IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

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IL GIORNALE DELL U NIVERSITÀ DEGLI STUDI DI P ADOVA numero speciale / marzo 2008 1935-1968 storia di un giornale universitario ANNI TRENTA E QUARANTA Attraverso il regime: dall’incubo razzista alla Liberazione ANNI CINQUANTA Intrecci e scintille: tra goliardi e politica sfidando le censure ANNI SESSANTA Impeto e tensione: gli atenei del mondo si tendono la mano

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

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1935-1968storia di un giornale universitario

ANNI TRENTA E QUARANTA

Attraverso il regime:dall’incubo razzista alla Liberazione

ANNI CINQUANTA

Intrecci e scintille: tra goliardi e politica sfidando le censure

ANNI SESSANTA

Impeto e tensione: gli atenei del mondo si tendono la mano

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

direttoreGianni Riccamboni

direttore responsabileGiorgio Tinazzi

progetto editoriale, grafico e realizzazioneServizio Pubbliche Relazioni

redazioneFrancesco Ambrosio, Giuseppe Barbieri,Saveria Chemotti, Armando Gennaro,Luca Illetterati, Gualtiero Pisent, Franco Viola

segreteria di redazioneMarco [email protected] / tel. 0498273066

www.unipd.it

fotografieMagnum Photos/ContrastoFototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di PadovaIstituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età ContemporaneaArchivio dell’Università di Padova

Registrazione presso il Tribunale di Padovan. 2097 del 30 luglio 2007

Finito di stampare nel mese di febbraio 2008presso Chinchio industrie grafiche - Padova

in copertina Parigi, maggio 1968.

© Bruno Barbey Magnum Photos/Contrasto

numero speciale / m

arzo 2008

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

numero speciale / marzo 2008

ORIgINI dI UNA TESTATA 4di Federico Bernardinello

IL BÒ dEL FASCISMO 10di Mario Isnenghi

dAL BÒ ALLA “VOCE”CHE VIAggIA NELL’ETERE 24di Chiara Saonara

LA RINASCITA dEL BO 29di Giulio Felisari

IL MIO BO’ 45di Lorenzo Renzi

IL ’68 E LA SCOMpARSA dEL BO’ 49di Giorgio Roverato

UN gIORNALE SCOMOdO 57di Francesco Jori

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UNA NUOVA STAGIONE PER IL BO

L’8 febbraio 1935 usciva il primo numero di un periodico che per oltre tre decenni avrebbe accompagnato momenti importanti della storia dell’Università di Padova. Il suo nome era “Il Bò”. Portava un accento che, nel tempo, sarebbe divenuto apostrofo, sarebbe sparito, avrebbe lasciato spazio a varianti come “El Bò”, “Il Bove”, “Il Toro”, ma non avrebbe cambiato la natura e l’obiettivo di quella testata: dar voce ai docenti e agli studenti del nostro Ateneo, e osservare, con lo sguardo sincero, appassionato e, a volte, beffardo che da sempre caratterizza l’istituzione universitaria, la vita acca-demica e gli avvenimenti che ne costituivano lo sfondo. Un’avventura che si sarebbe conclusa nel ’68, superata dall’incalzare di eventi e passioni giovanili che appariva-no, forse, troppo impetuosi per essere contenuti nelle colonne di un giornale. Quarant’anni dopo, “Il Bo” (perso l’inutile apostrofo) torna ad essere il giornale del-l’Università di Padova. Per la prima uscita si è scelta una formula speciale, adegua-ta all’occasione: un numero monografico che rievoca le vicende della testata, con gli interventi di sette protagonisti o testimoni autorevoli. Sette articoli che ripercorrono l’appassionante cammino del “Bo” dal 1935 al 1968, intrecciano i ricordi personali con l’orizzonte storico che li cingeva, e sono integrati da approfondimenti, documen-ti, immagini che contribuiscono a ricostruire le epoche citate. E ci fa molto piacere che una Convenzione dell’Ateneo con la Biblioteca Universitaria e con la Biblioteca civi-ca consenta ora il recupero della collezione completa del “Bo” in versione digitale.

Dal prossimo numero, concluso il momento celebrativo, il giornale assumerà la sua veste definitiva, e renderà palese il progetto che ne è alla base. Rispetto a “Progetto Bo”, che a lungo ha costituito un indispensabile spazio di riflessione sull’Ateneo padovano, “Il Bo” nasce come strumento di comunicazione dell’Ateneo con il mondo esterno, oltre che come organo aperto ai grandi temi che toccano il mondo univer-sitario di oggi, con un’attenzione particolare per l’attività che ne è fulcro e motore insieme: la ricerca.Ma “Il Bo” vuole essere e apparire, fin dal formato, prima di tutto come un giornale; e dei giornali, quindi, possedere la regolarità nelle uscite, la leggibilità e il costante rapporto con l’attualità. Per questi motivi, a partire dal prossimo numero “Il Bo” si presenterà come un periodico ricco e articolato, suddiviso in sezioni capaci di illustra-re le complessità di un grande Ateneo e dell’attuale politica universitaria; ma in gra-do, al tempo stesso, di offrire una visuale più ampia che comprenda il territorio che del Bo è cornice, le idee che lo attraversano, le culture che lo definiscono. Verrà dato risalto agli studi e alle ricerche più recenti e significative condotte all’interno dell’Ate-neo. L’intento è di offrire un approccio distinto sia dal linguaggio accademico delle riviste di settore che dall’inevitabile approssimazione delle testate non specializzate. Una “terza via” che permetta di presentare alcuni risultati scientifici con precisione e chiarezza, senza per questo rinunciare a raggiungere un pubblico più ampio.“Il Bo” nacque in pieno periodo mussoliniano, espressione del Gruppo Universitario Fascista (così come segretario della Federazione Fascista Padovana era il primo diret-tore, Agostino Podestà); eppure (come pone in evidenza Francesco Jori nell’ultimo ar-ticolo di questo numero) seppe, fin dai primi anni, acquisire caratteri di anticonfor-mismo e autonomia, a volte perfino irriverente, ben rappresentati da un giovane che fu per qualche tempo l’anima del giornale, e che tutto era fuorché fascista: Eugenio Curiel. Allo stesso modo, ci auguriamo che “Il Bo” che oggi si presenta in una nuova veste ai lettori sappia ereditare quello spirito profondamente libero, e la vocazione ad essere tribuna di pensiero e discussione, che furono connaturati a quel foglio.

Vincenzo Milanesi

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

Nel clima di effervescenza che l’asso-

ciazionismo universitario padovano

conosceva all’indomani del Primo con-

flitto mondiale, Il Bò, un effimero foglio

uscito nell’estate del 1919 dai torchi del-

la Litotipo (ora Cedam) sotto la gerenza

responsabile di Angelo Berti, aveva auspi-

cato invano, nel nome della patria e della

solidarietà, la nascita di un’associazione

goliardica rappresentativa di tutti gli stu-

denti, “senza distinzione di opinioni poli-

tiche o confessionali”1.

Dovevano passare quasi tre lustri per-

ché quel nome, Il Bò, destinato a una

storica fortuna, si riaffacciasse nuovamen-

te sulla scena. Nel 1933, infatti, a fascismo

ormai saldamente al potere, in occasione

della festa delle matricole del 4-6 febbraio,

che vedeva a Padova la presenza dell’allo-

ra segretario generale del Partito naziona-

le fascista Achille Starace, il locale Grup-

po universitario fascista, in collaborazione

con il Tribunato degli studenti, pubblicava

El Bò, numero unico dedicato al prestigio-

so ospite, che però, nel corso delle feriae

matricularum, veniva punto alle natiche,

forse con un gagliardetto, da uno studen-

te “ubbriaco” – così sarebbe stato definito

quattro anni dopo dall’allora segretario

del Guf patavino Gustavo Piva2.

A distanza di poco più di un anno, nel-

l’estate-autunno del 1934, dopo che Sta-

race aveva vietato non senza conseguenze

– almeno a Padova – la festa delle matri-

cole, un gruppo di studenti presentava al-

l’allora rettore dell’ateneo patavino, Carlo

Anti, il “Progetto di un giornale universi-

tario”.

Anti appuntava su un pezzo di carta i possi-

bili nomi per la testata (“Il Bo”, “VIII Feb-

braio”, “Sorio VIII Aprile”, “Lo studente

di Padova”), sottolineava i primi due, evi-

denziava “Il Bo” con tre crocette – nome

che evidentemente preferiva – e allegava

al tutto un promemoria:

Occorre ottenere dal Ministero Educazione na-

zionale – Direzione generale Istruzione superiore

– il benestare per l’abbonamento obbligatorio al

giornale (L. 5).

Questo può essere giustificato dal fatto che il

giornale (settimanale) conterrà una pagina

ufficiale dell’Università con tutti i comunicati

interessanti gli studenti. Tale pagina è partico-

larmente utile a Padova per mantenere il colle-

gamento con la massa studentesca, in quanto

questa è disseminata in una regione vastissima,

così che in caso di bisogno – ciò che avviene mol-

to spesso – non è possibile far giungere tempesti-

vamente e con sicurezza le notizie necessarie 3 .

La scelta del titolo cadeva su “Il Bò”,

un nome nell’aria già da anni. Il gior-

nale, originariamente concepito come

settimanale, ma poi presentatosi come

quindicinale, sarebbe dovuto uscire dal 15

ottobre al 15 luglio di ogni anno accade-

ORIGINI dI UNA TESTATA

Federico Bernardinello

ANN

I TR

ENTA

progetto di un giornale universitario

programmaLa funzione propria del nostro giornale è dettata dalla particolare missione spirituale e culturale della nostra Università, e di questa deve essere un valido mezzo di realizzazione.La missione che la realtà e la storia impongono all’Università padovana è quellodi propagare il pensiero e la civiltà latina nell’Oriente europeo; il giornale deve essere perciò un agile ed adeguato strumento che collegandoci con i più vivi centri di cultura universitaria degli stati balcanici, slavi e del Mediterraneo orientale, diffonda la conoscenza del pensiero e delle rea-lizzazioni dell’Italia nuova.Accanto a questa funzione, altre ne avrà, e non meno importanti, dipendenti dalle complesse attività dei G.U.F. e della vita universitaria: principalissima la propaganda politica tra i giovani, la preparazione ai Littoriali della Cultura e dell’Arte, l’assistenza scolastica.In tal modo essa servirà a richiamare l’attenzione sulla nostra Università, indicando ai giovani delle tre Venezie l’Università nostra come la loro unica, naturale scuola.

schemaTitolo. Non abbiamo ancora deciso; si crede opportuno che il titolo si riferisca all’Università di Padova.Formato. Quello del giornale “Oggi”. Quattro colonne, sei pagine.Prima pagina. Articoli di carattere politico:• Articolo di fondo su problemi di etica fascista, trattati in maniera agile ma seria.• Articolo di osservazioni briose e critiche su alcuni aspetti della vita italiana.• Articolo di agile rassegna di politica estera.Seconda pagina. Destinata soprattutto alla preparazione ai Convegni di studi politici e di dot-trina fascista dei Littoriali. Conterrà quindi articoli di dottrina fascista, di storia del Fascismo, di problemi teorici e pratici del Corporativismo.Terza pagina. Articoli di:• critica artistica e problemi generali d’arte• problemi e critica letteraria• recensioni di opere significative straniere, con traduzioni dei passi più interessanti argomenti

scientifici• notizie dei trattati e delle opere scientifiche più importanti.Quarta pagina. Dedicata ad accogliere corrispondenze estere e articoli informativi sull’Europa orientale, riguardanti problemi politici, letterari ed universitari.Quinta pagina • Studi coloniali per la preparazione ai Littoriali.• Continuazione degli articoli delle pagine 3 e 4.Sesta pagina • Attività sportiva dei goliardi• Cronache• Storia dell’Università - Notizie sui professori - Rubriche assistenziali.

Archivio storico dell’Università di Padova, Rettorato, A.a. 1942-43, b. pos. 96-107, fasc. “Giornale studenti”, programma e schema di giornale per Carlo Anti, s.l. [ma presumibilmente Padova], s.d. [ma estate-autunno 1934].

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mico, per una spesa complessiva di 60.000 lire, da reperire attraverso abbonamenti e contributi della Federazione provinciale fascista, dell’università e dell’allora Scuola d’ingegneria. Stampato dal 1935 al 1936 dallo Stabilimento tipografico editoriale de Il Veneto (Stediv), dal 1937 al 1938 dalla Società cooperativa tipografica, dal 1938 al 1939 dalla Scuola d’arte grafica sordo-muti, dal 1939 al 1942 ancora dalla Stediv, nel 1943 dalla Società anonima giornali affini (Saga) e infine, dal 1943 al 1944, nuovamente dalla Stediv, avrebbe variato nel corso degli anni il formato (da quello tabloid a quello ‘lenzuolo’), la foliazione (dalle 12 pagine del 1935 alle 2 – per mo-tivi bellici – del 1936 e del 1944) e la tira-tura (dalle 2.500 copie del 1937 e del 1938 alle 3.000 del 1940 – pare tutte vendute – fino alle 5.000 del 1942).

Ad elaborare il progetto, per conto del Guf, guidato da Giuseppe Griffei, e

della federazione fascista, retta da Agosti-no Podestà, erano stati Gian Carlo Facca (estensore dello stesso), Atto Braun e Gui-

do Goldschmied. Vediamo brevemente chi

erano.

Facca, friulano, nato a Pordenone nel

1913, era figlio di un agente di commer-

cio. Diplomatosi al Liceo classico Jacopo

Stellini di Udine, era approdato nella città

del Santo, come studente di Medicina, alla

fine del 1931. Passato a Scienze naturali, si

sarebbe laureato il 21 ottobre 1936, dopo

essere stato volontario in Africa orientale

e aver guidato il gruppo dei 51 studenti

volontari prescelti per rappresentare l’ate-

neo patavino nel Battaglione universitario

Curtatone e Montanara – battaglione a

numero chiuso e nel quale chi aveva già

conquistato i gradi nei corsi allievi ufficiali

di complemento della Milizia universitaria

avrebbe dovuto rinunciarvi –, per il quale

avrebbero fatto domanda di arruolamen-

to ben 159 universitari padovani, senza

contare gli studenti volontari nei reparti

ordinari della Milizia volontaria per la si-

curezza nazionale e dell’esercito, il cui nu-

mero, purtroppo, è destinato a rimanere

ignoto – tre nomi per tutti: Griffei e Piva,

partiti volontari con la milizia (IV divisio-

ne camicie nere 3 gennaio), e Giuseppe

Berto, partito volontario con l’esercito

(XXV battaglione eritreo). Prima di salpa-

re alla volta dell’Africa, Facca avrebbe sco-

perto nell’Aula magna del Bo, nel corso

di una suggestiva cerimonia in onore degli

universitari volontari, un grandioso busto

di marmo del Duce, la cui inaugurazione,

avrebbe detto, “costituisce per i goliardi il

miglior viatico ed il più forte sprone a ben

meritare della fiducia [in] loro riposta ed

a tutto osare per la maggior grandezza

della Patria fascista”4. Geologo, medaglia

d’argento della Resistenza toscana per le

sue rischiose azioni sull’Appennino e in

Veneto, nel dopoguerra Facca sarebbe

diventato dirigente dell’Ente nazionale

idrocarburi di Enrico Mattei.

Braun, nato a Trieste nel 1912, era figlio

del direttore della Biblioteca civica del

capoluogo giuliano, fratello di Alfonsi-

na, assistente di Glottologia classica e di

Grammatica greca e latina all’Università

di Padova, e fidanzato (poi marito) di Mar-

gherita (Rita) Cajola, a sua volta assisten-

te di Arturo Cronia, docente di Filologia

ANNI TRENTA

sotto i redattori del Bò 1935-37. Da sinistra a destra: De Luca, Sella, Cocco (da Il Bo’, febbraio - marzo 1966)

sullo sfondo la sede del Guf

in basso pannello con la storia edilizia dell’Università, fine anni Trenta. Fototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di Padova

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

la campana del BÒ

da Il Bò, 16 settembre 1940

La gioia dell’esempio alle masse sembra non avere ancora conquistato l’animo di coloro che, magari in divisa, in città o in villeggiatura usano ed abusano della macchina di servizio che la fiducia del Fascismo ha loro affidato. Ahimè! quante amarezze nel cuore di noi ta-pini usi a camminare ad occhi aperti.

Ardengo Soffici nel succitato numero di Fron-tespizio tenta una difesa di Vincenzo Monti. A noi pare che se dal lato artistico la causa può essere buona e non difficile chè i molti meriti letterari del Monti non furon negati da più di un critico, dal lato politico la causa sia sbal-latissima e non certo perchè “colpa del Monti fu essere grande”.Siamo obiettivi: che bisogno e che ragione c’è perché noi amiamo del Monti il politico ed il patriota? Quali le sue virtù tanto degne di esaltazione? Il coraggio? Il carattere? Una salda concezione della vita politica? Avrà peccato come molti “italiani” dei tempi suoi, ma “girella” lo fu per quanto amasse il solo suo paese.Fra i suoi contemporanei ci sono uomini di ben altra levatura politica degni del nostro ricorso perché ci perdiamo attorno al Monti che non seppe affatto agire neanche come quel tale “il quale nel 1915 fece il suo dove-re di cittadino e di soldato seguendo le leggi e le idee dell’Italia liberale” e che oggi noi ci sentiamo in coscienza di accusare (contraria-mente all’inesplicabile opinione di Soffici) “di non essere stato fascista e di non aver cal-deggiato la conquista abissina e la fondazio-ne dell’Impero”.

slava. Diplomatosi al Liceo classico Dante

Alighieri della città redenta, studiava Inge-

gneria. Laureatosi nel 1939, tenendo con-

temporaneamente qualche supplenza nei

licei, avrebbe insegnato negli istituti tec-

nici, militando dopo la guerra nel Partito

comunista italiano.

Anche Goldschmied era triestino. Ebreo,

figlio di un facoltoso avvocato, aveva la

stessa età di Braun e si era diplomato,

come Facca, al Liceo Stellini di Udine.

Dopo aver trascorso un anno all’Univer-

sità di Roma (Facoltà di medicina e chi-

rurgia), si era trasferito all’Università di

Padova, iscrivendosi a Giurisprudenza.

Si sarebbe laureato il 10 novembre 1937

con una tesi non conformista in Diritto

internazionale. Il lavoro, corredato da

un’ampia bibliografia in lingua straniera

– Goldschmied conosceva bene tedesco,

inglese e francese –, al di là dei tecnicismi

giuridici si sarebbe rivelata un’appassiona-

ta difesa della Società delle nazioni e della

Corte permanente dell’Aia. Il saggio risul-

ta ancora più controcorrente se pensiamo al forte clima antisocietario che si sareb-be venuto a creare in Italia, con l’impresa d’Etiopia, per via delle “inique sanzioni”, e al fatto che circa un anno prima della discussione della tesi, l’Italia sarebbe ad-dirittura uscita dalla Società delle nazioni. L’internazionalismo ‘spontaneo’ di Gold-schmied nasceva dalla sua identità ebrai-ca, radicata in una cultura cosmopolita e di frontiera qual era quella triestina. Le origini, l’ambiente familiare e la forma-zione mitteleuropea lo rendevano poco sensibile ai richiami del nazionalismo esa-sperato e costituzionalmente immune da certa retorica. Se si aggiunge infine che si trattava di un tipo curioso, individualista e poco amante della disciplina, ben si com-

prende come taluni discorsi propagandi-

stici lo lasciassero del tutto indifferente,

quando non critico od ostile. Con Braun

formò una coppia affiatata, aperta alla

discussione e soprattutto priva

di tabù ideologici. Anch’egli,

come l’amico, nel dopoguer-

ra avrebbe aderito al Pci,

collaborando a Società, la

prestigiosa rivista culturale

fiancheggiatrice del par-

tito fondata da Romano

Bilenchi, Cesare Luporini,

Ranuccio Bianchi Bandinelli

e Delio Cantimori. (Durante

la Seconda guerra mondiale, nei

campi di sterminio, avrebbe perso la

madre, Ada Frankel, e un fratello, Livio,

combattente nelle file della Resistenza).

Da qui, però, a parlare di “cellula co-

munista” costituita dai due a Padova,

con Renato Mieli, studente di Fisica, fin dal

1934, ce ne corre. È molto probabile che

la cosiddetta “cellula comunista universi-

taria” non sia mai effettivamente esistita.

Non se ne trova traccia, finora, in alcun

documento del Partito comunista d’Italia,

nonostante questo partito fosse allora ri-

gidamente centralizzato e ferreamente or-

ganizzato. Si tratta, molto probabilmente,

di un’invenzione postuma dei suoi prota-

gonisti. Qualche anno dopo la fine della

Seconda guerra mondiale, infatti, Braun

e Goldschmied, sulla scia del caso Euge-

nio Curiel e del dibattito scaturito dalla

pubblicazione della prima edizione

del Lungo viaggio attraverso il fascismo di

R u g g e r o

Z a n g r a n d i

(1948), avreb-

bero ingigantito

il ruolo da essi svolto

nella nascita del Bò, pre-

sentandolo come il frutto di una loro per-

sonale attività politica criptoantifascista. In

realtà, come vedremo fra breve, il progetto

era in cantiere da tempo, ed era stato rin-

viato solo per espresso intervento di Stara-

ce, che, guarda caso, dopo i fatti del feb-

braio 1934, durante i quali a Padova si era

accesa una mini rivolta studentesca contro

la sua decisione di sopprimere la festa del-

le matricole, e il contemporaneo varo, ad

aprile, dei Littoriali della cultura e dell’ar-

te, dava ora il suo benestare all’iniziativa.

Inoltre, se proprio si vogliono trovare al

Bò dei padri putativi, essi vanno ricercati

non tanto nei due giovani universitari trie-

stini, quanto piuttosto, da un lato, nel ret-

tore (a conferma della genesi istituzionale

del Bò e del ruolo avuto da Anti nella sua

nascita, dalla ricerca dei fondi alla scelta

del titolo, basterà ricordare che il citato

ANN

I TR

ENTA

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gli anni di curiel

Tono Zancanaro, da Il Bo’, febbraio-marzo 1966

Che Eugenio Curiel fosse militante del Partito Co-munista Italiano clandestino ovviamente lo seppi qualche anno più tardi, nel luglio del ’39, quando fu arrestato dalla polizia fascista. Particolare, que-sto, non molto importante, in certo senso, per ciò che vorrei dire, ricordare, sulla figura e personalità di Curiel, direttore di giornale, de Il Bò, il giornale del “guf”, come allora si diceva.Una premessa, comunque, devo assolutamente farla: Curiel dirigeva quel Bò di allora da accanito, combattivo antifascista, anche se il giornale na-sceva ovviamente negli uffici del “guf”, sotto il du-plice controllo delle gerarchie fasciste padovane, controllo diretto, e di quelle centrali di Roma.E tuttavia a Curiel toccò di dirigere Il Bò anche dopo che il decreto razzista contro gli ebrei gli tol-se il posto di insegnante all’Università, impeden-dogli di svolgere qualsiasi attività legale o ufficiale. Era troppo stimato, aveva reso il giornale un fatto di troppo chiara e forte cultura (giocata sul rasoio della legalità – e qui stava il genio di Curiel – che toccasse e trattasse ogni argomento o tema, da quelli sindacali a quelli studenteschi, o di politica generale), perché i responsabili locali del “guf” e del fascio rinunciassero alla sua opera, che negli ultimi numeri del giornale figurava anonima!Anche se sapeva, Curiel, dove sarebbe arrivato, ormai in fretta, il Fascismo – non solo quello no-strano, si capisce – e considerava quel dato lavoro giornalistico agli sgoccioli, tuttavia fino all’ultimo seppe fare il giornale in modo esplosivo; splen-dido direi, se non si fosse trattato di materia così drammatica come era la politica di quei giorni.Ché questa è la nota, credo, più singolare del gio-vane professore di matematica Eugenio Curiel: quella di saper muoversi da maestro fra le materie più disparate, quella di saper utilizzare, attivizza-re vorrei dire, anche giovani chiaramente fascisti per fare il giornale, tecnicamente, più antifascista stampato allora in Italia. Aveva collaboratori, è ov-vio, e qualcuno, come lui, comunista; altri sempli-cemente, ma chiaramente, antifascisti. Ma Curiel, sembrava respirare, lottare cioè, sem-pre nel modo più naturale, semplice e per lui ap-parentemente facile! – tanta era la sua forza, tanto chiara e limpida e conseguente la sua forte perso-nalità di antifascista, di comunista.

sopra l’Aula magna prima dei lavori del rettore Anti su progetto di Gio Ponti; a sinistra particolare del busto del Duce realizzato in marmo da Paolo Boldrin. Fototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di Padova

in basso a destra Eugenio Curiel - Giorgio, illustrazione di Tono Zancanaro (1965)

fascicolo archivistico “Giornale studenti”

era stato originariamente classificato fra

le “Iniziative del Rettorato”), e, dall’altro,

in Podestà e in Griffei, visto che, a livello

locale, il Guf dipendeva strettamente dalla

federazione fascista, della quale costituiva

in pratica la sezione universitaria e la lon-

ga manus all’interno dell’ateneo. Quanto

a Podestà, poi, giova ricordare che la sua

nomina a federale, avvenuta il 20 mag-

gio 1934, era stata “accolta con simpatia

nella classe goliardica per la ragione che

il Comm. Podestà ha coperto un’alta ca-

rica nei G.U.F.”5. Podestà infatti, oltre ad

essere molto giovane – non aveva ancora

compiuto 29 anni –, proveniva dal fasci-

smo universitario, avendo guidato il Guf

di Pavia dal 1926 al 1928 ed essendo stato

vicesegretario generale dei Gruppi univer-

sitari fascisti nel 1931. Poteva anche van-

tare una buona esperienza giornalistica,

avendo diretto Il Campanaccio, l’anticon-

formista organo di stampa del Guf pavese

ridotto al silenzio nel 1929. (Presentando

il primo numero del Bò, che sarebbe usci-

to l’8 febbraio 1935, Griffei avrebbe scrit-

to: “La martinella pavese, Il Campanaccio, è

divenuto Il Bò che ne riprende le tradizio-

ni battagliere. Non sorge, perciò, risorge.

[…] E il bronzo del nostro campanone

non è meno squillante”6 – “Il Campanac-

cio” sarebbe anche stata la rubrica più

anticonformista del Bò, quella dedicata ai

temi corporativi e sindacali). Insomma,

Podestà aveva tutte le carte in regola per

piacere al mondo gufino padovano e com-

prendere le sue esigenze, cosa che fece

prontamente prima caldeggiando a Roma

la nascita del quindicinale (sua la firma in

calce alla ricevuta di 5.000 lire stanziate

per Il Bò dal Sottosegretariato di Stato per

la stampa e la propaganda, il futuro Mi-

ANNI TRENTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

nistero della cultura popolare diretto da Galeazzo Ciano), e poi dirigendolo fino alle soglie del 1936, anno del suo trasfe-rimento ad Arezzo come prefetto (suoi gli editoriali del giornale a firma “Mastro Campanaro”). Con lui Griffei, coetaneo di Podestà, riuscì ad instaurare un rapporto di cordiale e proficua collaborazione, cosa che non gli sarebbe riuscita con il succes-sivo federale, Umberto Lovo.

Ma torniamo ora alla genesi del Bò. Come dicevo, l’idea di un giornale

universitario era in programma da anni, almeno dal 1931-32. Ecco le prove.Nel marzo del 1932, subito dopo gli inci-denti provocati a Venezia, nel corso del-la locale festa delle matricole, da alcune centinaia di studenti patavini affluiti per l’occasione nella città lagunare, incidenti che avevano provocato la destituzione da parte di Starace dell’allora segretario del Guf padovano Giovanni (Nino) De Losa, e

subito dopo il durissimo j’accuse scagliato

a Roma dal segretario del Guf veneziano

contro l’ambiente universitario patavino

e la sua dirigenza politica, il gruppo del-

la città di San Marco, approfittando del-

l’evidente momento di sbandamento del

Guf padovano e del discredito in cui era

caduto presso le gerarchie del partito, ave-

va inviato ai segretari dei gruppi delle Tre

Venezie e della Dalmazia questa lettera:

Caro Camerata,

Il nostro G.U.F. ha da molto tempo in progetto

la fondazione di un giornale politico settimana-

le quale organo ufficiale dei G.U.F. delle Tre Ve-

nezie e della Dalmazia. Detto giornale, oltre allo

spazio riservato ai problemi politici e goliardici

di generale interesse, dovrebbe portare per ogni

Gruppo una pagina la cui direzione sarebbe af-

fidata al G.U.F. stesso al quale si riferisce.

Comparirebbero naturalmente nel nostro setti-

manale tutte le iniziative dei singoli Gruppi:

i comunicati su eventuali adunate, gite, ma-

nifestazioni, conferenze, concorsi, ecc., il tutto

debitamente illustrato in modo da mantenere

sempre vivo in ogni singolo iscritto l’interessa-

mento per le iniziative del suo Gruppo tenendo-

lo costantemente informato.

Riceverai in seguito più dettagliati schiarimen-

ti specialmente sulla formazione delle varie re-

dazioni. Confidiamo pertanto nel tuo spirito

di comprensione affinché tu voglia aderire alla

nostra proposta.

Ci occorre al momento, ed al più presto, di sa-

pere se sei disposto a far abbonare i tuoi iscritti,

facendoti presente in proposito che per il primo

semestre, in decorrenza dal 25 Aprile, il paga-

mento potrebbe avvenire isolato ma che per il

prossimo Anno Fascista, e cioè con il 28 Ottobre

1932 l’abbonamento di L. 10 = annue potrebbe

essere incluso nel prezzo della tessera.

Attendiamo tuo sollecito riscontro con dettaglia-

te informazioni sugli eventuali abbonamenti

(questione vitale e decisiva) pregandoti inoltre

di inviarci tutti gli avvertimenti e consigli che

tu credi opportuni e che noi accetteremo con

vivo interesse.

Saluti fascisti 7.

La missiva aveva avuto il sapore della

beffa, come aveva fatto subito com-

prendere l’allora federale di Padova, Pao-

lo Boldrin, all’allora vicesegretario gene-

rale dei Guf, Giovanni Poli:

La cosa mi ha meravigliato per le seguenti

ragioni:

1° – analoga proposta era già stata fatta in

precedenza dal nostro G.U.F. e rinviata in ot-

temperanza a precise disposizioni della Segre-

teria Centrale relative alla limitazione delle

pubblicazioni goliardiche al solo Libro e Mo-

schetto.

2° – rivendico al G.U.F. di Padova la prece-

denza di detta pubblicazione essendo ovvio che

l’Ateneo Padovano per tradizioni secolari di

da sinistra l’architetto Gio Ponti di fronte al suo affresco dello scalone del Rettorato. Fototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di Padovadall’alto Massimo Campigli, bozzetto per l’affre-sco dell’atrio del Liviano, 1938; Bruno Saetti, boz-zetto per la decorazione della sala di Lauree della Facoltà di Lettere e Filosofia, 1940; Mario Sironi, bozzetto per l’affresco dell’atrio del Liviano, 1938

Page 9: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

studi e di Italianità e per il numero di studenti

è di gran lunga superiore all’Istituto Commer-

ciale di Venezia.

3° – il nostro G.U.F. aveva già ultimamente

predisposto per la trasformazione dell’attuale

Pagina del G.U.F., settimanalmente ospitata

su Il Veneto, nel giornale goliardico Il Bò or-

gano dei G.U.F. Triveneti.

4° – l’esperienza dettata dai tre anni di vita del-

la Pagina stessa è garanzia di sicura riuscita

dell’iniziativa proposta.

Sarà per me cosa gradita che tu stesso inter-

pellando S.E. Starace decida la questione ben

vagliando le ragioni da me esposte e assegnan-

do d’autorità la realizzazione dell’iniziativa al

nostro G.U.F.

Attendo un cortese cenno di riscontro e ti saluto

cordialmente.

[…]

P.S.

Sono fermamente deciso di potenziare il Gruppo

al 100 × 100 8 .

Il no di Starace era arrivato come una

doccia fredda, ma almeno aveva avuto

il merito di bloccare sul nascere anche

l’iniziativa veneziana, che avrebbe potuto

costituire una seria minaccia all’egemonia

triveneta del Guf padovano. “Venezia”,

aveva assicurato Poli, “desisterà proposta

nuovo periodico essendo vietate nuove

pubblicazioni”9 . La sfida era stata soltanto

rinviata, e sarebbe stata proprio Venezia

a vincerla, tagliando per prima il traguar-

do con Il Ventuno, fondato da Francesco e

Pier Maria Pasinetti nel 1932, ma divenuto

organo ufficiale del solo Guf lagunare nel

1933-34, quasi due anni prima della nasci-

ta del Bò, a sua volta organo ufficiale del

solo Guf patavino. In realtà, le rispettive

e contrastanti aspirazioni ad un foglio di

coordinamento interregionale per tutti i

gruppi del Nord-Est, Dalmazia compresa,

erano state entrambe frustrate e ridimen-

sionate dal centralismo staraciano, ma

anche minate ab imis dal campanilismo

universitario. È evidente infatti che, pur

tenendo conto di un probabile no di Sta-

race, un’azione congiunta avrebbe avuto

maggiori possibilità di successo di due

azioni separate e per di più conflittuali. Era

stato comunque un ulteriore segno della

gravissima crisi che aveva investito il Guf

patavino fra il 1930 e il 1932, da cui si stava

ora riprendendo, nel 1934-35, solo grazie

all’accorta politica di Podestà e di Griffei,

anche se non sarebbero mancati ancora i

momenti di difficoltà, come quando, nel

1940, a guerra incominciata, Il Bò, scaduto

il contratto che lo legava alla Stediv e pri-

vo ormai di copertura finanziaria, sarebbe

stato salvato in extremis da Alessandro Pa-

volini, ministro della Cultura popolare, e

dal Duce in persona, con due contributi

di 2.000 lire ciascuno, prelevati dai fondi

di polizia e concessi al quindicinale pado-

vano “in straordinaria sovvenzione”10.

Note* Per un approfondimento e un ampliamento di quanto trattato nell’articolo, rinvio a Federico Bernardinello, Fra goliardia e inquadramento. Gli universitari padovani negli anni Trenta, in Studenti, università, città nella storia padovana. Atti del conve-gno. Padova, 6-8 febbraio 1998, a cura di France-sco Piovan - lUciana sitran rea, Trieste, Lint, 2001 (Contributi alla storia dell’Università di Padova, 34), pp. 649-691, e a id., Universitari padovani e fa-scismo. Organizzazione, politica, cultura, monografia in via di ultimazione.1 Un fiasco e un progetto, Il Bò, a. I, n. 2, 15 luglio 1919, p. 30.2 archivio centrale dello stato, roma, Partito nazionale fascista, Direttorio nazionale, Servizi vari, Serie I, b. 381, fasc. “Padova”, lettera di Gustavo Piva a Fernando Mezzasoma [vicesegretario ge-nerale dei Gruppi universitari fascisti], Padova, 4 dicembre 1937.3 archivio storico dell’Università di Padova, Rettorato, A.a. 1942-43, b. pos. 96-107, fasc. “Gior-nale studenti”, promemoria di Anti, Padova, s.d. [ma estate-autunno 1934].4 La partenza del primo scaglione di goliardi volon-tari per l’Africa Orientale, Il Gazzettino, 18 ottobre 1935.5 archivio di stato di Padova, Prefettura, Gabi-netto, b. 454, informativa del questore al prefetto, Padova, 21 maggio 1934.6 il microBo [giUsePPe griFFei], trafiletto non titolato di presentazione del giornale, Il Bò, a. I, n. 1, 8 febbraio 1935, p. 2.7 archivio centrale dello stato, roma, Partito nazionale fascista, Direttorio nazionale, Servizi vari, Serie I, b. 361, fasc. “Padova”, s.fasc. “Gruppo”, copia di lettera di Renzo Fano [incaricato dell’Uf-ficio stampa del Guf di Venezia] ai segretari dei Guf delle Tre Venezie e della Dalmazia, Venezia, 25 marzo 1932.8 Ivi, lettera di Paolo Boldrin a Giovanni Poli, Padova, 8 aprile 1932.9 Ivi, copia di telegramma di Poli a Boldrin, s.l. [ma Roma], 11 aprile 1932.10 Ivi, Ministero della cultura popolare, Gabinetto, b. 253, fasc. “‘Il Bò’”, copia di comunicazione di Celso Luciano [capogabinetto del Ministero del-la cultura popolare] a Clemente Dalmata Mian [segretario del Guf di Padova e direttore del Bò], Roma, 22 novembre 1940.

ANNI TRENTA

a destra Professori dell’Università di Padova, illu-strazioni di Sinòpico. Dall’alto Alfredo Rocco, l’auto-re del codice penale del 1930; Luigi De Marchi, geo-grafo e senatore del Regno nel 1934; Corrado Gini, statistico e primo presidente dell’Istat nel 1927.

raoul chareun (in arte Primo Sinòpico) nasce a Cagliari nel 1889. Tra i protagonisti dell’illustrazione italiana dal primo dopoguerra agli anni Trenta, nel 1911 rifonda Lo Studente di Padova.

Page 10: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

Chi erano veramente le sinistre om-

bre nere in divisa che il 9 novembre

1943 occupano in Aula Magna gli scanni

dei Presidi e disturbano la prolusione del

Rettore Concetto Marchesi, cercando di

impedirla? È da quando eravamo ragazzi

- noi stessi studenti del Bo e del Liviano

- che quelle sconosciute immagini del

Negativo valgono solo come oscuro e im-

penitente freno al corale imporsi del Po-

sitivo, con Rettore, Presidi e una gremita

Aula Magna di studenti uniti nell’estasi

corporativa dell’Universa universis patavi-

na libertas repentinamente ed ecumenica-

mente risorgente: una sorta di isola, per

così dire, ‘di lotta e di governo’. In realtà,

infatti, appena fuori del Palazzo del Bo,

in quel Novembre del ’43, incombe la Re-

pubblica Sociale e comandano i Tedeschi.

L’anomalia è in quell’autonomia fittizia,

è Marchesi, rettore comunista nominato

nei 45 giorni e sopravvissuto al ritorno

dei fascisti. Fra i presenti al rito inaugura-

le c’è persino il Ministro dell’Educazione

nazionale Bigini, un professore di Diritto

pisano, che risiede, a Padova, nello stes-

so palazzo di via Marsala dove abita Mar-

chesi. È l’incredibile, lunare promiscuità

che caratterizza quegli ultimi due anni di

guerra, che è anche guerra civile.

“Pochi ma buoni” scriverà due mesi dopo

Il Bò, partecipe degli orgogli minoritari

del fascismo dell’ora estrema1. Pochi e

residuali, fantasmi inconsistenti di un’Era

Fascista ormai esaurita, apparivano invece

- con segni di valore capovolti - ai redattori

del Bo’ dei primi anni Sessanta, del tutto

negligenti del resto rispetto a quelle figu-

re senza nome, e totalmente immedesima-

ti nel gesto redentore di Marchesi e nel

senso di rivelazione collettiva che fulmina

il suo pubblico. Su questa sorta di rivela-

zione collettiva a se stessi e sul carattere di

scansione periodizzante di quella grande

giornata - destinata a proporsi come un

nuovo 8 Febbraio 1848 nell’autocoscienza

e nei riti - non c’è ragione di modificare

il giudizio. Anzi, in questi sessant’anni, si

sono moltiplicate le testimonianze e i con-

cordi ‘io c’era’2. La messa a punto critica

e autocritica che la laboriosa ricostruzione

della collezione del Bò torna a consigliare

è piuttosto quella sulla natura del giornale,

in quella sua fase conclusiva e negli anni

che la precedono: un decennio di vita fra

la metà degli anni Trenta e la metà degli

anni Quaranta e la possibilità quindi di

accompagnare in frangenti storici decisivi

i mutevoli ‘io’ e i cangianti ‘noi’ di diver-

se leve di studenti delle Tre Venezie: con

un peso e una rappresentatività tra i vari

fogli dei Gruppi universitari fascisti che

vanno oltre il territorio. È verosimile che

nel gruppo di contestatori che in quel rito

accademico, più che mai caricato dei sen-

si di un nuovo inizio, si ergono in divisa a

trattenere la maggioranza dei coetanei or-

mai mentalmente altrove, ci fossero lettori

e probabilmente anche autori del Bò. Sen-

za troppo impegnarci in valutazioni di me-

rito che avrebbero richiesto la conoscenza

diretta dei numeri del giornale negli anni

fascisti, che - forse non senza ragione di op-

portunità - risultavano invece dispersi o di

difficile e frammentario accesso, si riferiva

invece ai nostri tempi sottintendere che la

giornata del 9 Novembre fosse anche l’esi-

to ultimo di un’opera di infiltrazione e de-

cantazione politica ben riuscita: del gior-

nale degli studenti, Il Bò, ispirato, se non

proprio ‘diretto’ da Eugenio Curiel.

Non useremo lo spazio per seguire il for-

marsi e lo svolgersi di questa lusinghevole

affabulazione, che tutt’al più ammetteva

variabili temporali nella datazione dei pri-

mi incontri antifascisti di Curiel, fossero

stati coi socialisti o coi comunisti.

Cerchiamo di contribuire a ripristinare

i fatti3. C’è un numero unico, pupazzet-

tato e goliardico, che si chiama già Il Bò

- anzi El Bò - ed esce in data 8 Febbraio

1933, proprio quando il segretario del

Partito Starace viene a Padova a farsi pun-

zecchiare il sedere dai goliardi, forse più

brilli che antifascisti. Intanto a Venezia i fratelli Francesco e Pier Maria Pasinetti e il locale Guf fanno dal ’32 Il Ventuno 4, a scorno del più titolato Guf patavino; e lo scontro con Starace non giova a riguada-gnar terreno5. La collezione ricostituita non presenta in effetti uscite nel 1934. Quando nel 1935 - di nuovo alla data ca-nonica dell’8 Febbraio - il giornale si avvia veramente, ignora il precedente goliardi-co di due anni prima e si dichiara all’anno I, n.1. Direzione alla casa dello Studen-te, amministrazione alla casa del Fascio in Riviera Tito Livio, tipografia Stediv (quella del quotidiano cittadino Il Veneto).

IL BÒ dEL FASCISMO

Mario Isnenghi

sopra Me a son San Gibbon, Tono Zancanaro. La deformità fisica e morale del “Gibbo” rappresenta ferocemente il regime e il suo grottesco eroe; nell’impegno politico di Tono contarono in modo decisivo i suoi rapporti con Ettore Luccini ed Eugenio Curiel

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Page 11: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

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Pubblicità Manzoni - scelta in grande -, ma quella che poi concretamente si vede, ab-bastanza folta e continuata, sarà poi sem-pre quella di alcuni negozi cittadini, carto-lerie e librerie in testa. Direttore Agostino Podestà - sbandiera la testata. Non lo farà per nessuno dei successivi segretari del Guf padovano, automaticamente anche direttori; ma Podestà è qualche cosa di più, il giovanissimo segretario non della gioventù universitaria, ma della Federa-zione fascista padovana, giunto da Pavia nel ’34, dove la sua direzione de Il Campa-

naccio ha sollevato malumori e cui allude a Padova firmando bravamente i suoi pezzi

“Mastro Campanaro”. Da Giuseppe Grif-

fei, segretario Guf al suo fianco e successo-

re nella direzione vige austeramente non

la persona, ma la funzione, specie, ma non

solo in tempo di guerra. Per sapere che è

cambiato il Segretario del Guf e automati-

camente quindi anche il Direttore del Bò

occorre cercare i caratteri piccoli del rife-

rimento burocratico obbligato, in ultima

pagina. Qui risulta anche, quando c’è - e

c’è per più annate - il nome di chi svolge

le funzioni effettive del redattore, che tal-

volta più pomposamente risulta redattore-

capo: il più durevole e meglio capace di

dare un’impronta è Esule - anzi, Esulino

- Sella. Molto variabile - fra l’anno I, 1935,

e l’anno X, 1944 - il numero delle pagine.

Decisamente più costante il ritmo delle

uscite: per anni si riesce effettivamente a

rispettare la cadenza quindicinale, il se-

condo e il quarto sabato del mese. I loro

successori - diciamolo pure - saranno lon-

tani dal riuscirci. 24-25 numeri in un anno

fanno giornale, creano una cerchia e un

pubblico. Cerchiamo di vedere come.

Il primo numero nulla fa per mimetizzare

i presupposti rivoluzionari, i calchi ‘comu-

nisti’ e le ansie antiborghesi della nuova

pubblicazione, fin dal titolo - A fuoco - e

dall’attacco del pezzo di “Mastro Campa-

naro”, federale e direttore.

“Per coloro che sentono tormentosa la necessità

di continuare implacabilmente la rivoluzione di

‘ottobre’ fino ai suoi più estremi obbiettivi siamo

da contare anche noi. Il concetto di ‘rivoluzione

permanente’ affermato dal Duce è stato motivo

di grande entusiasmo e fonte di nuove tenaci

volontà. Abbiamo definitivamente la certezza

che tutti i sistemi di piccoli mondi, nello spiri-

to o nella sostanza, freddi o borghesi, e ritenu-

ti inviolabili dovranno diroccare per virtù del

piccone fascista. Distruggere completamente la

società borghese sorta dai ruderi della società

feudale di cui risente difetti e conseguenze è una

necessità (…)”6

Nei numeri successivi la penna acca-

lorata del direttore, restando sopra

le righe, prenderà vie politicamente meno

eversive. “Per ora la guerra non si fa” - an-

nuncia, dolente, ma vigile, con l’interven-

to, piazzato come al solito in prima pagi-

na, nel n. 5 del 15 aprile. Sarà, fra breve,

la guerra d’Etiopia.

La ‘campana’ fa la voce grossa, si vede e si

fa sentire, ma non esaurisce i toni e gli spa-

istruire il popolo

M.F., da Il Bò, 16 maggio 1941

(…) La scuola elementare, con l’obbligo sco-lastico prolungato fino ai quattordici anni di età, cerca di rimediare a questo inconvenien-te; ma purtroppo rimane sempre qualche zona lontana, che sfugge al controllo del Comune, e, in pratica, se uno se ne vuole stare a casa a 9 anni, nessuno glielo impedisce. E se mai, i risultati di questo provvedimento si vedranno col tempo. Ma adesso?E poi, la scuola elementare non basta. Si tratta di modificare, sia pur lentamente, tutto l’ambiente; di tentare, direi quasi, una specie di seconda civilizzazione. Conferenze, diffusione di giornali, documen-tari cinematografici; e soprattutto cercare, in ogni modo, di migliorare le cognizioni sull’uso della lingua italiana.Per loro stessi, ma anche per il nostro pre-stigio all’estero. E non potrebbero, le fasciste universitarie, dare il loro modesto contributo per iniziare quest’opera di, chiamiamola pure così, redenzione?Non si potrebbe, con la collaborazione dei NUF e con l’opera di alcune universitarie vo-lenterose, fare qualche cosa? (…)

a destra vedute della Casa dello studente Fusinato, già Principe di Piemonte. La Casa venne ultimata nel 1935. Fototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di Padova

ANNI TRENTA E QUARANTA

Page 12: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

spintarelleai giocHi del duce

Luciana Plastino da Littoriali femminili della Cultura, Il Bò, 15 aprile 1941

(…) E finalmente la classifica. Che porta de-lusioni per lo più o inattesi trionfi. A questo proposito è strano come in molti casi i giudizi dei commissari siano curiosamente diversi da quelli del pubblico che ascolta: certamente il pubblico (chiamiamo così per definire quelle poche persone che assistono alle prove) è meno competente di chi giudica. E poi il suo giudizio si ritiene non disinteressato e quindi non arriva ad aver vita. Però non sempre que-sto pubblico è ignorante o cieco o interessa-to e a volte resta stupito di aver preso delle cantonate così grandi: poveraccio, dopo tutto che cosa è lui? Quando ci sono quattro o cin-que persone che ne sanno tanto di più e la cui sentenza è saggia e irriducibile? (…) Però…Ritorna insomma qui il vecchio tema delle rac-comandazioni. Il regolamento è severissimo in proposito, minaccia pene, rigori, punizioni eccetera. Il cuore quindi si apre alla fiducia leggendo quanto è scritto su quel foglio uffi-ciale. Ma quando è venuto il momento buono di applicare ciò che è stato detto, ahimè si vede come le parole – anche se investite di autorità – siano poco consistenti.Liberarsi dunque d’ogni influenza bisogne-rebbe, di ogni posizione tradizionale, di ogni vanto di diritto poco convincente. Sarà possi-bile questo? Ogni anno tutti vengono via dai Littoriali dicendo le stesse cose – poi per mesi e mesi i giornali universitari protestano e fan-no discussioni, proposte; si versano fiumi di inchiostro… E la volta dopo si è daccapo allo stesso punto.Abbiamo parlato sinceramente se anche in modo un po’ brusco: ma tra camerati e so-prattutto tra studenti si può parlare chiaro. (…)

zi di questo giornale delle origini. Vedia-

mo in pagina nomi allora e poi variamen-

te risonanti: Rinaldo Pellegrini ragiona di

Unità dell’Europa (n. 1); Pietro Ferraro di

Logica della corporazione (n. 1) e di Masse,

studenti e sindacati (n. 2, 23.2.1935); Etto-

re Luccini, che affronta il Sindacalismo di

ieri e di oggi nel n. 2, traduce dal russo e

scrive di Diritto privato russo nel n. 5, del

15.4.1935.

Il n. 6 (1.5.1935) è dedicato ai Littoriali

dell’arte e della cultura. Questi, assieme

ai Prelittoriali che selezionano le rappre-

sentanze locali, e assieme ai Littoriali del-

lo sport, campeggeranno dall’inizio alla

fine nelle pagine del giornale. Un’opera

fra memoria, azione politica e ricostruzio-

ne documentaria, di uno degli ex-giovani

dei Littoriali - Ruggero Zangrandi - leggerà

nel dopoguerra Il lungo viaggio attraverso il

fascismo7 come il costituirsi di una rete poli-

tica d’opposizione, fatta di primi della clas-

se che si incontrano e affermano nei Guf,

nei giornali dei Guf e ai Littoriali, e sem-

pre più consapevolmente antifascista, pur

nell’abile permanere delle ambivalenze,

dei recitativi d’epoca e dei doppi giochi.

L’enfatizzazione del protagonismo di Cu-

riel rientra in questa finalizzazione politica

della memoria. Con l’aggiunta che Curiel

nel 1938 viene allontanato per ragioni raz-

ziali e il suo nome di reietto viene spieta-

tamente ostentato in una metodica lista di

docenti ebrei dell’Università di Padova da

colpire e allontanare. Si sbaglierebbe tut-

tavia a immaginarsi un giornale spezzato

in due, colto fino al ’38, rozzo ed incolto

dopo il ’38, ovverosia, al limite - secondo

vecchi postulati e coordinate interpretati-

ve - prima ‘antifascista’, poi ‘fascista’.

Fra i pezzi di appoggio ai Littoriali di Roma

ce n’è uno su Il convegno di critica letteraria8.

Commissione formata da nomi noti: il vi-

cesegretario del partito Arturo Marpicati,

Valentino Piccoli, Goffredo Bellonci, Mar-

cello Gallian (assente Massimo Bontempel-

li). Preme all’articolista salvare un qualche

specifico alla letteratura, pur nel quadro del-

le solidarietà politiche indiscutibili. Intanto i

concorrenti si misurano sugli scritti di Mus-

solini (fra i commissari che li giudicano c’è

il curatore dell’edizione Hoepli degli Scritti e

discorsi); e di Enrico Corradini, della Voce - si

nominano Papini e Prezzolini -, di Marinetti

e di Oriani. Sul ‘precursore’ - l’uomo della

‘Vigilia’ che fra poco darà il suo nome al Guf

padovano, comparendo quindi nella testata

del Bò - si esercita il futuro scrittore Giusep-

pe Mesirca. Con questo nome ci troviamo di

fronte a uno dei dignitosi nomi di lungo cor-

so - Giulio Alessi, Iginio De Luca, Ettore Luc-

cini, Michelangelo Muraro, Lucio Grossato

- destinati ad animare le riflessioni culturali

nelle pagine interne del giornale: sub specie,

appunto, letteraria e anche artistica. Nomi,

anche nel dopoguerra, ben noti, della scena

cittadina. E non relegabili in un limbo di let-

teratura e arti, anche perché le occasioni per

mettersi alla prova e farsi conoscere passano

comunque per gli appuntamenti e gli appa-

rati culturali di regime. Solo nei numeri più

coattivamente militari e guerreschi e mag-

giormente attraversati dai tempi, per es. il Bò

rinuncia - anche per il restringimento degli spazi a disposizione - a interagire criticamen-te con la pittura e con la scultura a Padova; ma le recensioni, gli interventi, le immagini sono scanditi dalle periodiche mostre d’arte di iniziativa sindacale. In realtà, proprio uno dei giovani intellettuali più pensosi, Ettore Luccini9, non si dedica solo ad approfondi-re questioni filosofiche e a commentare gli scrittori russi10, ma sarà incaricato con Eu-genio Curiel di seguire e riferire sistemati-camente sulle tematiche del corporativismo.Corporativismo e libertà, già in questo 1935, riassume la relazione del filosofo Ugo Spirito in un convegno corporativo italo-francese.“Ha concluso osservando come rivoluzione

francese e rivoluzione fascista siano due tappe

dello stesso processo del pensiero moderno, e che

attraverso ad esse devono passare tutti coloro

che vedono nella libertà ‘il carattere costitutivo

del pensiero’.” 11

Un bell’ombrello protettivo, come si vede, all’ombra del quale prospe-

reranno dopo la guerra i recuperi di un Bò tutto e sempre infiltrato e nicodemita.

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Page 13: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

1�

la vita stessa degli italiani

Mario Sironi da Il Manifesto della pittura murale

Nello Stato Fascista l’arte viene ad avere una fun-zione educatrice. Essa deve produrre l’ètica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandez-za di linee al vivere comune. L’arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale. La concezione individua-le dell’“arte per l’arte” è superata. Deriva di qui una profonda incompatibilità tra i fini che l’Arte Fascista si propone, e tutte quelle forme d’arte che nascono dall’arbitrio, dalla singolarizzazione, dall’estetica particolare di un gruppo, di un ce-nacolo, di un’accademia. (...) La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’im-maginazione popolare più direttamente di qua-lunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L’attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell’affresco, facilita l’impo-stazione del problema dell’Arte Fascista. Infatti: sia la pratica destinazione della pittura murale (edifici pubblici, luoghi comunque che hanno una civica funzione), siano le leggi che la governano, sia il prevalere in essa dell’elemento stilistico su quello emozionale, sia la sua intima associazio-ne con l’architettura, vietano all’artista di cedere all’improvvisazione e ai facili virtuosismi. (...) Per essere consono allo spirito della Rivoluzione, lo stile della Pittura Fascista dovrà essere antico e a un tempo novissimo: dovrà risolutamente respin-gere la tendenza tuttora predominante di un’arte piccinamente abitudinaria, che poggia sopra un preteso e fondamentalmente falso “buon senso”, e che rispecchia una mentalità né “moderna” né “tradizionale”; dovrà combattere quegli pseudo “ritorni”, che sono estetismo dozzinale e un pa-lese oltraggio al vero sentimento di tradizione. A ogni singolo artista poi, s’impone un problema di ordine morale ...

Il “Manifesto” fu pubblicato su La Colonna nel dicembre del 1933 e firmato anche da Campigli, Carrà e Funi.

sopra aeropittura futurista: In tuffo sulla città (incuneandosi nell’abitato), Tullio Crali, 1939

in alto a destra Cavaliere di Mario Sironi, bozzetto tempera su carta

Fino alle ambivalenze ci stiamo, e valgono

anche per Ugo Spirito; a una lettura sal-

vifica, tutta orientata in senso teleologico,

no, vi ostano i testi.

C’è la guerra d’Etiopia quando esce un

numero straordinario per l’inaugurazio-

ne dell’anno accademico 1935-36 e si apre

la seconda annata. È subito un giornale

diverso, più brusco, più partitico e milita-

resco. Oggi cominciano le sanzioni: e chi se ne

frega? 12 Cambiano i caratteri della testata,

campeggiano stentoree in prima pagina le

frasi di Mussolini, viene anche riportato il

suo discorso di 12 anni prima, gloria dei

luoghi, cavallo di battaglia dei momenti

epici, più volte riesumato: Il Duce agli stu-

denti di Padova il 1 Giugno 1923. E d’altra

parte, Mussolini allora governava da po-

chi mesi ed era già a Padova. Un privilegio

di cui il ‘noi’ universitario patavino non

può non far capitale. Lì ricomincia un’an-

tica storia. Come anche per noi: con il di-

scorso di Marchesi e poi con la medaglia

d’oro all’Università antifascista ricomincia-

va un’antica storia. Ognuno - e ogni ciclo

storico - ha i suoi miti delle origini.

Sotto una foto di gerarchi che montano

la guardia in divisa alla Mostra della Ri-

voluzione fascista, segue l’elenco dei 50

goliardi volontari d’Africa, in ordine alfa-

betico, aperto dal segretario del Guf Bepi

Griffei. Fra i nomi, Gustavo Piva, che sarà

un segretario successivo, nell’ora delle leg-

gi razziste. Festosa e goliardica la foto di

gruppo in Cortile antico, con caschi levati

alti sulla canna dei fucili. Un numero che

accumula ed esibisce le marche identitarie

dello studente padovano: 1848, interven-

tismo, squadrismo, volontarismo universi-

tario come dimensione dell’anima, prima

che della politica. Questo numero zero

del 18 novembre offre anche due crona-

ANNI TRENTA E QUARANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

che briose, della partenza e poi da Tivoli,

dove convengono i volontari. Aria da va-

canze maschili.13 I numeri che seguono,

del 1935-36, sono di un solo foglio, tutti

molto scritti, meno belli da vedere dei

precedenti. E anche più burocratici. Il

fondo del secondo n. 9 (15 luglio 1936)14,

Goliardia guerriera, accompagna foto citta-

dine di reduci, compresa quella del morto

che ci è gloriosamente ‘scappato’ – Presen-

te! – e conclude con lo stile intanto invalso

in questo Bò atteggiato a pose più gladia-

torie e officiose:

“Poiché questa è la goliardia d’Italia: la goliar-

dia di Mussolini: gioventù rivoluzionaria pla-

smata nel crogiuolo del dolore e del sacrificio.”

Di una retorica raggelata anche Adu-

nata, l’editoriale firmato “Vir” nel

numero speciale per la vittoria, 31 mag-

gio 1936:

“La giovinezza dei popoli - del nostro, fascista e

romano - imporrà la sua vita di pace e di giu-

stizia alle senilità superate di oltre confine. Per

questa vita, noi, gioventù goliardica, offriamo

noi stessi.”

Anche se la linea ora è un’altra, osten-tatamente operativa, e non c’è spa-

zio per gli indugi della cultura, si coglie un avviso controcorrente: “Quanto prima uscirà l’annunciata antologia di liriche dei goliardi padovani” 15.Finita la guerra d’Etiopia il pacchetto redazionale si rinforza: accanto a Miche-le Vincieri compare come viceredattore Esulino Sella – uno dei frequentatori del-l’Istituto di Filosofia del Diritto, diretto dal prof. Ravà, accanto a Enrico Opocher, Norberto Bobbio, Luccini e altri, e una firma più presente e durevole; ci sono ac-canto a loro ben tre addetti alla redazione, e non ci saranno in altri periodi: Giulio Alessi, poi poeta e professore16, Iginio De Luca (il futuro editore e storico del Nievo campagnolo), Ugo Mursia (nel dopoguerra fondatore dell’omonima casa editrice)17. In un altro numero speciale, in data 28 luglio, si legge - non firmato - un pezzo illuminante su come devono relazionarsi Il bianco e il nero in territorio coloniale, ora che l’Italia ha il suo Impero.È un “problema vitale” - dice subito l’igno-to estensore. Si potrebbe fare della filoso-fia, ma parliamo di fatti.“La cosa è presto detta. Bisogna comportarsi

come se l’uomo bianco fosse un dio. Non in-

teressa affatto, dal punto di vista pratico dei

rapporti quotidiani con i neri, che uno creda

nell’uguaglianza potenziale di tutti gli uomi-

ni, non interessa affatto che il negro tale abbia

scritto delle poesie, e che il negro Caio, deputato

dello Stato x, si sia rivelato un ottimo e avve-

duto legislatore. In pratica non bisogna inte-

ressarsi di ciò.”

Che cosa dunque conta davvero? Una “collaborazione tra bianco e nero”

intesa come “il bianco che comanda e pensa, il nero che ubbidisce ed esegue”. E questo è parlar chiaro. Non ho trovato articoli che smentiscano questo brusco decalogo coloniale.L’anno III del quindicinale del Guf Alfredo

Oriani inizia questa volta non con l’ 8 Feb-braio, ma con l’altra canonica data d’inizio, l’inaugurazione dell’anno accademico - il 715° - che complica e triplica col normale primo gennaio e con il 28 Ottobre del-l’Era fascista il calendario di uscita del Bò. Nel primo numero (14.11.1936), Program-

mi, di B.A., rilancia il corporativismo e la rubrica apposita come nucleo centrale; altri servizi accompagnano cordialmente il lavorio preparatorio del Rettore Carlo Anti18 (presenza discreta e autorevole nel finanziamento, nella scelta del redattore di turno e nelle linee di comportamento del segretario-direttore: non si vede, ma c’è19); lanciano un po’ velleitariamente il tema Per una nuova cultura: di massa20; ma soprattutto propongono un puntiglioso articolo di Lucio Grossato21 in veste di cri-tico d’arte. La Sindacale di Arte a Padova

gli suggerisce infatti un intervento franco e ‘cattivo’. Grossato non salva nessuno, né il pubblico padovano - che non esiste -, né le commissioni - che non sanno o non vogliono scegliere -, né gli artisti, chiusi

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nella pagina a sinistra copertina de La difesa della razza del marzo 1939 e articoli del Bò della fine del 1938

sotto sequenze della visita del Duce all’Istituto di Chimica Farmaceutica il 24 settembre 1938. Fototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di Padova

in una dimensione autoreferenziale, e per giunta a volte decisamente mediocri. Si fanno nomi e, in una città e un ambiente non grandi, dove ‘tutti si conoscono’, non doveva esser facile affermare questo dirit-to-dovere alla critica.“(…) Anzitutto di lamentare la solita mancan-

za di coraggio della commissione giudicatrice,

che per amore del quieto vivere s’è abbassata ad

accettare opere come l’‘Autoritratto’ di un Pisa-

ni, le pitture d’un Brunello o di un Bacchetti.

Finché per il timore di scandali e di conseguenze

non si avrà il coraggio di scartare simili mani-

fatture, le rassegne d’Arte resteranno sempre un

vile compromesso ai danni dello spirito e del-

l’educazione del pubblico.”

È in particolare deluso da Lazzaro, non gli interessa Morato, salva Pendini, si

duole che non sia in mostra Amleto Sarto-ri - l’unico scultore valido -, gli piacciono Fasan, Episcopi, Ferro. Non nomina Tono Zancanaro, che costituisce comunque una presenza tutt’altro che occasionale nel Bò, che ne segue e apprezza l’opera e si serve più volte dei suoi disegni per movimenta-re la pagina. Nel n. 9, del 13.3.1937, Mari-no Marioli - un altro dei critici d’arte del Bò, recensendo La mostra dei Prelittoriali, se ne dirà “un poco tradito” poiché, “nono-stante certe pennellate piene di luce, noi non sentiamo l’autore dei ‘bianco e nero’ già ammirati.” Marioli non ha torto, come sarà impegnativo e fine il giudizio su Tono del ‘tolstoiano’ Ettore Luccini nel quarto numero del 1938:“Tono Zancanaro, oggi, quando come mai l’ar-

te italiana appare imprigionata in un formali-

smo vuoto di valori spirituali e schiavo dell’ar-

tificio, offre a chi vuole intenderlo un’arte che è

l’espressione vigorosa di una visione della vita

sicura e profonda. La sofferenza che si legge nel-

le opere di Tono Zancanaro non è quella che

tormenta la maggior parte degli artisti moderni

e si rivolge tutta alla ricerca di nuove espressio-

ni formali o tecniche. La sua sofferenza è per

la vita e per gli uomini che sono affaticati dal

male e dal dolore.”22

Il secondo numero dell’anno III (28.11.1936) impagina una delle rare

firme femminili, ma il compito precipuo di Clara Foggi sembra quello di asseverare prese di posizione molto tradizionaliste, sulla donna del tempo fascista. Ce ne sa-ranno altri, della stessa autrice o di poche altre, ma occorrerà arrivare a un pezzo di Anna Negri, una nuova firma dell’ora estrema (è il numero del 1943 a cavallo del 25 luglio) per vedere affermato reci-samente che Troppe universitarie sono stupi-

de. Lo riconosce come un luogo comune, purtroppo fondato. In troppe, infatti, a mezzo ormai del ’43, continuano a non sentire la guerra.“Mi sento un po’ offesa da quello che ho scritto.

Ma vorrei che tutte le ragazze si sentissero offese.

Poiché dalle migliori io non vorrei altro. Dalle

peggiori voglio solo che stiano zitte”23

Sono corso avanti nel tempo. Sei anni ci dividono ancora da quel drammatico

finale, del fascismo e del Bò fascista. Con il dibattito a più voci sul corporativismo - un colpo ‘a sinistra’; con l’acquiescenza, an-che cruda e qualche volta urlata, alle leggi razziste - un colpo ‘a destra’; e con il gior-nale cupo e dogmatico ’sdraiato’ sui reite-rati atti di fede nella guerra, nel fascismo e poi - sempre più - venuta meno la fidu-

cia negli altri gerarchi, nel Duce, e solo in

Lui. Lo spazio ci obbligherà più che mai

alla sintesi, sempre meno consentendoci

di sostenere la lettura con tutte le citazioni

che si potrebbero fare.

Fra una guerra e l’altra - tenendo conto

che la guerra di Spagna è presente, in

chiave di fascismo ‘universale’ e di anti-

bolscevismo24, ma non così assorbente

e primaria come la guerra d’Etiopia e la

guerra mondiale - il Bò invita a collaborare e a discutere. Proporre e mandare i pezzi non meno di otto giorni prima dell’uscita di un numero - avverte. E gli interlocutori non sono solo gli studenti o neo-laureati padovani (si può appartenere al Guf sino ai 28 anni, sono itinerari giovanili abba-stanza lunghi), ma tutto un indotto inter-universitario e nazionale di relazioni fra membri dei diversi Guf, giornali dei Guf e partecipanti ai Littoriali.“Il Bò non vuole in nessun modo riuscire gior-

nale ‘di gruppo’, ma palestra vivace di idee,

programmi e discussioni, aperta a tutti (…)”.

È uno stelloncino - fors’anche precau-zionale - premesso a Critica e Pubblico,

un intervento di Marco Valsecchi, del Guf di Milano25 (interverrà altre volte) contro uno precedente di Ferdinando De Marzi. Nomi, anche stavolta, di personaggi in formazione poi divenuti noti: critici, scrit-tori, giornalisti, politici. Da questo punto di vista - spaccato di una classe dirigente in itinere - questi laboratori della gioventù fascista fanno la loro miglior figura. Basta risolversi ad ammettere che presumibil-mente, senza la guerra perduta, quelle energie non si sarebbero evolute e disper-se in altra direzione. E - a parte lo stacco risolutore del ’43-45 - che non è detto che a ogni stormir di fronda su questioni

d’arte o anche di sindacalismo si possa e

debba ipotizzare un sottinteso antifasci-

smo. Dobbiamo semplicemente allargare

il nostro concetto di ciò che fosse lecito

pensare e scrivere, almeno a loro, ai gio-

vani universitari degli anni Trenta, conti-

nuando a largheggiare in dichiarazioni e

autorappresentazioni fasciste e a lavorare

nella elaborazione di un senso comune

fascista e di una storia nazionale ormai, ir-

revocabilmente, fascista. Non solo quando

partono per la guerra e la giustificano ed

esaltano; o quando, rispetto alle leggi raz-

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

dediZione completa, totalitaria

da Il Gazzettino, 2 ottobre 1935

Il discorso del Duce chiude un ciclo di vicende e inizia un periodo di storia. Venti milioni di Italiani erano nelle strade, spiritualmente entro i confini della grande piazza che all’ombra del Campidoglio prende il nome augurale di Venezia: ma tutta un’altra immensa falange, aggruppata intorno a ra-dio solitarie, nelle montagne e nelle valli, chiusa nelle corsie e nei chioschi, costretta alla febbre delle officine che non ammettono pausa di ritmo, ha ascoltato il discorso del capo. La nazione intera, dal Brennero ai confini della Somalia, ha meditato la parola che ancora una volta ha stritolato i falsi pietismi e fissato, nei corni del dilemma dal quale non si sfugge, la responsabilità. La cronaca non dirà mai abbastanza efficacemente quale risposta abbia dato il popolo alla parola del capo. Dedizione completa, Totalitaria, una Nazione intera disposta a donare al capo, per le fortune della patria, la vita e i beni. Serenamente!

ziste, le uniche argomentazioni che sugge-

riscono sono apologetiche, preoccupate

in particolare di far quadrare fascismo,

legislazione sulla razza e cattolicesimo,

sfruttando magari parole imbarazzanti dei

reverendi padri gesuiti. Anche quando

ragionano di ‘Problemi nostri’ .Giornalismo

universitario, come fa Gilberto Loverso, ma

sono in molti a farlo e in diversi numeri.26

O quando si apre una abbastanza animosa

e polemica rubrica sulla stampa, naziona-

le, e non solo giovanile, tirando qualche

colpo anche a Regime fascista, il giornale

di Farinacci. Avviene quando ES (che sarà

Esulino Sella) nell’ultimo numero del ’36

rilancia la parola d’ordine andare Verso il

popolo.

“Riprendendo un’idea altra volta sostenuta sul

Bò, proponiamo che tutti i sabati, il dopopranzo

o in serata o nella mattinata delle domeniche, de-

gli universitari regolarmente si rechino nei paesi

della provincia per tenere delle conferenze-conver-

sazioni al popolo delle organizzazioni fasciste,

giovanili, sindacali, combattentistiche.”27

A Cremona si devono risentire e c’è un

corsivo corrucciato di Regime fascista

(10.1.XV) a cui il redattore del Bò con-

troreplica con allegra ferocia titolando

Sì, ma…però…, alludendo senza infingi-

menti all’ottusità di Farinacci, alla sua

ristretta e ritardata idea di gioventù e al

fatto che gli ordini, comunque, li prende-

ranno dal segretario del Partito e non da

lui.28

Ecco infatti confermate le entrature del

Bò e la reciproca fiducia dal Foglio di di-

sposizioni, n. 708 del Segretario del P.N.F.

che, in data 28 gennaio XV, nel distribuire

i compiti alla stampa universitaria, assegna

proprio al quindicinale del Guf padovano

l’approfondimento di temi di carattere

strategico particolarmente insidiosi ed

esposti: “Corporativismo - Questioni pro-

fessionali riguardanti la sezione laureati

- Assistenza”. Gli articoli in materia danno

luogo a una rubrica stabile, sempre aven-

do cura di impaginarci sopra, a presidio e

legittimazione, quell’ordine ricevuto dal-

l’alto, sembra volentieri. I nomi di chi vi

scrive sono diversi - Bruno Alfonsi, Bom-

bassei, Francesco Mafera - ma sin dal feb-

braio 1938 hanno particolare risalto Euge-

nio Curiel e Ettore Luccini. Proprio questi

due futuri comunisti, infatti, ricevono un

incarico speciale:

“I nostri collaboratori, Eugenio Curiel ed Ettore

Luccini, sono stati invitati a Roma dalla Confe-

derazione dei Lavoratori dell’Industria. Con que-

sto articolo cominciano ad illustrare i problemi e

le prospettive dell’attività Confederale.”29

Grazie a questa investitura ufficiale, E. L. - Luccini - potrà nella rubrica

“Corporativismo” scrivere di Educazione

operaia e mentalità borghese 30, fra l’altro nel-lo stesso numero già citato in cui lodava il Tono Zancanaro più pensoso e più grave, a dimostrazione quindi che non c’è divari-cazione fra riflessione politica e sensibilità culturale; e E. C. - Curiel - di L’organizza-

zione del lavoro e il contributo della classe ope-

raia.31

Oltre che per una apertura su temi rile-vanti dell’assetto aziendale, è anche l’oc-casione per far circolare un lessico non così consueto: “lavoratore”, “controllo dei sistemi di retribuzione”, “controllo del si-stema di produzione”, “giustizia sociale”.Qualcuno ha ritenuto di potervi vede-re preannunci di antifascismo e persino riaffioramenti di marxismo; ma tutto il contesto d’epoca e il contesto dello stes-so giornale che ospita questi pezzi corag-giosi possono tranquillamente essere letti

in alto colonia di figli della lupa a Igea marina, 1931 a sinistra immagini di economia domestica da La donna nel regime fascista, Marsilio

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in basso L’unico nostro maestro, illustrazione da Il Bò dell’8 febbraio 1935

come capaci di aprirsi a una dialettica di

posizioni meno ristretta e sclerotizzata.

Poi, s’intende, sono gli equilibri esterni

che mutano a trascinare nella rovina o vi-

ceversa a esaltare le varie potenzialità in

sospensione.

Saluto al Führer, apertura di prima pagina

con testa di bronzo dello stesso, segnala-

no il 23 aprile ’38 le nuove alleanze32. Ne-

gligente superiorità rispetto alla vecchia

Francia ed espresso antagonismo verso

l’Inghilterra rapace scorridrice del Mare

nostrum erano già gli orizzonti usuali del

nazionalismo fascista. In una dogmatica

dei precedenti storici che esalta lo scatto

volontarista dell’interventismo, si arriverà

persino a deplorare l’uscita dalla Triplice

Alleanza. Retorica dei popoli giovani, rot-

tura degli iniqui patti di Versailles, nuovo

ordine europeo: c’è tutto, anche se il lin-

guaggio burocratico e il diradarsi delle fir-

me lasciano aperto il dubbio che, a mano a

mano che ci si avvicina e poi si entra nella

guerra mondiale, le ‘infiltrazioni’ effettive

siano quelle di ‘veline’ ricevute dall’alto.

In una certa misura, questo fare da cassa

di risonanza di decisioni di vertice e an-

che di testi prelevati dichiaratamente da

La Difesa della razza33, da Regime fascista34,

da Il Tevere è anche la formula del Bò raz-

zista. Quanto vi aggiunge di suo, ‘padova-

nizzando’ e rendendo puntigliosamente

nominativa la persecuzione degli Ebrei di

casa, è però quanto basta a fare di queste

pagine le più squallide e incondonabili35.

Il primo squillo sinistro si leva precoce-

mente nel n. 11, del 20 agosto: un nu-

mero schieratissimo, cattivo, esente da

riserve. In prima pagina, le decisioni po-

litiche di vertice; l’annuncio riquadrato in

neretto che “Gli ebrei stranieri non sono

ammessi nelle scuole italiane”; Cattolice-

simo e razzismo, con la chiamata a compli-

ce del “dotto padre Brucculieri di Civiltà

cattolica in Avvenire d’Italia e sull’Avvenire

di Roma” (“in fatto di razzismo i gesuiti

hanno ad insegnare a noi”). A pagina 3,

la rubrica “La campana del Bo” - da ades-

so dedicata a questi bassi servizi - è già in

grado di elencare, a tutta pagina, facoltà

per facoltà, tutti i professori, gli incari-

cati, gli assistenti ebrei dell’Università di

Padova36. Nella stessa pagina, Il Bò - firma

non molto usata, e perciò impegnativa e

solenne - zittisce i ‘se’ e i ‘ma’ che anche

a Padova non mancano: “No! Egregi si-

gnori!” - “Questo è un problema di fede”

e di “fede cieca”37. D’ora innanzi gli atti

di fede del Bò diverranno uno stile, sem-

pre più frequenti, dichiarati e - appunto -

consapevolmente e gloriosamente mistici

e ciechi: in tema di razzismo, di alleanza

con la Germania e poi di andamento della

guerra, e di Rsi. Intanto va segnalata un’al-

tra punta nella campagna razzista del Guf

e del suo giornale: un neretto nel n. 13

(24 settembre) plaude all’arrivo finalmen-

te di un “fascista ariano” alla direzione

del quotidiano cittadino, Il Veneto: Franco

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

ci siamo ritrovati

Mario Boronella da Il Bò, 1 aprile 1943

Z. è un romagnolo che ha sempre parla-to poco. Nei momenti più duri borbottava qualcosa che nessuno riuscì mai a decifrare. Fosse il dialetto, fosse il suo parlare, il fatto è che nessuno sa ancora se Z., quando c’era l’inferno intorno, borbottasse un’imprecazio-ne o si raccomandasse l’anima al Santo del paese. Anche ora che c’incontriamo si limita a sorridere. “Com’è andata?” Porta una mano dietro la spalla e l’altra sotto il cuore: “È an-data bene”.Gli è andata bene, a Z. porta-arma tiratore, che si vide portare addosso un australiano mentre si affrettava a disinceppare l’arma e si sentì trapassare dalla baionetta, dalla sca-pola alle costole. Un compagno mirò giusto con una bomba a mano alla testa dell’austra-liano, che partì sull’istante. Ma intanto Z. era rimasto a terra, con la baionetta infilzata e at-taccato alla baionetta, il fucile, in equilibrio. Si doveva staccare quel brutto trofeo. Allora

si assistette a qualcosa di strano e di impres-sionante. Z. dirigeva le operazioni: “stacca piano, non così, tira!”. L’altro non se la sen-tiva a tirare quel fucile e quella baionetta, ad estrarre da un corpo umano palpitante e san-guinante quel lungo e orribile ferro. “Tira per Dio!” gridò ancora Z. E l’altro chiuse gli occhi e diede finalmente lo strattone.Lo portarono via, ed era già dato per spac-ciato. Non se ne seppe più nulla e in verità nessuno si preoccupò di saper qualcosa di Z. Tanto, doveva essere già di là. Invece ec-colo ancora di qua, il nostro Z., porta-arma tiratore. Ha rimesso la divisa ed il brutto che ha passato non è più che un ricordo. Forse quando sarà vecchio e se sarà più loquace, i nipoti riuscirannno a farsi raccontare la sto-ria dell’arma che si inceppa e dell’australiano che lo infilza e poi salta, però, con una bomba a mano in testa.

Le rughe intorno agli occhiI. è un lucano molto giovane, ma con molta guerra combattuta. E’ biondo, ben piantato, si vede che è un ragazzo forte. Però ha intor-no agli occhi tante piccole rughe. Lo sguar-do è chiaro, quasi fanciullesco; ha una fac-cia rosea da adolescente, è sempre il primo

a mettersi in fila per il rancio. Lavora, non si stanca e non si lagna mai. E’ insomma, mal-grado il suo servizio non breve, il soldato che rimane sempre una recluta nel fisico e nello spirito. Ma, dicevamo, attorno agli occhi ha tante piccole rughe. Osservate il soldato che ha combattuto e sofferto. Gli vedrete quella lieve ragnatela intorno agli occhi, quella lieve increspatura della pelle. Vuol dire che ha visto tante cose, che ha tenuto più aperti che chiusi gli occhi. I. ha tenuto gli occhi aperti fra le nevi della Grecia e le sabbie dell’Africa. Ferito una prima volta da bersagliere, ferito una secon-da volta da ardito, ora parla della sorte che l’attende se per la terza volta si presenterà in combattimento.Ma lo fa senza posa, senza tinte forti. Face-va il contadino prima di essere chiamato alle armi e si è mantenuto semplice e sincero. Un giorno gli dissero: “Va’ a vedere che cosa fa quel carro armato”. Ci andò e ritornò con due prigionieri. Come se gli avessero detto, quan-do lavorava la terra: “Va’ a vedere che cosa c’è in quella cascina”. E lui fosse andato a ve-dere e fosse ritornato con un paio di pecore che si erano sperdute.

Mantovani, “vecchio camerata del Guf”

e un anno prima direttore responsabile

dello stesso Bò.38 Nel n. 14 (1.10.1938) ci

si prende beffe di Uno di quegli ariani che

stanno dietro le persiane: il solito ‘pietismo!’.

Nel n. 16 (15 novembre) Sport giudaico

suggerisce di fare come a Trieste, dove le

associazioni sportive hanno provveduto

a cacciare i loro Giudei dalle liste degli

iscritti. E a Padova, che si aspetta? Si devo-

no ancora vedere - al Tennis, alla Canot-

tieri, al maneggio - non solo Giudei che

si divertono, ma addirittura inservienti

ariani al servizio di Giudei? Naturalmente

queste polemiche hanno l’effetto boome-

rang di neanche fingere una unanimità di

consensi attorno ai provvedimenti.

Duce a noi! (n. 13), Dal Suo genio sta nascen-

do la nuova Europa (n. 14): dalla venuta di

Mussolini a Padova, con il famoso discorso

in Prato della Valle, si moltiplicano i titoli

e le prime pagine ispirate a un vero e pro-

prio ‘ducismo’, che di lì a poco procederà

in strettissima simbiosi con quello che si

potrebbe chiamare ‘guerrismo’. Guerra

come valore in sé, espressione di Potenza

e di giovinezza, in cui dimensione esisten-

ziale e politica, pubblico e privato, inter-

feriscono e si saldano. Posto questo e, a

monte, la “fede”, che per giunta ha da es-

sere “cieca”, si capisce che non si dia luo-

go a indugi ragionativi. Molto più confa-

centi titoli come questi, che si succedono

già dai primi del ’39: Guerra aspirazione dei

giovani39; Evviva la guerra!, prima pagina

del numero dell’entrata in guerra, corre-

data di monumento al Gattamelata, fon-

do dal titolo Vincere!; e titoli in stile quali

Guerra rivoluzionaria, Italia guerriera in pie-

di!, Grazie40; Duce, noi ti salutiamo!, edito-

riale del n. 22 bis (16.10.1940), accom-

pagnato da un cubitale Duce!Duce!Duce!

e L’eroe Mussolini; La gioventù della nuova

Europa/ esalta nel Duce il fascismo rinnova-

tore/in una memorabile giornata di fede e di

entusiasmo guerriero, a firma una volta tan-

to del segretario-direttore41, in occasione

di un’altra visita a Padova di Mussolini -

Princeps juventutis, come la denomina la

didascalia della foto -, il 10 ottobre XVIII.

Miracolo che, in tanta ostentazione du-cista, ci si ricordi una volta che l’Italia si regge ancora a monarchia, in un titolo augurale del n. 18, 1.8.1940, Saluto al Re

Vittorioso. Superstiti, e in questo contesto un po’ lunari raccontini42 e saggi eruditi - magari sulle poesie di un Frescobaldi o un centenario del Tasso - si intravedono a tratti nel magma convulso di quest’epica dell’immediato. C’è persino la proiezio-ne in una memoria, che la guerra rende come remota e in realtà è di soli due o tre anni prima, Storia nostra, che indugia con malinconia carezzevole a ricordare come erano nati il gruppo e il libro de I poeti del

Bò. Sembra Gozzano, ma è uno di loro, Bortolo Pento43.In una vetrina dei giovani così vistosa-mente intenta a recitare la parte del com-battentismo, inutile attendersi messe in discussione. La fede non discute e, men che meno, si discute la fede. Quindi, la

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sotto Gino Boccasile, manifesti di propaganda della Repubblica Sociale Italiana. Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea

in basso immagini della campagna di Russia 1942-1943: da sinistra, batteria in marcia verso le nuove linee nel dicembre ’42; il comandante del Conegliano, tenente colonello Rossotto; i corpi abbandonati durante la ritirata

guerra sui vari fronti può andare come vuole: Il Bò o la vede comunque andar bene, o la rimuove e la tace, oppure pren-de la strada orgogliosa e minoritaria del Pochi ma buoni, che caratterizzerà la com-piaciuta autoselezione elitista del ’43 e del ’44. Come atteggiamento mentale, ciò che resta visibile del gruppo del Bò disperso dalle circostanze di una incipiente diaspo-ra appare già idealmente incline al clima della Repubblica Sociale.Una serie di categorie metapolitiche - i disfattisti, gli imboscati della storia, i vili, gli opportunisti, gli attendisti - sono predisposte a rientrare in azione quan-do l’andamento della guerra fa slittare all’indietro i rapporti di forza politici; e - sulle ceneri del regime maggioritario e del gregariato di massa - si reinnescano i meccanismi minoritari delle origini volon-tariste, interventiste e squadriste. Come si

farà l’epurazione? - si domanda minaccioso il nuovo capo-redattore Enzo Pezzato ap-pena un anno prima della resa44. Ancora nel penultimo numero del 1942 si azzarda

un’estrema posa gladiatoria nell’articolo - non firmato - Popoli vinti. Il riferimento in atto è ai Francesi, ma quel destino incom-be ormai su altri. Una scrittura dura, viri-lista, spietata - potremmo spingerci a dirla anti-cristiana - in cui i “forti” si corrono incontro e si misurano fra loro passando sul corpo del vinto, “ignorandolo, senza degnarlo di un calcio di avvertimento.”45

Avvolti dai fumi di una filosofia idealista sempre meno in contatto con i dati empi-rici, ci si autoconvince che la volontà po-litica - la volontà di vincere - sia destinata come sempre a prevalere sull’inerzia dei meri fatti:“la guerra non è mai decisa da una superiorità di

forze materiali e meccaniche”(…)

“la vittoria è decisa dal fattore ideale e spiritua-

le di un popolo, come nel ’18 in Italia e oggi nel

caso della Germania e del Giappone.”

Questa volta Il Bò fa da sponda a un articolo di Edgardo Sulis su Augu-

stea, la rivista dell’ex-sindacalista rivoluzio-

nario Ottavio Dinale - ‘Farinata’, che sarà uno dei sodali del Duce nel crepuscolo del Garda. Si usa come precedente la prima guerra mondiale: i capi dell’Intervento si erano dispersi nelle trincee, combatteva-no, e la guerra ristagnava; torna a fare la guida politica Mussolini e la riprende in pugno46.Il penultimo numero prima della caduta di Mussolini - reca la data del 16 giugno - ci of-fre ancora tre spie a cui fatico a rinunciare: Guido Pallotta uomo ed eroe, dove l’ex-segre-tario del Guf ed ex-direttore Clemente D. Mian - firmando di persona, forse proprio perché non più figura istituzionale - parla con trepida ammirazione dell’esponente della Scuola di Mistica fascista, definendo-lo il Filippo Corridoni della generazione attuale; O con noi o contro di noi, si ritiri la tessera a chi in pubblico non porta bene in evidenza il distintivo, sono finiti i tempi del-l’opportunismo tesserato; Cari ragazzi, una malinconica visita al Liceo “Tito Livio” da parte di uno zoppicante reduce di Russia (tema, il crollo e la ritirata dal fronte orien-

ANNI TRENTA E QUARANTA

nella pagina a sinistra la parola d’ordine lanciata in prima pagina del Bò del 25 dicembre del 1941

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

tale, qui come altrove largamente rimosso):

il giovane tenente non avrà molti più anni

dei suoi ascoltatori e magari è lui pure un

frutto di quello stesso Istituto, ma quello

che si manifesta è un baratro di incomu-

nicabilità, che il giornale non sa leggere se

non attraverso l’amara accusa a quei viziati

ragazzi bene “coltivati fra carte e libri male

assimilati, gonfi di liberopensierismo.”47

In questi smarrimenti, esplode il 25 luglio.

Il n. 32 esce con una doppia data, proprio

a cavallo della giornata fatidica, 16 luglio-

1 agosto 1943: è l’ultimo Bò che in testata

faccia riferimento al Guf e a quel nome di

‘spirito della vigilia’ e di ‘precursore’, Alfre-

do Oriani, che intendeva immettere il fasci-

smo in un processo rigenerativo di lungo

periodo, la rivolta nazionale, per dirla con

uno dei titoli-parole d’ordine dei romanzi

politici dell’intellettuale romagnolo. La pri-

ma replica è Durare - titolo di un’apertura

che prosegue poi nel sommario - per salva-

re quella nuova civiltà per cui i popoli d’Italia

operano, combattono e soffrono da più di tremila

anni, in posizione di spalla, la prima impagi-

na Luigi Villani, Gli Eroi del Risorgimento e al

centro Etica del lavoro, di Enrico Negri, una

delle firme ritornanti dei tempi ultimi, per

riflessioni filosofico-politiche più staccate

dalla cronaca. Si ospita anche - presenza

d’eccezione - il Rettore ormai uscente, Car-

lo Anti, con il suo discorso del 18 luglio in

Aula Magna. Fedele alla sua storia di intellet-

tuale militante nazional-fascista, Anti ricor-

da che il duce “ci riscattò dalla disgregante

ignominia socialista”; che per la prima volta

nei secoli l’Italia non è solo il campo delle

guerre altrui, ma un soggetto nazionale at-

tivo di storia; che i nemici vorrebbero svilire

l’idea di Roma e si sforzano ora di scindere

e distinguere fra Italiani e Fascisti.

mussolini e il discorso di padova

Benito Mussolini 24 settembre 1938

Camerati!

A Gorizia io dissi che, pur essendovi una

schiarita all’orizzonte, ogni ottimismo per

quanto concerne la situazione europea dove-

va essere considerato prematuro.

A Treviso annunciai che il Primo Ministro bri-

tannico stava pilotando la navicella della pace

verso il porto, ma non dissi che vi sarebbe

arrivato.

Oggi aggiungo che la situazione ha gli aspetti

di questa giornata: stamattina era molto gri-

gia, fra poco potrebbe spuntare il sole.

Pareva che con l’accettazione da parte di

Praga del piano cosiddetto franco-inglese di

Londra, si potesse considerare avviata la si-

tuazione all’epilogo.

Ma è accaduto quello che accade sovente nei

regimi cosiddetti democratici. Il Governo che,

avendo accettato quel piano aveva l’obbligo

morale di restare in carica per farlo applicare,

si è viceversa dimesso; il suo posto è stato

occupato da un generale che tutti dichiarano

molto, troppo amico di Mosca.

Il primo atto di questo nuovo Governo è stata

la proclamazione della mobilitazione generale.

Davanti a questo fatto che si aggiunge al regi-

me di terrore che i Cechi hanno instaurato nei

territori dei Sudeti, la Germania ha dato una

prova suprema di moderazione; ha mandato

le proprie richieste a Praga ed ha dato tempo

sino al primo ottobre per avere risposta.

Ci sono, dunque, esattamente sei giorni di

tempo perché i governanti di Praga ritrovino

la via della saggezza. Perché sarebbe vera-

mente assurdo, e aggiungo criminale, che

milioni di europei dovessero scagliarsi gli uni

contro gli altri semplicemente per mantene-

re la signoria del signor Benes su otto razze

diverse.

Ma sarebbe grave, gravissimo errore dare una

falsa interpretazione a questo atteggiamento

longanime della Germania. Gli è che in regime

di democrazia domina l’irresponsabilità, per-

ché ognuno pensa di scaricare la responsa-

bilità sul partito opposto, sul suo vicino. Nei

regimi così detti totalitari questo slittamento

di responsabilità è impossibile.

Il problema, ora che è posto innanzi alla co-

scienza dei popoli, deve essere risolto in ma-

niera integrale e definitiva. C’è il tempo per

questa soluzione, e se un conflitto dovesse

comunque scoppiare c’è la possibilità di lo-

calizzarlo.

Ma accade in questi giorni che partiti e ten-

denze più o meno imperanti nei paesi dell’Oc-

cidente, ritengono che questo sia il momento

opportuno per fare i conti con gli Stati totali-

tari. In questo caso questi partiti e tendenze

non si troveranno di fronte a due Paesi, ma a

due Paesi che formeranno un blocco solo.

Se in Italia ci fossero aliquote di quelli che io

chiamo gli uomini che stanno perennemente

dietro alla persiana, quelli che io chiamo mo-

ralmente i borghesi, dichiaro che saranno im-

mediatamente messi fuori di combattimento.

Da questa Padova che vide venti anni or sono,

quasi in questi giorni, conchiudersi quello che

era stato un urto secolare e fatale di due po-

poli e di due concezioni; da questa Padova

che, attraverso il suo glorioso Ateneo, fu per

secoli il propugnacolo del più ardente patriot-

tismo; da questa Padova che vive nel clima

dell’Impero, e che io considero una delle più

dinamiche città d’Italia; da questa Padova che

mi ha oggi presentato le forze del Regime, in

uno schieramento che io posso chiamare sen-

za retorica semplicemente formidabile, io non

sento il bisogno di mortificare il popolo italia-

no raccomandandogli di mantenere, anche

nei prossimi giorni, l’imperturbabile calma di

cui ha dato prova sin qui: io so che ognuno di

voi, e tutti voi, siete pronti a qualsiasi evento

(La folla prorompe in una altissima, prolungata

ovazione).

Questa vostra risposta, questo vostro oceani-

co grido, è stato in questo momento udito dal

mondo. E con voi ha risposto l’intero popolo

italiano.

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Gli ultimi sei numeri - usciti in tempo di

guerra, di sfide ravvicinate e di uno scon-

tro politico armato che arriva all’attentato

allo studio del direttore - meriterebbero di

essere seguiti più, e non meno analitica-

mente. Viceversa, ‘motus in fine velocior’.

Come tutti i giornali, Il Bò ha in quel fran-

gente fra gli altri problemi quello della

carta, esce quindi quando può e con po-

che pagine, 4, anche solo 2, cioè un unico

foglio; sussultorio anche il rapporto con

le tipografie, la S.A.G.A. con il n. 1, del

5.12.1943, di nuovo la S.T.E.D.I.V. con il

n. 6, del 25 aprile: ma non del 1945, del

1944. Non muta invece il nome del diret-

tore responsabile, che è dall’inizio alla fine

dell’ultima annata il giovane docente di

Legge Mario Ferraboschi, seguìto - dopo

una pausa non solo estiva - agli 8 numeri

dal gennaio all’agosto del ’43 usciti con di-

rettore Guido Baccaglini e redattore capo

Enzo Pezzato. Non si tratta del capitano

che affonda da solo con la sua nave che

cola a picco; contrariamente a ciò che

si usa dire e che spesso in effetti avviene

nei giornali del ’43-45 - che ‘chi si firma

è perduto’ - quella dell’ultimo direttore

non è l’unica firma ed anzi le firme che

compaiono in questo Bò dell’ora estrema

sono relativamente folte. Non per questo

appare fuori luogo quella nota eroica, te-

stimoniale, solo che va estesa a un gruppo.

Sarà anche un complesso da ‘ragazzi del-

la via Pal’, sappiamo del resto che questo

voler essere pugnaci e irriducibili proprio

quando e perché tutti gli altri ‘mollano’

è un fattore caratterizzante di coloro che,

sessant’anni dopo, appaiono ancora cri-

stallizzati come i ‘ragazzi di Salò’.

Quando, dopo tre mesi, nel dicembre ’43,

Il Bò torna ad uscire, ha tolto dalla testa-

ta il riferimento al Guf e inalbera invece

l’Universa universis patavina libertas. Un ri-

quadro in prima pagina chiama alla colla-

borazione.

“Ci si permette di parlare! Approfittiamone, ne

verrà certo qualche cosa di buono.” Un po’

anodino: chi permette a chi? Venga a scri-

verci chiunque - si precisa - alla “sola condi-

zione di non sperare che la rinascita dell’Italia

provenga dalla vittoria del nemico”. Molto

schierato con la Rsi l’editoriale di Mario

Ferraboschi, che però, non solo nel tito-

lo - Considerazioni - pretende di colloquia-

re anche con chi non la pensa allo stesso

modo. Nei 45 giorni, a suo dire, il Paese è

tornato indietro e i partiti politici appena

riemersi hanno già mostrato di che sono

capaci. Inutile poi gridare ‘Viva l’Italia

libera!’ o ‘Fratelli d’Italia’ - e qui forse i

messaggi si indirizzano precipuamente ai

coetanei ormai dell’altra sponda che, nel-

l’ateneo di Egidio Meneghetti, inclinano

al partito d’azione: questi sono proprio

i princìpi del Fascismo, che ha voluto li-

berare l’Italia dal dominio dell’Inghilter-

ra nel Mediterraneo. Meglio, guardando

all’estero, farsi alleati i Tedeschi, cioè il

popolo di Kant e della chimica, di Goethe

e di Bismarck. Sono temi ritornanti. Il n.

3 apre il 1944 (6 gennaio) con la retori-

ca minoritaria, eroicizzante, del Pochi ma

buoni di Renato Cappellato; Pecore o leo-

ni?, nello stesso stile, di Mario Bonfanti;

l’appello agli studenti di marchesi

Concetto Marchesi 9 dicembre 1943

Studenti dell’Università di Padova!

Sono rimasto a capo della vostra Università

finché speravo di mantenerla immune dall’of-

fesa fascista e dalla minaccia germanica; fino

a che speravo di difendervi da servitù politi-

che e militari e di proteggere con la mia fede

pubblicamente professata la vostra fede co-

stretta al silenzio e al segreto. Tale proposito

mi ha fatto resistere, contro il malessere che

sempre più mi invadeva nel restare a un posto

che ai lontani e agli estranei poteva apparire

di pacifica convivenza mentre era un posto di

ininterrotto combattimento.

Oggi il dovere mi chiama altrove. Oggi non

è più possibile sperare che l’Università resti

asilo indisturbato di libere coscienze operose,

mentre lo straniero preme alle porte dei no-

stri istituti e l’ordine di un governo che - per

la defezione di un vecchio complice - ardisce

chiamarsi repubblicano vorrebbe convertire la

gioventù universitaria in una milizia di merce-

nari e di sgherri massacratori.

Nel giorno inaugurale dell’anno accademico

avete veduto un manipolo di questi sciagurati,

violatori dell’Aula Magna, travolti sotto la im-

mensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno.

Ed io, o giovani studenti, ho atteso questo gior-

no in cui avreste riconsacrato il vostro tempio

per più di vent’anni profanato; e benedico il de-

stino di avermi dato la gioia di una così solenne

comunione con l’anima vostra. Ma quelli, che

per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole

cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato

in vanteria la disfatta e nei loro annunci men-

daci hanno soffocato il vostro grido e si sono

appropriata la vostra parola.

Studenti: non posso lasciare l’ufficio del Retto-

re dell’Università di Padova senza rivolgervi un

ultimo appello. Una generazione di uomini ha

distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria.

Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia,

dalla servilità criminosa, voi insieme con la gio-

ventù operaia e contadina, dovete rifare la sto-

ria dell’Italia e costituire il popolo italiano.

Non frugate nelle memorie o nei nascondigli

del passato i soli responsabili di episodi delit-

tuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine

che quei delitti ha voluto e ha coperto con il

silenzio e la codarda rassegnazione; c’è tutta

la classe dirigente italiana sospinta dalla inetti-

tudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.

Studenti: mi allontano da voi con la speranza

di ritornare a voi maestro e compagno, dopo

la fraternità di una lotta assieme combattuta.

Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che

vi accende, non lasciate che l’oppressore di-

sponga della vostra vita, fate risorgere i vostri

battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e

dall’ignominia, aggiungete al labaro della vo-

stra Università la gloria di una nuova più gran-

de decorazione in questa battaglia suprema

per la giustizia e per la pace nel mondo.

sopra Concetto Marchesi durante il discorso di inaugurazione dell’anno accademico il 9 novembre 1943, dall’Archivio dell’Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea

nella pagina a sinistra il discorso di Padova del 24 settembre 1938 in un fotomontaggio celebrativo apparso sul Bò dell’1 ottobre 1938

ANNI TRENTA E QUARANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

i tentativi di rilancio di Toni Ghedini, che in Uomini nuovi sostiene che i gerarchi han fallito e non resta che il Duce. Al “came-rata Bonfanti”, che grida al tradimento e ripete “per la milionesima volta: o con noi o

contro di noi”, una nota di redazione repli-ca più sobriamente che, se “per quanto in

forma un po’ esplosiva, chiede insomma di ac-

celerare i tempi della rivoluzione sociale”, al Bò sono d’accordo con lui. E qui non ci sono “tedescofili” o “anglofili”, “ci teniamo a pre-

cisare che noi siamo italofili”48.La sensazione che ci si parli anche fra inter-locutori che si conoscono personalmente, all’interno di un microcosmo generazionale e ambientale sottoposto a tensioni inusitate, ma con un fondo comune49, si accentua con Piccola polemica: un pubblico scambio di mes-saggi fra ‘Uno per tutti’ e ‘I camerati del Bo’. Lo studente, che dice di riconoscere “onesta la posizione del Bò”, invita però a “mollare la pregiudiziale fascista”. Dal giornale gli ri-spondono che l’ultima speranza di salvare l’Italia sta proprio in Mussolini e nella conti-nuazione della guerra.“Ecco perché noi ci attacchiamo ad essa con la fede

della disperazione. Perderemo? Perderemo i posti,

i beni e forse la vita? Non importa, avremo perso

tutto per l’Italia.”Il n. 4 (22 gennaio) ha due pezzi salienti: Responsabilità, in cui Ferraboschi attacca un’“intellettualità offesa” che ha ripor-tato in Italia odio e discordia, soffiando sul fuoco della sconfitta, agitando “la fru-

sta bandiera di un ormai superato liberalismo

franco-inglese e il sanguinante vessillo di un

comunismo ebraico-russo”. Lo spunto nasce dalla comparsa sui muri dell’Università di una scritta “Morte all’Italia!”. Ghedini vuole scrivere Parole franche sui rapporti fra

italiani e tedeschi, ripristinandone la realtà di “alleati traditi”.Il n. 5 manca nella collezione, ma si sostie-ne nel n. 6 essere esistito. Era il numero preparato per l’8 Febbraio 1944 e nella notte fra il 6 e il 7 il dialogo a distanza si interrompe, dalle parole si passa alle armi e una bomba esplode nello studio del di-rettore. L’attacco dei nemici de Il Bò viene raccontato dal giornale due mesi e mezzo dopo, nell’ultimo numero, che esce come n. 6 con la data del 25 aprile 1944. La pri-ma pagina riproduce la lacera bandiera di Curtatone e Montanara. Un riquadro par-la di Gentile, che a chi l’ha ammazzato fa più paura da morto che da vivo. Un pezzo

di Toni Ghedini - “volontario alle armi” - reca per irridente titolo Della libertà e stig-matizza “Il gesto balcanico compiuto nel nostro

Ateneo (che) non è coraggio, ma solo torpido ter-

rorismo.” La scelta pro-tedesca giunge qui al punto - contraddicendo tutta la storia di cui il fascismo e il giornale si sono fat-ti eredi e portatori - di deplorare “l’errore

grave commesso dall’Italia quando ha lasciato

la Triplice Alleanza.” A questo punto ci si potrebbe però chiedere che cosa svento-li a fare - impaginato proprio lì accanto - il simbolo del volontarismo universitario ‘anti-tedesco’.Quest’ultimo grido strozzato del Bò è a un solo foglio e però trova lo stesso lo spazio per un Torquato Tasso studente a Padova, di Cesare Cimegotto, che può apparire un riempitivo o forse un’estrema asserzione nostalgica dell’umanesimo in tempi cala-mitosi: i quali però brutalmente affiorano anche all’interno dell’oasi con un riqua-dro siffatto:“Chi ci ha imposto la guerra? La documenta-

zione la troverete in G. Preziosi, Giudaismo-bolscevismo-plutocrazia-massoneria, Mon-

dadori, Milano”50.

in basso manifesto canadese di propaganda

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Note1 Renato Cappellato, Pochi ma buoni,” Il Bò, n. 3, 6.1.1944.2 Citerò qui l’ultima testimonianza d’epoca, riemersa solo nel 2007, di una studentessa di Let-tere di Montagnana presente quel giorno in Aula Magna e letteralmente rapita: Maria Carazzolo, il cui diario inedito è stato pubblicato a cura di Francesco Selmin, Più forte della paura. Diario di guerra e dopoguerra (1938-1947), con una intro-duzione di Ferdinando Camon, Verona, Cierre, 2007, pp. 129-32.3 Lo faccio muovendomi dall’interno dei testi stessi del Bò. Il lettore troverà altri elementi di in-formazione sui tempi e i modi della nascita nel contributo di Federico Bernardinello, cui rinvio.4 Mario Isnenghi, La stampa, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, a cura di Mario Isnenghi e Stuart Woolf, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2002, pp. 1977-79. Su Francesco Pasi-netti, laureato nella Facoltà di Lettere di Padova con lo storico dell’arte Giuseppe Fiocco, cfr. La scoperta del cinema. Francesco Pasinetti e la prima tesi di laurea sulla storia del cinema, a cura di Maurizio Reberschak, Roma, Istituto Luce, 2002.5 Ca’ Foscari, con due sole Facoltà, sarà nel 1936 sede dei Littoriali; la grande Padova non li avrà mai.6 Scruto con disagio quel demolitore “picco-ne fascista”. Una generazione dopo si chiamava proprio così - Il piccone - un giornalino ciclostilato che uscì per due o tre numeri fra gli studenti e le studentesse del Liviano. Nell’ispirarci al picco-ne visibile in un punto dell’affresco di Campigli nel grande atrio della nostra Facoltà, ignoravamo l’imbarazzante precedente.7 Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1962.8 Di Carlo Perucci.9 Della vasta, simpatetica bibliografia che pe-riodicamente ancor oggi continua a rianimarne la figura di intellettuale e di professore al Liceo “Tito Livio” (muore nel 1978), ci limitiamo a citare la raccolta di scritti e testimonianze Ettore Luccini .Umanità cultura politica, con prefazione di Francesco Loperfido, Vicenza, Neri Pozza, 1984; e il volumetto Ettore Luccini. Umanità politica cultura. Presentazione del volume a Treviso e a Padova, Ferra-ra, Corbo, 1987, con interventi e testimonianze di grande rilievo: “Fa pensare - scrive Francesco Loperfido in apertura - che su un ‘intellettuale di base’ come qualcuno lo ha definito si soffermino alcuni grandi intellettuali.”

10 Di recente è stata pubblicata la sua tesi di lau-rea in Giurisprudenza, nel 1933: Il pensiero filoso-fico di Tolstoi e le sue applicazioni ai problemi sociali e giuridici, a cura di Franca Tessari, prefazione di Francesco Loperfido, Padova, Il Poligrafo, 2003.11 Il Bò, n. 6, 1.5.1935 (non firmato).12 Aggiunto alla testata.13 Dal Battaglione universitario, firmato “Camicia Nera scelta Gian Carlo Facca”; Leonardo Marti-nelli, Impressioni del volontario. Il primo, Facca, geo-logo di Pordenone, risulta essere l’estensore del programma di un giornale studentesco, ancora senza nome, elaborato con i triestini Atto Braun e Guido Goldschmidt e presentato con successo al Rettore Carlo Anti nell’estate-autunno 1934. Il futuro politico dei tre giovani dieci anni dopo - partigiano e comunista - contribuirà a colorare di rosso, retroattivamente, tutto il lungo viaggio del Bò e dei suoi redattori e collaboratori. Cfr. Bernar-dinello, cit.14 C’era stato un primo n. 9, di un solo foglio, in data 4.5.1936.15 N. 0, cit.16 Giulio Alessi, Le poesie, a cura di Iginio De Luca e Vittorio Zaccaria, Milano, Mursia, 1986.17 N. speciale del 31.5.1936.18 Per il Museo Storico dell’Università.19 Mario Isnenghi, Rettori fascisti e rettori partigia-ni. Documenti di vita universitaria a Padova fra regime e dopoguerra, in “Venetica. Rivista di storia delle Vene-zie”, n. 8, luglio-dicembre 1987.20 Di Gerardo Zampagliene.21 Molte delle copie che si sono salvate sono quelle a suo tempo inviate al futuro dirigente am-ministrativo.22 E.L., Artisti del G.U.F., Il Bò, n. 4, 19.2.1938.23 Il Bò, n. 32, 16.7/1.8.1943.24 La formula giornalistica “Lettere da…” viene usata sia per delle “Lettere dall’impero”, come nel n. 9 del 13.3.1937, Per il nostro prestigio”, di S. Berretta jr., sia per delle “Lettere dalla Spagna”, come nel n. 10 del 27.3.1937, Da Granada al fruen-te di Malaga, di Enzo Ferrajoli. La copertura del-la guerra d’Etiopia è comunque più capillare di quella della guerra di Spagna.25 Il Bò, n. 2, 28.11.1936.26 N. 2, 28.11.1936. Pietro Ferraro, Giornalismo universitario, n. 4, 26.12.1936. In particolare quan-do il redattore è Esule Sella, c’è in generale atten-zione e una rubrica specifica di commento alla stampa, non solo, anche se soprattutto dei gio-vani. In una testimonianza di qualche anno fa lo stesso Sella informa che l’estensore di queste note critiche era fino al 1937 Marcello Merlo, di Roma,

che si firma “Sander”, e successivamente Eugenio Curiel, sino alla radiazione razzista. Sta in Eugenio Curiel nella cultura e nella storia d’Italia. Atti della giornata di studio, Padova 23 febbraio 1995, a cura di Lino Scalco, Padova, Editoriale Programma, 1997, pp. 226-29. Si veda anche la vivida testimo-nianza di Teo Ducci, lo specialista di cinema e ra-dio nel Guf, nel Bò e nei Littoriali, e un’altra delle amputazioni brutali del 1938 (pp. 232-4).27 N. 4, 26.12.1936.28 N. 6, 23.1.1937.29 E.C., Corporativismo. Visita alla C.F.L.I., n. 3, 5.2.1938.30 Ivi.31 N. 5, 5.3.1938.32 N. 8.33 Conoscere gli ebrei di Telesio Interlandi, ripro-dotto in prima pagina dal n. 12 del Bò, 2.9.1938.34 Una commedia che deve finire, un fondo pole-mico con l’Osservatore Romano e con certe riserve cattoliche. Il Bò, n. 17, 30.11.1938.35 Per il contesto, cfr. gli atti della Giornata del-l’Università italiana nel 50° anniversario della Li-berazione (Padova, 29 maggio 1995), L’Università dalle leggi razziali alla Resistenza, a cura di Angelo Ventura, Padova, Cleup, 1996.36 Lo firma N.M. e da questo stesso numero fa la sua comparsa come redattore capo il “Dott. Fernando Marcassa”. Il direttore rimane Gusta-vo Piva, la cui relazione per l’apertura dell’anno accademico verrà preventivamente censurata nei suoi eccessi razzisti dallo stesso fascistissimo Ret-tore. Cfr. Mario Isnenghi, Rettori fascisti e rettori partigiani. Documenti di vita universitaria a Padova fra Regime e dopoguerra cit.37 “Il Bò, Due parole a certi giovani studiosi”, Il Bò, n. 11, 20.8.1938.38 Lo risulta nel n. 13 dell’1.8.1937.39 Di Renzo Pandolfo, apre il n. 1 della quinta annata, 1.1.1939: “‘Audacia’ deve essere la nostra sfida a tutta una civiltà che deve morire.”40 N. 15, 16.6.1940.41 G.P., Gustavo Piva.42 Ce ne sono del ‘littore’ Michelangelo Muraro.43 N. 8, 6.2.1941.44 N. 20, 16.9.1942. Enzo Pezzato è un nome di rilievo nella costellazione del Bò. Littore accanto a Luigi Meneghello nel maggio 1940, è un per-sonaggio del suo immaginario, un suo alter-ego rimasto fascista, passato a Milano a dirigere Repub-blica fascista e fucilato nell’aprile ’45. Cfr. Mene-ghello, Fiori italiani, Milano, Rizzoli, 1976, pp.147-49; e Mario Isnenghi, L’ala troskista dei badogliani, Anti-eroi. Prospettive e retrospettive sui ‘Piccoli maestri’ di Luigi Meneghello, Bergamo, Lubrina, 1987, in particolare le pp. 88-91.45 Popoli vinti, Il Bò, n. 23 (senza data): il n. 22 porta la data dell’1.11.1942, il n. 24 del 20.12.1942.46 La vittoria si chiama rivoluzione. Mussolini e il conflitto del ’15-’18, Il Bò, n. 25, 1.1.1943.47 N. 31, 16.6.1943.48 Minime (non firmato), Il Bò, n. 3, 6.1.1944.49 Uno spaccato consimile lo avevo esplorato nel microgiornalismo fascista e antifascista di stu-denti e docenti marchigiani: Verso una stampa post-fascista. Episodi di giornalismo marchigiano (1943-44), in Linea Gotica. Eserciti, popolazioni, partigiani, a cura di Giorgio Rochat, Enzo Santarelli, Paolo Sorcinelli, Milano, Angeli, 1986.50 Per qualche notizia sul dopo-Bò, Mario Isnenghi, Un giornale del 1945-46: “Università”, in Montagne e veneti nel secondo dopoguerra, a cura di Ferruccio Vendramini, Verona, Bertani, 1988. Oltre che di Università, si parla del risorto Il Bò e di 1945-46, ritrovando nomi noti e una nuova gioventù.

ANNI TRENTA E QUARANTA

al centro alcuni esempi di giornali aviolanciati dagli Alleati nelle ultime fasi di guerra, Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contem-poranea

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

No, il rettore della Liberazione, Egi-dio Meneghetti, non poteva proprio

trovare desiderabile la ripresa delle pub-blicazioni del Bò. “Anima e braccio della Resistenza veneta” – sono parole di Bob-bio – Meneghetti non poteva che opporsi. I motivi dell’ostilità non mancavano: nato come organo del Gruppo universitario fascista, il Guf, Il Bò era stato la creatura prediletta di Anti, che oltre a finanziarlo cospicuamente, più di quanto qualsiasi università italiana facesse con i periodici dei Guf, premurosamente si preoccupava, persino a guerra iniziata, di cercare inser-zioni pubblicitarie e ‘sponsor’ nei grandi industriali del Veneto, da Marzotto a Cini, vantando la diffusione non irrilevante del giornale. Sentinella avanzata della propa-ganda fascista, Il Bò aveva sempre pun-tualmente ed enfaticamente sottolineato tutte le iniziative e le mosse del regime; ma, soprattutto, si era distinto per una instancabile, violenta, aggressiva e volga-re campagna antisemita, subito prima e dopo la legislazione antiebraica del 1938, vantando primogeniture nella individua-zione degli ebrei come nemici interni del-l’Italia fascista. Meneghetti si era impegnato, fin dall’esta-te del 1945, a collaborare con la Commis-sione di epurazione – sia quella interna al-l’Università, sia poi con quella nazionale. Apertamente e fortemente schierato per l’epurazione dai ranghi dell’Università del rettore Anti, non poteva certo ritene-re opportuna la ripresa del giornale che delle idee fasciste era stato un tale porta-bandiera. Non tutti condividevano questa posizione, nemmeno all’interno del mondo resisten-ziale. Contro la posizione di Meneghetti si schierò subito Ennio Ronchitelli, che mi-litava come il rettore nel partito d’Azione. Lo scontro fra il rettore e la maggioranza

degli studenti all’assemblea studentesca, di cui Ronchitelli era tribuno ‘pro tem-pore’, fu aspro. Dalla cronaca apparsa il 30 ottobre 1945 in Libera tribuna, uno dei giornali che uscivano allora in città, sappiamo che Meneghetti ricordò, come uno dei fatti ‘esemplari’ della Resistenza padovana e in special modo universitaria, l’attentato – di cui era stato parte lo stesso Ronchitelli – all’ufficio del direttore del giornale, e sosteneva la necessità di un mutamento. Gli studenti insistevano per il mantenimento del nome, lo stesso del pa-lazzo più rappresentativo dell’università, sede del rettorato.In Senato accademico, il 31 ottobre, il ret-tore ribadì la sua ostilità, confermata dal-la decisione di non contribuire in nessun modo all’uscita del giornale: che invece uscì con il primo numero datato 6 novem-bre 1945, a ridosso della solenne inau-gurazione del 12 novembre, alla presenza del generale Dunlop, ‘governatore’ alleato per le Venezie, e di Ferruccio Parri, già presiden-te del Cln Alta Italia e allora presiden-te del

dAL BÒ ALLA “VOCE” CHE VIAGGIA NELL’ETERE

Chiara Saonara

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Consiglio dei ministri, che appuntò al

gonfalone dell’Università di Padova la

medaglia d’oro al valor militare per il con-

tributo dato da studenti, docenti e perso-

nale universitario alla Resistenza, con la

motivazione dettata da Concetto Marchesi

e scolpita alla base dell’elenco dei caduti

nell’atrio del palazzo del Bo.

Meneghetti dunque, anche se invano, si

oppose; appoggiò invece e sostenne una

nuova rivista, che si presentava come “or-

gano ufficiale della goliardia padovana”,

un “quindicinale di Scienza politica e

arte” che si sarebbe chiamato 1945-1946.

Il nome sembra già prefigurare una dura-

ta breve: il periodico uscì solo agli inizi del

1946, e forse per non più di quattro volte.

Lo dirigeva un piccolo gruppo di studen-

ti, che per i loro precedenti resistenziali

dovevano godere la più ampia fiducia di

Meneghetti: Gianfranco De Bosio, regista

del teatro dell’Università, Gianni Dogo,

uno dei responsabili di Radio Università,

e Sandro Disertori. Tutti e tre avrebbero

avuto una brillante carriera nelle rispet-

tive professioni – regista teatrale, medico

e cattedratico di fama, pubblicista -, ma il

tentativo di dare vita a una rivista davvero

alternativa al Bò non decollò; e forse non è

estraneo a questo fallimento l’avvio di una

terza rivista, Università, sostenuta econo-

micamente da Libero Marzetto, stampata

da Giovanni Zanocco e diretta da Franco

Cingano.

I problemi del dopoguerra non sono sol-

tanto ideologici o politici, sono soprattut-

to economici: trovare la carta, la tipografia

disposta ad accettare rischi, trovare pubbli-

cità e abbonamenti non era davvero facile

quando altre erano le priorità del vivere

quotidiano, quando i collegamenti erano

ancora complicati, e la mobilità personale

tutta da riconquistare. Anche queste difficoltà, ben presenti a Meneghetti, che da presidente del Cln regionale fino al luglio 1945 aveva dovuto affrontarle, lo spinsero a farsi sostenitore di un altro mezzo per raggiungere un più

vasto pubblico di studenti e non solo: la

radio. Lo aveva detto fin dal primo Senato

presieduto da lui, appena eletto: era suo

desiderio “appoggiare l’istituzione di una

radio dell’Università di Padova: il materia-

le è già disponibile e la concessione non

dovrebbe essere negata, nella considera-

zione che non si ha intenzione di chiede-

re nessun contributo all’Ente radiofonico

nazionale”.

Subito dopo la liberazione, agli inizi di

maggio, era cominciata a cura di “un

gruppo di attivi e intraprendenti studenti”

la trasmissione di notiziari e comunicati

delle autorità alleate e di musica, con l’au-

torizzazione del comando regionale allea-

to. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno

Concetto Marchesi, nominato Commissa-

rio dell’Università in attesa dell’elezione

del rettore, sollecitava il generale Dunlop

a intervenire per impedire il termine delle

trasmissioni, o il passaggio della concessio-

ne a una radio di Venezia, sottolineando

che “di tale stazione, tipicamente universi-

taria per i fini che si propone e per i pro-

grammi che trasmette, l’Università si vale

come mezzo di diffusione della propria at-

tività accademica e culturale”. Alle richie-

ste di Marchesi facevano seguito quelle di

Meneghetti, prima tramite incontri diretti

col governatore alleato, poi per iscritto: il

3 settembre chiedeva a Dunlop di inter-

venire presso il Quartier generale alleato

perché potessero partire le trasmissioni da

Padova, ribadendo che si sarebbe trattato

esclusivamente “di comunicazioni utili agli

studenti (orari di esami, recensioni di libri

ecc.) e brevi conferenze di cultura tenute

da insegnanti di questa Università”. Nel

frattempo aveva provveduto a procurare

del materiale adeguato chiedendone al

colonnello dell’Aeronautica Calzavara, in

servizio in città, e aveva scritto ad Alberto

Cosattini, un trevigiano suo compagno nel

Pda e nella Resistenza, allora alla segrete-

ria della Presidenza del consiglio, perché,

anche per mezzo di Parri, intercedesse con

l’Eiar per ottenere la concessione d’uso

della lunghezza d’onda necessaria alla ra-

dio universitaria. Finalmente quanto ser-

viva arrivò: l’apparecchio di trasmissione

venne sistemato in un locale dell’istituto

di Fisica, mentre “per il microfono i tec-

nici hanno trovato molto opportuna una

stanzetta del tuo istituto che si trova alla

sommità dello scalone delle segreterie”,

come scrisse Meneghetti a Gaetano Pie-

tra, direttore dell’istituto di Statistica, con

toni suasivi diretti ad ammorbidire, a cose

fatte, l’avvenuta occupazione del locale in

questione in assenza del direttore.

A sovrintendere l’attività della radio ven-

ne costituito un Comitato di vigilanza, di

cui fecero parte eminenti docenti: oltre

al prorettore Efisio Mameli, Enrico Mario

Viora per Giurisprudenza, Manara Valgi-

migli per Lettere e filosofia, Franco Flarer

per Medicina e chirurgia, Giuseppe Gola

– che era stato rettore dal dicembre 1943

all’aprile 1945 – per Scienze matematiche,

fisiche e naturali, Ettore Scimemi per In-

gegneria.

La gestione delle apparecchiature neces-

sarie alle trasmissioni portò subito a un

vivace scontro in Senato accademico: era

stato deciso di affidare tutto all’istituto di

Elettrotecnica, con il preciso impegno di

mettere il materiale a disposizione di qual-

siasi altro istituto ne avesse necessità, ma si

oppose fieramente l’istituto di Fisica, che

ospitava l’apparecchio di trasmissione. La

discussione che ne seguì, su proprietà,

competenze, responsabilità, diede modo

al rettore di chiarire che “il materiale

radio ricevuto dall’Università, non è ma-

teriale abbandonato dai tedeschi e privo

di proprietario, ma fu conquistato dagli

studenti patrioti e risulta di proprietà del

Cln di Padova e del ministero dell’Aero-

nautica, i quali lo potrebbero chiedere in

restituzione”, e di precisare che “le auto-

rità accademiche competenti hanno già

deciso che il materiale in parola non sia

smembrato, non solo, ma che esso sia ripa-

rato e valorizzato e posto al servizio di tutti

gli istituti interessati”.

Intanto era stato inviato a tutti i docenti,

aiuti e assistenti un caldo invito a collabo-

rare alla radio. Si ricordava che l’ateneo

padovano era l’unico in Italia ad offrire

questo servizio, e che ne avrebbe perciò

tratto “vantaggi, diretti e indiretti, morali

e non soltanto morali”. Era un impegno

notevole, le trasmissioni previste sarebbe-

ro state quotidiane, della durata di un’ora,

divisa in tre parti: “la prima, destinata

specialmente agli studenti, darà notizie

universitarie; la seconda comprenderà

un notiziario culturale, recensioni, fram-

menti di musica classica, ecc.; la terza sarà

riservata a conversazioni di divulgazione

nella pagina a sinistra dall’altoimmagini di stampa clandestina:particolare di una cedola di prestito del Comitato di liberazione nazionale; dettaglio della copertina del n. 14 di Fratelli d’Italia (periodico del Cln Vene-to), numero dedicato alla strage di Villamarzana; la prima traduzione del libro di Hermann Rauschning Confidenze di Hitler clandestinizzato con la sovra-coperta de Le avventure di Pinocchio. Vi collabo-rò Egidio Meneghetti. Le xilografie delle copertine sono di Amleto Sartori

ANNI QUARANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

scientifica, della durata di quindici mi-

nuti”. L’invito precisava le modalità della

lettura al microfono, che poteva essere

fatta dagli stessi autori o da “un provetto

annunciatore”, chiedeva che si trattasse

di divulgazione colta, ma non specialisti-

ca, in modo da poter essere goduta da

un pubblico “di cultura buona, ma non

specifica”, accennava a un compenso per

ogni conferenza: appare chiaro il deside-

rio che la radio dell’università destasse

l’attenzione non solo degli studenti o dei

docenti dell’università, ma di un pubblico

più ampio, desideroso di informazioni e

spinto da interessi culturali.

Qualche giorno più tardi, la stessa Com-

missione che aveva firmato questo invito

lo allargava, inviandolo a titolo personale

“ai più illustri maestri di tutte le Univer-

sità italiane, agli scrittori e agli eminenti

studiosi di ogni disciplina”.

Il giorno successivo alla solenne inau-

gurazione del 724° anno accademico

il rettore Meneghetti inaugurava il primo

“anno accademico radiofonico” della Voce

dell’Università di Padova – questo il nome

della radio e del Bollettino che la accom-

pagnava – elencandone le trasmissioni

– con una conversazione dai toni, per il

personaggio, insolitamente briosi: vi si

percepisce la felicità di essere riusciti in

una impresa non facile. “Signore e signo-

ri, buon giorno ed, eventualmente, buon

appetito. Vi porgo il saluto dell’Universi-

tà di Padova che [...] oggi inaugura il suo

primo anno accademico radiofonico. [...]

Questa radio è nata dalla cospirazione e

dalla liberazione ed è frutto delle lotte di

noi universitari. Molti di noi, nel periodo

clandestino hanno usato la radio per gli

scopi che voi tutti conoscete. Si sono ap-

passionati a questi meravigliosi strumenti

dominatori dell’etere; durante la libera-

zione si sono impadroniti, combattendo,

di stazioni radio tedesche e subito qui, a

Padova, le hanno fatte funzionare di loro

iniziativa, senza permessi, senza autoriz-

zazioni, se volete anche senza sufficiente

organizzazione, ma con un fervore, una

fede, una tenacia [...]. È la radio di noi

universitari, che si propone di parlare agli

universitari, agli studenti [...] ma non solo

agli studenti di ora, ma anche a quelli che

furono figli dell’Università di Padova [...]

e a tutte le persone che amano la cultura

e la scienza [...]. Siamo tutti persuasi della

necessità di rivolgerci a un pubblico am-

pio, con forme e concetti che possano ve-

ramente interessarlo. Molti di noi hanno

già esperienza radiofonica come parlatori

alla radio; tutti l’abbiamo poi come ascol-

tatori e bene conosciamo quanto sia facile

e comodo togliere con un giro di interrut-

tore la parola a un conferenziere inutile e

noioso; per alcuni nostri studenti lontani,

altre volte costretti dalla disciplina scola-

stica all’ascoltazione nell’aula dell’inse-

gnante, questa potrà essere anche una

allegra vendetta. [...] Bisogna rivivere le

conoscenze e rivivere anche l’interesse e

l’attaccamento per la scienza [...] l’epoca

della bomba atomica è pure quella degli

antimoniali, dei sulfamidici, della peni-

cillina. Vi sono scoperte scientifiche che

l’umanità può rivolgere contro se stes-

sa in una specie di orrenda perversione

[...] ma vi sono anche scoperte che nes-

suna perversione può far impiegare con

scopi malefici, e queste sono soprattutto

le scoperte della biologia e della medici-

na. Comunque signore e signori cortesi,

voi qui sentirete parlare da persone che

hanno compiuta conoscenza di bomba

atomica e di penicillina e di sulfamidici

e di tanti altri argomenti. Per esempio

nella corrente settimana uno psichiatra

sottile e coltissimo, il prof. Belloni, della

cattedra di Neurologia, vi parlerà del co-

raggio e della paura; un botanico illustre,

accademico pontificio e già rettore della

nostra Università [si tratta del prof. Gola,

n.d.a.] vi darà interessanti notizie sull’im-

piego delle piante come indici meteoro-

logici; un giurista giovane e alacre, il prof.

Quadri, parlerà di internazionalismo e di

universalismo, nuove speranze e nuove

visioni dell’umanità e della cultura del di-

ritto; il prof. Giovanardi, cultore d’igiene

e di batteriologia e particolarmente stu-

dioso dei modi migliori per combattere e

prevenire i morbi infettivi, vi dirà di un

elemento di attualità, il vaiolo, che in tan-

ti pavidi ha suscitato tremori ingiustificati.

E speriamo che presto questa radio sia il-

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concettomarcHesi alla costituente

Martedì 25 giugno 1946 è il giorno della prima seduta dell’Assemblea. Tra i suoi banchi sie-de anche Concetto Marchesi, eletto nelle liste del Partito Comunista. L’ex rettore, che condivise la lotta per la libera-zione con Meneghetti e Franceschini, sarà uno dei padri dell’articolo 33 della Costituzione e l’estensore della “Relazione sui principi costi-tuzionali riguardanti la cultura e la scuola”. Vi si legge: L’arte e la scienza sono al servi-zio dell’umanità. Esse accrescono libertà allo spirito ma di libertà hanno innanzi tutto biso-gno: e non possono degnamente e utilmente operare se costrette a fini determinati e con-dizionati.

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dall’uri alla rai�0 anni in ascolto

La storia della radio in Italia inizia con un quar-tetto di Haydn. È il 6 ottobre 1924, e l’URI, Unio-ne Radiofonica Italiana, trasmette il concerto di inaugurazione delle trasmissioni. L’unica sede è a Roma, nel quartiere Parioli: negli anni succes-sivi apriranno anche gli studi di Milano, Napoli e Torino. È del 1928 la trasformazione dell’URI, so-cietà esclusivista della concessione radiofonica, in ente pubblico: nasce l’EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche. Il fascismo promuo-ve, a fini propagandistici, la diffusione del nuovo mezzo, con apparecchi a prezzo ridotto. Il primo passo in questa direzione è mosso nel 1933 con Radio Rurale, ricevitore a prezzo fisso destinato a scuole e istituzioni. Nel frattempo il servizio ra-diofonico oltrepassa i confini nazionali: nel 1935 hanno inizio le trasmissioni per l’estremo oriente e l’America del Nord. Del 1939 è il progetto Radio Balilla, accordo tra diverse case produttrici per un modello dai componenti semplici ed economici. Con la guerra, la radio potenzia la sua funzione di informazione (e disinformazione): ai notiziari di re-gime si contrappone un sempre più diffuso ascol-to delle emittenti alleate o nemiche, come Radio Londra e Radio Mosca. L’EIAR, intanto, riflette la spaccatura della nazione: tutto il Paese ascolta l’annuncio delle dimissioni di Mussolini; dopo l’8 settembre, alcune strutture vengono acquisite dalla Repubblica Sociale, mentre al centro-sud Radio Roma, Radio Napoli e Radio Bari sono la voce dell’Italia liberata. Nel 1944 l’EIAR viene so-stituita dalla RAI (Radio Audizioni Italia), che in po-chi anni riesce a ricostruire la rete di trasmettitori danneggiati nel periodo bellico. Il biennio 1950-51 vede una radicale riforma della programmazione: nascono i tre Programmi (canali) nazionali, tra i quali il Terzo Programma avrà una marcata con-notazione musicale e culturale. Profondamen-te innovativo è anche il notiziario del Secondo Programma, “Radiosera”, con una successione di numerose notizie brevi, cui si accompagnano rubriche di approfondimento come “Ciak”, con Lello Bersani, sull’attualità cinematografica. Sul modello straniero di musica non stop e notizie, nasce il “Notturno dall’Italia”. La radiofonia italia-na è quindi in piena evoluzione quando, nel 1954, una colossale novità rischia di travolgerla: l’inizio delle trasmissioni televisive. Radio Audi-zioni Italia diventa RAI – Radiotelevisione italiana. La radio, per sopravvivere, dovrà cambiare di nuovo.

a sinistra manifesti elettorali per le elezioni della Costituente

in basso lancio pubblicitario dell’Eiar; la stazione radiofonica di Prato Smeraldo nel 1939

luminata oltre che dalla luce della scienza

dal sorriso dell’arte; speriamo che Mana-

ra Valgimigli vi faccia udire il suo perfet-

to italiano, le sue mirabili traduzioni che

sono anche interpretazioni e che stupen-

damente portano tra di noi vive e palpi-

tanti le visioni poetiche della più antica

Grecia; speriamo che presto Diego Valeri

ci reciti alcune delle sue poesie limpide,

preziose. [...]”

Dichiarati gli intenti, le trasmissioni ven-

nero presto effettuate sia ad onde corte

che ad onde medie, che venivano ascol-

tate anche all’estero; gli Alleati forniva-

no, oltre ai notiziari di loro competenza,

dischi di musica classica, e chiesero colla-

borazioni per la radio inglese: il generale

Dunlop vi tenne un discorso rivolto “alle

genti venete” alla fine di novembre: arri-

varono le sperate collaborazioni anche da

docenti di altre università.

Ma l’attività più intensa di Meneghetti,

una volta avviata la radio, e lasciatala alle

cure della Commissione di vigilanza e di

un ristretto ma competente gruppo di stu-

denti, fu quella di difenderla dalle pres-

sioni che vennero, dapprima per control-

larla, poi per chiuderla, dall’appena nata

Rai e dal ministero delle Poste e telecomu-

nicazioni. Nel 1947 la situazione politica,

interna e internazionale, era profonda-

mente mutata: la vita di Radio Università

ne seguì con chiarezza l’andamento. La

Rai “con i suoi criteri monopolistici e mi-

crocefalici” sollevava difficoltà in merito

alle trasmissioni che Padova trasmetteva

in America. Meneghetti pregò il sindaco

di Padova di aiutare l’Università, perché

“una risoluzione a favore dell’Università

non reca proprio nessun danno, in nessun

modo e a nessuna persona”; scrisse al mi-

nistro Gonella di interporre i suoi buoni

uffici col collega delle telecomunicazioni,

perché nel momento delle trasmissioni

da Padova non ce n’era nessun’altra sulla

stessa lunghezza d’onda, e perché “nella

recente riunione internazionale di Com-

bloux è stato da tutti riconosciuto che l’at-

tività radiofonica universitaria padovana è

senza dubbio la prima di tutta l’Europa,

paragonabile solo a quella di talune uni-

versità americane, per esempio la Colum-

bia University”.

Per mantenere alto il livello della trasmis-

sioni, ed estenderne la portata, Meneghetti

cercava del buon materiale, possibilmente

a buon prezzo: si rivolse a due compagni

di lotta, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi,

antifascisti condannati a confino e pri-

gione, europeisti e federalisti convinti,

autori del “Manifesto di Ventotene” che

precisava il programma del più avanzato

movimento federalista europeo. Dopo la

guerra, Spinelli e Rossi erano impiegati

entrambi nell’Azienda rilievo alienazione

residuati (Arar), e a loro si rivolse il retto-

re, chiedendo se fosse possibile acquistare

o ottenere comunque in concessione “sta-

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Page 28: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

zioni complete trasportabili, dotate di tut-

ti gli accessori” che giacevano inutilizzate

nei campi di raccolta dell’Arar, perché ri-

teneva “veramente esasperante e avvilente

che un istituto come l’Università di Pado-

va non possa impiegare questo materiale

prezioso, per scopi di cultura, di pace, di

scambi internazionali”.

La Rai insisteva però nell’esigere il mo-

nopolio dell’etere: si arrivò a un compro-

messo che permetteva alla radio padovana

di trasmettere per 15 minuti ogni giorno,

spostando i programmi ad onde corte at-

traverso la stazione Rai di Busto Arsizio.

Ma nel settembre del 1948 la Rai inter-

venne di nuovo, proponendo una ulte-

riore diminuzione dei tempi, soprattutto

sottolineando che i collaboratori della

radio dovevano essere soltanto i docenti

dell’Università di Padova, e che dovevano

limitarsi a trattare “argomenti di carattere

culturale, non politico, svolti in maniera

divulgativa e accessibile al vasto pubblico

della radio”: insomma, un controllo della

radio nazionale su radio università.

Il 1948, si sa, segna una svolta nella vita

politica italiana. Meneghetti non era più

rettore, ma prevedeva – lo disse il nuovo

rettore, Aldo Ferrabino, al Senato accade-

mico nel settembre – la possibilità di agi-

tazioni studentesche se le trasmissioni fos-

sero state soppresse. Non era più il tempo

di essere ottimisti sul futuro: Radio univer-

sità continuò le sue trasmissioni, sempre

più diradate, fino al 14 marzo del 1950.

Poi chiuse.

Il Congedo firmato da Meneghetti e stam-

pato sul decimo e ultimo numero de La

Voce dell’Università di Padova - Bollettino

delle radio diffusioni dà la misura di tutta

l’amarezza e la disillusione. Meneghetti

indicava nella continuità dell’Eiar “mutata

solamente nel nome” il vero motivo delle

crescenti ostilità verso la radio: “a mano a

mano che il passato dalle rovine provocate

si ricostituiva, le restrizioni e le imposizio-

ni aumentavano e l’attività diveniva ingra-

ta fatica e, specie per la diminuzione del

tempo di trasmissione, si riduceva progres-

sivamente”. I dati sull’attività svolta, pun-

tigliosamente precisati, davano la misura

dello sforzo dei collaboratori: “nell’anno

accademico 1945-46 furono trasmesse 349

conversazioni da 133 collaboratori; le tra-

smissioni erano giornaliere e duravano

mezz’ora; nell’anno accademico 1946-47

la mezz’ora di trasmissione fu spostata dal-le 19.30 alle 14.28: le trasmissioni furono 392, con 244 collaboratori; nell’anno ac-cademico 1947-48 le trasmissioni furono ridotte a un quarto d’ora giornaliero, il loro numero fu di 281, con 167 collabora-tori; nel 1948-49 le trasmissioni, ridotte a 10 minuti, si tenevano solamente a giorni alterni, le conversazioni furono 75, i col-laboratori 49, nell’anno accademico 1949-50 (novembre-marzo) le trasmissioni furo-no 56 e i collaboratori 38”.Negli ultimi tempi, i collaboratori doveva-no recarsi a Venezia per trasmettere, e a volte anche senza preavviso la trasmissione universitaria era sostituita da altre. Molti erano stati i collaboratori, di ogni tenden-za, e diversi uomini di governo, da Parri a De Gasperi, avevano dimostrato il loro appoggio alla radio, ma non era bastato, e lì era “il punto dolente: piccole mino-ranze, finanziariamente potenti, possono prevalere non soltanto su istituti culturali e scientifici, ma anche su gruppi politici dirigenti”. Era necessaria una riforma che desse la misura del cambiamento, della no-vità, ma non sembrava affatto imminente, e quindi, concludeva Meneghetti, “si dica chiaramente, nel momento del congedo, che indirizzo, spirito, gusto, cultura di questa Università sono in aperto contrasto con quelli a cui si ispira da molti anni l’at-tività dell’ente radiofonico italiano”.Non ci furono agitazioni né proteste. Un telegramma da Roma comunicò al rettore la fine delle trasmissioni della Voce dell’Uni-

versità di Padova: la stagione della radio ‘li-bera’ era, per il momento, finita.

NOTA Per maggiori informazioni sul rettore della liberazione, si veda il mio Egidio Meneghetti scienziato e patriota combattente per la libertà, Padova, Cleup, 2003; per i giornali studenteschi cui ci si ri-ferisce, M. Isnenghi, Un giornale del 1945-46: “Uni-versità”, in Montagne e veneti nel secondo dopoguerra, a cura di F. Vendramini, Verona, Bertani, 1988.

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la radio ritorna al Bo

Dopo l’invenzione del transistor e l’avvento di internet si riaccende a Padova quel mez-zo libero e liberatorio che è la radio. Migliaia sono le emittenti radiofoniche oggi ascolta-bili sul web, anche il nostro ateneo ne avrà una: Radio Bue. Meneghetti “ieri” cercava di comunicare al di là della comunità universi-taria, di parlare del mondo col mondo sulle onde medie e corte. I promotori della radio universitaria patavina “2008 edition” cercano di rimanere fedeli a quest’idea, godendo di facilitazioni tecnologiche che allora non esi-stevano e che permettono di impostare una programmazione degna della prima illustre edizione. Dopo una fase iniziale di riflessione e sperimentazione, iniziata nel 2002 da alcuni studenti di Comunicazione in un’aula univer-sitaria del Liviano, si disegna la linea edito-riale della nuova web radio: “colta, facile e internazionale”, com’era allora. Internaziona-lità, cultura e scienza fondano, prima di tutto, l’obiettivo della nuova emittente universitaria; musica non mainstream e multilinguismo se-gnano la sua identità giovane e studentesca. Una rigorosa selezione musicale di generi (indipendente, alternativo, emergente) e un jingle tradotto in tutte le lingue del mondo ca-ratterizza il sound con cui si vuole inaugurare questa nuova stagione della radio. Radio Bue ha in programma di avviare trasmissioni in di-verse lingue straniere e scambi di programmi con le altre college radio del globo, un obiet-tivo da raggiungere per sfruttare a pieno la peculiarità della piattaforma internet (essere ascoltabile da un pubblico potenzialmente mondiale) e l’esplosione di socialità giovanile che travalica i confini geografici nazionali. In cinque anni le radio universitarie italiane sono diventate venti e una decina d’esse si è riunita nel network Raduni, l’associazione nazionale degli operatori radiofonici universitari. Più di 200 sono le web radio censite dalla SIAE nel 2006, ma la web radio universitaria presen-ta una caratteristica che vorrebbe renderla unica: favorisce lo scambio di saperi di cui le istituzioni universitarie sono depositarie da secoli.

le college radio

La “radio universitaria” nasce negli Stati Uni-ti negli anni 30. La trasmissione per onde elettromagnetiche è una tecnologia ancora in fase di sviluppo, e costosa, quindi l’emis-sione sfrutta una sorta di rete cablata all’in-terno delle residenze dei campus universitari (modalità carrier current). La prima radio di questo tipo è la WBRU7 (questo il suo nome a partire dal 1945), nata nel 1936 a opera di George Abraham in seno alla Brown Universi-ty e trasferitasi in FM dal 1966.Sono infatti gli anni 60 il periodo d’oro in cui fiorisce il maggior numero di stazioni univer-sitarie statunitensi. Questo preciso momento storico, iniziato già a partire dalla seconda metà degli anni 50, rappresenta per tutte le radio del mondo un momento di svolta: è l’av-vento del Rock.

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2�ANNI CINQUANTA

Preambolo

Gli anni ’50 o, meglio, con più preci-sione quelli dal 1951 al 1959, sono

forse i più interessanti per coloro che vogliono occuparsi del Bo, il periodico degli studenti dell’Università di Padova e, parallelamente, della storia del movi-mento studentesco padovano di allora. Pur conoscendo la difficoltà della ricerca, ho accolto con entusiasmo la proposta di dare la mia testimonianza di quel periodo. L’occasione mi consente di rivivere una stagione della mia vita che ha lasciato in me un profondo segno: dal mio impegno quasi a tempo pieno per almeno quattro anni nella politica universitaria e nel Bo (ne sono stato direttore di sei numeri nel 1958 e di due nel 1959) è derivata la mia scelta professionale nell’editoria e l’amicizia con studenti da considerare allora l’élite del movimento studentesco padovano, e non solo. E che si trattasse di una élite ho avuto conferma successivamente, di fronte alle prestigiose carriere professionali di molti di loro, divenuti insigni docenti universi-tari, professionisti o imprenditori di alto livello.Una delle prime persone di cui sono anda-to alla ricerca è stato l’avv. Ennio Ronchi-telli, stretto collaboratore del prof. Egidio Meneghetti, Capo della Resistenza pado-vana e primo Rettore del dopoguerra, con cui condivise la dura prigionia nel Palazzo Giusti in balia della famigerata banda Ca-rità, ma anche Tribuno degli studenti nel

1945 e, come tale, gerente responsabile del primo numero del Bo del secondo dopo-guerra del novembre 1945. Il giornale riprendeva la testata di quello che fu forse il foglio studentesco più in-teressante, e oggi più citato, degli Anni Trenta, testimone dei Littoriali del Fascio ma, nello stesso tempo, degli anni della fronda antifascista che fornì ampio mate-riale a Ruggero Zangrandi, collaboratore della prima fase del Bò, per il suo Lungo

viaggio attraverso il fascismo.

Pur esulando quel periodo del giornale dal compito affidatomi, ho voluto consul-tare il numero “gestito” da Ennio Ronchi-telli per farne il punto di partenza crono-logico vero e proprio della riedizione del Bo e tracciarne brevemente un sommario, a dimostrazione di come nel 1951, solo sei anni dopo, fossero mutati in gran parte i temi dibattuti nel foglio studentesco.L’indice di quel numero - in formato di cm 50 x 70, il classico mezzo elefante, stam-pato da una delle più note tipografie di Padova, la Garangola, sulla grossolana car-ta del dopoguerra - era prevalentemente politico, se non ideologico, e ciò appare comprensibile data la voglia di esprimer-si finalmente senza censure. Un titolo per tutti Democrazia, e non sappiamo cos’è, o essa

vacilla ancor prima di nascere, a firma di Sil-vano Bonivento, dove è esplicito il timore, ad appena sette mesi dalla fine della guer-ra e della dittatura, che la democrazia non potesse attecchire.

Ma anche un altro tema sembra dominan-te per gli studenti di allora, data anche la numerosa presenza di studenti giuliani a Padova, e rimarrà vivo almeno sino al 1954, quello della Venezia Giulia e di Trie-ste occupate dai titini, quasi a riaffermare uno spirito patriottico non sopito.Spazio viene tuttavia dato anche a un tema che diverrà costante, come vedremo, agli inizi degli anni ’50 e oltre. Mi riferisco al-l’articolo di un non precisato goliarda sul ritorno alla Goliardia. E infine si entra nel dibattito di quei giorni, Parlando di epura-

zione, e su alcuni scottanti problemi per la vita quotidiana degli studenti, vivi ancor oggi, Il problema degli alloggi.

La ricerca

La mia ricerca, o testimonianza, come detto, va dal 1951 al 1959 ed inizia con

l’esame del n. 1, anno I, del 1 maggio 1951, direttore responsabile Giorgio de Pantz, periodicità dichiarata quindicinale.1

Un elenco dei direttori dal 1951 al 1959 si compone con: Giorgio de Pantz (1951), Emilio Sanna (1952-53). A conclusione dell’intenso ciclo della direzione Sanna, avviene una nuova registrazione della te-stata in data 16.12.53; subentra per un nu-mero 1, Anno V , Nuova Serie del dicem-bre 1953, Tito Cortese, veneziano. Gigi Montobbio (1954); V. Bressan, E. Sanna

LA RINASCITA dEL BO

Giulio Felisari

sotto la prima pagina del Bo del 5 dicembre 1952

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

in basso vignette tratte da Universa Universis Patavina Libertas, numero unico del novembre 1953

e Angelo Ventura che prepararono il n. 9

dell’ottobre 1954; Antonio (Toni) Negri

(1956); Gino Tessari (1957), a parte la sua

lunga presenza, protrattasi sino a molte

annate degli anni ’60, come direttore re-

sponsabile in quanto nessuno dei direttori

effettivi si era preoccupato di affrontare il

piccolo iter burocratico di una nuova re-

gistrazione; Giulio Felisari (1958 più due

numeri del 1959), Michele Sernini (1959

e qualche numero del 1960).

Altri di transizione, il n. 1 del 1958, diretto

da Stefano Reggiani, e due numeri unici:

Il Bove in data 31.10.55 diretto da Pieran-

gelo Fioretto e il Toro, con direzione di En-

rico Coccolo, in data 16.11.55.

L’1.1.56 e il 15.1.56, è la volta di altri 2

numeri unici, Il Nuovo Bo con direzione di

Toni Negri, evidentemente per consentir-

gli, nel frattempo, la registrazione. Negri

firmerà poi tutti i numeri successivi del

1956, ad eccezione del n. 7, del novembre,

quando gli subentrò Gino Tessari.

Va precisato che la nomina a direttore

proveniva, sino al 1955, dall’Interfacoltà,

sostituita poi dal Consiglio di Tribunato,

e votata dall’Assemblea. Parallelamente

all’Interfacoltà, che curava sindacalmente

gli interessi degli studenti, agiva con fina-

lità goliardiche il Tribunato con a capo il

Tribuno, questo sino alla fine del ’55. I

direttori erano comunque esponenti dei

Gruppi universitari (Intesa democratica,

Unione goliardica, Tradizionalisti, ecc.) e

la loro nomina era frutto di un accordo

tra i Gruppi, con valutazione anche della

loro esperienza e cultura.

Va ricordato innanzitutto che gli anni del

giornale presi in esame sono stati cruciali

per la rappresentanza degli studenti pado-

vani, sia quella tradizionale goliardica che

quella democratica e, conseguentemente,

per i rapporti con le Autorità Accademi-

che. Da aggiungere che in sede nazionale

uno dei temi più dibattuti era quello della

riforma della Scuola, e dell’Università in

particolare, problemi che si trascinano an-

cor oggi, dopo cinquant’anni, senza trova-

re soddisfacenti soluzioni.

Già dalla fine degli anni ’40 molti studenti

trovavano superata la sopravvivenza della

goliardia scapigliata, quella, per intenderci

romanticamente descritta in Addio giovinez-

za da Nino Oxilia (1916) e cercavano altre

forme più rispondenti alle esigenze di un

mondo profondamente cambiato in segui-

to alla guerra e alla situazione del Paese.

Vent’anni di dittatura, una pesantissima

sconfitta militare, condizioni sociali ed

economiche che non lasciavano prevedere

il boom della fine degli Anni Cinquanta, ap-

parivano incompatibili con la spensieratez-

za, il disimpegno e il rappresentante degli

studenti, il Tribuno, eletto a botte.

Scrivere del Bo di quegli anni significa

scrivere, sia pur sommariamente, anche

la storia dell’Organismo Rappresentativo

studentesco, essendo il giornale Organo de-

gli Studenti dell’Università di Padova, e riflet-

tendo i loro problemi, ma anche gli slanci

ideali di una politica alta, non partitica. Il

Bo era prevalentemente occupato da co-

municati dell’attività dei Centri Universi-

tari, da resoconti di assemblee, interventi

di rappresentanti di Facoltà sul piano de-

gli studi e degli appelli d’esame, mozioni

dei gruppi universitari e i loro programmi

in occasione delle elezioni per l’Assem-

blea di Tribunato e quindi, del Tribuno.

Ampio spazio il giornale dedicava alla

triennale elezione del Rettore, all’inaugu-

razione dell’anno accademico, al Diritto

allo studio e alla riforma della Scuola.

Ma spazio veniva anche dato alle Lettere dei

lettori, sia pure spesso occasionali e non

molto frequenti, e ad alcune rubriche fis-

se, di taglio satirico “Cortile vecchio”, “Fo-

glietti”, “Canton del Gallo”, di lettura più

leggera.

Interessanti erano alcuni interventi di

professori, molto spesso dei più presti-

giosi: Diego Valeri, Egidio Meneghetti, V.

Arangio Ruiz, F. Calamandrei, ma anche

Alberto Savinio, A. Carlo Jemolo, Rinaldo

Pellegrini, Adriano Buzzati Traverso, alcu-

ne volte con lettere, altre volte riportati da

giornali e riviste.

Un capitolo interessante, da poter dedica-

re a questa breve storia, è certamente l’ap-

porto al giornale dato da alcuni studenti-

vignettisti, a commento di avvenimenti,

situazioni, personaggi. I più noti sono stati

Enzo Bandelloni (in arte Bandi), studen-

te di ingegneria e poi docente nella stes-

sa Facoltà, ricercatissimo disegnatore di

ANN

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ANTA

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�1

a colloQuio con gli studenti

Guido Piovene da Viaggio in Italia, 1957

Gli studenti eleggevano una specie di principe, a Padova detto tribuno, che aveva tra l’altro il diritto di parlare nell’aula magna all’inaugurazione del-l’anno scolastico. Nella secolare storia dell’uni-versità di Padova il tribuno fu eletto con sistemi diversi che non è il caso di elencare, ma quello prevalso dopo la guerra fu l’elezione “a botte”. Secondo questa tradizione ripristinata i candidati erano scelti tra gli studenti del terzo anno di medi-cina, con la barba, che non avessero ancora dato l’esame di anatomia. Se un candidato non aveva la barba, era invitato in tempo a farsela crescere. Nelle prime ore del giorno delle elezioni le fazioni invadevano la sala di anatomia cercando di occu-pare le posizioni strategiche, per esempio i posti più alti e dai quali si può balzare sulla testa degli avversari. Avvenuto lo schieramento, si dava ini-zio alla battaglia un po’ prima delle undici. I diversi campioni, protetti dal quadrato dei partigiani, era-no spinti con violenza verso la cattedra; risultava tribuno quello che il professore trovava in piedi sulla cattedra, alle undici e un quarto, quando en-trava per la lezione. Avere dalla propria parte una squadra di rugby decideva del risultato. Ma fazio-ni di diversa origine snaturarono l’elezione. Nel-l’ultima si introdussero individui estranei, chi dice pugilisti, chi dice facchini, e alcuni contendenti se ne andarono con la testa rotta. Vi furono altri in-cidenti sgradevoli. La polizia per tradizione non interviene a Padova nelle faccende studentesche, e gli studenti difendono il privilegio di garantire l’ordine con le loro forze. Il rettore abolì elezioni e tribuno; dopo lunghe diatribe, esso riap-parirà, ma sarà eletto a schede.

papiri, cui deve aggiungersi Luigi (Gigi)

Montobbio, anch’egli autore di papiri e

di vignette dal segno caratteristico, oltre

che direttore del giornale nel 1954, infine

Toto La Rosa, avviato ad una bella carriera

di notaio, ma vignettista dal segno inequi-

vocabile e dalla battuta icastica, ancor oggi

presente in una nota rivista padovana; e

poi Uto, alias Umberto Tonellato.

Il giornale

Accanto alle vignette, come commento

all’attualità, venivano spesso pubblica-

te delle fotografie di avvenimenti, a corre-

do dei relativi articoli, e fotogrammi di film

che illustravano i programmi del CUC.

Come veniva finanziato il giornale? Ogni

anno, con la ripartizione dei fondi prove-

nienti dalla Legge Ermini del 1951, le fa-

mose 1.000 lire versate da ogni iscritto con

le tasse da riconoscere all’o.r. per le sue

attività assistenziali e sportive, l’Assemblea di

Tribunato deliberava sul bilancio preven-

tivo presentato dal Consiglio di Tribunato.

Mediamente al Bo venivano conferite circa

1.000.000 di lire, mentre altri proventi ve-

nivano dalla pubblicità, raccolta da uno

o due produttori pagati a percentuale su-

gli affari conclusi. Gli inserzionisti erano

piuttosto numerosi: librerie, ristoranti,

banche, cartolerie, negozi di occhiali, ma

anche scuole di danza, una macchina che

inteneriva la carne (!), bruciatori a nafta…

Il Bo, prendendo come base il 1957-58,

aveva una tiratura di 10.000 copie e veniva

spedito gratuitamente, in abbonamento

postale, al domicilio di ciascun iscritto,

con l’indirizzo stampigliato dalla Segrete-

ria dell’Università.

Non è stato Il Bo degli anni ’50 un foglio

di dibattito culturale in senso stretto o di

evasione goliardica, sia pure in presenza di

non pochi articoli su cinema, teatro, musi-

ca, letteratura e arte. Non si può nemmeno

definire un foglio sindacale, termine non

gradito dalla generazione di studenti impe-

gnati nella politica universitaria, che davano

preferenza al compito culturale cioè “far

sentire ad ogni membro della comunità

universitaria questa sua vocazione intellet-

tuale e umana” (testuale da un articolo di

Gaetano Crepaldi su Il Toro, numero unico

del 15.11.1955 in attesa del nuovo Bo).

Dal 1951 al 1955

Riprendendo il discorso dal n. 1 nuova

serie del 1951, nella cui prima pagi-

na spicca il Saluto del Rettore agli Studenti,

il Rettore, prof. Guido Ferro, docente a

Ingegneria di Costruzioni Marittime, in

quell’anno al suo terzo mandato (ver-

rà poi riconfermato per altre tre volte),

si esprime con calore.2 Il Rettore vede il

giornale come “palestra aperta a ogni sere-

no dibattito riguardante gli studi universitari

e l’alta cultura”, quasi invitando a circoscri-

vere l’ambito del giornale. A questo mes-

saggio fece tuttavia eco il fondo di presen-

tazione della nuova serie del Bo, a firma

della Redazione.3

Va precisato che questa impostazione dei

contenuti del giornale, espressa dal n. 1

del ’51, rappresenta la concezione di una

rappresentanza studentesca non ancora

ben definita, lontana non poco dall’asse-

stamento raggiunto solo tre-quattro anni

dopo. Rispetto a quanto da noi scritto

qualche riga sopra, la contraddizione è

solo temporale…

Non si è ancora tagliato il cordone ombe-

licale con la tradizione goliardica, ma non

si è neppure sciolta la diffidenza nei con-

fronti della democrazia universitaria, per il

timore di una sua sudditanza ai partiti, con-

fondendo quindi politica con partitocrazia.

Nonostante lo sforzo dell’avanguardia stu-

dentesca, che per comodità di linguaggio

chiamerei riformista, di impegnare gli stu-

denti in un progetto di riforma culturale

delle istituzioni studentesche (Tribuno,

Tribunato, Organismo Rappresentativo,

elezioni democratiche, abbandono dei

tradizionali riti goliardici da relegare al

folclore), con l’obbiettivo di promuove-

re la riforma della Scuola, reclamando

però la propria autonomia dai partiti e da

pressioni esterne al mondo universitario,

persisteva ancora una visione della Rap-

presentanza orientata a svolgere un’azio-

ne di carattere prevalentemente sindacale.

Tutelare cioè gli interessi immediati degli

studenti: appelli di esami, piani di studio,

alloggi, borse di studio, organizzazione

del tempo libero.

I numeri del 1951 e in parte quelli del

1952 riflettono questo dibattito interno

alla Rappresentanza, con la classica divi-

sione “pro” e “contro” sulla necessità di

un nuovo Statuto che regolasse le attività

del Tribunato-Interfacoltà, sulle regole

per delle elezioni a suffragio universale,

sugli obbiettivi da raggiungere (passaggio

da Interfacoltà a Tribunato-O.r.).

Ad accelerare l’ordine del giorno di questa

riforma è un fatto che potremmo definire

traumatico per la Goliardia tradizionale.

Durante l’inaugurazione dell’anno acca-

demico 1951-52, alla presenza dell’on. An-

tonio Segni, allora Ministro della P.i., gli

studenti che affollavano l’Aula Magna del

Bo, inscenarono una manifestazione, da

altri definita gazzarra, fischiando ininter-

rottamente il discorso del Ministro, tanto

da indurlo a rinunciarvi. La reazione delle

Autorità Accademiche, in particolare del

Rettore, fu molto dura. Il primo provve-

dimento fu quello di non concedere più

l’aula di Anatomia della Facoltà di Medici-

na per la tradizionale elezione a botte, o a

spintoni, del Tribuno.4

Lo studente di medicina Renzo Testolin,

in quella data, era il Tribuno in scadenza

di mandato, mentre non c’erano le rego-

le e il luogo per l’elezione del successore.

Testolin, quindi, è passato alla storia della

ANNI CINQUANTA

Page 32: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

Goliardia padovana come ultimo Tribuno

eletto a botte. Verrà sostituito pro tempore

dal suo vice Fabio Gasperini, studente di

legge. Si aprirà quindi un periodo di reg-

genza, (1953-54), affidata poi ad un altro

studente di legge, Gianfranco Bonomi e,

quale presidente dell’Assemblea costituen-

te, allo studente di scienze Agostino Pari-

se. Il Tribunato democraticamente eletto

avrà come suo primo Tribuno, a fine 1955,

lo studente di medicina Luigi Amaducci.

Questo avvenimento comporterà, per al-

meno tre anni, un difficile rapporto tra

il Rettore e la rappresentanza studente-

sca, con il polemico rifiuto degli studenti

a presenziare all’inaugurazione di quegli

Anni Accademici, dato che il loro ingresso

veniva limitato nel numero e condizionato

dal possesso di un invito nominativo con

le loro generalità anagrafiche.

Ritornando ad alcuni interessanti articoli

del n. 1/51, dobbiamo segnalare una dura

presa di posizione studentesca nei con-

fronti del disegno di Legge Ermini, defi-

nito inaccettabile dal Bo, in quanto faceva

prevedere un consistente aumento delle

tasse d’iscrizione all’Università e contro il

quale veniva lanciata una raccolta di firme

per il referendum abrogativo.

La pagina culturale era piuttosto ricca: un

racconto di E. Sanna sulla morte del pa-

dre, Il privilegiato, un breve saggio di Aldo

Apicella, Anche D.H. Lawrence lasciò un te-

stamento e a firma di Sam (?) Einstein l’ha

detto, Dio non gioca a scacchi, per continuare

con una poesia di Nietzsche su Venezia e

un articolo di Franco Fayenz, che divente-

rà in seguito uno dei maggiori esperti di

jazz in Italia, Jazz e pregiudizi. Nella rubrica

Tribuna libera si dibattono temi di caratte-

re politico-universitario, come Esigenza di

una riforma dei nostri Organismi Rappresenta-

tivi a firma di C. Delaini e G. Altieri, dove

si auspica la costituzione di un’assemblea

elettiva annuale.

L’annata 1951 vede pubblicato un solo al-

tro numero, il 2 del 15.05, dove in prima pa-

gina campeggia il fondo con il titolo Tempo

di crisi. L’articolo si riferisce all’agitazione

dei professori che rischia di far saltare la

sessione estiva di esami. Viene pubblicato

un ricordo di Manlio Rossi, Tribuno nel

1949-50, tenente pilota precipitato con il

suo aereo nei pressi di Brindisi.

Nella rubrica della Cultura, Sandro Zanot-

to, con un futuro di poeta e scrittore, re-

censisce la mostra del Caravaggio in corso

a Milano con il titolo Un successo che rimar-

rà nella memoria, mentre Piero Tortolina,

studente di ingegneria, appassionato col-

lezionista di pizze di film, tanto da forma-

re un’eccezionale cineteca, scrive il breve

saggio Personalità e linguaggio di Ford.

Il 1952 si apre con un numero unico dedi-

cato all’8 febbraio, con la testata in rosso.

È un numero scontato nei contenuti: Gigi

Montobbio, che a fine ’53 sostituirà Sanna

nella direzione, con la Solita storia denun-

cia la stanchezza della ricorrenza goliardi-

ca, mentre D.h.a.P. (Apicella?) con Addio

8 Febbraio descrive con crepuscolare rim-

pianto la festa.

Interessante, e importante per l’eccezionali-

tà dell’autore, è l’intervento di Alberto Savi-

nio, fratello di De Chirico, in forma di lette-

ra intitolata Saviniana, datata Roma 31.1.52,

dove il multiforme artista incita i giovani a

cercare “l’universo autentico, quello che è oggi,

non quello idealizzato dall’Università: oggi è scon-

fortante, spaventoso, ma vivo e nostro”.

Il n. 1 dell’Anno II (1952), direttore re-

sponsabile De Pantz, che passa quindi la

direzione effettiva a Emilio Sanna, an-

nuncia in prima pagina un programma

ambizioso: uscita mensile e puntuale, ad

eccezione dei tre mesi estivi, per mirare a

diventare, con 12 numeri l’anno succes-

sivo, giornale di cultura e di formazione.

Viene riportato il dibattito tenutosi a Tori-

no nel marzo, sul Convegno della stampa

universitaria, organizzato da Ateneo. Ange-

lo Ventura torna sull’argomento, allora

d’attualità, della contestazione del proget-

to di legge Ermini che potrà creare pro-

blemi di bilancio all’Università e, a causa

del forte aumento delle tasse di iscrizione,

trasformarla in un privilegio per pochi.

Nel n. 2, del giugno 1952, è interessante

l’inchiesta condotta dal prof. Rinaldo Pel-

legrini sulla Sessuologia e i relativi problemi

degli studenti, mentre tiene banco il clamo-

roso processo per i brogli all’Università,

che resta nei memoriali come “lo scanda-

lo dei libretti universitari”. Val la pena di

ricordarlo!5

Il n. 3 del giugno si apre con il popolarissi-

mo prof. Morandini, docente di Geografia

e esploratore in Patagonia, che firma il fon-

do sul I anno dei Corsi di Bressanone.

Una polemica viene aperta nei confronti

dell’U.g.i., acronimo dell’Unione Goliardi-

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storia segreta del Bo da il Bo, luglio e agosto 1953

luglio 1953 (…) La prima grana scoppiò nel giugno dello scorso anno. Ci arrivò in redazione un articolo sui Corsi di Bressanone, nel quale si rivelavano le vere ragioni dell’iniziativa. (continua)agosto 1953 Si trattava cioè di attirare gli studenti altoatesini, che ora si recano a Innsbruck, verso il Sud (e non era una scoperta perché lo sapevano tutti); ma si metteva anche in rilievo la sostanziale ingiustizia dei Corsi perché, in parole povere, si permetteva ai pochi studenti che avevano i mezzi e il tempo per recarsi a Bressano-ne, di dare – attraverso eufemistici colloqui – esami a ripetizione, confortati dalla prevedibile magnanimità dei professori che, notoriamente, in vacanza diventano miti. Supposizione che i fatti dovevano confermare. (Que-st’anno anche la Facoltà di Medicina gode di questa bazza – e naturalmente le altre facoltà protestano. Perché non portare addirittura l’Università di Padova al completo a Bressanone, visto che l’idillico clima di montagna si confà tanto a studenti e professori?).Poiché la sfera di influenza del Rettorato è piuttosto vasta, lassù si venne a sapere che sarebbe apparso sul “Bò” tale articolo. Con un seguito di telefonate perentorie, l’ex Tribuno Renzo Testolin e l’ex amministratore del CUS, Prosciutto, vennero convocati d’urgenza dal Rettore, dal quale si presero la più solenne lavata di capo della loro vita. Il Testolin scese – come riferirono testimoni oculari – pallido e disfatto. “Mai presa tanta carne in vita mia” disse nel suo simpatico dialetto. Il Rettore aveva perso la bussola, l’aveva strapazzato per bene, aveva chiamato in causa i morti per la Patria e imposto la soppressione dell’articolo incriminato, formulando oscure minacce. Tra l’altro, parlando del direttore del “Bò” ebbe a dire: “Quello direttore? Ma che vada a piantare carote!”. In una agitata seduta notturna, dopo discussioni estenuanti, dopo una spietata autocritica, dopo es-serci flaggellati a vicenda i posteriori, prevalse l’idea che probabilmente la pubblicazione dell’articolo avrebbe nuociuto al buon nome dell’Italia all’estero, (…) decidemmo di sopprimere l’articolo.Quell’estate andai a piantare carote, ma avevo un gran peso sullo stomaco. Tra una carota e l’altra, feci nuovamente l’esame di coscienza e dovetti riconoscere che ero davvero un cattivo direttore, altrimenti avrei pubblicato egualmente l’articolo, sfidando l’ira di Giove.

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censura al centrocinematograFico

Sabato 14 marzo 1953: al cinema “La Quirinetta” si prepara la proiezione del giorno successivo. E’ in corso la rassegna del CCU, il centro cinema-tografico degli studenti dell’Università di Padova, che propone un film uscito dieci anni prima, ma già un classico: “Dies Irae” di Carl Theodor Dreyer. Ambientato in un villaggio danese del Seicento, racconta la cecità e l’oscurantismo che portano la comunità luterana a condannare al rogo una donna, amante del suo figliastro, accusata di stregoneria. La pellicola, un atto d’accusa con-tro l’ignoranza e il fanatismo (e non priva di rife-rimenti all’occupazione nazista), è in programma per il giorno successivo, domenica. Ma alle 18.30 (come racconta Piero Tortolina, “Il Bo” n. 5) un fonogramma da Roma giunge, attraverso il Que-store, al direttore del cinema: la proiezione vie-ne vietata “senza alcuna motivazione”. Secondo la Questura il film non può uscire perché manca l’autorizzazione preventiva. Ma il provvedimento assume tinte molto più politiche, leggendo la fir-ma dell’autore del fonogramma: il sottosegreta-rio alla presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo, Giulio Andreotti. Una circolare del ’52 (stessa provenienza) impone ai cineclub, in effetti, di preavvertire Palazzo Chigi e la Prefettura locale nel caso siano in programma film privi del visto di censura, come appunto il capolavoro danese. Ma, spiega “Il Bo”, per “Dies Irae” la disposizione era stata rispettata. Il clamore, domenica 15 marzo, è grande. Ignari della novità, gli spettatori contestano. Nei giorni successivi, gli organismi direttivi del CCU chiedo-no l’immediata revoca del divieto. Più felpato si dimostra il Consiglio di Tribunato, che, guardan-dosi bene dal protestare, si limita a chiedere una velleitaria “giustificazione del provvedimento” a Palazzo Chigi. L’episodio, significativo del clima dell’epoca, sembra forse eccessivo ai suoi stessi artefici, e pochi giorni dopo, domenica 29 marzo, il centro cinematografico può proiettare senza fastidi un nuovo film senza visto di censura: “Un palmo di terra” di Frigyes Bán (1948).

nella pagina a sinistra le copertine del Bo del luglio e dell’agosto 1953

in basso la prima pagina del Bo del 5 aprile 1953

ca Italiana che, dall’anonimo autore dell’ar-

ticolo, viene sciolto in UGI, Unione Goliardi

Invecchiati, dopo che due esponenti nazio-

nali del gruppo laico, Stanzani e Iannuzzi,

hanno proposto l’eliminazione del cappello

goliardico e altre “buffonate” del genere.

Siamo al n. 1 dell’Anno III della nuova

serie, anno 1953. Il giornale, nel fondo

intitolato Scienza amara, rivela la profonda

delusione dei giovani che pensavano di

trovare nell’università possibilità di ricer-

ca. A parte questo allarmante articolo, il

numero è in gran parte dedicato alla rifor-

ma del Tribunato: si sottolinea il dualismo

tra Interfacoltà e Tribunato (goliardico).

Entro novembre è comunque annunciata

la convocazione dell’Assemblea costituen-

te che dovrà varare il nuovo statuto.

Emilio Sanna è stato il direttore del Bo che

più di altri è riuscito ad amalgamare una

redazione efficiente, grazie anche alla sua

durata, circa 20 numeri (dal n. 1 del ’52

alla fine del ’53). La sua direzione è stata

caratterizzata da una polemica a distanza

con il Rettore Ferro (bersagliato spesso da

vignette di Bandi e Montobbio).6

Il giornale verrà puntualmente pubblica-

to ogni mese, sino al n. 8 con il formato

tradizionale. Con il n. 9, come vedremo,

si inaugura il formato rivista, con intenti

più culturali.

Il n. 5 apre con una protesta per l’insuffi-

cienza di sale di ritrovo per gli studenti, e

con il Ricordo di E. Curiel, mitico direttore

del Bò degli anni ’30 e medaglia d’oro del-

la Resistenza, a firma di V. Calò. Ma la no-

tizia più clamorosa è l’intervento dell’on.

Andreotti, allora sottosegretario della

Presidenza del Consiglio con delega allo

Spettacolo, che vieta al CUC di proiettare

il film di Dreyer Dies irae, che Piero Tor-

tolina commenta scandalizzato. Per la pa-

gina della cultura E. Sanna si occupa del

Caso Pavese, allora autore di culto, mentre

F. Fayenz continua i suoi begli articoli sul

jazz, Jazz e colori.

Il n. 7 è un numero molto denso di in-terventi sulla riforma dello statuto e sulla rappresentanza in genere: A. Ventura se la prende con I figli di papà, gli studenti no-stalgici della goliardia che insabbiano la riforma. Vanni Bressan si domanda Aderire

all’UNURI ? Decisione che lascia, almeno per il momento, perplessi molti degli stu-denti impegnati nella rappresentanza, che considerano l’UnUri, l’organismo che rappresenta in sede nazionale i vari O.R., troppo politicizzato.Ottimo giornalista, Sanna affronta, sem-pre nel n. 7/53, Lo scandalo del Meridio-

ne, il terribile disagio dell’università del Sud, mentre una pausa culturale viene offerta dal resoconto della conferenza del prof. Sergio Bettini su Picasso e la critica.Viene infine data notizia della costituzio-

ANNI CINQUANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

ne a Padova (maggio 1953) della sezione

dell’Unione Goliardica Italiana, come ab-

biamo visto e vedremo, uno dei gruppi,

assieme al GDIU (Intesa Democratica),

assertori della necessità della riforma in

senso democratico dell’O.r.. Il manifesto

dell’UGI, che riprende quello famoso dei

princípi della Goliardia, credo meriti di

essere ricordato.7

Con il n. 9 del ’53, Il Bo si presenta con

una nuova serie, Organo del Consiglio del

Tribunato degli Studenti, e una nuova ve-

ste grafico-editoriale, come detto in prece-

denza. Si trasforma in una rivista mensile,

e si propone in due distinte parti: la prima,

che tratta i problemi della rappresentanza

studentesca e dell’università, la seconda,

che affronta alcuni temi culturali, spesso

legati all’attività dei Centri universitari.

Nell’editoriale di questo numero, firmato

dalla Redazione e dal titolo Come Diogene

stiamo andando pazientemente in cerca della for-

mula giusta…, viene esposto il programma

della nuova serie.8 Il progetto è ambizioso,

pur con il timore di appiattirsi, e non reg-

gere il confronto, con le molte altre riviste

di cultura. Ma l’intento è anche quello di

mantenere “il tono, la spregiudicatezza, il

coraggio un po’ picaresco del vecchio brut-

tissimo Bo”. La redazione si augura quindi

che la rivista venga letta, anche se la serie

precedente aveva rotto certi schemi e, pur

“bruttissima”, era letta da molti.

La rivista propone ancora in prima pagina

l’annuncio che al prossimo numero verrà

unita una cartolina, con affrancatura a ca-

rico del Tribunato, con cui rispondere a un

referendum che indichi come dovrà venire

eletto il Tribuno: ancora “a botte”, e poi af-

fiancato dal segretario dell’Interfacoltà, o

con elezione diretta a suffragio universale.

Interessante l’intervento di Sanna che ri-

prende l’argomento della stampa universi-

taria dibattuto nel Convegno di Torino del

1953, da cui sono emerse le diverse impo-

stazioni date ai periodici studenteschi nelle

varie sedi. A differenza di quanto fino allo-

ra realizzato dal Bo, (invio gratuito, ricorso

alla pubblicità per sopperire alla scarsità

di mezzi, diffusione anche nelle fabbriche

e stimolo alla lettura di tutti gli studenti,

non di una élite), gli altri periodici hanno

invece avuto una diffusione a pagamento e

il sostegno economico direttamente dalla

loro Università.9

Nella parte culturale di questo primo nu-

mero della rivista, Ludovico Zorzi inizia la

sua riscoperta del Ruzzante con una Lettu-

ra del grande pavano, mentre Luigi Nardo

si occupa della novità cinematografica del-

la “terza dimensione” nel film, che giudica

però negativamente ai fini artistici.

Nell’agosto 1953 viene pubblicato il n. 10,

e va qui segnalata la breve storia del C.U.t.,

Centro Teatrale Universitario, fondato nel

1945 da Gianfranco De Bosio, con il so-

stegno dell’allora Rettore Meneghetti e la

collaborazione dei professori Valeri, Valgi-

migli, Brunelli e Prugnetti. De Bosio, già

laureato, frequenta a Parigi a spese del-

l’Università, la scuola di teatro fondata dal

grande attore Jean-Louis Barrault: corsi di

dizione e di mimo, con l’insegnamento di

Jacques Lecoq, che è protagonista di alcu-

ne memorabili stagioni al Teatro Ruzan-

te. La bella storia del C.U.t. si conclude

nel 1953, quando il teatro Ruzante è mes-

so a disposizione degli altri Centri univer-

sitari.

Mentre si celebra il II anno dei corsi estivi

di Bressanone, esce sulla rivista la seconda

puntata della Storia segreta del Bo (non rife-

rita al periodico ma alla sede delle Autori-

tà Accademiche).

L’articolo svela le ragioni “patriottiche”

della scelta di Bressanone e il conseguen-

te intervento del Rettore (Guido Ferro)

perché non venisse pubblicato. Cosa che

avvenne. Da qui i rapporti tesi del Rettora-

to con il Tribunato o, meglio, con Sanna.

Va ricordato ancora un “ritratto” del po-

polare gestore del bar del Bo, Adolfo Sac-

chetto, che per anni vide passare nel suo

locale generazioni di studenti, lasciandolo

poi in “eredità” a Marietto, che all’epoca

era il suo ragazzo di bottega.

Le pagine culturali si segnalano per il son-

daggio sui film preferiti dai Veneti, che

vede al primo posto il feuilleton I figli di

nessuno, mentre al Festival del Cinema di

Venezia trionfa I vitelloni di Fellini.

Universa Universis Patavina Libertas è il

motto dell’Ateneo patavino, preso a pre-

stito per intitolare il numero unico pub-

blicato in occasione dell’inaugurazione

del 732° anno accademico 1953-54, quale

supplemento del Bo nel novembre 1953,

con direzione del Tribuno uscente Fabio

ANN

I CIN

QU

ANTA

vietato Baciare

Pietro Buttitta

da Il Bove, 31 ottobre 1955

Basta con le sconcerie, castità, castità! (…) La nobile schiera dei moralisti ha scoperto che per mettere fine a tutto è necessario smettere di baciarsi al cinema (…); per dimostrare che si vogliono fare le cose con tutta la serietà confacentesi alla gravità del problema, sin da ora agenti specializzati vigileranno perché alle coppiette che vanno al cinema sia impedito ad ogni costo di baciarsi. Infine i nostri benemeriti moralisti pensano che per es-sere noi Italiani i naturali depositari della civiltà latina non possiamo ridurci al livello dei barbari Inglesi, dei selvaggi Francesi e dei primitivi Baltici che si baciano senza ritegno in pubblico. (…) in Italia non c’è posto dove noi giovani, se innamorati, siamo autorizzati a baciarci, tranne naturalmente a casa nostra. Ai giardini pubblici è proibito, per le strade e nei campi pure; avevamo il cinema per sfogare, nella maniera più casta, le nostre giovanili passioni, ora questa possibilità ci è tolta. (…) non è per esibizionismo che noi giovani andiamo di questo tempo a baciarci al cinema; ma perché a casa non si può e non tanto per la opposizione dei genitori, quanto perché non essendo tutti forniti di case in cui sia possibile appartarsi, non ritenia-mo di poterci baciare in presenza di bambini e di caste zie nubili che potrebbero averne un grave danno psicologico. (…) Proponiamo che lo Stato faccia costruire piccoli locali magari in legno, dove pagando una certa quota, da fissarsi sentito il parere delle categorie interessate, sia permesso alle coppiette di incontrarsi per scambiarsi castissimi baci. Per avere maggiore sicurezza sulla castità degli incontri, potrebbero essere installati in ogni cabina occhi magici che in caso di eccessi azionassero un sistema di suoneria capace di richiamare l’attenzione del personale addetto alla sorve-glianza. Detto personale sceltissimo, senza cadere in eccessi, potrebbe indurre alla moderazione i tipi troppo focosi con ammonimenti morali e, nei casi più preoccupanti, con letture di brani di scelti autori di opere sulla castità prematrimoniale. (…) Se poi i moralisti facendo la lotta al bacio volevano giungere alla abolizione completa di questo particolare modo di manifestare il sentimento amoroso, avrebbero fatto bene a dirlo subito, noi invece di prendere la cosa scherzosamente e di perder tempo a scrivere articoli saremmo già intenti ad organizzare la rivoluzione bacista.

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sotto Fausto Coppi in un’illustrazione di Paolo Ongaro

Il campionissimo fu protagonista anche della cronaca scandalistica degli anni Cinquanta per la sua relazio-ne extraconiugale con Giulia Occhini, divenuta famosa con il soprannome di “Dama Bianca”. Entrambi già sposati, vennero duramente attaccati dall’opinione pubblica e il Papa Pio XII condannò apertamente la loro relazione. Furono processati e condannati per adulterio nel 1955

Gasperini. Questi ringrazia Emilio Sanna

per il lavoro svolto nei due anni di direzio-

ne del giornale, che lascia ora, raggiunta

la laurea.

Viene ricordato il decennale della Resi-

stenza, 1943-1953.

Si rendono noti i risultati del referendum

sulle modalità dell’elezione del Tribuno:

le risposte sono state numericamente al-

quanto deludenti (720) raffrontate agli

aventi diritto (circa 10.000 studenti).

Hanno riportato 500 voti a favore la vota-

zione “a schede”, 200 l’elezione “a botte”,

9 per un’assemblea costituente, 2 nulle.

Va detto che le cartoline di risposta do-

vevano essere affrancate dal destinatario,

cosa che non avvenne. Da qui forse l’altis-

sima astensione. In ogni caso il risultato

dava indicazioni utili sull’atteggiamento

futuro degli studenti.

Il n. 2 del 1953, sostituito dal numero uni-

co sopra citato (la numerazione comincia

a partire dal nuovo anno accademico),

viene diretto da Luigi (Gigi) Montobbio.

La rivista ospita una polemica lettera di

Sanna che rifiuta i ringraziamenti del Tri-

buno Fabio Gasperini, citato nel numero

precedente, in quanto si è sentito estro-

messo dalla direzione, in modo brusco

con l’accusa di inefficienza, propaganda

politica e maleducazione, causa dei rap-

porti incrinati con il Rettore. Gli risponde

Gasperini ribaltando le accuse.

Tiene banco comunque l’inaugurazione

dell’anno accademico che non vede pre-

senti in Aula Magna gli studenti dopo i fat-

tacci dell’anno prima. Gli studenti riman-

gono fuori dal palazzo del Bo e inaugurano

a modo loro l’anno accademico indicendo

una manifestazione a favore del ritorno di

Trieste all’Italia, mentre il Tribuno defini-

sce “impiegati dello Stato, da noi pagati”,

il Rettore e i due ministri presenti in Aula

Magna, gli on. Segni e Merlin.

C’è una novità nella veste grafica della ri-

vista a partire dal n. 3: la copertina viene

illustrata dal ritratto di Francesco Petrar-

ca, un affresco nella Sala dei Giganti al

Liviano per commemorare il 650° anno

dalla sua nascita, le riproduzioni di vedu-

te di Padova (Prato della Valle, il Santo, il

Salone, ecc…). Il numero risente dei gu-

sti letterari del direttore: abbondano gli

articoli culturali rispetto a quelli dedicati

in precedenza ai temi della Rappresen-

tanza, che sono la pubblicazione del nuo-

vo Statuto del Tribunato e il bilancio del-

l’attività dell’Interfacoltà a cura di Ferdi

Cavalli, mentre Gasperini dà l’addio alla

sua carica di reggente.

Il n. 4, del febbraio 1954, pubblica i pro-

grammi dei Gruppi universitari per le

imminenti elezioni dell’Assemblea co-

stituente, dopo che un referendum ha

bocciato lo statuto. I gruppi che si con-

tenderanno i seggi sono: GDIU (di ispira-

zione cattolica), l’Ugi (che raggruppa gli

studenti che si riferiscono ai partiti laici

ANNI CINQUANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

liberali, repubblicani, socialdemocratici e,

solo più tardi, socialisti), CUDI (comuni-

sti), S. Marco (di espressione missina) e gli

Indipendenti, goliardi tradizionalisti.

Il numero apre a un dibattito sulla filo-

sofia, stimolato da un articolo del prof.

Antonio Toniolo Sulla inutilità della filoso-

fia, pubblicato nel Bo del dicembre 1953,

mentre con una lettera al giornale Giaco-

mo Casarotto, nel decennale della morte

di Giovanni Gentile, auspica un ricordo

del filosofo ucciso dai Gap partigiani.

Il n. 5 del marzo 1954 è prevalentemen-

te occupato dai risultati delle elezioni per

l’Assemblea costituente: totale dei votan-

ti 3.708, GDIU (Intesa) voti 1.975, AGI

(Goliardi Indipendenti) 991, UGI 785, S.

Marco 352, CUDI 219. Va sottolineata l’al-

ta affluenza alle urne, quasi il 40% degli

aventi diritto (gli iscritti all’Ateneo pado-

vano erano ancora circa 10.000) e la netta

vittoria del GDIU che conquista la mag-

gioranza assoluta con quasi il 54% dei voti.

Commentano le elezioni e le prospettive

dell’Assemblea Tito Cortese Funzione della

Costituente, e A. V. Prima seduta della Costi-

tuente. Viene eletto presidente dell’Assem-

blea lo studente di Scienze Agostino Pari-

se, espresso dal GDIU, che assume anche

l’incarico di Tribuno reggente.

Il n. 9 del 1 ottobre 1954, segna la conclu-

sione della direzione di Gigi Montobbio.

Curano il numero Sanna, Vanni Bressan

e Angelo Ventura. Sanna scrive un’ampia

lettera dove dà ragione del suo operato

nella direzione quasi biennale del Bo10.

C’è un vuoto dopo il n. 9 del ’54, probabil-

mente dovuto a difficoltà di assetto dell’O.

R. colmato provvisoriamente dall’edizio-

ne “straordinaria” de “Il Bo – 8 Febbraio”,

uscita per la ricorrenza goliardica a cura

del Comitato “8 Febbraio” e diretta da uno

dei Duchi del Bo, Giampiero Bozzolato.11

Il giornale riprende le pubblicazioni come

numero unico con la testata provvisoria

de Il Bove il 31.10.1955, con la direzione

di Pierangelo Fioretto.12 Alcuni interventi

sembra vogliano raffreddare gli entusia-

smi per il nuovo assetto della Rappresen-

tanza: a firma di Vanni Garone si nota “un

penoso distacco; pochi sono coloro che

vedono nell’o.r. una scuola di democra-

zia”; e ancora “è innegabile che tra studen-

ti e Interfacoltà v’è un penoso distacco”.

Le responsabilità sono da dividere tra gli

OO.RR. che non hanno saputo proporsi

nei casi importanti e gli studenti che non

sono portati alla vita associativa. Questo è

il commento di Garone.

È interessante la ripresa di un articolo del

giurista Carlo Arturo Jemolo, dal titolo Stu-

denti al governo dell’Università, che propone:

“Vadano agli studenti pieni poteri, ma si ri-

conosca il diritto di elettore a chi ha 27 di

media e sia in regola con gli esami…” . È

evidentemente un numero di contestazio-

ne dell’Istituzione Università com’è, che

accoglie anche l’articolo di Carlo Primi

Identità sbagliata: università uguale cultura.

Il 16.11.1955 esce l’altro citato numero

unico Il Toro, diretto da Enrico Coccolo. Il

tono è qui più pacato. Gaetano Crepaldi,

che si laurea nel frattempo in medicina

con la lode, ribadisce che “politica univer-

sitaria vuol dire interessarci unicamente dei

problemi delle università (…) a prescindere

da ogni considerazione partitica”, ribadendo

così una opinione già espressa.

Si annunciano le nuove elezioni per l’As-

semblea di Tribunato.

Dal 1956 al 1959

Con data 1 gennaio 1956, viene pub-

blicato un altro numero unico, Il Bo’

nuovo con la direzione di Antonio Negri,

più noto con il diminutivo Toni, con cui lo

nomineremo in seguito. Toni Negri è un

laureando in filosofia e milita nel GDIU

ma è pressoché alla vigilia di una conver-

sione a sinistra: un anno dopo entrerà nel

ANN

I CIN

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ANTA

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come e percHÉ si vota

da Il Toro del 15 novembre 1955

L’Università di Padova non avrà più un Tribuno eletto secondo la tradizione, bensì un Tribuno eletto a voti da un’Assemblea, espressione di tut-ti gli universitari patavini. Ultimo Tribuno “a bot-te” uscito vittorioso dalla classica lotta nell’Aula di Anatomia Umana rimane Renzo Testolin. An-che noi, avversari dichiarati di tale sistema, non possiamo non rivolgere un ricordo, sfumato dalla malinconia delle cose passate, a questo periodo strettamente goliardico dell’Organismo Rappre-sentativo.La crisi del Tribuno “a botte” ha scosso dalle fon-damenta tutto un mondo di tradizioni e di usanze che anacronisticamente sussisteva nella nostra Università. Oggi l’esigenza di un Tribunato forte e rappresentativo, tale da poter incidere effetti-vamente nella vita universitaria nella tutela degli interessi di studio, delle necessità culturali ed economiche degli studenti, ha portato l’Assem-blea Costituente eletta dagli studenti patavini a formulare il nuovo Statuto della Goliardia. (…) Tale sistema elettorale, complesso a prima vista, è semplicissimo, poiché elimina le elezioni separate per l’Assemblea, il Consiglio di Facoltà e il Tribuno stesso. (…) A questa Assemblea egli dà mandato di scegliere il Tribuno, non più figura coreografica e barbuta da parata, bensì capo di un Organismo Rappresentativo riassumente nella sua persona le funzioni di Presidente dell’Assem-blea, di Segretario di Giunta e delle Facoltà.(…) Da tutto ciò appare evidente la funzione es-senziale e centrale dell’Assemblea del Tribuna-to, esprimente tutte le funzioni e i compiti della Rappresentanza. Di qui l’invito a tutti gli studenti affinchè partecipino nella totalità e con respon-sabilità all’elezione di tale Organismo, condizione prima per la funzionalità e la vitalità della vera goliardia.

“nella pagina a sinistra l’invito al voto domina la prima pagina del Toro, numero unico del 1955

PSI, divenendone consigliere comunale a

Padova. Quando per la scissione della si-

nistra interna del PSI, divenuto all’epoca

PSU, il partito si divide in due partiti (l’al-

tro è il PSIUP), Negri lascia e si avvicina ai

Quaderni Rossi del genovese Raniero Pan-

zeri, elaborando però un proprio progetto

politico, “operaista”, sino alla fondazione

di Classe Operaia.

Ci siamo dilungati in questa biografia, data

l’eccezionalità della vicenda, che contrad-

dice il giudizio che si può dare della sua

direzione del giornale: molto attenta alle

vicende del Tribunato che, come diremo

più avanti, ha avuto la sua sistemazione

definitiva, almeno fino all’esplosione ses-

santottina; appello alla collaborazione

degli studenti che appartenevano per la

maggior parte alla cosiddetta “intellighen-

zia”; attenzione all’aspetto formativo del

giornale: chi lo leggeva sistematicamente

e attentamente ne traeva profitto ai fini di

una condivisione del progetto democrati-

co della Rappresentanza.

L’importanza di questo numero unico, al

di là della nostra digressione, sta nel fatto

che esso comunica l’avvenuta elezione del

nuovo Tribuno da parte dell’Assemblea,

formata dal voto appena espresso in base

allo Statuto approvato dalla Costituen-

te dell’aprile 1954. Anche se il numero

dei votanti è stato sensibilmente inferio-

re a quello registrato in occasione della

Costituente (2.085 contro 3.722), con la

maggioranza assoluta conquistata ancora

dall’Intesa (GDIU), l’avvio del nuovo Tri-

bunato promette una gestione al riparo

dalle contestazioni sulla sua democraticità

e anche Il Bo riceve un indirizzo chiaro.

Tribuno è Luigi Amaducci, studente di

medicina, che diventerà ordinario di Bio-

logia all’Università di Firenze. Importan-

te, tra l’altro, è la parte del suo program-

ma dedicata al giornale la cui illustrazione

è affidata alla Redazione.13

Gianfranco Poggi che, laureatosi in leg-

ge, diventerà sociologo con cattedra, ini-

zialmente, all’Università di Edimburgo,

affronta in una prima puntata La tesi di

laurea: i problemi dell’impostazione metodolo-

gica. Fonti, letteratura e schedatura. Enrico

Berti, rappresentante di Facoltà per il cor-

so di Filosofia, laureatosi in Filosofia farà

una rapidissima carriera universitaria sino

a diventare, nel tempo, uno dei più noti

filosofi italiani e presidente della SFI (Soc.

Filosofica Italiana), invita alla discussione

sui Problemi di Facoltà.

Una pagina intera è dedicata al Congresso

degli OO.rr. italiani convenuti a Geno-

va dove, per Padova, hanno partecipato

il Tribuno e Gaetano Crepaldi: vengono

riportate le mozioni, sulla riforma della

Scuola, sull’esame di Stato e sugli esami di

febbraio.

Al primo numero della direzione Negri, il

sopraccitato “numero unico” dell’1 gen-

naio, segue un altro numero unico con la

testata Il nuovo Bo, sempre per le ragioni

burocratiche della registrazione. Il giorna-

le è decisamente speciale per il concorso

eccellente di collaboratori, il fior fiore di

studenti cui arriderà un brillante futuro.

Esordisce Roberto (Bobe) Riccoboni con

Note sul progetto Malagodi che prevede il

riconoscimento giuridico degli OO.RR.,

in particolare della Rappresentanza na-

zionale degli stessi (l’UnUri). Riccoboni

è all’epoca un esponente della Gioventù

Liberale e in seguito avvocato civilista di

grido. Assieme ad Alberto Schön e Alber-

to Limentani, compagni di classe al Liceo

Tito Livio di Padova, ha formato un “trio”

che interveniva spesso sul giornale studen-

tesco La Pesa. Schön diventerà un noto psi-

canalista, con frequenti interventi sul Bo

mentre Limentani, allievo di G.F. Folena,

avrà la cattedra di Filologia Romanza a Let-

tere e sarà un assiduo collaboratore del Bo’

con i suoi Foglietti e con le colte recensioni

di romanzi di autori contemporanei.

Ma vanno citati ancora Paolo Ceccarelli,

studente di Architettura allo IUAV di Ve-

nezia, figlio del grande chirurgo Galeno,

che scrive su Cultura Popolare a Padova;

diventerà poi Preside dello IUAV e Ret-

tore della nuova Facoltà di Architettura

di Ferrara alla cui fondazione darà deter-

minante contributo; Laura (Lula) Balbo,

che recensisce un libro del prof. L. Caiani

sui problemi dell’Università italiana; più

tardi, la Balbo diventerà una sociologa di

fama internazionale e ministro delle Pari

Opportunità nel Governo D’Alema (1998-

2000).

La direzione di Toni Negri, dopo due nu-

meri unici, esce con un numero speciale,

dedicato alle Feriae matricularum dell’8 feb-

braio 1956. Il fondo, a firma del direttore

(A.N.), è la celebrazione ufficiale di tale

ricorrenza, cedendo in parte ai fasti della

goliardia che fu, ma è soprattutto la cele-

brazione di un avvenimento eccezionale. “L’8 febbraio 1956 cade nel 734° anno acca-

demico – scrive Negri – (…) poche settimane

fa il Tribuno, parlando di fronte al Magnifico

Rettore e al Senato Accademico, lo ha dichiarato

aperto. In questa occasione il Tribunato è stato

ufficialmente riconosciuto dall’Autorità Accade-

mica. Con questo riconoscimento, ottenuto gra-

zie alla lunga, seria opera della Rappresentan-

za, gli studenti tutti escono dalla condizione di

minorità (…). L’8 febbraio 1956 segna perciò

una tappa decisiva nel cammino degli studenti

verso l’autogoverno della loro università”. Due pagine intere sono occupate dalla cronaca di questo eccezionale avvenimento, con il testo integrale del discorso del Tribuno Amaducci. Finalmente il 29 febbraio 1956 Negri inaugura con il n. 1 della sua direzione, Il Bo senza appellativi, riprendendo il mo-tivo grafico della testata già usato nel Bo’

ANNI CINQUANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

dedicato all’8 febbraio. Si tratta di mezza

colonna verticale dove è inserito un par-

ticolare di Guernica, il celebre quadro di

Picasso, che rappresenta una testa di toro

che assiste inorridito alla strage perpetra-

ta dai bombardieri tedeschi nella cittadi-

na spagnola durante la guerra civile, nel-

l’aprile del ’37. Quella testata rimarrà poi,

in dimensioni più ridotte anche sulle suc-

cessive annate del giornale studentesco.

L’esordio è un po’ povero, trattandosi

di un giornale di 4 pagine, sia pure con

un paio di articoli interessanti: quello di

Beppe di Palma I manovali dell’Università,

è necessario rivalutare la figura il lavoro e la

funzione dell’assistente. L’Assemblea approva

lo statuto del CUC; il vice Tribuno Giorgio

Vanzo si domanda “… a chi interessa l’8 feb-

braio”, dopo averne seguito l’organizzazio-

ne e lo svolgimento. Il commento è molto

amaro dato il deludente risultato su tutti

i fronti.

Con la direzione di T. Negri viene varata

un’altra serie che si rifà al Bò degli anni

’30, numerandola come XXI. Si riscopre

così la continuità con il giornale che fu di

Eugenio Curiel.

Il Bo dal n. 3 del ’56 prende tuttavia un’im-

postazione più sindacale nei numerosi ar-

ticoli dedicati prevalentemente al lavoro

dell’Assemblea, le cui relazioni sono af-

fidate a Fabio Pasti e al già citato Enrico

Berti, con momenti meno cronachistici e

più monografici. Ad esempio una pagina

intera viene dedicata alla Casa dello Studen-

te: dall’albergo al college considerato l’unico

mezzo attuale per fondare una comunità

universitaria.

C’è anche un contentino ai Goliardi Tra-

dizionalisti, con la cronaca della visita al

Bo di Miss America e di Miss Italia, Toccare

per credere… a firma di T.t., Toni Tonzig,

leader del gruppo e vice Tribuno.

Del n. 5/56 la pagina 2 è interamente

dedicata al CUS: relazione sulla sua atti-

vità e un articolo di Negri che chiede il

chiarimento dei rapporti Tribunato-CUS,

in seguito alla “querelle” che, almeno dal

’51, li oppone. Il CUS non vuole infatti es-

sere sottoposto al Tribunato che rivendica

invece la sua unitarietà. Il problema verrà

risolto nel 1958.

Con il n. 7 del novembre 1956 inizia la di-

rezione del Bo di Gino Tessari, studente di

chimica che diventerà ordinario di Chimi-

ca Organica a Urbino. Tessari, che è an-

che presidente del GDIU, resta nel solco

tracciato dalla direzione Negri. Questi dà

l’addio alla direzione del giornale con un

testo alto di moralità e umanità di fronte ai

fatti di Ungheria, di Cipro, di Algeri.14

Il giornale riporta anche la solidarietà

espressa dal Senato Accademico “alle Uni-

versità di Ungheria, ai loro studenti, ai loro

professori, sempre memore dei suoi figli caduti

per la stessa causa, dai moti del 1848 all’insur-

rezione del 1945”, cui si unisce l’Assemblea

del Tribunato che “esprime la sua commossa

solidarietà con gli studenti e con gli operai un-

gheresi, insorti per un insopprimibile bisogno di

libertà, e il suo sdegno per la feroce repressione

condotta dall’esercito sovietico (…)”

Vengono indette dal Tribuno le elezioni

per l’Assemblea di Tribunato dal 27 no-

vembre al 3 dicembre, in un momento

particolarmente delicato per la rappresen-

tanza degli studenti delle università italia-

ne. Il Ministero della Pubblica Istruzione

ha inviato alle Università la circolare 4800

che impone ai loro Consigli di Ammini-

strazione di suddividere in varie voci i fon-

di dell’O.r., determinando l’entità della

cifra per ciascuna di esse. È un’autentica

bomba, come la definisce il neo direttore

Tessari nell’articolo La circolare Rossi (dal

nome del ministro che l’ha emanata) o del

paternalismo; se applicata lederebbe l’auto-

nomia decisionale dell’O.r. regolarmente

eletto con il riconoscimento delle Auto-

rità Accademiche. Si profilano legittime

manifestazioni di opposizione.

Anche l’Intesa (gdiU), presieduta da Tes-

sari, fa il bilancio di un anno di lavoro e

pone le basi per quello futuro in prepara-

zione della prossima campagna elettorale.

A loro volta Parlano i Tradizionalisti che,

nell’articolo a firma di Toni Tonzig an-

nunciano “la nostra lotta per una autono-

mia nell’Università”.

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nella pagina a sinistra Guernica di Pablo Picasso (1937) e un particolare della testata del Bo’ ispirata al dipinto. Il giornale modificherà più volte la testa-ta ma l’associazione con questa immagine simbolo durerà fino agli ultimi numeri del 1968

a sinistra Budapest, ottobre-novembre 1956La folla davanti all’ex ufficio centrale della Szabad Nép (il giornale del partito comunista) e il “volo” del-la prima edizione di Függetlenség (Indipendenza). Foto di Erich Lessing, Magnum Photos/Contrasto

Anche gli altri gruppi universitari si pro-

pongono in vista delle imminenti elezioni:

l’UGI invoca la Democrazia universitaria per

il reale sviluppo della Rappresentanza, è il pro-

gramma firmato da Gianfranco Schininà,

presidente dell’ Ugi di Padova; mentre

Pino della Frattina del S. Marco chiede

Una nuova rappresentanza in quanto, a suo

giudizio, gli OO.rr. non interpretano i

bisogni degli studenti.

Felisari polemizza invece in Vita democratica

e comunitaria nell’Università con quanti sono

ancora nostalgici della goliardia vecchia

maniera e cercano di dimostrare l’inutilità

per gli studenti di organizzarsi democra-

ticamente. In particolare l’articolo citato

polemizza con il FUAN, l’organizzazione

universitaria neofascista cui aderisce a Pa-

dova il S. Marco, che attacca la democrazia

universitaria in quanto “democrazia”.

In previsione dell’8 febbraio 1957 viene

pubblicato il n. 1 dell’Anno XXII; è l’ulti-

mo della direzione di Gino Tessari, il quale

esterna nella prima pagina una profonda

riflessione sulla imminente festa goliardi-

ca, in forma di Lettera ai lettori.15

È ancora vivo il dibattito sul contestatissi-

mo “esame di Stato”, che viene affrontato

in un lungo articolo che ne distrugge le

premesse, mentre in prima pagina viene

pubblicata la mozione, a firma Felisari-

Tessari, che propone all’UNURI di farsi

carico della raccolta di 500.000 firme per

indire il referendum abrogativo.

Si cita inoltre, prima di chiudere l’annata

1956, il supplemento al n. 6 di quell’anno,

un fascicolo dedicato all’Inchiesta sui lau-

reati in lettere e in medicina dell’Università di

Padova nel 1947.

Nel gennaio 1958 viene pubblicato il n.

1 dell’Anno XXIII, per l’ennesima nuova

serie. Direttore ne è Stefano Reggiani che,

con il n. 2, passerà poi la mano a Felisari.

Appare, e lo sarà per molti numeri anco-

ra, anche nel corso degli Anni ’60, come

responsabile Gino Tessari, per le ragioni

già dette.

Mi corre quasi l’obbligo di citare il mio

fondo di quel numero, che è prevalente-

mente dedicato alle imminenti elezioni

per l’Assemblea di Tribunato, in quanto

riporta un brano importante di un artico-

lo del prof. Adriano Buzzati Traverso, che

insegna a Milano ed è fratello del più noto

Dino, giornalista e scrittore bellunese,

pubblicato sul Giorno diretto allora da G.

Baldacci e molto diffuso tra l’intellighen-

zia studentesca.16 Il redattore plaude, invi-

tando gli studenti, in occasione dell’immi-

nente voto, a rendersi conto della validità

delle posizioni dell’O.r.

Alla sbarra l’esame di Stato è un altro arti-

colo sul tema dominante di quell’anno,

dopo l’introduzione dell’esame, ritenuto,

a ragione, un inutile strumento burocrati-

co e, in quanto tale, contestato anche dai

professori, Rettore in testa.

Dal n. 2 del marzo 1958, anno XXIII,

sempre direttore responsabile G. Tessari,

inizia la direzione di Giulio Felisari, nomi-

nato dal nuovo consiglio di Tribunato. Un

fatto nuovo è il fondo di esordio di Felisari

- che dirigerà poi i restanti numeri del ’58

(3-6) e 1-2 del ’59 - commento ai risultati

delle elezioni da poco conclusesi. Il fatto

nuovo riassume due fatti: il primo è l’alto

numero di votanti (3.202, quasi 1.000 in

più delle precedenti elezioni, e circa il

ANNI CINQUANTA

ungHeria, 1��6

È l’alba del 4 novembre 1956 quando le trup-pe sovietiche iniziano dalle periferie a diriger-si verso il centro di Budapest. Le cifre della repressione sono ancora oggi sconosciute nella loro esattezza: si parla di tremila morti tra la popolazione civile, mentre duecentomila esuli avrebbero lasciato l’Un-gheria per i paesi del blocco occidentale. Alcuni di loro arriveranno a Padova; l’ateneo patavino è tra le prime istituzioni a muoversi: il rettore Guido Ferro, d’accordo con il tribu-nato degli studenti, manda subito due ca-mion a Vienna, dove si sta ammassando la maggior parte dei profughi. Portano viveri e coperte, tornano con a bordo venti studenti, ai quali sarà garantito vitto, alloggio e iscri-zione all’Università.

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

40% degli iscritti) un risultato di tutto ri-

spetto che dà maggiore credibilità e forza

rappresentativa al Tribunato. La seconda

novità, anch’essa importante che riequili-

bra i rapporti di forza tra i gruppi universi-

tari presentatisi all’elettorato, è la perdita

della maggioranza assoluta della GDIU,

che aveva fino allora monopolizzato il

Tribunato, sia pure con aperture agli altri

Gruppi. Questo risultato porterà l’UGI al

governo del Tribunato assieme al GDIU,

con altro peso rispetto alla precedente

Giunta. L’Ugi appoggerà l’elezione a Tri-

buno di Paolo Benciolini, studente di me-

dicina (ora cattedratico di Medicina lega-

le a Padova)17. Il fatto nuovo è anche che

Intesa e UGI sono antesignani in Italia di

una giunta, qualificabile di centro-sinistra,

che anticipa di cinque anni la formula

adottata dal Governo nazionale del 1963.

Per quanto riguarda Il Bo, l’impegno è per

una periodicità più regolare e una veste

grafica più dignitosa, palestra di libero di-

battito per gli studenti.

Passando ad altro articolo, sempre di Fe-

lisari, sull’esame di Stato, con il titolo Vit-

toria amara, l’autore chiarisce che non si

tratta della recensione del film di Nicholas

Ray allora sugli schermi con il medesimo

titolo, ma “dell’abilitazione provvisoria”

che soddisfa provvisoriamente, appunto,

gli studenti ma che non risolve i problemi

di fondo del contestato esame. Tutto sarà

rinviato a settembre.

Va citata, come fatto di costume, una bella

foto dell’americana Gloria Davy, la splen-

dida cantante nera che furoreggiava allora

per bellezza e doti canore: una breve nota

firmata da Pino (Bottacin) ironizza sulla

presenza massiccia di professori al con-

certo, pur affollatissimo, tenutosi alla Sala

dei Giganti del Liviano, domandandosi se

questi fossero stati richiamati, superando

pregiudizi di razza, più dalle doti fisiche

della bella Gloria che dalle pure notevolis-

sime doti canore di soprano.

Il n. 3/58 dell’aprile-maggio, si presenta

corposo di 12 pagine (è stata scelta la pe-

riodicità bimestrale), ed esce alla vigilia

delle elezioni del Parlamento Nazionale

della III legislatura repubblicana. Il Bo ne

prende spunto con il fondo firmato G.F.

(Giulio Felisari) intitolato 25 Maggio dove

ci si riferisce a un’inchiesta commissiona-

ta alla doxa dal settimanale L’Espresso.

L’inchiesta-sondaggio riguardava l’opi-

nione degli elettori sui più importanti

problemi che travagliavano l’Italia e che

si sarebbe dovuto affrontare (risolvere?)

nella imminente legislatura. Nessuna do-

manda riguarda la Scuola. Meraviglia vie-

ne espressa nell’articolo per il fatto che

un settimanale, pur sensibile ai problemi

sociali, non avesse tenuto conto che, al-

l’epoca, esistevano in Italia ben 5.000.000

di analfabeti o semianalfabeti.

Il Tribuno Benciolini, in prima pagina,

ribadisce su Compiti e limiti del movimento

studentesco, i princípi cui si ispira la rappre-

sentanza studentesca, soprattutto incentra-

ta sulla “autonomia” da condizionamenti

esterni, di partiti o altro, mirata com’è a

operare all’interno dell’Università e delle

sue strutture.

Spicca poi una lettera di Lajos Pinter, se-

ANN

I CIN

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ANTA

a ovest

Toni Agostini da Il Bo’, 15 dicembre 1954

Gli studenti spagnoli sono sempre dei cordiali amiconi. Simpatici, forse un po’ troppo espansivi, ti stordiscono con la loro compagnia fanciullesca-mente rumorosa. Sono sempre in subbuglio, pronti ad andare a letto alle ore più strane, ma nemici di-chiarati delle levate mattutine. Pronti a stonare in qualunque canto, ma vivi e ritmici in ogni ballo. Per le ragazze è tutto un altro discorso. Hanno tutte, dico tutte, occhi meravigliosi, dotati di una triste e lucente espressione d’arabe, che mai sanno sorri-dere. (…) E come tutti gli spagnoli, forse più di tutti, i nostri colleghi d’oltre Pirenei conoscono ed amano un’arte tutta loro: l’arte di saper perdere il tempo. Dico perdere, non buttar via: ossia lasciarlo scorrere così, tra le mani, in maniera che lasci una sola im-magine di sé: una non-traccia, una assenza asso-luta di rimpianto e di desiderio che ritorni. Sono più di 50.000 gli studenti che frequentano le dodici Uni-versità del Paese. (…) Una chitarra, poche musiche ed un cantar sommesso. Non è retorica, o ricerca di un facile folclore. E’ l’impressione di una realtà. Lo studente spagnolo è come una persona di una certa età che, arrivata ad avere una discreta posi-zione, vive bene nel suo guscio, senza preoccupa-zione alcuna. Per loro non c’è il problema di inserirsi in una qualche struttura sociale: si lascia passare il tempo, si cursa la facoltà che si è scelta, e poi, una volta laureati, o ci si inserisce nell’attività paterna o si continua a studiare per presentarsi alle oposicio-nes (concorsi di Stato) per ottenere questo o quel posto. (…) Di politica non si parla, non perché non se ne possa parlare – si può anche dir male di Fran-co, un po’ sottovoce, se si vuole – ma perché non serve, è senza scopo, senza alcuna “applicazione” pratica. A dir il vero, non ci sono molti Falangisti fra gli studenti – anzi sono pochi – ma non si è di alcuna altra idea, di alcuna altra opinione, si lascia scorrere il tempo fra le dita, così, senza traccia, anche in questo campo.

sopra il paginone “europeo” del Bo’, 15 dicembre 1954

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gretario nazionale degli studenti unghe-resi presenti in Italia, qui rifugiatisi in fuga dal loro Paese in seguito alla rivolta anticomunista del novembre 1956. Lajos, studente di medicina, poi ottimo odon-toiatra, rivolge un ringraziamento a quan-ti hanno contribuito (professori, studen-ti, associazioni e autorità) a costituire un fondo per il sostentamento degli studenti ungheresi esuli, che però ora sta esau-rendosi, e annuncia la fondazione di un club italo-ungherese a fini culturali, per la reciproca conoscenza. Un particolare ringraziamento Lajos rivolge al prof. An-gelo Bianchi, che per conto del Rettore ha seguito, non certo burocraticamente, l’assistenza ai giovani esuli.In una garbata lettera al Rettore, Paolo Benciolini spiega le ragioni della forte protesta studentesca per la riduzione da tre a due degli appelli d’esame decretata dal Senato Accademico.Le altre pagine del giornale sono dedi-cate all’attività dei Centri, in particolare al CRUE, con un articolo sui campi di la-

voro, allora frequentati da molti studen-ti, definiti da Giorgio Lolli “croce e delizia:

sono campi siberiani per chi ama le comodità,

sono weekend per chi si adatta…”Il vice Tribuno Galeazzo Brancalion dà della “maleducata” a Miss America, cui doveva essere conferita la matricola ad

honorem, non essendosi lei nemmeno presentata, mentre il quasi-medico Enzo Semini si lamenta, con l’articolo Freud in

aula di studio, della separazione “sessuale” nelle aule di studio e nelle mense. Di qua i maschi, di là le femmine, e il commento visivo viene lasciato alla foto di una Brigit-te Bardot imbronciata, segregata dietro le sponde di un letto antico.Il n. 4 del giugno 1958 dovrebbe essere un numero estivo, ma non si sente l’aria di imminenti vacanze. I vari e numerosi interventi sono infatti tutti incentrati sul-la vita del Tribunato (un consuntivo di tre mesi di Assemblea viene steso da Fe-lisari, che fa soprattutto il punto sui Cen-tri, tra cui sembra una novità il progetto di costituire una struttura permanente

per l’8 febbraio, quasi un nuovo Centro). Michele Sernini, che subentrerà alla dire-zione di Felisari a partire dal n. 3 del ’59, recensisce la raccolta di saggi di Guido Calogero Scuola sotto inchiesta, dove una proposta dell’autore fa scalpore: Calogero propone che vengano multati i professori assenteisti (10.000 lire per ogni lezione “saltata”), affrontando però anche temi cruciali, quali la laicità della scuola e la necessità di riforme.Un libro attuale ancor oggi.Due studenti, che avranno un brillante

futuro, Lorenzo Renzi, allievo di G.F. Fo-

lena e attualmente ordinario di Filologia

romanza a Padova, e Giuliano Scabia,

pirotecnico affabulatore al DAMS di Bo-

logna, autore di libri di culto quali Mam-

maNane oca, curano un’intera pagina, con

il vistoso titolo Povera e nuda vai Filosofia.

È un’inchiesta sull’insegnamento della

Filosofia alla Facoltà appunto di Lettere

e Filosofia. Sottotitoli Come la vorremmo,

elegia del sillogismo, e Com’è ora, la Riforma

Gentile del 1923.

Viene ripresa la lettera indirizzata dal Tri-

buno al Magnifico per chiedere il ritiro del provvedimento sulle firme di frequen-za: Una spinosa questione come la definisce la nota che accompagna la pubblicazione della lettera, con un’aggiunta: le firme come

figurine preziose.Il fondo firmato da Felisari nel n. 5, anno XXIII del settembre-ottobre 1958, intito-lato L’elezione del Rettore, ordinaria ammi-

nistrazione?, commenta la conferma del prof. Ferro, per la quarta volta, a Magni-fico Rettore.18

Un fatto importante per il Tribunato guadagna un ampio spazio in prima e seconda pagina: si tratta della positiva conclusione di una annosa diatriba fra Tribunato e CUS, che stabilisce l’accordo e accetta di sottoporre il bilancio delle sole attività sportive (non agonistiche) al controllo dell’Assemblea, che destina 2.500.000 all’anno al suo finanziamento, a parte eventuali ritocchi.

Ma il giornale non poteva dimenticare

un avvenimento che cambiò profonda-

mente il costume e i cui effetti sono di-

scussi oggi quasi quotidianamente. Ci ri-

feriamo alla “fatale” Legge Merlin e alla

conseguente chiusura delle case di tolle-

ranza il 20 settembre 1958. Il Bo interven-ne sull’argomento con un mio articolo

ANNI CINQUANTA

a est

Vincenzo Calò da Il Bo’, 15 dicembre 1954

Nell’Unione Sovietica lo studente è considerato un lavoratore che si specializza e pertanto riceve uno stipendio, oltre a non pagare tasse e ad avere vitto ed alloggio gratuiti se proviene da città dove l’Uni-versità non c’è. (…) Un’altra via per giungere all’Uni-versità è quella che parte direttamente dai campi e dalle officine, dove corsi serali e per corrisponden-za permettono a qualsiasi lavoratore che ne abbia voglia, giovane o anziano che sia, di sostenere gli esami di ammissione, continuando poi a percepire lo stipendio dall’azienda in cui lavorava per il pe-riodo di frequenza all’Università. Lo stipendio del-lo studente varia, aumentando, dalle “matricole” agli “anziani” e dalle facoltà più facili a quelle più impegnative. Inoltre in uno stesso corso il più alto stipendio lo riceve naturalmente chi prende i voti migliori ed il massimo chi, oltre all’ottimo profitto, si dedica anche ad “attività sociali”, vale a dire circo-li ricreativi, club, associazioni culturali, seminari di ricerca, conferenze ecc. (…) In ogni gruppo gli stu-denti più bravi dedicano una parte del loro tempo ad aiutare i ritardatari, e si comprende come, con questo sistema, siano veramente pochissimi quelli che falliscono agli esami finali, perdendo diritto, per l’anno successivo, allo stipendio (si potrà frequen-tare i corsi a proprie spese). (…) Alcune notizie infi-ne sull’Università Lomonosov di Mosca, mi pare la più grande del mondo e senza dubbio la più bella dell’Unione. E’ alta 317 metri, con 32 piani e 110 ascensori; oltre a 2000 laboratori scientifici, a cen-tinaia di aule, palestre, cinema, teatri, piscine co-perte, palestre, biblioteche, ospita 6000 stanze per studenti (…). E’ dunque il regno di bengodi l’Uni-versità sovietica? Niente affatto. Se anche assicura a qualsiasi giovane, sia esso figlio di operai o con-tadini o impiegati, la possibilità di studiare, se gli toglie le preoccupazioni economiche, se lo fornisce di un’attrezzatura scientifica invidiabile per studiare e specializzarsi, richiede tuttavia allo studente uno sforzo ed un’applicazione continua nello studio veramente notevole.

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

in alto le pecette della censura a Modigliani fanno notizia nel Bo’ dell’1 gennaio 1959 a sinistra La polemica sulla cessione del Collegio Pra-tense nel numero di ottobre - novembre 1959

che non rinnego, nonostante il dibattito attuale consideri quella legge esiziale, vi-sta l’insopportabile diffusione della prosti-tuzione di strada e il suo delittuoso sfrut-tamento con la riduzione in schiavitù di migliaia di giovani donne, pressoché tutte straniere.In Addio Norma, dal nome della più famosa tenutaria di Padova, stigmatizzavo innanzi tutto, forse ironicamente, la mancanza di stile del Governo sulla scelta della data: la coincidenza con la “breccia di Porta Pia” e la conquista di Roma ad opera dei Bersaglieri di Lamarmora (ricordiamo, 20 settembre 1870), poteva forse essere evitata.19

Il n. 1 gennaio del 1959, anno XXIV pone, nel fondo d’apertura, l’inaugurazione del 737° anno accademico. Lo firma G. Feli-sari, che ne ricava un quadro allarmato e allarmante della situazione dell’Univer-sità italiana. Il cauto ottimismo, espresso dal Rettore nella sua relazione inaugurale, appare superato dagli avvenimenti di di-cembre. Assistenti e Professori incaricati hanno proclamato uno sciopero duro, che può compromettere il regolare svolgi-mento dell’anno accademico.20

Dopo cinquant’anni lascio a chi legge il commento!Pur tuttavia un fatto nuovo, questo sì ras-sicurante, va ricordato di quell’inaugu-razione: dopo anni di polemica assenza dall’Aula Magna, gli studenti vi sono ritor-nati.21 Soltanto il canto della Vispa Teresa e Canto della mosca hanno ravvivato alla fine l’ambiente.Di questo numero meritano di venire ri-cordati il dissacrante intervento di Aldo Bardusco sulla caduta di un mito: Elegia

goliardica; e la forte presa di posizione di Enzo Semini, incaricato del Diritto allo studio, sulla deprimente statistica che solo l’1% degli studenti è assistito gratuitamen-te, per cui impone un perentorio titolo al suo articolo: Si attui il diritto allo studio.

Vorrei ricordare poi, una presa di posizio-ne che testimonia la costante attenzione del Bo’ di quegli anni, di fronte a certe decisioni della Magistratura o del Gover-no che rispecchiavano una ancora diffusa mentalità codina. Mi riferisco al grottesco episodio del sequestro, su tutto il territorio nazionale, della Rivista Italia domani che aveva pubblicato il Nudo coricato di Modi-gliani esposto alla Mostra di Palazzo Rea-le a Milano, senza coprirne le cosiddette pudenda. Il provvedimento era stato preso dalla Procura di Genova sulla base dell’art. 528 del Codice Penale, ritenendolo pubbli-cazione oscena. Il Bo’ pubblicò l’immagine del quadro su tre colonne, avendo tuttavia la “prudenza” di apporre delle pecette sul-le parti compromettenti.L’ultimo numero diretto da Felisari è il n. 2 del febbraio 1959. Il giornale si apre con il titolo a piena pagina Elezioni, si vota per il

rinnovo dell’Assemblea di Tribunato, ed è per-tanto quasi interamente dedicato alla cam-pagna elettorale dei Gruppi studenteschi.Dei tre restanti numeri del 1959, da noi presi in esame (n. 3, 4, 5), diretti da Mi-chele Sernini, studente di Legge, ugino, che diverrà docente di Sociologia e di Pia-nificazione urbana inizialmente all’IUAV

e poi cattedratico alla Facoltà di Architet-tura di Reggio Calabria, va detto che si tratta di numeri piuttosto smilzi, quattro pagine, con pochi argomenti affrontati, ma approfonditi.Sul n. 3 vengono pure pubblicati i risul-tati delle elezioni alle quali hanno votato 3.144 studenti, pari al 35% degli iscritti, in leggero calo rispetto alle precedenti ele-zioni che avevano toccato quasi il 40%.Giancarlo Zizola, che qualche anno più tardi diventerà uno dei più qualificati va-ticanisti della stampa italiana e autore di saggi, inizia un’inchiesta sugli studenti francesi della “nouvelle France”, intitolan-dola Le sardine della Sorbona, che conclude-rà con altre due puntate nei numeri suc-cessivi riferendosi all’affollamento della prestigiosa università parigina.Nel n. 4, nell’articolo di fondo, Michele Sernini relaziona sull’VIII Congresso del-l’UNURI svoltosi a Cattolica, dove si sareb-be dovuto stendere un consuntivo di dieci anni di rappresentanza nazionale. Ma il giudizio di Sernini è piuttosto negativo: il dibattito ha invece portato alla luce le dif-ficoltà interne dei singoli Gruppi presenti in Giunta e in particolare dell’UGI, tallo-nata dai molti ex ugini confluiti nell’AGI (Associazione Goliardi Indipendenti).Orio Caldiron, fresco segretario politico dell’UGI - diventerà anni dopo Presiden-te dell’Istituto Luce a Roma - affronta su quattro colonne del giornale la “Riforma

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della Facoltà di Lettere”, relazionando sul

dibattito tenutosi al Ruzante aperto dal

prof. Dal Pra.

In ultima pagina il Tribuno Anesi, catto-

lico, stigmatizza il ventilato finanziamen-

to statale al Collegio Mazza, mentre lan-

guono i mezzi per istituire colleges statali e

affronta anche la questione del Collegio

Pratense che sta per essere ceduto dal

Comune di Padova al Demanio militare,

grave questione che verrà ripresa in modo

molto più diffuso sul numero successivo.

Il n. 5, dell’ottobre-novembre ’59, annun-

cia con certezza la cessione al Demanio

militare del Collegio Pratense, situato in

via Cesarotti, parallela alla Basilica del

Santo. Il collegio, fondato nel XIV seco-

lo dalla nobile famiglia Prata, era stato

richiesto fin dal 1939 dall’Università di Pa-

dova, per destinarlo a collegio e ne aveva

ottenuto una prelazione. Il circostanziato

articolo pubblicato in prima pagina porta

la prestigiosa firma del prof. Egidio Me-

neghetti, primo Rettore del dopoguerra,

ed è concesso al Bo’ dalla Rivista socialista

Progresso Veneto. Meneghetti fa la storia dei

rapporti Università-Enti locali (Comune e

Provincia di Padova) da cui risulta il buon

diritto dell’Ateneo a far valere la sua pre-

lazione: ma la decisione del Comune era

già stata presa.

Il Tribunato fa affiggere in città un mani-

festo di protesta al riguardo, mentre Ser-

nini, nel fondo da lui firmato e intitolato

Università e campanili, interviene sulla pro-

liferazione di sedi universitarie nel Veneto

(a partire da Verona) a danno di Padova

e della miglior organizzazione degli stu-

di universitari, specialmente in un Paese

come l’Italia scarso di mezzi.

Conclusioni

Siamo giunti alla conclusione di questo

lungo articolo, che forse sfonda lo spa-

zio che gli era stato assegnato, ma a dieci

anni di un giornale, ancorché studentesco,

con la pubblicazione di oltre 40 numeri e,

in più, testimonianza costante, anche se

non sempre puntuale, di una università in

trasformazione, nei suoi dirigenti, nei suoi

ordinamenti, soprattutto nei suoi studen-

ti, in un mondo profondamente cambiato,

dopo una guerra che ha lasciato pesanti

strascichi nella politica, nella società, nel-

l’economia e nel costume, abbiamo dedi-

cato un esame approfondito.

Crediamo quindi che fosse doveroso tener fede all’assunto iniziale: la pur concisa sto-ria di Il Bo non avrebbe potuto prescinde-re dal soggetto di cui si interessava, cioè il movimento studentesco padovano, da cogliere nel passaggio dalla goliardia tra-dizionale a un organismo rappresentativo eletto democraticamente, con tutte le im-plicazioni del caso.E non si poteva prescindere, a nostro avviso, dal ricordare i protagonisti di questo movi-mento, ne fossero avversari o fautori, con brevi cenni biografici che ne hanno eviden-ziato la notevole qualità intellettuale.Dopo gli anni ’50 cruciali, come già det-to, per Il Bo e la nostra rappresentanza studentesca, ha iniziato a soffiare il vento della contestazione giovanile, alla rincorsa di una mitica palingenesi che ci ha fatto scavalcare forse il Vecchio Mondo, facen-doci perdere tuttavia quello che faticosa-mente avevamo costruito in dieci anni di costante impegno e la speranza di una so-cietà migliore.

Note1 Va subito sottolineato che si tratta del n. 1 dell’anno I, cioè di una nuova serie che segna una discontinuità, almeno formale, con le annate pre-cedenti. Non so dare ragione di questo salto, se si è voluto affermare una rottura con il passato (quel-lo fascista o quello degli anni post bellici sino al ’50), pur mantenendo il titolo della testata, o se si è trattato di una semplice esigenza burocratica.La discontinuità della numerazione delle annate pur nella persistenza della testata – a parte, come vedremo, alcuni numeri unici pubblicati per lo più in occasione della ricorrenza goliardica dell’8 Feb-braio – è un elemento costante della storia del Bo.A questo aggiungasi un frequente cambio, pres-soché annuale della direzione, con eccezione di Emilio Sanna che resse il giornale quasi per 2 anni dalla fine del 1952 alla fine del 1953 e con una ri-presa assieme ad altri, di cui sotto, nel 1954.2 “Sono lieto che la pubblicazione di un giorna-le universitario mi offra l’occasione di rivolgere il più cordiale saluto a tutti gli studenti dell’Univer-sità di Padova. Esprimo la certezza che il giornale sarà una palestra aperta a ogni sereno dibattito riguardante gli studi universitari e l’alta cultura e che i goliardi daranno prova della loro maturità, affinando la loro preparazione per i compiti che li attendono. Il mio augurio è che a essi arrida, oggi e domani, il miglior successo, a vantaggio dei singoli e della Nazione”.3 “… le finalità del giornale, dopo le difficoltà della ripresa, sono: essere la “viva voce” degli stu-denti; trattare ampiamente tutti i loro problemi; il giornale sarà fatto da studenti per gli studenti; si daranno soprattutto notizie di carattere “sindaca-le”; unitamente al notiziario delle Facoltà, si darà largo margine all’informazione culturale e spor-tiva; Il Bo sarà un giornale serio ma non austero, mantenendo viva la tradizione goliardica (di cui si nota già la crisi). Soprattutto Il Bo sarà apolitico, la politica rimarrà fuori dai portoni del Bo”.4 Diveniva Tribuno il candidato che, al mo-mento dell’ingresso in aula del professore di Ana-

tomia, rimaneva in piedi sulla cattedra, avendo i suoi supporter spinto di sotto il concorrente. Di solito il candidato più accreditato era lo studen-te sostenuto dai colleghi giocatori del Petrarca Rugby, che faceva capo al Collegio Antonianum.5 Nell’anno accademico 1946-47 risultano du-plicati 1140 libretti su cui sono stati inseriti i voti positivi di esami mai sostenuti, grazie alla compli-cità di alcuni impiegati della Segreteria del Bo. I possessori di questi libretti si sono quindi trasfe-riti in altre sedi universitarie, ivi laureandosi, con tanta fatica risparmiata!6 Ne è la prova il titolo a tutta pagina nel n. 2/53 In quale lingua dobbiamo dirlo? Magnifico ci siamo anche noi; forte richiesta di decisioni auto-nome da ogni intervento dall’alto sulla scelta del futuro della rappresentanza studentesca: Solo gli studenti hanno diritto e capacità di modificare le loro istituzioni.Il periodo era caldo, dopo la contestazione studen-tesca in Aula Magna che aveva privato, come con-seguenza, la goliardia della tradizionale elezione del Tribuno; la Rappresentanza non aveva ancora definito il suo nuovo assetto, contrapponendosi i nostalgici della goliardia tradizionale e i fautori del nuovo, in attesa dell’Assemblea costituente.7 “Goliardia è cultura e intelligenza, è amore per la libertà e coscienza della propria respon-sabilità di fronte alla Scuola d’oggi e alla profes-sione di domani, è culto dello spirito che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce dell’assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte a uomini e istituti, è infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel mondo il nome delle nostre libere università di scolari”.8 “… Il Bo non deve limitarsi a circolare entro il nostro ristretto ambito ma, deve uscire dall’uni-versità, andare tra le mani della gente comune, del professionista e dell’operaio, perché solo con uno stabile e continuo rapporto con il mondo esterno noi prenderemo coscienza dei compiti che ci attendono nella società e potremo riporta-re l’università a quella funzione di guida culturale che le compete e le è essenziale. La migliore veste grafica è essenziale in questo senso”.9 “Il Bo deve quindi aspirare a essere una po-lifonia, portare a compimento l’elaborazione di una nuova cultura, cui arrivare poco a poco…in tal modo la cultura non sarebbe solo produzione degli unti del Signore ma di tutti gli universitari”.10 Sanna si è trovato a dirigere il giornale in un periodo turbolento della goliardia padovana, innesta una polemica piuttosto dura con le Auto-rità Accademiche, tanto da far pensare che la sua rimozione dalla direzione (di cui dà spiegazioni il Tribuno uscente Gasperini, come sopra detto) sia finalizzata a calmare le acque nei rapporti con il Rettorato. Era stato anche un momento di contrapposizioni vivaci fra l’ala riformista della rappresentanza studentesca (che porterà l’anno dopo alla Costituente e alla definitiva sistemazio-ne delle modalità delle elezioni dell’Assemblea e del Tribuno) e quella più legata alla goliardia tradizionale, espressa dal gruppo degli Indipen-denti. Va comunque riconosciuto a Sanna di aver dato stabilizzazione al giornale dotandolo anche di un “progetto”.11 È un numero tipicamente in linea con la festa dell’8 febbraio, allora molto sentita dagli studenti. Gli articoli sono quasi tutti firmati con pseudoni-mi, anche se i contenuti non appaiono censurabi-li. Un articolo per tutti, Franca May, ovverosia delle macrocoscie, accompagnato dalla probante foto del-la protagonista, ballerina di rivista già studentessa di chimica. Firma l’intervista Sergio Tommasoni, il più beffardo dei goliardi del tempo.12 Anche se si tratta di una diversa testata, come sarà pure per il prossimo Il Toro, ce ne occupiamo considerando che essi costituiscono una prosecu-zione del Bo, diversamente denominati per ragio-ni burocratiche (ma siamo sempre nell’ambito della famiglia dei bovini…).

ANNI CINQUANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

Il fondo si scusa con i lettori, “Ritorno, dopo varie peripezie”; Il Bo torna a comparire. Il testo è iro-nico e scherzoso: “…Il Bo ha riposato, senza darsi cruccio di essere puntuale. Il Bo ha fatto quindi, meditando, esami di coscienza”.13 “Il Bo è al servizio degli studenti, rappresen-tati nell’Assemblea di Tribunato, e vuole essere termine di collegamento tra quest’ultima e la base studentesca. Vuole costituire la testimonian-za concreta, di fronte a chiunque, delle ragioni d’essere, delle identità e dell’azione della Rappre-sentanza.Il Bo dovrà assumere una fondamentale funzione di presenza ed essere valido strumento dell’au-to-governo degli studenti nella loro Università. Se riusciremo ad instaurare l’auspicato dialogo con i Docenti, avremo fatto cosa utile alla classe studentesca; se riusciremo a rendere di comune coscienza i termini culturali della nostra azione sindacale con le conseguenze relative sul piano della nostra formazione, avremo fatto cosa utile alla comunità.Non siamo pieni di presunzione né amiamo un discorso carico di vuote astrazioni: vogliamo solo ritrovare nell’Università un significato alla nostra cultura, che sappiamo sarà per noi valida solo quando noi tutti avremo partecipato, sul piano della leale e paritetica collaborazione, a costruirla.I nostri maestri non debbono usare verghe peda-gogiche, ma camminare tra noi come padri intel-ligenti.Cercheremo di fare uscire il giornale con regola-rità e con la maggior frequenza possibile: anche con questa assidua presenza Il Bo assolverà la sua funzione.Il Consiglio di Tribunato costituisce il Consiglio di Amministrazione del giornale Il Bo. Nomina il Direttore del giornale”.14 Scrive Negri: “… in un mondo che obbliga a muoversi nell’intrico dei rapporti di forza e di interesse, abbiamo scoperto l’ansia generosa dei combattenti della libertà, e mentre i nostri padri e i nostri maestri troppo poco ci parlano di ciò che fratelli e compagni hanno pur fatto, anche qui, nelle nostre città, nelle nostre Università, ad onore di una bandiera, nel dolore abbiamo com-preso l’universale valore della ribellione per amo-re, perché l’uomo non uccida l’uomo”.15 Lettera ai lettori. “Così ci giunge un altro 8 febbraio – esordisce Tessari – in cui per l’ennesi-ma volta saremo chiamati a verificare come questi siano divenuti stanchi epigoni di una tradizione già illustre”. Il lungo articolo continua nella disa-nima dissacrante di un rito ormai frusto e falso, nell’illusione che il gaudeamus igitur e qualche goliardata bastino a farci uscire dalle difficoltà quotidiane: “manca in ciascuno di noi una radi-cata convinzione, siamo troppo poco preoccupati dei nostri ideali che troppe volte accettiamo solo per stanco conformismo… senza contare che la composizione sociale dell’università è notevol-mente mutata e nella comunità universitaria sono entrati preoccupazioni e problemi nuovi: povertà attuale e incerto futuro professionale”.16 “Per la prima volta, dopo anni di travaglio, di crisi, di progressivo peggioramento delle nostre università, una importante categoria del nostro Paese ha rivolto al Governo richieste precise e di ampiezza sufficiente per avviare a soluzione il tra-gico problema della nostra istruzione superiore e della ricerca scientifica. Gli studenti hanno fatto ciò attraverso la Giunta del loro Ente rappresen-tativo nazionale, l’UNURI;” e continua “…la noti-zia è consolante perché ci dà motivo di constata-re come le giovani generazioni sono coscienti di questo essenziale problema della vita del Paese. La notizia è al tempo stesso deprimente per noi professori…che dobbiamo riconoscere che i no-stri allievi stanno più di noi all’altezza delle attuali esigenze”.17 Nel suo programma, illustrato in sei co-lonne del giornale, Benciolini ribadisce che

l’O.r. “non si pone certo come organo puramen-te sindacale né come ufficio tecnico informativo assistenziale, ma piuttosto come preciso strumen-to della partecipazione degli studenti ai problemi dell’Università e della sua vita comunitaria”.18 “L’ordinaria amministrazione”, scrive Felisa-ri, “non si riferisce al fatto che, per la quarta volta consecutiva il prof. Ferro venga insediato nella prestigiosa carica, anzi gli si riconoscono le gran-di benemerenze acquisite nel corso dei suoi man-dati e di essere la persona più adatta a reggere le sorti dell’Ateneo. Crediamo invece – continua l’articolo di fondo – sia doveroso da parte nostra non calare il silenzio su quello che avremmo vo-luto scrivere il giorno dopo l’elezione (avvenuta tre mesi fa). È un aspetto del costume universita-rio che andrebbe riformato e che tocca da vicino anche gli studenti. Il D.l. lgt del 7.09.1944 ha conferito al Corpo Accademico l’elezione del Ret-tore, abolendo così la norma fascista che riservava tale alto compito al Re. Ma un avvenimento così importante per la vita dell’Università si è man mano ridotto a una prassi di una elezione come puro adempimento burocratico, da liquidare alle spicce.” L’elezione, di cui l’articolo parla, durò si e no due ore, senza dibattito, senza confronto tra vari candidati pur in presenza dei molti problemi che avevano travagliato la vita dell’Università nei tre anni appena conclusi.L’indicazione del prof. Ferro era già stabilita e i 62 professori sono saliti in Rettorato solo per con-fermarla.Una nota, a margine dell’articolo, è che “di que-sto rilevante avvenimento si è dato poco risalto, rifuggendo da ogni pubblicità, quasi che tutto do-vesse svolgersi nell’atmosfera di un conclave. E la Stampa padovana, di solito attenta alla nomina di un nuovo brigadiere dei Carabinieri, ha coperto la notizia con una foto del Magnifico vecchia di anni”.19 “Non vorremmo però essere maliziosi – scris-si allora – doveva o no la Legge Merlin entrare in vigore dopo tre mesi dalla sua approvazione? Fatto il conto, i tre mesi cadevano il giorno 20. Fatale coincidenza”. Ma non era questo però il mio obiettivo: “Non vogliamo confonderci con i tenutari e i lenoni – scrivevo – pur non essendo dei visi pallidi né de-gli evangelisti, seguaci di La Pira e Dossetti, come Montanelli si compiace di definire i fautori del-la Legge Merlin. Ci schieriamo dalla parte degli abolizionisti per chiare ragioni… Noi crediamo che la via verso il progresso civile sia più spedi-ta se sgomberata dai postriboli. Questo Stato che rilascia patentini di ruffiano dietro versamento di 200.000 lire… che esige il consenso dei geni-tori per il matrimonio della figlia minorenne ma permette che una donna si possa prostituire nei bordelli a 18 anni (la maggiore età a quella data era ancora stabilita a 21 anni), schedandola e po-nendola ai margini della società”, e continuavo “… Questo Stato al cinema e ad altri spettacoli ti tratta come un minorenne morboso, cui bisogna evitare la visione di Abbe Lane che balla il cha-cha-cha o di Brigitte Bardot in bikini. Se ti coglie sulla panchina di un parco pubblico a baciare la tua ragazza, ti appioppa una multa di 5.000 lire; se arrivano le Folies Bergères e accennano a qualche numero di spogliarello, i vescovi protestano e il Governo fa sospendere lo spettacolo. Ma che un diciottenne, quindi minorenne, possa entrare in un bordello come entrerebbe in un bar, con solo l’espediente burocratico di esibire il documento di identità, non scandalizza nessuno. Nemmeno i vescovi”.

20 “… Lo stesso Piano Decennale varato dal Presidente del Consiglio Fanfani, dopo aver tutti abbagliato, oppositori compresi, col luccichio do-rato dei 1390 miliardi di lire e dopo essere stato presentato come la riforma più attesa “dalle mam-me e dai giovani d’Italia”, sta raccogliendo le pri-me, pesanti critiche. Si cita un passo del discorso del Rettore: “… l’Università ha bisogno non più tanto di belle parole o di rosee prospettive, ma di interventi immediati che, sulla base della cer-ta disponibilità delle fonti finanziarie, sappiano contemperare l’unità dei criteri informatori con l’adattabilità alle differenti strutturazioni e ai dif-ferenti ambienti…”.“Parole sante Magnifico”, è il commento dell’ar-ticolo, “che di cuore abbiamo applaudito. Ma La ascolteranno mai questi governanti …o dovrem-mo sopportare per quanti anni ancora di vedere delusa la nostra aspettativa e mortificata la spe-ranza?”21 In quest’occasione il loro comportamento “…è stato sin troppo corretto – continua l’articolo – applausi anziché fischi all’ingresso in Aula del Senato Accademico, applausi al Rettore, a sotto-lineare i passi del suo discorso più importanti e condivisibili; non aeroplanini di carta a solcare la dorata atmosfera dell’Aula Magna; né un frizzo alle citazioni dello stronzio 90, da parte del prof. Ugo Croatto, docente di Chimica cui era stata af-fidata la prolusione”.

ANN

I CIN

QU

ANTA

Page 45: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

45ANNI SESSANTA

Sono stato direttore del Bo’ nel corso di tutto il 1961. Il mio nome appare sotto

l’immagine di Picasso raffigurante il bue di Guernica in cinque numeri (gennaio, marzo, maggio, giugno, dicembre). Credo quindi che nel periodo della mia direzio-ne, sotto il Tribunato di Renzo Carli, la ri-vista abbia avuto una vita regolare, almeno per quanto riguarda la scadenza, cosa non sempre sicura allora.Se ripenso a quei tempi, molti ricordi mi si affollano, molti dei quali incerti e sbiadi-ti, a dire la verità. La stessa immagine che ho di me stesso a quel tempo è piuttosto incerta. Ero una persona che si affacciava allora alla vita, riservato e entusiasta allo stesso tempo. Certamente poco maturo per la mia età. Ero già stato preso, comun-que, da quella grande passione per la cul-tura, soprattutto letteraria, passione che era nata in me al Liceo e maturata irre-vocabilmente alla Facoltà di Lettere di Pa-dova sotto l’influenza di alcuni ottimi pro-fessori e al contatto con coetanei studenti che presentavano più o meno la mia stessa sindrome. Come questi miei compagni di Facoltà, non volevo ritirarmi nella torre d’avorio, ma pensavo che la mia vocazio-ne intellettuale dovesse estendersi alla po-litica. La formula era quella dell’impegno, traduzione del francese engagement, che si

imponeva allora (e che è oggi così spesso dileggiata, un po’ a ragione, un po’ forse anche a torto). Impegno, naturalmente, di Sinistra. Il contesto generale era sempre quello della guerra fredda, ma in Italia il periodo del gelo maggiore era passato, e già si parlava di Centro Sinistra, una for-mula che, distaccando i Socialisti di Nenni dai Comunisti, metteva fine all’opposizio-ne frontale dei due blocchi: democristiani contro socialcomunisti. Come ha ricostrui-to in questa stessa sede, Giorgio Roverato, al Tribunato di Padova la collaborazione tra Centro e Sinistra si era imposto preco-cemente, in armonia con quanto era av-venuto in sede nazionale nell’UNURI (la associazione degli studenti universitari). Il governo studentesco a Padova era costi-tuito così dai due gruppi alleati dell’Inte-sa (cattolica, che aveva la maggioranza) e dell’UGI (Unione goliardica, di sinistra). All’opposizione, c’erano tre gruppi, Al-leanza Tricolore, guidata da Giulio de Ré-noche, San Marco, con Franco Freda, e la Rorida Begonia (sì, Rorida Begonia!), che aveva raccolto l’eredità dell’AGI (Goliardi Indipendenti). Tra i compagni dell’UGI padovano, ricordo, un po’ alla rinfusa, nella sola Facoltà di Lettere, l’autorevo-lissimo Mario Isnenghi, Orio Caldiron, Giangaetano Bartolomei e i più giovani

Silvio Lanaro e Umberto Curi: è gente che

ha fatto brillantissime carriere nell’Uni-

versità (Caldiron nel mondo della critica

cinematografica). Nella vicina Facoltà di

Magistero appariva anche l’unico comu-

nista della compagnia, Mario Quaranta,

che diventerà un importante studioso di

filosofia e professore al Liceo Classico Tito

Livio di Padova (per varie vicende nazio-

nali, la presenza attiva di Comunisti negli

organismi universitari, era molto scarsa,

mentre il Partito Comunista, come si sa,

aveva un larghissimo seguito nella realtà

politica del paese). Ma l’Interfacoltà, o

piuttosto Tribunato, come si chiamava a

Padova, era un luogo d’incontro di stu-

denti di diverse Facoltà, e così ho cono-

sciuto e frequentato allora il brillantissimo

Gianni De Michelis, che studiava Chimica,

futuro ministro degli Esteri e esponente di

grande spicco del Socialismo di Craxi, poi

coinvolto in Tangentopoli, Franco Luxar-

do, imprenditore, Giulio Felisari e Giorgio

Villella, editori, e molti altri. Quanto a me,

alla Facoltà di Lettere di Padova, al Livia-

no, ero stato prima eletto rappresentante

dell’UGI in Tribunato (fungendo anche

un anno da rappresentante di Facoltà),

per diventare poi, come dicevo, direttore

del Bo’.

Il mIo Bo’

Lorenzo Renziin basso presentazione delle liste in vista delle elezioni sul Bo’ del febbraio 1960

Page 46: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

Chi ha ricostruito la storia del movimento

studentesco in quegli anni, come già nel

1969, in piena palingenesi sessantottina,

Franco Catalano nel suo documentatis-

simo, anche se partigiano, I movimenti

studenteschi e la scuola in Italia 1938-1968

(Milano, Il Saggiatore, 1969), ha messo

giustamente in rilevo che la politica stu-

dentesca di quegli anni si era immediata-

mente politicizzata in senso stretto (sfug-

gendo in gran parte all’altra possibile

vocazione, quella sindacale). Catalano ha

anche notato che la piccola politica uni-

versitaria aveva finito per fornire molti

quadri alla grande politica nazionale, so-

prattutto alla Sinistra (da Paolo Ungari a

Achille Occhetto, a Bettino Craxi, a Marco

Pannella), come pure al grande giornali-

smo e all’accademia, come abbiamo visto

nel caso padovano. La storia dei Congressi

nazionali dell’UNURI, tenuti ogni anno

in una nuova sede, e più di una volta an-

che a Padova, è una storia di scissioni e

ricomposizioni, di alleanze e rotture, che,

vista a distanza, può sembrare, e forse era,

una storia di ambizioni di leadership e un

gioco di piccoli politici che si preparano

a diventare grandi. Ma si potrebbe an-

che dire che è il gioco della democrazia

parlamentare, e basta, con le sue luci e le

sue ombre. Questo gioco, con le sue raffi-

natezze e perfino squisitezze concettuali,

contrasta con il grande incendio assem-

blearistico del ’68 e degli anni seguenti,

in cui si provarono le delizie delle demo-

crazia diretta.

Di tutta questa storia, Padova offriva un piccolo spicchio tutt’altro che insignifi-cante, e il Bo’, compresa l’annata 1961, un piccolo spicchio dello spicchio.

Sfoglio le annate del Bo’ dal primo Do-poguerra al mio anno, il 1961, e agli

anni immediatamente seguenti. I primi numeri portano chiari il marchio, e, direi, il sobrio pathos, della rinascita della de-mocrazia dopo il Fascismo. Ci si muoveva ancora incerti. Può sembrare singolare, ma solo a chi non conosce Padova, che l’alternativa sembrasse allora tra Goliar-dia e politica universitaria. Sì, la goliardia, quella che culminava allora nel grande rito della Caccia alle matricole, nei papiri, nei mantelli e nei berretti colorati (un re-pertorio di origine, sembra, non medieva-le, ma tedesca ottocentesca, che presenta ancora oggi a Padova, diversamente che nel resto d’Italia, una certa vitalità). Un episodio cruciale di questo contrasto è la fine della nomina del Tribuno “a botte” e l’inizio della sua elezione democratica, episodio chiave riportato dal Bo’ del 15 novembre 1955. Questa vicenda è stata rievocata nei dettagli dal grande scritto-re e giornalista vicentino Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia del 1957. Fino al 1955 (ma a partire da quando non si sa…) i gruppi rivali spingevano il loro candida-to verso la cattedra dell’aula di Anatomia Umana. Lo studente che il professore di questa materia avrebbe trovato sulla catte-dra al momento del suo ingresso in aula, era, per un anno, capo della Goliardia,

Tribuno. Il nuovo Statuto della Goliardia

patavina, preparato da un’Assemblea co-

stituente e pubblicato nello stesso nume-

ro del Bo’, aboliva questa pratica e stabiliva

l’elezione del Tribuno da parte degli stu-

denti rappresentanti dei vari gruppi (cioè

partitini) eletti nelle Facoltà. Così a Pado-

va l’organismo rappresentativo assumeva i

nomi e i panni della vecchia goliardia, ma

partecipava dello spirito della nuova vita

politica.

Il mio Bo’, nel 1961, riflette una situazio-

ne di stabilità del sistema, consolidatosi,

pur attraverso le trasformazioni a cui ho

accennato, dall’anno zero che era stato

il 1955, e non ancora presago della ca-

tastrofe del 1968. Il 1961 era equidistan-

te tra queste due date: erano passati sei

anni dal 1955, sette ne mancavano al ’68.

Credo che il 1961 e gli anni vicini siano

stati degli anni fattivi. Certamente in quel-

l’anno è stata inaugurata la nuova sede

dei Centri universitari in via Prati 7 (oggi

trasferiti in nuove sedi). Se ricostruisco

bene, si trattava del Centro d’Arte, che si

occupava dei concerti di musica classica,

del CUS, centro sportivo, del CUC, centro

cinematografico, dell’Ufficio Dispense,

del Crue che si occupava del turismo e

delle vacanze all’estero. La nuova sede dei

Centri era costituita dal piano terra di un

edificio modesto, fabbricato da poco, che

interrompeva tra l’altro la delicata trama

ANN

I SES

SAN

TA

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47

LA POLIFONICA

da Vitaliano Lenguazza e il suo tempo Servizi Grafici Editoriali, 1998

In realtà nessuno sa quando nacque Vitaliano Lenguazza. Non il mese, non l’anno; tantome-no alcuno potrà affermare di aver notizia certa della sua morte. Perché il tempo di Vitaliano Lenguazza non si legge sul quadrante o nel calendario, ma si scandisce con le date della storia.Né vi è certezza sull’origine del nome, e tutta-via mai suono simboleggiò così perfettamen-te il personaggio.Vitaliano come VITA, Vitaliano come ITALIA, come a gridar alto lo spirito vitale delle nostre genti (e fu sempre lo spirito, più che la forza, a rappresentare nel tempo i valori d’Italia); ma anche, al contempo, Lenguazza, segno del-lo sberleffo davanti ad ogni prepotente, del dileggio della norma aridamente costituita, della scanzonatura che dà appunto un senso ed un valore alla vita dell’italiano (da cui, si osservi, per contrazione: Vitaliano).

da sinistra la pubblicità della Vespa a tutta pagina in un numero del Bo’ di metà anni Sessanta e la Po-lifonica Vitaliano Lenguazza, espressione “musica-le” della goliardia patavina, in una foto da Vitaliano Lenguazza e il suo tempo

delle vecchie fac-ciate popolari pa-dovane della via. Il Fascismo aveva

fatto costruire a Padova un gran-dissimo architetto, Gio Ponti, più tardi l’Università sarebbe tornata a chiamare grandi nomi e avreb-be eseguito splendi-di restauri. Ma allora erano tempi così, era il modesto, pratico e

spesso mediocre Dopoguerra. In quell’oc-

casione, come direttore del Bo’, assieme al

Tribuno e agli altri piccoli ministri del Tri-

bunato, sono stato ricevuto dal Magnifico

Rettore. Il rettore era il sempiterno Guido

Ferro (1949-1968), professore di Costru-zioni marittime. Si informò su chi si occu-passe delle pulizie. Il Tribuno Carli fece il

nome, noto al Rettore, della Mafalda. Mi

sono fatto allora l’idea che, accanto alle

orazioni che si tenevano nel parlamenti-

no del Tribunato nel vecchio Cinema Ru-

zante (ora rinnovato), esistesse anche una politica delle cose, e che qualcuno se ne occupasse con la diligenza e l’umiltà ne-cessarie.

Quanto al giornale Il Bo’, che mi era sta-

to affidato, il difficile era mantenerne la

puntualità, ma questo, come ho già detto,

mi era più o meno riuscito. Cosa metter-

ci dentro? questa era una grossa questio-

ne. Si pensi che il giornale veniva spedito

gratuitamente a tutti gli studenti iscritti,

come pure i Bollettini che contenevano,

tra l’altro, i programmi dei corsi. Sono

obiettivi che sembrerebbero irrealizzabili

oggi. Ma allora queste cose parevano ov-

vie. Non mi ricordo che il problema di

cosa mettere nel giornale turbasse i miei

sonni di ventenne, come avrebbe dovuto.

Sfogliando le copie rilegate alla Biblioteca

Universitarie, vedo che il giornale ripor-

tava, comunque, le notizie fondamentali

sulla vita dell’organismo rappresentativo

stesso, per esempio, come negli anni pre-

cedenti e successivi, i dati sulle elezioni in

corso. Per il resto… Vediamo un po’.

Nel 1961 erano morti due grandi rettori, il

più importante rettore del Fascismo, Car-

lo Anti, e quello che, con Concetto Mar-

chesi, aveva rappresentato l’Antifascismo

militante dell’Università di Padova, Egi-

dio Meneghetti. A quest’ultimo era stato

dato molto rilievo nel numero 4 del Bo’.

Appariva una sua grande fotografia con,

in didascalia, l’annuncio della scomparsa,

mentre nelle pagine interne commemora-

vano Meneghetti due articoli, uno di uno

studente (Orio Caldiron) e uno di un pro-

fessore, Massimiliano Aloisi, docente di

Patologia generale, una delle maggiori fi-

gure della scienza padovana del Novecen-

to. Nessuna fotografia, invece, per Anti,

ma solo un breve testo, di cui credo di

essere stato l’autore, in cui, con autocen-

sura certo eccessiva, non erano nemmeno

citati gli anni di rettorato di Anti. Non si

ricavava così che Anti era stato il grande

rettore del Bo fascista, una figura maesto-

sa e controversa, come ha poi ricostruito

magistralmente Angelo Ventura. Quasi a

compenso di un atto mancato nel ’61, vor-

rei ricordare qui brevemente almeno che

aveva realizzato la ristrutturazione com-

pleta del Palazzo del Bo, comprendente lo

splendido scalone di Gio Ponti, il retorico

cortile nuovo ma anche i locali moderni-

sti del Rettorato, e che aveva fatto costrui-

re il Liviano, sempre da Gio Ponti, con i

magnifici affreschi di Massimo Campigli,

e aveva commissionato al Bo e al Liviano

due statue al maggiore scultore del tem-

po, Arturo Martini.

Per venire più in generale al mio contribu-

to personale al Bo’, questo era consistito in

una più accentuata caratterizzazione cul-

turale del giornale e anche nell’elimina-

zione, non so più se conscia o inconscia,

dei residui goliardici del passato (vignette

dall’umorismo un po’ grasso, doppi sensi,

qualche foto di grazie femminili, nei limiti

concessi a quel tempo in cui nemmeno si sognava la liberazione sessuale). Probabil-mente era stata una mia iniziativa anche quella di aprire, nel n. 4, un’inchiesta sul tema: “Come vediamo il Risorgimento”, in occasione del centenario dell’unità d’Ita-lia (1861-1961). Rispondevano Giulio de Rénoche, Antonio Negri, Ennio di Nolfo, Gianfranco Ferrarese e io stesso. Tra le altre cose che mi sembrano notevoli, c’è, nel n. 3, un articolo di Guariente (Tino) Guarienti, diventato poi un importante avvocato penalista a Verona, che auspica-va l’apertura dell’Università ai diplomati tecnici, un fatto che qualche anno dopo si sarebbe realizzato. Tra le cose che oggi mi piacciono di meno alcuni articoli net-tamente ideologici, che avevano il chia-ro scopo di superare quello che allora si chiamava il “limite universitario”. Erano a firma mia e di alcuni miei amici, peraltro molto colti e bravi. Riconosco, con dispia-cere, la mia penna (mi è sempre piaciuto disegnare) e la mia idea in una vignetta che rappresenta un pupazzo supino con un coltello nella pancia, la cui didascalia conteneva una citazione del ministro Bo-sco: “L’Università non è in decadenza, ma in crisi di sviluppo”. È un esempio di quell’estremismo mentale che si è poi sviluppato largamente nel Sessantotto e anni successivi, e del quale io mostravo già

ANNI SESSANTA

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

dei sintomi. Il Bo’, sotto la mia direzione, ospitava comunque anche interventi di avversari politici di destra, come mostra-no le firme di Leo Favrin del Gruppo San Marco e di Paolo Cadrobbi (poi medico pediatra e presidente dell’ARPAV veneto). Nel n. 4 compare perfino un elogio della Goliardia (a firma P.V.), per la quale i po-litici come me non avevano al tempo nes-suna simpatia. Nemmeno, a torto, per gli spiritosissimi testi della Rorida Begonia, collegata alla storica banda Vitaliano Len-guazza, che appaiono qua e là, ma piutto-sto raramente, nel Bo’ di quegli anni.Se avete fatto attenzione, è uscito qualche nome grosso. Ne sottolineo due: Anto-nio Negri, detto Toni, e, ricordato prima, Franco Freda. Li ho conosciuti tutti e due molto superficialmente, e non posso dire niente di interessante di loro. Erano due uomini che avrebbero fatto parlare di sé nel futuro immediato. Intanto stavano tranquilli nel limbo rassicurante del 1961.

Passa il 1961. Mi laureo sostenendo una tesi con un grande maestro, Gianfran-

co Folena. Nel 1962 ero a Vienna, letto-re di italiano, realizzando due dei miei più grandi desideri: fare l’esperienza di un’Università di lingua tedesca e comin-ciare a insegnare. Negli anni di Vienna e, poi, in quelli trascorsi a Bucarest e in servizio militare, la vita del Tribunato, che allora mi aveva tanto preso, scompariva di colpo. Ero proiettato in nuovo mondo. Quando sono tornato a Padova era il 1968. Addio Tribunato, addio Bo’ ! Divento assi-stente in una Padova in subbuglio. Devo confessare di avere partecipato, come as-

sistente, a quei nuovi rivolgimenti politici. Sedevo in assemblea permanente. Per for-tuna, forse anche per merito dell’età (ave-vo trent’anni) ho evitato i peggiori ecces-si, ma non sempre, devo riconoscerlo, mi sono dissociato dalle assurdità e dall’uto-pismo, praticate per fortuna soprattutto solo a parole, del tempo. In una forma o nell’altra la frenesia aveva attaccato quasi tutti. Era la contestazione generale! Chi restava in disparte, del resto, si escludeva da un movimento vitale, si ritrovava solo, e, immagino, malinconico. E respingeva, credo, non solo la parte cattiva ma anche quella buona del Sessantotto, che credo ci sia stata.Certo, ben presto ci sarebbe stato anche chi sarebbe passato agli abusi e alla violen-za. Mi sono dissociato per tempo da questi sviluppi: ero diventato rapidamente pro-fessore, il più giovane della Facoltà, e come segretario del Consiglio di Facoltà affian-cavo il valoroso Preside Oddone Longo, ferito da quegli Autonomi che aveva avuto il coraggio di cacciare dalla Facoltà. Dopo la crisi del Sessantotto, durata in realtà diversi anni, il mondo del vecchio Tribunato e del giornale Il Bo’ non poteva-no certo tornare più così com’erano. Era-no legati tra l’altro a un’Università costitui-ta da poche sedi, pochi professori e pochi studenti (molti dei quali, peraltro studenti lavoratori). Tuttavia credo che la politica universitaria di quel tempo, che ho vissuto con scarsa consapevolezza, siano stati per anni una cosa credibile e un’esperienza democratica sostanzialmente positiva.

Note1 Angelo Ventura, Carlo Anti rettore magnifico, in Carlo Anti. Giornate di studio nel centenario della

nascita, Verona-Padova-Venezia, 6-8 marzo 1990, Trieste, Lint, 1992, pp. 155-222.2 Sull’edilizia universitaria a Padova al tempo di Anti, vedi Vittorio Dal Piaz, Il “cantiere università”

durante il rettorato di Carlo Anti, nello stesso volu-me, pp. 241-285. Sugli affreschi del Liviano si può leggere la affascinante microstoria di Lionello Puppi, Campigli al Liviano, in Massimo Campigli, catalogo della mostra di Padova, Palazzo della Ra-gione, a cura di B. Mantura, P. Rosazza-Ferraris, Electa, Milano, 1994

IL murO

Claudio Magris da L’infinito viaggiare, Mondadori, 2005

(…) A Berlino la provvisorietà si è cristallizza-ta in un’eternità sbilenca, nella smorfia di un tic ripetuto. Dalla fine della Seconda guerra mondiale sono passati quarantadue anni: un periodo lungo il doppio del fascismo, quasi il quadruplo del nazismo, un’epoca equiva-lente a quella in cui, nella storia di Francia, cadeva la monarchia, trionfava e tramonta-va la Rivoluzione, Napoleone conquistava e perdeva l’Europa, tornavano e venivano di nuovo cacciati i Borboni. Oggi a Berlino gli aerei della Lufthansa, la compagnia di linea tedesco-occidentale, non possono atterrare; soldati americani, inglesi, francesi e russi nati vent’anni dopo la fine della guerra montano la guardia come se fossero arrivati ieri sulle rovine del Terzo Reich.Nel frattempo cambia la geografia politica di interi continenti, cadono dèi secolari, mutano costumi e valori, si profilano trasformazioni antropologiche radicali, laboratori e appren-disti stregoni promettono o minacciano nuo-ve specie viventi, uomini-scimmia, quantità a piacere di creature identiche prodotte per la clonazione, l’estinzione dell’homo sapiens, il ritorno del dinosauro. Lo statuto stabilmente provvisorio di Berlino, che protrae indefinita-mente il 1945, mostra come l’unica eternità che ci sia oggi accessibile è il blocco per-manente del momentaneo e del casuale, un motore inceppato che continua a stridere, la puntina di un giradischi che striscia incessan-temente perché ci si è dimenticati di premere un bottone (…) 26 luglio 1987

a sinistra in monopattino lungo “Il muro” nella Berlino del 1963Foto di Thomas Hoepker, Magnum Photos/Contrasto

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49ANNI SESSANTA

Premessa

Scrivere dell’ultimo decennio del Bo’

(in verità l’accento della testata è in-

congruo, ma così essa fu registrata) mi dà

un qualche imbarazzo, dato che ho fatto

parte delle sue ultime Redazioni e che ne

ho seguito le vicende che portarono alla

scomparsa della testata. Ma anche mi dà

un qualche orgoglio, dato che la sua fine,

legata alla decomposizione degli Orga-

nismi Rappresentativi Studenteschi pa-

dovani, coincise con il dono della testata

all’Istituto Veneto per la Storia della Resi-

stenza, custode della memoria della Meda-

glia d’oro al V.M. di cui il nostro Ateneo fu

insignito per merito di non pochi docenti,

e di tanti, tantissimi studenti, che alla Resi-

stenza contro il nazi-fascismo dedicarono

il loro impegno, e non poche volte la vita.

Alla redazione che del Bo’ curò gli ultimi

due numeri-pirata (vale a dire quelli sot-

tratti a un controllo istituzionale, quello

degli Organismi Rappresentativi, che la

rivolta studentesca del 1968 fece scompa-

rire), sembrò che scelta migliore non po-

tesse esserci.

Donavamo una testata gloriosa, che è par-

te tra le più importanti del giornalismo

universitario italiano, ad una Istituzione

– depositaria di un archivio rilevante sul-

la Storia della Resistenza veneta – che,

forse ingenuamente, ritenevamo potesse

utilizzare il giornale cospirativo che fu di

Eugenio Curiel per divulgare non solo gli

inventari dei ricchi materiali da questa

conservati, ma anche per ricordare con

saggi mirati la nobile vicenda resistenziale

dell’Ateneo.

Non fu così. La testata non fu mai utilizza-

ta, e quindi venne meno il diritto proprie-

tario a tale Istituto ceduto. E dato che ho

iniziato con una sorta di ricordo, è facile

comprendere lo sconcerto di chi scrive

nell’imbattersi – molti anni dopo – in una

pubblicazione commercial-studentesca in-

titolata nello stesso modo, dato che il Regi-

stro Periodici del Tribunale di Padova non

poteva negare la registrazione, con nuovo

proprietario, di una testata inattiva da ol-

tre un ventennio.

Fortunatamente l’iniziativa editorial-com-

mercial-studentesca non ebbe successo. E

diventata “libera” la testata, il nostro Ate-

neo – peraltro già da me sollecitato ancor

quando essa non era “libera”, il che avreb-

be comportato una transazione di acquisto

non compatibile con i vincoli di bilancio

– ha provveduto a registrarla a suo nome,

con una sensibilità che mira al recupero di

una memoria antica.

Il Bo’ e il ‘68

Fatta questa premessa, cercherò ora di

riannodare le fila di ciò che significò ne-

gli anni Sessanta l’“Organo degli studenti

dell’Università di Padova”, come recitava

la sua manchette.

Però ancora sul filo del ricordo persona-

le… Io arrivai all’Università nel novembre

del 1966, ma del Bo’ avevo già una certa

conoscenza, dato che mia sorella – studen-

tessa a Lettere – ogni tanto ne portava a

casa qualche numero. In realtà quel gior-

nale non le interessava molto, ma io – sedi-

cenne, e già attivo sia in un network di un

giornale studentesco vicentino che nella

redazione del “giornalino” del Liceo Clas-

sico che frequentavo – ne trassi molteplici

spunti, soprattutto dal punto della grafica,

ardua poi a far tradurre dalla tipografia lo-

cale alla quale ci rivolgevamo. Ma anche

a proposito dei contenuti, dato che sia

sul giornale-network che su quello locale

cominciammo a discutere (non già di “ri-

forma”, come Il Bo’ andava proponendo a livello universitario) del profilo dei nostri programmi scolastici: ad es., perché la sto-ria doveva fermarsi alla prima guerra mon-diale, o al massimo all’inizio del secondo e più tragico conflitto saltando a pie pari il fascismo? Come dire che il leggere la te-stata universitaria padovana mi diede un primo impatto sia con i problemi interni al mio Liceo, peraltro uno dei migliori del vicentino, che con i più generali problemi di una diversa forma di insegnamento. Ciò che mi tornò utile poi all’Università, quan-do divenni involontariamente uno dei tan-ti protagonisti della rivolta studentesca.Sì, questo primo numero del “nuovo” Il

Bo’ esce proprio nel quarantesimo anni-versario del 1968: con le luci ed ombre che quella data ideologicamente evoca. E con un apparato mediatico, già ve ne sono le prime avvisaglie, pronto a “sparare” ad alzo zero sui contenuti delle lotte studen-

Il ’68 E lA ScompArSA dEl Bo’

Giorgio Roverato

a destra nel mondo diviso in ‘blocchi’, alla vigilia della crisi missilistica di Cuba, la paura del conflit-to nucleare diventa oggetto di film a effetti speciali, come il giapponese The last war del 1961.

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

tesche di quel periodo. E tali avvisaglie declinano fin d’ora il refrain che caratte-rizzerà le “celebrazioni-contro”: ovvero il 1968 interpretato come matrice dell’ever-sione e del terrorismo degli anni a venire.No, non sono d’accordo, e voglio dirlo qui. Il 1968 fu uno straordinario momento di

liberazione delle intelligenze, conculcate

da una Università baronal-burocratica, ed

alla fin fine inefficiente e “stupida”!

La rivolta studentesca, “quella” rivolta, ed

al di là delle volgarizzazioni successive,

mirava al “merito”, che il sistema baro-

nal-feudale non riconosceva. E non fu un

caso che i leader studenteschi dell’epoca

fossero, da noi come altrove in Europa, gli

studenti con i curricula migliori. Fu una

rottura, “igienica” innanzitutto. Come

fu “igienico” (ricordo un caso nella mia

Facoltà) costringere i docenti assenteisti

– che delegavano le lezioni ad assistenti

preoccupati della loro futura carriera – a

presentarsi in aula ed a dar ragione delle

loro assenze; con penose giustificazioni

che evidenziavano conflitti di interesse

che leggi successive superarono con una

distinta disciplina tra tempo pieno e tem-

po parziale della docenza, dove il tempo

parziale andò a regolamentare libera pro-

fessione e consulenze extraprofessionali.

Fosse solo questo, il ’68 studentesco già

avrebbe un merito. Ma fu di più: liberò

energie, senso di responsabilità dei docen-

ti non strutturati, orgoglio di competenze.

In una parola, modernizzò, anche se non

del tutto, un sistema anchilosato.

Violenza e terrorismo arrivarono dopo. E

con l’Università ebbero un rapporto mol-

to mediato, e comunque con scarsa con-

nessione alle lotte studentesche del ’68.

Il Bo’ degli anni Sessanta

Fatta questa digressione, ritorno al tema.

Scorrendo la raccolta, purtroppo non

completa, conservata presso l’Archivio

Storico del nostro Ateneo, colpisce una

affermazione del 1961 di Mario Isnenghi,

oggi ordinario di Storia contemporanea

nella veneziana Ca’ Foscari, il quale – scri-

vendo dei congressi nazionali di quell’an-

no dell’UGI-Unione Goliardica Italiana

(formazione che raggruppava studenti

di orientamento socialista e comunista),

dell’INTESA (studenti cattolici), e del-

l’UNURI (la Rappresentanza di tutte le

sigle organizzative degli studenti italiani)

– sosteneva in un editoriale titolato Alla

ricerca di una alternativa che «La forma-

zione dei quadri di una classe dirigente

che per serietà, capacità tecnica e impe-

gno politico, rappresenti l’antitesi della

tradizionale classe dirigente avvocatesca

e letterata propria della storia politica del

nostro paese, è il problema e l’impegno

massimo di uomini legati alla nostra vo-

lontà democratica», dal Gobetti di Energie

Nuove e de La rivoluzione liberale al Gramsci

dei Quaderni, e già prima del Salvemini

de l’Unità. Come dire che l’autore poneva

il problema di come l’Università fosse di

fatto il luogo topico della formazione del-

la classe dirigente, in una visione di fatto

“classista”, anche se non ideologicamente

posta come tale.

Ebbene, se andassimo a rileggere i nomi

dei Tribuni, ovvero il vertice degli Orga-

nismi Rappresentativi Studenteschi a par-

tire dal dopoguerra, nonché il succedersi

dei componenti della Redazione del Bo’,

ci accorgeremmo come l’auspicio (tutto

politico) di Isnenghi abbia poi trovato ri-

scontro nei fatti: tra questi, oggi noi ritro-

viamo molti ed apprezzati docenti univer-

sitari, uomini politici, giornalisti di rango,

direttori di musei ed istituzioni culturali,

editori…

Come dire che Il Bo’, e comunque le Or-

ganizzazioni Rappresentative, furono di

fatto una “palestra” di vita. Una “palestra”,

si badi bene, che partiva dal basso, e con

scarsa capacità dei partiti politici di in-

fluirvi, anche se a tali partiti – l’UGI per i

partiti della sinistra, e l’INTESA per la De-

mocrazia Cristiana – facevano riferimento

ideale. Ma nulla di più.

La struttura di vertice degli Organismi

Rappresentativi Studenteschi fu a maggior

ragione una “palestra”: nella misura in cui

al loro interno, prima ancora che nella

vita politica nazionale, nacque – già sul fi-

nire degli anni Cinquanta – una intesa tra

l’impostazione cattolica di vasti strati delle

organizzazioni studentesche e quelle di si-

ANN

I SES

SAN

TA

Ghebru Woldeghiorghis studente etiopico alla Facoltà di Ingegneria, Il Bo’ aprile 1960

Nel Sudafrica, la gente viene ammazzata per-ché chiede semplicemente e pacificamente il riconoscimento dei più elementari diritti del-l’uomo.Classificati in razze, secondo criteri quali “il colore della pelle, la forma del naso e le ras-somiglianze dei capelli”, i negri vivono confi-nati come bestie prive di dignità in riserve dal-le quali è vietato uscire senza autorizzazione e dove il lavoro, il modo di vivere e persino il nutrimento vengono determinati da funzionari governativi, sulla base di affermazioni quali “i negri sono di razza inferiore, creati per servi-re il padrone bianco, indiscusso signore della terra e giudice supremo della vita e della mor-te del negro” (cfr. “Africa”, di John Gunther, ed.Garzanti).Tutto ciò richiama alla mente della parte mi-gliore dell’umanità i momenti altrettanto tra-gici della storia nazista, cui le imprese dei teorici dell’ “Apartheid”, insulto all’intelligen-za umana, appoggiati dalla Chiesa Riformata Olandese, non hanno nulla da invidiare.Gli Africani degli altri Paesi non possono non sentirsi moralmente solidali con i fratelli del-l’Unione, per quella comunità di destino e di storia che ha sempre accompagnato la loro azione di emancipazione dal colonialismo più deteriore.Contemporaneamente, sollecitano dagli Eu-ropei una dimostrazione tangibile di condan-na dei razzisti Sudafricani che, per quanto si dicano difensori della civiltà occidentale, non sono in effetti che il frutto deteriore di questa civiltà. Sta agli Europei ribadire coerentemen-te che le frequenti enunciazioni di principî di Giustizia e di Eguaglianza non conoscono barriere di colore, di razza o di religione, altri-menti anch’essi diventano corresponsabili di queste stragi.Gli Africani sono certi che i loro fratelli con-quisteranno tutti i sacrosanti diritti umani, ma è anche tragicamente probabile che tali diritti, più che dati dai razzisti, saranno pre-si dagli Africani col sangue.

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51

da sinistra gli anni Sessanta nei titoli del Bo’ del 5 aprile 1960, del marzo - aprile 1967, del gennaio 1968 e di quello ‘clandestino’ del primo semestre del 1969in basso la riscoperta della canzone popolare nelle copertine di alcuni dischi del 1967-1968

nistra. Come dire che il “centro-sinistra”,

anche se allargato alla componente co-

munista dell’UGI, nacque nelle Università

prima che nel governo nazionale. Sì, dav-

vero, come nella previsione di Isnenghi,

negli Atenei si andava formando, almeno

in nuce, un primo nucleo di nuova classe

dirigente, quella che poi avrebbe informa-

to una lunga stagione della Repubblica

negli anni a venire.

Ma ritorniamo alle tematiche che Il Bo’ af-

frontò in quegli anni. Tre sono i temi che

dall’inizio degli anni Sessanta occupano le

pagine del giornale.

Il primo riguardò – e non poteva essere

altrimenti, direttamente impattando sul-

le aspettative degli studenti – il problema

della riforma degli studi universitari. Il go-

verno, o meglio il Ministero della Pubblica

Istruzione, nel quale era allora incardinata

l’Università, cominciò sul finire degli anni

Cinquanta ad occuparsi, invero in modo

un po’ parcellizzato, di interventi norma-

tivi su alcuni corsi di laurea. Già nel n. 2

del 1960 il discorso programmatico del

nuovo Tribuno Furio Bouquet, intitolato

Le urgenze della scuola italiana, metteva in

luce alcuni punti critici, di cui i percorsi

formativi universitari erano solo l’ultimo

tassello di un cahier de doléances lungo

e particolareggiato. A questo intervento

seguiva (e poi negli anni molti altri rin-

cararono la dose) un lungo articolo inti-

tolato Urgono le riforme, che – a proposito

del riordino dei piani di studio di Lettere,

Filosofia e Magistero, allora all’ordine del

giorno – criticava il “metodo burocratico,

centralistico, ed evasivo della cornice ge-

nerale, delle garanzie giuridiche ed eco-

nomiche entro cui ogni riforma di singola

facoltà deve trovare il suo inserimento”. Da

lì specificando, in una primigenia rivendi-

cazione dell’autonomia universitaria, che

“questi riordinamenti […avrebbero dovu-

to] investire direttamente la competenza

dei Consigli di Facoltà, cosa che finora

non si fa, in barba ad ogni principio di au-

tonomia culturale dell’Università”. Veniva

in tal modo invocato un principio “alto”,

che poi trovò applicazione molto più tar-

di grazie alla Conferenza Universitaria

dei Rettori Italiani, e – soprattutto – con

la costituzione, seppur con ruolo soltan-

to consultivo, del Consiglio Nazionale

Universitario. E tuttavia questa rivendica-

zione, oggi ovvia, partì dagli studenti, e

non dagli organismi accademici… Il che

contrasta con le posizioni del Rettorato

e delle Presidenze di Facoltà non solo di quegli anni, ma anche del ’68, che ad ogni rivendicazione o proposta studentesca ri-spondevano più o meno così: “Voi, cari studenti, siete di passaggio. L’Istituzione siamo noi, e noi ne siamo i responsabili”. Come dire, che gli studenti non potevano avere voce in capitolo, perché “transeun-ti”. Vedendo quanti redattori del Bo’ di-vennero poi docenti, assumendo a vario ti-tolo anche ruoli rilevanti, verrebbe quanto meno da avanzare dubbi sulla percezione della realtà delle autorità accademiche del-l’epoca. Ma non è questo il punto, quanto quello che sul versante dell’autonomia dell’Università quale libera istituzione fu-rono più perspicaci i redattori del giornale studentesco. Che, peraltro, avanzavano in sede locale la rivendicazione – già propria dell’UNURI, anche se giuridicamente improponibile – di una parte-

ANNI SESSANTA

Page 52: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

cipazione di rappresentanze studentesche

sia nei Consigli di Facoltà che nel Consi-

glio di Amministrazione degli Atenei. Già

nel maggio del 1960 il giornale vi dedicava

una acuta argomentazione sotto il titolo

La rappresentanza e il frutto proibito, inten-

dendo per esso il voler entrare nelle stan-

ze di comando dell’Ateneo, quanto meno

una bestemmia per il ristretto numero dei

professori ordinari dell’epoca.

Il secondo tema di interesse del Bo’ fu la

Resistenza. Non è dubbio che su questo

argomento il Rettorato Ferro, il più lun-

go nella vita ultracentenaria della nostra

Università, e nonostante le notevoli inno-

vazioni che esso comportò, fu tiepido. E

probabilmente non per responsabilità di

Guido Ferro come persona, ma per il cli-

ma complessivo del periodo. Se ne ritrova

traccia fin dal numero 3 del maggio 1960

(ma poi, nel 1964 uscì un numero specia-

le dedicato al 20° della Liberazione), dove

il foglio studentesco pubblicò un articolo

dal titolo Desistenza, nel quale veniva du-

ramente criticato il fatto che nessun do-

cente avesse voluto aderire alla richiesta

del Tribunato di ricordare – nel quindice-

simo anniversario, il 28 aprile, della resa

tedesca a Padova – il rilevante contributo

dell’Università di Padova, Medaglia d’oro

della Resistenza, alla lotta di Liberazione.

L’articolo sosteneva che “[…] Uno dopo

l’altro, i vari docenti universitari esponen-

ti della Resistenza [avevano declinato]

l’invito, lodando l’iniziativa, ma adducen-

do motivi di ‘buon gusto’, per non dover

parlare di se stessi”, e si interrogava se

ciò non fosse l’esito della delusione per

la fine della spinta rinnovatrice e sociale

di cui la Resistenza era stata portatrice. E

duramente concludeva: “Noi abbiamo bi-

sogno di Maestri. I giovani hanno bisogno

che non si ritraggano dal loro compito

naturale di Maestri coloro che ne hanno

la funzione e ne sono più degni: noi chie-

diamo loro di voler continuare ad esser-

lo, di non sottrarsi, di restare responsabili

verso di noi, garanti per l’avvenire”. Era

una critica, ancor oggi condivisibile, che

mirava all’essenza stessa dell’insegnamento

universitario: intesa (e qui non può non ve-

nire alla mente Concetto Marchesi, il Retto-

re che zittì la teppaglia fascista il giorno del-

l’inaugurazione dell’anno accademico nel

novembre del 1943) come l’estrinsecazione

del motto stesso dell’Ateneo patavino, che

– nelle parole Universa Universis Patavina

sopra Arlington, Virginia. Jan Rose Kasmir faccia a faccia con la Guardia Nazionale durante la mani-festazione contro la guerra nel Vietnam. Foto Marc Riboud, Magnum Photos/Contrasto

Parigi, assemblea alla Sorbona, 13-14 maggio. Foto Guy Le Querrec, Magnum Photos/Contrasto

arlington, 1967

parigi, 1968

illustrazione di Omar Carraro

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53ANNI SESSANTA

IL mOVImeNtO StudeNteSCOe gLI “AmICI” deLLA CeCOSLOVACChIA

da Il Bo’ numero 2, 1968

Mentre il nostro giornale andava in macchina la situazione politica e militare cecoslovacca è preci-pitata.Gli studenti della Cecoslovacchia sono in prima linea nella battaglia in corso per difendere l’indipen-denza e l’autonomia nazionale.L’intervento militare dell’URSS e delle altre democrazie popolari aggrava ulteriormente la crisi della sistemazione mondiale uscita dagli accordi stabiliti fra USA, Inghilterra e URSS alla fine della secon-da guerra mondiale.Mai come in questo momento è apparso evidente il rapporto che unisce le situazioni di politica interna che si sono create nei paesi delle due aree di influenza e la politica estera delle due superpotenze.Sia L’URSS che gli USA difendono strenuamente i gruppi dirigenti che esse hanno posto alla dire-zione dei paesi europei o di altri continenti nel corso di questi vent’anni.(….)Ovviamente i vecchi arnesi della guerra fredda che hanno servito così bene l’URSS e gli USA sono contro qualsiasi cambiamento dei rapporti esistenti. Coloro che in Italia hanno attaccato la battaglia del movimento studentesco per la riforma dell’Università, per la liberazione dell’Università dal vec-chio personale culturale strettamente legato al personale politico della guerra fredda, naturalmente si sono precipitati in difesa del movimento cecoslovacco tentando di utilizzare i fatti cecoslovacchi in funzione dei loro interessi italiani.Ma questo tentativo non può impedire a nessuno di vedere che le agitazioni universitarie che si sviluppano in Europa hanno questo in comune: il rifiuto degli equilibri stabilitisi nei singoli paesi in funzione delle aree di influenza dell’URSS e degli USA.Gli avvenimenti cecoslovacchi, sui quali interverremo ancora nel nostro giornale, ne siamo certi, lo dimostreranno.

milano, 1968

praga, 1968

Libertas – rivendica la pienezza della libertà

intellettuale. Negli anni a venire, il richiamo

alla Resistenza come riscatto civile compari-

rà a più riprese nella testata, con l’orgoglio

– non sempre visibile nelle celebrazioni

accademiche – di quella Medaglia d’oro al

V.M. che ancor oggi testimonia del sacrifi-

cio di molti studenti caduti per la libertà.

Il terzo argomento che ricorre negli anni

Sessanta, e forse è il più sentito, riguarda il

tema della “Rappresentanza” studentesca,

vale a dire la capacità degli Organismi elet-

tivi degli Studenti di interpretare al meglio

gli interessi della base da cui essi venivano

eletti. A partire dalla constatazione della

sopra a destra Milano, manifestazione comunista. Foto Ferdinando Scianna, Magnum Photos/Contrasto

Praga, l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia nell’agosto 1968. Foto Josef Koudelka, Magnum Photos/Contrasto

Page 54: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

bassa affluenza alle urne. Pur se non nelle

dimensioni attuali, esisteva anche allora

il fenomeno del “pendolarismo”, e/o co-

munque quello di una scarsa frequenza

alle lezioni, che impediva di fatto alla mag-

gioranza degli studenti di vivere l’Univer-

sità come una autentica comunità.

Così, se il giornale rivendicava una auten-

tica, ed “alta”, riforma dell’istruzione uni-

versitaria, non esitava a mettere in discus-

sione la stessa forma dell’organizzazione

elettiva degli studenti. Fino alla riforma

che l’Assemblea di Tribunato varò, non

senza contrasti, sul finire del 1965. Dalla

nascita degli organismi rappresentativi,

nel dopoguerra, la struttura consisteva

in una Assemblea di Tribunato eletta da-

gli studenti sulla base di liste dove le va-

rie componenti “politiche” indicavano i

loro candidati. L’innovazione del 1965 fu

quella di spostare il baricentro del siste-

ma sulle Facoltà. Le Assemblee di Facoltà

dapprima dovevano eleggere, sulla base di

mozioni programmatiche, i Consigli stu-

denteschi di Facoltà, i quali poi designa-

vano – a seconda del loro peso percentua-

le in Ateneo – i propri rappresentanti in

seno all’Assemblea di Tribunato. Questa

poi eleggeva il Consiglio di Tribunato ed

il Tribuno, sulla base del programma pre-

sentato dai vari candidati. L’obbiettivo del-

la riforma era di sollecitare una più vasta

adesione della base elettorale, e di toglie-

re all’Organismo Rappresentativo quanto

di elitario (e di voto di fatto ristretto) il

vecchio meccanismo alimentava. Fu una

riforma purtroppo incompiuta, perché

– se è vero che essa dava voce ad una pla-

tea più vasta – il rapporto tra O.R. ed au-

torità accademiche rimase frammentario,

in verità più per sordità accademica che

non per colpa dei vertici studenteschi. Di

fatto, l’O.R. studentesco era una presenza,

a Padova come altrove, fastidiosa, anche se

riconosciuta giuridicamente, dato che la

sua attività era finanziata con una piccola,

piccolissima parte delle tasse universitarie

(quando mi iscrissi io all’Università era di

1.000 lire, e tale rimase fino alla decompo-

sizione dell’O.R.).

La testata

Con tali risorse il Tribunato finanziava la

sua attività, ma anche, e soprattutto Il Bo’.

Esso ebbe negli anni Sessanta una perio-

dicità variabile: se in teoria la testata era

bimestrale, il più delle volte uscì rapso-

dicamente, finendo per attestarsi su due,

al massimo tre numeri all’anno. A volte

soccorreva la pubblicità, ma mai tale da

autofinanziare la pubblicazione, salvo ra-

rissimi numeri, ad esempio nel corso del

1965 quando le inserzioni furono più nu-

merose, soprattutto di librerie universita-

rie o di negozi con cui avevano a che fare

gli studenti. Anche la foliazione variò in

modo discontinuo, dalle 4 alle 6, alle 8 e

– in qualche occasione importante – alle

12 pagine.

Come dire che ogni suo numero fu una

“avventura”, anche perché non sempre le

Redazioni ad esso preposte funzionavano

a dovere. E non poche volte era il Diretto-

re pro tempore a farsi carico del singolo

numero, il che scatenò non poche pole-

miche all’interno dell’Assemblea di Tri-

bunato. Tale Assemblea era una sorta di

“parlamentino”, con le tensioni che natu-

ralmente si creano all’interno di un orga-

nismo rappresentativo in cui si confronta-

no una maggioranza ed una minoranza.

Qualche dato editoriale può essere utile.

Da un lato va segnalata la distinzione tra

Direzione responsabile e Direzione poli-

tica. Facendo riferimento al decennio di

interesse, la prima fu fino al 1965 di Gino

Tessari, un noto giornalista professionista

cittadino. Dal 1966, e fino all’ultimo nu-

mero “istituzionale” del gennaio 1968, fu

di Roberto De Prà, già redattore capo del-

la testata nel triennio 1963-65, divenuto

nel frattempo giornalista pubblicista. La

direzione politica fu invece più variegata:

nel 1960 si alternarono Michele Sernini e

Gianumberto Ferraro, nel 1961 subentrò

Lorenzo Renzi, nel 1962 Giulio Felisari

(poi a capo di una variegata attività edito-

riale, e per certi versi preziosa) e Renato

Maggiori, nel 1963 Ugo Trivellato (suc-

cessivamente Tribuno, ed oggi ordinario

nella Facoltà di Statistica), nel 1964 Mario

Mancini, nel 1965-66 lo stesso Roberto De

Prà che (in attesa di una nuova registra-

zione della testata) firmò il numero del di-

cembre di quell’anno come pro manuscrip-

to, nel 1967 Marco Dogo (ora ordinario di

Storia dell’Europa orientale all’Università

di Trieste) e per il numero del gennaio

1968 Sebastiano Bagnara (ora ordinario

di Psicologia cognitiva al Politecnico di

Milano).

Stampava il giornale, a prezzi stracciati, la

Tipografia Poligrafica Moderna, sita in via

S. Maria Iconia, legata in qualche modo

(non so indicare la natura giuridica di tale

rapporto) alla Casa Editrice Marsilio, nata

a Padova in quegli anni e più tardi migrata

a Venezia, ma ancor oggi uno degli editori

più stimolanti, pur se di dimensioni limi-

ANN

I SES

SAN

TA

Page 55: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

55

nelle due pagine sequenze apparse sul numero 1 del Bo’ del 1968 dedicate alle occupazioni e alle manifestazioni studentesche del dicembre ’67

in basso a destra particolare della copertina dello stesso numero.

tate, del nostro panorama editoriale. Del resto, negli ultimi anni, l’Amministrazione del giornale (il che equivaleva alla gestione della pubblicità), fu situata proprio presso la Marsilio, allora ubicata in via S. Eufemia, un indirizzo “storico” per l’intellettualità democratica padovana dell’epoca.

L’epilogo

Come finì la storia del Bo’ ? Beh, fu travol-to dalla decomposizione dell’O.R., esito naturale del movimento studentesco che nacque nelle facoltà “dal basso”, con for-me di organizzazione spontanee e, sostan-zialmente, “anarchiche”. E come forma di rigetto rispetto all’O.R., incapace ormai di rappresentare la base studentesca. Ma morì anche perché il Rettorato subito bloccò i fondi che lo alimentavano, vale a dire quelle mille lire che ogni studente versava per il funzionamento dell’O.R. tra-mite le tasse universitarie. Si trattò di una scelta quasi obbligata, ma in realtà incon-grua in una situazione in movimento.Le assemblee di facoltà si dotarono presto di un organo di coordinamento. Nacque così il Comitato Interfacoltà, che fungeva da supplente alla decaduta struttura del Tribunato. Si trattava di una organizzazio-ne “leggera”. Ne era Segretario Giorgio Caniglia, all’epoca (se non ricordo male) studente di Fisica, Vice Segretario chi scri-ve, e poi tre “Sindaci” (non mi rammen-to il perché di tale denominazione) nelle persone di Giannina Longobardi, Umber-

to Picchiura, ed Emilio Vesce (poi coinvol-to nel processo cd. del “7 aprile”, ed indi parlamentare del Partito Radicale).A me spettò di riannodare il rapporto con il Rettorato, vale a dire con chi allo-ra lo guidava, il prof. Guido Ferro. Ebbi con lui diversi incontri nel suo Istituto di Idraulica, ma le mie (scarse) doti diploma-tiche non sortirono alcun effetto; il man-dato che avevo era di ottenere almeno le risorse per continuare la pubblicazione del giornale. Fu tutto inutile, anche se il Rettore non manifestò obiezioni ideologi-che, solo opponendo problemi di legitti-mità, che anche allora non mi apparvero irrilevanti.La vita del Comitato Interfacoltà, che do-veva essere solo un organismo di coordi-namento e di raccordo tra le Assemblee di Facoltà, non fu comunque semplice. Tra i contrasti che lì emersero, vi fu un ten-tativo, da parte di Vesce, che faceva riferimento al movimento di Pote-re Operaio, e quindi al prof. Negri, ordinario di Dottrina dello Sta-to nella mia facoltà (Scienze politiche), tentò di acquisire la proprietà del Bo’. Non essendo il Tri-bunato una per-sona giuridica, la titolarità della te-stata era in capo al Tribuno pro

tempore. Che, ovviamente, anche se de-caduto in seguito all’esplosione del Mo-vimento Studentesco, non volle cederla. Non per egoismo personale, ma perché giustamente non riteneva – essendone solo il proprietario formale – che essa po-tesse ceduta. In fin dei conti essa apparte-neva alla comunità universitaria in quanto tale, e come tale andava preservata.Fu così che un nucleo della Redazione che aveva firmato l’ultimo numero (Gennaio 1968) decise, in accordo con la proprietà giuridica della testata, di riprenderne la pubblicazione. Fu un’avventura. La pub-blicazione avveniva al di fuori di qualsiasi “copertura” politica, e segnava anche una frattura (poi ricomposta) con lo stesso Co-mitato Interfacoltà, e con risorse – a parte due inserzioni pubblicitarie – personali.I due numeri “pirata” sono del 1968. Il primo numero, segnato I semestre, vede-va accanto alla testata la seguente (lunga) manchette: “L’evidente scorrettezza for-male della pubblicazione di questo nume-ro del Bo’ è superata solo dalla scorrettez-za sostanziale insita nel comportamento di coloro che, per inerzia o cosciente rifiuto, hanno omesso di sollecitare le Assemblee

ad un giudizio sulla for-

ANNI SESSANTA

Page 56: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di PadovaAN

NI S

ESSA

NTA

mazione di un giornale degli studenti,

all’interno di un più generale discorso

sugli strumenti organizzativi di un movi-

mento studentesco realmente di massa e

non monopolizzato da c.d. ‘avanguardie’,

tali solo per investiture di Mao, di qual-

che cattedratico furbo e trasformista, o

degli ultimi squallidi ed antistorici rotta-

mi di un passato regime. Contro le even-

tuali critiche circa l’uso abusivo di fondi

dell’Interfacoltà [che non ci furono, an-

notazione personale] o la pretesa recezio-

ne di finanziamenti esterni, critiche che

ovviamente ci aspettiamo dagli habituées

di tali operazioni, intendiamo dimostrare

come un minimo di capacità organizzati-

va e di interessamento (vedi pubblicità),

nonché un rigoroso controllo anche del-

le minime spese, rendano possibile, sul

piano politico, quel prezioso interscam-

bio di idee ed esperienze, che possa es-

sere perseguito anche in questa forma”.

Frasi ovviamente polemiche, scritte di

pugno da chi aveva assunto la direzione

responsabile del foglio, il veneziano Sal-

vatore Zacchello, studente fuori corso di

Giurisprudenza, a me caro – oltre che per

la sua amicizia – per il lucido impegno po-

litico e civile che sempre manifestò fino

alla sua prematura scomparsa.

Il secondo, segnato II semestre, presenta-

va una manchette più breve, che eviden-

ziava la sostanziale ricomposizione della

frattura che la pubblicazione del primo

numero aveva aperto nel Comitato Inter-

facoltà, e di fatto ‘copriva’ i responsabili

della precedente forzatura editoriale. Essa

recitava: “In attesa che, a norma di Statu-

to, le Assemblee di Facoltà si pronuncino

sul futuro del Bo’, il Comitato Interfacoltà

degli studenti dell’Università di Padova ha

dato mandato ad un comitato redazionale

di curare la pubblicazione di questo nu-

mero. Gli articoli non impegnano politi-

camente l’Interfacoltà, ma devono essere

considerati come altrettanti ipotesi di la-

voro, su cui ci si augura si possa aprire una

proficua e costruttiva discussione”.

Di cosa si occupò questo giornale quasi

‘clandestino’? Delle tematiche del ’68,

che ben si avvertono scorrendo i titoli,

a partire dal lungo editoriale del primo

numero Opposizione studentesca alla ri-

strutturazione neo-oligarchica dell’Università

per arrivare a quello del secondo nume-

ro intitolato La scuola: punto di crisi dello

schieramento capitalistico, senza contare gli

interventi di attualità (l’invasione sovie-

tica della Cecoslovacchia, ad esempio), i

problemi dell’Interfacoltà, il braccio di

ferro con il Rettore per il blocco dei fondi

studenteschi, od un mini-saggio intitolato

Monopartitismo perfetto, feroce critica al Bi-

partitismo imperfetto del sociologo Gior-

gio Galli. Quasi tutti gli interventi erano

firmati con pseudonimi (il mio era G.

Pierre), e non con i nomi dei redattori.

Prudenza cospirativa, verrebbe da dire…

L’auspicio della manchette del secondo

numero non ebbe ovviamente seguito,

stante il venir delle (labili) condizioni che

avevano consentito all’Interfacoltà di so-

pravvivere per poco meno di un anno.

Finì così anche Il Bo’, (inutilmente) dona-

to, come ho ricordato, all’Istituto Veneto

per la Storia della Resistenza.

Si apre ora una storia nuova. La testata è

in mani sicure, che sapranno – ne sono

certo – far rivivere quei valori identitari,

quelli della Universa Universis Patavina

Libertas, che sottendono tutta la storia di

quanti a Il Bo’ generosamente dedicarono

tempo e fatica.

NOTA A MARGINE. Avendo già ricordato i due Direttori responsabili degli anni Sessanta, ed i rispettivi Direttori politici, mi pare corretto fare menzione anche delle Redazioni che si sussegui-rono fino al 1968. Può apparire un arido elenco di nomi, ma a me appare doveroso ricordarli, dato che sono parte di una storia comune. Re-

dazione 1960: Giancarlo Zizola (vicedirettore), Vittorio Caldiron, Marcello De Cristofaro, Mario Isnenghi, Carlo Montiglio, Giorgio Tinazzi. Reda-

zione 1961: Tullia Chiarioni, Marcello De Cristo-faro, Gianfranco Ferrarese, Guariente Guarienti, Mario Isnenghi, Silvio Lanaro (segretario di Re-dazione), Erasmo Leso (redattore capo), Anco Marzio Metterle, Raffaello Vergani. Redazione

1962: a cura dell’Ufficio del Consiglio di Tribu-nato. Redazione 1963: Roberto De Prà (redattore capo), Mario Mancini, Antonio Melis, Alberto Mioni, Piero Pellizzari, Andrea Tomiolo, Nicolò Toppan, Fulvio Zuliani. Redazione 1964: Rober-to De Prà (redattore capo), Sandro D’Odorico, Giancarlo Fava, Rossana Freda (segretaria di Re-dazione), Gianni Parenzo, Giorgio Segato, Mario Tonello, Nicolò Gabriele Toppan. Redazione 1965: Paolo di Benedetto, Marco Dogo, Francesco Jori, Guido Paglia, Giuliano Zoso. Collaboratore: Da-rio Maretto. Redazione 1967: Cesare Cornoldi, Paolo Di Benedetto, Arturo Tosi. Collaboratori: Maurizio Angelini, Corrado Medici. Redazione

gennaio 1968: Marco Trabucchi (vice direttore), Cesare Cornoldi, Paolo Di Benedetto, Marco Dogo, Ivano Paccagnella, Umberto Picchiura, Giorgio Roverato, Arturo Tosi. Redazione I e II

semestre 1968: Sebastiano Bagnara, Marco Dogo, Ivano Paccagnella, Umberto Picchiura, Giorgio Roverato.

in alto il manifesto dell’occupazione di PalazzoCampana pubblicato sul Bo’

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Raramente un prodotto è stato più detestato e contestato del giornale

(inclusi ovviamente i suoi confezionatori, cioè i giornalisti); e non solo nell’attuale deriva dell’informazione-spettacolo a par-tire dalla sua variante trash, leggi pattu-miera, ma fin dalla sua nascita, o quanto meno dal suo ingresso a inizio Ottocento nella fase della riproducibilità su larga sca-la e quindi della diffusione di massa. Se per Hegel, rara avis, era la preghiera lai-ca del mattino, ha rappresentato invece il diavolo per Nietzsche e Kierkegaard, Bau-delaire e Balzac, Kraus e Tolstoj, Alfieri e Collodi. Già: perfino, non a caso, l’autore di Pinocchio, per il quale la stampa era “molte tonnellate di parole per pochi chili di pane”. Forse perché scomodo, com’è o come dovrebbe essere nella sua funzione di “watch-dog”, cane da guardia del pote-re nella sua matrice anglosassone; e non è

un caso che nell’Inghilterra settecentesca, alla faccia della lezione di Locke sulla li-bertà di pensiero, molti giornalisti finisse-ro in galera.Nel suo piccolo, Il Bo’ lo è stato. La rivi-sitazione storica che viene fatta della sua prima trentina d’anni di vita, in questo primo numero di una nuova serie, lo di-mostra con buona evidenza, specie per il periodo post-bellico, riflettendo la vivacità di un ateneo che, è bene ricordarlo, nasce da uno strappo istituzionale clamoroso per l’epoca, quello dalla casa-madre di Bo-logna, e si ispira ad un motto che fa perno sull’universalità della libertà. Tra contesta-zione e goliardia, registrano le cronache della testata, viene sonoramente fischiato in aula magna un ministro della Pubblica Istruzione come Antonio Segni, e viene insignito di un fiasco nel cortile del Bo un presidente della Repubblica come Giu-

seppe Saragat: cui l’omaggio peraltro non dovette risultare sgradito. Nei primi anni Cinquanta, il giornale si fa promotore di una raccolta di firme per un referendum abrogativo della legge Ermini, che preve-deva tra l’altro (nihil sub sole novum, segna-lava già l’Ecclesiaste) un aumento delle tasse universitarie. I suoi caustici vignet-tisti graffiano impetuosamente i potenti dell’epoca, rettore incluso: che poi a ben vedere, nel caso specifico, sarebbe stato pure l’editore di riferimento... In occasio-ne dell’apertura di un anno accademico, a due ministri presenti e allo stesso mitico ventennale rettore Guido Ferro viene fat-to presente che in fondo sono “impiegati dello Stato da noi pagati”.Insomma, un giornale per nulla paluda-to e reverenziale, sulle cui colonne com-paiono d’altra parte le firme di studenti che diventeranno famosi nei loro campi,

UN gIorNAlE Scomodo

Francesco Jori

Page 58: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

da Diego Valeri a Carlo Arturo Jemolo, di

alunni destinati a diventare autorevoli cat-

tedratici, e di universitari che andranno

poi a far parte della classe dirigente non

solo padovana, con ruoli anche di presti-

gio. Un giornale in definitiva che riflette

la vivacità di una vita accademica sempre

intensa, nelle sue luci e nelle sue ombre.

Succede in epoca fascista, dove Il Bò viene

tenuto a battesimo come organo ufficiale

del Guf, il gruppo universitario del fascio,

e quindi come strumento della propagan-

da del regime all’interno dell’accademia:

ne sanno qualcosa le natiche del potente

gerarca Achille Starace, sorrette da robu-

ste spalle ma in realtà punzecchiate da

mani malandrine di mordaci studenti,

peraltro “forse più brilli che antifascisti”,

come annota Mario Isnenghi nel suo con-

tributo a questo numero. Succede nel tra-

passo alla democrazia e alla repubblica,

con un protagonista sia accademico che

giornalistico, tra Bo e Il Bo’, come Egidio

Meneghetti. E succede nel dopoguerra,

con la nascita degli organismi rappresen-

tativi studenteschi, tra Rorida Begonia e si-

gle quali Intesa e Ugi, tra goliardia e impe-

gno. Con una vivacità a volte confusa ma

sempre vitale, che trova eco sulle colon-

ne del giornale con inchieste, interviste,

approfondimenti, polemiche. Attraverso

gli articoli che si susseguono negli anni,

insomma, è possibile ripercorrere la vita

dell’ateneo, ritrovandovi spunti singolari:

dalla presenza di opposti protagonisti del-

le derive estremistiche più radicali, come

Toni Negri (che del Bo’ è stato anche di-

rettore) e Franco Freda, a scelte anticipa-

torie di scenari nazionali, come il primo

esperimento ante-litteram di centrosinistra

verificatosi a fine anni Cinquanta negli or-

ganismi rappresentativi dell’ateneo, pale-

stra per molti studenti di impegno civile e

politico. E con una sostanziale autonomia

delle varie sigle universitarie dai rispettivi

partiti di riferimento.

Per chi ha avuto modo di vivere tutto ciò

lavorando dentro le sempre volatili ed

effimere ma comunque attivissime e pas-

sionali redazioni del giornale, si è trattato

di un’esperienza stimolante come poche:

lo si può cogliere dalle testimonianze in

prima persona ospitate in questo numero

speciale, e che appartengono alle varie fasi

della testata. Perché in un’università già di

suo immersa nei fermenti, nelle speranze

e nelle tensioni di un Paese storicamen-

te condannato a essere insieme un caso

atipico e un’eterna incompiuta, “fare il

giornale” ha significato un piccolo ma im-

portante valore aggiunto: consistente nel-

la possibilità di dare voce e spazio a idee e

stimoli, di raccoglierli dai protagonisti più

impegnati per farne partecipe una platea

più ampia, in modo che non rimanesse

solo spettatrice passiva, o peggio ancora

inerte massa di manovra. Lo si è visto so-

prattutto nella fase terminale della testa-

ta, quella che ha condotto al ’68; e dove

l’università (non solo italiana: si pensi alle

spinte del maggio francese all’insegna del

“siate ragionevoli, chiedete l’impossibi-

le”) è diventata uno dei luoghi-simbolo

della protesta contro una classe dirigente

sempre più lontana dal Paese reale, di un

potere sempre più impegnato a difendere

se stesso, di un’autorità sempre più auto-

ritaria e sempre meno autorevole; insom-

ma, di una leadership autoreferenziale. E

non è un caso che il ’68 segni a Padova

la fine, contestualmente, degli organismi

rappresentativi e del giornale: una fase si

chiude, una lunghissima stagione tramon-

ta, e come sempre accade nei grandi ri-

volgimenti, dopo nulla potrà più essere lo

stesso.

Resta da cogliere, nella vita del Bo’, una

singolare costante di precarietà che non

ne pregiudica peraltro la continuità. Dal

primo numero del 1935 all’ultimo del

1968, direttori, redattori e collaboratori

si avvicendano in modo vorticoso; la pe-

riodicità ricorda quella autoironicamente

garantita da vecchi effimeri fogli periferici

(“esce quando può”); la chiusura in tipo-

grafia di ogni singolo numero avviene sul

filo di lana, spesso sollecitando o scongiu-

rando all’articolista di più facile penna un

intervento-tampone in extremis per sup-

plire all’intellettuale che l’ha data buca

malgrado i ripetuti solleciti. Precari, anzi

di più, sono pure i momenti della nascita

e della morte: un’estemporanea pubblica-

zione con la testata Il Bò appare nel 1919,

all’indomani della Grande Guerra, ma si

riduce a una singolare una tantum; due

anni prima della partenza ufficiale del

1935 spunta un’altra una tantum ma stavol-

ta declinata in dialetto, El Bò; e nel 1968,

prima della chiusura definitiva, il giornale

esce con due numeri dichiaratamente pi-

rata, tentando una disperata quanto inuti-

le resistenza: morirà strangolato per tanti

motivi, non ultimo il taglio dei già risibili

fondi fin lì assegnati dall’ateneo.

A ripercorrerne le tappe, a risivitarne le

vicende, soprattutto a rileggerne i pluri-

decennali contenuti, questo multiforme

Bo’ può apparire improvvisato, spontanei-

stico, frammentato, velleitario. Ma forse

proprio questo va annoverato tra i suoi

pregi, perché riflette una passione civile,

una tensione ideale, una voglia di esserci,

sempre rinnovate nelle generazioni che si

sono succedute: tre ingredienti che fanno

parte integrante di un percorso educati-

vo e di crescita, non meno delle materie

proprie della formazione accademica. Ti-

toli, foto, testi, tagli, impostazioni, scelte

editoriali potranno oggi apparire dilettan-

teschi, a fronte di esperienze magari più

autorevoli; ma non bisogna mai dimenti-

care che sono stati dei dilettanti a costrui-

re l’Arca di Noè, e dei professionisti a va-

rare il Titanic. Quel giornale è morto al

buio, inconsapevole che fosse arrivata la

fine, anzi intenzionato a rimanere a pieno

titolo sulla breccia, come dimostrano le

parole del suo ultimo numero: dove si se-

gnalava che gli articoli pubblicati erano da

considerare “come ipotesi di lavoro, su cui

ci si augura si possa aprire una proficua

e costruttiva discussione”. È calato invece

un quarantennale silenzio, dal quale oggi

l’Università di Padova decide di sottrarlo,

per restituirlo a un ruolo di stimolo e a un

luogo di incontro e confronto, dove pos-

sa tornare a svilupparsi quella “proficua

e costruttiva discussione” invano auspica-

ta nel remoto ’68. La patavina libertas su

cui si fonda la sua secolare storia è stata

d’altra parte garantita dal ruolo e dallo

spazio universalmente garantiti di area

franca delle idee. Che possono e devono

esprimersi anche attraverso un giornale. E

che non devono ridursi, soprattutto, alla

concezione che ne aveva donna Prassede.

La quale, ci spiega Manzoni, con esse “si

regolava come dicono che si deve far con gli

amici: n’aveva poche, ma a quelle poche era

molto affezionata; e tra le poche, ve n’era per

disgrazia molte delle storte, e non erano quelle

che le fossero meno care”.

Perciò questo giornale si augura di poter

contare su molti e critici amici.

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ANNI treNtA e QuArANtA

foto grande Il Bò del 23 dicembre 1941

da sinistra Il Bò del 24 settembre 1938 e del 16 settembre 1940

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il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

ANNI CINQuANtA

foto grande Il Bo dell’8 febbraio 1952

da sinistra Il Bo’ dell’8 febbraio 1956 e il supple-mento mensile al Bo del novembre 1953

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ANNI SeSSANtA

foto grande Il Bo’ del gennaio 1968

da sinistra Il Bo’ del II semestre 1968; Il Bo’ del febbraio-marzo 1966

Page 62: IlBo - 1935-1968 storia di un giornale universitario. - numero speciale - Marzo 2008

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

num

ero

spec

iale

/ m

arzo

200

8

1935-1968storia di un giornale universitario

ANNI TRENTA E QUARANTA

Attraverso il regime:dall’incubo razzista alla Liberazione

ANNI CINQUANTA

Intrecci e scintille: tra goliardi e politica sfidando le censure

ANNI SESSANTA

Impeto e tensione: gli atenei del mondo si tendono la mano

il giornale dell’Università degli stUdi di Padova

direttoreGianni Riccamboni

direttore responsabileGiorgio Tinazzi

progetto editoriale, grafico e realizzazioneServizio Pubbliche Relazioni

redazioneFrancesco Ambrosio, Giuseppe Barbieri,Saveria Chemotti, Armando Gennaro,Luca Illetterati, Gualtiero Pisent, Franco Viola

segreteria di redazioneMarco [email protected] / tel. 0498273066

www.unipd.it

fotografieMagnum Photos/ContrastoFototeca dei Consorzi edilizi dell’Università di PadovaIstituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età ContemporaneaArchivio dell’Università di Padova

Registrazione presso il Tribunale di Padovan. 2097 del 30 luglio 2007

Finito di stampare nel mese di febbraio 2008presso Chinchio industrie grafiche - Padova

in copertina Parigi, maggio 1968.

© Bruno Barbey Magnum Photos/Contrasto

numero speciale / m

arzo 2008