematiche trattate, abbiamo pensato di integrare il testo con delle schede checonsentiranno di penetrare più a fondo i problemi del nostro mare e delle nostre coste, suggerendo percorsi disperimentazione seguendo la metodologia dell’inchiesta. Questo lo rende un utile strumento didattico a disposizionedi tutte quelle scuole che hanno seguito nel corso del tempo il nostro progetto.

Buona lettura!!

Sebastiano VenneriResponsabile Mare Legambiente

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ELEMENTI DI ECOLOGIA

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Il nostro pianeta brulica di vita che colonizza ogni spazio disponibile e che assume miriadi di forme tanto diversequanto affascinanti. Batteri, alghe, piante, microrganismi, molluschi, crostacei, vertebrati e l’uomo stesso dipendonoper la loro esistenza da fattori legati alla natura dell’ambiente in cui vivono e ai rapporti che instaurano tra loro. Lascienza che si occupa dello studio di queste relazioni si chiama ecologia.

L'ecosistema è alla base dello studio dell’ecologia e rappresenta proprio il sistema dei rapporti tra le comunitàviventi e il territorio che le ospita, quale che sia la sua dimensione. In un ecosistema abbiamo quindi due distintecomponenti che interagiscono strettamente tra loro: l’ambiente fisico o biotopo e l’insieme dei suoi abitanti, chiamatobiocenosi o comunità. Il biotopo è un ambiente delimitato da caratteristiche omogenee -come può essere ad esempioun prato o uno stagno- ed è caratterizzato dal supporto inorganico (suolo, acqua) e da tutti gli aspetti chimico-fisici(temperatura, luce, nutrienti) che ad esso sono collegati. Tutti gli esseri viventi che popolano un determinato biotopocostituiscono pertanto nel loro insieme una comunità o biocenosi.

Il termine habitat è un’altra parola che indica l’ambiente fisico, ma è riferita ad una singola specie (ad esempio,l’habitat del cavalluccio marino è la prateria di posidonia) quindi è come se fosse l’indirizzo in cui è possibile trovareun determinato organismo, mentre in un biotopo troveremo numerose specie collegate tra loro.

Sia le singole componenti che l’intero ecosistema funzionano grazie alla presenza di una fonte di energia, che vienetrasformata e trasferita all’interno dell’ecosistema stesso, che si comporta quasi come una macchina il cui scopo èprodurre vita. Salvo poche eccezioni, la fonte di energia di un ecosistema è la luce solare, ma a volte l’energia necessariaper consentire la sopravvivenza di un ecosistema è prodotta da reazioni chimiche, come nel caso dei batteri chemiotrofi,che possono così vivere in ambienti privi di luce come gli abissi marini. L’energia proveniente dal sole viene catturatamediante la fotosintesi dagli organismi autotrofi (chiamati anche produttori primari), ovvero le piante verdi e le algheche sono per questo alla base dell’intero ecosistema. L’energia catturata viene usata dalle piante per crescere,immagazzinando il flusso proveniente dai raggi solari attraverso la produzione di glucosio e altre sostanze organiche,a partire dall’anidride carbonica presente nell’aria o disciolta nell’acqua e utilizzando i minerali inorganici a disposizione.

Questa materia organica (biomassa) diventa quindi cibo per gli altri componenti del sistema: gli eterotrofi, cioèorganismi che non sono in grado di ottenere il loro fabbisogno di energia direttamente dal sole ma che devono quindicibarsi o di piante, come gli erbivori (chiamati quindi consumatori primari), oppure di altri animali come i carnivori (dettiinvece consumatori secondari); un’ultima categoria è infine costituita dai decompositori che si cibano della materiaorganica disciolta o dispersa nell’ambiente.

Questa struttura composta dagli organismi autotrofi e dai successivi livelli di organismi eterotrofi è chiamata strutturatrofica e ogni suo livello prende il nome di livello trofico. La struttura trofica è una caratteristica di tutti gli ecosistemi.Il primo livello è costituito dalle piante o dagli altri produttori, che catturano l’energia e la immagazzinano sotto formadi materia vivente. Il secondo livello dagli erbivori ed il terzo dai carnivori. Man mano che si passa da un livello all’altrogran parte dell’energia viene persa attraverso il metabolismo degli organismi e la perdita di calore in una percentualeche va dall’80 al 95% . La struttura trofica assume quindi una configurazione simile a una piramide a gradoni -per questochiamata piramide trofica- con gradoni che diventano sempre più piccoli procedendo verso l’alto, perché il flusso dienergia che passa da un livello inferiore al superiore può sostentare un numero di organismi molto minore. I carnivoripossono a loro volta essere preda di carnivori più grandi, i cosiddetti superpredatori (come leoni, lupi, aquile o squali)che possono pertanto formare un quarto gradino, il più piccolo. In quest’ultimo gradino possiamo includere anche glionnivori, come l’uomo, che si nutrono sia di vegetali che di animali. A completare il funzionamento della strutturatrofica di un ecosistema troviamo i decompositori, che sono organismi (principalmente batteri) che si nutrono dei resti

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la struttura trofica di un ecosistema ha una configurazione simile a una piramide a gradoni

degli organismi vegetali e animali. I decompositori operano a tutti i livelli della piramide troficarestituendo all’ambiente le sostanze organiche che verranno poi riutilizzate dalle piante dandodi nuovo avvio al ciclo.

Il trasferimento di energia all’interno di un ecosistema può seguire diversi percorsi; ognipercorso che trasferisce energia a partire da una sorgente fotosintetica e attraverso una seriesuccessiva di livelli di consumatori (primari e secondari, cioè erbivori e carnivori) viene chiamatocatena alimentare. La combinazione di tutte le catene alimentari presenti in un ecosistema (unpiccolo gamberetto appartenente allo zooplancton può essere mangiato da una sardina come daun grande squalo filtratore) è chiamata rete alimentare, che è quindi la somma di tutti i percorsiche l’energia compie da un livello all’altro di una comunità o di un ecosistema.

Componenti abiotici indispensabili della struttura trofica sono una sorgente di energia (lucesolare o altro), i nutrienti inorganici e l’acqua. Gli organismi fotosintetici infatti non possonofissare l’energia e produrre molecole organiche complesse senza la luce solare e senza i nutrientiinorganici, come i nitrati e i fosfati, mentre l’acqua è indispensabile come mezzo in cui faravvenire molte reazioni necessarie alla vita.

All’interno di un ecosistema, gli elementi chimici e i componenti organici che compongonoil corpo delle piante e degli animali sono continuamente in circolo tra l’ambiente esterno e gliorganismi stessi: il carbonio che le piante utilizzano per produrre glucosio durante la fotosintesi,viene prelevato sotto forma di CO2 presente nell’aria o disciolta nell’acqua, e viene poi restituitoall’ambiente attraverso la respirazione o la decomposizione; l’ossigeno viene assuntodirettamente dall’aria o dall’acqua per la respirazione e reinserito nell’ambiente legato al carboniosotto forma di CO2; anche l’azoto, il fosforo e gli altri minerali utilizzati dagli organismi per lecomplesse reazioni chimiche che sono alla base della vita, sono soggette a questo scambio. Icontinui trasferimenti tra organismi e ambiente di queste sostanze vengono chiamati cicli chimici(ciclo chimico del fosforo, ciclo chimico del carbonio…) e sono fondamentali per la sopravvivenzadell’ecosistema.

L'ecosistema, con questa complessa struttura che abbiamo descritto, funziona quindi nelsuo insieme come una macchina che si basa su un equilibrio dinamico e che è dotata di capacitàdi autoregolazione. Equilibrio dinamico vuol dire che un ecosistema subisce un continuocambiamento dettato dalla necessità di adattarsi ai diversi fattori ambientali, ai loro mutamentie alle interazioni tra questi e la grande quantità e varietà di specie animali e vegetali, in perennecompetizione per la conquista di spazi e risorse. Un ecosistema quindi, non rimane identico neltempo ma, per effetto delle stesse interazioni che si verificano tra i suoi componenti, è destinatoad evolversi. Ogni ecosistema vive pertanto delle trasformazioni nel tempo, perché tende adadattarsi alle condizioni ambientali del momento. La sequenza delle trasformazionidell’ecosistema (parliamo di periodi di tempo molto lunghi, da decenni a millenni) costituiscequella che viene chiamata successione ecologica, che tende a raggiungere prima o poi un puntodi stabilità quando l’ecosistema è in equilibrio stabile con quel tipo di condizioni climatiche efisiche, questo stadio finale è chiamato comunità climax.

Un ecosistema è in grado di reagire alle sollecitazioni esterne grazie alla sua capacità diautoregolazione, ovvero la sua capacità di tamponare le variazioni determinate da fattori esterni,ripristinando il suo equilibrio. Ciò naturalmente vale solo entro certi limiti e al di fuori di questil'equilibrio tra le componenti del sistema può spostarsi in modo irreversibile, determinandol'alterazione o la morte dell'ecosistema stesso. Quando ad esempio una comunità viene alteratadall’inquinamento, da un incendio, dalla scomparsa di una specie o dall’invasione di nuovespecie, si possono creare grandi cambiamenti nella sua struttura e nella sua capacità di interagirecon l’ambiente, che portano inevitabilmente al formarsi di nuove associazioni sia vegetali cheanimali, generalmente molto differenti dalle preesistenti, spesso costituite da poche speciedominanti, caratterizzate da una grande resistenza e adattabilità e dalla presenza di moltiindividui. Questa nuova comunità, che nascendo a seguito di un trauma tende ad essere pocostabile, troverà con il tempo un proprio equilibrio. Con il ripristinarsi delle condizioni originarie,questa nuova associazione tenderà a recuperare la struttura e la condizione che avevaprecedentemente, che era funzionale alle condizioni fisiche in cui si era formata. Se però lostress iniziale è troppo forte, anche le grandi capacità di autoregolazione di un ecosistema sonoa quel punto vane per cui si arriverà inevitabilmente alla morte dell’ecosistema.

Tra gli organismi che compongono una biocenosi si instaurano relazioni che influenzano lacomposizione e la struttura della comunità; tra queste riveste un ruolo fondamentale lacompetizione che nasce dal fatto che le risorse alimentari e di spazio in un determinato habitatnon sono infinite e che le specie, quindi, dovranno competere tra loro per assicurarsele. Lacompetizione può avvenire tra individui di una stessa specie (competizione intraspecifica) o traspecie diverse (competizione interspecifica) e può risolversi in diversi modi. Quello più cruento

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l'ecosistema è costituito da biotopo e biocenosi

il pesce pagliaccio vive in simbiosi conl'anemone

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consiste nella sopraffazione di una specie mediante l’eliminazione o l’allontanamento della specie perdente. Un temposi riteneva che questa risoluzione fosse la norma nella competizione, dando luogo al principio della sopravvivenza delpiù forte, ora sostituito dal concetto di sopravvivenza del più adatto. Nella realtà non sempre le cose si concludonoattraverso un meccanismo di sopraffazione e molto più spesso le specie (o anche gli individui nel caso dellacompetizione intraspecifica), sotto la spinta della competizione, si diversificano e cercano di evitare la concorrenzaspecializzandosi e creandosi una propria nicchia ecologica, termine con cui si definisce il ruolo di una specie nellacomunità. La nicchia ecologica costituisce pertanto l’insieme delle opportunità offerte ad una specie di accedere ad unaparticolare risorsa alimentare o di spazio (luoghi di nidificazione, territori), evitando la concorrenza di altre specie.Secondo una vecchia ma efficace definizione utilizzata in ecologia, che può servire a chiarire questo concetto, mentrel’habitat è l’indirizzo di una specie, la nicchia ecologica rappresenta la sua professione all’interno dell’ecosistema. Inuna biocenosi si avranno specie dominanti che per la loro importanza o per la loro numerosità caratterizzano l’interoecosistema -come ad esempio il bosco di faggio per la faggeta o la Posidonia oceanica per la prateria di posidonia- especie in cui il numero di individui è assai più basso, ma che sono tuttavia ugualmente importanti per l’equilibriodell’ecosistema stesso.

Le altre relazioni tra le specie sono basate sulla predazione, sul parassitismo -che in fondo è anch’esso una formadi predazione e che consiste in un rapporto tra due specie, generalmente per scopi alimentari che alla fine porta allamorte o al deperimento di uno dei due individui ad opera dell'altro- e su altre forme di relazioni via via più pacificheed al contempo più complesse che vanno dall’inquilinismo, in cui due o più specie occupano pacificamente lo stessospazio, al commensalismo, che è un rapporto tra due o più specie in cui una guadagna molti benefici mentre le altrenon ne traggono particolari vantaggi o svantaggi. Riguardo il commensalismo in mare ne esistono moltissimi esempi,basti pensare alle grandi spugne che al loro interno possono contenere più di mille individui: piccoli gamberetti,gobidi, gasteropodi, ofiure e granchi, cui garantiscono protezione e rifugio. Passando attraverso vari stadi dicooperazione sempre più complessi, si arriva alla simbiosi, che è una associazione tra specie da cui tutti traggonoreciproco vantaggio e di cui uno degli esempi più famosi è costituito dal rapporto tra il pesce pagliaccio e l’anemonedi mare. In questo caso infatti il pesce pagliaccio viene protetto dai predatori dalla barriera costituita dai tentacoliurticanti dell’anemone, mentre questo ne riceve in cambio pulizia dai parassiti e residui alimentari. Esistono poi anchealtre relazioni che possono essere considerate di tipo più sociale, come il territorialismo, ovvero la difesa di un territorioper scopi alimentari o di riproduzione da cui vengono scacciati gli intrusi della stessa specie, o la tendenza, molto diffusain mare, a formare raggruppamenti anche numerosissimi, allo scopo di difendersi dai predatori, o di facilitare ilreperimento del cibo (come avviene per i gruppi organizzati di cetacei quali orche o delfini) o anche per scopiriproduttivi.

Ovviamente più gli elementi che compongono questo complesso equilibrio sono numerosi, più esso sarà solido estabile. Basti pensare ad uno sgabello: su uno a due gambe possiamo sederci solo se ci puntelliamo a qualcosa, unoa tre gambe sarà indubbiamente molto più solido, uno con sei gambe ci sosterrebbe anche se una delle gambe venissesegata via. Allo stesso modo funzionano gli ecosistemi, in cui le specie costituiscono le gambe dello sgabello; è perquesto che la biodiversità, che in pratica è il numero delle differenti specie che compongono un ecosistema, è cosìimportante: più specie sono presenti, più gambe sostengono lo sgabello, più questo sarà stabile e continuerà afunzionare. Per questo motivo è così importante difendere la biodiversità del nostro pianeta, perché è su essa che siregge lo sgabello che sostiene l’intera Terra.

ELEMENTI DI OCEANOGRAFIA DI BASE

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Studiando il mare, una delle cose più affascinanti è scoprire che i fattori alla base della vita nelle sue acque seguonoovunque gli stessi principi e le stesse regole, tanto nelle calde acque della barriera tropicale quanto nelle gelideprofondità dell’Antartide. Questi fattori che regolano la formazione e lo sviluppo delle comunità viventi possono esseresuddivisi in due grandi gruppi, i fattori abiotici, non legati cioè direttamente alla vita, ed i fattori biotici.

L’insieme dei fattori abiotici e di quelli biotici determina la composizione degli ecosistemi e delle comunità marine.

I fattori abioticiLa temperatura: può variare dai - 2,5°C raggiunti in alcuni punti dei fondali oceanici, ai 30 e oltre delle barriere

coralline. Bisogna rammentare che ad eccezione degli uccelli, dei mammiferi marini e di alcuni pesci che sono a sanguecaldo o omeotermi, le creature marine sono generalmente ectoterme, ovvero a sangue freddo e quindi molto influenzatedalla temperatura esterna. In mare troveremo organismi, detti euritermi, in grado di sopportare grandi variazioni ditemperatura ed altri, detti stenotermi, che invece possono sopravvivere solo in un piccolo intervallo di temperatura.

La salinità: l’acqua di mare contiene una percentuale di sali disciolti, in media 35 gr per litro, costituiti in granparte da cloruro di sodio (il comune sale da cucina); questa percentuale, pur essendo abbastanza costante, subiscenotevoli variazioni in presenza di estuari di fiumi o di acque basse soggette a forte evaporazione. Non tutti gliorganismi reagiscono a queste variazioni allo stesso modo; esistono specie eurialine in grado di tollerare variazionidi salinità dell’acqua e specie stenoaline che invece tollerano intervalli molto ristretti di salinità. Esistono poi speciein grado di passare indifferentemente da un ambiente salato a uno dolce, come i salmoni che nascono e si riproduconoin acqua dolce, ma trascorrono tutta la vita adulta in mare, o le anguille che fanno il percorso inverso, nascendonell’oceano e trascorrendo la vita adulta nelle acque dei fiumi e dei laghi. Le specie come i salmoni sono dette

anadrome, quelle come le anguille catadrome. Infine ci sono pesci come i cefali che vivono tra estuari, laghi costierie mare aperto e passano indifferentemente da un ambiente all’altro.

I gas disciolti: l’ossigeno e l’anidride carbonica, CO2, sono alla base della respirazione e della fotosintesi e quindiindispensabili per la vita; la loro percentuale nell’acqua, che non è uniformemente diffusa dalla superficie al fondo e chevaria anche in funzione della temperatura, influenza la distribuzione degli organismi e la composizione delle comunità.

I nutrienti: le sostanze inorganiche come il fosforo e l’azoto servono agli organismi che si trovano alla base dellacatena alimentare (i produttori primari, come le alghe e le piante superiori) per formare molecole complesse (nucleotidi,aminoacidi e proteine) e creare la biomassa, riuscendo così a trasformare minerali inorganici, anidride carbonica e lucedel sole in sostanza organica, attraverso la fotosintesi.

La luce e la trasparenza dell’acqua: nell’acqua torbida può diminuire di molto la profondità raggiunta dai raggi solari;la zona costituita dagli strati più superficiali della colonna d’acqua, dove c’è luce sufficiente per gli organismi vegetalisuperiore, è chiamata zona eufotica e può giungere sino ad una profondità che va dai 40 – 50 m sino ai 100 m nei maripiù trasparenti. La zona fotica, dove c’è ancora un fievole barlume di luce, si spinge sino ai 200 m, mentre al di sotto diquesta si estende la zona afotica, il regno dell’oscurità perenne, dove non possono quindi sopravvivere gli organismiproduttori che si basano sulla fotosintesi per la produzione primaria. Gli organismi, in funzione del grado di tolleranza odipendenza dalla luce, possono a loro volta essere suddivisi in fotofili -termine che alla lettera significa amanti della luce-e sciafili, ovvero specie che preferiscono minore quantità di luce se non addirittura il buio vero e proprio.

La pressione: in superficie è di 1 atmosfera e aumenta di una ogni 10 metri di profondità (questo vuol dire che a1.000 metri di profondità avremo una pressione di 101 atmosfere, sufficiente a schiacciare anche un sottomarino). Lespecie che vivono alle profondità abissali sono prive di vesciche natatorie (quindi prive di spazi contenenti gas al lorointerno) e riescono così a sopportare la grande pressione, poiché i loro liquidi corporei e i tessuti sono incomprimibili.I pesci che vivono a profondità meno elevate, ma comunque notevoli, sono invece dotati di questo organo di equilibrio:trasportati rapidamente in superficie, la vescica natatoria, adattata alla enorme pressione del fondo, scoppia comeun palloncino!

Anche il pH (l’indice che misura il grado di acidità del mare), la tipologia dei fondali, la viscosità, la densità e ilmovimento delle acque, influenzano la vita negli oceani.

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Le onde, la cui causa prima è legata al vento, sono i movimenti della superficie. Le maree, che nelle nostre acque sono poco avvertite, sono movimenti periodici che si

ripetono con cicli precisi, dovuti all’attrazione esercitata dai corpi celesti, dalla luna in particolare,sulla massa d’acqua, che deforma la superficie del mare innalzandola rispetto al livello normale.Sono quattro le fasi di marea: l’innalzamento, o flusso di marea; l’alta marea, in cui l’altezzaraggiunge il suo apice; il riflusso di marea, fase di abbassamento del livello della superficiemarina; e la bassa marea, in cui l’altezza del mare raggiunge il livello minimo. Il tutto accade inun arco di tempo di 24 ore e 50 minuti, che corrisponde al tempo impiegato dalla luna percompiere una rivoluzione attorno al nostro pianeta. Le maree più alte, dette sigiziali, si verificanodurante particolari allineamenti della terra con il sole e la luna e possono raggiungereun’escursione di parecchi metri. In Mediterraneo il fenomeno è meno imponente rispetto a quelloche accade nel Mare del Nord o negli oceani, dove l’escursione di marea raggiunge diversi metri,mettendo giornalmente allo scoperto estesissimi tratti di fondale marino, influendo quindipesantemente sulla composizione e sulla struttura delle comunità che vivono in questa fascia.

Le correnti, infine, hanno una notevole importanza biologica sia perché influiscono su tantiparametri fisico-chimici (come la temperatura, la salinità e i nutrienti) sia perché assicurano ilricambio dell’acqua e l’apporto di nutrienti e di cibo ai vegetali e agli animali bentonici che sinutrono di particelle in sospensione. Le correnti di risalita dai fondali oceanici, dette correnti diupwelling, assicurano la risalita dei nutrienti derivanti dalla decomposizione ad opera degliorganismi dei fondali. Anche le correnti dunque permettono la distribuzione geografica dellespecie, svolgendo un ruolo fondamentale sia per la regolazione della temperatura delle acquesuperficiali e profonde, che per il trasporto di sostanze nutritive e di stadi giovanili di organismimarini. Le correnti sono generate in gran parte dalle variazioni di temperatura e sono quindi altempo stesso un utile indicatore dei cambiamenti climatici e uno dei fattori a risentirnemaggiormente, a volte anche in modo imprevedibile.

I fattori bioticiOltre ai fattori abiotici, alla composizione degli ecosistemi contribuiscono altri fattori legati

alla vita stessa e alle relazioni tra le forme di vita. Tra gli organismi si instaurano quindi relazionidi cui abbiamo già parlato e che influenzano la composizione e la struttura della comunità: lacompetizione tra le specie per le risorse presenti nel biotopo, la creazione di nicchie ecologichee l’affermarsi di specie dominanti, che caratterizzano il biotopo stesso e le relazioni tra specieche sono alla base delle catene alimentari, ovvero predazione, parassitismo, commensalismo,simbiosi.

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le correnti di upwelling assicurano la risalita del krill di cui si nutrono le balene

CARATTERISTICHE DEGLI ECOSISTEMI MARINI

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Scorrendo la lista dei fattori che influenzano la vita nel mare è a questo punto, abbastanza facile immaginare chepur basandosi sulle stesse leggi generali, le differenze tra gli ecosistemi marini e terrestri sono notevoli.

Alcuni fattori molto importanti in mare, pressione, salinità, gas disciolti, sulla terra non rivestono alcuna importanza,mentre la luce, come abbiamo visto, svolge un ruolo molto diverso. Le biocenosi marine presentano rispetto a quelleterrestri delle differenze legate ad una maggiore complessità dovuta alla peculiarità degli organismi autotrofi marini edalla enorme quantità di sostanze organiche in sospensione o che si depositano sul fondo, che danno origine a catenetrofiche basate sul detrito. Gli ecosistemi terrestri sono dominati da grandi piante caratterizzate da una vita spessolunghissima, in quelli marini i produttori, fatta eccezione per alcune grandi alghe come il Kelp, sono di piccole omicroscopiche dimensioni, pur rappresentando complessivamente una enorme biomassa. Per questo fatto gli erbivoriin senso stretto in mare sono assai pochi rispetto agli ecosistemi terrestri; nelle nostre acque, per esempio, la salpa èuno dei pochissimi pesci erbivori, la maggior parte degli altri pesci sono planctofagi o carnivori, o specializzati nel cibarsidi molluschi o in mille altre cose. In mare i consumatori primari sono quindi principalmente a livello dello zooplancton,perchè le alghe del fitoplancton, in gran parte unicellulari sono troppo piccole per essere predate da organismi delledimensioni di un pesciolino. Esattamente al contrario di quanto accade negli ecosistemi terrestri; gli animali più grandinon sono erbivori, ma carnivori, nella fattispecie filtratori visto che sia il mammifero più grande -la balenottera azzurra-sia i più grandi tra i pesci -lo squalo balena, lo squalo elefante, ed il megamouth- si nutrono filtrando zooplancton ekrill, attraverso i fanoni o le branchie.

Anche gli organismi che vivono in mare si differenziano in modo diverso rispetto a quelli terrestri e possono essereraggruppati in differenti categorie:

Plancton. Costituisce l’insieme degli organismi che vive in sospensione nella massa d’acqua degli oceani, sonodotati di poca capacità di movimento autonomo e affidano i loro spostamenti alle correnti. Il plancton si suddivideulteriormente in fitoplancton costituito dagli organismi vegetali come le alghe unicellulari e in zooplancton formato dagliorganismi animali (piccoli crostacei, meduse). In quest’ultima categoria vengono generalmente compresi anche gli stadilarvali di molte specie appartenenti ad altre categorie come crostacei, pesci e molluschi.

Necton. È costituito dagli organismi che si muovono attivamente nell’acqua, vincendo la forza della corrente. Viappartengono molluschi cefalopodi, pesci e selaci pelagici, tartarughe marine e mammiferi marini.

Benthos. Categoria che raggruppa gli organismi che vivono a contatto o fissati sul fondo marino o comunque sulsubstrato. Comprende pesci come la sogliola, selaci come le razze o certi squali, molluschi, stelle marine, filtratoricome gorgonie e coralli.

Da quel che abbiamo potuto vedere finora è quindi facile capire che le catene alimentari e la rete trofica in maresaranno quindi molto più complesse di quelle terrestri. Nelle acque marine pertanto possiamo trovare:

Produttori primari, che possono essere batteri autotrofi o in maggior parte i vegetali autotrofi, sia planctonici, comele alghe azzurre e alghe verdi unicellulari, sia bentonici come le fanerogame marine. Tutti questi organismi nel loroinsieme rappresentano i produttori che costituiscono la base della piramide trofica, la differenza principale negliecosistemi terrestri sta nelle relativamente piccole dimensioni degli organismi.

Sospensivori o sestonofagi. Si tratta di organismi microfagi che si nutrono di minuscole particelle sospese in acqua.Possono essere sia organismi plantonici, come i copepodi, sia organismi sessili (cioè che aderiscono a un substrato)come spugne, coralli, ascidie e gorgonie.

Filtratori. Alcuni organismi filtratori sono i più grandi organismi mai vissuti sulla terra, le grandi balene infatti sinutrono filtrando lo zooplancton attraverso i fanoni e così fanno anche i più grandi tra gli squali, come lo squalobalena, lo squalo elefante, che vive anche in Mediterraneo e il misterioso megamouth, recentemente scoperto, che perfiltrare il cibo utilizzano le branchie. Anche la manta, la più grande delle razze è un filtratore planctofago.

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Detritivori microfagi. Sono animali generalmente bentonici che si nutrono dei detriti organicipresenti sul fondo marino, oltre che di larve e di batteri o altri microrganismi. Ne fanno partealcuni bivalvi, le oloturie e crostacei come anfipodi e isopodi.

Limivori. Sono animali bentonici che si cibano ingurgitando grandi quantità di limo esedimento da cui poi estraggono nel canale digerente le particelle nutrienti e i residui organici.Appartengono a questo gruppo molti policheti (arenicola, tremolina).

Erbivori. Corrispondono ai consumatori primari terrestri e si nutrono di vegetali. Ne fanno partepesci come le salpe, i ricci di mare, alcuni molluschi come l’occhio di santa lucia e l’opistobrancoaplysia, detto anche lepre di mare. Rispetto all’ambiente terrestre questo gruppo non è moltoabbondante per specie e per numero di individui, anche perchè gli animali che nello zooplancton sinutrono di fitoplancton, pur essendo in un certo senso erbivori, vengono considerati filtratori.

Onnivori o spazzini. Macrofagi che si nutrono sia di vegetali che di carogne, oltre che diprede vive. Ne fanno parte crostacei decapodi, policheti, e gasteropodi come la nassa ed ilbuccino, oltre a diverse specie di pesci.

Carnivori. Macrofagi (in grado di ingerire cibo di notevoli dimensioni) che si nutrono di altrianimali. Alcuni di essi si nutrono degli organismi appartenenti ai gruppi già menzionati, altri, verie propri superpredatori, si nutrono anche di altri carnivori. Appartengono a questo gruppo moltipesci, i selaci (squali e razze anche se alcuni sono filtratori), cefalopodi, mammiferi marini,meduse, stelle marine e molti molluschi gasteropodi come i nudibranchi.

Parassiti. Gruppo molto numeroso di animali appartenenti a phyla molto diversi e chepresentano specializzazioni molto accentuate. I parassiti abbandonano la vita libera,generalmente limitata alla sola fase larvale, per legarsi ad un ospite. Realizzano delle struttureche gli consentono di accedere all’ospite sia internamente (endoparassiti come nematodi, cestodied alcuni crostacei) o esternamente (ectoparassiti) aderendo alla superficie della vittima, comediverse specie di crostacei.

La composizione delle reti trofiche in mare dipenderà da molti fattori come la profondità, lapresenza di luce e le correnti marine che daranno vita a comunità e biocenosi differenti a secondadell’influenza dei diversi fattori.

L’esistenza di una rete trofica, pur rappresentando un sistema molto efficace per sfruttarel’energia che giunge sulla terra sotto forma di radiazione solare, presenta alcuni inconvenientiche possono creare problemi anche all’uomo: alcuni tipi di sostanze tossiche infatti, come ilmercurio, il PCB, il DDT, tendono ad accumularsi e a concentrarsi all’interno delle catenealimentari e delle catene trofiche; si tratta di due fenomeni distinti che spesso possono combinarsi.Il primo è il bioaccumulo, che è costituto dalla concentrazione all’interno di un organismo disostanze tossiche presenti nell’ambiente in cui esso vive. Queste sostanze vengono assunteattraverso l’alimentazione o in altri modi quali la respirazione o la penetrazione attraversol’epidermide. Queste concentrazioni possono anche essere decine di volte maggiori rispettoall’ambiente esterno.

Il secondo fenomeno è chiamato magnificazione biologica, parola complicata che non descriveahimè qualcosa di magnifico, ma il processo in cui le sostanze tossiche presenti nell’ambientevengono concentrate attraverso la catena alimentare in forti quantità man mano che si sale neigradini superiori della piramide trofica, giungendo sino al punto di poter essere pericolose peri consumatori finali come i superpredatori e l’uomo. In pratica se il mercurio è presente nell’acquadel mare in quantità limitate, esso sarà concentrato nell’organismo di alcuni vegetalifitoplanctonici che verranno ingeriti da crostacei dello zooplancton, che concentreranno nel loroorganismo tutto il mercurio accumulato dal fitoplancton. I crostacei verranno mangiati dallesardine e così via salendo lungo le catene alimentari sino al tonno, superpredatore che si nutredi altri carnivori e che può quindi avere accumulato quantità di mercurio tali da renderlo tossico,per arrivare infine al superpredatore più in alto di tutti nella catena alimentare, l’uomo.

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le salpe sono tra lepoche specie di pesciquasi esclusivamenteerbivore

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GLI AMBIENTI DEL MARE

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Per cercare di descrivere meglio l’enorme massa degli oceani e delle creature che li popolano, gli ambienti del marepossono essere raggruppati in base a diversi criteri e suddivisioni, sia orizzontalmente che verticalmente. L’intera zona delmare aperto costituisce il Dominio Pelagico, che comprende l’intera massa d’acqua dove vivono gli organismi che popolanole acque, che nel loro insieme sono detti Pelagos. Al pelagico si contrappone il Dominio Bentonico, che è costituito dall’interofondale marino e in cui vivono gli organismi del Benthos.

Dal punto di vista orizzontale il Dominio Pelagico può essere suddiviso in due provincie: la Provincia Neritica, costituitadalle acque aperte che sovrastano la piattaforma continentale e la Provincia Oceanica che comprende le acque aperte soprai bacini oceanici.

In funzione della luce possiamo dividere invece l’ambiente oceanico in due zone:La Zona fotica: chiamata anche zona epipelagica, va dalla superficie fino al limite di penetrazione della luce solare che

in media è attorno ai 200 m di profondità e in cui vivono le comunità basate sulla produzione di energia dagli organismiautotrofi. Lo strato più superficiale, sino ai 50 m di profondità è chiamato zona eufotica.

La Zona afotica: si estende al di sotto del limite di penetrazione della luce. In essa vivono comunità basate in gran partesu organismi eterotrofi: carnivori decompositori e detritivori e pochi batteri autotrofi.

Alcuni scienziati individuano una zona di transizione tra queste due chiamata Zona disfotica, in cui non c‘è abbastanzaluce per la fotosintesi ma ce n’è ancora a sufficienza per consentire la vista e che si spinge dai 200 sino ai 1.000 m diprofondità.

Un'altra suddivisione verticale del mare prevede da 0 a 200 m una prima fascia epipelagica che coincide come abbiamovisto con la zona fotica; una seconda fascia mesopelagica che coincide con la zona disfotica, fino a circa 1.000 m di profondità;una terza fascia batipelagica dai 1.000 ai 2.000 – 4.000 m di profondità; una quarta fascia abissopelagica sino ai 6.000 med infine l’ultima, presente solo in poche zone degli oceani, la più profonda di tutte, la fascia adopelagica dai 6.000 ai 10.000m di profondità.

Il Dominio Bentonico comprende invece il Sistema litorale o fitale suddiviso in piano sopralitorale, che comprende le zonenormalmente non sommerse ma raggiunte dall’acqua solo tramite gli spruzzi delle mareggiate o nelle maree sigiziali; pianomediolitorale compreso tra i limiti della normale alta e bassa marea, piano che nel Mediterraneo è piuttosto ristretto; pianosublitorale che arriva fin dove vivono le piante fotofile. Nelle nostre acque, il piano sublitorale viene considerato il limite chepuò raggiungere la posidonia, ovvero una cinquantina di metri di profondità in caso di acque estremamente limpide. Troviamopoi il piano circalitorale che si spinge sino all’estremo limite della vita vegetale (popolato da alghe sciafile) e il Sistemaprofondo o afitale, in cui non esiste più fotosintesi, suddiviso a sua volta in piano batiale lungo le scarpate continentali, pianoabissale e piano adale, che rappresenta il fondo delle fosse più profonde, oltre i 7.000 m di profondità.

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gli ambienti marini possono essere individuati in base a diversi criteri e suddivisi sia orizzontalmente che verticalmente

IL MEDITERRANEO,LE SUE CARATTERISTICHE E SPECIFICITàË

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Racchiuso tra tre continenti il Mediterraneo con oltre 46.000 km di coste, isole comprese, è il più grande bacinosemichiuso del mondo. È caratterizzato da uno scarso ricambio delle sue acque che hanno un tempo di rinnovamento dicirca 100 anni per le acque superficiali, ma che sale a 7.000 anni se si prende in esame l’intero volume d’acqua in essocontenuto. La sua lunghezza massima misurabile tra Gibilterra e la Siria è di 3.800 km mentre raggiunge la larghezzamassima tra Francia ed Algeria con circa 900 km. La profondità media è di circa 1.500 m, con punte di oltre 4.000 m nelloIonio, ma esistono vasti tratti di piattaforma continentale con valori assai minori di profondità, come nel caso dell’Adriaticoin cui la profondità nella parte settentrionale non supera i 200 m e non arriva ai 50 nella porzione più a nord.

Il Mar Mediterraneo è un mare oligotrofico, cioè ricco di ossigeno e povero di nutrienti, con una temperatura mediaannuale di circa 15°C nel bacino occidentale e di 21°C in quello orientale, con una salinità media tra il 36,2 e il 39 ‰ (èquindi un mare piuttosto salato).

L’elevata salinità del Mediterraneo deriva dal fatto che il bacino ha un bilancio idrico negativo: gli apporti dei grandifiumi e dei corsi d’acqua che vi sboccano sono cioè insufficienti a rimpiazzare le perdite dovute all’evaporazione (destinataad aumentare con l’innalzamento della temperatura). Il mantenimento del livello del mare dipende dal flusso di acqua inentrata attraverso lo stretto di Gibilterra, proveniente dall’Oceano Atlantico; secondo alcuni oceanografi una goccia d’acquaentrata dallo stretto impiega più di 150 anni a compiere tutto il giro del Mediterraneo!

Le correnti vi svolgono un ruolo fondamentale, sia per la regolazione della temperatura delle sue acque superficiali eprofonde, che per il trasporto di sostanze nutritive e di stadi giovanili di organismi marini.

Le correnti mediterranee possono distinguersi in correnti superficiali, correnti intermedie e correnti profonde. Le correntisuperficiali traggono origine dal flusso d’acqua che penetra dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra e hannogeneralmente un andamento antiorario: l’acqua proveniente dall’oceano è più fredda e meno salata di quella presente nelbacino e rimane pertanto sulla superficie lambendo le coste nordafricane e generando la corrente algerina che a sua voltasi biforca in diverse altre correnti che conservano l’andamento antiorario. La corrente intermedia invece interessa lo stratodi acqua compreso tra i 200 e i 600 metri di profondità ed origina dal Mar di Levante, la porzione di Mediterraneo dalleacque più salate che possono raggiungere il 39,1 per mille di salinità; l’origine di questa corrente ricorda un po’ l’effetto diuna saponetta bagnata stretta nella mano. D’inverno, con il calo della temperatura dello strato superficiale, l’acqua diventapiù densa e comprime lo strato d’acqua inferiore che viene spinto via originando la corrente intermedia. Questa correnteha un andamento in direzione opposta a quella delle correnti superficiali, ed è divisa in un ramo principale che percorrel’intero Mediterraneo e in due rami secondari: uno che attraversa il golfo della Sirte e uno che attraversa lo Ionio e giungequasi fino a Trieste per poi ridiscendere attraversando nuovamente lo stretto di Otranto.

Le correnti di profondità interessano solo due aree del Mediterraneo -il bacino ligure provenzale e il Mar Ionio- e sonooriginate in inverno dal rapido raffreddamento delle acque superficiali provocato dal vento. Le acque più fredde e pesantidiventano più dense e sprofondano generando la risalita delle acque profonde, ricche di nutrienti. È proprio a causa di questofenomeno generato dal gelido mistral, che soffia in inverno nel golfo del Leone, che la popolazione di cetacei nel MarLigure è così abbondante: le correnti di risalita che si formano, le cosiddette correnti di upwelling, sono ricchissime dinutrienti che richiamano una grande quantità di krill, piccoli crostacei che costituiscono un eccellente cibo per le grandibalenottere.

Il Mediterraneo è un mare ricchissimo di biodiversità che contiene ben il 7% di tutte le specie marine conosciute almondo. Sono presenti 580 specie di pesci, tra cui 48 di squali e 36 di razze, 21 specie di mammiferi marini e 5 di tartarughe,oltre a 1.289 specie vegetali marine. Proprio per la sua straordinaria ricchezza e per l’alta presenza di endemismi, IlMediterraneo è stato indicato dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come global biodiversityhotspot, cioè uno dei posti non solo più ricco di biodiversità, ma anche più vulnerabile.

Una delle specie più caratteristiche del nostro mare è indubbiamente la posidonia (Posidonia oceanica) fanerogamamarina endemica del Mediterraneo, le cui praterie con una superficie di oltre 37.000 kmq, costituiscono uno degli ecosistemipiù importanti del bacino.

nel mar Mediterraneo le correnti svolgono un ruolo fondamentale sia per la regolazionedella temperatura,che per il trasportodi sostanze nutritive

La PRATERIA Di POSIDONIA

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La Posidonia oceanica, specie esclusiva del Mediterraneo, discende da vegetali terrestri che oltre 120 milioni di annifa conquistarono i fondali marini. Anche se molti pensano sia un’alga, in realtà è una fanerogama, ovvero una piantasuperiore, del tutto simile a quelle terrestri, dotata quindi di fusto, foglie e radici, che si è magnificamente adattata avivere sul fondo marino.

Le foglie della posidonia, di colore verde brillante, hanno una caratteristica forma a nastro, con l’estremità tondeggiante;sono larghe circa 1 cm e lunghe fino a 1 metro ma possono, in alcuni casi, raggiungere e superare i 150 cm di altezza. Sonoraggruppate in ciuffi di 4 – 8 foglie disposte a ventaglio: le più vecchie, anche più lunghe, sono situate all’esterno e le piùgiovani, più piccole, all’interno del fascio stesso. Con il sopraggiungere della stagione autunnale e delle prime grandimareggiate, si verifica una massiccia caduta di foglie adulte, all’origine dei grandi ammassi che si formano sulle spiagge,detti banquettes, cui segue una nuova produzione di foglie nel periodo invernale.

Una caratteristica fondamentale della posidonia è costituita dalla presenza di due differenti tipi di rizomi, una sorta diradici che in realtà sono fusti modificati, adattati all’ambiente sotterraneo:

• Il primo tipo di rizoma, detto tracciante, ha uno sviluppo orizzontale, che rende possibile alla posidonia di ancorarsial fondale grazie a una miriade di radici che si sviluppano sul lato inferiore; esso ha anche una importante funzione nellariproduzione asessuale della pianta, poiché origina stoloni che daranno vita a nuove piante in grado, a loro volta, di formarealtri stoloni;

• l’altro tipo di rizoma, quello da cui si originano le foglie, è invece caratterizzato da uno sviluppo verticale, in gradodi contrastare la tendenza all’insabbiamento dovuta al continuo depositarsi di sedimento tra le foglie e i rizomi. Ciò permettealla pianta di continuare ad innalzarsi rispetto al fondo marino.

Questa complessa organizzazione di ogni singola pianta è alla base della formazione di quello straordinario sistema

vivente che è la prateria di posidonia, in grado di modificare in maniera molto significativa il fondo del mare.La crescita sia orizzontale che verticale della pianta origina le mattes, tipiche formazioni a terrazza, un complicato

intreccio di rizomi e radici, che nel corso del tempo imprigionano i residui delle piante e degli animali morti, il sedimentoe la sabbia, compattandoli e provocando negli anni un consistente innalzamento del fondo marino. È stato stimato che lemattes crescono mediamente di circa un metro ogni secolo, e possono continuare a crescere per periodi molto lunghi.

La riproduzione della posidonia può essere sia sessuale, con fiori e frutti (le cosiddette olive di mare), che vegetativa.Nel secondo caso la riproduzione può avvenire mediante la formazione di stoloni o per formazione di talee. In questo

caso assistiamo alla formazione di radici da parte di frammenti di stoloni dotati di almeno una gemma fogliare, strappatialla prateria da correnti e mareggiate, che daranno vita, se riusciranno ad attecchire nel fondale adatto a una nuova piantain grado poi, con il lento processo di stolonizzazione, di accrescersi dando origine col tempo ad una nuova prateria.

Ma la capacità della posidonia di propagarsi colonizzando nuovi territori è affidata anche alla riproduzione sessuale. Isuoi fiori, non molto facili da osservare, sono di colore verdastro e raggruppati in numero variabile da quattro a dieci ininfiorescenze, attorno ad uno stelo che spunta proprio al centro del ciuffo fogliare e che è avvolto per tutta la lunghezzada brattee, una sorta di sottili scaglie con funzione protettiva.

Nelle praterie sino a 15 metri di profondità la fioritura può avvenire in settembre o in ottobre, mentre i frutti raggiungonola piena maturazione verso marzo - aprile.

Nelle praterie più profonde, oltre i 15 metri, tutto il processo avviene con un paio di mesi di ritardo.Il frutto è chiamato oliva di mare per l’aspetto, le dimensioni e il colore simili all’oliva terrestre. Quando il frutto, ricco

di sostanze oleose, giunge a piena maturazione, si stacca dalla pianta e galleggia sulla superficie del mare, affidato a ondee correnti che favoriscono quindi la dispersione dei semi in luoghi anche lontanissimi dalla prateria di origine. Cadono sulfondo solo dopo l’apertura del pericarpo che li avvolge, quindi dopo aver galleggiato per un discreto periodo di tempo. Seil seme cade su un fondale adatto, potrà colonizzarlo dando origine a una nuova prateria, in aree altrimenti inaccessibilicon la semplice riproduzione vegetativa.

La posidonia presenta una marcata stagionalità sia nei ritmi di crescita che nella produzione di nuove foglie; quest’ultimapresenta un massimo a primavera e un minimo coincidente con la stagione estiva, quando la temperatura dell’acqua è

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maggiore. Le foglie presentano una lunghezza diversa a seconda della stagione in cui sono spuntate,con il risultato che la prateria può apparire molto diversa nei diversi periodi dell’anno. In estate lefoglie sono lunghe e dal colore bruno o rosato, mentre in autunno, dopo i primi temporali e leprime mareggiate, si ha una caduta massiccia delle foglie più vecchie e più lunghe, e i ciuffi diposidonia, costituiti ormai solo dalle foglie più giovani, appaiono più bassi e di un colore verdebrillante.

Generalmente una prateria può estendersi da un metro di profondità (in alcuni casi le foglie dipraterie, in aree particolarmente riparate, in condizioni di bassa marea possono fuoriuscireparzialmente dall’acqua) sino a 30 - 35 metri, raggiungendo anche i 40 – 50 in presenza di acqueparticolarmente limpide, come quelle di Lampedusa e Linosa o di alcune zone della Sardegna. Laposidonia è un importante indicatore biologico, molto sensibile agli agenti inquinanti e, proprio perquesto, purtroppo in forte regressione nelle aree di costa mediterranea.

La prateria di posidonia costituisce un ambiente di straordinaria rilevanza per il Mediterraneo permolti motivi, tutti ugualmente importanti: l'elevata produzione primaria, ovvero la capacità diprodurre la materia organica mediante la fotosintesi a partire dal carbonio e dalla luce solare; lagrande biodiversità delle comunità animali e vegetali che ad essa sono associate; l’enorme contributoche offre alla difesa delle coste sabbiose dall’erosione.

La prateria di posidonia infatti• produce ossigeno: grazie al notevole sviluppo di superficie fogliare, un metro quadro di prateria

in buona salute può produrre 20 litri di ossigeno al giorno con un saldo attivo, sottraendo quelloconsumato dalla pianta per la respirazione, che va dai 14 ai 16 litri di ossigeno giornalieri;

• contribuisce a difenderci dall’effetto serra: produce materiale organico (biomassa) in elevataquantità, intrappolando anidride carbonica (CO2). La produttività di una prateria può arrivare a 21tonnellate di peso secco per ettaro, comparabile a quella delle foreste temperate. Una prateria inbuona salute, come tutta la vegetazione terrestre e marina, toglie anidride carbonica dall’atmosferacontribuendo a rallentare l’effetto serra. Questo è infatti dovuto alle grandi quantità di CO2 immessenell’atmosfera dalle attività umane, principalmente dall’utilizzo dei motori a scoppio e dai processiindustriali;

• trasferisce biomassa ad altri ecosistemi: si calcola che circa il 30% della produzione di biomassa(materia organica) venga esportato in ecosistemi distanti e molto più profondi sotto forma di detritofogliare utilizzato come cibo da altri organismi;

• difende la linea costiera: fissa i fondali mobili, così come sulla terraferma le radici degli alberie dei cespugli rendono stabili versanti e crinali prevenendo le frane;

• protegge le spiagge dall’erosione: l’accumulo di foglie morte sulle spiagge durante l’invernoprotegge la sabbia dalle mareggiate, mentre la presenza in sospensione in acqua di grandi quantitàdi detrito fogliare e di fibre smorza l’effetto delle onde. È stato dimostrato che la scomparsa di unmetro di mattes può causare l’arretramento della linea di costa, nel caso di un litorale sabbioso, dicirca 15 -18 metri.

La posidonia è caratterizzata da una lenta propagazione vegetativa e da una capacitàrelativamente bassa di resistere agli effetti della degradazione dell'habitat. Il crescente impattoantropico (pressione demografica, urbanizzazione, industrializzazione, inquinamento) minacciasempre più gli ecosistemi litorali e la regressione della Posidonia oceanica è testimoniata ormai intutta l'area mediterranea. La prateria è un ambiente estremamente ricco di vita e di specie chescompaiono con la sua regressione.

Una delle protezioni più importanti che la prateria offre è la marcata diminuzione del movimentodell’acqua in prossimità del fondo, a livello dei rizomi. La decisa riduzione dell’idrodinamismo offreun ambiente più tranquillo e più stabile rispetto al substrato circostante. La prateria è infatti riparodai predatori, zona di riproduzione e fonte di cibo per molti pesci, cefalopodi e crostacei, fungendoda vera e propria nursery per avannotti e giovanili di specie molto importanti per la pescaprofessionale.

La costruzione di moli e porti ha un forte impatto sulla possibilità di sopravvivenza delle praterie,sia per gli effetti immediati legati all’aumento di torbidità per l’azione di scavo o messa in opera,sia per quelli a lungo termine, dovuti alla modifica del movimento di onde e correnti e, diconseguenza, dei delicati processi di trasporto litorale che presiedono alla distribuzione dei sedimentilungo le linee di costa. A questi fattori si aggiunge la massiccia immissione in mare di inquinanti,con conseguente alterazione del delicato equilibrio chimico–fisico alla base della crescita di unacomunità vegetale, sia per l’effetto tossico diretto di alcuni elementi, sia per la mancanza di ossigenodovuta all’eccessivo apporto di nutrienti, sia infine per la diminuzione della trasparenza dell’acquacon conseguente carenza di luce per la fotosintesi.

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la prateria di posidonia costituisce un ecosistema che ospita un gran nu-mero di specie animali ed è moltoimportante per laproduzione di ossigeno

il frutto della posidonia

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Altra grande minaccia è l’azione meccanica di sfregamento causata dalla pesca a strascico e da quella dei molluschi.Pesca illegale, dovremmo meglio dire, perché questo tipo di attività di cattura è consentito solo oltre le tre miglia dalla costae a profondità superiori ai cinquanta metri, proprio con lo scopo di difendere le praterie che a quella profondità non sonocerto presenti. Tuttavia, per la difficoltà dei controlli e la miopia di alcuni pescatori che in questo modo distruggono il lorostesso futuro, la pesca a strascico sulle praterie continua ad essere un significativo elemento di minaccia.

Essa è infatti altamente produttiva nell’immediato (poiché consente il prelievo di specie pregiate come sparidi, scorfani,labridi, serranidi, polpi e persino aragoste) ma distrugge un ambiente insostituibile dove trovano rifugio gli stadi giovanilie gli avannotti di specie importanti, compromettendo seriamente lo sviluppo di numerose popolazioni animali e provocandoun generale impoverimento dei nostri mari.

Anche le ancore delle barche da pesca e da diporto, strappando i ciuffi, creano delle zone di diradamento su cui agiscel’erosione provocando la distruzione della prateria. Questa è infatti difesa dai fenomeni erosivi, dovuti alle correnti, dallastruttura compatta che abbiamo descritto, ma la presenza di zone nude facilita l’azione distruttiva delle correnti provocandola formazione di chiazze denudate sempre più ampie. Lo stesso fenomeno, ma su scala più vasta, è stato osservato sullearature prodotte dalle reti per la pesca a strascico.

LE COSTE7

Le nostre coste, anche se molto frequentate, non sono in realtà molto conosciute dal punto di vista naturalistico.Eppure i litorali sabbiosi, con i relativi sistemi dunali, gli specchi d’acqua e la macchia mediterranea costituiscono unodegli ambienti più importanti del nostro Paese. Nonostante l’attacco devastante della speculazione edilizia, degliincendi, dell’assalto dei turisti concentrati nei pochi mesi estivi, conserva ancora vasti tratti di naturalità che possonoessere un eccellente laboratorio per iniziare a conoscere le dinamiche degli ecosistemi naturali. La presenza dellespecie pioniere sulla duna, la ricchezza di interazioni nella macchia mediterranea e l’adattamento a lunghi periodi disiccità della sua vegetazione, la grande abbondanza di avifauna nei laghi costieri offrono molte possibilità a chi vuolverificare sul campo le affascinanti nozioni apprese sui libri.

Sistema dunaleSui circa 7.000 km di coste che circondano la nostra penisola, quasi 3.000 sono costituiti da litorali sabbiosi, un

ambiente molto interessante per le nostre osservazioni, anche se, purtroppo, è sempre più raro trovarne di intatti.Se paragonate ad altri ambienti o anche ad altri tipi di coste, la spiaggia sabbiosa e le dune che sorgono alle spalle

del litorale potrebbero sembrare a prima vista una specie di deserto dal punto di vista biologico. Eppure, anche se è unambiente decisamente ostile per la vita, la duna ospita una flora e una fauna assolutamente straordinarie. Per quelloche riguarda la flora, quelli che a prima vista appaiono ciuffi miseri e stentati, sono in realtà degli autentici pionieri, ingrado di conquistare un territorio reso estremamente difficile dal sale, dal sole fortissimo, dal vento e dalla sabbia chequesto trasporta, dal terreno assai povero e dall’acqua salmastra che diviene dolce solo a grande profondità.

Se l’arma dei pionieri del far-west era il fucile, queste incredibili piante ricorrono ad altri strumenti, decisamentemeno cruenti, come ad esempio radici dotate di una buona elasticità e resistenza, molto estese sia in profondità, per

raggiungere l’acqua, che in larghezza, per ancorarsi meglio e resistere al vento; superfici tormentate e contorte, per poterresistere al disseccamento; spine che diminuiscono la superficie esposta alla traspirazione; strutture in grado ditrattenere l’acqua come foglie e radici succulente.

Il vento ha una fortissima influenza sulla vita e sulla formazione delle dune, che potremmo definire come dellevere e proprie figlie del vento, così come la spiaggia può essere considerata figlia del mare e delle sue onde e correnti.Le dune infatti non sono altro che cumuli di materiale sabbioso formati dall’azione del vento che, trasportando lasabbia verso riva ed incontrando un ostacolo, la deposita dando vita alla duna e continuando nel tempo adaccrescerne le dimensioni.

Per questo motivo e per il fatto che la vegetazione può iniziare a svilupparsi solo a una certa distanza dalla costa,al di là della fascia raggiunta dalle maree e dalle mareggiate, normalmente le dune litoranee si sviluppanoparallelamente alla costa. È per la continua azione di modellamento operata dal vento, fatta di fasi di deposizionealternate a fasi di erosione, che generalmente tutte le dune hanno una struttura che presenta il lato sopravvento conuna inclinazione molto minore rispetto a quello sottovento (di norma rivolto verso l’entroterra). Infine, in presenza diventi molto variabili le dune possono assumere un andamento sinuoso, invece che parallelo alla costa, formando verie propri golfi e insenature.

Per loro stessa natura le dune sono estremamente mobili e, in assenza di qualcosa che ne cementi in qualche modola struttura, tenderebbero a spostarsi verso l’interno sino a giungere alla barriera costituita dalla vegetazione costierache, come una siepe di confine, ne blocca l’avanzata verso terra.

Sono proprio le piante pioniere che iniziano l’opera di compattamento e consolidamento della duna, permettendonon solo la stabilizzazione ma anche l’attecchimento di ulteriore vegetazione che, in un processo dinamico fatto diprogressi e regressioni, conduce alle formazione delle dune coperte di rigogliosa vegetazione che ancora oggi si possonoosservare nei tratti di costa più integri.

La prima fascia della duna sabbiosa, ad almeno una cinquantina di metri dalla costa, viene inizialmente colonizzatada specie vegetali in grado di svilupparsi rapidamente, generalmente piante erbacee annuali a ciclo breve con unperiodo vegetativo di pochi mesi come il ravastrello marino, l’euforbia delle spiagge o l’erba cali, piccole piante dotate

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di radici e rizomi succulenti in grado di trattenere l’acqua, che danno vita ad una associazionevegetale detta cakileto la quale, terminato il ciclo naturale, si secca e muore, dopo aver dispersoi semi. Questi possono germogliare sulla stessa duna o, trasportati dal vento, germinare altrove.

Le piante in grado di formare un ambiente più stabile e di sovrapporsi alle prime pioniere sonodelle graminacee perenni dotate di lunghe e robuste radici superficiali, che formano una fitta retesopra e sotto la sabbia: sono l’Agropyrum junceum o gramigna marina (questa associazionevegetale viene infatti detta agropireto) e, nella parte della duna più lontana dal mare, lo spartoAmmophila littoralis dai caratteristici cespugli a ciuffo, che origina l’associazione vegetale dettaammofileto. Sono proprio le radici di queste piante che riescono a rendere compatto un materialecedevole come la sabbia e a far sì che le dune non siano disperse dal vento.

Poiché l’acqua disponibile al di sotto della duna è fortemente salmastra, queste piantetraggono il loro fabbisogno idrico, oltre che dalla umidità notturna, dalle precipitazioni che sonoin grado di trattenere e di economizzare a lungo.

In questa fase la duna può crescere fino a diversi metri di altezza con la sabbia che sideposita sugli strati e sulle piante preesistenti e, man mano che si prosegue verso l’entroterrae che aumenta il numero di specie colonizzatrici, la duna si stabilizza sempre di più ospitandouna complessa comunità vegetale che si arricchisce di arbusti all’apparenza stentati e striscianti,ma che in realtà possono vivere centinaia di anni e diventare veri e propri alberi, come il gineprococcolone, che si alterna con i primi cespugli di lentischi e a piccoli pinastri contorti dal vento,creando una vegetazione che continua a infoltirsi e inverdirsi mescolandosi alla fillirea, all’erica,alla palma nana, alle tamerici e all’edera spinosa. Su questa vegetazione vive una faunacomposta da detritivori, erbivori e predatori, dando vita a un ecosistema complesso,caratterizzato da condizioni estreme e dalla particolarità dei suoi componenti.

Le piante dunali hanno generalmente forme strane, spesso spinose, per resistere al meglioalla forte brezza marina e per ridurre la perdita d’acqua; sono resistentissime agli sbalzi ditemperatura che farebbero morire la maggior parte degli altri vegetali.

Tra questi pionieri i più comuni sono il ravastrello, la calcatreppola, pianta spinosa dalcaratteristico colore verde tendente al bluastro, dai fiori bianco azzurri e dalle radici ricched’acqua; il convolvolo, la soldanella dai grandi fiori rosa, lo sparto, che forma i caratteristiciciuffi di erba alta che possono raggiungere il metro e mezzo di altezza e che svolge un ruolofondamentale per stabilizzare la duna; la carota spinosa e poi il bellissimo pancrazio o giglio dimare, dal profumo penetrante che fiorisce tra luglio e agosto.

Spesso ci si può imbattere in stagni retrodunali, generalmente salmastri, generati dadepressioni più basse del livello del mare in cui l’acqua si infiltra o dalla presenza di terreniargillosi impermeabili che causano il ristagno dell’acqua piovana.

Questo ambiente particolare è ricco di vita animale. Senza parlare della complessa faunache vive al di sotto della sabbia: crostacei, come le pulci di mare che popolano i detriti diposidonia e gli onischi, molluschi rappresentati da alcune specie di chiocciole; insetti, comesempre molto numerosi, tra i quali spiccano diverse specie di farfalle e di falene come la bellafalena del pancrazio, gli scarabei stercorari, le cicindele, coleotteri predatori caratterizzati dallalivrea verde metallico ornata di puntolini bianchi, o il feroce formicaleone, un neurottero la cuigrossa larva armata di enormi mandibole uncinate scava delle trappole a imbuto nella sabbia,che franano al passaggio delle prede lungo i bordi trascinando i malcapitati verso le fauci delpredone in agguato sul fondo dell’imbuto. Anche alcune grosse cavallette frequentano lavegetazione dunale e se ne possono trovare in grande quantità quando sciami di locustemigratorie terminano il loro viaggio precipitando esauste in mare.

Danno la caccia a questi invertebrati gli anfibi come il rospo smeraldino e numerosi rettilicome il curioso gongilo, una sorta di grossa lucertola dal corpo forte e muscoloso, serpentiforme,ma dalle zampette minuscole; qualche volta si avvicina alle dune costiere anche l’elegante biacco,il più comune dei serpenti italiani, lungo sino a due metri, mentre frequentatrice abituale dellaparte della duna confinante con la macchia è la testuggine terrestre, sia la Testudo hermani chela T. graeca e la T. marginata. Anche la tartaruga marina Caretta caretta frequenta le spiaggesabbiose, risalendole faticosamente per deporre le uova, anche se ormai nel nostro Paese sembrafarlo solo in pochissimi siti, tra cui la famosa Spiaggia dei Conigli sull’isola di Lampedusa.

Sono molte le specie di uccelli che frequentano spiaggia e duna. I più numerosi sono gliuccelli limicoli, ovvero quelli che si nutrono catturando con il becco, generalmente lungo eappuntito, i vermi e i molluschi che vivono nella sabbia umida lasciata scoperta dalla marea: ilpiovanello tridattilo, il corriere grosso, il voltapietre, il fratino o la rara beccaccia di mare,inconfondibile per il corpo dalla vistosa colorazione bianca e nera e con le zampe e il lungo beccorosso corallo. Anche uccelli marini come il gabbiano reale o le sterne si riposano la notte sullespiagge e al mattino è facile ritrovare i segni della loro sosta: impronte e qualche penna.

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le coste costituisconouno degli ambientipiù importanti del nostro Paese

la calcatreppola èuna delle specie piùfrequenti del sistema dunale

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Frequentano la duna molti passeriformi diffusi anche nella macchia, come il pettirosso, il merlo, il tordo, la capinera,l’occhiocotto, il colorato gruccione e la bella ghiandaia marina.

Tra i mammiferi il coniglio selvatico, diffuso ormai in parecchi punti delle nostre coste, l’onnipresente ratto el’ubiquitario topolino campagnolo. Tra i predatori insettivori i pipistrelli, la talpa ed il toporagno, presente con diversespecie, e alcuni visitatori occasionali provenienti dalla vicina macchia come l’istrice, il tasso e la donnola, oltre apredatori opportunisti come la faina e la volpe, che frequentano la spiaggia in cerca di rifiuti e di facili prede comepesci spiaggiati.

Macchia mediterraneaAlle spalle della duna ecco sorgere quello che forse è il più tipico degli ambienti del nostro Paese, che prende il

nome dal mare stesso che ci avvolge: la macchia mediterranea.Nei luoghi in cui l’azione dell’uomo si è fatta meno sentire, esiste evidente continuità tra la vegetazione dunale e

la macchia mediterranea vera e propria.Dove la duna si consolida e si stabilizza, cominciano ad apparire le avanguardie della macchia mediterranea,

caratterizzata anch’essa da un forte adattamento ad ambienti piuttosto duri e non certo abbondanti di acqua. Iniziacon dei bassi cespugli di cisto, fillirea e ginepro coccolone; si intrica man mano che si procede verso l’internomescolandosi a mirto, corbezzolo, rosmarino, ginestra, lentisco, erica, alloro e ginepro; si intreccia, continuando ilcammino, ad alberi di alto fusto come lecci, pini marittimi e pini di Aleppo, querce da sughero e querce spinose.

Qua e là possono formarsi delle zone allagate, durante tutto l’anno o solo in inverno, le cosiddette piscine, un tempomolto più frequenti nelle grandi foreste planizie costiere -di cui abbiamo solo pochi resti- e che ospitano una ricca faunadi anfibi e rettili.

La macchia mediterranea ha una grande variabilità geografica legata a fattori quali il microclima e la composizionedel suolo con conseguenti differenze nella composizione della vegetazione, con prevalenza o assenza di alcune specierispetto ad altre; potremo quindi imbatterci di volta in volta nella macchia a erica, a leccio, a corbezzolo, a rosmarino,a euforbia, a oleastro, a ginestra, ognuna differente per specie dominanti, ma assai simili tra di loro come struttura.

Anche se questo ambiente è quello maggiormente rappresentato in tutto il Mediterraneo, in realtà la macchia nonpuò essere considerata come un ambiente realmente naturale, quanto piuttosto il frutto dell’interazione durata millennitra la nostra specie e le grandi foreste del Mediterraneo e poiché, come diceva Chateaubriand, i boschi precedono l’uomoe i deserti lo seguono, questa interazione si è concretizzata con incendi, disboscamenti, pascolo eccessivo di ovini ecaprini, taglio degli alberi d’alto fusto per il legname da costruzione, per case o imbarcazioni. Il risultato dopo millenniè questo straordinario ambiente, verde tutto l’anno, ricco di aromi e profumi penetranti, ma dall’aspetto ruvido escostante dovuto al gran numero di piante che si proteggono con spine o foglie appuntite e che in primavera, durantela fioritura diviene un vero e proprio spettacolo di colori e profumi. Un’esperienza indimenticabile è l’arrivo in nave inSardegna all’alba, quando il buio non permette di distinguere ancora chiaramente la linea della costa, ma i profumi

della macchia, con i penetranti sentori del rosmarino, dell’erica e del mirto annunciano che laterra è ormai vicina.

La presenza della macchia mediterranea, sia alta che bassa, è comunque legata a precisecondizioni climatiche e alla tipologia del terreno; questo tipo di ambiente si sviluppa infatti insituazioni in cui le precipitazioni sono irregolari e concentrate principalmente nel tardo autunnoe nell’inverno. La vegetazione che la compone deve quindi essere in grado di superare un lungoperiodo di aridità estiva e di conseguenza, anche le specie che la popolano sono perfettamenteadattate a queste condizioni: perdita delle foglie in estate, come accade alla ginestra spinosa eall’euforbia arborea; sviluppo di foglie persistenti e coriacee, dalla cuticola spessa adatta atrattenere l’umidità, come nel leccio, tipico albero della macchia alta e della foresta mediterranea.

Da questo punto di vista, la macchia mediterranea bassa -costituita da associazioni vegetalidi modesta altezza, per lo più fino a 1,5 o 2 m, tra cui lentischi, filliree, alaterni, ginepri, cisti- ela macchia alta -con piante alte fino a 4 o 5 m in cui sono presenti anche leccio, corbezzolo,sughero, pini marittimi, pini di Aleppo- costituirebbero due tappe di una successione chedovrebbe condurre alla sua comunità climax, ovvero alla lecceta o alla foresta sempreverdemediterranea, intricate e impenetrabili con alberi ad alto fusto (a predominanza di lecci nel primocaso, o con lecci misti ad altre essenze arboree nel secondo caso, in funzione del tipo di suoloe del microclima in cui si sviluppa) entrambe con un fittissimo sottobosco interrotto da piscinee piccole radure dovute a incendi o alla caduta di giganti della foresta giunti al termine del lorociclo vitale.

In realtà l’azione dell’uomo ha finito con lo spezzare il meccanismo della successione, facendosì che la macchia cosiddetta primaria, quella cioè sviluppatasi esclusivamente in base allecaratteristiche fisiche reali dell’ambiente e del clima dove sorge, è assai rara nel nostro Paese,se non assente. Di conseguenza, le varie tipologie di macchia mediterranea in cui ci si imbattesono, più che forme in evoluzione, forme di regressione dovute all’intervento umano sullavegetazione originaria.

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una volpe nellamacchia mediterranea

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Il fuoco è sempre stato un fenomeno tipico dell’ambiente Mediterraneo e ha condizionato fortemente lecaratteristiche e i cicli vitali delle specie vegetali di questo ambiente. Gli incendi di tipo occasionale non avrebbero diper sé grandi effetti permanenti nella macchia, poiché le specie vegetali che la costituiscono sono in grado, grazieall’emissione di polloni, di ricostituire abbastanza rapidamente la comunità incendiata. In assenza di altri fattori, nelgiro di una decina di anni la vegetazione si ricostituirebbe naturalmente nel suo aspetto originario, rinascendo in uncerto senso dalle radici stesse delle piante superstiti.

Se però gli incendi sono, come purtroppo accade, ripetuti e ravvicinati nel tempo, la ripresa della comunità divieneimpossibile e finisce con l’instaurarsi un ciclo negativo, detto pirogeno, ovvero generato dal fuoco, che può portarealla regressione definitiva della macchia, trasformando una splendida foresta con lecci, sughere e farnie, con un fittosottobosco popolato di centinaia di specie animali e vegetali, in un’arida gariga sterposa.

È questa al giorno d’oggi la principale minaccia, insieme ovviamente alle altre forme di disturbo e di interazionelegate alla nostra specie, come il pascolo, l’urbanizzazione, l’abusivismo edilizio e la creazione di nuove strade costiereche interrompono la continuità tra macchia e sistema dunale, mettendo in pericolo la sopravvivenza dell’ambiente piùcaratteristico del nostro Paese e della ricca e variegata fauna che lo popola.

Anche se non paragonabile per diversità e abbondanza a quella dei boschi delle zone più ricche d’acqua, la faunadella macchia mediterranea presenta un elevato numero di specie, che occupano la grande varietà di nicchie offerteda questo ambiente, nei tre livelli costituiti dal terreno, dalla fascia arbustiva del sottobosco e dagli alberi più alti. Moltele specie di uccelli presenti, quasi tutte non esclusive di questo ambiente. Oltre a quelle già ricordate per le dune, siincontrano la ghiandaia, l’upupa, il picchio rosso maggiore e minore, il picchio verde maggiore e minore e il torcicollo;tra i numerosi rapaci ricordiamo il biancone, specializzato nella cattura di serpenti, piuttosto abbondanti in questoambiente; oltre al falco pecchiaiolo e al lodolaio, tra i rapaci notturni, non molto abbondanti nella macchia fitta,troviamo la civetta, il piccolo assiolo, l’allocco, frequentatore della lecceta e il barbagianni, che occupa spesso i ruderi.Ricchissima la fauna di invertebrati che comprende numerosi insetti tipici di questo ambiente che costituisce, tra l’altro,un habitat molto favorevole alle scolopendre e agli scorpioni (non preoccupatevi! a dispetto della loro cattiva fama,non hanno niente a che vedere con i loro pericolosi cugini tropicali). Tra gli anfibi si vedono le raganelle, piccole ranearboricole dalla voce penetrante, e il rospo smeraldino; tra i rettili, che in questo ambiente trovano il loro paradiso,oltre a tutte le specie italiane di gechi e di lucertole (compresi ramarro e lucertola ocellata) scinchi e gongili, orbettini,il biacco, serpente che preferisce la macchia bassa e le radure, il cervone, che è il più grande serpente nostrano (superai 2,5 m), il saettone dalle abitudini più arboricole degli altri (quindi frequentatore anche della macchia alta), la viperacomune, facile da osservare su rocce e muretti. Nel sud troviamo anche il bellissimo colubro leopardiano, uno dei piùbei serpenti italiani. Frequentatrice abituale di questo ambiente è la testuggine terrestre, sia l’autoctona Testudohermani che le meno abbondanti T. graeca e T. marginata.

Numerosi i mammiferi: piccoli roditori come arvicole, ratti, topolini campagnoli, insettivori come i toporagni, letalpe che frequentano le radure e pascoli aridi, il riccio e diverse specie di pipistrelli; un abitante caratteristico è l’istrice,che contende alla marmotta il record di più grande roditore italiano; sono poi presenti la lepre e il coniglio selvatico.Altri piccoli mammiferi arboricoli sono lo scoiattolo rosso, il moscardino e il quercino, attivamente cacciati dalla semprepiù rara martora, unico predatore arboricolo. Tra gli altri predatori, oltre all’onnivoro tasso, troviamo la faina, la donnola,la puzzola e l’ubiquitaria volpe. Tra gli ungulati, originari di questo ambiente sono il capriolo e il cervo, ai quali si èaggiunto il daino, importato in epoca storica dall’Asia minore, che ha spesso un effetto devastante sulla vegetazionedella macchia. A questo proposito un cenno a parte merita il cinghiale, la cui varietà italiana piccola, rustica e pocoprolifera sarebbe assai adatta a questo ambiente in cui si è evoluta; purtroppo è stata soppiantata, in gran parte delnostro Paese, da sciagurati ripopolamenti con esemplari dell’est europeo, adattati ai boschi di latifoglie ricchi di cibo,di dimensioni e prolificità doppie rispetto a quelle dei cinghiali nostrani, con conseguenti devastanti effetti sullavegetazione mediterranea e sulle colture confinanti.

Stagni salmastri e laghi costieriNei lunghi tratti di costa pianeggiante, spesso il confine tra la terra e l’acqua non è così netto come potrebbe

apparire: con una certa frequenza alle spalle delle dune sabbiose si formano lagune, laghi e stagni costieri. Sonoambienti umidi di straordinaria importanza, in cui la vita è fortemente condizionata dalla presenza più o menosignificativa del sale.

Anche se in alcuni casi le lagune sono create da movimenti di sprofondamento del territorio costiero, nella maggiorparte la presenza di questi ambienti può essere ascritta all’azione delle onde marine.

Le stesse onde che creano spesso problemi per la forte azione erosiva, in punti della linea costiera depositano quelloche in altre parti hanno strappato.

Il litorale lagunare si sviluppa quindi nei punti dove il moto ondoso può scaricare i sedimenti che derivano o daltrasporto di fiumi (spesso le lagune si sviluppano in connessione con le aree fluviali) oppure provenienti dall’erosioneoperata su altre aree costiere.

Questo fenomeno si verifica in particolare quando il moto ondoso non è diretto in modo perpendicolare alla costa,ma la colpisce in modo obliquo, creando un flusso di sedimenti che vengono trasportati parallelamente alla costa eche finiscono per depositarsi ed accumularsi dove le onde, per diversi motivi, perdono la loro energia e forza.

Questo può avvenire per l’esistenza di fondali con pendii molto dolci o per la presenza di ostacoli come secche,

isole o promontori. Si creano così zone di calma che consentono alle correnti di scaricaresedimenti e accumularli, dando luogo a delle barre sabbiose sommerse che possono innalzarsisino a emergere, formando dei cordoni sabbiosi paralleli alla costa. In altri casi questi possonocongiungere la costa alle isole o ai promontori: sono i tomboli, come quelli che si possonoammirare sul promontorio dell’Argentario e che delimitano la laguna di Orbetello.

Con il tempo queste barre, che modificano a loro volta l’andamento delle correnti, finisconocon il saldarsi alla costa intrappolando al loro interno spazi di mare più o meno ampi, dandovita così a lagune, laghi costieri e stagni salsi e salmastri.

Spesso, con il continuo depositarsi della sabbia e con la formazione di dune grazie all’azionedel vento, diminuiscono gli apporti di acqua salata, dando vita a laghi di acqua dolce.

Questo ambiente è generalmente caratterizzato da una notevole variabilità di fattorifondamentali come l’ossigenazione delle acque, la salinità e la quantità d’acqua presente nelbacino; variabilità che si genera in relazione alla tendenza all’insabbiamento, all’eventualeapporto d’acqua dolce, alle infiltrazioni di acqua salata, all’evaporazione (alcuni bacini siprosciugano nel periodo estivo).

Questi specchi d’acqua costituiscono ambienti ricchissimi di vita, sia vegetale che animale.La vegetazione varia ovviamente a seconda delle caratteristiche dei suoli circostanti e del

contenuto salino dell’acqua. Potremo dunque avere lungo le rive piante come lo statice, la suaedamarina o la salicornia che, come è facile intuire dal suo stesso nome, è amante delle alteconcentrazioni saline, oppure una fitta distesa di canneti, carici, giunchi, tife, felci palustri, conuna vegetazione sommersa che sfuma da alghe tipicamente marine come l’ulva alla vegetazionetipica dei laghi di acqua dolce.

Il canneto può essere presente sia nelle paludi d’acqua dolce che negli stagni, nelle lagunee nei laghi salmastri, perché esistono specie tolleranti al sale (eurialine) e altre meno tolleranti(stenoaline).

Questi ambienti, che un tempo venivano considerati plaghe desolate da bonificare eprosciugare, hanno in realtà una ricchissima fauna ittica, tanto che ai nostri giorni sono diventatiimportanti per la piscicoltura. Tra le diverse specie presenti spiccano pesci come le orate, lespigole o i cefali, in grado di vivere indifferentemente sia in mare che in acqua dolce. I cefali,che sono per questo annoverati tra le specie eurialine, a primavera entrano in gran numero nellelagune e nei laghi comunicanti con il mare per poi uscirne in autunno, prima degli accoppiamentiinvernali.

Anche le anguille rientrano a buon diritto tra la fauna tipica di questi luoghi. Pesci dal corposerpentiforme e dalla straordinaria capacità di resistenza fuori dall’acqua (respirano oltre che conle branchie anche attraverso la pelle umida) nascono in mare aperto dove le larve dalla tipicaforma a foglia compiono i vari stadi della loro metamorfosi; a tre anni di età risalgono i fiumi ei corsi d’acqua, insediandosi anche nei laghi sia salmastri che di acqua dolce. Le anguillemediterranee nascono in pieno Oceano Atlantico, nel Mar dei Sargassi, penetrano attraversoGibilterra, allungando il loro viaggio di un anno rispetto alle anguille nord europee.

Per raggiungere la loro destinazione compiono un viaggio incredibile; durante la migrazione,che sembra sia guidata dall’olfatto e che le conduce a specchi d’acqua dove risiedono già anguilleadulte, sono addirittura in grado di uscire fuori dall’acqua, strisciando come serpenti durante lanotte sul terreno molto umido, per raggiungere stagni o laghetti isolati.

I maschi trascorrono in questi luoghi dai 10 ai 12 anni mentre le femmine, molto più grandi,dai 10 ai 18 anni per poi migrare di nuovo in mare aperto per riprodursi, sempre nel Mar deiSargassi. Alcuni esemplari, invece, trascorrono tutto il resto della loro vita nelle acque dolci efiniscono con il raggiungere dimensioni veramente considerevoli: le femmine possono superare1,5 m di lunghezza e i 5 kg di peso. La vita di questi esemplari può essere molto lunga e siconoscono casi di anguille allevate in acquario o in piccoli stagni vissute oltre 80 anni!

Tra gli altri vertebrati troviamo rane e raganelle, oltre alla bellissima biscia d’acqua, e alletartarughe palustri mentre numerosi mammiferi frequentano le rive, alcuni tipici come il toporagnoacquaiolo, altri presenti anche nella macchia circostante.

Una nuova specie da qualche tempo popola le acque di fiumi, laghi e lagune italiane. Parliamodella nutria, o castorino americano, grosso roditore originario del Sud America dall’aspetto similea un gigantesco ratto, con la lunga coda scagliosa. Parecchi esemplari, fuggiti dagli allevamenti(o liberati volontariamente) hanno finito con il colonizzare molti corsi e specchi d’acqua. Altrespecie esotiche arrivate nel nostro Paese sono il topo muschiato e il visone. Anche i ratti,ovviamente, frequentano le rive degli specchi d’acqua costieri, con una particolarità: vicinoall’acqua, invece di fare il nido scavando gallerie nel terreno, costruiscono sui rami degli alberipiù grandi dei complessi nidi di foglie dalla forma più o meno sferica!

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un airone cinerinonel lago costiero

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Ma lo spettacolo realmente straordinario è quello offerto dagli uccelli acquatici, a partire dal grande elegantefenicottero rosa. Negli stagni salmastri della Sardegna nidifica ormai dal 1994; forma grandi stormi di centinaia diindividui che si nutrono di artemie saline (piccoli crostacei) che filtrano con il loro particolarissimo becco. Oggi sipossono avvistare anche nel resto d’Italia. Gli eleganti aironi, il grigio, il rosso, la garzetta e il tarabuso, le tante speciedi anatre, germani reali, folaghe, tuffetti, svassi, porciglioni, cormorani, cavalieri d’Italia, martin pescatori, il falco dipalude, trasformano questi luoghi in autentici paradisi per i bird watchers di ogni età, purché forniti di un binocolo, diuna macchina fotografica e di un buon manuale di identificazione.

LA PRESSIONE DeLL’UOMO SUGLI ECOSISTEMI MARINI

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L’inquinamentoChe vuol dire inquinamento

Una delle principali conseguenze che le attività di una società industrializzata hanno sugli oceani, da sempre utilizzaticome discarica finale, è l'inquinamento. Secondo gli esperti dell’ONU che si occupano di mare, l’inquinamento marino sipuò definire come «l’introduzione diretta o indiretta da parte umana, di sostanze o energia nell’ambiente marino... cheprovochi effetti deleteri quali danno alle risorse viventi, rischio per la salute umana, ostacolo alle attività marittime compresala pesca, deterioramento della qualità dell’acqua e riduzione delle attrattive». Secondo questa definizione, quindi,l’inquinamento non è solo quello causato dalla fuoriuscita di petrolio durante un incidente oppure prodotto da attività illegalidi scarico in mare di rifiuti, magari tossici, ma può assumere molte differenti forme, dalla immissione nel mare di acquecalde per il raffreddamento di impianti industriali o delle centrali -che possono alterare la composizione delle comunità viventipresenti- al rumore prodotto dalle attività umane civili o militari che disturba i cetacei, all’immissione nell’ambiente marinodi tutte le varie sostanze prodotte dall’uomo, come quelle presenti negli scarichi industriali o negli scarichi fognari urbaninon depurati, che provocano inquinamento microbiologico o eutrofizzazione, o la dispersione in acqua dei pesticidi e deifertilizzanti usati in agricoltura o delle altre miriadi di sostanze chimiche che usiamo ogni giorno come medicine, lubrificanti,detersivi, prodotti di bellezza, ritardanti antifiamma, isolanti elettrici, oppure gli scarti delle lavorazioni minerarie, o i rifiutiradioattivi ospedalieri, o gli indistruttibili cotton fioc che gettati nel water intasano i depuratori sino a tutta la plastica cheproduciamo: buste, barattoli e bottigliette. Tutti oggetti che se non vengono correttamente smaltiti e riciclati molto spessofiniscono in mare.

L’accumulo degli inquinanti Gli inquinanti possono essere assorbiti dagli organismi in maniera diretta (per contatto o per ingestione della sostanza

inquinante) o indiretta, attraverso la catena trofica con il consumo di animali e piante che a loro volta sono entrati incontatto con la sostanza inquinante e l’hanno accumulata o concentrata nel proprio organismo. Alcuni tipi di sostanzetossiche, come il mercurio, il PCB, il DDT, tendono ad accumularsi e a concentrarsi all’interno delle catene alimentari e dellecatene trofiche a causa di due fenomeni, il bioaccumulo e la magnificazione biologica, di cui abbiamo già parlato e chepossono combinarsi insieme con effetti disastrosi per l’ambiente.

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Magnificazione biologica:il fitoplancton vieneingerito dallo zooplancton di cui sinutre la sardina, cheviene a sua voltapredata dal tonno.Seguendo la catenaalimentare, le sostanze tossiche sipossono accumularein quantità via viamaggiori fino a divenire pericoloseanche per l'uomo

Tipologie di inquinamentoPossiamo distinguere tre differenti tipi di inquinamento marino:

inquinamento sistematico causato dall’immissione continua nel tempo di inquinanti: scarichifognari, reflui industriali, dilavamento terreni,

inquinamento operativo causato dall’esercizio di natanti: lavaggio cisterne, scarico delle acquedi zavorra e di sentina, ricaduta fumi, vernici antifouling,

inquinamento accidentale causato da incidenti: naufragi, operazioni ai terminali, blow-out dapiattaforme, rottura condotte,

Inquinamento di origine marina. Secondo l’Organizzazione Marittima Internazionale delle Nazioni Unite tra le fonti di

inquinamento delle acque solo il 23% è costituito da sorgenti marine e tra queste la percentualedel 12% è quella legata all’inquinamento dovuto al trasporto marittimo, alle attività di discaricaa mare e alle attività di perforazione delle piattaforme petrolifere. Il 44% delle sostanze inquinantiarriva invece dalla terraferma e il 33% dall'atmosfera. Secondo l’UNEP, il programma ambientaledelle Nazioni Unite che si occupa di protezione dell’ambiente, finiscono in mare ogni anno oltre121 milioni di barili di petrolio provenienti sia da fonti terrestri che marine. Di questa enorme cifra,oltre 12 milioni di barili sono dovuti al solo traffico navale e di questi solo una parte relativamentepiccola, circa 600.000 barili è prodotta da incidenti.

Il resto proviene tutto o da operazioni illegali, come il lavaggio delle cisterne o da operazionicosiddette di routine, cioè di scarichi in mare di miscele oleose che non solo sono perfettamentelegali ma sono anche legati alla normale attività operazionale della nave, come per esempio loscarico dell’acqua di sentina.

Dati forniti dal Piano D’azione Mediterraneo delle Nazioni Unite ci dicono che da 100.000 a150.000 tonnellate di idrocarburi finiscono ogni anno nelle acque del mare nostrum (oltretutto perrestarci visto che, come abbiamo già detto, il Mediterraneo impiega 100 anni circa per rinnovare lesue acque), in gran parte per inquinamenti legati a operazioni di routine. Si tratta di una quantitàda 5 a 8 volte maggiore del petrolio fuoriuscito nel corso degli incidenti dell’Erika e del Prestige checausarono le due ultime terribili maree nere in Francia e Spagna e questo accade ogni anno!

Oltre alle maree nere ci sono poi altre forme di inquinamento provocate dalla attività di unanave. Per esempio gli scarichi degli impianti igienici (pensate che alcune grandi navi da crocierahanno a bordo migliaia di persone, ovvero tanta gente quanta ce n’è in una piccola città!) e irifiuti di bordo: rifiuti organici dalle cucine o plastica, vetro e scatolame provenienti dagliimballaggi del cibo e delle bevande che spesso finiscono con l’essere smaltiti semplicementegettandoli in mare. Poi c’è l'inquinamento atmosferico: a differenza di tutti gli altri mezzi ditrasporto, infatti, le navi fino ad oggi hanno adoperato carburanti in cui il contenuto in zolfo ein ossidi di azoto (NOx) non era sottoposto ad alcuna limitazione (anzi diciamo che hannoadoperato quello che era troppo sporco per essere usato a terra!). Solo adesso sia a livelloeuropeo che internazionale stanno entrando in vigore norme per diminuire l’impatto delleemissioni delle navi. La presenza di zolfo nei carburanti è all’origine delle piogge acide mentreun'altra fonte non trascurabile del fenomeno è rappresentata dalla deposizione atmosferica diossidi di azoto (NOx) derivanti dalle loro emissioni.

Particolarmente grave è il problema dell'introduzione di specie esotiche nell'ecosistema marinoattraverso le acque di zavorra, ma di questo parleremo in seguito con maggiore attenzione.

Inquinamento di origine terrestreCome abbiamo visto, secondo le Nazioni Unite circa l’80% di tutto l'inquinamento che troviamo

nei mari e negli oceani deriva dalle attività a terra. Molte sostanze pericolose penetrano nell'ambientemarino in seguito allo scarico, all'emissione e alla fuoriuscita connessi a processi industriali, mentreun’altra serie impressionante di sostanze provengono dall’agricoltura intensiva che utilizza grandiquantità di pesticidi e fertilizzanti. Ma anche le normali attività commerciali o domestiche possonocontribuire moltissimo! Spesso non ci si rende conto di tutto quello che noi stessi immettiamogiornalmente nell’ambiente e che finirà poi in mare, basti pensare agli amanti del fai da te che sicambiano da soli l’olio della macchina o del motorino e versano nello scarico l’olio esausto, spessonon sapendo che un litro di olio esausto può contaminare migliaia di litri di acqua di mare. Pensiamopoi alle medicine scadute o ai residui di sciroppi e antibiotici che laviamo via dal cucchiaio e facciamofinire in mare. O a tutte le centinaia di prodotti per la pulizia della casa, sempre più specializzati,anche se in realtà contengono sempre le stesse sostanze, detersivi che finiscono comunque in mare,e poi prodotti insospettabili, sostanze utilizzate come isolanti o ritardanti antifiamma nelleapparecchiature elettroniche, come i policlorobifenili o PCB una sostanza che per la sua caratteristicadi persistenza ormai troviamo ovunque, persino nel latte materno e di cui non conosciamo ancora

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molti dei rifiuti chefiniscono in mareliberano sostanzealtamente inquinantie nocive per lasalute

ogni anno più di 100.000 t diidrocarburi finiscononel Mediterraneo per operazioni illegali o di routine,senza contare glisversamenti per incidenti

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gli effetti sulla nostra salute. Data l’intrinseca tossicità, persistenza e tendenza al bioaccumulo, molte sostanze naturali eartificiali sono in grado di danneggiare i processi biologici negli organismi acquatici e possono anche finire con il penetrarenel nostro organismo.

La natura degli inquinantiL'impatto dell'inquinamento sul mare assume varie forme. L'inquinamento che deriva dai liquami delle fognature

non sufficientemente depurate può creare problemi di inquinamento microbiologico, con presenza di virus come quellodell’epatite e batteri coliformi fecali. Ciò dipende dal mancato o insufficiente trattamento delle acque reflue. Gli scarichiurbani, la presenza di alcune sostanze presenti nei detersivi e gli scarti dell'agricoltura sono alla base del fenomenochiamato eutrofizzazione, causata da un eccessivo apporto di nutrienti (azoto e fosforo). Un'altra fonte d’inquinamentonon trascurabile è rappresentata dalla deposizione atmosferica di ossidi di azoto derivante dalle emissioni delle navi,che favorisce, in prossimità delle coste, la proliferazione di alghe che sottraggono ossigeno all'acqua. L'inquinamentoindustriale peggiora spesso la situazione, perché alcune delle sostanze che dagli scarichi delle industrie finiscono inmare contribuiscono anch’esse a sottrarre ossigeno all'acqua. Del petrolio abbiamo già parlato ma ci sono altre sostanzechimiche che minacciano la salute degli oceani. Sono infatti circa 100.000 i composti chimici impiegati in tutto il mondo,un numero alto che aumenta continuamente con un ritmo di oltre mille nuove sostanze immesse ogni anno sul mercato.Di queste, oltre 4500 sono potenzialmente pericolose per la salute dell’uomo e degli organismi marini; sono i cosiddettiPOP, Persistent Organic Pollutant, ovvero inquinanti organici persistenti, una definizione complicata per descrivere unacosa molto semplice: si tratta di sostanze che non solo sono tossiche, ma non vengono degradate nell’ambiente marinoe tendono ad accumularsi nei tessuti degli organismi provocando conseguenze gravi come alterazioni del sistemaormonale, tumori, sviluppo embrionale alterato, inversione sessuale, difficoltà riproduttive, alterazioni del processo dicrescita e del sistema immunitario. Alcuni esempi sono le diossine, i PCB insieme a molti tipi di insetticidi e al DDT.Come se non bastasse i POP possono essere trasportati lungo grandi distanze in atmosfera attraverso il meccanismodell’evaporazione e della precipitazione delle piogge, con una tendenza a rimanere in maggiore quantità nelle regionipiù fredde, dove l’evaporazione è meno intensa. Il risultato è che troviamo DDT -che ormai è usato solo da alcuni Paesicosiddetti sottosviluppati per combattere il flagello della malaria- nei tessuti del salmone scozzese, nel grasso dellefoche artiche e nell’organismo dei cacciatori inuit che di quelle foche si nutrono! La cosa più preoccupante, perché puòdarci una idea concreta di quanto persistenti siano questi composti, è che alcune delle sostanze più pericolose, datempo ormai non utilizzate, continuano ad essere rinvenute in abbondanza nell'ambiente marino che ne conserva cosìla memoria. Quello che non bisogna mai dimenticare è che gli esseri umani sono in cima alla catena alimentare equindi rischiano di essere i recettori finali di contaminanti che tendono al bioaccumulo e alla bioamplificazione.L'incremento delle attività umane lungo la costa (ad es. sviluppo dei porti, lavori di protezione del litorale, bonificadei terreni, attività turistiche, estrazione della sabbia e della ghiaia) ha un grave impatto sugli habitat costieri e suirelativi processi ecologici, che può ripercuotersi anche a notevole distanza dalla riva. In particolare tra le attivitàindustriali destano preoccupazione e necessitano di particolare regolamentazione le industrie minerarie (anche lepiattaforme petrolifere) e le industrie di lavorazione dei metalli: la quantità di mercurio rilasciato nell'ambiente dalleattività industriali è quattro volte quella imputabile ai processi naturali come le eruzioni vulcaniche. L'inquinamento damacrorifiuti (plastica, polistirolo, lattine, bottiglie) è un problema che è purtroppo divenuto comune in tutti i mari delglobo. Secondo un rapporto dell’UNEP ogni anno circa 6,4 milioni di tonnellate di macrorifiuti vengono scaricati in mare,con una media di oltre 8 milioni di pezzi al giorno! Di questi oltre 5.000.000 proverrebbero dalle navi. Nel Mare delNord alcuni scienziati tedeschi hanno contato 110 pezzi di rifiuti (barattoli, bottiglie, plastica) per chilometro quadrato

di fondale: 600mila tonnellate solo nel Mare del Nord. Questi rifiuti possono soffocare i fondalie uccidere le forme di vita che li abitano. Ma è la plastica la minaccia maggiore: ogni annovengono prodotte quasi dieci milioni di tonnellate di plastica, il 10% delle quali finisce in mare.Una buona fetta della plastica (fino al 70%) è più pesante dell'acqua e finisce sui fondali, comeben sanno i nostri pescatori a strascico: basterebbe dotare tutti i porti pescherecci di isoleecologiche per consentire ai pescatori di smaltire i rifiuti raccolti con le reti anziché rigettarli amare, per raccoglierne migliaia di tonnellate all’anno. Conseguenze della presenza di questirifiuti in mare sono l'annegamento degli uccelli, che rimangono intrappolati nei sacchetti diplastica, e la morte delle tartarughe, degli uccelli e dei cetacei per ingestione. Secondo leNazioni Unite la plastica che finisce nei nostri mari uccide ogni anno fino a 1 milione di uccellimarini, 100.000 mammiferi marini e un numero incalcolabile di pesci. E la plastica non sidecompone, se non in migliaia di anni. Il mare, il moto ondoso, il sole e l'abrasione meccanicariducono la plastica in minuscoli frammenti: ogni singola bottiglia può essere ridotta in tantipiccoli pezzi che rimarranno in mare per centinaia di anni. E questo rende ancora più grave ilproblema perché le creature del mare si decompongono ma non si decompone la plastica chele ha uccise, che rimane nell'ecosistema ed è perciò potenzialmente in grado di uccidere altrecreature e di farlo più volte.

Come se non bastasse, molti studi hanno dimostrato che la plastica assorbe magnificamente icontaminanti concentrandoli, diffondendoli e rendendoli ancora più micidiali per le creature chedovessero ingerirli. Inoltre i rifiuti di plastica trasportano vari tipi di organismi che li usano come unasorta di zattera per arrivare ed espandersi in zone che altrimenti non sarebbero in grado diraggiungere.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, in ogni km quadrato dei mari del mondo galleggiano13.000 pezzi di plastica. I rifiuti di plastica tendono inoltre ad accumularsi in quelle aree di mare dovei venti e le correnti sono deboli. Ci sono così aree oceaniche di enormi dimensioni che diventanouna sorta di isola di plastica galleggiante con concentrazioni tali che per ogni kg di plancton netroviamo 6 di rifiuti!!

Solo adesso si cominciano a prendere iniziative a livello internazionale per affrontare il problema,ma ciascuno di noi può fare la sua parte, sia cercando di evitare o limitare l'acquisto di prodotti checontengano parti in plastica (in particolare dei prodotti usa e getta) sia gestendo i propri rifiuti inmaniera responsabile. D'altra parte, occorre sensibilizzare i proprietari di barche, i gestori dellepiattaforme e chi lavora nel settore della pesca sulle conseguenze ambientali che ha l'abitudineirresponsabile di gettare oggetti di plastica in mare. E possiamo fare anche dell’altro: è stato calcolatoun consumo medio annuo procapite di circa 300 g di pile nel nostro Paese, 300 g che contengonoalmeno 1 g di mercurio, quantità sufficiente a contaminare 1.000 metri cubi di acqua e rendereimmangiabili 200 quintali di alimenti. Usare batterie ricaricabili e riciclare negli appositi contenitorile batterie usate aiuta il nostro mare.

20.000 bombe in fondo al marCome se tutto quello che abbiamo detto del nostro mare non fosse già abbastanza, si resta

sconcertati nello scoprire che nelle sue profondità si cela anche un vero e proprio arsenale:bombe a grappolo, bombe a mano, ordigni chimici contenenti agenti letali o altamente tossici,proiettili all’uranio impoverito; la guerra continua in fondo al mare. Tutto è cominciato durantela prima guerra mondiale quando alcuni paesi belligeranti iniziarono una grande produzione diarmi chimiche. Nonostante il trattato di Versailles del 1922 e la convenzione di Ginevra del ’25avessero messo al bando il loro uso, molte nazioni, tra cui l’Italia, continuarono a produrne ingrandi quantità e a lungo. Dove credete che siano finite tutte le bombe di cui gli stati dovetteropoi liberarsi? Ma in fondo al mare naturalmente! In ossequio al caro vecchio concetto del marepattumiera che può assorbire e nascondere tutto, dalle bombe chimiche a quelle sganciate dagliaerei che tornavano carichi dalle missioni di guerra in Kossovo e che non potevano atterrare conle bombe innescate. Basta chiedere ai pescatori che ogni tanto con le reti ne tirano su qualcuna.Per non parlare di tutti i rifiuti tossici che sono finiti in fondo al mare con le vecchie carrette, lefamose navi dei veleni che le trasportavano, affondate in base al principio dei due piccioni conuna fava: non solo mi sbarazzo di rifiuti pericolosi che avrei dovuto smaltire con grandi spese,ma prendo anche i soldi dell’assicurazione!!

Conseguenze dell’inquinamento sull’ambiente marino e sull’uomoGli effetti degli inquinamenti in mare possono essere acuti, ovvero immediatamente percepibili

e generalmente provocano la morte degli organismi animali e/o vegetali. Comportano grandi e visibilimodificazioni immediate all’ecosistema. Un esempio tipico di effetto acuto è quello costituito da unamarea nera di petrolio: in mare il greggio forma una sottile pellicola che impedisce la penetrazione

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dell’ossigeno atmosferico nell’acqua provocando condizioni di anossia, ovvero mancanza di ossigeno, limita la penetrazionedella luce con ripercussioni sull’attività fotosintetica di alghe, fanerogame marine e fitoplancton, provocando una sensibilediminuzione della produzione primaria; infine aderisce agli organismi che vivono o interagiscono con la superficie -mammiferimarini, uccelli, organismi bentonici che vivono nelle aree periodicamente esposte dalla marea (intertidali), alghe, stadilarvali, gameti- impedendone le normali funzioni vitali.

L’effetto di un inquinamento può invece divenire di tipo cronico, assumendo una forma molto più subdola e insidiosa.Questo avviene quando la tossicità rimane ad un livello tale da non uccidere immediatamente gli organismi, ma le sostanzeinquinanti sono presenti ad un livello di concentrazione tale da provocare alterazioni sostanziali delle condizioni chimico-fisiche dell’ambiente che con tempi più o meno lunghi si ripercuotono sull’ecosistema. Questa forma di inquinamentofinisce con il provocare effetti ritardati ma prolungati nel tempo come malattie croniche o tumori, che possono manifestarsianche dopo diverso tempo, oppure danneggiare il patrimonio genetico, provocando una diminuzione della capacità diriprodursi, o di generare prole sana o ancora provocare effetti a livello dell’ecosistema come modificazioni della composizionein specie delle comunità colpite dall’inquinamento o modificazioni delle interazioni ecologiche (es. preda-predatore) per cuispesso si verifica una drastica riduzione della biodiversità.

Il costo dell’inquinamento: l’impronta ecologicaL’impronta ecologica è un modo suggestivo per misurare l’impatto della nostra specie sul nostro pianeta ed è costituito

in pratica dalla risposta a questa domanda: quanta Terra una persona richiede per poter sopravvivere? L'impronta ecologicanon è altro che uno strumento statistico che, pur essendo tutt’altro che preciso poiché non è in grado di tenere conto ditutti gli impatti correlati alla nostra attività e presenza sul pianeta, tuttavia è in grado di dare una buona approssimazione(sottostimata!) dell’'impatto ambientale dei nostri consumi e del nostro peso sul pianeta. Il concetto di base è che ognibene o attività umana comporta dei costi ambientali -cioè prelievi di risorse naturali- quantificabili in termini di metri quadrio ettari di superficie. A seconda del tipo di consumo si farà riferimento a un tipo di superficie piuttosto che a un altro.

Confrontando l'impronta di un individuo o di uno stato (il discorso può ovviamente essere fatto semplicementemoltiplicando i valori ottenuti per un singolo cittadino di un determinato paese per il numero di cittadini), con la quantitàdi Terra effettivamente disponibile per ciascuno di noi (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si puòcapire se il livello di consumi preso in esame è più o meno sostenibile. L'intera superficie delle terre emerse è compostada foreste ed aree boschive, pascoli, terra coltivata o coltivabile, aree costruite, distese di rocce, ghiacciai e deserti nonutilizzabili per il sostentamento o la produzione di energia. Anche gli oceani e la loro capacità produttiva entrano in questamisurazione. Il risultato di questo calcolo è il peso che ognuno di noi ha sulle risorse del pianeta. Quello che possiamoscoprire è che l’impronta mondiale è leggermente superiore alla capacità produttiva del nostro pianeta, ovvero che stiamoconsumando più risorse di quanto la Terra è in grado di fornirci e che quindi stiamo intaccando il capitale naturale. Inoltre,a fronte di una capacità sostenibile di 1.9 ettari procapite, la media mondiale è di 2.2 ettari e a creare questo squilibrio noncontribuiamo tutti allo stesso modo! Si va infatti dai 9.6 ettari che servono per sostentare i consumi di un cittadino USA odi un cittadino austriaco, all’unico ettaro che deve bastare a un cittadino indiano, o allo 0.7 di un etiope, passando attraversoi 4.2 dell’Italia, i 5.3 della Francia e gli oltre 6 della Svezia. E sono dati del 1995 che vedono per esempio la Cina pesareper soli 1.4 ettari a testa, mentre sappiamo come in questi anni i consumi e lo stile di vita cinesi così come quelli indiani,si siano molto avvicinati ai nostri. Quindi vuol dire che il nostro peso è ancora aumentato e che il nostro pianeta non potràmai sostenere una popolazione mondiale che abbia tutta lo stesso stile di vita e di consumi. L'Impronta ecologica di unostatunitense medio è quasi il doppio di quella richiesta da un europeo occidentale, e circa 5 volte più grande di quella diun abitante di un paese in via di sviluppo. Se attualmente ogni essere umano consumasse tante risorse naturali ed emettessetanta CO2 quanto un americano, avremmo bisogno di una superficie complessiva pari ad altri due pianeti come la Terra!

.la pesca incontrollata e la pesca abusiva

Quando parliamo di pesca parliamo di un mondo molto variegato e complesso in cui il 90% dei pescatori mondiali ècoinvolto nella piccola pesca artigianale costiera, ma in cui il restante 10% è responsabile di oltre il 50% del prelievo. Piùdi 3.5 miliardi di persone dipendono dall'oceano per la loro fonte primaria di alimento, ed è un numero che si prevede possaraddoppiare nei prossimi 20 anni.

Il 95% del pescato mondiale proviene dalle acque costiere (80 milioni di tonnellate) che sono quelle soggette aimaggiori rischi derivanti dall’inquinamento e dal disturbo costituito dalle attività umane.

Molti stock di specie ittiche d'importanza commerciale, come il merluzzo e il nasello, hanno raggiunto livelli critici; lamaggior parte delle specie oggetto di pesca è sfruttata ben oltre i limiti della sostenibilità. Secondo la FAO più del 70%

Fazzolettino di carta: 3 mesi Fiammifero: 6 mesi Mozzicone di sigaretta: da 1 a 5 anni

Gomma da masticare: 5 anni Busta di plastica: da 10 a 20 anni Cotton-fioc: da 20 a 30 anni

Prodotti di nylon: da 30 a 40 anni Accendino di plastica: da 100 a 1.000 anni

Bottiglia di vetro: 1.000 anni Polistirolo: 1.000 anni

TEMPI MEDI DI DEGRADO DI RIFIUTI GETTATI IN MARE

delle specie marine pescate sono sfruttate fino o addirittura oltre il loro limite sostenibile e laconsistenza delle popolazioni di grandi pesci commercialmente importanti, quali il tonno, il merluzzo,i pesci spada ed il marlin, è diminuita sino al 90% rispetto al secolo passato. Il 52% delle zone dipesca devono essere considerate come sfruttate al massimo della loro possibilità mentre il 25% èsovrasfruttato, con la conseguenza di rendere queste zone impoverite e vicine al collasso. Oltre 100milioni di squali sono uccisi ogni anno per la loro carne e per le pinne usate per la famosa zuppaconsiderata una vera prelibatezza in tutta l’Asia. Spesso i pescatori, per stivare una maggiore quantitàdel carico più prezioso, si limitano a tagliare le pinne all’animale ancora vivo rigettandolo in maredove poi morirà. Ci si domanda per quale motivo continuiamo ad avere paura degli squali,responsabili di poche decine di attacchi all’anno nei mari di tutto il mondo, di cui fortunatamentepochi mortali, a fronte della strage che viene provocata dalla nostra specie, l’unico vero spietatopredatore degli oceani.

La pesca eccessivamente intensa causa gravi danni anche a specie ittiche non commerciali e adaltre specie animali, come i cetacei, le foche, gli uccelli e le tartarughe, si tratta del cosiddettobycatch ovvero la cattura non voluta di specie che non interessano ai fini della pesca commerciale,causata dall'uso di attrezzature di pesca non selettiva, quali reti a circuizione, palamiti e derivantied ammonta alla spaventosa cifra di 20 milioni di tonnellate l'anno, con una cattura annuale dioltre 300.000 cetacei tra delfini, focene e altre specie.

La pesca del gambero con il 2% del pescato globale, da sola provoca un terzo della catturasecondaria totale. Con un rapporto tra pescato e cattura accidentale che va da 5:1 nelle zonetemperate al 10:1 e più nei tropici.

Oltre all'impatto diretto sulle specie, la pesca commerciale condotta senza rispettare le leggi èresponsabile dei danni ad alcuni tipi di habitat sensibili, come le praterie di posidonia e le scoglierecoralline d’alto mare, mentre la pesca di specie situate sempre più in basso nella catena alimentareprovoca alterazioni della struttura e del funzionamento dell'ecosistema marino.

I governi che aderiscono al programma mondiale di sviluppo sostenibile hanno sottoscrittol’impegno di cercare di ristabilire urgentemente e possibilmente entro il 2015 la consistenza deglistock ittici nell’ottica di uno sfruttamento sostenibile delle specie maggiormente importanti dal puntodi vista commerciale ma questo programma cozza contro l’azione di uno dei più gravi problemiconnessi al mondo della pesca: la pratica della pesca illegale.

Le comunità di pesca artigianale, che raccolgono la metà del pescato mondiale, stannovedendo le loro vite sempre più minacciate dalle flotte commerciali illegali che utilizzandobandiere di comodo (perché è ai governi che spetta far rispettare le leggi ai propri pescatori,anche in acque internazionali) e, utilizzando le scappatoie purtroppo presenti nelle normeinternazionali, sfuggono ai regolamenti per la gestione e la conservazione del patrimonio itticoe alle norme sulla sicurezza e sui diritti dei lavoratori che sono trattati spesso come autenticischiavi. La pesca pirata devasta gli ecosistemi marini e danneggia comunità costiere che fannoaffidamento sulla pesca locale per il proprio sostentamento. Ogni anno, la pesca illegale mediantepalamiti lunghi fino a 80 miglia, con migliaia di ami innescati provoca l’uccisione di oltre 300.000uccelli marini tra cui 100.000 albatros.

I governi che aderiscono al programma mondiale di sviluppo sostenibile si sono impegnati aperseguire l’eliminazione delle pratiche della pesca globale e a diminuire le sovvenzioni alla pescache non siano mirate a garantirne la sostenibilità. Le sovvenzioni di governo -valutate da 15 a 20miliardi di dollari all’anno- rappresentano quasi il 20% complessivo dei redditi all'industria dellapesca in tutto il mondo e finiscono con il promuovere la pesca eccessiva e accelerare l’esaurimentodelle risorse ittiche

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il bycatch minacciatartarughe, cetacei,uccelli e altri animali non commerciabili

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Il turismo selvaggio L’urbanizzazione eccessiva -spesso dovuta a fenomeni di abusivismo edilizio- e l’eccessivo carico antropico localizzato

in periodi ristretti dell’anno possono mettere a dura prova gli ecosistemi marini delle località turistiche. Oltre 175 milionisono i turisti che nell’arco dei pochi mesi estivi ed in particolare ad agosto, mese in cui chiudono la maggior parte delleaziende, si concentrano nei Paesi che affacciano sul Mediterraneo, in particolare lungo le coste; secondo le stime dell’UNEPa questa enorme massa di presenze sono destinati ad aggiungersi da qui al 2025 altri 137 milioni di turisti.

Il turismo di per sé è un fenomeno positivo, sia per chi lo pratica che ne trae indubbi vantaggi dal punto di vistadell’accrescimento culturale, dello scambio di vedute e di esperienza o anche semplicemente in termini di riposo, sia per iPaesi che dal turismo traggono importanti fette della propria ricchezza nazionale. Basti pensare che nella sola Italia ilfatturato turistico nel 1997 ha rappresentato circa il 12% del PIL, una percentuale notevole di cui il 56% è stato generatodirettamente dai consumi dei turisti. Un turismo sostenibile può quindi essere un importante volano di sviluppo ed unavalida alternativa ad uno scriteriato sviluppo industriale in zone ancora poco industrializzate del mondo e del nostro stessoPaese. Ma in questo caso la sostenibilità della risorsa è ancora più importante perché un turismo dissennato fatto dicementificazione delle coste e di una pressione eccessiva e troppo concentrata della presenza umana, finisce con ildistruggere la fonte stessa di attrattiva nei confronti del turista, sempre più alla ricerca di naturalità, di ambienti integri, diriscoperta di tradizioni e abitudini differenti, di gastronomia basata su prodotti locali, di paesi caratterizzati da una propriaidentità e non solo di divertimentifici tutti uguali, che finiscono con il ricreare in piccolo tutte le condizioni urbane da cuisi cerca di fuggire. Un’importante battaglia da condurre è quindi quella dell’allungamento della stagione turistica dellelocalità di mare sia per diluire nel tempo gli impatti che per rendere più fruibili questi luoghi per i turisti e per i residenti.Gran parte di questi flussi si concentrano infatti nella stagione estiva, con un’affluenza che registra nel mese di agosto picchivicini al 55% creando problemi di sostenibilità sia a livello ambientale in senso stretto che di funzionalità di servizi comela disponibilità d’acqua, la gestione dei rifiuti, la depurazione dei reflui, la gestione del territorio, i trasporti e le emissioniin atmosfera.

In questo panorama, un’attività come il turismo subacqueo, una forma di turismo inizialmente considerata di nicchia,ma che sta nel tempo assumendo una dimensione sempre più di massa, può costituire non solo un utile stimolo allacrescita dell’offerta turistica e di tutto l’indotto susseguente, ma anche un importante contributo alla delocalizzazionestagionale dei flussi turistici. Secondo dati presenti in uno studio commissionato dall’Assosub, l’associazione cheriunisce gli operatori del settore subacqueo, industrie, importatori, diving, tour operator, didattiche e imprese editoriali,in Italia tra praticanti dello snorkeling e subacquei che adoperano l’erogatore si possono contare circa 2.500.000persone, ed in questo quadro le aree marine protette possono rivestire un ruolo importante contribuendo a sviluppareforme sempre più evolute di turismo sostenibile, sia per quello che riguarda la subacquea o il diporto nautico, che pertutte le altre forme di fruizione del mare.

La pressione sulle costeSulle sponde del nostro mare vivono quasi 400 milioni di abitanti, dei quali circa 130 milioni, pari al 35%, vive nelle

aree costiere. I dati forniti dal Piano di Azione Mediterranea delle Nazioni Unite sono impressionanti: lungo le coste del nostro mare

troviamo 584 città, 750 porti turistici e 286 commerciali, 13 impianti di produzione di gas: 55 raffinerie, 180 centralitermoelettriche, 112 aeroporti e 238 impianti per la dissalazione delle acque. Oltre 200.000 navi solcano ogni anno le acquedel Mediterraneo, tra cui molte petroliere: le acque mediterranee sono tra le più inquinate al mondo da residui catramosi.Pur rappresentando solo lo 0,7% del totale della superficie delle acque del pianeta, nel Mediterraneo transita il 23% deltraffico mondiale marittimo di prodotti petroliferi. Secondo molte stime, proseguendo con il trend attuale, altri 20 milionidi persone andranno ad aggiungersi alla popolazione residente entro il 2025, così come ulteriori 137 milioni di turisti siuniranno ai 175 milioni che già oggi frequentano i paesi mediterranei nei mesi estivi. Questo territorio costiero così sottopressione, diventa via via sempre più ridotto perché il fenomeno erosivo delle coste rosicchia ogni anno nuove fette diterritorio. La cementificazione del letto di fiumi e torrenti assieme alla costruzione di dighe e la deviazione artificiale deicorsi d’acqua ha, infatti, negli ultimi 50 anni diminuito del 90% la quantità di sedimento che raggiunge il mare. Questoimpedisce l’apporto di sabbia e detrito necessario a mantenere vitali le nostre spiagge, il risultato è che ogni anno sparisconodai 30 centimetri ai 10 metri di litorale sabbioso, e che si spendono milioni di euro per cercare di contrastare il fenomeno.Italia, Spagna e Grecia hanno il poco piacevole primato Mediterraneo per l’erosione costiera: le loro spiagge si sono ridottedel 40% nell’ultimo mezzo secolo.

I CAMBIAMENTI CLIMATICI

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La terra è un sistema in continua evoluzione: milioni di specie sono apparse sul nostro pianeta e si sono estinte; la suasuperficie è in continuo movimento a causa dei continenti che, nel corso di milioni di anni, se ne sono andati a spasso sulglobo. Anche il clima da questo punto di vista non fa eccezione; basti pensare che, qualche decina di migliaia di anni fa,mammut e rinoceronti lanosi percorrevano in lungo e largo la nostra penisola durante le ere glaciali, per esseretemporaneamente sostituiti da leoni e giraffe. Lo stesso livello del Mediterraneo ha subito continui cambiamenti e in unperiodo della sua esistenza il nostro mare è stato addirittura completamente in secca, ridotto a una sterminata distesa disale. Anche il clima dunque è tutt’altro che stabile ed immutabile, subendo nel corso delle ere cambiamenti notevoli, dovutia oscillazioni dell’asse terrestre, al cambiamento della composizione dell’atmosfera, a mutamenti dell’intensità dellaradiazione solare, a eruzioni vulcaniche che hanno avvolto la terra con nuvole di polvere impalpabile in grado di riflettereil calore del sole verso lo spazio.

Ma allora perché da un po’ di tempo a questa parte si fa un gran parlare di clima, di cambiamenti climatici e diriscaldamento del nostro pianeta?

Perché non solo ci siamo accorti che qualcosa sta cambiando intorno a noi, ma soprattutto ci siamo accorti che staavvenendo molto velocemente, troppo velocemente per consentirci di adattarci al mutamento. Negli ultimi cento annila temperatura media superficiale dell’aria è aumentata di 0,6 gradi centigradi a livello mondiale e di quasi un gradonel nostro continente. Secondo molti scienziati, il XX secolo è stato il secolo più caldo da quando si registrano i daticlimatici, mentre gli anni ’90 hanno il poco piacevole record di essere stati il decennio più caldo degli ultimi 1.000 anni.Un record, però, che rischia di durare molto poco visto che secondo la NASA quattro dei cinque anni più caldi mairegistrati sono nell’ordine il 2005, il 2002, il 2003 e il 2004. L’anno più caldo dal 1861 -momento in cui si è iniziato aregistrare le misurazioni- è stato il 1998!

Le Nazioni Unite per cercare di comprendere il fenomeno hanno costituito nel 1998 L'Intergovernmental Panel on ClimateChange (IPPC) che riunisce migliaia di esperti del clima di ogni parte del mondo. Tra questi scienziati è andata via viacrescendo la consapevolezza che stiamo attraversando una fase di surriscaldamento del nostro pianeta, attribuibile all’azioneumana. Nel loro ultimo rapporto hanno stimato che la temperatura media globale se non si interviene aumenterà entro il2100 tra 1,4 e 5,8°C. Può sembrare una cifra insignificante, ma per comprenderla fino in fondo può essere utile sapere chela temperatura media globale durante l’ultima glaciazione di 11.500 anni fa, quando l’Europa era sepolta sotto uno spessomanto di ghiaccio, era solo 5°C in meno di quella attuale.

La stragrande maggioranza degli scienziati concorda nell’individuare la causa principale di tutto ciò, nel famoso edormai famigerato effetto serra. Questo è dovuto alla concentrazione sempre maggiore nell’atmosfera dei cosiddetti gasserra, come il biossido di carbonio (CO2) o il metano, che vengono generati dalle attività umane, in primo luogo dall’utilizzodei combustibili fossili e dalla distruzione delle foreste per far posto all’allevamento intensivo o alle colture a sommersione(per esempio il riso) che rilasciano grandi quantità di metano.

L’effetto serra si chiama così perché è il medesimo fenomeno che si verifica all’interno delle serre utilizzate per lacoltivazione di ortaggi e primizie, che mediante l’impiego di coperture trasparenti ottengono senza altre forme diriscaldamento un calore decisamente superiore a quello dell’ambiente circostante. La radiazione solare che permette la vitasul nostro pianeta bombardandone durante il giorno la superficie, viene in parte trattenuta riscaldando la terra ed in parteirraggiata nuovamente verso lo spazio sotto forma di raggi infrarossi. I gas serra nell’atmosfera svolgono in questo caso lastessa funzione delle pareti trasparenti delle serre, lasciando passare la luce visibile che entra nell’atmosfera e trattenendoi raggi infrarossi, provocando un aumento della temperatura al suolo. L’effetto serra non è di per sé un fenomeno negativo,anzi è alla base dell’esistenza della vita sulla terra così come la conosciamo; senza di esso, la temperatura media globalesarebbe infatti di circa -18°C, mentre attualmente è di +15°C.

Il problema è che le attività umane stanno aggiungendo all’atmosfera grandi quantità di quei gas che contribuiscono agenerare l’effetto serra: la deforestazione procede a ritmi impressionanti, foreste antichissime che hanno intrappolato neitronchi milioni di tonnellate di CO2 vengono bruciate per fare spazio a pascoli o a coltivazioni intensive; quantità ancorapiù grandi di CO2 racchiuse sotto terra nei giacimenti di combustibili fossili, come il carbone e il petrolio, vengono liberatee immesse nell’atmosfera dai motori a combustione, come quelli delle nostre auto.

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Tutto ciò accentua il processo naturale e contribuisce al surriscaldamento del pianeta, generandoquello che gli scienziati definiscono un effetto serra accelerato. La concentrazione della CO2nell’atmosfera è aumentata da 290 p.p.m.v (parti per milione in volume) nel 1880 a circa 380 p.p.m.vnel 2006, e continua ad aumentare ad un ritmo pari a 1,4 p.p.m.v.!

Un primo timido tentativo di porre un freno a questa situazione è stato il protocollo di Kyotorealizzato in seno alla Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC). Si tratta di unaccordo internazionale, sottoscritto nel 1997 da 84 Paesi, che indica gli obiettivi per la riduzione deigas ad effetto serra, entrato in vigore nel gennaio 2005.

Con il Protocollo di Kyoto i paesi industrializzati si impegnano a ridurre, durante il primo periododi applicazione del Protocollo (2008-2012) il totale delle emissioni di sei gas ad effetto serra (CO2,Metano, Ossido di azoto, Idrofluorocarburi, Perfluorocarburi, Esafluoro di zolfo) almeno del 5%rispetto ai livelli del 1990.

Il cambiamento climatico e il mare Il cambiamento climatico ha gravi conseguenze sull’ecosistema mare: le variazioni possono

interessare la forza e la capacità di trasporto delle correnti oceaniche, la velocità di formazione dellamassa d'acqua, il livello del mare, l'intensità e la frequenza dei fenomeni meteorologici, leprecipitazioni e la portata dei corsi d'acqua, con ripercussioni a valle sugli ecosistemi e sulla pesca.Le attività umane che comportano la perdita di habitat naturali o la loro alterazione, possonoaccentuare e moltiplicare gli effetti dei fenomeni naturali, resi già più estremi dal cambiamentoclimatico. Basti pensare alle cementificazioni degli alvei dei fiumi, al dissesto idrogeologico in cuiversano per abusivismo ed errato utilizzo del territorio molte zone del nostro Paese e alle devastantialluvioni cui abbiamo dovuto assistere negli ultimi anni o alla più grande di tutte le devastazioninaturali degli ultimi tempi, la tragedia dello tsunami che ha distrutto le coste asiatiche nel dicembredel 2004. La perdita di ecosistemi naturali, ad esempio le mangrovie, a causa di sfruttamentointensivo delle coste, come l’acquacoltura per la produzione di gamberi, si è rivelata in questo casoaltamente impattante. Questa forma di acquacoltura così importante commercialmente è peròestremamente distruttiva per l’ambiente: oltre a causare eutrofizzazione e inquinamento per lagrande quantità di mangimi e medicine che viene dispersa in acqua, è stata la principale responsabiledella distruzione di circa un quarto delle mangrovie del mondo, privando le coste di una importantebarriera naturale di difesa in grado di intercettare e attenuare la tremenda forza delle onde generatedallo tsunami. Lo tsunami è infatti un fenomeno totalmente naturale, ma la sua azione è stataamplificata dalle alterazioni all’ambiente apportate dall’uomo, con effetti disastrosi sugli ecosistemimaggiormente intaccati o degradati, che per questo motivo risultavano decisamente più fragili. Neiluoghi in cui la mangrovia era ancora presente, le devastazioni sono state molto minori; dove eranostate distrutte, l’onda dello tsunami è giunta direttamente sulla costa. Le mangrovie costituisconoun ambiente importantissimo per la salute del nostro pianeta per molti altri motivi, ad esempiocostituiscono il luogo dove trovano rifugio uova, larve e piccoli per l’ 85% delle specie di pescicommercialmente importanti dei tropici. Stesso discorso può essere fatto per le barriere coralline,che negli ultimi anni hanno mostrato una significativa degradazione in ben 93 dei 109 paesi nellecui acque sono presenti. Anche se le barriere ricoprono meno dello 0,5% dei fondali, oltre il 90%delle specie marine dipende direttamente o indirettamente da loro, per non parlare del fatto che circa4.000 specie vivono nelle barriere, ovvero circa un quarto di tutte le specie ittiche esistenti. Lagrande barriera corallina, nell’Australia orientale, lunga oltre 2.000 km è la più grande strutturavivente sul nostro pianeta, visibile persino dalla luna. Ma il fenomeno dello sbiancamento dei coralli,dovuto all’espulsione delle alghe simbionti a causa delI’innalzamento della temperatura dell’acqua,costituisce una seria minaccia alla sopravvivenza di queste straordinarie strutture viventi. Nel 1998oltre il 75% delle barriere coralline del globo è stato soggetto al fenomeno dello sbiancamento e diqueste il 16% sono morte. Anche il Mediterraneo sta iniziando a mostrare segni di cambiamento,che si iniziano a percepire anche dalla presenza di specie nuove che popolano il nostro mareprovenienti da acque più calde, dando luogo a due nuovi fenomeni che interessano il mare nostrum:la meridionalizzazione e la tropicalizzazione.

La meridionalizzazione del MediterraneoLa meridionalizzazione, pur essendo direttamente legata ai mutamenti climatici, non è un

fenomeno dovuto a specie provenienti da altri mari, ma piuttosto a specie termofile (che preferisconocioè acque più calde) già presenti nel Mediterraneo, la cui distribuzione era limitata alle acque piùcalde del bacino, situate nella porzione meridionale del mare nostrum.

Con il progressivo innalzarsi della temperatura queste specie hanno iniziato ad ampliare i loroareali conquistando nuovi territori sempre più a nord e ad aumentare la propria presenza e quantitàdove erano già presenti, come nel caso del barracuda nel Mediterraneo. Ecco allora la possibilità di

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il pesce scorpione è una delle specieche potremo ungiorno incontrare a causa della tropicalizzazionedelle nostre acque

la caulerpa è un pericolo per la prateria diposidonia

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osservare alcune specie in luoghi decisamente insoliti. È il caso del pesce balestra, del pesce pappagallo, o dellacoloratissima donzella pavonina, che fino a dieci, quindici anni fa era presente solo a sud della Sardegna e della Campaniae che ora si può osservare facilmente anche in Liguria. Questi fenomeni si sono accentuati negli ultimi anni, proprio inconseguenza dell’innalzamento della temperatura del Mediterraneo, cosa che rende la penetrazione di queste specie piùagevole e la loro sopravvivenza e riproduzione più probabile, consentendo alle forme giovanili di superare l’inverno e diinfluenzare, di conseguenza, la composizione della fauna e della flora, con risultati al momento non ancora prevedibili.

La tropicalizzazione del MediterraneoPoiché il Mediterraneo è un mare chiuso e con una profondità media non elevatissima, è molto sensibile al fenomeno

del surriscaldamento globale, che negli ultimi 20 anni ha fatto registrare un aumento della temperatura media delle acquesuperficiali di oltre 1,5°C. Nella terribile estate del 2003 però, in molte nostre località la temperatura dell’acqua superficialeha sfiorato i 30°C, come in Polinesia! Abbiamo poi assistito ad un innalzamento delle temperature medie invernali, che inporzioni sempre più ampie del bacino rimangono per tutto l’anno al di sopra dei 14°C consentendo così la sopravvivenzae la riproduzione di specie non presenti di norma nel Mediterraneo, che provengono da mari più caldi del nostro. Quandosi parla di tropicalizzazione del Mediterraneo ci si riferisce proprio al processo di colonizzazione di questo bacino da partedi specie provenienti da mari caldi, tropicali o sub tropicali. Le specie giungono nel Mediterraneo o tramite l’azione dell’uomoo attraverso vie naturali di comunicazione come il Canale di Suez (queste specie vengono chiamate specie lessepsiane, dalnome dell'ingegnere francese Ferdinand-Marie de Lesseps, fondatore della società che aprì il Canale di Suez) provenendodalle ricchissime acque del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, o attraverso lo stretto di Gibilterra, giungendo dall’Atlanticoorientale dopo aver risalito le coste atlantiche del continente africano.

Questo fenomeno può avere anche origine naturale e si è sempre verificato in natura e nei mari di tutto il mondo dovebacini con faune diverse entrano in contatto. La stessa fauna del Mediterraneo, pur avendo una importante componenteendemica, proviene in gran parte dai bacini vicini. Quello che appare ora preoccupante è la rapidità e l’intensità con cui ilfenomeno si è verificato negli ultimi anni. Addirittura, secondo l’ICRAM le specie marine aliene penetrate in Mediterraneosino ad oggi sono oltre 700, quasi tutte di origine sub tropicale e tropicale fra le quali alcune specie di barracuda, pescipalla e pesci scorpione ed altri pesci meno noti ma decisamente affascinanti come ad esempio la fistularia o pesce flauto,oramai avvistato anche nei mari siciliani. Naturalmente il fenomeno delle specie aliene non riguarda solo i pesci ma tuttele creature marine, dagli invertebrati alle numerose alghe di origine indopacifica che hanno ormai conquistato il nostrobacino, in alcuni casi espandendosi con una velocità impressionante e minacciando la stabilità degli ecosistemi autoctoni:è il caso della Caulerpa taxifolia.

l’invasione delle specie alieneQuando si parla di specie aliene, con buona pace dei patiti degli UFO, naturalmente non stiamo

parlando di esseri provenienti da lontane galassie ma più semplicemente di specie, sottospecie oraggruppamenti tassonomici (taxon) che occupano aree al di fuori del loro normale areale conosciuto,aree che non potrebbero naturalmente raggiungere attraverso la propria capacità di dispersione, onelle quali penetrano a seguito dei mutamenti climatici. Insomma sono specie la cui presenza nelnostro mare è dovuta indirettamente o direttamente all’azione dell’uomo. Per definire queste speciesi usano anche espressioni come specie non native, non indigene, alloctone o esotiche.

Nel momento in cui le specie hanno una grande facilità di insediare popolazioni stabili in nuoviterritori, colonizzandoli rapidamente ed irreversibilmente e diffondendosi velocemente, vengonodette specie invasive.

Quando una nuova specie si è stabilizzata su un territorio dando vita ad una popolazione ingrado di mantenersi e riprodursi autonomamente senza il supporto dell’uomo, si definisce specieinsediata. Questo avviene più spesso di quanto comunemente si creda e numerose specie chesembrano ormai far parte stabilmente dei nostri ecosistemi sono state introdotte in epoca storica:è il caso del daino e dell’istrice introdotti all’epoca dei romani nella macchia mediterranea e dellaCaulerpa prolifera, un’alga verde di origine indopacifica, ormai acclimatata e stabilizzatasi nel nostrobacino.

L’arrivo di specie invasive a rapido accrescimento è sempre problematico, perché una nuovaspecie introdotta in un nuovo ambiente, dove magari non incontra predatori o competitori attrezzati,finisce con l’alterare profondamente un ecosistema provocando veri e propri sconvolgimenti chepossono portare all’estinzione di alcune specie autoctone, determinando disequilibri e perdita dibiodiversità.

Vettori di diffusione Ma come arrivano le nuove specie? Oltre a giungere direttamente sulle proprie pinne, possono

arrivare attraverso il trasporto passivo, che può avvenire in molti modi diversi: per esempio aderendoad un pezzo di plastica galleggiante, oppure alle zampe di uccelli acquatici, o nello stomaco dipredatori, se si tratta di uova o di forme resistenti. Gli organismi che costituiscono il fouling, ovveroquegli organismi che incrostano qualunque tipo di substrato duro, possono giungere sugli scafidelle navi, altri ancora possono arrivare con la melma raccolta in porto dalle ancore. Contribuisconoal fenomeno della tropicalizzazione anche l’importazione di specie ittiche tropicali per gli acquari,la ricerca di nuove specie per lo sviluppo dell'acquacoltura e le specie importate come esche viveper la pesca.

Uno dei vettori principali di diffusione degli organismi alieni è sicuramente costituito dalle acquedi zavorra delle navi. Queste, per potere navigare in sicurezza, debbono avere un assetto stabile siaquando sono cariche sia quando sono vuote; se proviamo a far galleggiare una bacinella vuota eduna in cui avremo posto un peso al centro, ci renderemo conto come quella con il peso sia assaipiù stabile, anche se muovendo l’acqua simuliamo delle onde. Il principio della zavorra è proprioquesto: quando le navi sono prive del loro carico devono avere comunque a bordo un peso che lestabilizzi e che permetta di affrontare anche il cattivo tempo in condizioni di sicurezza. Fino a qualcheanno fa questo problema veniva risolto con dei pesi, generalmente pani di piombo, posti nella stivadella nave lungo l’asse della chiglia. È stata una soluzione adottata per migliaia di anni, moltoadatta per le navi a vela; ancora oggi quelle di altura hanno il bulbo zavorrato sulla deriva, perbilanciare la spinta del vento sull’albero e sulle vele. Ma una zavorra fissa limita in realtà il caricoutile che può portare un mercantile e così si è escogitato il sistema delle casse di zavorra, cheimbarcano acqua quando la nave è scarica e la rigettano a mare quando hanno un carico pagante.

Il carico e lo scarico delle acque di zavorra avvengono in porto e le pompe movimentano enormiquantità di acqua: una grossa nave cisterna può imbarcare decine di migliaia di tonnellate di acquadi zavorra e con esse un bel campione assai rappresentativo della fauna e della flora presente, chepoi scaricherà in un altro porto quando dovrà imbarcare un altro carico.

In questo modo, organismi anche potenzialmente nocivi o pericolosi per la salute oltre che perl’ambiente, dal porto di Rio de Janeiro potranno giungere nelle calde e buie cisterne di un mercantilesino al porto di Genova e qui una volta scaricati, nel caso trovassero un ambiente favorevole,insediarsi e moltiplicarsi. Quando questo fenomeno avviene con specie invasive, le conseguenze perla biodiversità e anche quelle economiche possono essere catastrofiche, come è accaduto già diversevolte nel mondo.

La comunità internazionale ha cercato di porvi rimedio con la Ballast Water Convention chequando sarà a regime imporrà che tutta l’acqua di zavorra dovrà essere trattata prima di venirescaricata in mare. Passeranno probabilmente parecchi anni prima che tutte le navi si adeguino e nelfrattempo le specie continueranno a trasferirsi da una parte all’altra del mondo, causando

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sconvolgimenti negli ecosistemi e nelle economie locali, favoriti dall’innalzamento della temperatura che consente lasopravvivenza anche a specie provenienti da porti tropicali o sub tropicali.

I flagelli alieniCome abbiamo visto la penetrazione di specie aliene in un ecosistema può costituire un grosso problema, anche di natura

economica! È abbastanza illuminante a questo proposito ricordare quanto è avvenuto in Mediterraneo con Mnemiopsis Leydi,un piccolo ctenoforo del sud est asiatico, giunto nel Mar Nero trasportato nell’acqua di zavorra delle navi, e che privo dipredatori si è moltiplicato a dismisura, divenendo uno dei principali responsabili della distruzione degli stock ittici dell’areacon una riduzione di oltre il 75% del pescato annuale. Sempre attraverso l’acqua di zavorra delle navi questo autenticoflagello è penetrato nel Mar Caspio, collegato da canali navigabili al Mar Nero, dove ha avuto la stessa crescita tumultuosa,con una fortissima pressione predatrice sullo zooplancton, che ha prodotto il cambiamento della composizione qualitativae della abbondanza di questo anello fondamentale della catena trofica marina: da quando è stato individuato nel MarCaspio la disponibilità di plancton è scesa del 50-80%!

In numerosi Paesi la diffusione del mitilo zebrato Dreissena polymorpha ha prodotto danni molto ingenti perché siriproduceva a ritmi mostruosi, coprendo banchine portuali, frangiflutti, prese d’acqua di impianti costieri o di centralielettriche, costringendo gli stati colpiti (Australia, USA, Canada) a spese rilevanti per controllarne lo sviluppo e per ripulireporti e impianti.

Altro invasore alieno è la Caulerpa taxifolia cui è stato attribuito il nome di alga killer per la presenza di tossine che larendono poco appetibile. Questa specie appartiene al gruppo delle alghe verdi di cui è una delle specie più evolute, insiemealle altre due caulerpe, la racemosa e la prolifera, anch’esse ormai introdottesi in Mediterraneo attraverso il canale di Suezo mediante l’acqua di zavorra delle navi. La C. taxifolia, originaria della regione tropicale indopacifica, probabilmente si èinsediata in Mediterraneo grazie ad alcuni frammenti sfuggiti ai filtri degli impianti di ricircolo dell’acqua dell’acquario diMonaco, dove l’alga era presente in alcune vasche. Fu proprio nelle acque antistanti l’acquario che venne avvistata per laprima volta nel 1984, con una superficie occupata di circa 1 mq. A distanza di meno di venti anni la sua diffusione haraggiunto le acque di numerosi siti in Francia, Spagna e Italia. Di portamento molto gradevole, a dispetto del nome di algakiller regalatole dai mass media, è caratterizzata da fronde lunghe da 5 a circa 65 cm, di un bel verde brillante, molto similialle foglie del tasso, caratteristica questa all’origine della denominazione scientifica (Caulerpa taxifolia significa infatticaulerpa dalle foglie di tasso). Questa alga si è dimostrata una specie ben adattabile e cresce da zero a oltre 50 metri diprofondità su fondali molli di varia conformazione (sabbia, fango, detriti, ghiaie), entrando in competizione con gli organismipropri di questi ambienti. Il suo successo riproduttivo è dovuto alla mancanza o allo scarso numero di specie che la predano,alla grande velocità di crescita e alla fortissima capacità di riprodursi anche per frammentazione, processo in cui da ogniminuscolo frammento delle sue fronde, può generarsi un intero nuovo individuo. La competizione più importante è proprioquella nata con le praterie di posidonia: quando questi due appartenenti al mondo vegetale entrano in contatto, sicontendono duramente spazio, luce e ossigeno. Secondo molti studi recenti, nei bordi delle praterie e in condizioni diindebolimento delle piante di posidonia (come accade per esempio nelle zone soggette a processi erosivi per ancoraggi estrascico illegale) molto spesso è la caulerpa ad avere la meglio, grazie alla capacità dei talli di raggiungere dimensionieccezionali (65 cm di lunghezza) che le consentono di sfruttare al massimo la luce, lasciando all’ombra la sua antagonista,molto meno flessibile nella capacità di predisporre strategie di risposta.

Infine tra i visitors tristemente assunti agli onori della cronaca possiamo sicuramente annoverare il dinoflagellatoOstreopsis ovata, la cui presenza ha destato allarme in molte località marine italiane perché associata ad alcuni fenomenidi intossicazione avvenuti senza contatto diretto con l’acqua. Le fioriture algali marine, in particolare quelle attribuibili aidinoflagellati quale l’alga Ostreopsis ovata, sono fenomeni ben noti per la loro pericolosità, perché in grado di rilasciarenell’ambiente massicce quantità di tossine che possono causare estese morie di organismi marini e, attraverso la catenaalimentare, arrivare ad interessare anche l’uomo. Alcuni dinoflagellati epibentici (che vivono cioè aderenti ad un substrato),sono in grado di produrre le tossine del gruppo della ciguatera che possono provocare gravi intossicazioni alimentari,persino mortali: attraverso il fenomeno del bioaccumulo possono concentrarsi in grosse quantità anche nelle carni di pesciutilizzati per il consumo umano. L’Ostreopsis ovata, che si moltiplica in acque piuttosto stagnanti e ricche di nutrienti, è dinorma ritenuta tossica solo per gli animali marini, ma ha dato luogo a casi di intossicazione in bagnanti che non sono entratidirettamente in contatto con l’alga o con le tossine, ma che hanno inalato queste ultime attraverso l’aerosol marino generatodal moto ondoso, anche solo passeggiando in riva al mare. Fenomeni simili sono accaduti negli ultimi anni in diverselocalità lungo le coste del nostro Paese, al punto da far ritenere che quest’alga si sia ormai insediata stabilmente in piùpunti della nostra costa.

La diffusione di questa come di altre specie aliene nel nostro Paese è con ogni probabilità da attribuirsi al trasportoattraverso le acque di zavorra o il fouling delle navi, visto che secondo alcuni studi il corredo genetico degli esemplari trovatilungo le nostre coste sembra sia molto simile alla varietà che vive lungo le coste del Brasile.

IL FUTURO CHE CI ASPETTA

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Parlando di possibili scenari futuri, dobbiamo sempre avere in mente che il clima è governato da una serie dicomplesse interrelazioni, per cui è estremamente difficile comprendere come la situazione si evolverà realmente.Questo naturalmente rende molto difficile riuscire a dare risposte adeguate a ridosso degli eventi e rende quindinecessario predisporre, invece, degli interventi pianificati. Secondo le proiezioni contenute nei rapporti dell'IPCC, ilcambiamento climatico avrebbe tra gli effetti anche l’innalzamento del livello del mare che, a seconda della variazionedi CO2, potrebbe salire tra gli 8 e gli 88 centimetri! Nel caso si avverasse la peggiore di questa previsione interearee del nostro bacino e del nostro Paese sarebbero a rischio di sommersione e dovrebbero essere protette con dighecome avviene in Olanda. Una città come Venezia poi sarebbe a rischio insieme a tutta la laguna al punto che, sequeste previsioni si rivelassero fondate, il tanto contestato MOSE -il sistema di paratie che dovrebbe salvaguardareil gioiello della laguna dall’acqua alta- diverrebbe già obsoleto ed inutile ancora prima della sua nascita: è stato infattiprogettato per un livello del mare inferiore a quello che potrebbe raggiungere l’Adriatico.

Altra terribile conseguenza che potrebbe purtroppo verificarsi è la desertificazione di vaste zone della porzionemeridionale del bacino, con una diminuzione della media annuale delle precipitazioni e conseguentemente delladisponibilità d’acqua. Paradossalmente, le precipitazioni potrebbero contemporaneamente crescere di intensità, acausa del surriscaldamento dell’atmosfera e del mare, dando luogo alla cosiddetta estremizzazione del clima: lepiogge si concentrano in periodi più brevi, ma sono molto più violente; è un fenomeno che abbiamo potutoconstatare noi stessi negli ultimi anni.

Tornando alle specie aliene provenienti da aree tropicali o sub tropicali, la loro facilità di penetrazione aumenteràcon l’aumento delle temperature; apporteranno profonde modificazioni agli ecosistemi marini, già stressatidall’inquinamento e dal sovrasfruttamento di alcune specie dovuto alla pesca, che potrebbero avere anche

conseguenze assai gravi, fino ad arrivare alla scomparsa di molte specie. Un’ulteriore grave conseguenza potrebbe essere l’aumento della produzione di mucillagini, un fenomeno di

eutrofizzazione relativamente frequente, specie nell'Adriatico, e che potrebbe aumentare in frequenza e intensità inpresenza di un riscaldamento generalizzato della massa d’acqua, che impedirebbe il rimescolamento invernale.

È necessario agire subito, perché le emissioni dei gas serra più persistenti (biossido di carbonio, protossido diazoto, perfluorocarburi) hanno purtroppo un effetto assai duraturo sul clima e questa loro caratteristica è aggravataulteriormente dalla naturale inerzia termica che ha un enorme sistema come quello costituito dal nostro pianeta edai suoi oceani.

Come diminuire le emissioni di CO2Nell’ultimo rapporto dell’IPCC destinato ai politici e ai decisori, gli scienziati sostengono che i prossimi 20 o 30

anni saranno fondamentali per la lotta contro il surriscaldamento del pianeta e che sarà necessario diminuire leemissioni mondiali di gas a partire dal 2015, se si vuole sperare di contenere l’aumento della temperatura mediadel pianeta fra i 2 e i 2,4°C. Si tratta di un passo avanti rispetto al Protocollo di Kyoto che, se pur giudicato troppopenalizzante da molti paesi, a poco più di due anni dalla sua entrata in vigore si rivela già largamente insufficiente.

I mezzi da usare sarebbero a portata di mano se solo ci fosse la volontà di agire da parte di tutti i governi: sonoil risparmio energetico, l’uso di energia proveniente da fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, geotermico,biomasse) che non liberino quindi la CO2 intrappolata nel carbone o negli idrocarburi da milioni di anni; preferire,fra i combustibili fossili, il gas naturale al petrolio o al carbone (perché la combustione di metano genera menobiossido di carbonio a parità di energia prodotta); eliminare i clorofluorocarburi (gas che generano anche il bucodell’ozono); fermare la deforestazione, perché le foreste sono delle enormi pompe di CO2 che viene fissata attraversola fotosintesi e trasformata in sostanza vivente. Un grande albero nel corso del tempo ha immagazzinato tonnellatedi anidride carbonica e se venisse bruciato la rilascerebbe di nuovo in atmosfera.

Ma anche ogni singolo cittadino può fare qualcosa e contare; basti pensare che le abitazioni private utilizzanoun terzo dell'energia consumata nell’Unione Europea e che il 70% di questa energia è destinato al riscaldamentodomestico, il 14% alla fornitura di acqua calda e il 12% all'illuminazione e al funzionamento degli apparecchi elettrici.

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Sempre le abitazioni private sono responsabili di circa il 20% delle emissioni di gas ad effettoserra, mentre le automobili private pesano per un altro 10% sulle emissioni dell’UE. In più, iconsumatori privati acquistano prodotti fabbricati utilizzando energia, viaggiano in aereo,producono rifiuti, mangiano carne, tutte attività che indirettamente provocano l'emissione digas serra.

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stando alleproiezioni dell'IPCCsui mutamenti climatici, se l'innalzamento del mare superasse gli 80 cm, molte areedel nostro Paese andrebbero protettecon dighe, comeavviene in Olanda

OGNUNO DI NOI PU ò IMPEGNARSI IN QUATTRO AZIONI

SPEGNItutte le apparecchiature e le luci non indispensabili, contribuirai al risparmio energetico e a bruciare meno combustibili

CAMMINAi muscoli non producono CO2: cammina o vai in bicicletta il più possibile, ne guadagnerà la tua salute e contribuirai a immettere meno gas e sostanze nocive in atmosfera

ABBASSAnella nostra civiltà del consumo troppo spesso siamo abituati ad esagerare, a tenere riscaldamenti troppo alti, luci troppo forti… impariamo ad abbassare, ne guadagnerà il nostro pianeta ma anche le nostre tasche

RICICLAriciclare è importante, non solo per diminuire la montagna di rifiuti che ci sta soffocando, ma anche per ridurre processi industriali ed estrattivi che contribuiscono ad immetteregas serra in atmosfera

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GLI ABITANTI DEL MARE

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FITOPLANCTONÈ alla base della vita, costituito da miliardi di piccolissime cellule vegetali. Alcuniorganismi sono in grado di utilizzare l’azoto disciolto nell’acqua, rendendolodisponibile all’interno della catena alimentare. Per contrastare la gravità, che li farebbeprecipitare nelle profondità prive di luce, hanno sviluppato strutture e accorgimentiper facilitare il galleggiamento, producendo guaine gelatinose o accumulando acqua,gas o goccioline di grasso all’interno della cellula. Nel fitoplancton troviamo lediatomee, alghe verdi unicellulari racchiuse in una sorta di scatolina con coperchiodi silicio; i dinoflagellati, dotati di una minima capacità di movimento e responsabilidelle fioriture algali che formano le maree rosse; le cloroficee, alghe unicellulari ocoloniali, con pigmenti verdi simili a quelli delle piante superiori. Il fitoplancton èabbondante nelle zone ricche di nutrienti, in quelle con forti correnti di risalita e neglistrati più luminosi della zona fotica.

OMBRELLINO DI MARE (Acetabularia acetabulum)La sua delicata struttura è simile a quella di un ombrellino cinese. La si può scorgerenella frangia di vegetazione algale, che orna moli e scogliere. Appartiene al gruppodelle alghe verdi ed ha un colore verde pallido. Cresce su fondali rocciosi anche a piùdi 30 m di profondità; misura fino a 5 o 6 cm ed ha un cappello di oltre 1 cm didiametro. All’inizio della stagione riproduttiva, in primavera, la lunga cellula allungatasi espande verso un’estremità a formare il caratteristico cappello che, con il tempo,si ricoprirà di incrostazioni calcaree. Il cappello è caratterizzato da solchi profondi sucui si sviluppano le spore, simili alle lamelle della parte inferiore di alcuni funghi.Essendo di origine tropicale, preferisce le acque calme e ben illuminate dove formapopolazioni numerose.

LATTUGA DI MARE (Ulva rigida)Il nome lattuga di mare già fornisce un’idea molto precisa del suo aspetto. Si tratta,infatti, di un’alga verde tra le più comuni, diffusa sia nei fondali rocciosi in cui aderisceal substrato e sia in quelli sabbiosi e nelle lagune dove può crescere anche senzaancorarsi con il tallo al fondale. Può raggiungere i 30 cm in altezza, mentre lalarghezza oscilla tra i 10 e i 40 cm. La foglia, di un verde brillante, è larga e dentellata;il tallo alla base è quasi cartilagineo ed ha una notevole consistenza. È presente inmare tutto l’anno anche se raggiunge il massimo sviluppo nei mesi più caldi. Incondizioni di forte eutrofizzazione può dare luogo a gigantesche fioriture, sviluppandouna enorme quantità di biomassa, che si accumula su spiagge e fondali o galleggiain superficie, dando luogo a processi di decomposizione che oltre a produrre odorisgradevoli, possono anche avere gravi conseguenze per l’ambiente, sottraendoossigeno alle biocenosi e alterando la composizione degli ecosistemi marini.

ZOOPLANCTONLo zooplancton è costituito da organismi animali che, incapaci di compiere movimenticonsistenti, si lasciano trasportare dalle correnti e dal moto ondoso. Sono organismiche riducono il loro peso specifico grazie alla presenza di gas o di goccioline di grassoall’interno della cellula e anche grazie alla presenza di appendici o protuberanze chene favoriscono il galleggiamento. Molti di questi organismi sono unicellulari, come ibatteri e rotiferi, di piccole dimensioni, come crostacei quali i copepodi, le dafnie oil krill. Alcuni possono raggiungere dimensioni notevoli, come la fisalia o caravellaportoghese, specie di medusa con tentacoli filamentosi lunghi anche parecchi metrio il cesto di Venere, ctenoforo che può superare 1,5 m. Tra lo zooplancton troviamola maggior parte dei consumatori primari marini che si nutrono del fitoplancton elarve di numerose specie che adulte divengono organismi bentonici o nectonici.

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LITTORINA (Littorina neritoides)Dopo una mareggiata la scogliera sembra cosparsa da una miriade di bollicine;guardando più attentamente ci si accorge che sono delle chioccioline scure, le littorine.Questo straordinario piccolo mollusco gasteropode dall’aspetto poco appariscente èin grado, grazie all’opercolo di cui è fornita la sua conchiglia, di resistere all’asciutto,rinserrato all’interno, anche per alcune settimane. Nelle pareti rocciose molto espostesi può trovare sino a 10 m sul livello del mare. Le littorine che si radunano in grannumero nelle umide fessure scavate dalle onde, si nutrono delle alghe che vivono inquesta area, rifugiandosi tra i licheni, organismi frutto della simbiosi tra un fungo eun’alga, in grado di trovare nutrimento praticamente ovunque. Le littorine si cibanograttando le alghe dalla roccia con la loro radula, una sorta di lingua coperta dacentinaia di minuscoli denti, una specie di raspa tipica dei molluschi gasteropodi.

CIPREA O PORCELLANA (Luria lurida o Cypraea lurida)La ciprea lunga da 3 a 6 cm circa, di giorno si nasconde sotto le pietre del fondo,negli anfratti o all’ingresso delle grotte o sotto spugne e piccoli sassi. Va a caccia dispugne, coralli e piccoli crostacei su fondali rocciosi e sabbiosi, da pochi metri sinoa 30-40 m di profondità. Il bel colore bruno-rosato della sua conchiglia, con le dueestremità arancione, rendono questo mollusco troppo spesso appetibile aicollezionisti.

DENTE DI CANE (Chtamalus stellatus)Questo curioso animaletto è un crostaceo, parente stretto di granchi, gamberi earagoste. La larva è libera, ha una vita inizialmente planctonica e si lascia trasportaredalla corrente per colonizzare nuove scogliere. Quando arriva in un posto adatto, sifissa al substrato ed emette una sorta di segnale che consente ad altre larve diraggiungerla, in modo che parecchi individui si trovino molto vicini su una superficieristretta. Ha una corazza formata da 6 piastre calcaree, che possono serrarsi quasiermeticamente. Si nutre di piccole particelle che intrappola con arti e antennedall’aspetto piumoso. In assenza di vento può tranquillamente resistere parecchigiorni esposto ai raggi del sole. Alcune specie simili si fissano sul carapace delletartarughe marine o sulla pelle di grandi cetacei, unendo in questo modo il vantaggiodella vita sedentaria a quello del movimento.

LEPRE DI MARE, ASINO MARINO (Aplysia depilans)È un mollusco nudibranco di grandi dimensioni, che raggiunge anche i 30 cm dilunghezza ed è presente, soprattutto in primavera, nelle praterie vicino alla costa. Sitrova fino a 15 o 20 m di profondità. Il suo nome comune è dovuto ai lunghi tentacoliavvolti a cucchiaio, che ricordano gli orecchi della lepre. Assolutamente innocua,nonostante le molte credenze sbagliate, è bello osservarla ondeggiare fra le fogliedella zostera.

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MERLETTO DI MARE (Sertella beaniana)Il merletto di mare appartiene alla classe dei briozoi, animali abbastanza simili aicoralli. Questa specie preferisce l’oscurità e per questo la si può osservare, a partiredai 2 m di profondità, nelle zone ombrose dei litorali rocciosi e nelle pareti internedelle grotte. Vive in colonie che sono delle fragili trine di un bel colore rosa salmone.

FALSO CORALLO (Myriapora truncata)Molto simile al vero corallo, la miriapora è un briozoo le cui colonie, che hanno unbel colore rosso corallo, possono raggiungere i 12 cm di altezza e il diametro di unamatita. Proprio come il corallo rosso, è una specie che possiamo trovare sulle paretirocciose in penombra e all’ingresso di grotte sottomarine. È un animale molto delicatoe tende facilmente a spezzarsi.

PINNA, NACCHERA (Pinna nobilis, P. squamosa)È il più grande bivalve del Mediterraneo, caratterizzato da una enorme conchigliacuneiforme che può superare gli 80 cm di lunghezza. All’esterno è di colore bruno,con scaglie più chiare a forma di canali, mentre all’interno è rossiccia. Produce ilbisso, una sostanza filamentosa. Un tempo era diffusa nei fondali sabbiosi eprofondi dai 3 metri in giù, soprattutto in prossimità delle praterie di posidonia.Oggi è divenuta una specie molto rara e l’Unione Europea ne richiede unaprotezione rigorosa.

SPIROGRAFO (Spirographis spallanzani)Anche se il suo aspetto ricorda un fiore sommerso, la rapida scomparsa della suacorona al minimo movimento sospetto, ci fa comprendere subito di avere a chefare con un rappresentante del mondo animale. Lo spirografo è infatti un parentestretto dell’umile lombrico e trascorre la sua vita in un tubo membranoso, che luistesso fabbrica e da cui lascia sporgere i colorati ciuffi branchiali, dalle delicateforme a spirale, con cui respira e intrappola il cibo. Lo spirografo può misurare sinoa 35 cm di lunghezza ed avere un ciuffo branchiale largo anche 10 o 12 cm. Vivesia sui fondali rocciosi che su quelli sabbiosi, ma si trova a suo agio anche nellepraterie di posidonia, ricche di particelle organiche e microrganismi in sospensioneche costituiscono il suo cibo. Molti suoi parenti stretti, che differiscono per ledimensioni del tubo e per il colore dei ciuffi branchiali, come la protula, la serpula,il verme pavone, sono osservabili anche a bassissima profondità.

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SEPPIA (Sepia officinalis)Abili cacciatrici, hanno un corpo piuttosto tozzo ed appiattito con due bordi lateraliespansi a formare una sorta di pinna. Possono raggiungere i 35 cm di lunghezza e i2 kg di peso; sono dotate di 10 braccia che circondano la bocca, munita di un beccocorneo. Due delle braccia sono molto più lunghe e retrattili, con le estremità allargatee coperte di ventose. Sono in grado di mutare colore a seconda dell’umore o dellesituazioni, grazie a particolari cellule della pelle, i cromatofori. Nel periodo degliaccoppiamenti, il maschio presenta una vivace livrea zebrata e non abbandona lacompagna prescelta neanche un istante, esibendosi in sgargianti variazioni di colore.A primavera le femmine si portano vicino alla riva per deporre le uova, fissandole allefoglie di posidonia o ad altre superfici. Appena nate, le piccole seppie sono in gradodi cacciare autonomamente

POMODORO DI MARE (Actinia equina)Osservando con attenzione la fascia di marea può capitare di osservare,immediatamente sopra il pelo dell’acqua, qualcosa di decisamente simile ad unpomodoro dal brillante colore rosso, fissato alla roccia. Basta attendere che illivello dell’acqua salga un poco, sommergendolo, per vedere aprirsi una famelicacorona composta da oltre 200 tentacoli disposti in file concentriche. Si tratta delpomodoro di mare, dalla larga base adesiva, che si fissa alle rocce e si difendedal disseccamento durante la fase di bassa marea, trasformandosi in una sorta dipalla compatta e intrappolando al suo interno l’acqua necessaria alla respirazione.Fino a 7 cm di diametro, il pomodoro di mare si nutre di piccole creature cheintrappola tra i suoi tentacoli irti di cellule urticanti che si richiudono fino allacompleta digestione della preda.

GAMBERETTO DI SCOGLIERA (Palaemon serratus)È un piccolo gambero dal lungo rostro ornato di dentelli, striato di marroncino. Èprovvisto di appendici per il nuoto lungo l’addome che in trasparenza consente divedere gli organi interni. Vive da 2 m di profondità sino a oltre 10 m; è frequente nellepraterie di posidonia e nei fondali rocciosi. Si incontra abbastanza frequentementenelle pozze di marea su scogliere e frangiflutti. È un animale onnivoro, dalla dieta riccae variata, che comprende vegetali, animali, creature morte; svolge un fondamentaleruolo tenendo pulita la scogliera ed evitando fenomeni di putrefazione che potrebberodar luogo a infezioni. Alcune specie di gamberetti assai simili, i cosiddetti pulitori, sisono addirittura specializzati nel fare toeletta ad altre creature marine, mangiando iresidui di cibo e gli eventuali parassiti che si portano addosso.

GRANCHIO DI SCOGLIERA (Paghygrapsus marmoratus)È in grado di portare con sé nelle sue rapide escursioni sull’asciutto, delle piccoleriserve d’acqua per tenere umide le branchie e respirare anche all’aria. È importantequindi, se preso per osservarlo, non tenerlo troppo tempo al sole prima di liberarlonuovamente. Ha una corazza appiattita quadrangolare, dal colore bruno verdastro. Ilmaschio si differenzia dalla femmina per avere l’addome più stretto. La femmina inestate porta sull’addome la massa delle uova, piccole e di colore giallastro. A volteil granchio corridore è preda di un crostaceo parassita, la sacculina, dall’aspettostranamente simile alle uova. Il granchio di scogliera si nutre di detriti e di piccolianimali; praticamente onnivoro, è un utile spazzino. È dotato di una eccellente vistae avverte la presenza dell’uomo a grande distanza.

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CEFALO (Mugil cephalus)Ne esistono diverse specie che differiscono per la forma della bocca; hanno tutte uncorpo slanciato ed affusolato con due brevi pinne dorsali, ricoperto sui fianchi digrandi scaglie che diventano più piccole sul capo; ha bocca piccola, pinne pettoraliinserite molto in alto, dorso bluastro e fianchi argentei. Può raggiungere i 50-70 cm,raramente anche 120, e può pesare sino a 8 kg. È una specie gregaria, che formabranchi anche di grandi dimensioni e che predilige le acque temperate, migrando aprimavera nelle acque salmastre delle lagune e degli estuari. Si nutre di organismiplanctonici, molluschi e di materiale vegetale, incluso il detrito. La riproduzioneavviene in mare tra luglio e ottobre; le uova sono piccole (0.75 mm) e moltonumerose, munite di una goccia oleosa che impedisce loro di affondare.

MURENA (Muraena helena)L’aspetto serpentiforme, il colore brunastro screziato da macchie e variegature bianco-giallastre, la bocca sempre spalancata che mette in mostra denti sottili e acuminaticome aghi, hanno regalato a questo grosso anguilliforme (può superare i 150 cm dilunghezza) una fama di feroce assassino che sicuramente non merita. Nei confrontidella nostra specie, in realtà, la murena è piuttosto timida e inoffensiva, anche se ingrado di dare morsi dolorosi se disturbata; è un efficace e aggressivo predatore,principalmente di pesci e cefalopodi (il polpo è una delle sue prede favorite). La suaattività di caccia si svolge soprattutto di notte, mentre trascorre il giorno nelle fessuredella roccia, facendo fuoriuscire la testa con la bocca spalancata per la respirazione.

BAVOSA PAVONE (Blennius pavo)Trascorre gran parte della sua esistenza a stretto contatto con il fondo del mare, sucui spesso avanza appoggiandosi sulle pinne ventrali. Generalmente non compiegrandi spostamenti rimanendo sempre nei pressi di tane che utilizza comenascondiglio dai predatori o per la riproduzione, dove entra sempre infilando la codaper prima. Non ha scaglie e deve il suo nome alla pelle protetta da un viscido stratodi muco. Esistono parecchie specie di bavose; alcune sono ornate di livreeappariscenti e colorate, come la b. pavone o la b. ruggine. A primavera, le femminedepongono le uova nelle fenditure utilizzate come tane, ed è il maschio adoccuparsene con grande efficienza, ossigenandole con la corrente provocata dalmovimento continuo delle pinne. Lunga fino a 12 cm è un predatore, ma può nutrirsianche delle alghe che strappa dalle rocce.

TONNO ROSSO (Thunnus thynnus)Può raggiungere i 3 m di lunghezza e gli oltre 500 kg di peso; è un formidabilepredatore, tra i più grandi del Mediterraneo. La parte dorsale è di un blu scurissimomentre fianchi e ventre sono biancoargentei. Molto vorace, si nutre di pesci pelagicie calamari, cessando di assumere cibo durante il periodo riproduttivo. Compielunghissime migrazioni per riprodursi o per cercare cibo, arrivando a percorrere 250km in un solo giorno. La passata dei grandi tonni maturi sessualmente avviene aprimavera, attraverso lo stretto di Gibilterra. Gli adulti, dopo la riproduzione, tornanoin Atlantico, mentre i giovani restano in Mediterraneo sino a 6-7 anni di vita. Il tonnoè una specie a rischio sia per lo sfruttamento eccessivo dovuto alla pesca sia per lasua vulnerabilità a inquinanti come il mercurio e il piombo.

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SQUALO BIANCO (Carcharodon carcharias)È il più grande tra gli squali non planctofagi e può superare i 7 m di lunghezza.A dispetto del nome, il suo colore è grigio bruno, con il solo ventre bianco e lapunta delle pinne pettorali scura. Nelle nostre coste è presente nelle acqueprofonde del mar Ligure, del Tirreno e dello Ionio; recenti avvistamenti si sonoavuti anche in Adriatico. Predilige le acque costiere in prossimità di colonie difoche o leoni marini, le sue prede favorite; può spingersi a grande profondità.L’uomo considera gli squali come dei killer, ma in realtà è lui che ne uccide milioniogni anno. La maggior parte degli attacchi all’uomo sembrerebbe dovuta ad unerrore di identificazione dell’animale che scambia il nuotatore o il surfista sdraiatosulla tavola per una delle sue prede abituali.

TARTARUGA MARINA (Caretta caretta)Questi rettili antichissimi sono perfettamente adattati al mare e tornano a terra soloper deporre le uova, sino a 200 per volta, in spiagge al riparo da predatori edall’uomo. Particolarmente longevi, si nutrono principalmente di meduse, salpe ecefalopodi, che afferrano con il loro becco corneo dai bordi taglienti. Possonoraggiungere 1 m di lunghezza e sono in grado di compiere lunghe apnee. In acquapossono raggiungere velocità superiori ai 35 km/h, nuotando agilmente con ilcaratteristico movimento sincrono degli arti anteriori. La Caretta caretta si riconoscedalla Chaelonya midas, per la presenza di cinque placche costali e due paia prefrontalisul carapace. L’altra tartaruga del Mediterraneo, la gigantesca Dermochelys coriacea,ha invece un rivestimento cuoioso privo di placche. La cattura accidentale durante lapesca professionale e la mancanza di spiagge per la riproduzione ne hannogravemente minacciato la sopravvivenza; l’ingerimento di sacchetti di plastica provocala morte per ostruzione del tubo digerente.

BALENOTTERA COMUNE (Balaenoptera physalus)Dopo la balenottera azzurra, è la più grande creatura che sia mai vissuta sulla terra.Le femmine, più grandi dei maschi, possono superare i 24 m di lunghezza e le 50tonnellate di peso. Vive normalmente in mare aperto, anche se per la ricerca del cibopuò avvicinarsi alla costa. È presente nei mari di tutto il mondo, anche se è menopresente in quelli tropicali. Molto frequente in estate nel mar Ligure, nel mar di Corsicae nel mar di Sardegna; meno nel Tirreno e Ionio, è raro vederla nel mar Adriatico.Nuota solitaria o in piccoli gruppi, ma può formare aggregazioni più grandi nelle areedove si alimenta. Si nutre di plancton e piccoli crostacei, in prevalenza di piccolissimigamberi come i krill.

CAPODOGLIO (Physeter macrocephalus)Il capodoglio è capace di immergersi ad oltre 2.500 m di profondità e di cacciareanche i calamari giganti. Nella testa, lunga quasi un terzo dell’intero corpo, possiedeuna particolare struttura, l’organo dello spermaceti, una sorta di massa spugnosa lecui cavità sono riempite da un olio ceroso e la cui funzione è ancora oggetto didiscussione; potrebbe servire da rilevatore di segnali acustici o da organo dibilanciamento idrostatico per facilitare il galleggiamento. Può raggiungere e superarei 18 m di lunghezza e le 50 t di peso. Ha un unico sfiatatoio asimmetrico posto sullasinistra del capo, che rende il suo soffio inconfondibile: basso e denso, inclinato inavanti verso sinistra. I maschi sono molto più grossi delle femmine. È presente in tuttii mari del mondo. In Mediterraneo, dove si avvista solo ad una discreta distanzadalla costa, è presente ovunque ma prevalentemente nel Mediterraneo centrale eoccidentale. Vive normalmente in branchi, composti da gruppi familiari o da gruppidi maschi, che in Mediterraneo non superano generalmente la decina di individui.

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SQUALO ELEFANTE O CETORINO (Cetorinhus maximus)È il più grande pesce del Mediterraneo visto che può superare i 12 m di lunghezza;è dotato di cinque enormi fessure branchiali; il muso è lungo e conico. Ha due pinnedorsali e una coda grande, falcata e simmetrica. I denti, invece, sono numerosi,piccoli e ad uncino. Vive nella fascia temperata fredda di Atlantico, Pacifico edIndiano; nel Mediterraneo è presente quasi ovunque ad eccezione delle coste sudorientali e, principalmente, tra il mar Ligure e l’Isola d’Elba e nel medio bassoAdriatico. È presente sia lungo le coste che in mare aperto, prediligendo le zonericche di plancton; si spinge a volte molto vicino alla riva o all’interno di baie.Generalmente solitari o in coppia, possono formare anche gruppi numerosi.Nonostante l’aspetto minaccioso, questo gigante è in realtà un innocuo filtratore chesi nutre di plancton, uova, larve e stadi giovanili di pesci e crostacei, filtrando grandiquantità d’acqua attraverso le fessure branchiali. Durante la stagione calda compielunghe migrazioni in cerca di acque più fresche.

GLOBICEFALO (Globicephala melas)È chiamato balena o delfino pilota per la sua abitudine di formare gruppi che seguonofedelmente un individuo più anziano. Trascorre molto tempo nuotando pigramentein superficie, formando branchi anche piuttosto grandi, ma è in grado di trasformarsirapidamente in un nuotatore veloce capace di immergersi oltre i 600 m di profondità.Insieme alla pseudorca è la specie più soggetta a spiaggiamenti, forse per la fortecoesione gregaria del branco. È lungo fino a 5 o 6 m e può raggiungere un peso diquasi 2 t. Il corpo è allungato e muscoloso, di colore nero brillante o grigio, con uncaratteristico capo tondeggiante e una pinna dorsale che ricorda un berretto frigio.Frequenta le acque dalla profondità superiore ai 2.000 m delle zone temperato freddee lo si può osservare ad una distanza media dalla costa superiore ai 40 km. NelMediterraneo è abbastanza comune, più diffuso nella porzione occidentale del bacinoe facilmente osservabile nel mar Ligure e nelle acque a ovest della Sardegna.

TURSIOPE (Tursiops truncatus)Di colore grigio uniforme, più chiaro sul ventre, misura sino 4 m. Nuotatore abilissimo,ama esibirsi in salti ed esercizi acrobatici che esegue per puro piacere o percomunicare con gli altri membri della sua specie. Può superare i 30 km/himmergendosi sino a 600 m e rimanendo sott’acqua anche 8 minuti. Ha uncomportamento molto complesso e tra i diversi individui si formano complicati rapportisociali. Vive in piccoli gruppi di 8-10 esemplari, di norma formati da femmine con ipiccoli non ancora svezzati. I maschi adulti a volte formano coppie che si riunisconoalle femmine solo nella fase della riproduzione, mentre i giovani svezzati possonoformare vere e proprie bande. La femmina partorisce generalmente un solo piccoloogni tre o quattro anni. Si nutre soprattutto di pesci, ma non disprezza calamari eseppie. È una specie molto sensibile all’inquinamento; i forti rumori delle imbarcazionipossono disturbare il loro sensibilissimo apparato uditivo (biosonar) fino a spingerliad abbandonare l’area.

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CERNIA BRUNA (Ephinephelus marginatus, E. guaza)Grosso pesce dal corpo massiccio e dalla mandibola inferiore prominente, puòsuperare anche 1,5 m di lunghezza ed i 50 kg di peso. Il suo colore è generalmentescuro, verde oliva, bruno o rossiccio, con il dorso bruno a chiazze più chiare, fianchichiari e ventre giallastro. È la regina delle tane e degli anfratti e vive in fondali rocciosi,da pochi metri di profondità ad oltre 200 m. È ormai raro avvistarla a profonditàinferiori ai 40 m. Trascorre l’intera esistenza nei pressi della sua tana, allontanandosisolo per cacciare prede, in preferenza molluschi cefalopodi come polpi e seppie, maanche crostacei e, in età adulta, pesci. La cernia bruna nasce femmina, raggiunge lamaturità sessuale verso i 4 – 5 kg di peso (5 – 6 anni di età) e al raggiungimento deicirca 10 kg inizia a trasformarsi in maschio. La cernia può vivere sino ai 25 anni, maci sono casi documentati di esemplari più longevi.

DATTERO (Litophaga litophaga )Mollusco bivalve dalla conchiglia ovale e allungata, e di colorazione lucida brunodorata, può raggiungere i 10 cm di lunghezza. Una colonia di datteri contanormalmente circa 150 individui per metro quadro, ma può arrivare sino ad unadensità doppia, dando alle rocce un caratteristico aspetto di crivello. Il dattero crescecon estrema lentezza, impiegando più di vent’anni per raggiungere 5 cm di lunghezza;vive sulle rocce calcaree sino a 35 m di profondità, in cui scava cunicoli fusiformi,raggiungendo una densità massima di popolazione nei primi 10 m di profondità. Siincontrano individui sino a 100 m, ma preferisce fondali a forte inclinazione. Il datteropenetra nelle rocce, praticando fori profondi, e si pensa che ciò avvenga per lasecrezione, da parte di ghiandole del mantello, di sostanze in grado di sciogliere ilcalcare. La sua pesca, l’importazione e la commercializzazione è vietata dal 1998. Laspecie è protetta dalle Convenzioni internazionali di Barcellona e di Berna.

CAVALLUCCIO MARINO (Hippocampus antiquorum, H.brevirostris, H. hippocampus, H. guttulatus)I cavallucci marini sono pesci di piccole dimensioni, raggiungono al massimo i 15 cmdi lunghezza. Si nutrono di piccoli crostacei e di altri organismi che aspirano con labocca a forma di tubo. Frequentano fondali sabbiosi o detritici e si possono osservaresino ai 30 m di profondità, su ciuffi di alghe o gorgonie cui si attaccano con la codaprensile. Il cavalluccio si può incontrare a basse profondità tra le praterie difanerogame marine, dove scivola fra le piante che offrono loro rifugio, ancorandosicon la coda che funge anche da timone. Le uova sono trasportate per quattrosettimane dal maschio in una tasca incubatrice, posta sulla parte inferiore del tronco,in cui la femmina spruzza le uova, sino a 200, al momento dell’accoppiamento. Lanascita di tutti i piccoli avviene nel corso di molte ore, espulsi singolarmente o agruppi più o meno numerosi con movimenti a sbalzi del maschio, che proietta inavanti la coda. Il cavalluccio è una specie a rischio di prelievo ed è protetto dallaConvenzione internazionale di Berna.

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SFERE DAL MARE Alzi la mano chi non si è mai imbattuto in quelle palle fibrose, di colore giallino obruno chiaro di varie dimensioni che abbondano in molte spiagge e non le abbiamagari prese a calci, domandandosi in cuor suo cosa fossero. Le misteriose pallefibrose, tanto leggere quanto tenaci, difficili da spezzare o tagliare, altro non sonoche ammassi di foglie di posidonia (Posidonia oceanica) che si staccano dallepiante durante il ciclo annuale della pianta e che si formano per l’azione delle ondee delle correnti, che le spingono infinite volte tra la riva e il mare, tritandole esminuzzandole fino a ricompattarle nelle palle di fibra che troviamo sulla spiaggia.Con il sopraggiungere della stagione autunnale e delle prime grandi mareggiateinfatti, le foglie adulte della posidonia, ormai brunastre e coperte di incrostazioni,si staccano dalle piante per finire sulle spiagge dove formano grandi ammassi dettibanquettes. Se invece passeggiando sulla spiaggia, vi capita di imbattervi in bizzarresfere cave, dal colore verde deciso e dall’aspetto gommoso, allora si tratta di specieappartenenti al genere Codium, un’alga verde che cresce su fondali sabbiosi, daldiametro variabile fino a una decina di cm, caratterizzata dalla forma sfericaall’origine del nome palla di mare con cui è comunemente conosciuta.

OGGETTI MISTERIOSISulla battigia si possono trovare anche strani oggetti, simili a sacchettisemitrasparenti di colore giallo rossastro, oppure quasi neri, con lunghi filamentia volte ancora attaccati a rametti di gorgonie o a ciuffi di posidonia o di alghe.Questi oggetti misteriosi altro non sono che uova di piccoli squali, come ilgattuccio (Scyliorhinus canicola), il gattopardo o il gattuccio maggiore (Scyliorhinusstellaris) oppure di razze (Raja alba, R. asterias, R. clavata). I gattucci sono glisquali più diffusi del Mediterraneo: lunghi circa 80 cm, sono caratterizzati dalcolore rossiccio o brunastro con piccoli punti e macchie scure sulle pinne e sulcorpo, mentre il ventre è chiaro. I gattopardi o gattucci maggiori sono menocomuni; grandi fino a 120 cm, hanno una livrea con macchie tondeggianti estriature brunastre piuttosto grandi. Tutti vivono su fondali fangosi o sabbiosi, trai 20 e i 400 m di profondità e frequentano gli scogli sommersi nutrendosi dimolluschi, crostacei e piccoli pesci. La caratteristica particolare delle loro uova, deposte in un sacchetto oblungo, consistenell’essere dotate di lunghi filamenti, i cosiddetti cirri, alle quattro estremità. Almomento della deposizione i cirri possono essere lunghi sino ad oltre 1 m, per poiritrarsi e contrarsi fino a raggiungere una quindicina di cm di lunghezza, arricciandosia molla per potersi impigliare a oggetti sommersi o a rami di gorgonia, ancorandol’uovo e impedendo alle correnti di trasportarli col rischio di finire in pasto a qualchepredatore. Il periodo riproduttivo del gattuccio, nelle nostre acque, va da novembread aprile ed è in questo periodo quindi che è possibile trovare le uova spiaggiate,specialmente dopo mareggiate particolarmente violente.Il gattopardo invece, preferisce deporre in primavera e in estate. Queste uova sono semitrasparenti, quindi in controluce è possibile vederel’embrione e il sacco del tuorlo. Le uova di razza sono, per forma e colore,abbastanza diverse: generalmente nerastre, ma giallastre nella R. batis, hanno

IL MARE D’INVERNOIl mare può offrire straordinarie opportunità di osservazioneanche senza dover entrare necessariamente in acqua,vantaggio assai apprezzabile in inverno. Basta fare unapasseggiata sulla spiaggia dopo una mareggiata per scopriretantissime informazioni sul mare e sui suoi abitanti.

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una forma più quadrangolare, rigonfia al centro con i quattro lunghi filamenti chepartono dagli angoli. Le razze sono parenti degli squali caratterizzate dal corpopiatto dalla forma romboidale, dalla bocca posta in posizione ventrale e dalla lungacoda con aculei, che in alcune specie possono essere velenosi. Durante l’estate lerazze si avvicinano alla costa per accoppiarsi e per deporre le loro uova sui fondalitra le gorgonie o i ciuffi di posidonia. La razza chiodata (R. clavata), molto comunenel Mediterraneo, può superare i 110 cm di lunghezza ed è dotata di grosse spineimpiantate su placche poste sul dorso, da cui l’origine del suo nome comune.Frequenta fondali sabbiosi e fangosi da 0 a 700 m di profondità, e genera da 140a 170 uova (dette anche capsule ovigere) l’anno, che giungono a maturazione incirca 5 mesi. La stagione riproduttiva varia molto a seconda della regionegeografica, ma in estate si avvicina molto alla costa, ed è possibile scorgerla anchein acque bassissime.

CIBO PER CANARINIUno dei ritrovamenti più comuni sulla spiaggia è una sorta di pantofolina candida,leggera leggera, un po’ ruvida al tatto ma talmente fragile e delicata da sembrarefatta di schiuma di mare o più prosaicamente di polistirolo. Si tratta del cosiddettoosso di seppia (Sepia officinalis). L’ osso di seppia, spesso utilizzato per arricchiredi calcio la dieta dei canarini in gabbia, è in realtà la conchiglia dell’animale, che imolluschi cefalopodi conservano internamente. Le mareggiate sono spesso causaanche del ritrovamento dell’uva di mare, in realtà uova di seppia che per forma ecolore ricordano acini d’uva nera, originariamente deposti tra gorgonie e posidonie.Le seppie vivono vicino a fondali sabbiosi o detritici, tra le alghe e le praterie marine.Sono animali in grado di mutare colore a seconda dell’umore o delle situazioni,riuscendo a mimetizzarsi su fondali anche molto diversi tra loro. Il segreto di questaloro abilità risiede in particolari cellule della pelle contenenti pigmenti colorati, dettecromatofori, che ricoprono gli strati superficiali della pelle e che contraendosi oespandendosi possono far variare il colore della seppia.

UOVA AL POLISTIROLOSulla sabbia si trovano a volte degli ammassi leggerissimi di piccole cellette, dalcolore biancastro o giallastro, che sembrano molto fragili al tatto. Si tratta di uovaschiuse di molluschi gasteropodi come i buccini o i murici. Il buccino o tritone(Tritonium nodiferum, Charonia nodiferum), è un grande mollusco gasteropodedalla enorme conchiglia alta e robusta, lunga sino a 40 cm. E’ un predatore moltoefficiente in grado di inghiottire prede intere, grazie all’azione della secrezioneacida delle ghiandole salivari che gli permette di predigerire la vittima dissolvendoil tegumento esterno o l’eventuale guscio calcareo. All’inizio della primavera lefemmine depongono le capsule ovigere, dalla forma a giara, che possonocontenere centinaia di uova, al sicuro nelle spaccature e nei crepacci degli scoglidove rimangono per circa quattro mesi prima della schiusa. A volte, le femmine siradunano in gruppi per deporre le uova in una unica grande massa all’internodella quale le larve si svilupperanno tutte insieme. I murici (Murex brandaris, M.erinaceus, M. trunculus) sono molluschi gasteropodi con guscio dotato di spuntoni(che nel murice spinoso assumono la forma di vere e proprie spine), con unopercolo corneo e un piede ampio e robusto, che depongono uova simili a quelledel buccino, in una forma più o meno gelatinosa dal colore biancastro edall’aspetto simile ad una spugna. Anche le uova di murice, dopo la schiusa, sipossono facilmente rinvenire spiaggiate, umide e mollicce se galleggiano in acquao disseccate al sole sulla spiaggia. La riproduzione dei murici avviene tra maggioe luglio, e in questo periodo, nei fondali sabbiosi e fangosi che costituiscono illoro habitat, si possono trovare in gruppi anche molto numerosi. Le carni deimurici, conosciuti anche come sconcigli o con altri nomi dialettali, sono moltoapprezzate, ma questi molluschi sono famosi anche perché nell’antichità venivanocatturati per la produzione della porpora, sostanza scoperta dai fenici, che venivaestratta dalla cavità di una ghiandola del mantello e utilizzata per colorare le vestidei potenti di varie epoche e dei senatori dell’antica Roma.

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TESORI DAL MARESulla spiaggia meglio avere gli occhi bene aperti: sulle rive infatti possiamo trovareveri e propri tesori. Non parliamo di monete o gioielli nascosti dai pirati e neppuredi perle, che si trovano solo ben nascoste nelle ostriche perlifere dei mari lontani,ma dell’occhio di Santa Lucia (Astrea rugosa), un frammento calcareo (opercolo)che serve all’animale per chiudere l’apertura della conchiglia, facile da trovare, sesi hanno buoni occhi e pazienza, sulle spiagge sabbiose situate davanti a prateriedi posidonia o a zone ricche di alghe. L’astrea vive su fondali rocciosi e fangosi,nel coralligeno e sulla posidonia dai 10 sino ai 100 m di profondità, nutrendosidelle parti più tenere delle alghe. La conchiglia ha un diametro di 6 - 7 cm circa,è di forma conica con aspetto tozzo e ruvido dal colore poco appariscente, spessocon sfumature violacee o verdastre su fondo grigio o bruno chiaro con superficieornata di crestine ondulate. L’astrea è molto comune nel Mediterraneo e l’opercolo,che è di un colore rosso arancio screziato di giallo e bianco molto appariscente,appiattito da un lato e convesso dall’altro, è conosciuto da tempo immemorabilecol nome di occhio di Santa Lucia o occhio di gatto. Da sempre apprezzato per lasua bellezza, viene considerato dai pescatori un buon portafortuna e usato ingioielleria, non solo per la sua bellezza, ma anche per il suo potere scaramantico.La riproduzione avviene tra marzo e luglio.

LEGNI SPIAGGIATIVecchi legni sbiancati dal mare e dal sole e crivellati di fori possono darcil’occasione per conoscere uno dei più straordinari tra gli abitanti del mare, lateredine (Teredo navalis). Le teredini sono molluschi lamellibranchi moltoparticolari che si sono adattati ad un ambiente decisamente insolito per unmollusco marino: il legno. Per questo si possono trovare sulle assi dei relittispiaggiati o sui tronchi trasportati dalle correnti. La teredine è infatti un molluscobivalve, come una tellina o una vongola, modificato per colonizzare un ambientedel tutto nuovo. La conchiglia della teredine ha quindi perso l’originale scopo percui si era evoluta, ovvero quello di proteggere l’animale, divenendo qualcosa dicompletamente diverso: un vero e proprio alieno, lungo dai 15 ai 40 cm, dal corponudo e vermiforme, in cui il mantello a forma di tubo e che termina con due sifoni,si diparte da una conchiglia molto piccola e tozza, più alta che larga, con le valvea forma di calice e dai bordi seghettati, simile per effetto e per funzione ad unavera e propria fresa posta in cima ad un tubo spesso e carnoso. Con questaformidabile attrezzatura scava profondi fori, lunghi sino a 30 cm, dal diametro dicirca 1 cm e mezzo, nel legno dei pali e degli scafi delle imbarcazioni, nutrendosidei frammenti che si liberano nel procedere. La teredine riveste queste gallerie diuno strato calcareo, al quale rimane collegato dal piede. Quando navi e moli eranofatti esclusivamente di legno, le teredini erano assai temute per la loro capacitàdi provocare falle o il crollo dei pali di sostegno di moli e banchine. Le teredinivivono in tutti i mari del mondo ed essendo molto resistenti agli sbalzi di salinità,popolano anche le lagune salmastre. Gli esemplari giovani sono molto diversidall’adulto perché il mantello non ha ancora iniziato a crescere e a fuoriusciredalla conchiglia e sono molto più simili a normali bivalvi dalla conchiglia piuttostotondeggiante.

STRANE SPIRALIA volte possiamo imbatterci in spirali e tubetti biancastri, generalmente vuoti.Sono le case di alcuni vermi marini, i policheti tubificidi (Serpula vermicularis,Protula tubularia) che producono i tubicini che possiamo vedere attaccati aconchiglie, sassi, tronchi e relitti spiaggiati. I policheti tubificidi, come i lombrichiterrestri, sono anellidi, vermi sedentari che trascorrono la loro esistenzainteramente all’interno di tubi o gallerie, cementati a conchiglie, alghe piante orocce. I tubi calcarei possono essere chiusi da un opercolo rigido che l’animaleaziona come una botola, al primo cenno di pericolo o di situazione insolita. Questipolicheti sedentari sono adattati ad una vita fatta di avanti e indietro fulmineiall’interno del proprio tubo, in cui possono muoversi indisturbati, alternati amomenti in cui con le splendide branchie espanse catturano e filtrano particelledi cibo dall’acqua. I serpulidi che vivono in zone di marea, grazie all’opercolo sono in grado disopravvivere all’asciutto. Gli insediamenti massivi possono contribuire

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CONCHIGLIE PERFORATE Raccogliendo le conchiglie di bivalvi sulla spiaggia, è facile imbattersi in qualcheconchiglia che presenta su una delle valve un foro tondo, molto regolare di pochimm di diametro. Si tratta della testimonianza di un vero e proprio drammasottomarino, la scena di un delitto in cui l’assassino è una piccola conchiglia tondadall’aspetto innocente che in realtà è un efficiente e spietato predatore: la naticao maruzza (Naticarius hebraeus), un mollusco gasteropode lungo sino a 4 – 4,5cm con una conchiglia liscia e globosa di colore chiaro con grandi macchie escreziature marroni e color ruggine. La natica vive sui fondi sabbiosi ed è un veroe proprio killer di vongole e telline che avvolge con i lembi del piede per praticaresul guscio una apertura grazie alla radula, un organo dei molluschi gasteropodi,costituito da una struttura muscolare rivestita da dentelli curvi posizionata vicinoall’apparato boccale, alla base di una specie di proboscide. In circa sei ore dipaziente ed instancabile lavoro, grazie alla secrezione acida in grado di sciogliereil carbonato di calcio di cui sono costituite le conchiglie, la natica riesce a formareun foro perfettamente circolare di 1 o 2 mm. di diametro in cui poi inserisce laproboscide per divorare la vittima.Le uova delle maruzze o natiche, chiamate dai pescatori collari di mare, vengonodeposte in nastri ricurvi lunghi una decina di cm e larghi circa 4, e in aprile dopole mareggiate, possono trovarsi in grande quantità nelle zone di risacca dei litoralisabbiosi. Anche il Murex brandaris, il M. erinaceus e il M. trunculus hanno unmodo di predare molto simile a quello della natica, anche se si nutrono moltovolentieri anche di pesci o molluschi morti. Tra le altre creature in grado di produrrefori sulle conchiglie che troviamo sulla battigia, troviamo le spugne perforanti(Cliona celata). La cliona è in grado di sciogliere il calcare delle rocce e delleconchiglie mediante secrezioni acide, ma a differenza della natica o del muricenon provoca questi fori per nutrirsi dell’animale che vive all’interno, ma solo perprepararsi un substrato adatto su cui insediarsi. La piccola spugna infatti habisogno di insediarsi su substrati calcarei, rocce o conchiglie o anche alghecalcaree, e a seconda dei casi può crescere e svilupparsi all’interno della roccia ofuoriuscire parzialmente. La sua colorazione è generalmente gialla ma può essereanche rossastra o rosa.

significativamente a compattare i fondali molli. La Protula tubularia è il più grandeserpulide del Mediterraneo e raggiunge i 10 cm di lunghezza con un tubo che si ergeper più di ? della propria lunghezza dal substrato, ornato da una grande corona dibranchie colorate di un rosso splendente.

ATTIVITà PER I RAGAZZI

Le attività che proponiamo sono rivolte ai ragazzi per approfondire le tematiche trattate,per consentire una comprensione più profonda delle complesse dinamiche dell’ambientemarino e costiero, per stimolare, attraverso la sperimentazione e la metodologia dell’in-chiesta, l’interesse e l’attenzione sulla difesa del mare e sui corretti comportamenti perla sua salvaguardia.

Conoscere i suoi abitanti, le relazioni fra il mare e le attività umane, dalle più semplicialle più complesse, capire i meccanismi di scambio fra questi mondi è forse il modo piùidoneo per imparare ad amare il mare e fare in modo chei ragazzi lo sentano e lo vivanocome un loro patrimonio da preservare.

Le attività si potranno svolgere in classe e a casa.

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CASA

1 Quante persone vivono con te?ll 1 (+30 punti)ll 2 (+25 punti)ll 3 (+20 punti)ll 4 (+15 punti)ll 5 o più (+10 punti)

2 In che modo è riscaldata la casa?ll Gas naturale (+30 punti)ll Elettricità (+40 punti)ll Olio combustibile (+50 punti)ll Energia rinnovabile (+0 punti)

3 Quanti punti di acqua (bagno, cucina, lavanderia, balcone) ci sono?ll Meno di 3 (+5 punti)ll 3-5 (+10 punti)ll 6-8 (+15 punti)ll 8-10 (+20 punti)ll Più di 10 (+25 punti)

4 In che tipo di casa abiti?ll Appartamento/condominio (+20 punti)ll Villetta (+40 punti)di individui.

ALIMENTAZIONE

5 Quante volte alla settimana mangi carne o pesce?ll 0 (+0 punti)ll 1-3 (+10 punti)ll 4-6 (+20 punti)ll 7-10 (+35 punti)ll Più di 10 (+50 punti)

6 Quanti pasti cucinati in casa consumi (compresi quelli portati a scuola)?ll Meno di 10 (+25 punti)ll 10-14 (+20 punti)ll 14-18 (+15 punti)ll Più di 18 (+10 punti)

7 Quando acquisti alimenti preferisci prodotti locali?ll Si (+5 punti)ll No (+10 punti)ll Qualche volta (+15 punti)ll Raramente (+20 punti)ll Non lo so (+25 punti)

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MISURAZIONE DELLA IMPRONTA ECOLOGICA Prova a calcolare la tua impronta ecologica e quella della tua famiglia: se è molto grande forse è il caso di cominciare

ad adottare comportamenti diversi per diminuirla!Per farlo, rispondi alle domande che seguono e, alla fine, somma i punteggi ottenuti.Alcune domande, anche se poste in maniera diretta, fanno riferimento al contesto familiare (per es. gli acquisti).

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ACQUISTI

8 Quanti acquisti importanti (stereo, televisore, computer, automobile,mobili, elettrodomestici) sono stati fatti nel corso degli ultimi 12 mesi?ll 0 (+0 punti)ll 1-3 (+15 punti)ll 4-6 (+30 punti)ll Più di 6 (+45 punti)

9 Sono stati acquistati articoli a risparmio energetico negli ultimi 12 mesi?ll Si (+0 punti)ll No (+25 punti)

TRASPORTI

10 Quale mezzo usi per gli spostamenti?ll Bicicletta (+15 punti)ll Utilitaria (+35 punti)ll Vettura intermedia (+60 punti)ll Berlina (+75 punti)ll Macchina sportiva, monovolume o familiare (+100 punti)ll Van, utility vehicle o fuoristrada (+130 punti)

11 Come vai a scuola?ll In automobile (+50 punti)ll Con i mezzi pubblici (+25 punti)ll Con uno scuolabus (+20 punti)ll A piedi (+0 punti)ll In bicicletta o pattini a rotelle (+0 punti)

12 Dove hai passato le vacanze nel corso dell'ultimo anno?ll Niente vacanze (+0 punti)ll Nella mia regione (+10 punti)ll In Italia (+30 punti)ll In Europa (+40 punti)ll In un altro continente (+70 punti)

13 Quante volte nell’anno utilizzi l'automobile per il fine settimana?ll 0 (+0 punti)ll 1-3 (+10 punti)ll 4-6 (+20 punti)ll 7-9 (+30 punti)ll Più di 9 (+40 punti)

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RIFIUTI

14 Fai la riduzione dei rifiuti (per esempio: preferisci imballaggi ridotti, rifiuti l'in-vio di posta pubblicitaria, preferisci contenitori riutilizzabili)?ll Sempre (+0 punti)ll Qualche volta (+10 punti)ll Raramente (+15 punti)ll Mai (+20 punti)

15 Quanti sacchi della spazzatura produci ogni settimana?ll 0 (0 punti)ll Mezzo sacco (+5 punti)ll 1 sacco (+10 punti)ll 2 sacchi (+20 punti)ll Più di 2 sacchi (+30 punti)

16 Ricicli i giornali, le bottiglie di vetro e quelle di plastica?ll Sempre (+5 punti)ll Qualche volta (+10 punti)ll Raramente (+15 punti)ll Mai (+20 punti)

17 Prepari il compost con i rifiuti della frutta e della verdura?ll Sempre (+5 punti)ll Qualche volta (+10 punti)ll Raramente (+15 punti)ll Mai (+20 punti)

MENO DI 150 PUNTIimpronta ecologica inferiore a 2 ettari

150 - 350 tra 2 e 4 ettari (la maggior parte degli italiani)

350 - 550 tra 4 e 6 ettari

550 - 750tra 6 e 10 ettari

L'impronta media mondiale richiesta dagli scienziati è di 1,9 ettari a persona.

Ottenere un punteggio inferiore a 2 è indice di un comportamento eco-sostenibile

test tratto da www.worldsocialagenda.org

RISULTATI

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Costruzione del ciclo degli inquinanti e del ciclo dei rifiuti

Costruisci degli esempi di come le sostanze inquinanti arrivano in mare e il ciclo che poi compiononell’ecosistema marino.

Per esempio per i POP potresti illustrare le vie con cui essi arrivano in mare (fiumi, dispersione in atmosfera)e poi le varie fasi di evaporazione e ricaduta tramite la pioggia, fino al loro confinamento nelle zone freddedel nostro pianeta, in cui l’evaporazione non è così forte da farli tornare nell’atmosfera.

Oppure potresti rappresentare come una sostanza inquinante penetra nella catena alimentare, con le fasidi bioaccumulo e di magnificazione biologica.

O ancora, realizza un manifesto per mostrare le varie vie con cui i diversi tipi di rifiuti e di inquinantipervengono al mare (da terra, dalle navi, dalle fabbriche, dai campi coltivati, dai fiumi….) magari adattandoloalla situazione della tua città o della tua regione, dopo aver fatto una inchiesta su quali sono le fonti diinquinamento presenti nella zona.

Individuazione dei comportamenti corretti

Nell’affrontare i problemi che minacciano il nostro pianeta, abbiamo suggerito comportamenti chepossono contribuire a diminuire gli impatti sull’ecosistema. Comincia con l’individuare tutti quelli che trovinel testo e poi insieme alla tua classe, divisi in gruppi, scopri e segnala in una scheda gli altri modi di agireche possono aiutarci a difendere il nostro mare.

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LA SCHEDA DEL TEMPO NON CI SONO PIù LE STAGIONI DI UNA VOLTA

Questa frase, insieme all’altra forse ancora più abusata “non ci sono più le mezzestagioni” imperversa nelle conversazioni, fino ad essere diventata il luogo comuneper eccellenza…..ma è davvero solo questo o c’è un fondo di verità?

Proviamo a scoprirlo insieme e per farlo rivolgiamoci a chi conserva nello scrignodella propria memoria le informazioni che possono aiutarci.

La proposta è quella di intervistare i nonni e le persone più anziane, per capirese e come il tempo e le stagioni siano cambiati rispetto alla loro giovinezza.

È importante scegliere delle domande che possano aiutarci a costruire un raccontoin grado di restituirci la sensazione di quello che sta accadendo.

Nei sussidiari che si usavano nelle scuole elementari di 40 anni fa, il tempo e lestagioni erano molto ben rappresentate, con l’autunno, l’inverno, la primavera el’estate identificate non solo da date, ma anche da avvenimenti e da condizioniclimatiche ben precise, che ora appaiono molto più confuse.

Prova quindi a chiedere cosa per i nostri nonni segnava il passaggio dall’estateall’autunno, per esempio, o quando si faceva il cambio di stagione, quanti giorninevicava (se nevicava) durante l’inverno, o se si usavano (e quali erano) gli abitidi mezza stagione.

Con un lavoro da veri e propri giornalisti di inchiesta, metti insieme i dati chericaverai per costruire il quadro delle condizioni climatiche di 50 o 60 anni fa, damettere a confronto con quelle di oggi, costruendo una specie di macchina deltempo che viaggia nella memoria dei nostri anziani.

Il nostro mondo e il clima cui siamo abituati cambiano e questo cambiamento sembraavvenire sempre più velocemente; si tratta di un fenomeno che possiamo provare averificare con una serie di attività da realizzare con la classe. I risultati potranno essereraccolti in una mostra o in un video montato sul modello delle inchieste giornalistiche,per sensibilizzare genitori e altri studenti su quanto sta accadendo.

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LE SCHEDE DEL MAREUno dei segni più visibili dei mutamenti climatici è costituito, come abbiamo visto,da variazioni nella fauna e nella flora dei nostri mari.

Come fare per capire quanto e in che modo il mare sta cambiando?

Poiché non ci sarà possibile esplorare direttamente i fondali (anche se un po’ disnorkeling con maschera e pinne può mostrarci tante cose) dobbiamo rivolgerci aquei soggetti che con il mare hanno a che fare di continuo e che potranno fornirciindicazioni molto utili su quello che sta realmente accadendo: pescatori e subacquei.

AL MERCATO DEL PESCE

Molte delle specie che stanno penetrando in Mediterraneo o che stanno ampliando laloro distribuzione nel nostro bacino sono specie commerciabili, in alcuni casi di ottimosapore; inevitabile che prima o poi finiscano sui banchi del mercato del pesce.

Molte informazioni potranno quindi essere acquisite intervistando gli operatori,riferendosi naturalmente ai prodotti della piccola pesca ed al pescato locale, perscoprire se e come sono cambiati i prodotti di questa attività; per acquisire notizie inmerito alla commercializzazione di specie che magari prima venivano pescateoccasionalmente e che adesso si trovano molto più di frequente sui banchi del mercato;oppure che prima venivano importate dall’estero o da porti molto più a sud.

MONITORAGGIO DELLE SPECIE ALIENE

Pescatori e subacquei escono tutto l’anno e possono essere considerati delle veree proprie sentinelle dei nostri mari; potremo intervistare cooperative di pesca,singoli pescatori, diving, scuole e circoli subacquei, mostrando la scheda chesegue, chiedendo se hanno mai incontrato le specie riportate.

Potremo così costruire una vera e propria mappa delle specie aliene presenti.Molti sub praticano fotografia subacquea e sono eccellenti fotografi: chiediamo iloro scatti sia per illustrare la mappa, sia per inviarli a Legambiente, assieme adata e luogo di incontro, che li farà pervenire all’ICRAM, l’istituto di ricerca chesta raccogliendo dati su questo argomento.

Legambiente Mare - Via Salaria, 403 - 00199 Roma

Fistularia commersoniiPesce penetrato dal Mar Rosso, è molto lungo tanto da essere chiamato pesceflauto, fa parte della famiglia dei pesci ago, corpo cilindrico e coda con filamentocentrale. Vive in ambiente pelagico costiero. Il colore normalmente è grigio-verdastro sul dorso ed argentato sui fianchi. Negli adulti sono presenti righe emacchie blu. Generalmente è lungo da 20 a 100 cm ma può raggiungere 1,5 m.

Siganus luridus e Siganus rivulatusProveniente dal Mar Rosso. Il corpo è alto e compresso ai fianchi, ellissoidale. Labocca è piccola con labbra distinte. La coda è triangolare a volte forcuta e la pinnadorsale è lunga con grossi aculei terminanti con raggi sottili. La differenzamacroscopica tra le due specie è data dal colore che per la prima specie varia tra ilmarrone scuro ed il verde, mentre per S. rivulatus è grigio-verde, con sfumaturemarroni nella parte posteriore e superiore, marrone chiaro-giallo sul ventre con bandegiallo-oro, spesso sbiadite sulla metà inferiore del corpo; entrambe le specie nonsuperano i 25 centimetri. Sono specie erbivore quindi si ritrovano prevalentementein acque superficiali entro i 20 metri, su fondi ricchi di vegetazione.

Sparisoma cretenseÈ una specie mediterranea termofila presente sino a pochi anni fa solamente nelleisole Pelagie; è conosciuta come pesce pappagallo. Vive normalmente in haremcostituiti da un maschio più grande colore grigio e verdastro e 4 o 5 femmine piùpiccole di colore rosso bruno e giallo. Ha comportamento territoriale e vive inambiente costiero su fondali ricchi di vegetazione, di cui si nutre.

Percnon gibbesiÈ un granchio proveniente dal Mar Rosso caratterizzato da un carapace piatto ecircolare, con il margine anteriore tridentato; sui giunti degli arti ambulanti sonovisibili anelli giallo dorato. La dimensione comune del carapace è di tre centimetri.Vive in pochi metri d’acqua in anfratti nelle rocce, si rinviene anche in ambitoportuale e in barriere frangiflutti; vale la pena cercarlo in fase di decompressioneo in sosta cautelativa con buone possibilità di trovarlo giacché si sta diffondendoovunque molto rapidamente.

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LE SPECIE ALIENE

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Balistes carolinensisConosciuto come pesce balestra o pesce grilletto è una specie mediterraneatermofila, presente nei mari meridionali ed oggi in rapida espansione verso nord.Caratteri distintivi sono la bocca piccola a forma di becco con labbra carnose e laforma del corpo appiattita lateralmente. Colorazione da verde brunastro a grigio;raggiunge una lunghezza massima di 40 cm. Nel periodo riproduttivo scava unnido nella sabbia dove la femmina depone le uova che vengono sorvegliate aturno con il maschio; i giovani sono spesso osservati associati a corpi galleggianti.

Caulerpa taxifolia e Caulerpa racemosaSono tristemente note per avere rapidamente invaso il mare. Sono alghe tropicaliindopacifiche probabilmente sfuggite dagli acquari, dove vengono usate per il loroaspetto grazioso. La loro capacità invasiva è dovuta al fatto che il tallo spezzatoè in grado di rigenerare un nuovo individuo. La Caulerpa taxifolia è così chiamataper la somiglianza delle sue fronde alle foglie dell’albero del tasso, lunghe circa5 cm o poco più, di un bel colore smeraldo. La Caulerpa racemosa si riconosceper le fronde color verde brillante a forma di acini d’uva.

Seriola fasciataÈ una specie di pesce proveniente dall’Oceano Atlantico congenere della ricciolamediterranea con la quale può essere scambiata nelle fasi giovanili e dalla qualesi distingue per avere le bande scure e un corpo meno affusolato. È grigia conbande scure quasi nere sul corpo, visibili anche negli individui adulti che nonsuperano i 4 kg. È spesso catturata insieme alla ricciola mediterranea di tagliaomogenea e si osserva spesso associata a corpi galleggianti come i cannizzatiche i pescatori usano per la pesca alla lampuga, boe o oggetti alla deriva sotto iquali vive da giovane insieme alla ricciola mediterranea. Segnalata per la primavolta in Mediterraneo nel 1995 è oggi presente quasi ovunque.

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Nome e cognome____________________________________________________

Indirizzo____________________________________________________________

E-mail______________________________________________________________

Telefono____________________________________________________________

Scuola-Circolo-Diving center____________________________________________

___________________________________________________________________

Cooperativa di pesca_________________________________________________

Punto di immersione o pesca__________________________________________

___________________________________________________________________

Profondità massima raggiunta__________________________Data____________

AMBIENTE DOVE È STATO AVVISTATO L’ESEMPLARE

SABBIOS0 ROCCIOSO POSIDONIA ALTR0

FAI UN SEGNO SULLA SCHEDA DANDO UNA STIMA DEL NUMERO AVVISTATO

Fistularia commersonii

Siganus luridus e Siganus rivulatus

Sparisoma cretense

Percnon gibbesi

Seriola fasciata

Balistes carolinensis

Caulerpa taxifolia e Caulerpa racemosa

Scheda di segnalazione specie aliene

Unico Raro Frequente Abbondante

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compilare una scheda per ogni specie

Nome del raccoglitore________________________________ Data____________

Condizioni atmosferiche (sole, cielo coperto, molto nuvoloso, vento)_____________________

Marea (alta/bassa)___________________ Vegetale o animale___________________

Nome comune della specie____________________________________________

Nome scientifico_____________________________________________________

Descrizione_________________________________________________________

Indicazione del luogo dove si è trovata(libera in acqua, aderente al fondo o alla scogliera, fuori dall’acqua sulla scogliera, in una pozza di marea .....)

___________________________________________________________________

Quantità di individui osservati_________________________________________

Descrizione delle attività compiute (nel caso sia una specie animale)

___________________________________________________________________

Descrizione delle sue abitudini_________________________________________

Posizione nella catena alimentare (produttore, consumatore primario)

___________________________________________________________________

Schizzo o fotografia

Scheda di rilevamento per la scogliera

LA SCOGLIERACostruire una scogliera in classe con le varie specie (granchi, mitili, patelle, pesci, alghe) osservate sul campo, indicando leloro relazioni trofiche e spaziali. L’attività proposta viene condotta direttamente sul campo e riguarda lo studio di unambiente particolare. Con una serie di uscite condotte durante l’arco dell’anno scolastico i ragazzi dovranno identificare eclassificare, con l’aiuto anche di manuali, tutte le differenti specie appartenenti ai vari taxa (le diverse categorie dellaclassificazione tassonomica: specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum, regno) che riescono ad osservare nella scoglierae nelle acque sottostanti (piccoli pesci come bavose, tordi, saraghi, castagnole, occhiate, piccoli cefali, donzelle, possonoessere individuate osservandole dalla superficie anche senza immergersi). Durante l’attività di esplorazione e rilevamentoè importante riportare sulle schede la posizione esatta sulla scogliera (in una pozza, fuori dalla superficie, in acqua) in cuil’animale o il vegetale (alghe come Padina pavonia, Ulva lactuca, acetabularia sono comuni in questi ambienti) sono statitrovati. Il prodotto finale sarà uno spaccato della scogliera con l’indicazione di tutte le specie trovate, il loro numero totale(un elevato numero di specie è indice di un buono stato ambientale), la loro posizione spaziale (sopralitorale, infralitorale...)e il loro posto nella catena trofica; potrà essere utile aiutarsi con dei simboli e delle frecce che ne contraddistinguano irispettivi ruoli e rapporti, in modo da ricostruire le biocenosi della scogliera.

LegambienteNata nel 1980, è oggi l’associazione ambientalista italiana più diffusa sul territorio: oltre

mille gruppi locali, venti comitati regionali, più di 115 mila tra soci e sostenitori. Obiettivodi Legambiente è fare della cultura ambientalista, delle sue ragioni e dei suoi princìpi, unodei criteri fondanti di uno sviluppo e di un benessere di tipo nuovo, dimostrare che il

miglioramento della qualità ambientale, la lotta contro ogni forma d’inquinamento, un usoparsimonioso delle risorse naturali, la costruzione di un rapporto più equilibrato dell’uomo con gli altri esseri viventisono sì un valore in sé, ma anche una via efficace per rispondere alle grandi sfide del nostro tempo: quelle dellamodernizzazione dell’economia, dell’impegno per battere la disoccupazione, della lotta per la pace e contro ogni formadi terrorismo, dello sforzo perché la globalizzazione sia non solo merci ma soprattutto migliore qualità della vita e piùdiritti per quei miliardi di uomini e donne costretti a vivere nella miseria. Legambiente è un’associazione apartitica, aperta ai cittadini di tutte le convinzioni politiche e religiose; è riconosciutadal ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare come associazione d’interesse ambientale; fa partedel Bureau européen de l’environnement, l’organismo che raccoglie tutte le principali associazioni ambientaliste europee,e della Iucn (The International Union for Conservation of Nature).

Campagne, iniziative, proposteQueste le iniziative più popolari di Legambiente: le campagne nazionali di analisi e informazione sull’inquinamento

(Goletta Verde, Treno Verde, Fiuminforma, Salvalarte), che ogni anno fotografano lo stato di salute dei mari, delle città,dei fiumi, dei monumenti; Mal’aria, la campagna delle lenzuola contro lo smog; Cambio di clima, programma di azioniper ottenere l’applicazione in Italia del Protocollo di Kyoto contro i mutamenti climatici e per favorire il risparmioenergetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili; Piccola grande Italia, iniziativa per la difesa e la valorizzazione deipiccoli comuni; i grandi appuntamenti di volontariato, gioco e turismo ambientale per il recupero e la valorizzazionedi spiagge, parchi e giardini pubblici, piazze, boschi (Spiagge pulite, Puliamo il mondo/Clean-up the world, Festadell’albero, Cento strade per giocare, Nontiscordardimé/Operazione scuole pulite, campi estivi); le iniziative e proposteper promuovere la modernizzazione e la riconversione ecologica dell’economia e per realizzare una grande alleanza trainteressi dell’ambiente e del lavoro; l’attività di ricerca dell’Osservatorio su ambiente e legalità, che raccoglie e diffondedati ed informazioni sui fenomeni d’illegalità che danneggiano l’ambiente e sulle ecomafie; l’impegno per una pienavalorizzazione delle aree protette e delle economie territoriali basate sulla qualità; Legambiente per un’agricolturaitaliana di qualità, campagna per promuovere le produzioni agroalimentari tipiche e pulite; le campagne e le iniziativeper promuovere un nuovo modello di globalizzazione (Clima e povertà, progetti di cooperazione allo sviluppo); iRapporti annuali sullo stato dell’ambiente: Ambiente Italia, Ecosistema urbano, Guida blu al turismo balneare,Ecosistema scuola.

Legambiente per la scuolaLegambiente Scuola e Formazione rivolge al mondo della scuola numerose proposte di lavoro il cui punto di forza

è la connessione tra apprendimenti disciplinari, costruzione di competenze trasversali e formazione alla cittadinanzaattiva. Numerosi i percorsi educativi: Un libro per l’ambiente, Rifiuti, Energia, TeatrAmbiente, Tesori d’Italia. Offre ai suoisoci occasioni di dibattito politico e culturale, consulenza per la realizzazione di progetti educativi nazionali einternazionali, materiali didattici e informativi. Oltre ai progetti educativi e alle iniziative rivolte ai ragazzi e agli adulti,l’associazione propone, attraverso la rete dei Centri di Educazione Ambientale, gemellaggi con le scuole dei piccoliComuni italiani con il progetto La scuola adotta un Comune e proposte di turismo educativo, opportunità di incontroper confrontarsi con i coetanei e con realtà diverse. Legambiente Scuola e Formazione è ente qualificato a svolgere formazione per il personale [email protected]

Gli strumenti di lavoroLegambiente si avvale nella sua azione di diversi strumenti: un Comitato scientifico composto da scienziati e tecnici;

i Centri di azione giuridica, impegnati in iniziative giudiziarie per la tutela dell’ambiente e in attività di studio, formazione,proposta; l’Istituto di ricerche Ambiente Italia, che opera nel settore della ricerca applicata e cura ogni anno il rapportoAmbiente Italia, edito a partire dal 1995 dalle Edizioni Ambiente di Milano; il mensile La Nuova Ecologia, inviato inabbonamento ai soci dell’associazione.

Legambiente - Via Salaria, 403 - 00199 Roma tel. +39.06862681 - fax +39.0686218474

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