IL VILLAGGIO DEL SOLE. UN QUARTIERE D'AUTORE

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a cura dell'Associazione "Villaggio Insieme" collana Abitare il Villaggio - Vicenza, 2010

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Villaggio del Soleun quartiere d’autore

A cura di Villaggio insieme

C o l l a n aABITARE IL VILLAGGIO

Vicenza 2010

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Col patrocinio del Comune di Vicenza

promosso daVillaggio insieme

con il contributo diA.T.E.R. Azienda Territoriale Edilizia Residenziale della provincia di VicenzaConfindustria Vicenza, Sezione Costruttori EdiliVAGA - Associazione Giovani Architetti della Provincia di Vicenza

gruppo redazionaleRoberto BrusuttiLuisella Paiusco

collaborazione editoriale e graficaSteve Bisson

si ringraziano:Biblioteca Civica Bertoliana, in special modo gli addetti al servizio di consulenzaLorenzo Beggiato, S.I.T. Servizio Informativo Territoriale del Comune di VicenzaArianna De Agostini, Ufficio Statistica del Comune di VicenzaLuca Matteazzi, Direttore del settimanale “VicenzaPiù”, VicenzaLauro Paoletto, Direttore del settimanale “La Voce dei Berici”, VicenzaAntonio Ranzolin, Archivio e protocollo del Comune di VicenzaFoto Borracino, VicenzaGiovanni Nicola Roca, Associazione VAGA e Settore Urbanistica del Comune di Vicenza

Associazione Villaggio insiemePresidente Roberto Brusuttistr. Biron di Sotto, 109 - Vicenzae-mail [email protected]

Copyright © 2010 - La Serenissima, VicenzaTutti i diritti riservatiPrima edizione: ottobre 2010ISBN 88 7526 088 5

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CollanaABITARE IL VILLAGGIO

n° 6

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Indice

Al lettoreAssociazione Villaggio insieme 9

Introduzionedi Steve Bisson 11

I. Le immagini 15

II. Il progetto

Da quartiere satellite a realtà urbana integratadi Maria Bottero 35

La realizzazione di un compiuto episodio urbano e il consolidarsi di una comunitàdi Chiara Mazzoleni 45

Un frammento di città nella nebulosa insediativadi Fernando Lucato 55

La forma si racconta: la chiesa di San Carlodi Elisabetta Brusutti 61

III. La comunità

La comunità che cambia: scenari socio-demograficidi Francesco Sbetti e Francesco Palazzo 69

Con la tua cultura arricchisco la mia creativitàdi Gabriella Candia 87

IV. Il verde

Il Villaggio-giardinodi Beppe Provasi 93

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Considerazioni sul verdedi Anna Peruffo 101

L’importanza del verdedi Maria Dolores Panarese 105

V. Le prospettive

Lavorare sulla città costruitadi Marisa Fantin 109

Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza. “Schizzi postumi”di Umberto Saccardo 117

VI. Appendice

Un quartiere d’autore: i progettistia cura della Redazione 129

Bibliografia 135

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Al lettore

Questo libro, Villaggio del Sole. Un quartiere d’autore, fa parte della collana Abitare il Villaggio, una raccolta di tre quaderni e due precedenti volumi dal titolo Memoria e storia, del 2009 e Il valore della memoria. La forza della narrazione, pubblicato all’inizio del 2010. La nostra associazione ha voluto raccontare la storia collettiva della comunità del Villaggio del Sole di Vicenza attraverso una narrazione a cerchi concentrici: i quaderni e il primo libro riflettono lo sguardo interno al quartiere con i racconti degli abitanti, il secondo libro, con le riflessioni dell’associazione e di persone in sintonia con il nostro progetto, legge la storia del quartiere sullo sfondo del tempo in cui è nato e si è consolidato. Questo volume costituisce il cerchio narrativo allargato: lo sguardo sul quartiere è di esperti che leggono il Villaggio del Sole nel suo valore intrinseco e nelle potenzialità che ancora è in grado di esprimere. I loro testi completano la testimonianza dell’asso-ciazione sulla singolarità del luogo, del suo progetto e della sua comunità.

è stato possibile pubblicare i nostri libri perché i narratori e gli autori hanno col-laborato gratuitamente. A tutti loro il nostro grazie.

Associazione Villaggio insieme

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Steve BiSSon

Introduzione

La breve introduzione di questo libro è il frutto di un lento coinvolgimento di chi scrive nelle attività dell’associazione Villaggio insieme. Una realtà che a parole è difficile da descrivere, per capirla occorre viverla dall’interno. Un incontro di-venuto opportunità di conoscere da vicino un luogo caratterizzato da un insieme di edifici realizzati in un tempo che riesco solo ad immaginare in bianco e nero. Un episodio di urbanistica per molti aspetti quasi nascosto alla sua città e forse irripetibile. Ma, ancora di più, è stata la possibilità di ascoltare una storia resa straordinaria dalle memorie e dalle speranze dei suoi abitanti. Un quartiere che un tempo attraversava rapido il mio sguardo come una canzone che si ascolta senza dare troppa importanza alle parole, ora rappresenta quasi un heimat, un possibile rifugio contro l’indifferenza.

Tuttavia accade nell’ascoltare o nel leggere del Villaggio del Sole di coglie-re un’inevitabile quanto spontanea propensione a differenziare l’insediamento dal suo contesto. Una visione che può indurre a polarizzare il Villaggio rispetto al resto della città, e a limitarne almeno idealmente il futuro. Questo intrinseco dualismo va letto e interpretato, come bene ci suggerisce Maria Bottero, rispetto al momento storico che ha prodotto il Villaggio. Siamo nel dopoguerra, l’Italia si sta già preparando al boom economico ma vi sono ancora larghe sacche di disoccupazione. Questi “villaggi” nascono come veri e propri interventi pubbli-ci “contingenti” e, quindi, episodi singolari che non ritroveremo ancora nella storia del Paese se non con impostazioni radicalmente diverse e con una portata indubbiamente minore. Il Villaggio nasce già come cellula autonoma e adatta a ospitare tutti gli elementi necessari alla sua riproduzione (la scuola, la biblioteca, la chiesa, il centro sociale, per citarne alcuni). «Un luogo», come scrive Fernando Lucato, «nel quale gli abitanti diventeranno comunità» a differenza di quanto si osserva spesso nelle banali periferie di iniziativa privata dissipate dalla rendita fondiaria.

Ed è in questa sua genetica predisposizione all’autonomia, saldamente te-stimoniata dalla sua forma insediativa come ricorda Umberto Saccardo nei suoi “schizzi postumi”, che ritroviamo le ragioni di una speciale convivenza o “parte-cipe” come più volte richiama Chiara Mazzoleni, che sembra resistere civilmen-te al tempo e tramandarsi tacitamente anche tra gli stranieri che arricchiscono l’anagrafica del quartiere. Una nuova generazione di immigrati, senza dubbio più colorita, che ci aiuta a ripercorrere le sorti iniziali del Villaggio e a riflettere sul suo (e non solo) futuro, come ci suggeriscono le previsioni sulla comunità che

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Steve Bisson

cambia di Sbetti e Palazzo e le “anticipazioni” dalla scuola descritte da Gabriella Candia.

Nell’essere, però, modello insediativo fortemente connotato, il Villaggio conserva un rischio: quello di alienazione quale episodio felice, diverso, altro rispetto alla città madre ma anche alle cugine periferie, estraneo a certi modi di fare territorio anziché “sistemato” come tutti in un tessuto urbano per quan-to disgraziato. L’avere poi delle qualità abitative e architettoniche riconoscibili, paradossalmente, può alimentare la convinzione, comune al destino di molti edi-fici e complessi storici, che l’indifferenziata conservazione o l’archiviazione sia l’unica, per quanto inutile, prospettiva.

Esiste allora il bisogno di difendere e valorizzare la singolarità del quartiere, ma anche di condividere e diffondere le risorse del vivere comune e dell’esperienz-za di un abitare all’insegna dell’accoglienza e della solidarietà che lo distinguo-no. Il Villaggio deve mettersi in gioco e lo deve fare senza autocelebrarsi troppo, ma con la consapevolezza e la maturità che non è recintandosi nella propria storia che si salverà. In questo senso lo sforzo degli abitanti di aprire un confronto par-tendo dal chi siamo e siamo stati, di coinvolgere i professionisti, di stimolare la pubblica amministrazione e di guardare avanti, è certamente segnale del bisogno di rivendicare una propria identità ma anche della volontà di impegnarsi in un dialogo costruttivo.

Le parole di Marisa Fantin sono da questo punto di vista inequivocabili nell’osservare l’opportunità di considerare la percezione del luogo da parte de-gli abitanti non solo prova di radicamento locale, ma fertilizzante ideale per la progettazione o, meglio, per crescere un archetipo di città che si intreccia con le definizioni più recenti di paesaggio. Anche Maria Bottero parla di «ricondurre l’urbanistica al paesaggio». Ma è oggi proprio del dibattito emergente sulla città registrare una forte e crescente attenzione alle relazioni con ciò che ci sta attorno e al quale forse apparteniamo.

Spesso sottomessa a rapporti di dominanza o ricondotta a icona di compensa-zione anche la natura oggi reclama il suo spazio. E lo fa attraverso i suoi “abitan-ti”, che nella necessità di riappropriarsi di una dimensione ambientale più vicina alla propria di natura, vanno a tracciare nuove piste, spingendosi autonomamente a piedi o in bicicletta nella ricerca di altri percorsi lungo gli argini dei fiumi, i margini dei campi, sulle colline fino alle cave o le altre aree abbandonate dove la natura indisturbata ha già tracciato un nuovo corso. Come non riconoscere in questi itinerari e in queste pratiche spontanee di adattamento ad un luogo (ben diverse peraltro da quelle normative di individuazione degli standard a verde), un bisogno vero, naturale quasi, di terra e di acqua, di spazio e di una natura preferi-bilmente non più intubata, ostruita, edificata, se non addirittura aliena e per molti versi irriconoscibile?

Il tema è ripreso anche in questa pubblicazione, come segnala Anna Peruf-fo, evidenziando la lungimiranza dei progettisti del Villaggio nel pensare ad un

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Introduzione

insediamento «in stretto dialogo con la collina di Monte Crocetta con aree verdi che penetrano fino al centro del quartiere costituendo, oggi, veri e propri corri-doi ecologici in “continuum” con il verde naturale collinare». Questa inedita e spiccata vocazione green che ritroviamo nel quartiere, come giustamente avvisa Giuseppe Provasi, non deve lasciare intendere che la natura è sinonimo di im-provvisazione o di una disinvolta piantumazione di alberi di Natale. Tutt’altro, e l’agronomo nel suo scritto è abile nell’individuare alcuni indirizzi di intervento tra i quali, non a caso, leggiamo anche l’educazione e la formazione alla cura del verde. Una presenza, quella del verde, addirittura fluida, come ci spiega Maria Dolores Panarese, capace di creare uno spazio connettivo permeabile, in grado perfino di unire «pubblico e privato, sacro e profano». Non c’è da stupirsi quindi se la chiesa di San Carlo, esempio più unico che raro in Italia di progettazione di un edificio religioso cristiano a partire da una legge naturale, la spira mirabilis, è posta al centro di questo spazio e ne diventa solido testimone, come ci ricorda Elisabetta Brusutti.

Proprio dal riconoscimento del verde e della vita esistente “dentro e fuori” il Villaggio può nascere una visione e, forse, un progetto che aiuti a rileggere il quartiere come possibile articolazione tra quello che resta della campagna e ciò che assomiglia ad una città. Il verde può diventare occasione per dilatare i luoghi e migliorarne la percezione. In questo senso vanno lette le indicazioni di Lucato e anche le immagini riportate all’inizio di questo libro. Un racconto fotografico che documenta attraverso tracce e presenze la ricca trama ambientale riconoscibile alle spalle del Villaggio e, più in generale, il bisogno di natura o la ricerca di una relazione autentica con le nostre origini quale conferma della propria esistenza.

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I. Le immagini

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La percezione di un luogoriflette il modo in cui ci spostiamo.I piedi sono il mezzomigliore per guardare.Ciò che sorprende del Villaggiosono gli alberi, i fiori e le piante,l’ombra e il silenzio.La natura sembra più vicina.

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Si può camminareanche sull’erba tagliata.L’impressione è di attraversareun grande spazio aperto.

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Il verde nasconde desideri,bisogni, a volte presenze.Si ha un senso di libertà.

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Si possono incontrare personee scoprire l’esistenza di sentieriche si immergono nelle colline.Salendo al Monte Crocettae poi giù fino alle Maddalene.

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Il bosco e le siepiparlano di uomini,di animali e di scorciatoie.Lo sguardo scivola lontanoverso il blu delle montagne.è un luogo da rispettare.

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In fondo al sentiero Dal Martellola sorgente della Seriola.L’acqua è quasi gelida.La si ritrova ancora al lavatoio pubblicoe lungo i fossati che scendono in città.

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Volgendo alla cittàsi percorre la stradina delle Bereganeassieme a persone gioviali.Poco distante vi è un boschetto planizialeove per ogni neonatoè stato piantumato un albero.

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Rientrati al Villaggio,ci si può riposare al parco.Può capitare di restare incantatitra i bambini che giocano,le mamme che chiacchieranoe gli alberi che come anziani ti guardano.

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Ho iniziato camminando per il Villaggioe quasi istintivamente ho proseguito per le colline, i campi coltivati, le zone di sorgiva, i boschi.

Credo che il Villaggio sia qualcosa di più grande.

Steve Bisson

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II. Il progetto

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Maria Bottero

Da quartiere satellite a realtà urbana integrata

1. Il Villaggio del Sole nella cultura italiana

Ricorre il 50° anniversario della fondazione del Villaggio del Sole nella pe-riferia ovest di Vicenza, anniversario che, grazie all’interessamento appassionato dell’associazione Villaggio insieme, viene celebrato con una cerimonia e con una riflessione sulla storia passata, presente e futura del quartiere.

È giusta e necessaria questa riflessione, poiché dopo mezzo secolo di vita, è radicalmente cambiato il contesto storico-ambientale che aveva prodotto questa iniziativa.

Il “Villaggio del Sole” (1959, 4.000 abitanti, superficie di 110.000 mq) ven-ne costruito dall’INA Casa nel secondo settennio di vita dell’ente (1956-1963).

L’obiettivo era duplice: da un lato potenziare un settore come quello dell’edi-lizia pubblica sovvenzionata, ad alta intensità di lavoro, allo scopo di impiegare la molta mano d’opera disponibile sul mercato, spesso in uscita dal settore agri-colo. Dall’altro allestire un parco alloggi adeguato ad ospitare le molte famiglie senza tetto che a dieci anni dalla fine della guerra e in seguito alle numerose migrazioni interregionali si prenotavano presso l’INA Casa per l’assegnazione di un alloggio.

Questo meccanismo di attivazione del settore edilizio pensato sia come vola-no per il mercato del lavoro sia per la costruzione di un parco abitativo regionale e nazionale viene promosso dalla legge Fanfani (legge n.43 del 28 febbrario1949, ovvero legge INA Casa).

In particolare nel primo settennio (1949-1956), la progettazione dei quartieri, affidata ai migliori architetti italiani, segue un criterio di adesione al linguaggio regionale e locale.

Il vivace dibattito culturale promosso dalle riviste di architettura (“Casabel-la” di Rogers e “Metron” di Zevi) testimonia il fervore ideologico dell’Italia di allora, alla scoperta della propria identità locale e regionale.

È il periodo del neo-realismo cinematografico: film come Roma città aperta (1945), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1952) saranno subito fa-mosi in tutto il mondo.

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Importante, nella temperie culturale e politica italiana è la fondazione nel 1948 del movimento “Comunità” da parte dell’industriale Adriano Olivetti, di ispirazione liberalsocialista, basato sul controllo istituzionale dal basso e sul de-centramento spaziale urbanistico.

Il grande balzo economico chiamato il “miracolo economico italiano” è insie-me riscatto e piattaforma di supporto alla riflessione culturale che in campi diversi l’Italia post-fascista e post-guerra va conducendo sul suo patrimonio identitario.

Più in generale in tutti i paesi europei dell’area occidentale e negli Stati Uniti gli anni Cinquanta sono un periodo di preparazione al decollo industriale del suc-cessivo decennio e al decollo di quella che l’economista americano John Kenneth Galbraith ha definito la società affluente degli anni Sessanta. Si diffonde l’uso degli elettrodomestici e delle automobili, si comincia a parlare di edilizia prefabbricata e industrializzata. In Italia il passaggio dal neorealismo, espressione del paese povero anni Cinquanta, alla percezione di una nuova era della società “affluente” è segnato dal film di Fellini La dolce vita (1960) che, pur ruotando attorno al mondo romano del cinema, intuisce e racconta la dimensione futura del benessere e dello spreco.

L’edilizia del secondo settennio INA Casa risente in parte della diversa tem-perie culturale ed economica e i modelli urbanistici ed edilizi si vanno modifi-cando in favore di una più larga scala di interventi e di una maggiore industria-lizzazione edilizia. Sarà poi la produzione della GESCAL (Gestione Case per Lavoratori), istituita con la legge n.60, 14 febbraio 1963, che rappresenterà, sotto l’aspetto operativo, la continuazione della gestione INA Casa, ereditandone il pa-trimonio immobiliare e innovando modelli architettonici ed urbanistici in favore di interventi a grande scala, realizzati con tecnologie industrializzate (si pensi al Corviale a Roma).

Tornando al Villaggio del Sole, possiamo concludere che il suo modello ar-chitettonico e urbanistico appartiene alla storia dell’INA Casa.

Concepito nel 1959, all’inizio del secondo settennio, si presenta come il tipico quartiere satellite, (nella tradizione dei primi quartieri operai costruiti negli anni Venti e Trenta dal Movimento Moderno in Germania e altrove), sorto in periferia là dove i terreni costano meno e pensato come unità autonoma rispetto alla città. Dotato perciò di servizi primari come la scuola elementare, l’asilo, la chiesa (pre-gevole edificio di Musmeci), i campi da gioco per i ragazzi e molte aree verdi.

Lo stile architettonico degli edifici si rifà in parte all’edilizia locale ma in parte, per esempio nell’edificio curvilineo che chiude a est il quartiere, compare il cemen-to armato a vista, indice di nuove sensibilità e di ricerca di nuove tecnologie.

2. Mondializzazione e crisi ambientale

L’anno 1960, data di produzione de La dolce vita di Fellini, può essere assun-to come più generale spartiacque dello sviluppo economico-industriale nei paesi

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occidentali dove, col progressivo incremento della produzione e dei consumi nel primo e nel secondo decennio post-guerra, si va parallelamente evidenziando un fenomeno nuovo e inquietante, ossia l’alterazione della biosfera e l’inquinamento ambientale. Nel 1968, Pasolini, riferendosi all’Italia, scriveva:

Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in cam-pagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza stra-ziante, del passato…).

I primi segnali di inquinamento della biosfera (acqua, aria, suolo), sono evi-denti soprattutto negli USA, dove i consumi pro-capite sono di gran lunga più alti che in Europa.

Proprio negli USA, nei primi anni Settanta, appaiono dunque i primi studi e rapporti sull’ambiente: la crescita demografica, la disponibilità delle risorse (rap-porto fabbisogno/risorse) e il fenomeno dell’inquinamento.

Il più famoso fra questi studi, redatto da un gruppo di matematici, è forse il rapporto MIT-Club di Roma, intitolato I limiti della crescita (1971), dove si sostiene la necessità della crescita zero.

La tesi è che se non si interviene sull’aumento demografico esponenziale e sul trend di consumo delle risorse, si arriverà molto presto (verso il 2020-2030) all’esaurimento dei giacimenti petroliferi, dei principali metalli, e quindi al col-lasso dell’economia mondiale e della società.

Sono moltissimi i contributi interdisciplinari che a partire dai primi anni Set-tanta indagano gli squilibri ambientali nei loro principali aspetti, arrivando a met-tere sotto accusa agricoltura, industria, economia e insediamenti territoriali.

Vi partecipano ecologisti, biologi, fisici, energetisti, sociologi, economisti (bio-economisti polemici con la scienza economica tradizionale), urbanisti.

La questione ambientale diventa ben presto materia di un dibattito diffuso, che trova spazio in convegni internazionali e sui quotidiani di informazione.

Il rapporto Bruntland (convegno di Rio de Janeiro, 1987) definisce soste-nibile lo sviluppo di una società che non compromette la vita delle generazioni future.

Il protocollo di Kyoto (convegno di Kyoto, 1997) istituisce una politica di contenimento delle immissioni di CO2 nell’atmosfera (responsabili dell’effetto serra e del cambiamento climatico), fissando un limite accettabile oltre il quale lo stato trasgressore dovrà pagare una congrua multa.

Vengono messe in atto politiche di sostenibilità bioecologica da parte di sog-getti virtuosi (nazioni, enti, soggetti vari).

L’Europa elabora un programma di politiche ecosostenibili.Le città propongono quartieri sostenibili in grado di produrre energia pulita

e in grado di riciclare in modo autonomo acqua e rifiuti.

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3. Ripensare la città oggi

In questo mondo sempre più tecnologizzato e interconnesso il fenomeno del-la crescita demografica esponenziale e della crescente urbanizzazione in tutti i paesi e in tutti i continenti, vede uno spostamento massiccio di popolazione dalla campagna alla città, spostamento che in taluni casi rasenta il 70% della popola-zione complessiva.

Le città sono delle macchine che ingoiano risorse (alimenti, acqua, energia) ed espellono residui inquinanti (rifiuti urbani solidi, acque di scarto e di fogna, CO2 e gas tossici).

La cementificazione della fabbrica urbana impedisce il percolamento della pioggia nell’acqua di falda e sottrae suolo prezioso al verde.

Recentemente è stato introdotto il concetto di “footprint” o “impronta ecolo-gica” per misurare il consumo di suolo agricolo implicito nella fabbrica urbana.

Tradotto letteralmente “footprint” significa impronta del piede e, applicato alla città, traduce immaginificamente il dominio della città sulla campagna, il piede sul collo del territorio agricolo, il costo della città in termini di risorse am-bientali.

Mette anche in evidenza i raggi che collegano la città ai diversi punti geografici di origine delle risorse importate. Questi punti di origine possono essere regionali, nazionali, continentali o addirittura intercontinentali come nel caso dei gasdotti e degli oleodotti, ma anche del commercio di importazione di merci e alimenti.

Il footprint della città ne fotografa perciò la dipendenza dal territorio, tanto più costosa in termini di trasporti, quanto più lontane sono le sue fonti di ap-provvigionamento. Ma fotografa anche le emissioni inquinanti dei rifiuti urbani nell’ambiente, siano essi solidi, liquidi o gassosi.

La valutazione dell’“impronta ecologica” implica una lettura della città in termini dinamici e sistemici piuttosto che statici e spaziali, una lettura che ha il compito di esplicitare il quotidiano bilancio input/output della città in termini di flussi di materia ed energia. Per Londra, nel 1995, l’impronta ecologica era pari a 120 volte l’area stessa di Londra.

Il bilancio dei flussi di entrata (input) riguarda il traffico veicolare su strada e su rotaia – le persone, le merci, le derrate alimentari, i materiali da costruzione, le materie prime di lavorazione e trasformazione. Ma anche, accanto alla rete stra-dale e ferroviaria, le reti di distribuzione dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua potabile.

Il bilancio dei flussi di uscita (output) riguarda il traffico veicolare su strada e rotaia – le persone, le merci, i rifiuti solidi, ma anche la rete della fognatura che porta i liquami nei fiumi e nei mari.

Possiamo perciò dire che oltre ai flussi di persone in entrambi i sensi, vi è una generale importazione di risorse cui si contrappone l’esportazione di merci e di scarti.

Maria Bottero

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La valutazione dei flussi di output e input di materia/energia ci rivela il costo materiale della vita urbana e il costo immateriale della sua capacità di produrre informazione, cultura, valori spirituali.

Per descrivere la dinamica input/output della città possiamo utilizzare il ter-mine di “metabolismo urbano”, metafora evidente del metabolismo biologico corporale.

4. Per una città sostenibile

La sostenibilità urbana non può che basarsi sulla minimizzazione dell’im-pronta ecologica. Quanto più una città dipende da risorse che le vengono da fuori e da lontano, tanto più è fragile e soggetta a eventi imprevisti. Quanto più consu-ma e inquina, tanto più è in debito con l’ambiente e finisce quindi per nuocere a se stessa.

Viene tuttavia da chiedersi se “città sostenibile” non sia un ossimoro: come può essere sostenibile la città, che per sua stessa natura funziona come una mac-china che macina risorse e inquina?

Non volendo qui assumere le tesi intransigenti ed estreme della bioeconomia di Georgescu Roegen, mi limito a indicare politiche a breve-medio termine e a più lungo termine che possono e devono essere intraprese.

4.1. Strategie a breve-medio termine

1. Fra queste è al primo posto il problema dei flussi di traffico che, per quanto riguarda il trasporto privato, dovrebbero essere ridotti al minimo.

2. Segue l’approvvigionamento dell’acqua, che pure dovrebbe essere ridotto al minimo attraverso la raccolta delle acque di pioggia e un sistematico riciclo delle acque grigie.Utilizzare meglio l’acqua significa anche non impermea-bilizzare il suolo stradale affinché l’acqua di pioggia possa essere drenata dal suolo, evitando in tal modo lo scorrimento nei tombini e nelle fognature.

3. I rifiuti solidi devono essere selezionati e riutilizzati.4. Gli sprechi energetici devono essere minimizzati, isolando meglio gli edifici,

orientandoli in modo appropriato e costruendoli con materiali bioecologici di basso costo energetico e, dove possibile, con sistemi incorporati di captazione dell’energia solare. Gli spazi aperti devono essere dotati di masse verdi e di specchi d’acqua per il controllo del microclima estivo.

5. Le tecnologie, vuoi costruttive che impiantistiche, devono essere rese più ef-ficienti, pensate come sistemi integrati, finalizzati al massimo risparmio ener-getico.

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4.2. Strategie a medio-lungo termine

1. La città attuale, che è stata giustamente definita “città fossile” perché intera-mente basata sui combustibili fossili, deve trasformarsi in città basata su ener-gie rinnovabili e pulite (solare, eolico, idrogeno).

2. Il metabolismo alimentare urbano deve accorciare drasticamente i percorsi fra luogo di produzione e luogo di consumo, il che significa modificare il rapporto fra città e campagna (il costo energetico dei trasporti incide pesantemente sui bilanci ecologici e sui bilanci economici urbani).

3. La città deve essere pianificata nell’assetto complessivo del territorio su cui insiste, secondo un’ottica paesaggistica di sapiente alternanza verde-costruito.

4. Infine, la città deve essere ripensata insieme al mondo produttivo dell’agricol-tura e dell’industria, in una ipotesi complessiva di emissioni zero.

4.3. Europa: esempi di quartieri ecosostenibili realizzati

Si trovano quasi tutti nei paesi nordici, Germania, Danimarca, Svezia, Fin-landia.

In Germania citiamo i quartieri Vauban (superficie totale 42 ha, progetto 1995, realizzazione 1995-2006), e Riesefeld (288 ha, progetto 1992, costruzione 1993-2010), alla periferia di Friburgo.

In Svezia citiamo il quartiere Hammarby (superficie 200 ha, progetto 1991-1996, costruzione 1993-2010) alla periferia di Stoccolma.

Come si vede, data l’estensione di questi quartieri (si va dai 42 ha di Vauban ai 288 di Riesefeld), potremmo più appropriatamente parlare di fette di città.

Sono tutti di recentissima realizzazione (Vauban è stato già completato, ma Riesefeld e Hammarby lo saranno soltanto del 2010) e possono essere consi-derati esemplari per la sperimentazione di una nuova politica urbana basata su: 1) il coinvolgimento degli abitanti (partecipazione); 2) il sistema di viabilità soft (incoraggiamento all’uso di mezzi pubblici e di biciclette); 3) l’importanza del verde nei sui diversi aspetti e nelle sue diverse funzioni (parchi, orti, verde ornamentale); 4) la politica di risparmio energetico (isolamento termico degli edifici, uso delle energie rinnovabili); 5) la politica di risparmio dell’acqua (ap-parecchiature sanitarie speciali, depurazione locale attraverso riciclo e fitode-purazione); 6) la politica di riciclo dei rifiuti solidi urbani; 7) la dotazione di spazi aperti privati, semiprivati e pubblici per le relazioni sociali e il godimento dei cittadini.

4.4. Italia: esempi di retrofit realizzati in quartieri di edilizia sovvenzionata

In Italia molto poco è stato fatto, in quanto a politiche ambientali urbane. Possiamo però citare almeno un paio di quartieri di edilizia sovvenzionata dove,

Maria Bottero

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grazie allo strumento dei contratti di quartiere, si sono introdotte misure di rispar-mio energetico.

è il caso del quartiere Savonarola a Padova il cui recupero include aspetti di risparmio energetico (isolamento delle pareti degli edifici, la grande serra realiz-zata con la copertura di una corte) e di riciclo e recupero dell’acqua.

O del quartiere Foro Boario a Pinerolo (Torino), il cui recupero è stato so-prattutto focalizzato sul risparmio energetico (sostituzione dei serramenti esisten-ti con nuovi serramenti dotati di vetro camera, applicazione di serre solari, rive-stimento a cappotto degli edifici e applicazione di pareti ventilate).

5. Il “Villaggio del Sole” come nome simbolico augurale

I primi abitanti del quartiere appartenevano al territorio circostante e il loro sforzo era stato quello di riacclimatarsi in alloggi certamente più grandi ed effi-cienti, ma in una situazione di habitat non-tradizionale.

Abitavamo in Borghetto a Santa Croce, l’appartamento era piccolo però c’era il gabi-netto. Quando il Bacchiglione si ingrossava per le piogge dovevamo mettere i sacchi di sabbia addosso alla parete perché filtrava l’acqua attraverso i muri. Lì però vivevamo bene perché tra abitanti della strada la relazione era molto densa. La casa qui al Villag-gio ci è piaciuta subito perché c’era molta luce, era moderna con il riscaldamento e il bagno. Tra gli abitanti della scala c’è stato subito accordo e, almeno nel nostro caseg-giato, non sono mai sorti grossi problemi; anche ora che ci abitano una famiglia serba e una albanese devo dire che non ci sono problemi perché sono delle brave persone… Far crescere i figli è stato facile per la presenza della scuola in mezzo al quartiere, pote-vi vedere i figli entrare a scuola stando alla finestra di casa. Anche per giocare nel prato sotto casa erano al sicuro sotto ai nostri occhi… La vicinanza poi di Monte Crocetta è stata un buono sfogo per i più grandi; in seguito è stata istituita la pallacanestro e la società del calcio… Quando siamo venuti ad abitare nella mia strada, settanta famiglie, c’era uno solo che aveva l’auto, e questo era fonte di curiosità per tutti. Poi con il tem-po un po’ alla volta molti furono in grado di averla e allora sorse il problema dei garage che a quel tempo non erano stati previsti per le case popolari. (Franco Campi)

Prima di venire ad abitare al Villaggio del Sole… abitavo qui vicino, a Monte Cro-cetta, in una vecchia casa con due camere e cucina. Era molto umida, senza vetri e servizi… Poi ci hanno assegnato un appartamento al Villaggio del Sole. Ho fatto il trasloco il 10 giugno 1960, sotto la pioggia, con un camion scoperto… Quando sia-mo venuti ad abitare al Villaggio le case non erano tutte ultimate e anche la chiesa e le opere parrocchiali vennero dopo… (Ferruccio Carraro)

Dalle varie testimonianze degli abitanti appare come storicamente positiva e propulsiva la volontà di collaborare con la comunità del Villaggio per costruire un luogo accogliente e funzionale.

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Oggi questa disposizione all’autodeterminazione del proprio habitat si chia-ma “partecipazione”, ed è auspicata dalla politica europea (vedi Agenda 21) come fattore di grande importanza per una progettazione bio-eco-compatibile.

La pianta del quartiere è accattivante, poiché gli edifici sono disposti intorno al nucleo centrale dei servizi in modo tale da disegnare un vasto spazio interno di accoglienza, delimitato da edifici curvilinei a sud (esposizione nord-sud), che isolano dalla città il cuore dei servizi, e da edifici a pettine (esposizione est-ovest) a nord, in guisa di cannocchiali aperti sulla campagna. Verso est, un lungo edificio curvilineo costituisce una barriera parallela all’asse viario tangente al quartiere. Verso ovest, in contiguità con i campi da gioco e il verde sportivo, si apre la pas-seggiata che sale al Monte Crocetta e alla Casa del Sole.

Il disegno ad asola dello spazio interno dei servizi, cuore del quartiere, è sottolineato da una larga strada o viale che sul lato sud corre parallela agli edifici curvilinei.

Già nella planimetria si legge dunque la volontà di creare un insediamento che, sebbene collocato nella campagna a ovest di Vicenza e isolato dal centro sto-rico come unità autonoma, abbia peraltro un centro accogliente per la vita degli abitanti.

Per concludere, l’interesse del quartiere sta nel pregevole disegno urbanisti-co, nella ricchezza di aree verdi e di servizi di cui dispone, nella presenza della bella chiesa di Musmeci, e, fattore non trascurabile, nella fortunata situazione geografica, ai piedi del Monte Crocetta.

5.1. Ipotesi di intervento

Il “Villaggio del Sole” ha un nome straordinariamente felice e augurale, evo-cativo di una perfetta sintonia rispetto ai temi ambientali.

Oggi (a mezzo secolo di distanza dalla nascita del quartiere) è senza dubbio ne-cessario intervenire con opere di retrofit, ovvero adeguamento edilizio, urbanistico ed impiantistico, adottando senz’altro i temi di una necessaria politica ambientale

Il ricambio generazionale, l’arrivo di etnie diverse, l’aumento delle automo-bili, il deperimento degli edifici, la crescita forse in parte casuale del verde etc., sono tutti elementi che richiedono interventi di adeguamento. Ma molti di questi interventi sono compatibili con un’ottica bio-ecologica.

Un importante tema ambientale è quello del risparmio delle risorse (acqua ed energia), così da rendere tendenzialmente autonomo il quartiere.

Per quanto riguarda l’acqua si potrebbe pensare: 1) all’ammodernamento delle apparecchiature igienico/sanitarie; 2) al riciclo bioecologico delle acque grigie (fitodepurazione) nelle aree verdi disponibili sul bordo sud del quartiere; 3) all’installazione di tetti verdi (per trattenere l’acqua di pioggia e per isolare).

Per quanto riguarda il risparmio energetico si potrebbe pensare: 1) all’uso di tecnologie solari quali i pannelli fotovoltaici e i collettori solari installati sul-

Maria Bottero

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le falde sud, sud-est, sud-ovest dei tetti (edifici curvi a sud del quartiere); 2) all’isolamento termico degli edifici; 3) all’applicazione di lastre vetro-camera ai serramenti; 4) all’installazione di pompe di calore per il riscaldamento e il raffre-scamento degli edifici.

Un altro importante tema ambientale con valenze educative e simboliche, è quello della coltivazione della terra.

Nel Villaggio si potrebbero attivare degli orti sul lato nord del quartiere, fra gli edifici orientati con asse nord-sud.

Ma certamente il tema ambientale più significativo per il Villaggio del Sole, di tipo paesaggistico, è il superamento della sua condizione di quartiere periferico e satellite e la sua riconnessione con la città.

Sarebbe davvero interessante avvicinare il Villaggio del Sole alla città di Vi-cenza attraverso un piano urbanistico che si proponga come piano paesaggistico unitario e che, da est a ovest, prenda in considerazione, non soltanto la viabilità, ma anche le emergenze naturali e storiche che fanno di Vicenza la bellissima città che è, ricca di monumenti, di giardini, di acqua e di “panorama”.

Dai monti Berici (con i portici del Muttoni) a sud-est, fino al Monte Crocetta a ovest, ripensando la circonvallazione nord e rivalutando il percorso del fiume Bacchiglione.

Il tracciato del fiume, vero e proprio corridoio ecologico, diventerebbe una passeggiata pedonale e ciclabile che dalla periferia nord-ovest arriva fino al cen-tro di Vicenza.

In questo quadro il Villaggio del Sole potrebbe assumere la valenza di impor-tante episodio urbano, ultima propaggine della città ai piedi del Monte Crocetta.

Ricondurre l’urbanistica al paesaggio rappresenta a mio parere un rinnova-mento del pensiero disciplinare, poiché, al posto della logica lineare propria ai vecchi parametri funzionalistici e geometrici dei piani regolatori si sostituisce la complessità dell’ambiente e del paesaggio.

L’interesse per il paesaggio è legato alla questione ambientale poiché eviden-zia percettivamente i processi di trasformazione delle risorse naturali (i cui effetti sinergici di tipo fisico, chimico, economico, sono peraltro ancora mal conosciuti).

Questo approccio cognitivo-epistemologico traduce in linguaggio multidi-mensionale la povertà degli strumenti urbanistici, contestandone implicitamente la strumentazione logico-spaziale e introducendo l’imprevedibile sistemica am-bientale del vivente nonché gli aspetti percettivi ed estetici del fruitore: «[...] il ricorso alla nozione di paesaggio segnala sia l’intenzione di razionalizzare la produzione e l’organizzazione economica, sia la volontà di reintrodurre nel dibat-tito pubblico l’esperienza sensibile e i valori degli individui e dei gruppi sociali» (Pierre Donadieu, 2007).

Da quartiere satellite a realtà urbana integrata

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La realizzazione di un compiuto episodio urbano e il consolidarsi di una comunità

1. Fin da quando è stato progettato, il quartiere INA-Casa di Vicenza, sorto in meno di due anni – tra la fine del 1959 e l’inizio del 1961, nel corso della fase del “miracolo economico” – in un’area decentrata dalla città a nord-ovest, all’esterno del limite di sviluppo dell’area urbana stabilito dal piano elaborato da Plinio Marconi, consistente nella strada di circonvallazione, si è configurato come un’anomalia per una città ancora prevalentemente contenuta entro il pe-rimetro delle mura.

Un’anomalia per il suo progetto compiuto di costruzione di una parte di cit-tà, di fronte al processo incrementale e ancora debole di espansione verso ovest, caratterizzato dalla tipologia della casa singola con un pezzo di scoperto, realiz-zata nei lotti ritagliati dai tracciati stradali. Un’anomalia per il suo carattere di quartiere costruito sull’unità di vicinato, con una rilevante dotazione di spazio pubblico, organizzato attorno al nucleo dei servizi collettivi, un significativo svi-luppo dell’idea espressa inizialmente nel “quartiere dei ferrovieri”, del secon-do decennio del Novecento, e in quello di iniziativa comunale, prefigurante la “nuova Vicenza”, di viale Bartolomeo d’Alviano, e più debole invece nel coevo “Villaggio della Produttività”. Un’anomalia per il chiaro riferimento culturale del suo progetto alle esperienze delle socialdemocrazie europee, piuttosto che agli esempi italiani di quartieri-villaggio con architetture in stile vernacolare che avevano caratterizzato il primo settennio dell’INA-Casa. Un’anomalia, ma anche un problema – così come percepito dagli abitanti già insediati – per la sua base sociale, con quasi tremila immigrati provenienti prevalentemente dai comuni del-la provincia. Nonostante alcune delle famiglie assegnatarie fossero già residenti a Vicenza, in abitazioni degradate, sovraffollate e prive dei servizi essenziali, i nuovi abitanti erano considerati “stranieri”, “altri”, “quelli dei palazzoni”, del “villaggio dei fachiri”, gente misera, costretta ad acquisire a credito i generi di prima necessità, da coloro i quali, usciti poco prima da condizioni di vita preca-rie, erano riusciti a costruirsi una casa in proprietà nelle aree esterne alla città ed erano così entrati nel novero dei “benestanti”.

Erano persone che avevano trovato lavoro nelle prime fabbriche insediate in città o come funzionari di pubblica sicurezza e impiegati di altri enti pubblici. Al-

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cune famiglie avevano partecipato a numerosi bandi, prima di essere sorteggiate e di ottenere l’abitazione dell’INA-Casa, e molte avevano portato i pochi mobili che possedevano su carrette. Mobili essenziali e povere masserizie per arredare i nuovi alloggi che, secondo le reminiscenze degli abitanti contenute nel testo cu-rato dall’associazione “Villaggio insieme”, erano apparsi esageratamente grandi rispetto alle dimore originarie (Abitare il villaggio. Memoria e storia, 2009).

Entrare in questi appartamenti, con stanze ampie, ariose e luminose, con il riscaldamento autonomo, l’acqua corrente e il bagno, era stato come vincere un terno al lotto.

Un’atmosfera di villaggio si sarebbe creata e sviluppata nel quartiere nel corso del tempo, anche grazie alla configurazione morfologica ad esso conferita dal progetto del gruppo coordinato da Sergio Ortolani, con il disegno ellittico del-la pianta, gli edifici convergenti e digradanti verso il nucleo centrale dei servizi comunitari, «i varchi che interrompevano l’uniformità dei condomìni, i giardini, i prati che continuamente si aprivano tra un caseggiato e l’altro», come avrebbe spiegato uno tra i primi assegnatari dei nuovi alloggi.

Questa iniziale anomalia si confermerà con lo sviluppo successivo dell’area urbana, quando, di fronte al formarsi della città di espansione in modo fram-mentato e incrementale, per aggiunte successive, senza alcuna qualità urbana, il Villaggio del Sole sarebbe rimasto una parte dell’area di espansione più compiuta morfologicamente e l’esempio più significativo di sviluppo e di consolidamento di una comunità. Diversamente dalle altri parti dell’area urbana formatasi nella seconda metà del secolo scorso, esso avrebbe infatti continuato ad essere il segno di una memoria collettiva.

Il nuovo insediamento era stato realizzato nel secondo settennio di attività dell’INA-Casa, ed era uno dei numerosi interventi previsti dal piano che, nel cor-so degli anni Cinquanta, ha rappresentato lo strumento più importante dell’inter-vento diretto dello Stato nella produzione di edilizia residenziale. è riconosciuto da un’ampia letteratura che il piano Fanfani è stato un’eccezione nella storia delle politiche abitative del nostro paese, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche per la dimensione “sociale” di quelle politiche. Dimensione che, sottolinea Antonio Tosi, non era circoscritta alla mera soluzione del fabbisogno abitativo, ma abbracciava «l’offerta di servizi e di prestazioni e di tutto quanto potesse fa-cilitare l’instaurarsi di relazioni» di vicinato, l’integrazione sociale e lo sviluppo della partecipazione (Tosi, 2006).

Nonostante la legge istitutiva del piano avesse stabilito che i nuovi quartieri fossero dotati dei servizi collettivi necessari, non aveva però predisposto i fi-nanziamenti necessari per la loro realizzazione. Perciò le attrezzature e i servizi che avrebbero dovuto strutturare gli insediamenti e concorrere alla formazione di un tessuto sociale sarebbero gravati sui bilanci dei comuni interessati, i quali si troveranno costretti ad impegnarsi in mutui con l’INA e con la Cassa depositi e prestiti. Il loro approntamento differito nel tempo sarebbe così diventato, nella

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La realizzazione di un compiuto episodio urbano e il consolidarsi di una comunità

maggior parte dei casi, il primo motivo delle rivendicazioni collettive espresse da comitati spontanei creati per migliorare le condizioni di vita degli abitanti (Mazzoleni, 2006).

Situato all’estrema periferia, in aperta campagna, il villaggio era “spuntato dal nulla”, come la maggior parte dei quartieri progettati nel primo settennio. Isolato dalla città, senza alcun contatto con l’«anonima edilizia dei sobborghi», secondo una scelta ubicativa difesa tra altri da Giovanni Astengo, nella rassegna dei progetti INA-Casa elaborati nella prima fase (Astengo, 1951), e sprovvisto delle principali infrastrutture urbane, esso era sorto in adiacenza alla strada stata-le 46 che diventava viale Trento nel tratto che lo collegava con il centro urbano. Per i primi anni era rimasto con strade solo tracciate, spesso coperte di fango, con la chiesa ospitata nella baracca utilizzata per il cantiere. Era costituito da tredici edifici con 526 appartamenti complessivi, composti sostanzialmente da cinque e sei vani. Circa il 70% delle famiglie era riuscito a stipulare un contratto di riscatto della casa, potendo contare su un lavoro regolare, condizione necessaria per ac-cedere alle case per lavoratori. La prospettiva di possedere una casa in proprietà aveva incentivato la propensione al risparmio delle famiglie, che sarebbe quindi risultata molto alta in relazione ai loro guadagni. Dopo pochi anni dall’assegna-zione, gli acquirenti degli alloggi avrebbero ottenuto dalla Gescal una diluizione del pagamento su un periodo più lungo e una conseguente riduzione dell’inciden-za sul reddito familiare delle rate mensili.

2. Un quartiere esemplare e lo sviluppo di una convivenza partecipe

Il progetto del complesso aveva ottenuto il premio In-Arch per l’articola-zione dello spazio aperto e dei volumi edilizi, la tipologia degli alloggi e la sin-golarità della sua composizione. La quale era messa in risalto dal gruppo degli edifici in linea con variazioni curvilinee, dal fabbricato lineare sinuoso su pilotis, dall’articolazione altimetrica dei volumi e dalla grande area verde centrale. L’ef-ficacia di quest’ultima sarebbe stata poi in gran parte condizionata dall’inseri-mento degli edifici pubblici che subirà numerose modifiche durante l’esecuzione. Si era trattato di una scelta compositiva studiata da architetti motivati da un serio impegno civile nei confronti della collettività che si sarebbe formata nel quar-tiere. Essi avevano dimostrato di possedere quelle capacità professionali – ossia una «speciale preparazione tecnico-architettonica» e una profonda conoscenza delle esperienze italiane e straniere – che si auspicava dovesse essere la princi-pale prerogativa dei progettisti dell’edilizia economica, nella “Premessa” ad uno dei fascicoli predisposti dalla Gestione INA-Casa per orientare l’elaborazione dei progetti (Piano incremento occupazione operaia, 1949). Il villaggio satellite “Città del Sole” era inoltre l’esito di una sapiente interpretazione della strategia normativa perseguita dall’ente autonomo costituito presso l’Istituto Nazionale

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delle Assicurazioni per l’esecuzione del piano INA-Casa. Questa strategia, come precisa Patrizia Gabellini, si era avvalsa di esempi, di schemi, di regole prestazio-nali, di repertori tipologici e di norme figurate da affidare alla responsabilità dei progettisti al fine di ottenere la giusta “ambientazione” dei nuovi quartieri e l’ar-ticolazione delle tipologie edilizie, unitamente ad una composizione urbanistica che consentisse la formazione di spazi raccolti, la valorizzazione del paesaggio e la creazione di spazi verdi (Gabellini, 2001).

Nonostante dovesse rispondere a precisi requisiti economici, il quartiere pro-gettato dal gruppo di Ortolani era riuscito a tradurre l’idea di urbanistica intesa come «proiezione sul piano spaziale delle esigenze del vivere civile e colletti-vo» sostenuta all’inizio degli anni Cinquanta da Adalberto Libera, tra i membri dell’élite degli architetti urbanisti più impegnati nella redazione di guide pratiche per la progettazione urbanistica dei quartieri residenziali (Libera, 1952). Il nuovo insediamento presentava una configurazione dei volumi degli edifici e dello spa-zio aperto ben definita nella sua fisionomia, racchiudente un’ampia area a verde con il nucleo dei servizi comuni, con un’apertura a ventaglio degli edifici solo verso nord, per consentire la visuale delle colline, e una forte dotazione di spazio pubblico di relazione, che raggiungeva il 60% dell’intera area. Rispetto alla do-tazione dei servizi collettivi, l’identificazione delle attrezzature necessarie costi-tuenti il centro della vita sociale rispecchiava l’evoluzione dell’idea del quartiere come nucleo satellite, parte urbana autosufficiente, avvenuta tra le realizzazioni del primo settennio e quelle del secondo, e il loro dimensionamento rispondeva in modo più che soddisfacente all’applicazione degli standard urbanistici introdotti nei fascicoli normativi predisposti per questa seconda fase del programma e già anticipati in modo sistematico da Libera. Il nucleo centrale del quartiere risulta-va così costituito da attrezzature religiose (chiesa e canonica), scolastiche (asilo d’infanzia e scuola elementare), commerciali (spazio destinato a negozi di prima necessità), e sportive (campi da calcio e da tennis), dall’edificio per la sede del centro sociale e degli uffici pubblici (poste e telegrafo), dal mercato all’aperto e da campi da gioco per ragazzi e bambini.

Anche la funzionalità edilizia del complesso era stata pienamente conse-guita sia nella destinazione degli spazi liberi, sia nella soluzione degli alloggi tipo. Questi ultimi interpretavano le nuove esigenze abitative verso le quali erano state orientate le realizzazioni del secondo settennio e che denunciavano il passaggio dalla casa di tipo popolare alla casa borghese. Erano infatti caratte-rizzati da superfici più grandi che accoglievano alcune delle funzioni centraliz-zate negli interventi della prima fase, da ambienti tra loro disimpegnati, da un grande sviluppo di logge e dallo sdoppiamento dei servizi igienici, con il bagno separato dal wc.

La scelta di fare convergere le diverse unità abitative verso il nucleo centrale con il parco e le attrezzature collettive contribuirà in modo rilevante ad attribuire all’abitare valore formativo. Fulcri principali della vita comunitaria sono state

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la scuola elementare, il primo dei servizi ad essere realizzato per far fronte alle necessità delle famiglie per lo più giovani e in genere numerose, quindi la parroc-chia, il centro sociale e il comitato di quartiere. Come emerge dai racconti degli abitanti, l’ubicazione della scuola e dell’area a parco al centro del quartiere e la distribuzione dello spazio aperto comune tra gli edifici avrebbe infatti facilitato i primi contatti delle famiglie immigrate con il nuovo ambiente, la loro socializza-zione e l’integrazione con gli abitanti già insediati nelle aree limitrofe e avrebbe consentito alle persone diversamente abili di recuperare una certa autonomia. Fare crescere i figli, inoltre, sarebbe stato più semplice perché il controllo delle famiglie poteva essere esercitato dalle finestre o dai balconi della casa (Abitare il villaggio. Memoria e storia, 2009).

Fin dall’inizio una forma di autogestione aveva caratterizzato la vita con-dominiale. Le questioni che riguardavano le diverse unità edilizie venivano af-frontate in riunioni di capiscala, responsabilità assunta dai capifamiglia, un anno ciascuno a rotazione. Motivata all’origine da esigenze economiche, per evitare le spese di un amministratore, l’autogestione avrebbe favorito il formarsi di rapporti di solidarietà reciproca tra inquilini e avrebbe avuto successivi sviluppi in forme di cooperazione allargata e di partecipazione sociale autorganizzata che porteran-no alla creazione, nel 1963, del primo comitato di quartiere, una delle esperienze pilota a livello nazionale.

Con la ricomposizione nel dopoguerra degli organismi associativi, avevano ripreso slancio differenti forme di organizzazione sociale e nel nuovo quartiere si erano costituite diverse associazioni che, con fini diversi, avevano contribuito a costruire una vita sociale attiva, dalle Acli (associazione e cooperativa), ai gruppi alpinistico e turistico giovanile, ai diversi gruppi sportivi. Di fronte a un welfare ancora in costruzione la maggior parte di questi gruppi costituiva quel substrato di socialità autonoma che avrebbe dato vita, qui come in numerose altre realtà del paese, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta – secondo l’attenta ricostruzione svolta da Giulio Marcon – a diverse forme di organizzazione della dimensione sociale e del tempo libero: dalle attività formative, attraverso l’avvio del dopo-scuola e di corsi professionali, alle attività di animazione per i bambini, a quelle culturali e ricreative (Marcon, 2004).

Particolarmente rilevanti nel favorire l’integrazione e nel creare coesione so-ciale saranno il contributo della scuola e dell’assistente sociale, oltre alla funzione della comunità parrocchiale – in particolare nella fase di rinnovamento che aveva fatto seguito alla svolta introdotta dal Concilio ecumenico Vaticano II – e all’at-tività del comitato di quartiere che, con la redazione del giornale Vita di Quar-tiere, la collaborazione con le varie associazioni e la sua funzione di mediazione sociale con le istituzioni, avrebbe contribuito in modo significativo a trasformare la sede del centro sociale nel centro civico della vita del quartiere. Tutti questi momenti di vita comunitaria e la forza aggregante dell’età giovane delle famiglie assegnatarie, degli insegnanti e dei diversi promotori sociali, concorreranno a

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trasformare questa parte di città in un laboratorio di partecipazione attiva della popolazione non solo alla soluzione dei problemi concreti della collettività, ma anche al potenziamento dei servizi comuni e all’innalzamento della qualità della vita. Ossia in un laboratorio che agevolerà lo sviluppo di una responsabilizzazio-ne civica, di una «coscientizzazione» verso l’interesse comune, la convivenza partecipe, come ci ricorda l’Associazione “Villaggio insieme” – riattualizzando l’importante contributo di Paulo Freire. Nel corso degli anni Sessanta, il Villaggio del Sole verrà così dotato della prima biblioteca decentrata della città, sezione staccata della biblioteca civica Bertoliana, che avrebbe avuto sede presso il centro sociale, sarebbe stata dotata di un importante patrimonio librario con il contributo di vari enti e istituzioni e avrebbe operato in un contesto sociale e culturale dina-mico, e di servizi sanitari avanzati, prima ancora che entrassero in funzione come servizi ambulatoriali presso l’ospedale. Il comitato di quartiere promuoverà poi la costituzione del centro di coordinamento dei comitati sorti nel frattempo anche negli altri quartieri e si configurerà quale ambito di formazione di un nuovo modo di fare politica nelle istituzioni, a partire dallo sviluppo di un senso di apparte-nenza comunitaria. Un modo che diventerà una risorsa importante soprattutto quando questo organismo spontaneo e autogestito verrà istituzionalizzato, con la legge sul decentramento amministrativo, e assumerà la nuova forma di Consiglio di zona.

3. Il Villaggio del Sole: un’isola nella città

Le pratiche sociali e la rete di attività culturali e ricreative, prodotte at-traverso il ruolo attivo degli abitanti e la ricchezza delle relazioni quotidiane, unitamente alla forma del quartiere e alla qualità dello spazio fisico, avrebbero quindi concorso a dare identità a quel luogo “senza storia”, a metà strada tra campagna e città.

Un’identità riconoscibile e una costruzione del “sociale” abitativo simili a quelle che hanno connotato e tuttora connotano il Villaggio del Sole non si sareb-bero più raggiunte in altre parti dell’area urbana di Vicenza.

Conclusasi quella stagione, il clima euforico del miracolo economico e la prassi della mobilitazione individualistica del consenso, operata e reiterata dalle amministrazioni locali mediante il riconoscimento dell’interesse proprietario e una gestione degli strumenti di piano orientata sostanzialmente a questo fine, fa-ranno piazza pulita delle ideologie che stavano alla base di quella progettazione. Le politiche abitative, seguendo la riflessione di Tosi, sarebbero stare «ricondotte ai loro strumenti tradizionali o minimi o convenzionali: soldi, mattoni, regola-zione, fare case, finanziare chi le fa o chi vi accede»; il sociale abitativo – come stanno a dimostrare i vari piani di zona per l’edilizia economica e popolare, dopo l’entrata in vigore della legge 167/1962 – sarebbe così stato «identificato con la

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sua finalità elementare: dare una casa a chi non ce la fa con le proprie risorse» (Tosi, 2006) e reso subalterno al dispiegarsi della logica di mercato.

A produrre una città fisica frammentata e degradata nell’area di espansione che accerchia il nucleo storico – manifestazione palese del degrado delle regole, della banalità dei materiali urbani e dell’asservimento delle politiche urbanistiche all’interesse proprietario – contribuiranno più fattori. Tra questi la debolezza del piano che avrebbe dovuto disciplinare lo sviluppo urbano nella fase della crescita (il piano redatto da Plinio Marconi, approvato nel 1958), la scelta della densifica-zione applicata indiscriminatamente sull’intero tessuto, fatta eccezione del centro storico, dalla variante generale (redatta da un’équipe coordinata da Dionisio Via-nello, approvata nel 1983), la diffusa pratica della permuta delle volumetrie tra lotti attigui, innescata dalla variante generale, e la prassi adattativa alle pressioni dei gruppi di interesse, perseguita dall’amministrazione comunale attraverso il ri-corso a continue varianti e l’assenza del necessario controllo delle trasformazioni. Questo comportamento ha, del resto, iniziato a manifestarsi ancor prima dell’ap-provazione del piano Marconi, con numerosi interventi prodotti in difformità dallo stesso nei tredici mesi della sua mancata copertura dai vincoli di salvaguardia, e nel corso degli anni Sessanta, con più di trecento interventi che sarebbero stati ese-guiti in contrasto con le disposizioni dello strumento urbanistico, nella fase suc-cessiva a quella del principio di vigenza. Sostanzialmente questo insieme di azioni si sarebbe manifestato nella forma della diffusione insediativa, prevalentemente residenziale, nelle zone di frangia, e solo in parte avrebbe ottenuto una sanatoria a posteriori dagli organismi di approvazione ministeriali (Cressati, 1986). L’esito di tali politiche è riconoscibile nelle gravi esternalità negative prodotte nell’intera area urbana, nella compromissione ambientale, nella rilevante erosione delle aree destinate a servizi, attrezzature e spazi collettivi, nell’appropriazione privata e nel consumo sistematico del già scarso bene comune.

A delineare il quadro di una città a lungo rinchiusa «nei miti di una falsa memoria palladiana» – come commenta Giuseppe Barbieri – «tesa a squalificare e ad abbandonare pressoché tutto ciò che non si situava entro i confini del centro storico» (Barbieri, 2002), dalle aree residenziali a quelle destinate alle attività produttive, saranno quindi, in particolare, le politiche attuate dagli anni del mag-giore sviluppo della città a quelli più recenti. Questo nonostante la relativa stabili-tà dei governi locali, dalle amministrazioni governate dalla dc, partito di maggio-ranza assoluta e con sindaci confermati per più legislature – dagli anni Cinquanta a tutti gli anni Settanta – a quelle governate da coalizioni di centro-destra, molto intraprendenti nella gestione dell’economia e dei suoi supporti, primo tra i quali il settore immobiliare.

Il centro rappresentativo di una provincia che ambisce riconoscersi tra quelle più ricche e industrializzate del paese si configura come un paesaggio urbano sciatto, con interventi all’insegna «dell’ottusa banalizzazione urbanisti-ca» ed edilizia. In questo paesaggio si manifestano gli effetti perversi di scelte

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Chiara Mazzoleni

che hanno teso ad usare il settore edilizio fondiario, attraverso le azioni di pia-no, quale leva dello sviluppo economico e principale fattore di strutturazione di larga parte del sistema politico locale, e dei fenomeni emergenti di destruttu-razione dei precedenti equilibri nei rapporti tra economia, società e istituzioni. Così come qui si esprimono l’assenza di una qualsivoglia idea di città, l’asso-luto disinteresse per il bene collettivo di larga parte della società locale – dai suoi gruppi “dirigenti” al cittadino comune – un individualismo esasperato, che raggiunge il parossismo nella pretenziosità degli edifici e nelle trasformazioni dell’esistente, e il «prevalere di un deficit di governo e di controllo, di strategie opportunistiche e di una cultura regolativa scadente» (Mazzoleni, 2005). La co-struzione di questo paesaggio è avvenuta, quindi, nel corso del tempo e con una recrudescenza negli anni più recenti, con l’avvallo delle istituzioni regolative, alle diverse scale, e senza risarcimenti per la collettività. Il concorso di omis-sioni normative e amministrative e di «bricolage opportunistico delle regole» – usando un’eloquente espressione di Carlo Donolo – ha innescato un processo che non solo ha degradato norme giuridiche, norme sociali e norme etiche in-sieme a beni ambientali, ma ha anche contribuito a trasformare la deregolazione in senso comune condiviso (Donolo, 2001).

In questo contesto ha ottenuto un’ampissima adesione, e ha corrisposto alle attese in termini di consenso elettorale, la sollecitazione dell’interesse proprieta-rio operata dall’amministrazione comunale, nel corso del mandato 1998-2003, con la compiacenza del professionista incaricato della redazione del “Documento programmatico” preliminare al nuovo strumento urbanistico, nella forma misti-ficatoria del “bando degli interessi diffusi”. Per mobilitare il consenso, facendo leva ancora una volta sugli interessi edilizi e immobiliari particolari, si è teso a trasformare in “senso comune” l’utilizzo distorto della nozione di “interesse diffuso” – che designa un interesse di carattere collettivo, in primo luogo l’in-teresse per la difesa dell’ambiente, relativo a una pluralità di soggetti, e come tale è riconosciuto e tutelato in ambito giurisdizionale – rendendola equivalente all’interesse personale, proprietario.

Entro il quadro delineato, il Villaggio del Sole denuncia la sua singolarità, il suo carattere non convenzionale, anche dal punto di vista della qualità del suo tessuto sociale. Tessuto che, pur essendosi trasformato e impoverito quantitativa-mente nel corso del tempo, con un numero di abitanti più che dimezzato e un’ele-vata presenza di immigrati stranieri (con valori che superano il doppio rispetto alla percentuale cittadina), ha saputo conservare e valorizzare le risorse del “vivere in comune”, dell’essere luogo di coabitazione tra differenti popolazioni e differenti pratiche, costruite sin dalla fase della formazione del quartiere. Qui l’abitare è sostanziato da legami sociali e da pratiche orientate all’accoglienza e alla soli-darietà, in particolare verso le persone che manifestano maggiori bisogni, dagli anziani ai nuovi immigrati. Qui l’interesse diffuso si è manifestato e continua a manifestarsi nell’attenzione alla dimensione sociale dell’abitare, è espressione di

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La realizzazione di un compiuto episodio urbano e il consolidarsi di una comunità

individui che si riconoscono in una collettività – come fruitori di un ambiente, di beni e di servizi comuni – e si caratterizza quindi per il suo collegamento a beni non suscettibili di appropriazione e godimento esclusivo. Ed è in funzione della difesa e della valorizzazione di questi beni e della qualità dell’ambiente vissuto che sono state orientate le iniziative dell’associazione di recente costituita all’in-terno del quartiere.

L’esperienza del Villaggio del Sole è l’esempio di un ripensamento collettivo del significato da dare alla cosa pubblica, per farla sentire anche propria, della partecipazione delle persone nella soluzione dei problemi, del rinnovato sforzo di costruzione di legami sociali. La sua diversità è ancora più stridente oggi, se si confrontano la qualità del suo ambiente fisico e sociale con il degrado delle pratiche e l’impoverimento semantico che connotano numerose parti dell’area urbana di Vicenza. I quali sono l’inevitabile prodotto di una strategia politica che, attraverso il ricorso alla mobilitazione individualistica dell’interesse proprietario quale veicolo per ottenere il consenso sociale, ha contribuito – con la sua forte capacità di trascinamento – a forgiare una società che, come avrebbe detto Elias Canetti, appare costituita più da «creditori di spettanze» che da cittadini dotati di responsabilizzazione civica.

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Chiara Mazzoleni

Riferimenti bibliografici

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Fernando luCato

Un frammento di città nella nebulosa insediativa

Nella tavola centrale del PRG Marconi (1959), l’ambito del Villaggio del Sole è rappresentato da una campitura uniforme (zona soggetta a Piano Particolareggia-to) attraversata dalla circonvallazione; per la maggior parte dei quartieri in for-mazione, invece, Marconi non rinunciava a disegnare la trama viaria, l’organiz-zazione degli spazi pubblici, la prefigurazione di nuove centralità da realizzarsi applicando le regole sintetizzate nella legenda a “fisarmonica”: densità, distacchi, altezze, rapporti.

Si sono così formati due ambienti urbani molto diversi: da un lato il “Villag-gio” come attuazione pubblica di un’idea di città “moderna” (la città nel parco) e salubre (secondo la migliore tradizione dei regolamenti d’igiene), luogo nel quale gli abitanti diventeranno comunità; dall’altro i quartieri “privati” nei quali gli isolati delineati dalla trama viaria del PRG, sono stati gradualmente saturati dalla libera iniziativa edilizia privata, lotto dopo lotto, recinzione dopo recinzione, ge-nerando quella periferia senza soluzione di continuità che costituisce il carattere identificativo di gran parte delle città italiane.

La “città nuova”, quindi, dotata di strade adeguate, di ampi marciapiedi, con i servizi al centro (visibili dalle finestre), con un’unica porta di accesso (reale) per i veicoli ed un’unica strada ad anello, secondo un modello codificato nella cultura urbanistica europea della ricostruzione post bellica, deriva da un progetto pub-blico. Per inciso sono gli stessi anni in cui si costruisce anche Nuova Gorizia, la nuova città «che avrebbe dovuto (diversamente da quella vecchia) rappresentare un nuovo modo di vivere, esemplificato dai grandi edifici immersi nella luce e nel verde, stilemi della nuova urbanistica, quella moderna della “Ville Radieuse”, appresa dal giovane architetto – Edvard Ravnikar n.d.r. – nell’atelier di Le Corbu-sier a Parigi» (Isonzo-Soča nn. 70-71, dicembre 2006-gennaio 2007).

La periferia dei lotti e delle recinzioni, delle strade strette e priva dei servizi, dunque, sconta la mancanza di un progetto pubblico, unitario: ciò non significa che siano mancati luoghi di aggregazione, spazi comuni, addensamenti di funzio-ni nei diversi quartieri, ma il processo di adattamento e ripiegamento nel rapporto pubblico/privato ha prodotto tessuti insediativi banali e di scarsa qualità. Para-dossalmente, la città dell’edilizia residenziale pubblica “povera” (non solo il Vil-laggio del Sole ma anche i quartieri di edilizia sociale attuati a Vicenza dall’inizio

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del secolo scorso) appare oggi sistematicamente più ricca di dotazioni urbane e meglio organizzata a confronto della periferia dell’edilizia “privata e ricca”, le cui risorse sono state sistematicamente drenate dalla rendita fondiaria.

Dallo spazio al luogo

Questo frammento di città nuova, il Villaggio del Sole (così lontana dall’im-magine di paese con la strada di accesso, la chiesa in piazza, la scuola, la farma-cia…) è stato concepito “esternamente” alla società in formazione: non c’è stata la fondazione della città con un proprio e specifico apparato simbolico e rituale. Soltanto successivamente lo spazio immaginato da Ortolani e Cattaneo è diven-tato “luogo”, con l’appropriazione da parte degli abitanti delle sue componenti “geometriche”, «con la percezione spaziale e l’esperienza spazio-motoria che ri-vela percorsi, prospettive, confini» (De Michelis); con la dimensione emozionale delle relazioni in un percorso di apprendimento e scambio continuo, per dare

Il rapporto tra spazi pubblici e edifici residenziali a Nuova Gorizia (sinistra) e nel Villaggio del Sole (a destra).

Fernando Lucato

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senso alle cose. Lo spazio è diventato luogo, quando i suoi abitanti lo hanno inventato (nel senso latino di invenire, secon-do Marc Augè) e lo rivendicano come proprio: non più anonimi blocchi condominiali ma la Bis-sa, il Pettine e il Manico; non la rotonda ma la “O”, la prima, seconda, terza e quarta strada (del pettine prima che riceves-sero un nome); e così per la chiesa, la scuola ma anche per il cannocchiale verso Monte Crocetta o Monte Berico, così lontano che quasi non si vede ma che rassicura sul fatto che si è comunque sotto la protezione dell’ampio mantello della “Ma-donna”.

L’altra città, la periferia, è, invece, mancante di un progetto comune e condiviso: rappresen-ta soltanto l’adattamento dell’attività edilizia ai limiti di proprietà (le carrarecce trasformate in strade ne conservano spesso il tracciato e le sezioni) o alle regole astratte del Piano.

Delimitate le proprietà, i lotti, ciascuno opera come meglio crede nel pro-prio interesse, “sul suo”. L’accentuazione del confine, inteso come separazione, dirada le relazioni e impoverisce le esperienze: “recintopoli” è un non-luogo ove l’assenza di qualità fa sì che ciascuno si senta “a casa propria” perché non c’è nulla da apprendere, non si rischia di essere sorpresi da nuove esperienze.

Il Villaggio, pertanto, non si identifica solo con i volumi, gli spazi o la sua popolazione, ma nella loro simbiosi, nelle relazioni – dinamiche – tra la dimen-sione fisica e quella immateriale. Lo sviluppo di questo rapporto identitario costituisce, probabilmente, l’esito di maggiore suggestione nella vicenda del Villaggio del Sole: ma si tratta di un rapporto formato da relazioni dinamiche in continua evoluzione perché intrecciate alla variazione della composizione de-mografica (più anziani, la nuova presenza di extracomunitari, maggiore dispo-nibilità economica...), alla mutazione dei bisogni e delle domande (il rapporto con la Parrocchia, le nuove reti di connessione con il mondo, una accresciuta sensibilità ambientale, l’esigenza di più sicurezza…) con le inevitabili ricadute sull’“hardware” che invecchia (i fabbricati richiedono ristrutturazioni, gli spazi

Un frammento di città nella nebulosa insediativa

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pubblici aperti appaiono più vulnerabili, la forma della città e la sua permeabi-lità comporta la “mescolanza”, i volumi di traffico sulla circonvallazione sono diventati intollerabili).

Il Villaggio si trova oggi ad un bivio: accettare di uniformarsi gradualmente alla periferia che ormai lo ingloba, adottandone le regole e i simboli, oltreché i presupposti ideologici (ad iniziare dai recinti di demarcazione tra spazi pub-blici e privati, fino a considerare gli interventi di manutenzione/ristrutturazione autonomamente per ciascun immobile), oppure ribadire la propria specificità, il proprio essere la città di una comunità, rilanciando e rafforzando la rete dei luoghi in continuità con altre parti di città mediante un progetto che sappia in-vestire risorse economiche ma, soprattutto, intellettuali, sui bordi, sui confini e sulle differenze.

Per un progetto condiviso

La salvaguardia delle peculiarità del Villaggio sostanzialmente riconducibili al progetto originario alla luce delle nuove domande emergenti da una comunità in trasformazione, richiede senz’altro la mitigazione dell’impatto del traffico gra-vante sul viale del Sole che rende inagibili gli spazi verdi lì attestati e penalizza le abitazioni esposte alle diverse forme di inquinamento.

Gli interventi possibili vanno dalla creazione di architetture di terra, da pian-tumarsi adeguatamente, con funzione di trincea artificiale, fino ad una più pro-fonda ristrutturazione dell’asse stradale che ne preveda il parziale interramento affinchè la copertura possa prolungarsi sugli spazi verdi trasformando l’attuale frattura in una cerniera tra le due parti del quartiere.

Un esempio: la copertura del Carrer do Brasil – Barcellona – ha consentito di ricavare sopra la stra-da una grande piazza alberata divenuta luogo di incontro e relazione tra i diversi quartieri.

Fernando Lucato

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Per quanto riguarda la manutenzione, potrebbe essere adottato una sorta di “regolamento di villaggio” per uniformare le necessarie manutenzioni/ristruttura-zioni degli edifici privati e degli spazi pubblici: dal trattamento delle pareti ester-ne, alle coperture con pannelli fotovoltaici; dall’apparato arboreo ai materiali di pavimentazione.

Più impegnativo, ma non meno necessario, appare il riconoscimento e lo sviluppo del rapporto “dentro e fuori”, tra il Villaggio e il resto, città, perife-ria, collina, evidenziando le discontinuità, le trasparenze, i fatti sorprendenti, con l’obiettivo di dilatare i luoghi e valorizzarne le specificità.

Alcune indicazioni aiutano a spiegare il “senso” del progetto.Primo obiettivo: rafforzare la continuità tra la città storica (accessibile da porta

Santa Croce) e quella più recente (il Villaggio). Può essere conseguito mediante:- la riprogettazione di viale Trento che da arco di collegamento viene riconosciuto

come centralità intermedia ripensando all’organizzazione dello spazio pubblico (marciapede, stalli, alberature) in relazione alla vecchia cortina edilizia piuttosto che alle zone commerciali giustapposte; potrebbero essere poste a confronto le diverse ipotesi al fine di rendere partecipe la popolazione sulla decisione finale (sul modello del referendum per la Diagonal di Barcellona);

- la valorizzazione delle discontinuità, dei piazzali e degli slarghi (piazzale del Tiro a Segno ed edifici Liberty, Porta Santa Croce, slargo del distributore), per creare concentrazioni di funzioni non residenziali (negozi, bar, uffici, laborato-ri) dando ritmo al collegamento (alternanza tra tratti di collegamento e tratti di incontro/sosta);

- il raffittamento dei percorsi pedonali e ciclabili di collegamento tra le diverse funzioni (campi da tennis, passerella sul Bacchiglione, polo scolastico) per ri-durre le distanze percepite dagli utenti;

A sinistra un tratto di viale Trento dove lo spazio è dedicato all’automobile; a destra una strada riqualificata a Barcellona, con l’inserimento delle rotaie del tram su un tappeto erboso.

Un frammento di città nella nebulosa insediativa

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- la riqualificazione dei corsi d’acqua (Bacchiglione e Seriola) in funzione dei diversi contesti attraversati: percorsi verdi nelle aree marginali; funzione di ar-redo, con opportune piantumazioni, in contesti urbani, ecc.).

Secondo obiettivo: porre il Villaggio al centro di itinerari urbani che connet-tano luoghi sorprendenti quali:- l’area rurale di Monte Crocetta, resa permeabile e fruibile alla città, sviluppando

campagne promozionali ad hoc (adotta una pianta da frutto; la fattoria di tutti; impariamo a fare il vino – o la birra);

- l’estensione del parco delle risorgive inglobando itinerari che colleghino le Maddalene vecchie, attraverso la ricucitura degli antichi percorsi rurali;

- ma anche interventi sulle periferie circostanti i cui spazi pubblici (quasi solo la viabilità) potrebbero essere adeguatamente piantumati in funzione della riclassi-ficazione della viabilità, rendendo visibili i percorsi di connessione distinguen-doli da quelli di distribuzione interna.

Partendo dal riconoscimento dell’esperienza del Villaggio del Sole sembra, quindi, possibile delineare le strategie per la ri-fondazione delle periferie con-trastando la deriva della città senza qualità, attraverso il rafforzamento delle rete delle “centralità”, una sorta di “rete del sole” ove la condivisione dei princìpi posti a fondamento della cultura dell’uomo possa finalmente riflettersi nei luoghi della città.

Fernando Lucato

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eliSaBetta BruSutti

La forma si racconta: la chiesa di San Carlo

L’architettura dà luogo a forme che ci parlano attraverso un linguaggio non ver-bale. La percezione visiva di strutture naturali ha svolto un ruolo fondamentale nell’estendere la comprensione intuitiva delle strutture artificiali anche da parte dell’uomo comune privo di conoscenze tecniche specifiche. Percepiamo come bella una struttura perché intuitivamente la vediamo corretta e riconosciamo in essa principi di natura che osserviamo quotidianamente pur non conoscendoli scientificamente. Anche senza saperla codificare avvertiamo l’armonia di un edificio perché intuiamo che è la composizione di un’idea che ha organizzato elementi fisici (muri, tetto, luce...) ponendoli tra loro in una relazione spazia-le (distanze, proporzioni...) e temporale (contemporaneità, sequenza, ritmo...) coerente.

Se l’edificio può riconquistare il suo valore civico, rappresentativo di una collettività, con la volontà di essere non “monumento”, ma simbolo in cui rico-noscersi anche emotivamente, deve esprimersi col suo linguaggio intrinseco, il linguaggio delle forme e dello spazio, attraverso l’aderenza tra struttura, forma e contenuto simbolico. E così la chiesa di San Carlo ci mostra il suo significato (co-munità, collaborazione, coesione, equivalenza...) attraverso la forma (pianta cen-trale, mancanza di facciata tradizionale, centralità dell’altare, forma avvolgente, tetto a “tenda”...) declinata dalla struttura (spira mirabilis, minimo strutturale, coesione di elementi discreti).

Tutta la chiesa è progettata partendo da una legge di natura: la spira mira-bilis. Le spirali sono alla base di molte forme del mondo vivente e sono note fin dai tempi antichi. La nostra particolare Spira fu descritta da Descartes nel 1638 come spirale equiangolare, ma è nel 1692 che il matematico Jacob Bernoulli restò tanto affascinato dalle sue proprietà e dalla sua bellezza da chiamarla Mirabilis e la volle incisa nella sua tomba a Berna con la scritta “Eadem mutata resurgo”. La Spira Mirabilis è una forma presente in natura (il nautilus, il DNA, la linea ideale che unisce i punti di intersezione delle foglie in un ramo, etc.) ed esprime una legge della crescita organica secondo la quale gli elementi si infittiscono verso il centro e si diradano alle estremità. Vi sono strette relazioni tra la “Sezione Aurea” e la spirale logaritmica o equiangolare testimoniate dalla fecondità di studi e di applicazioni di questi rapporti.

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Nella chiesa di San Carlo i muri seguono l’andamento di tre spirali logarit-miche ed avvicinandosi al loro centro si infittiscono le linee di fuga verticali del rivestimento interno in pietra di Vicenza, il passo delle formelle di aerazione e stazioni della via crucis e dei pilastrini di appoggio del tetto e il ritmo delle ner-vature del tetto. Su quest’ultimo l’arch. Manfredi Nicoletti scrive: «Un sistema geometrico questo fatto di curve incrociate equiangolari frequente in natura, per esempio nella disposizione degli elementi centrali dei fiori o nella superficie delle pigne, che esprime una legge della crescita organica. È di grande efficacia per la reciproca coesione di elementi discreti [distinti]». La struttura, infatti, è costituita da tre famiglie di spirali tridimensionali che, intersecandosi tra loro, collaborano nel reciproco sostegno, dove una sola famiglia non sarebbe sufficiente in mancan-za dell’appoggio centrale che normalmente sorregge le coperture a “tenda”.

Si può notare inoltre che, andando verso il centro delle spirali, le nervature si infittiscono, ma anche si assottigliano applicando il principio del minimo struttu-rale secondo cui un elemento deve avere in ogni punto la dimensione sufficiente e necessaria per resistere alle forze che in quel punto si applicano.

Questo principio di sostenibilità lo deduciamo dall’osservazione della natura dove nulla è superfluo e dove, senza gravare di inutile peso e rigidità, la forma, la curvatura, la tridimensionalità conferiscono invece maggiore resistenza verso le forze da contrastare.

È probabile che il visitatore di San Carlo sia colpito da qualcosa di profondo che si manifesta solitamente con un immediato senso di stupore, prima di qualsiasi ulte-riore riconoscimento; da qualcosa di profondo che produce nei più curiosi un’atten-zione alle molte concordanze e ripetizioni tenute sommesse, a disposizione di chi guarda con amorevole cura.1

La parola ai progettisti: S. Ortolani, S. Musmeci, A. Cattaneo 2

Nella zona baricentrica del quartiere un’ampia strada residenziale ad andamento curvilineo delimita l’area della chiesa che sorge al centro dell’area stessa ed è que-sta la ragione della soluzione planimetrica adottata, che abolisce la vera e propria facciata e realizza un volume aperto a tutte le visuali circostanti, armonizzandosi nell’ambiente che la circonda.

La costruzione si presenta, secondo la definizione evangelica, nell’atto di disten-dere le ali ad accogliere e a proteggere, mentre le linee ascensionali delle pareti e le masse vive che ne nascono suggeriscono motivi di elevazione.

1. Inno d’arte e parola. La chiesa di S. Carlo al Villaggio del Sole di Vicenza 1962-2002, a cura di Elisabetta e Roberto Brusutti, Vicenza 2002.2. Testo tratto da Chiesa parrocchiale di San Carlo a Vicenza, in “Fede e Arte”, luglio 1963.

Elisabetta Brusutti

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La pianta centrale, delimitata da linee curve aperte con l’altare al centro geome-trico, realizza comunità tra celebrante e fedeli in modo avvolgente intorno all’altare. Verso l’altare quindi, che è il centro visibile dell’azione liturgica, ma anche il punto finale e di compendio dello spazio degli oranti, converge tutto l’edificio sacro. La totalità dei fedeli è presente in una unità anche visiva e partecipa perciò con imme-diatezza a costruire l’assemblea spirituale attorno ai misteri di Cristo.

La rigorosa logica costruttiva adottata serve perfettamente l’esigenza liturgica, in quanto la forma e l’andamento della copertura, l’avvincente gioco delle nervature, costituito da un reticolo di spirali, ha per centro la posizione dell’altare. Dal vertice della cupola la luce si concentra sopra di esso indicando così che l’altare è il fulcro dei rapporti tra Dio e l’uomo.

La struttura della chiesa consiste essenzialmente in una parte inferiore compren-dente le fondazioni e le mura e di una parte superiore che rappresenta la copertura. Fondazioni e mura sono state eseguite in calcestruzzo armato e sono costituite da due distinti tratti che, planimetricamente, seguono l’andamento a spirale logaritmica delle nervature della copertura.

Le nervature formano tre distinte famiglie di spirali logaritmiche in pianta. I cam-pi triangolari in cui le nervature suddividono la soletta risultano tanto più piccoli quanto più ci si avvicina al centro dei sistemi di spirale. La stessa cosa avviene per le dimensioni della sezione delle nervature. Altimetricamente le nervature si innalzano tutte dalla periferia verso il centro, aumentando la propria quota di quantità uguali ad ogni successivo incrocio con le altre nervature.

Ne risulta per la sezione meridiana della soletta della copertura una forma loga-ritmica avente per asintote la verticale nel centro della chiesa. In questo centro la copertura forma quindi una guglia alquanto accentuata. La superficie complessiva della copertura è, in proiezione orizzontale, circa 1.000 mq, con uno spessore medio di m 0,30 e il peso permanente risulta di circa 800 kg/mq.

Dal punto di vista statico la struttura di copertura presenta un comportamento essenzialmente differente nelle parti centrali da quello delle parti periferiche. Il re-gime di tensioni a “membrana” che si instaura verso il centro della struttura, che ha una forma approssimativamente conica con pendenze notevoli, viene gradualmente assorbito da un comportamento a flessione verso la periferia, sino a che, nella parte a sbalzo resta praticamente solo la sollecitazione di flessione e taglio, come in una qualsiasi “struttura a sbalzo”. Naturalmente il graduale aumento delle sezioni re-sistenti è sufficiente a resistere a queste sollecitazioni di flessione. Nel complesso quindi la struttura risulta dimensionata in modo da presentare, in ciascuna zona, la rigidezza e la resistenza che localmente vengono richieste.

La struttura è stata ideata dall’ing. Sergio Musmeci di Roma e calcolata dall’ing. Maggi di Vicenza. Le finiture esterne ed interne sono state realizzate con materia-li tradizionali. Esternamente le murature in cemento armato sono state rivestite da comuni mattoni pieni a faccia a vista. I due portali hanno i pietritti rivestiti in lastre di marmo Chiampo porfirico a superficie martellinata: gli architravi sono costituiti da travi di ferro a “C” abbinate e sorreggono le due vetrate a scomparti verticali. I portoni di ingresso sono in legno abete a superficie bruciata e verniciata.

Internamente tutte le pareti sono rivestite in lastre di pietra di Vicenza a corsi oriz-zontali regolari. L’andamento curvilineo delle pareti è stato realizzato con una spez-

La forma si racconta: la chiesa di San Carlo

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zata avente la lunghezza dei lati corrispondente ad un angolo al centro di ampiezza sempre uguale. Ne consegue che i lati della spezzata decrescono uniformemente con l’avvicinarsi al centro geometrico, infittendo le fughe verticali.

Particolare cura è stata rivolta alla soluzione del problema dell’acustica e dell’iso-lamento termico della chiesa. Tenuto conto della vastità e della forma della copertu-ra, ha dato un risultato molto soddisfacente il soffitto in lastre di polistirolo espanso applicato direttamente sui casseri in fase di getto della copertura. Il soffitto in polisti-rolo è risultato eccellente anche dal punto di vista estetico, in quanto ha dato risalto alla struttura rimasta in cemento a vista.

Il pavimento è alla veneziana di granulato rosso di Sicilia diviso in settori radiali da listelli di marmo Lasa. I gradini del presbiterio sono in massello di marmo rosso di Sicilia. Gli altari, il fonte battesimale e le acquasantiere sono ricavate da blocchi di pietra di Vicenza a superficie lavorata a punta grossa con scolpiti simboli in rilievo. I confessionali, incassati nel muro perimetrale, sono in legno abete a superficie bruciata e verniciata con porte di cristallo infrangibile a superficie decorata con simboli incisi.

L’illuminazione notturna è affidata a sei grandi lampadari in rame sbalzato argen-tato, impreziosito da smalti colorati. La luce viene concentrata sull’altare e diffusa sul soffitto, ottenendo un effetto di massima spiritualità.

L’impianto di condizionamento con cunicoli a pavimento e bocchette di erogazio-ne distribuite regolarmente sui muri perimetrali, è risultato ottimo in quanto distri-buisce uniformemente il calore senza creare fastidiose correnti. Le bocchette sono schermate da formelle traforate in ceramica del pittore Otello De Maria.

Il Crocefisso pendulo dell’altare maggiore in ferro battuto, il tabernacolo ed i can-delabri in rame sbalzato, argentato e smaltato, come pure i sei lampadari sono opera dello scultore Antonio Benetton di Treviso.

La costruzione è stata eseguita dall’impresa Ing. G.B. Refosco di Padova.

Elisabetta Brusutti

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La forma si racconta: la chiesa di San Carlo

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III. La comunità

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FranCeSCo SBetti, FranCeSCo Palazzo

La comunità che cambia: scenari socio-demografici

Premessa: demografia e interculturalità

Le dinamiche demografiche del Villaggio del Sole fanno emergere un radicale cambiamento della compagine sociale e culturale rispetto all’originaria composi-zione della popolazione residente, per l’arrivo sempre più consistente di popolazio-ne straniera. L’importante presenza di comunità straniere all’interno del Villaggio del Sole, mette in gioco le difficoltà e le opportunità da considerare per la ricom-posizione di una comunità, di una identità comunitaria. Sul fronte delle politiche per l’immigrazione sono diverse le scelte che possono essere considerate: alcune di esse provano a mettere in discussione alcuni paradigmi con cui si valuta e si interviene su una comunità estremamente variegata da un punto di vista sociale e culturale, come nel caso del Villaggio del Sole, secondo un approccio intercultura-le. La presenza di un buon livello di convivenza tra i residenti presenti nel Villaggio del Sole deve essere considerata il primo passo verso l’affermazione di una forma comunitaria più matura. Questo significa ad esempio, concepire la nuova comu-nità, come mediazione tra identità e culture diverse e questo richiama più il tema dell’interculturalità che dell’integrazione, perché il primo termine fa riferimento ad uno scambio, presuppone un avvicinamento reciproco, mentre l’integrazione con-sidera le relazioni tra comunità in senso unidirezionale, dove quindi è lo straniero che deve avvicinarsi e adeguarsi alla cultura del luogo ospitante. Il passaggio dal concetto di integrazione a quello di interculturalità, sicuramente più complesso da attuare e da intendersi come possibile (e non unico) campo d’azione, soprattutto in realtà con un’elevata incidenza di popolazione straniera, può avvenire conside-rando la cultura «come uno spazio con delle frontiere e un territorio al suo interno. Il regno della cultura è completamente distribuito lungo le frontiere. Le frontiere sono dappertutto, attraversano ogni suo aspetto. Ogni atto culturale vive essenzial-mente sulle frontiere. Se viene separato da esse perde il suo fondamento, diventa vuoto e arrogante, degenera e muore»1. L’interculturalità viaggia quindi sui confini di ogni cultura, è quello spazio in cui le persone provenienti da mondi diversi si

1. G. Mantovani, Come possiamo pensare alle seconde generazioni di immigrati in modo davvero interculturale?, Padova 2008.

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Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

incontrano e dialogano, si contaminano. «Nelle situazioni più favorevoli, i confini diventano così porosi da non costituire più linee di separazione ma aree di scambio e di influenza reciproca»2. Qual è, allora, la sfida che possono decidere di affrontare gli abitanti del Villaggio del Sole? Secondo la prospettiva dell’interculturalità, sarà quanto mai decisivo rendere permeabili, porosi i confini tra le culture, favorire cioè lo scambio, l’interazione tra le diverse culture presenti nel quartiere, lavorare in quegli spazi dove ogni cultura può crescere nel confronto con le altre.

Gli spazi dell’interculturalità

Se si accetta, allora, di costruire la comunità attraverso un processo “intercultu-rale” dobbiamo chiederci quali possono essere gli spazi dove l’interculturalità può germogliare e svilupparsi in un percorso maturo e duraturo. Sarebbe quasi scontato e naturale, pensare al mondo della scuola, sempre più frequentate dai cosiddetti “im-migrati di seconda generazione”. Il problema è che l’attuale organizzazione didattica ed educativa non si è dotata di quegli strumenti utili per affrontare in maniera ade-guata l’incontro e l’interazione tra studenti italiani e stranieri. La scuola, oggi, così come è impostata, non è capace, quindi, di favorire l’incontro tra culture e ciò impo-ne di trovare spazi alternativi dove sperimentare ed esercitare l’interculturalità.

Se il formale non offre spazi adeguati per questo tipo di processo, un ruo-lo importante può essere svolto dagli spazi informali di incontro, che possono essere spazi specificamente dedicati a questo tipo di iniziative (ad es. un centro interculturale), ma anche l’organizzazione di eventi (sportivi, artistici, culturali) promossi dalle varie comunità che abitano il quartiere. Gli spazi possono essere anche quelli immateriali, se si considera, ad esempio, l’uso dei mezzi informatici per costruire uno spazio di condivisione e di interazione continua, come può es-sere, ad esempio, la realizzazione di un blog del villaggio.

Non c’è dubbio, comunque, che nella individuazione e nella costruzione di questi spazi, è necessaria un’attenta selezione ed applicazione di politiche urba-ne rivolte alla valorizzazione e al potenziamento degli spazi pubblici. Lo spazio pubblico dovrebbe quindi ritornare ad essere il luogo “naturale” dell’incontro, della condivisione, della solidarietà, il cuore attivo e creativo della comunità. Sicuramente costruire spazi di socialità non è semplice, soprattutto dove la com-pagine sociale e culturale si presenta particolarmente complessa e articolata. In questi casi, diverse esperienze in campo nazionale e internazionale dimostrano, ad esempio, come sia possibile iniziare a costruire spazi pubblici a partire dai luo-ghi di gioco e di svago dei bambini. Questi spazi svolgono di solito una duplice funzione: educano le nuove generazioni con diversa estrazione sociale e cultura-

2. Ibidem.

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

le ad interagire (attraverso il gioco e lo sport) e creano importanti occasioni di incontro informale tra le famiglie che possono confrontarsi e dialogare fuori da ambiti formali/istituzionali, come può essere la scuola o un consiglio di quartiere, dove la partecipazione richiede il rispetto di codici comportamentali più rigoro-si. «I ragazzi di città hanno bisogno di tutta una serie di luoghi in cui giocare e imparare. Non solo spazi attrezzati, ma una generica “base” all’aperto collocata nei pressi della casa, alla quale far capo per i loro ozi e che li aiuti a formare una nozione del mondo… La vera educazione avviene infatti negli spazi aperti della città, vicino alle strade, nei pressi di piazzette o marciapiedi accoglienti, qui si può giocare, ma anche osservare cosa fanno gli adulti. L’assunzione di responsa-bilità è il risultato della vicinanza tra i grandi e piccini»3.

In base a quanto finora esposto, risulta evidente che le azioni che potrebbero essere promosse per il raggiungimento di una convivenza più solida e matura nel Villaggio del Sole sono molteplici. Si tratta, quindi, di stabilire un programma di lavoro e di fissare delle priorità di intervento, tra cui assume particolare rilevanza la valorizzazione degli spazi pubblici che rappresentano il campo privilegiato per l’avvio di un percorso che ha come obiettivo il consolidamento di uno spirito co-munitario.

1. Il quadro demografico comunale

Il Villaggio del Sole è collocato all’interno della Circoscrizione 6 del comune di Vicenza, la più grande tra le sette Circoscrizioni per numero di residenti; vi risie-de, infatti, circa un quarto della popolazione e delle famiglie dell’intero comune di Vicenza. La popolazione residente è di 30.057 abitanti, mentre il numero di fami-glie è pari a 13.636, per una dimensione media delle famiglie di 2,2 componenti.

Tab. 1. Popolazione e famiglie nelle Circoscrizioni al 2008

Circoscrizioni Totale Comune1 2 3 4 5 6 7

Popolazione 15.571 7728 20.975 18.421 15.583 30.057 6.652 114.987% 13,5 6,7 18,2 16,0 13,6 26,1 5,8 100,0Famiglie 7.798 3283 8.977 8.079 7.105 13.636 3.016 51.894% 15,0 6,3 17,3 15,6 13,7 26,3 5,8 100,0Dimensione media famiglie 2,0 2,4 2,3 2,3 2,2 2,2 2,2 2,2

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

3. M. Belpoliti, Una città per giocare, in “La Stampa”, 28 settembre 2009.

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Fig. 1. Distribuzione della popolazione nel comune di Vicenza al 2008

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Tra le sette Circoscrizioni, possiamo osservare alcune diversità circa la com-posizione della popolazione per classi d’età. La Circoscrizione 6 si caratterizza, in particolare, per la maggiore presenza di residenti in età lavorativa, nella fascia d’età 20-44 anni. Buona è anche la presenza di bambini tra 0 e 9 anni e la percen-tuale di anziani (> 64 anni) è tra le più basse del Comune.

Tab. 2. Popolazione residente nelle Circoscrizioni per classi d’età al 2008 (%)

Classi d’età Circoscrizioni1 2 3 4 5 6 7

0-9 8,3 9,2 9,4 9,0 9,4 9,7 8,610-19 7,6 9,2 9,2 8,9 8,8 9,1 9,420-44 31,9 33,5 35,0 32,2 33,2 35,0 35,045-64 26,5 25,8 26,7 26,8 25,2 25,8 26,7> 64 25,7 22,3 19,7 23,2 23,3 20,4 20,2Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

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Le dinamiche demografiche riguardanti la presenza e l’evoluzione della po-polazione straniera in Veneto, segnalano, soprattutto con riferimento all’ultimo decennio, una progressiva crescita del fenomeno migratorio che tuttavia conserva un carattere abbastanza disomogeneo nelle diverse realtà territoriali della Regio-ne. Osservando più da vicino il comune di Vicenza troviamo un’incidenza di stra-nieri sulla popolazione totale residente pari al 14,6%.

Da un confronto dei dati sulla presenza straniera si osserva una particolare rilevanza del fenomeno migratorio nella Circoscrizione 6 dove vive circa un terzo degli stranieri complessivamente residenti nel comune di Vicenza e dove l’in-cidenza di stranieri è del 17,6%, superiore alla media comunale e al resto delle singole Circoscrizioni.

Tab. 3. Popolazione straniera residente per Circoscrizione al 2008

Circoscrizioni stranieri residenti

incidenza stranieri/popolazione (%)v.a. %Circoscrizione 1 2.414 14,4 15,5Circoscrizione 2 848 5,1 11,0Circoscrizione 3 2.878 17,2 13,7Circoscrizione 4 2.400 14,3 13,0Circoscrizione 5 1.898 11,3 12,2Circoscrizione 6 5.291 31,6 17,6Circoscrizione 7 1.029 6,1 15,5Totale circoscrizioni 16.758 100,0 14,6

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Fig. 2. Popolazione straniera residente per Circoscrizione al 2008 (%)

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

La comunità che cambia: scenari socio-demografici

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Fig. 3. Distribuzione degli stranieri nel comune di Vicenza al 2008

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

2. La popolazione del Villaggio del Sole

L’analisi demografica considera contemporaneamente due ambiti di ricerca: il Villaggio del Sole in senso stretto4 e la Parrocchia San Carlo-Villaggio del So-le5. Tale approccio permette di contestualizzare le dinamiche della popolazione residente nel Villaggio del Sole, per comprendere meglio la portata e le specifici-tà dei cambiamenti demografici in atto.

4. Elenco delle vie incluse nel Villaggio del Sole: Via S. Caboto, Via A. Cadamosto, Via C. Colom-bo, Via N. De’ Conti, Via A. Malaspina, Via A. Usodimare, Via Vasco de Gama, Via G. Verrazano, Via A. Vespucci.5. Elenco delle vie incluse nella Parrocchia San Carlo- Villaggio del Sole: Strada Ambrosini, Via Btg. Edolo, Strada Biron di Sopra, Strada Biron di Sotto, Via Brg. Granatieri di Sardegna (n. pari, n. dispari da 141 in poi), Via Brigata Liguria, Via Brigata Regina, Via Brigata Sassari, Via Brigata Toscana, Via B. Buozzi, Via S. Caboto, Via A. Cadamosto, Via C. Colombo, Via N. De’ Conti, Via A. Diaz, Via A. Grandi, Via F. Magellano, Via A. Malaspina, Str. Del Monte Crocetta, Str. Vic. Monte Crocetta, Str. Del Pasubio, Via G. Pecori Giraldi, Via M. Polo, Via M. Prestinari, Via della Produttività, Viale del Sole, Via G. Toniolo, Viale Trento, Via A. Usodimare, Via Vasco de Gama, Via G. Verrazano, Via A. Vespucci.

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

Secondo i dati riferiti al 31 dicembre 2008, gli abitanti del Villaggio del Sole sono 1.238, poco più di un terzo della popolazione residente nell’intera Parroc-chia, le famiglie comprendono 525 unità. La dimensione media delle famiglie è pari a 2,4 componenti, leggermente superiore al dato della Parrocchia San Carlo-Villaggio del Sole (2,2 componenti).

Tab. 4. Popolazione e famiglie per ambito territoriale al 2008

Villaggio del Sole San Carlo- Villaggio del SolePopolazione 1.238 3.256Famiglie 525 1.420Dimensione media famiglie 2,4 2,2

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

La lettura dei dati sulla popolazione per classi d’età permette di osservare che nel caso dei due ambiti territoriali considerati, prevalgono gli anziani ultrasessan-tenni, anche se il loro peso è leggermente più elevato tra gli abitanti del Villaggio del Sole, dove, però, troviamo un’incidenza più alta di bambini tra 1 e 10 anni.

Tab. 5. Popolazione residente per classi d’età al 2008

Classi d’età Villaggio del Sole San Carlo - Villaggio del Solev.a. % v.a. %

1-10 154 12,4 351 10,811-20 113 9,1 286 8,821-40 299 24,2 806 24,841-60 323 26,1 904 27,860 e più 349 28,2 909 27,9Totale 1.238 100,0 3.256 100,0

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Circa i due terzi delle famiglie del Villaggio del Sole sono formate al massi-mo da due componenti: il 38,5% è formato da un solo componente, il 23,8% da due componenti. Una situazione analoga si riscontra anche nel caso della Parroc-chia San Carlo-Villaggio del Sole, dove le famiglie con un componente sono il 37,7% e quelle con due componenti il 25,4%. E’ interessante notare come, però, nel Villaggio del Sole siano presenti percentuali più elevate per le famiglie nume-rose, formate da 4 e più componenti.

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Tab. 6. Famiglie residenti per numero di componenti al 2008

Nr. Componenti famiglieVillaggio del Sole San Carlo-Villaggio del Sole

v.a. % v.a. %

1 202 38,5 536 37,72 125 23,8 361 25,43 76 14,5 237 16,74 76 14,5 196 13,85 27 5,1 60 4,26 15 2,9 21 1,57 e più 4 0,8 9 0,6

Totale 525 100,0 1.420 100,0

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Nel Villaggio del Sole risiedono 441 stranieri, più della metà rispetto agli immigrati presenti nella Parrocchia, pari a 809 individui.

Le dinamiche demografiche relative alla popolazione straniera ci informano di un continuo e consistente aumento della sua presenza, che risulta più accentua-ta nel Villaggio del Sole. In questo quartiere si assiste tra il 2006 e il 2008 ad un incremento dell’incidenza percentuale di stranieri sulla popolazione totale di cir-ca sette punti percentuali: dal 28,7% al 35,6%. Tale incremento è presente anche all’interno dell’intera Parrocchia, dove però il trend di crescita è più contenuto: si passa, infatti, da un’ incidenza di stranieri del 20,4% ad una del 24,8%.

All’interno della Parrocchia San Carlo- Villaggio del Sole, troviamo infine al-cune zone (Via A. Vespucci, Via Vasco de Gama, Viale del Sole) con una presenza di stranieri superiore al 50% e dove, quindi, circa un residente su due è straniero. Tra le tre vie della Parrocchia con la percentuale più elevata di stranieri, le prime due (Via A. Vespucci, Via Vasco de Gama) sono localizzate nel Villaggio del Sole.

Tab. 7. Popolazione straniera residente al 2008

Presenza stranieri/residenti al 2008

2008 incidenza % stranieri/residentiresidenti di cui stranieri 2006 2007 2008

Villaggio del Sole 1.238 441 28,7 33,2 35,6San Carlo- Villaggio del Sole 3.256 809 20,4 23,6 24,8

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

Tab. 8. Indicazione delle vie della Parrocchia San Carlo- Villaggio del Sole con la mag-giore incidenza di popolazione straniera (*vie localizzate nel Villaggio del Sole)

Classi di incidenza stranieri/residenti (%) Vie

residenti di cui stranieri

incidenza stranieri/residenti (%)

2008 2006 2007 2008

> 50%Via A. Vespucci* 222 126 48,7 54,3 56,8Via Vasco de Gama* 36 20 52,6 51,4 55,6Viale del Sole 101 54 56,1 58,9 53,5

Via M. Polo 230 95 35,0 41,2 41,3 Str. del Pasubio 82 33 21,6 32,9 40,2 Via A. Malaspina* 208 69 28,6 32,9 33,230%-50% Via G. Verrazano* 100 32 25,0 26,3 32,0 Via C. Colombo* 253 78 24,4 27,8 30,8 Via S. Caboto* 65 20 16,1 27,3 30,8 Via A. Cadamosto* 107 31 25,2 27,1 29,0

25%-29%Viale Trento 97 28 28,1 27,7 28,9Via N. De’ Conti* 156 45 20,6 27,6 28,8Via Brg. Granatieri di Sardegna 203 52 21,8 24,8 25,6

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Sui 441 stranieri residenti nel Villaggio del Sole, troviamo una forte presenza di popolazione in età lavorativa, concentrata in particolare nella fascia d’età 21-40 anni (40,1%). Vi è inoltre una buona presenza di bambini fino ai 10 anni d’età, mentre assolutamente marginale è la presenza di ultrasessantenni. Nella Parroc-chia San Carlo-Villaggio del Sole la composizione degli stranieri per classe d’età è simile a quella appena descritta per il Villaggio del Sole: lo scostamento più significativo riguarda la percentuale più bassa di stranieri compresi nella fascia d’età 1-10 anni, che sono il 19,9%, rispetto al 22,2% del Villaggio del Sole.

Tab. 9. Confronto tra popolazione residente e straniera nel Villaggio del Sole e nella Parrocchia San Carlo-Villaggio del Sole per classi d’età (2008)

Classi d’etàVillaggio del Sole San Carlo- Villaggio del Sole

residenti stranieri residenti stranieriv.a % v.a. % v.a % v.a. %

1-10 154 12,4 98 22,2 351 10,8 161 19,911-20 113 9,1 60 13,6 286 8,8 99 12,2

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Classi d’etàVillaggio del Sole San Carlo- Villaggio del Sole

residenti stranieri residenti stranieriv.a % v.a. % v.a % v.a. %

21-40 299 24,2 177 40,1 806 24,8 340 42,041-60 323 26,1 105 23,8 904 27,8 203 25,160 e più 349 28,2 1 0,2 909 27,9 6 0,7Totale 1.238 100,0 441 100,0 3256 100,0 809 100,0

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Fig. 4. Incidenza percentuale di residenti e stranieri nel Villaggio del Sole per classi d’età al 2008

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

La composizione delle famiglie straniere rispecchia, in parte, una tendenza generale che vede una presenza prevalente di famiglie formate da un solo com-ponente, anche se, il confronto tra i due ambiti di studio fa emergere differenze significative. Innanzitutto le famiglie con un solo componente sono il 25,5% nel Villaggio del Sole, mentre arrivano al 36,4% nella Parrocchia San Carlo-Villag-gio del Sole. Questa situazione mette in evidenza che il Villaggio del Sole si ca-

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

ratterizza per la presenza di famiglie straniere più numerose, in particolare quelle formate da 3 o più componenti.

Tab. 10. Confronto tra famiglie residenti e straniere nel Villaggio del Sole e nella Parroc-chia San Carlo-Villaggio del Sole per numero di componenti (2008)

Nr. ComponentiVillaggio del Sole San Carlo- Villaggio del Sole

residenti stranieri residenti stranieriv.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

1 202 38,5 35 25,5 536 37,7 107 36,42 125 23,8 12 8,8 361 25,4 30 10,23 76 14,5 26 19,0 237 16,7 52 17,74 76 14,5 34 24,8 196 13,8 61 20,75 27 5,1 17 12,4 60 4,2 28 9,56 15 2,9 9 6,6 21 1,5 11 3,77 e più 4 0,8 4 2,9 9 0,6 5 1,7Totale 525 100,0 137 100,0 1420 100,0 294 100,0

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Fig. 5. Confronto tra famiglie residenti e straniere nel Villaggio del Sole per numero di componenti al 2008 (%)

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

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La popolazione straniera residente nel Villaggio del Sole proviene princi-palmente dal Bangladesh (18%), dalla ex Serbia-Montenegro (12%) e dal Ghana (12%); importante è anche la presenza della comunità albanese (8%).

Fig. 6. Popolazione straniera residente nel Villaggio del Sole per Paese di provenienza al 2008

BANGLADESH18%

EX SERBIA E MONTENEGRO

12%

GHANA12%ALBANIA

8%

Altri Paesi50%

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

3. I modelli abitativi

Il Villaggio del Sole è composto da 526 alloggi, che diventano 758 se si considerano i quartieri che si sviluppano nelle aree adiacenti e realizzati, come il Villaggio del Sole, intorno agli anni Sessanta. Tali insediamenti comprendono: le case dei vigili urbani (14 alloggi), le case “Romita” (22 appartamenti), il Vil-laggio della produttività di Gardella (112 appartamenti) e il villaggio Cassa di Risparmio (84 appartamenti).

Nel corso di un’indagine svolta nel periodo 2005-2006 dall’associazione “Villaggio Insieme” e che ha coinvolto 259 appartamenti su 526, è stata rilevata una densità media di 2,1 residenti/unità abitativa nel caso di abitazioni occupate da italiani e di 4,1 residenti/unità abitativa per le abitazioni occupate da stranieri. La densità della popolazione italiana si è ridotta rispetto al 1960, anno di primo insediamento nel Villaggio del Sole, da 4,7 residenti/unità abitativa a 2,1 resi-denti/unità abitativa.

Rispetto ai 526 alloggi presenti nel Villaggio del Sole, inizialmente a riscatto erano 346, in affitto 176 e 4 dedicati a: centro sociale, medico, parroco, ecc.. Al 30/06/2009 risultano ancora 16 alloggi di proprietà dell’ATER.

Inizialmente le abitazioni del Villaggio del Sole erano occupate unicamente da popolazione italiana che a partire dal 1985 ha riscattato gran parte degli alloggi.

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

Ora la situazione è notevolmente cambiata, sia per quanto riguarda la composizione demografica della popolazione che rispetto alla modalità di occupazione degli al-loggi. La popolazione straniera continua ad aumentare e una parte consistente degli alloggi riscattati è stata gradualmente venduta o ceduta in locazione alle famiglie straniere.

4. Gli scenari demografici

Il contesto comunale e regionale

A partire da questi dati che mettono in evidenza soprattutto una presenza importante di popolazione anziana sopra i sessant’anni, una netta prevalenza di famiglie formate da un solo componente e una crescita continua della popolazio-ne straniera, occorre chiedersi quali siano i possibili scenari sociali e demografici che coinvolgeranno nei prossimi anni il Villaggio del Sole. A tale proposito è importante analizzare i fenomeni attualmente osservabili alla scala di quartiere,

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attraverso una contestualizzazione di tali fenomeni rispetto alle dinamiche sociali e demografiche comunali e regionali.

Fig. 7. Scenari demografici del comune di Vicenza (variazioni rispetto ai residenti 2006)

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

Fonte: elaborazione su dati PAT, Comune di Vicenza

Sicuramente, può essere utile rifarsi alle previsioni demografiche prodotte per il Piano di Assetto del Territorio (PAT) per avere alcune indicazioni, sulle possibili evoluzioni della popolazione a livello comunale. Nel caso specifico del Villaggio del Sole, sembra più utile partire dall’analisi delle attuali condizioni sociali e demografiche, per ipotizzare gli scenari da percorrere nel tentativo di ricostruire una comunità che ha conosciuto, soprattutto in tempi recenti, una pro-gressiva e a volte rapida evoluzione della compagine demografica.

Da un punto di vista strettamente quantitativo e facendo riferimento agli scenari demografici previsti dal PAT del comune di Vicenza, si prevede per il 2020 una crescita della popolazione residente compresa tra 4.500 e 9.000 abitanti. Osservando inoltre le principali dinamiche della popolazione straniera a livello comunale e sovra comunale, si può ipotizzare che in futuro una parte sempre più consistente di residenti sarà costituita da cittadini stranieri. Un fatto questo che viene confermato anche dal Rapporto Statistico 2009 della Regione Veneto, dove, tra l’altro, emerge che il Veneto e in particolare alcune sue province, tra cui Vi-cenza, continuano ad esercitare una forte attrattività per la popolazione migrante, determinata in gran parte dal fabbisogno di manodopera industriale. Il Rapporto Statistico 2009 ha elaborato tre indici per misurare i processi di inclusione di nuove etnie, tenendo in considerazione tre variabili: lavoro, inserimento sociale e radicamento sul territorio.

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La comunità che cambia: scenari socio-demografici

Fig. 8. L’integrazione sociale degli stranieri, 2006

Fonte: elaborazione su dati Regione Veneto

Tali indici dimostrerebbero che il Veneto, insieme ad altre regioni italiane, soprattutto del nord Italia, presenta un alto livello di integrazione e questo è un fattore che sicuramente potrà determinare in futuro, un aumento della presenza straniera. I principali indici sintetici elaborati sono tre: l’indice di attrattività, che tiene conto dei diversi aspetti del radicamento nel territorio, quali ad esem-pio l’incidenza e la permanenza dei soggiornanti; l’indice di stabilità sociale che mette insieme dati legati ai ricongiungimenti, la lunghezza del soggiorno, l’acquisizione della cittadinanza e la natalità; l’indice di inserimento lavorativo che sintetizza disoccupazione, fabbisogno di manodopera, retribuzioni e im-prenditorialità.

I tre indici confluiscono in un indicatore di integrazione complessivo, che vede il Veneto presente nella fascia di integrazione massima ed in cui Vicenza si aggiudica il quarto posto nella graduatoria delle province italiane.

A partire da queste informazioni, è plausibile ritenere che gli scenari demo-grafici appena descritti, pur interessando un territorio vasto (comunale e provin-ciale), possano essere rappresentativi di una tendenza che coinvolgerà, anche se con modalità e intensità diverse, i singoli quartieri/circoscrizioni del capoluogo vicentino. Ovviamente quanto detto vale anche per il Villaggio del Sole e la Cir-coscrizione 6 dove i fenomeni di radicamento e di incremento della popolazione straniera sono particolarmente incisivi.

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Questa situazione rimanda a scenari dove, come già ricordato nel primo capitolo, i processi di “sostituzione” attualmente in corso, tra residenti di ori-gine italiana e straniera, in diversi campi (sociale, demografico, economico, ecc.), devono gradualmente trasformarsi da elementi di criticità ad elementi di valore. Una delle possibili strade da percorrere per sostenere questa im-portante evoluzione, può essere quella dell’interculturalità, dove la comunità diventa lo spazio in cui esperienze, saperi e culture diverse si incontrano e si contaminano, dove, quindi, le diversità diventano il valore aggiunto di una comunità che vuole ricostruire la propria identità e riscoprire un nuovo senso di appartenenza.

Il Villaggio del Sole

Per il Villaggio del Sole sono stati elaborati due scenari demografici, a parti-re dalle dinamiche in atto riferite alla popolazione residente e ai modelli abitativi. Gli scenari considerano in particolare le seguenti ipotesi:

Ipotesi 1: si presuppone che ci sia una famiglia per ogni appartamento, sia per quanto riguarda gli italiani che gli stranieri;Ipotesi 2: il numero medio di componenti per famiglia rimarrà invariato nel futuro;Ipotesi 3: non ci saranno importanti fenomeni migratori, l’unica dinamica in uscita è la mortalità. Le abitazioni, infatti, sono state quasi tutte completa-mente riscattate, e sono pochi i casi di abitazioni in affitto, prevalgono le case in proprietà, anche per quanto riguarda la popolazione straniera.

Per comprendere come e da chi saranno utilizzate le abitazioni nei prossimi venti anni, è stato stimato il numero di appartamenti che saranno gradualmen-te lasciati liberi dagli attuali inquilini, sapendo che ad oggi sono presenti nel quartiere circa 119 coppie di coniugi con più di sessant’anni e circa 110 vedove, per un totale di 229 famiglie ultrasessantenni. è stato quindi considerato che di queste famiglie scompariranno nei prossimi 20 anni almeno il 90%, pari a 206 famiglie, equivalenti ad altrettante abitazioni. A partire da queste considerazioni sono stati elaborati i seguenti scenari:

Scenario 1: le abitazioni saranno occupate per il 10% da un vecchio inquili-no, per il 75% da nuovi inquilini stranieri, per il 5% da nuovi inquilini italiani e per il 10% da italiani di ritorno;

Scenario 2: Le abitazioni saranno occupate per il 10% da un vecchio inqui-lino, per il 40% da nuovi inquilini stranieri, per il 40% da nuovi inquilini italiani e per il 10% da italiani di ritorno.

Francesco Sbetti, Francesco Palazzo

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Tab. 11. Scenario 1Ripartizione abitazioni

% v.a.10 23 vecchi inquilini (figli che coabitavano, marito vedovo, ecc.)75 172 stranieri5 11 nuovi italiani10 23 italiani di ritorno100 229 totale famiglie

Stranieri in più: 550 (famiglie*n. medio componenti)Italiani in più: 68 (famiglie* n. medio componenti)

Tab. 12. Scenario 2Ripartizione abitazioni

% v.a.10 23 vecchi inquilini (figli che coabitavano, marito vedovo, ecc.)40 92 stranieri40 92 nuovi italiani10 23 italiani di ritorno100 229 totale famiglie

Stranieri in più: 294 (famiglie*n. medio componenti)Italiani in più: 232 (famiglie* n. medio componenti)

Fonti: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

Secondo le indicazioni presenti nei due scenari è stata stimata la popolazione residente nel Villaggio del Sole proiettata nei prossimi venti anni.

In base allo scenario 1 nel 2028 i residenti saranno in totale 1.554, circa 300 in più del 2008, con una prevalenza di cittadini stranieri (991) su quelli italiani (563).

Lo scenario 2 prevede per il 2028 un aumento più contenuto della popolazio-ne residente rispetto allo scenario 1 e una prevalenza di cittadini italiani su quelli stranieri. Secondo questo scenario la popolazione al 2028 sarà di 1.260 abitanti, di cui 727 italiani e 533 stranieri.

Tab. 13. Previsione della popolazione al 2028Italiani Stranieri Totale

Residenti nel 2008 797 441 1.238Scenario 1 563 991 1.554Scenario 2 727 533 1.260

Fonte: elaborazione su dati Ufficio Anagrafe Comune di Vicenza

La comunità che cambia: scenari socio-demografici

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GaBriella Candia

Con la tua cultura arricchisco la mia creatività

1. Nel flusso del cambiamento

Nella scuola si percepiscono in anticipo i mutamenti, si vedono cambiare le ge-nerazioni, tutto accade in modo tanto “naturale” quanto imprevedibile. Spesso, pur-troppo, questa istituzione così importante e così trascurata non si fa trovare pronta e spesso, purtroppo, su di essa si scaricano colpe e problemi collettivi da risolvere.

Anche molti di noi docenti hanno intrapreso questo mestiere ritenendo che, per farlo bene, fossero sufficienti una buona preparazione, qualche pillola di didattica acquisita sul campo o con i corsi di aggiornamento, e un po’ di esperienza. Molti hanno creduto che, in fondo, sarebbe bastato riprodurre alcuni dei modelli che ci avevano formato ai nostri tempi, modelli spesso di grande levatura professionale e umana. Così in genere pensa ancora la gente che, sulla base delle personali memo-rie scolastiche, è convinta che Mattia, Luca e Valentina non siano poi tanto diversi dagli alunni di un tempo che si chiamavano Antonio, Domenico e Ada e chiede per loro, in definitiva, che imparino a leggere, a scrivere e a far di conto. La scuola del Villaggio del Sole – l’edificio, intendo – è ancora lo stesso e potrei riconoscere l’au-la dove ho imparato dalla maestra a fare le aste e a scrivere dentro le righe, prima a matita, poi con pennino e inchiostro del calamaio. La foto che ci ritrae davanti alla lavagna mostra bambine (le classi erano maschili o femminili) serie, con il fiocco impeccabile e i capelli pettinati, in silenzio e in ordine, quasi timorose.

Non sono passati chissà quanti anni e, tutto a un tratto, senza che nessuno ne avesse veramente percezione, ci siamo trovati con classi multietniche, colorate e, sì, anche problematiche. Non è che una volta non ci fosse l’alunno iperattivo (ma-gari lo si chiamava, più semplicemente, “discolo”) o che mancasse lo svantag-giato sociale e culturale, ma erano casi isolati, “invisibili”, perché ingiustamente emarginati o pietosamente mimetizzati.

2. Il falso problema

Con l’arrivo dei tanti immigrati è scoppiato “il problema”. Insegnanti diso-rientati, spiazzati, talvolta perfino arrabbiati: «Questi non capiscono niente, non

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hanno voglia di imparare, non sanno una parola di italiano, non hanno gli stru-menti di base della mia materia, non riescono a seguire, ritardano lo svolgimento del programma». E magari anche: «Sono abituati in modo troppo diverso, non riconoscono le regole o il ruolo del docente, il valore dell’istruzione». Insegnanti rifiutanti: «Ti devi adeguare ora che vivi qui». Insegnanti idealizzanti: «Mi ac-contento dei risultati approssimativi che mi puoi dare, poverino».

Ma anche docenti pronti a studiare, a imparare come insegnare l’italiano L2 (Lingua 2), a mettersi in gioco, ad accogliere, a integrare, a trasformare le diffi-coltà in opportunità, a sperimentare. In un certo senso si può dire che la necessità ha imposto un rinnovamento della didattica e ha dato una svecchiata al modello stereotipato del maestro come mero trasmettitore di sapere. Sono stati elaborati nuovi metodi, nuovi approcci, nuove strategie, per far apprendere velocemente una lingua, adatta non solo a scopi comunicativi, ma anche culturali. Perché è solo attraverso il linguaggio che si integra veramente: le parole dicono emozioni, conoscenze, vissuti, relazioni, culture. Dicono uguaglianze e differenze. Avvici-nano, uniscono, confrontano e identificano.

Per la scuola del Villaggio del Sole la sfida è particolarmente difficile, perché i nuovi arrivati sono tanti, di età diverse, scolarizzati o meno, di etnie differenti. Arrivano e se ne vanno in ogni momento dell’anno, portano bagagli pesantissimi pieni di storie personali non sempre positive, affrontano la difficoltà della lingua, dell’integrazione, vivono conflittualmente il rapporto tra la cultura trasmessa a casa e quella respirata a scuola, mostrano talvolta segni di ribellione o di chiusura. Capita così di sentir dire «che problema questi stranieri!».

3. Il vero problema

Questi stranieri? Mentre ci diamo da fare per tentare di dare risposte coerenti e pratiche ai diversi bisogni di Fatima, Mohammad, Vasile, Liu, ci accorgiamo che anche Paolo, Francesca e Luca ne traggono vantaggio. Ci guardiamo intorno e scopriamo che anche i ragazzi italiani, pur provenendo da esperienze e ambienti “normali”, senza i percorsi accidentati dei coetanei giunti da lontano, hanno le stesse loro difficoltà, magari per motivi diversi. Fanno anche loro fatica a con-centrarsi e a studiare, a capire una lingua – quella usata a scuola, quella delle discipline – che non è più la loro e che sentono difficile: la loro è quella degli SMS, delle e-mail e di Facebook, della tv: poche parole, niente strutture, una grammatica approssimativa.

Anche i rampolli delle nostre famiglie italiane del Villaggio del Sole sono fra-gili e insicuri, si sentono inadeguati o incompresi, estranei a questo mondo come se provenissero da chissà dove. Vivono nel benessere e sono di una disarmante vulne-rabilità. Proprio come gli stranieri veri si sentono “foresti” e lontani. Non è facile agganciarli e attirare il loro interesse, e ancora più difficile capirli e farsi capire.

Gabriella Candia

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Qui viene il bello. Vuoi vedere che – come spesso accade nella vita – da un disagio, da un problema, da una difficoltà apparentemente insormontabili o irrisol-vibili esce un’opportunità? Perché quando siamo costretti a cercare le soluzioni, ci scopriamo capaci di fare quadrato, disponibili a confrontarci, incredibilmente cre-ativi ed entusiasticamente energici. Allora, nonostante le risorse economiche siano sempre più insufficienti, nonostante un pessimismo diffuso condito da qualunqui-smo di comodo, ecco che docenti di buona volontà, dirigenti illuminati, educatori esterni (la psicologa che non bada alle ore, il volontario della parrocchia, il genitore che si fa carico anche dei figli degli altri) riescono a compiere dei piccoli miracoli. I nuovi arrivati imparano in fretta, i compagni imparano con loro e da loro: non è più possibile dare a tutti lo stesso, ma è necessario offrire a ciascuno il suo.

Quello di cui tutti indistintamente hanno estremo bisogno è attenzione, tem-po, ascolto, ma anche rigore, certezza, riferimento. Per capire la storia, per im-parare la grammatica, per risolvere un problema di geometria o per scrivere un tema, oggi più di ieri c’è bisogno di tanta pazienza e di capacità da parte dell’edu-catore di selezionare gli input. Questo è un mondo in cui gli adolescenti sono bombardati da molti, troppi stimoli, non tutti validi e non tutti necessari.

4. A tutti e a ciascuno

E così la scuola sta imparando, stimolata dal contesto in cui si trova a ope-rare, ad andare contro corrente: rispetto dei tempi contro la corsa frenetica del mondo, rispetto delle persone contro la massificazione. Rispetto. E sta imparando a riconoscere ciò che è veramente essenziale: non quello che è “importante” (con-cetto soggettivo), ma quello che è maggiormente generativo (di conoscenze, di valori, di autonomie) e significativo. Solo in questo modo, puntando alla qualità piuttosto che alla quantità, si può sperare di educare le nuove generazioni (italiani e stranieri in egual modo) al riconoscimento del valore, non eliminando, come spesso succede, il necessario con il superfluo per l’indistinzione che attualmente li accomuna. Essenzialità.

Potrei dire dei numeri che bene fotografano la composizione della popolazione scolastica del nostro quartiere: alla scuola primaria Colombo si va oltre il 40% di alunni stranieri e alla secondaria di primo grado siamo al 31,59%. E potrei anche af-fermare che questo ha suggerito ad alcune famiglie italiane di trasferire i propri figli altrove, convinte che la forte presenza di stranieri possa “rallentare il programma” o comunque offrire minori opportunità e garanzie di una buona preparazione. Perso-nalmente credo che la buona o la cattiva riuscita scolastica sia determinata da buoni o cattivi insegnanti e da buoni o cattivi scolari, che si possono incontrare ovunque. Sono comunque elementi che sfuggono a parametri di valutazione oggettivi, perché si intrecciano con le doti personali e con la qualità dei rapporti che si instaurano. Quante volte un docente preparatissimo si è però rivelato un pessimo educatore,

Con la tua cultura arricchisco la mia creatività

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perché incapace di cogliere i bisogni o di trasmettere il sapere? Quante volte inve-ce manca un adeguato aggiornamento della didattica, al di là della disponibilità e dell’impegno? E quanto spesso i nostri ragazzi – stranieri e autoctoni, normodotati o diversamente abili, maschi o femmine, “di buona famiglia” e non – non accetta-no lo studio perché significa fatica, quanto spesso non riconoscono il valore della responsabilità personale? O, al contrario, si impegnano tanto senza però trovare giusta attenzione individuale e un percorso che ne valorizzi le peculiarità?

Certo non solo al Villaggio del Sole ci confrontiamo con queste problemati-che, che rappresentano una realtà generale e diffusa, una caratteristica dei tempi e non del luogo. Io credo che il nostro sia davvero un “Villaggio globale” in tutti i sensi. Lo è per i cambiamenti nel modo di vivere che hanno caratterizzato gli ultimi decenni; lo è perché in questo piccolo mondo si sono annullate le distanze fisiche e culturali; per via di quelle contaminazioni tra stili di vita, lingue e tradi-zioni determinate dall’arrivo di gente di tante etnie diverse.

Lo è anche perché siamo stati costretti, prima di tutto a scuola, a “decentra-re” la narrazione e a cercare forme di comunicazione diverse. Abbiamo dovuto imparare a usare la “didattica dei punti di vista”, l’unica in grado di fornire una percezione più completa della propria identità culturale e di salvarla da una sterile autoreferenzialità. Il guadagno è di tipo cognitivo, ma anche in termini di alle-namento alla democrazia, all’intercultura vera e a un senso civico adeguato alla nuova società delle differenze: c’è bisogno di uscire dall’egocentrismo e dall’et-nocentrismo, arricchendo il proprio sapere e la propria identità in virtù dell’ascol-to dell’altro. In pratica, non possiamo più solo studiare le culture – nostra e degli altri – dal nostro punto di vista, ma dobbiamo per forza di cose rivedere la nostra cultura attraverso il punto di vista degli altri.

«Con la tua cultura arricchisco la mia creatività», dichiara il POF (Piano dell’Offerta Formativa) del nostro Istituto Comprensivo. Non è facile, non è nem-meno detto che ci si riesca sempre e tutti, ma è l’unica strada percorribile, l’unica in grado di dare alle nuove generazioni – definite “senza futuro” – la speranza di un possibile mondo migliore, al di là del disfattismo imperante o dell’altrettanto illusoria promessa di un benessere privilegiato e senza costi.

Per avvicinarsi a questo obiettivo, la scuola del Villaggio del Sole ha degli alleati fortissimi e indispensabili. Il Comitato dei genitori, per esempio, lavora in silenzio, con spirito di servizio, disponibilità, collaborazione attiva e autentica pas-sione, per i figli, per gli alunni, per la piccola comunità. Così supplisce alle diffi-coltà economiche sempre presenti, consente la realizzazione di progetti, promuove iniziative, collabora ogni volta che viene avanzata una richiesta, aiuta a trovare soluzioni, affianca i docenti, partecipa alle vicende belle e brutte. Questa sinergia positiva dovrebbe indicarci l’altra strada utile e necessaria: il mondo degli educatori e degli adulti deve abbandonare conflitti e personalismi e dare l’esempio, dialogan-do e lavorando sodo per uno degli scopi più alti e preziosi per una società davvero lungimirante: formare i bambini, uomini migliori di domani.

Gabriella Candia

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IV. Il verde

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BePPe ProvaSi

Il Villaggio-giardino

1. Come si è sviluppato il verde del Villaggio del Sole

La nascita del Villaggio del Sole avviene come “città satellite”, fuori dal tessuto urbano dell’epoca, in quella che allora era campagna, per quanto già de-stinata nei progetti urbanistici ad essere tagliata dalle strade, ad essere costruita sempre di più. Si vedano la mappa IGM (fig. 2, p. 95), e la bellissima foto aerea (fig. 1, p. 95) che mostrano proprio questa realtà ancora agricola del territorio intorno al nascente Villaggio.

Proprio per questa collocazione rurale il “verde urbano” non è una esigenza forte, i nuovi fabbricati nascono avvolti nel verde della campagna, dalle finestre degli edifici perimetrali si vedono i filari dei vigneti, i campi arati, le siepi lungo i fossi (che qua chiamano Rogge); a nord Monte Crocetta ed il Parco di Villa Rota Barbieri mostrano un verde ornamentale di alto spessore, adulto e ricco, a portata di passeggiata; l’esigenza interna di verde si riduce ai prati, come pura sistemazione del non costruito e non asfaltato, o al campo da gioco per i ragazzi che fanno calcio, ed infatti non esiste un “progetto del verde”, ma solo un rinvio di oneri tra il Comune e l’INA-Casa.

La situazione è diversa negli spazi tra gli edifici più grandi, che di fatto si trovano in una realtà di pesantezza urbana, finestre sul palazzone di fronte, oriz-zonte chiuso da periferia alienante; a volte questi spazi sono stati pensati come orti domestici, ma presto prevale l’esigenza di riparare la vista, la necessità di una barriera che nasconda l’edificio di fronte ed il limitato spazio verde con l’albero in mezzo ci ricorda la natura che abbiamo abbandonato per vivere “in città”, tra i condomini, il cemento, l’asfalto e le finestre dei vicini.

Più tardi, con la costruzione della Circonvallazione Ovest, ingigantisce il problema del rumore e della polvere generati dal traffico ed il verde assume un’altra delle sue funzioni urbane: l’isolamento da uno spazio pubblico, da una strada che da amica che ci unisce al mondo diventa, col moltiplicare del numero delle auto e dei camion, uno spazio da evitare, da cui nascondersi e ripararsi; ecco le siepi tenute sempre più alte, gli alberi anche dove non ci potrebbero stare, dove entrano dalle finestre, ma che sono necessari per riparare i piani alti dal rumore.

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Con le famiglie che crescono nel Villaggio cresce il numero dei bambini, con l’età dei bambini cresce la necessità di spazi aperti da percorrere, da vivere e da giocare, e cambiano i modi d’uso e le esigenze di attrezzature, dalle panchine per le mamme con carrozzine ai campi gioco per i bambini piccoli, agli spazi aperti per i ragazzi; immagino i conflitti tra gli anziani ed i giovani che giocano e fanno rumore, immagino tentativi di governo degli spazi, e comunque il crescere delle esigenze di uso di spazio verde, non più semplici prati, ma aree ombreggiate per la sosta all’aperto, prati liberi per il gioco distanti dalle case, posti per le auto che diventano numerose ed invadenti (quanti prati ed orti sono stati trasformati in parcheggi o in garage?).

In questa situazione articolata, con esigenze diverse secondo le varie aree del Villaggio, vengono piantati molti alberi, parte dal Comune e parte dai nuovi residenti, in modo spontaneo ed anche disordinato, ma certo con partecipazione ed anche con entusiasmo.

Le specie adottate risentono in buona parte del paesaggio agricolo circostan-te, una pianura ai piedi delle colline, formata da un terreno argilloso e pesante (siamo a poca distanza da Creazzo, e per i veneti è facile capire cos’è la crea, o terra crea, che significa appunto argilla); in questo ambiente ci sono sempre problemi con l’acqua, che ristagna e viene assorbita con difficoltà dalla terra, creando a volte problemi di asfissia delle radici e proliferazioni di muffe, funghi e malattie fungine; qui vivono bene piante amanti dell’umido come i Salici ed i Pioppi, ed ecco che li ritroviamo anche nel Villaggio; nei vivai locali invece è molto attiva la moda delle conifere, ed ecco comparire i Cedri (di solito ibridi tra il C. deodara e il C. atlantica) e le Thuje, i Pini e gli Abeti nelle più varie combi-nazioni; ed ancora arrivano le piante comuni dei viali e delle aiole pubbliche di Vicenza: i Bagolari, i Tigli, i Frassini, i Platani, le Quercie, e poi specie esotiche, a volte molto belle come le Magnolie e le Sofore, altre volte invadenti e fragili, come gli Aceri negundi del nord-America.

Gli abitanti poi piantano piante da frutta o da cucina, come i Fichi, gli Allori, i Pruni, i Melograni; queste introduzioni sono magari disordinate e le posizioni possono non essere le più adatte, ma sono importanti perché significano un lega-me tra le persone ed il luogo in cui abitano, stanno a mostrare l’immagine di na-tura che queste famiglie hanno conosciuto prima di essere cittadini del Villaggio, e la voglia di portare nella nuova casa un’immagine della vita da cui provengono, che magari era in campagna, inserita in una realtà agricola che non viene can-cellata, ma ricordata e come ricostruita nell’orto urbano, o anche solo nel Fico o nell’Alloro, o nel Rosmarino nel vaso. C’è disordine in tutto questo, ma è il disordine della vita, di tante vite che scorrono vicine, ognuna con la sua storia ed i suoi ricordi. Voglio essere chiaro: queste manifestazioni di legame delle persone ad un luogo sono preziose, specie in un “condominio” in cui il pericolo è l’ano-nimato, l’indifferenza e la trascuratezza; andranno regolate, ma sono una risorsa da valorizzare.

Beppe Provasi

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Il Villaggio-giardino

Fig. 2. Estratto da IGM.

Fig. 1. Fotografia a volo d’uccello, 1962 (Foto Borracino).

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Beppe Provasi

2. A cosa serve il verde al Villaggio del Sole

Oggi la situazione del Villaggio è evoluta e le funzioni evidenziate nella de-scrizione storica sono ora da integrare, così come è cambiata e cresciuta la forma e la dimensione degli alberi dal tempo dell’impianto.

Il Villaggio è ora pienamente inserito in un tessuto urbano forte, con molti centri di attrazione, attraversato da un’arteria frequentatissima; la popolazione originaria è invecchiata, o è stata sostituita da nuove generazioni e da nuove im-migrazioni; il livello di inquinamento da traffico è molto alto, il rumore pure.

Il verde nel tessuto urbano è prima di tutto un richiamo alla natura, un riposo per gli occhi e per le menti di chi passa e di chi abita la città, sia che l’immagine che viene evocata sia rurale, del mondo agricolo, oppure della più vasta natura selvaggia, i boschi, i monti, gli spazi liberi; questo vale pienamente per chi vive il Villaggio ora, anzi chi abita qui gode di spazi verdi ampli e bene inseriti come in pochi altri quartieri. In questo concetto va compreso anche l’aspetto più precisa-mente culturale, l’idea di giardino, di luogo costruito per il benessere dei visitatori, e tutti i richiami che la vegetazione può avere in questo senso, dalla Magnolia alla Forsithia, per intenderci, fino alla violetta nel vaso sul balcone. Anche la pianta che dà frutti o l’orto urbano vanno secondo me inseriti in questa funzione culturale e psicologica del verde, non è l’utilità economica di un frutto o di una verdura fresca che conta, quanto l’atto di cogliere il frutto dall’albero, quanto il coltivare la terra e farla fiorire; il benessere che danno queste azioni è legato alla nostra cultura, alle tradizioni ed alla memoria, non al portafoglio. Ancora legato al godimento psicolo-gico è l’aspetto estetico del verde, la sua proporzione equilibrata, la ricchezza delle fioriture, il profumo dei fiori, il gioco dei colori che cambiano; è la soddisfazione del nostro bisogno di armonia e di bellezza, il nostro senso di stare bene nel mondo che ci circonda; per chi si prende il tempo per guardarsi intorno, naturalmente.

Poi vengono le funzioni tecniche: a. il verde urbano ripara dal sole estivo, fa ombra, assorbe l’energia termica e lu-

minosa e la trasforma (letteralmente!) in foglie, fiori, legno e semi; le nostre città sono sempre più calde d’estate, il verde è il miglior rimedio, meglio di ogni condizionatore d’aria, e con un impatto positivo sull’ambiente in generale, com-preso l’assorbimento della CO2 che ogni pianta fa gratis, solo vivendo;

b. il verde urbano assorbe le polveri sottili e l’inquinamento dell’aria (quanto necessario per chi vive all’incrocio dell’Albara !), tutto questo si deposita sulle foglie o dentro le foglie stesse, e cade a terra d’autunno con loro, senza più es-sere disperso in aria, ma anzi andando ad essere degradato dai batteri del suolo che trasformano le foglie in nuovo humus; per questa funzione sono quindi migliori le piante spoglianti, che rinnovano le foglie ogni anno, ma le sempre-verdi continuano a lavorare anche d’inverno, e questo non va sottovalutato;

c. il verde urbano assorbe il rumore, sia del traffico che delle attività umane (fino al gioco dei ragazzi, naturalmente); una siepe fitta assorbe il 30/40 % del ru-

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more di una strada, un boschetto lo annulla; tecnicamente il suono si diffonde dentro le chiome, fa eco e rimbalza tra una foglia e l’altra fino a perdere la direzione di uscita e dunque arriva oltre la barriera che ha già percorso una distanza incredibilmente lunga, perdendo per questo la sua potenza; per questa funzione sono più adatte le piante a foglia larga, e l’efficacia di silenziamento è in funzione della larghezza delle barriere vegetali; qui sono più utili le piante sempreverdi, che non restano mai spoglie e “funzionano” anche d’inverno;

d. privacy, il verde difende i nostri spazi privati da sguardi indesiderati, siano essi la vista “da finestra a finestra” dei gruppi di condomini, impediti dal necessario filare di alberi tra gli edifici, oppure gli sguardi a terra, di chi passa per strada, bloccati da una opportuna siepe; anche qui spesso sono più utili i sempreverdi, almeno per quanto riguarda le siepi;

e. gioco e relax, spazio per i bambini per correre e giocare, per i giovani per pas-seggiare e corteggiare le ragazze, per gli adulti per rilassarsi, per gli anziani per incontrarsi all’aperto; spesso per queste funzioni si richiedono gli ”arredi”, dalle panchine alle altalene, ed è giusto, ma bisogna ricordare che la prima necessità è lo spazio verde, tutti gli arredi non valgono un prato al sole di pri-mavera, e senza di quello valgono ben poco.

3. Situazione attuale, uso del verde, problemi ed indirizzi di intervento

Le piante hanno un sistema infallibile per dirci se abbiamo piantato bene oppure no: crescono.

A distanza di decenni dalla posa a dimora le piante hanno raggiunto le forme e le dimensioni adulte ed allora si vedono i difetti d’impianto, gli alberi troppo vi-cini tra loro o agli edifici, le piante fragili che hanno perso rami o branche intere, gli spazi che non sono più proporzionati, troppo affollati o congestionati.

Nel Villaggio si vedono tutte queste situazioni, e molte altre, quindi è maturo e necessario un intervento straordinario di riqualificazione del verde che però deve partire dall’uso che degli spazi fanno effettivamente gli abitanti:- l’ingresso al villaggio è affollato di alberi, ma non è valorizzato, manca un ele-

mento emergente che caratterizzi il passaggio dalla strada all’interno del Vil-laggio; va fatta pulizia, vanno eliminate alcune piante confuse, va introdotto un elemento simbolico che dia importanza al luogo, può essere una coppia di alberi importanti, una siepe elegante, due aiole fiorite simmetriche all’ingresso; serve un elemento forte proporzionato alle dimensioni degli edifici e dell’incrocio con la Tangenziale;

- grandi aree verdi intorno agli edifici collettivi, chiesa, centro sociale, scuole, canonica: anche qui la quantità di alberi è maggiore del necessario, e continua la sensazione di confusione del verde, con specie mescolate senza un criterio ed una regola; anche qui sarà utile un intervento di selezione e pulizia, valorizzando

Il Villaggio-giardino

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Beppe Provasi

gli elementi importanti e magari sottolineandoli con elementi secondari coerenti (aiole, siepi basse, arbusti da fiore) che diano un senso di unità allo spazio;

- aree lineari tra gli edifici a pettine: spesso la densità degli alberi è troppo alta, consigliando un certo diradamento; questo intervento si orienterà in via pre-ferenziale verso le piante più fragili e soggette a perdere rami, come i Salici ed i Pioppi, e poi verso quelle più vecchie e che mostrano fitopatie e danni nella chioma; la funzione specifica del verde in queste aree consiglia comun-que di mantenere quanta più vegetazione possibile, come barriera visiva tra gli edifici; in queste aree, in accordo con gli abitanti interessati, sarebbe utile fare degli interventi di pulizia e riqualificazione del verde, nei modi che poi verranno proposti;

- area tra Via Caboto e Via Granatieri di Sardegna: qui la densità di vegetazione è sicuramente eccessiva, e l’assortimento di specie troppo eclettico, direi casuale; un intervento di pulizia, diradamento e valorizzazione si impone, togliendo un certo numero di piante sofferenti, lasciando più spazio per gli esemplari miglio-ri, arricchendo la barriera verso strada con fioriture e piante chiare, che risaltino nell’ombra degli alberi;

- discorso analogo per l’area tra Via Cadamosto e Via Granatieri di Sardegna, già troppo densa, da alleggerire e valorizzare con fioriture da ombra;

- grande prato di Via Caboto: qui le idee che circolano tra gli abitanti vanno in direzioni diverse, quindi converrà posticipare le decisioni a dopo una più appro-fondita consultazione degli abitanti;

- aree verdi intorno al grande edificio lungo Viale del Sole: ben fatto l’interven-to di creazione di siepe nell’ultimo tratto, sarebbe urgente pulire e riqualifica-re anche la siepe esistente, approfittando dell’intervento per arricchire di fiori e di colori lo spazio tra l’edificio e la siepe stessa, contribuendo così anche alle funzioni di protezione dal rumore e dalla polvere; questa area si vede molto camminando lungo il grande edificio sinuoso, e merita un’attenzione particolare; va sottolineato che edifici molto lunghi di questo tipo hanno un forte impatto sul microclima, determinando un “davanti” ed un “dietro” con caratteristiche assai diverse, da riconoscere e valorizzare: il dietro esposto a nord sarà più ombroso, fresco ed umido, adatto a piante come le Ortensie, dal-la grande fioritura estiva, ed a tutte le piante di sottobosco, Cornus, Evonimi, Ruscus, Mahonie, mentre il davanti, assolato e più caldo, sarà più adatto alle Rose ed a tutte le piante di tipo mediterraneo, Melograno, Rosmarino, Salvie, Cisti, Allori, Corbezzoli;

- aree oltre Viale del Sole: qui la situazione è per molti aspetti più semplice: le grandi aree verdi servono a proteggere dal traffico, mentre le aree più piccole, interne al quartiere sono generalmente curate dagli abitanti, con discreti risulta-ti, creando una situazione generalmente assai piacevole da visitare e da vivere; si possono fare interventi puntuali di pulizia, riqualificazione ed abbellimento, ma l’insieme funziona bene.

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4. L’intervento degli abitanti nello spazio pubblico, educazione e formazione per la cura del verde.

La questione fondamentale per la gestione del verde nel Villaggio del Sole è però quella del coinvolgimento degli abitanti nelle decisioni, e quando possibi-le anche nella realizzazione degli interventi. Queste proposte non sono facili, si possono fare solo in comunità che abbiano già una propria struttura sociale sedi-mentata nel tempo, un legame degli abitanti, o almeno di una parte di essi, con il territorio che abitano. Nel Villaggio questa situazione privilegiata è presente, e testimoniata proprio dalla vitalità della vita associativa; da questa realtà privile-giata si può partire per un lavoro che comincia come formazione ed educazione al verde, ma presto potrà diventare vera “urbanistica partecipata”, elaborazione da parte degli abitanti delle scelte di arredo e di uso delle aree verdi, ed anche di partecipazione attiva alla sistemazione, al restauro, alla riqualificazione dei giar-dini e del verde. Il risultato auspicato sarà non tanto un contenimento dei costi, che magari è anche importante ed utile, quanto la acquistata cognizione del valore dello spazio comune, e del diritto di ognuno di usarlo e di proteggerlo da ogni uso improprio o scorretto; l’idea che il bene pubblico è di ognuno, non va né preteso in esclusiva né abbandonato alla sola responsabilità delle autorità.

I passaggi concreti di questo processo civile possono essere molti, e possono mutare di stagione in stagione, secondo la risposta dei cittadini; per fare qualche esempio di percorsi si potranno organizzare:- cicli di conferenze mirate per conoscere il verde del Villaggio; - escursioni e passeggiate guidate con esperti per conoscere e capire l’ambiente

naturale circostante, il paesaggio in cui ci si inserisce;- lezioni pratiche (laboratorio) di giardinaggio, magari sistemando delle aiole bi-

sognose di intervento;- concorsi tra gli abitanti per i balconi fioriti e le aiole più gradevoli;- incontri tra gli abitanti di una strada per decidere insieme gli interventi utili e più

adatti ad ogni realtà, a partire dai bisogni più sentiti dalle persone, naturalmente con il supporto attivo degli esperti;

- incontri dei gruppi più interessati con gli uffici comunali e con l’AMCPS per discutere gli interventi maggiori di restauro e riqualificazione;

- partecipazione attiva dei gruppi di abitanti agli interventi di giardinaggio appro-vati nelle assemblee e finanziati dagli enti pubblici;

- partecipazione degli abitanti alla gestione ordinaria del verde, nelle forme che saranno decise dalle assemblee.

Tutte queste iniziative richiedono naturalmente il sostegno del Comune, dei tecnici di AMCPS, dei volontari e degli esperti vicini al Villaggio; vanno guidate e gestite, con lo scopo di creare un gruppo di appassionati che duri nel tempo e prenda in mano, con i necessari supporti tecnici ed economici, la vita del verde del Villaggio del Sole.

Il Villaggio-giardino

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anna PeruFFo

Considerazioni sul verde

Vedere l’ortofoto del Villaggio del Sole-Produttività fa capire quanto lungimiran-te sia stata la progettazione di questo quartiere negli anni Sessanta; solo confron-tando l’edificazione di quartieri limitrofi edificati successivamente( area via M. Polo-viale Pasubio o Pecori Giraldi-Stuparich-Julia) si ha la chiara percezione come il Villaggio sia stato pensato in stretto dialogo con la collina di M. Crocetta con aree verdi che penetrano fino al centro del quartiere costituendo, oggi, veri e propri corridoi ecologici in “continuum” con il verde naturale collinare. E tale percezione si vede, anche se in modo più “costretto” e contenuto nell’edificazio-ne del Villaggio Produttività dove la minore estensione delle aree verdi è com-pensata da un minor volume dell’edificato.

Tutto questo significa che la vivibilità di un quartiere non è data solo dalla disponibilità di finanziamenti ma nasce sostanzialmente da una buona progettazio-ne. Questa “visione dall’alto” risulta già meno idilliaca a livello del suolo in cui si percepiscono in modo più concreto i molti problemi che gravano su queste aree.

1. Suddivisione degli spazi verdi – destinazioni d’uso – uso promiscuo

Le aree verdi a pettine sono state ricavate negli spazi interclusi tra i condomini alternando corsie per la viabilità a spazi verdi mentre i condomini ad anello o il Biscione sono dotati di spazi più o meno ampi (dalle piccole aiuole ad aree di medie dimensioni) antistanti o retrostanti gli edifici; in tal modo il/i progettista/i hanno assicurato un “respiro” agli abitanti di questi edifici. Non so quale sia stata la destinazione d’uso iniziale di questi spazi né quale dotazione (scarsa) di elementi vegetali o d’arredo avessero all’inizio; è molto probabile che buona parte del patrimonio arboreo ed arbustivo sia frutto della buona volontà degli abitanti (come sostengono spesso); sta di fatto che l’uso di queste aree è stato ed è ancora molto promiscuo con spazi più o meno recintati ad uso privato, uti-lizzati come parcheggio dei condòmini o come area ricreativa con tavoli e sedie poste dai privati oppure ancora con la messa a dimora di siepi, aiuole, coltivate direttamente dai condomini. L’uso pubblico di tali aree viene spesso richiesto (e preteso) per la manutenzione del verde orizzontale o verticale salvo poi decidere in modo totalmente autonomo, e qualche volta anarchico (ancor più accentuato al Villaggio Produttività) l’utilizzo o la suddivisone degli spazi. Tipico fenomeno

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è quello di trovare in queste aree piantagioni di ogni tipo: dalle rose, agli abeti di Natale, a giovani piantine il tutto messo a dimora in modo disordinato senza rispettare minimamente i criteri di crescita delle specie. Questa abitudine consoli-data ha creato, nel tempo, densità arboree eccessive in cui le piante sono in forte competizione per la luce e il risultato è spesso la sparizione dell’erba al suolo per l’eccessivo ombreggiamento. Per quanto riguarda una definizione funzionale di queste aree direi che è sempre stata carente in quanto manca quasi completamente la presenza di panchine o di percorsi pedonali all’interno delle aree più grandi che permettano in qualche modo di godere delle aree stesse. A questo ha sopperito l’intraprendenza degli abitanti che hanno costruito barbecue e tavoli nelle aree stesse per feste o serate condominali. Tali aree oggi non sembrano spazi utilizzati per i giochi dei bambini che invece utilizzano molto il vicino parco giochi di via Cadamosto che sembra sufficiente per le loro attività.

2. Trasformazione delle aree

La trasformazione delle aree è avvenuta prevalentemente a causa del predominio dell’automobile; la sua è una onnipresenza che spesso trasforma soprattutto le aree verdi intercondominiali in estensioni dei garages condominiali; a questo si aggiunga il parcheggio d’assalto dal venerdì alla domenica dovuto alla discote-ca Victory; sembra una cosa insignificante ed invece questa invadenza dell’au-tomobile ha ridotto notevolmente gli spazi verdi (es: parcheggio fronte scuola Colombo… area “verde” fronte centro civico anziani, ex biblioteca, sempre più “mangiata” anche dal parcheggio costante di TIR! Ma anche il parcheggio lungo via Caboto con vetture parcheggiate in parte sulla strada ed in parte sull’area ver-de) ma anche e soprattutto la possibilità di utilizzare tali spazi per incontri sociali, per le due chiacchiere; il pensiero di molti anziani potrebbe certamente essere il seguente: “dato che la panchina non c’è e vi sono solo macchine parcheggiate o di passaggio non vale neanche la pena scendere a fare una passeggiata o una chiacchierata” Provate ad immaginare la qualità di vita del quartiere se divenisse “Isola Pedonale”: non sarebbe una cosa proprio impossibile…

3. Stato fitosanitario della componente arborea

Per quanto riguarda lo stato fitosanitario delle alberature bisogna dire che il Vil-laggio è dotato di un buon numero di piante (oltre 500) ripartite tra un discreto numero di specie. Certo è che, sia per l’epoca d’impianto (inizi anni Sessanta) che per le specie interessate (Pioppi neri e cipressini), ci troviamo di fronte a molti soggetti giunti ormai a fine turno date le intense potature subite negli anni e i processi di carie a vari livelli insorti su di esse. Es: pioppi neri area verde di Via

Anna Peruffo

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Cadamosto, pioppi neri parco giochi Cadamosto, pioppi neri palestra scuola Co-lombo, pioppi cipressini via Usodimare, scuola Colombo, via Caboto-Vespucci, via del Sole entrambi i lati (Produttività compresa), aceri negundi presentano condizioni di stress che si manifestano in gravi infezioni di oidio (un fungo fo-gliare) che fa cadere anticipatamente le foglie e crea disseccamenti dei rami. Vi sono poi alcune aree come quella di via Verazzano che sono eccessivamente den-se e andrebbero certamente diradate. Ancora, in occasione di temporali si sono avuti alcuni schianti legati proprio ad una eccessiva densità d’impianto che non ha permesso alle singole piante di sviluppare un apparato radicale sufficiente-mente robusto e ramificato. Siamo assolutamente d’accordo che queste devono essere sostituzioni al fine di mantenere un patrimonio arboreo che non ha solo un valore patrimoniale ma certamente risulta fondamentale come “tamponamento” contro il grave inquinamento dell’aria, delle polveri e del rumore legato alla gran-de viabilità, che i quartieri devono subire. Ma per fare questo bisogna pianificare, come sono stati capaci di ben progettare all’inizio il quartiere, sia gli interventi che ancor prima le risorse… tanto più dovremmo essere in grado di farlo oggi ma per farlo è necessario ricercare una soluzione dei problemi che non guardi solo all’immediato ma anche al futuro del quartiere e dei suoi abitanti.

Considerazioni sul verde

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Maria doloreS PanareSe

L’importanza del verde

A iniziare dagli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta del ’900 è stata realizza-ta la maggior parte degli esperimenti di costruzione di case popolari in Italia (un esempio per tutti il famigerato quartiere Zen di Palermo, progettato dall’architet-to Gregotti), il cui risultato, al di là delle intenzioni dei progettisti, si è rivelato quasi sempre devastante.

Il Villaggio del Sole, i cui progettisti sono stati giustamente premiati, è inve-ce magicamente riuscito, per una serie di concause che lo hanno tenuto al riparo dal degrado, non ultima il fatto di sorgere alla periferia di una piccola città di provincia, a creare un legame di affezione con gli abitanti, alcuni dei quali sono lì residenti fin dall’inizio delle assegnazioni dei 526 alloggi INA Casa. Il villaggio è in stretta relazione con una delle zone più belle di Vicenza, Monte Crocetta, che si intravede dai grandi edifici a pettine, e non è assediato da quartieri periferici degradati. è servito dai mezzi pubblici fino al suo interno, non solo ai margini. Comprende spazi, magari non tenuti nel migliore dei modi, ma destinati a tut-te le fasce d’età: parchi gioco per bambini, campo da calcio per ragazzi (fascia d’età spesso dimenticata nelle attrezzature di quartiere anche recenti), biblioteca, centro comunitario e varie zone godibili dagli anziani. Gli accessi alle case sono ben illuminati; gli abitanti, anche se ormai di etnie diverse, coesistono tranquil-lamente. Ogni residente si ritiene responsabile del verde di pertinenza, così come del verde comune. Non a caso tutti hanno piantato alberi e cespugli, anche a caso talvolta, e anche questo ha contribuito a far sentire gli abitanti estremamente par-tecipi della vita del quartiere.

Quello che potrebbe sembrare un limite di progettazione, cioè l’indefinitezza degli spazi comuni, si è rivelato la carta vincente del villaggio: la non differenzia-zione per funzioni ha creato un passaggio continuo tra pubblico e privato, sacro e profano, che porta tutti a usare tutto. E sarebbe forse un errore oggi creare piazze (che non sarebbero piazze per mancanza di cortina edilizia intorno) o sagrati (che terrebbero lontano chi non usa la chiesa) in sostituzione dello spazio fluido, usato da tutti, costituito dal verde, che è diventato il marchio del quartiere e va soltanto ripensato meglio.

L’unico vero danno è stata la costruzione della circonvallazione, che ha se-parato il Villaggio del Sole dalla città e dal quartiere coevo progettato da Ignazio Gardella: il Villaggio Produttività. Quest’ultimo ha visto cambiare velocemente i propri residenti e ha finito per perdere una parte della propria identità per la

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scomparsa degli orti annessi ad ogni unità abitativa, o per la loro sostituzione con giardinetti, che non hanno per il quartiere la forza unificante che ha il verde per il Villaggio del Sole. Ancora più importante appare quindi la riqualificazione degli spazi verdi di entrambi i villaggi, che, se unita a un intelligente progetto di superamento della circonvallazione, potrà restituire alla città un pezzo di storia dell’urbanistica.

Maria Dolores Panarese

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V. Le prospettive

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MariSa Fantin

Lavorare sulla città costruita

L’urbanistica delle città sta cambiando velocemente. Cambiano le città: la composizione sociale, l’economia, il paesaggio, il territorio sono attraversati da intensi e repentini processi di trasformazione che disegnano volti, luoghi e pae-saggi inediti. Questo cambiamento chiede risposte con un’idea di città del futuro imperniata intorno al valore del bene comune e declinata secondo una visione serena, sicura e solidale del vivere insieme.

Si comincia dall’interpretazione dei processi, dall’analisi dei contesti e dal riconoscimento delle peculiarità per fare propria la natura dei territori cercando di lavorare per un disegno nuovo della città. Non solo la regolamentazione dei diritti edificatori e la ricerca di efficienze funzionali al disegno della città, ma an-che un progetto che crei le occasioni per una socialità più ricca e intensa, per una maggiore fiducia nel futuro, per costruire e vivere i luoghi pubblici e per offrire opportunità di vita. Un’idea di città che si intreccia fortemente con il concetto di paesaggio in quanto determinata parte del territorio, altrove indicata come con-testo di vita, così come è percepita dalle popolazioni1.

In questa ottica assume un ruolo rilevante la percezione del paesaggio da parte di chi lo abita trovando in esso motivo di identificazione e radicamento so-ciale e culturale. Tornare a investire sulla valorizzazione dei contesti architettonici e paesaggistici significa configurare il territorio con un’immagine attraente, come luoghi capaci di innovazione, come centri di attività culturali, residenziali, convi-viali, di apprezzabili funzioni economiche. Recuperare una capacità attrattiva nei confronti del territorio passa attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e l’innovazione ambientale come direzione e fondamento per le strategie cittadine.

All’urbanistica oggi interessa lavorare sulla città costruita e mettere a confron-to zone diverse per comprendere la loro capacità di rappresentare i modi dell’abita-re dalle forme elementari dei quartieri dormitorio a quelle complesse della socialità. Il rinnovamento delle città, infatti, non può essere concepito attraverso l’occupa-zione di suolo agricolo, ma deve avvenire attraverso il recupero e la riabilitazione dell’esistente a partire dalle storie e dalle specificità di ciascun luogo.

A partire dalla vita e dalla storia prima che dalle architetture e dagli spa-zi. Sono descrizioni di città e di quartieri le storie degli abitanti del Villaggio

1. Convenzione Europea (Firenze 2000).

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del Sole che fanno da sfondo all’analisi urbanistica. Raccontano i luoghi meglio di qualunque indagine specialistica e tecnica, proprio perché ne restituiscono la complessità. In questi racconti non ci si preoccupa di formulare un giudizio sulla qualità delle architetture e dell’impianto urbanistico, ma si evidenzia il radica-mento per il luogo e per le tante narrazioni che vi sono contenute.

Probabilmente anche altre zone della prima cintura del centro di Vicenza potrebbero testimoniare altrettanta storia ed altre esperienze, modelli di vita se-dimentati in quella periferia che, contrariamente alle espansioni contemporanee, ha un legame forte con il tessuto urbano e contribuisce, in positivo e in negativo, a creare l’effetto città. Quando il modello urbano aveva un senso e una forma diversa dal modello di crescita dei comuni più piccoli.

Questo intervento prova a indagare dal punto di vista dell’impianto urbani-stico e morfologico il quartiere di Villaggio del Sole perché il disegno architetto-nico e di impianto che sta alla base del progetto del quartiere rappresenta un caso particolarmente esplicito di progettazione di un’idea di comunità. Un esempio di insediamento formulato su regole precise e con l’obiettivo di dare vita a un brano di città complesso, non monofunzionale e fortemente caratterizzato.

Villaggio del Sole si presta più di altre periferie urbane della città di Vicenza perché esprime una forte personalità riconoscibile fin dalla particolarità del dise-gno di impianto che emerge rispetto al tessuto edificato della città.

Ci si chiede spesso se una delle motivazioni del degrado e della scarsa qualità e abitabilità delle periferie urbane deriva anche da una corrispondente bassa qua-lità progettuale, da un disegno banale finalizzato a consumare il volume disponi-bile con scarsa attenzione per le relazioni con il contesto. Un disegno organico, chiaro e definito offre un modello di convivenza sociale e di qualità della vita migliore? Supera il degrado del tempo e regge alle normali e necessarie trasfor-mazioni e adeguamenti?

Chi oggi si occupa di paesaggio urbano, con particolare riferimento ai tessuti recenti delle periferie, ha individuato una serie di parametri che permettono di misurare la qualità di vita di un luogo. Possono essere riassunti in sette criteri:

1. accessibilità: facile e sicura;2. animazione: disegnare luoghi che stimolino attività pubbliche;3. carattere e significato: riconoscere e valorizzare le differenze tra un luogo e

l’altro;4. società civile: creare luoghi dove le persone siano libere di incontrarsi;5. leggibilità: aiutare la gente a orientarsi;6. struttura complessa: un luogo diventa un insieme e le sue parti si relazionano

tra loro;7. tipologia, densità e sostenibilità: tipologie di spazi e morfologia relazionate

all’intensità degli usi, consumi di risorse e prodotti, mantenimento delle co-munità vitali.

Marisa Fantin

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Serve, innanzitutto, per riconoscere l’identità dei luoghi, tracciare i limiti e i confini che separano le unità urbane. Si parte dalla lettura delle discontinuità di tipo fisico e funzionale del tessuto urbano e dal riconoscimento di luoghi con funzione di centralità. A segnare i limiti tra zona e zona contribuiscono, oltre alle delimitazioni fisiche, naturali e antropiche, anche particolari nodi funzionali e situazioni di mancanza di permeabilità. Spesso sono linee di demarcazione i trac-ciati ferroviari e le strade a forte scorrimento.

Una volta stabilita la differenza tra interno ed esterno, un elemento di qualità è rappresentato dalla capacità e potenzialità di rompere i confini e intrecciare relazioni tra dentro e fuori. Ci sono zone fortemente connesse con la città, in ter-mini spaziali e funzionali, perché dispongono di efficienti collegamenti viari, ci-clabili e di una connessione frequente con il trasporto pubblico. Ma anche di uno scambio tra funzioni diverse nel quale l’uno supplisce alle carenze dell’altro.

Lavorare sulla città costruita

«Ogni famiglia che abiterà gli edifici dell’Ina-casa scoprirà, sia pur lentamente, che l’archi-tetto ha dato alla casa qualcosa di più della mera funzionalità, qualcosa di impercettibile, che una mente acritica non coglie immediatamente, ma che si sente nel viverci, qualcosa che trasforma quattro mura in quattro mura pensate, e pensate affettuosamente, e determina il passaggio dall’edilizia all’architettura, da un telegramma ad una lettera scritta con cura ed amore. è appunto questo “di più”, questo sforzo non richiesto e non imposto da leggi, questo contributo disinteressato, che conferisce a queste case un valore che non si misura in soldi ma in termini di benessere e felicità umana» (Bruno Zevi, da Memoria e storia, a cura di Villaggio Insieme, Vicenza 2009).

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Altri ambiti hanno invece un grado di autonomia dovuto sia alla presenza di barriere che rendono difficoltosi i collegamenti, sia a una dotazione di servizi di base che li rendono autosufficienti.

Lo stesso disegno urbano influisce sulla capacità di relazione: diverso è un quartiere policentrico nel quale le diverse parti si relazionano con il contesto, ri-spetto a un quartiere compatto e omogeneo che fa riferimento a un’unica centrali-tà forte. La stessa struttura interna può articolarsi secondo regole diverse a secon-da se si tratta di un ambito formato a partire dalla rete stradale storica, appoggiato su alcune permanenze e consolidato nel tempo, oppure di un ambito concepito ex novo in cui il disegno e l’attuazione sono direttamente conseguenti.

Ci sono parti di città che si formano attraverso la stratificazione nel tempo dell’edificato, altre che derivano da un disegno che viene però attuato per parti in tempi diversi o modificando il progetto iniziale, altre parti che traducono fe-delmente il progetto. Entrambe le strutture possono produrre esempi di qualità o situazioni meno significative, a volte di evidente disordine urbanistico nel quale si perdono le relazioni tra costruito e spazi aperti, a volte di indifferenza rispetto al tessuto nel quale si inseriscono.

Devono poi essere verificate le relazioni tra tessuto costruito e spazi aperti in termini di densità, orientamento, dimensioni e proporzioni, usi degli spazi e degli edifici. Così come sono stati concepiti, ma anche come si sono evoluti nel tempo attraverso fenomeni di trasformazione e adeguamento alle necessità dell’abitare, oppure attraverso processi di abbandono o, ancora, attraverso processi di sostitu-zione edilizia e di riqualificazione.

Infine, la proiezione nel futuro dell’analisi, mettendo a fuoco le potenzialità dei luoghi, la capacità di trasformarsi per accogliere nuovi modelli di vita, di con-servare la storia che si è sedimentata nel tempo armonicamente con le esigenze del futuro.

Gli schemi che seguono mettono in luce alcuni dei criteri sopra descritti in rapporto all’impianto insediativo di Villaggio del Sole. Si riconosce innanzi tutto un impianto disegnato e concluso in se stesso. Contrariamente alle modalità inse-diative di altri brani di città, dove la crescita avviene per completamento-continui-tà-ampliamento, qui il disegno iniziale mantiene una forte unitarietà ed è concluso ed equilibrato in se stesso, non ammette crescite o ampliamenti che apparirebbero inevitabilmente come corpi estranei. è un disegno di un villaggio in senso proprio perché concepito come autonomo funzionalmente e racchiuso intorno al suo cen-tro dove si collocano le funzioni pubbliche. Diversamente da altri esempi, anche autorevoli, come la Siedlung Berlino-Siemensstadt del 1929 (che presenta alcune analogie di impianto) dove lo spazio pubblico è collocato nel punto di accesso e di scambio con il resto della città. Qui la scelta è palesemente diversa: i due edifici di confine appaiono come limiti forti e definiti rispetto al tessuto circostante con il quale si intessono le relazioni solo sul lato verso il Monte Crocetta permettendo al fondale verde di entrare e amalgamarsi agli spazi verdi interni al quartiere.

Marisa Fantin

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Lavorare sulla città costruita

Schema 1. Il centro prende forza dall’insieme delle linee di tendenza generate dagli edifici residenziali e dal punto focale rappresentato dalla chiesa. Il cuore prende forma come spazio aperto su cui convergono gli sguardi e si conclude sul fondale delle colline, il lato in cui l’architettura lascia spazio al paesaggio aperto.

Schema 2. Lo spazio pubblico collettivo è al cuore del quartiere, in una situazione protetta, ma isolata dal resto del centro urbano a sottolineare l’idea di una unità morfologica autono-ma. Al contrario della viabilità esterna, le vie di comunicazione interne sono concepite come “strade”. Non solo, quindi, linee di locomozione, ma prima di tutto luogo di comunicazione e di relazione.

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Marisa Fantin

Le linee di forza e di tendenza degli edifici consolidano questa tensione ver-so il centro, dove è collocata la chiesa e attorno a cui ruota anche l’ellissi degli spazi pubblici. Le relazioni con il tessuto circostante sono legate all’accessibilità e alle aperture visive, mentre gli spazi e le distanze tra gli edifici sono dettati da regole interne al quartiere, derivanti dal soleggiamento delle costruzioni e degli spazi e dalla ricerca di un equilibrio tra pieni e vuoti.

A rileggere queste esperienze progettuali, anche nei loro limiti e criticità e negli aspetti non risolti, vengono in mente gli studi di Shadrach Woods e Joachim Pfeu-fer sul tema dell’urbanistica come problema di interesse collettivo che dovremmo reintegrare nel bagaglio professionale di chi oggi opera. Si sostiene, infatti, che la progettazione significa l’organizzazione delle cose e della riflessione per la dife-

Schema 3. L’impianto unitario del quartiere è sottolineato dalla forte caratterizzazione de-gli elementi di confine: la strada di forte traffico, il tessuto insediativo fitto a nord-est, le aperture sul verde. La discontinuità morfologica, funzionale e tipologica con il contesto fa emergere l’impianto del Villaggio del Sole come un episodio unico e non integrato.

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Lavorare sulla città costruita

Schema 4. Un sistema fortemente consolidato nel costruito con ampie possibilità di relazio-ni con il resto della città. I collegamenti con le zone commerciali e sportive sono contenuti in un raggio percorribile a piedi o in bicicletta. La zona centrale della città è raggiungibile in tempi brevi. Essendo posizionato verso la circonvallazione si può arrivare facilmente sia verso ovest alla zona produttiva che verso est in direzione dell’ospedale. A questa felice collocazione non corrisponde un adeguato disegno dei percorsi pedonali e ciclabili e dei su-peramenti protetti della grande viabilità. Quello che sulla carta appare come una potenzialità si traduce nei fatti in una criticità.

sa dell’uomo; della riflessione e dell’energia per coltivare la mente; dell’energia e dell’azione per la relazione; dell’azione e degli stimoli per l’auto-espressione; degli stimoli e del tempo per coltivare il corpo; del tempo e dello spazio per il nutrimento; dello spazio e delle cose per la difesa dell’ambiente. Le esigenze pra-tiche, materiali: l’economia, l’orientamento, la funzionalità, il conforto dovranno integrarsi con le esigenze spirituali: la comprensibilità, la compatibilità, l’identità, la tranquillità. è necessario rendere compatibili l’individuo e la massa, potenziare l’identità delle persone e delle cose, creare una tranquillità nella vita vissuta.

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Schema 5. Rispetto ai punti, anche quando questi sono vicini ed ordinati, le linee disegnano gli spazi con maggiore definizione. Il sistema dei punti suggerisce la crescita continua, il riempimento graduale delle caselle vuote. Le linee derivano da un disegno e da un pensiero progettuale, sono definite e difficilmente tollerano crescite progressive che non siano già definite in partenza. La città storica costruisce il proprio tessuto edificato usando le linee che, di volta in volta, possono essere le strade, i fiumi, i fronti.

Schema 6. I due diagrammi sintetizzano il pensiero teorico di Woods e Pfeufer. Il primo riguarda l’individuazione dei problemi organizzativi che devono essere comunicati dal pro-getto. Il secondo è una sintesi delle finalità del progetto che devono conciliare le esigenze pratiche e materiali con quelle spirituali.

Marisa Fantin

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uMBerto SaCCardo

Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza.“Schizzi postumi”

Collocazione deriva dalla radice di locus, quindi luogo di cui è necessaria una descri-zione al fine di metterne in luce i suoi caratteri costitutivi […]. Collocarsi significa im-mediatamente attribuire al preesistente un fine: il preesistente è già stato modificato… (C. Magnani, C.A. Cegan, Tecniche del progetto di architettura)

La riflessione che segue è un tentativo di ricostruire a posteriori le “strategie” dei progettisti nel pensare il Villaggio INA Casa di Vicenza.

Quando si considera la realizzazione successiva ad un progetto risultano in-fatti apparentemente evidenti, scontate, le relazioni tra il contesto e gli interventi realizzati in realtà frutto di un percorso discontinuo e complesso.

Tornando mentalmente allo stato preesistente, in questo caso un grande spa-zio ai piedi di un colle, cos’è che ha determinato la trasformazione di quello spa-zio in un luogo? Un grande prato nella Città del Sole? Da cosa deriva l’identità di un luogo?

Si vogliono dunque evidenziare le scelte dei progettisti che in quanto tali non sono mai neutre e non sono sempre lineari e meccaniche ma frutto di un processo di selezione e stratificazione discontinuo, cercando, immaginando nello spazio ciò che nella forma realizzata risulterà in seguito evidente.

Un confronto tra il Villaggio INA Casa e molti ambiti periferici della nostra città, non può non farci pensare che il processo progettuale che determina dif-ferenze così evidenti non può essere banale, tuttavia nelle analisi urbanistiche spesso gli aspetti più specifici della progettazione appaiono marginali rispetto alle valutazioni di tipo socio-economico.

Nelle pagine che seguono si vogliono al contrario evidenziare alcuni aspet-ti decisivi del progetto nella loro specificità di modificazione dell’esistente: si utilizzerà lo strumento dello schizzo ritenendo che lo stesso esprima in modo esplicito l’intenzione progettuale più di disegni in scala o immagini accettando anche il rischio che possa risultare arbitrario o naïf; alcune note e considerazioni affiancheranno gli “schizzi postumi” per allargare l’orizzonte al contesto cultura-le in cui si sviluppò il progetto.

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Umberto Saccardo

Il nome indicato dai progettisti per il Villaggio Satellite, “Città del Sole”, non può non richiamare l’analogia con due testi fondamentali, La ville radieuse di Le Corbusier ma anche La città del sole di Tommaso Campanella.

Le analogie non si fermano evidentemente soltanto ai termini linguistici dato che Le Corbusier nella copertina del libro evidenzia il sole, lo spazio e la natura quali fondamen-tali del nuovo modello di città che definisce «la città di domani, dove sarà ristabilito il rapporto uomo-natura!».

Sicuramente tale obiettivo orienta il progetto del villaggio satellite pur con le ovvie differenze nell’atteggiamento progettuale e nella scala dell’intervento.

La ricerca di un’armonia nuova tra uomo e natura, tra società e mondo anima la ricerca di Tommaso Campanella e sembra evidente l’orizzonte a cui tende l’atteggiamento cul-turale dei progettisti.

«Collocarsi significa immediatamente attribuire al preesistente un fine: il preesistente è già stato modificato. Collocarsi rappresenta il primo tentativo di trovare un contatto col terreno, di posarsi sul terreno, di dividere lo spazio; il gesto diventa sintetico, non più analitico, ma costruisce il primo intervento di trasformazione. Collocarsi significa quindi considerare la geografia del luogo, rendere attivo il rapporto artificio-natura». (C. Magnani e C.A. Cegan, Tecniche del progetto di architettura)

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Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza. “Schizzi postumi”

La descrizione del progetto attraverso gli schizzi evidenzia la ricerca delle relazioni con il sole a sud e il colle e la campagna a nord.

La scelta di impostare una tipologia a pettine a nord e in linea (curva) sul fronte opposto è strategica e fondamentale per costruire le relazioni tra natura e costruzioni.

Le curve descrivono il movimento del sole ed orientano gli affacci privilegiati, gli edi-fici a pettine incorniciano il paesaggio e lo rendono materiale del progetto.

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Umberto Saccardo

“Protetta” a sud dalla serie di edifici curvi e “aperta” verso la campagna attraverso le corti tra gli edifici a pettine, la grande “piazza verde” diventa letteralmente il nucleo generatore di tutto l’insediamento. La figura centrale genera infatti ciò che la definisce: come onde generate da un sasso sull’acqua le curve vanno verso il sole, a nord invece il pettine si deforma e diventa una raggiera proiettata verso la campagna.

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Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza. “Schizzi postumi”

Gli edifici pubblici che si collocano nella piazza verde risultano “oggetti” tra loro autonomi ma anche complementari. Alcune delle “figure” che caratterizzano la Città del Sole ricorda-no la ricerca di Hans Scharoun, soprattutto quei progetti e quelle realizzazioni pervasi dalla volontà di non frazionare lo spazio ma di articolarlo attraverso le relazioni tra “oggetti” diversi che dialogano tra loro (es. Siemenstadt e Charlottenburg 1939-1950 e ancora gli edifici scolastici del dopoguerra). Oggi sembra opportuna una revisione degli spazi aperti e delle recinzioni che li definiscono dato che lo spazio risulta frazionato mentre i disegni preliminari del progetto evidenziano appunto il tentativo di tenere insieme spazi destinati a funzioni diverse di non “fare a fette” la grande “goccia” tra il pettine e le curve.

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Umberto Saccardo

Gli edifici curvi esprimono attraverso la loro forma e collocazione la tensione verso il sole. Lo sfalsamento degli edifici consente un corretto irraggiamento nonostante le altezze digra-dino dall’“esterno” verso lo spazio centrale del Villaggio. Queste differenze d’altezza fanno pensare alla volontà di accentuare l’unità dell’insieme “chiudendolo” attraverso gli edifici più alti. L’andamento curvilineo garantisce ai percorsi un orizzonte prossimo, la strada entra in più stretta relazione con gli edifici che la contornano, quasi un esterno di pertinenza più che un percorso verso altro.

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Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza. “Schizzi postumi”

L’edificio che accoglie i negozi costituisce un’eccezione particolarmente significativa. Infat-ti, “tiene insieme” l’edificio lungo il viale del Sole alle altre curve ma anche tutto il sistema a sud alla piazza centrale da cui si proietta all’esterno. Attraverso questa eccezione la raggiera e le curve dunque si compenetrano e di fatto questo ulteriore raggio conferisce ulteriore centralità agli spazi pubblici nella “goccia”. è interessante il racconto dei progettisti sulla ge-nesi dell’andamento ondulato della “bissa” che si afferma dovuto alla preoccupazione di un sistema troppo statico. Osservando la geometria del lotto rispetto al viale del Sole è in effetti evidente come fosse difficile mantenere lo stesso andamento curvilineo degli altri edifici.

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Umberto Saccardo

Gli edifici in linea disposti parallelamente in direzione nord-sud formano più che un petti-ne una raggiera grazie a una piccola ma significativa inclinazione (colgo questa differenza dalla tesi di F. Nalesso e G. Paccagnella per il corso di Urbanistica del prof. D. Mittner). Tale inclinazione fa sì che i fuochi dell’elisse centrale generino i raggi che proiettano lo spazio centrale verso il paesaggio circostante.

La relazione tra il vuoto centrale e il contesto si attua attraverso un terzo elemento: il vuoto tra gli edifici. Si viene così a determinare una sequenza di vuoti; dallo spazio cen-trale si coglie il contesto, e viceversa, attraverso i giardini privati degli edifici.

I vuoti tra gli edifici sono differenziati nel progetto originario: una delle corti destinata agli accessi pedonali e carrabili, l’altra riservata al verde e ai giochi.

Evidentemente la realizzazione di autorimesse lungo entrambi i lati degli edifici ha stravolto la previsione di progetto, tuttavia, sarebbe opportuno una revisione dello stato attuale per recuperare la significativa alternanza di funzioni ipotizzata in origine.

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Città del Sole, villaggio satellite di Vicenza. “Schizzi postumi”

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L’edificio posto lungo la strada d’accesso al Villaggio è abitualmente chiamato “il manico del pettine”. Nel contesto dell’insediamento assume un ruolo fondamentale dato che “taglia fuori” dalla vista ma da qualsiasi relazione urbana, la lottizazione privata restrostante. Qui ciò che sembra interessante è il confronto tra l’atteggiamento progettuale della Città del Sole, pervaso dalla ricerca costante di relazioni con il contesto e al contrario l’assoluta in-differenza di questa come di quasi tutte le lottizzazioni tutte rivolte al puro soddisfacimento di quantità “urbanistiche” di fatto identiche in qualsiasi contesto periferico.

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VI. Appendice

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Un quartiere d’autore: i progettistia cura della Redazione

Il Villaggio del Sole ha avuto origine da una volontà politica precisa, ma si è materializzato sotto le mani esperte di un gruppo di professionisti affermati, co-ordinati dall’architetto Sergio Ortolani. L’opera realizzata manifesta nell’armonia del suo insieme la fedeltà all’intuizione originaria di Ortolani, ma anche l’affia-tamento del gruppo e la ricchezza del contributo di ciascuno. Fare memoria di ognuno di loro aiuta ad apprezzare l’opera collettiva che hanno consegnato alla città di Vicenza e ai suoi abitanti.

Venivano scelti per concorso, come era stato stabilito dalla Gestione INA Casa fin dall’inizio. In particolare per il periodo che riguarda la nostra storia, nel 1955 vengono banditi due concorsi, uno per progettisti singoli e uno per profes-sionisti associati in gruppo. Il gruppo che progetta il Villaggio del Sole, compresa la chiesa, è formato da quattro ingegneri e tre architetti. Era un tempo ‘speciale’ per queste professioni, a un decennio di distanza dalla fine della guerra e del fascismo. Durante il fascismo gli architetti erano riuniti nel Sindacato fascista ar-chitetti, un’organizzazione fondata nel 1923, unica consentita dal 1926 in avanti per tutto il ventennio. La professione degli architetti è strettamente intrecciata con il regime, committente unico per le grandi realizzazioni che ne esprimono l’ideologia attraverso la particolare impronta che viene data a edifici, quartieri e città. La scuola di architettura forma i futuri architetti allo stile voluto e il sinda-cato li riunisce salvaguardando la loro posizione comunque prestigiosa. Con la fine del fascismo finisce anche tutto questo, ma gli architetti si riorganizzano in fretta: a Roma liberata dagli alleati il 4 giugno del 1944, già dopo alcuni giorni, il 28 giugno, si riunisce l’Associazione architetti, che era stata abolita come tut-te le associazioni nel 1926. Da questo momento inizia per gli architetti italiani un’altra storia che ha tra i suoi protagonisti Arnaldo Foschini. La sua biografia attraversa tutto il periodo fascista, nel 1928 era insegnante di composizione, cioè di una materia fondamentale, nella scuola di architettura che aveva contribuito a fondare. Iscritto al fascismo un po’ tardi, nel 1933, dopo la fine del regime riveste diverse cariche che dimostrano la forza del suo rapporto con le nuove istituzioni che si vanno formando. Foschini contribuisce in maniera determinante a costruire opportunità e mentalità positiva nei confronti della nuova situazione che si va creando per la professione degli architetti, capace di vedere in modo ottimistico le possibilità di lavoro presenti nella ricostruzione. Se la professionalità dell’ar-chitetto viene rilanciata alla grande e trova nella realizzazione del Piano Fanfani/

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INA Casa uno dei suoi momenti forti, il merito è in gran parte di Foschini. Quan-do viene chiamato nel Consiglio direttivo della Gestione INA Casa, a metà marzo del 1949, dopo l’approvazione del piano Fanfani del 28 febbraio dello stesso anno, ha già fatto parecchia esperienza anche nella nuova situazione politica. La struttura organizzativa è semplice ed essenziale e consente di avviare subito, nei primi mesi del 1950, 705 cantieri.

Possiamo tornare ora al gruppo che progetterà il Villaggio del Sole, perché c’è un collegamento diretto con Foschini: il capogruppo del progetto, SerGio or-tolani, architetto, era stato allievo di Foschini alla scuola di architettura di Roma e Foschini lo aveva chiamato a collaborare alla progettazione dell’Esposizione universale di Roma (EUR) del 1942. Ortolani si era laureato a 23 anni, nel 1936. Aveva frequentato il liceo artistico, per propria scelta, seguendo e sviluppando una particolare sensibilità “artistica”. L’osservazione delle forme, della loro armonia, prolungata nel tempo e applicata anche praticamente, manualmente, nell’esercizio delle varie discipline, è uno degli aspetti evidenti nella sua futura attività professio-nale, in sintonia con il suo temperamento: «Le sue opere riflettono bene i lati più positivi del suo carattere: il coraggio prudente, la sobrietà essenziale ed elegante, la costanza ed il rigore. Qualità che seppe far vivere nelle forme delle sue architet-ture arricchite progressivamente, nel tempo, da aggettivazioni ed approfondimenti compositivi sempre molto controllati e ben calibrati. Dalla sua ricerca scaturiscono forme pulite, rapporti geometrici armonici, equilibri luminosi in una prospettiva estremamente positiva ed ottimistica del fare architettonico. L’occasione proget-tuale dell’incarico per il Villaggio del Sole fu sentita da lui come serio impegno civile e morale nei confronti della comunità che si sarebbe formata nel quartiere: l’obiettivo era quello di trasfondere il meglio delle esperienze europee degli anni Venti e Trenta nel campo dell’edilizia sociale, temperandone forzature e ripetitività geometriche, spesso ossessive, con variazioni curvilinee delle abitazioni in linea, con l’articolazione altimetrica dei volumi, con un disegno generale articolato ed aperto e con l’inserimento di servizi ed attrezzature come centro del complesso. Il tutto nella ricerca di equilibri formali armonici e piacevoli, sempre vari e mai banalmente ripetitivi», dice il figlio architetto Gianluca.

Alcune circostanze biografiche legano Ortolani a Vicenza, città di origine del-la famiglia , in particolare alla zona di Monte Crocetta, dove i ragazzi trascorrevano parte delle vacanze, grazie a un legame di parentela con la famiglia Turin, che lì aveva una casa. Per parte materna Sergio Ortolani era cugino dell’ingegner anto-nio Cattaneo, che a Vicenza aveva uno studio professionale. Laureato in ingegne-ria civile a Padova nel 1924, Cattaneo era il più anziano del gruppo dei progettisti e aveva svolto e svolgeva importanti ruoli istituzionali. Era stato Ingegnere capo del Comune, presidente dell’Istituto autonomo Case Popolari (IACP), aveva grande esperienza e conoscenza diretta dei meccanismi burocratici e amministrativi, espe-rienza che si rivelerà più volte preziosa specialmente in alcuni momenti cruciali della progettazione e realizzazione del Villaggio del Sole e soprattutto della chiesa

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di San Carlo. «Era un uomo di cantiere: per lui il progetto era già realizzazione. Ed era molto intuitivo» dice sua figlia, architetto Angela Cattaneo che ricorda anche «il bel rapporto – umano prima ancora che professionale – con Sergio Ortolani». Lavorano insieme nello studio di Cattaneo in Corso Palladio, proprio sopra l’attua-le omonima farmacia. In quello studio si riunisce tutto il gruppo dei progettisti del Villaggio del Sole. C’è l’ingegnere renzo todeSCo, laureato in ingegneria idraulica a Padova nel 1946. La passione ‘idraulica’ forse è collegata all’essere nato proprio all’imbocco della Valsugana, a Solagna: la sua tesi riguarda infatti il progetto di un impianto idroelettrico sul fiume Brenta. Svolge una molteplice attività professio-nale, che comprenderà anche il ruolo di Direttore Tecnico dello IACP di Vicenza con la realizzazione di progetti edilizi e direzione dei lavori in più di un centinaio di comuni della provincia di Vicenza. Durante il periodo in cui lavorava col gruppo dei progettisti del Villaggio del Sole, si ritrovavano nello studio Cattaneo fino a notte inoltrata. Il figlio architetto Ruggero ricorda che la madre diceva: «Ma quale Villaggio del Sole, se lavorano sempre di notte!». Anche l’ingegner Todesco ha svolto un’importante attività di libero professionista con studio a Bassano, e il fi-glio ricorda alcuni dei suoi validi collaboratori, tra cui l’architetto Bruno Bertacco e il geometra SerGio venzo, che ha lavorato con lui nel progetto del Villaggio, e conserva un vivo ricordo di quel periodo. Sempre da Bassano proviene anche un altro membro del gruppo, l’architetto Gino Ferrari. Laureato a Venezia nel 1953, è uno dei fondatori nel 1965 dell’Ordine provinciale degli Architetti di Vicenza, del quale sarà presidente e consigliere per alcuni bienni. Ha svolto un’intensa atti-vità professionale, sia in ambito pubblico sia in ambito privato. «Tutte le sue rea-lizzazioni, anche nel campo industriale e commerciale, si distinguono per qualità formale e costruttiva, frutto dell’amore e dedizione al suo lavoro, di cui sentiva forte la responsabilità nell’incidere sull’ambiente, sul territorio e sulla vita della persone» dice la figlia Valeria, anche lei architetto e collaboratrice del padre. Nel gruppo si integrano e si completano tante e diverse sensibilità, legate alle diverse età e ai diversi percorsi formativi. Vicentina è l’origine dell’architetto tullio Pan-Ciera. Anche lui, come Ortolani, sceglie il liceo artistico, poi frequenta il Politec-nico di Milano, col professor Richard Rogers. Si laurea nel 1947 e a Milano lavora per qualche tempo. Negli anni Cinquanta è per due anni assistente dell’architetto Ignazio Gardella all’Università di Venezia. In quarant’anni di attività lavora sia nel pubblico sia nel privato, ricoprendo diversi incarichi. Per due mandati è stato anche Presidente dell’ordine degli architetti. Esprime nel suo lavoro una grande versati-lità e una estrosa genialità. C’è un episodio che manifesta bene questo aspetto del suo temperamento. Osservando la pianta del Villaggio del Sole, era evidente che all’ingresso nel quartiere, all’inizio di via Colombo, confluivano due edifici rigi-damente rettilinei: quello che è stato chiamato il manico del pettine e quello lungo il viale del Sole. I progettisti erano un po’ perplessi perché l’insieme risultava in quel punto poco articolato. L’architetto Panciera allora ha preso in mano la matita e tracciando un segno curvilineo ha creato “la bissa”, con la sua caratteristica si-

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nuosità. Così ricorda e racconta l’ingegner Paolo Grazioli, che faceva parte del gruppo e che si definisce “il superstite”. L’ingegner Grazioli è nato a Verona e si è laureato a Padova in Ingegneria civile idraulica nel 1948. Nel 1986 è stato Presidente dell’Ordine degli ingegneri. In lunghi anni di attività professionale ha potuto fare molteplici esperienze e il lavoro sul progetto del Villaggio del Sole è lontano nel tempo, ma ce ne consegna un ricordo vivo: «Il piano urbanistico, così come progettato e realizzato nella sua idea originaria, è stato il risultato delle voci di più professionisti ben affiatati nell’operare in gruppo. Sulle varie scelte non mancavano animate discussioni che talora si prolungavano nelle ore serali. Sotto questo aspetto, un’esperienza abbastanza singolare che ha lasciato nel tempo una traccia positiva».

Nella fase conclusiva dell’edificazione del quartiere, quando le abitazioni sono ormai completate, si mette mano alla costruzione della chiesa e Sergio Or-tolani chiama alla progettazione l’ingegner SerGio MuSMeCi con cui ha già col-laborato in diverse occasioni. Musmeci era nato a Roma dove si era laureato in ingegneria civile nel 1948, ricevendo una medaglia d’oro come miglior laureato: aveva ventidue anni. «Presenta una tesi sulle volte sottili, strutture che resistono per forma alle sollecitazioni esterne, manifestando da subito l’interesse per la ricerca delle caratteristiche statiche di nuove forme strutturali, in grado di cor-rispondere anche ad esigenze formali dell’architettura» scrive un suo biografo, Fausto Giovannardi. Musmeci dice di sé: «Quella di fare lo strutturista è una scelta che io ho compiuto quasi obbligatoriamente perché la mia storia personale ha portato a formarmi una cultura di tipo scientifico attraverso la mia passione per l’astronomia, la fisica e in parte per la filosofia naturale. La scelta poi si è convalidata attraverso la collaborazione con Nervi e con Morandi all’inizio della mia carriera; infine, probabilmente, ha avuto importanza, in questo senso, anche una certa mia tendenza a giustificare qualsiasi atto con una motivazione raziona-le, chissà, forse una forma di timidezza intellettuale… Da qui nasce tutta la mia tendenza a una teoretica basata sulla produzione di forme a partire da condizioni statiche ben precise; forme che io mi aspetto sempre siano nuove, imparagonabili a quelle precedenti già adottate». Ortolani e Musmeci regalano al Villaggio del Sole un’opera d’arte che, collocata al centro del quartiere, ne valorizza e impre-ziosisce l’insieme. Musmeci è «uno degli strutturalisti più geniali, colti, eleganti e profondi che l’Italia abbia avuto. Capace della cosa più rara, trasformare le equazioni non tanto in manufatti ma in architettura», dice Renato Pedio, citato da Giovannardi. Nella sua breve ma intensa vita, morirà a 55 anni, realizza una quantità di lavoro impressionante: il Villaggio del Sole custodisce uno dei suoi capolavori, la chiesa a forma di tenda, casa per la comunità che si riunisce, dove il ritmo delle spirali logaritmiche conduce lo sguardo in alto verso la luce.

Queste persone hanno avuto l’opportunità di lavorare in un tempo particolar-mente stimolante, quello della ricostruzione non solo materiale di questo paese negli anni del secondo dopoguerra. Sono stati tempi difficili e faticosi ma perme-

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ati da una diffusa energia vitale, in ambito politico, economico, culturale. Per re-stare a Vicenza sono gli anni di Mario Rigoni Stern (1921-2008) e di Luigi Mene-ghello (1922-2007). Ortolani in particolare ha vissuto personalmente l’esperienza terribile che viene narrata in Il Sergente nella neve (1953): «Inviato in Russia tra gli alpini , come tenente del Genio Fotografi, sopravvisse alla terribile esperien-za bellica della ritirata dal fronte del Don», annota il figlio Gianluca. Questo è il tempo di Adriano Olivetti (1901-1960) che esprime un impegno particolare anche in campo urbanistico, di Bruno Zevi (1918-2000), fondatore dell’In-Arch, che firmò a tutti i progettisti il diploma premio di quell’Istituto nel 1962 e di molte altre persone capaci di progetti e di utopie, architettoniche e urbanistiche, sociali e politiche. In questo clima culturale hanno vissuto e lavorato i progettisti del Villaggio del Sole. Vogliamo fissare in un semplice schema cronologico in ordine di nascita tutto il gruppo, per dare spessore storico alla loro esistenza e per evidenziare somiglianze e diversità delle loro provenienze e dei loro percorsi.

Antonio Cattaneo (Vicenza 1901-1977) laurea in ingegneria civile a Padova 1924

Sergio Ortolani (Roma 1913-1984)laurea in architettura a Roma 1936

Tullio Panciera (Vicenza 1920-2000)laurea in architettura a Milano 1947

Renzo Todesco (Bassano 1920-1994)laurea in ingegneria idraulica a Padova 1946

Paolo Grazioli (Verona 1924) laurea in ingegneria civile e idraulica a Padova 1948

Sergio Musmeci (Roma 1926-1981)laurea in ingegneria civile a Roma 1948

Gino Ferrari (Bassano 1927-1998)laurea in architettura a Venezia 1953

Riferimenti

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Per le singole biografie abbiamo consultato i figli dei progettisti, mentre abbiamo potuto fortunatamente parlare di persona con l’ingegner Grazioli.

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Bibliografia

Questa bibliografia è stata inserita per far conoscere i testi qui elencati, che costi-tuiscono una specie di “biografia” del quartiere. Soprattutto si vuole sottolineare l’interesse che si è creato intorno al Villaggio del Sole fin dalle sue origini: dalla seconda metà degli anni Cinquanta la stampa locale ne ha seguito la progettazio-ne, la costruzione, l’insediamento dei nuovi abitanti e la crescita della comunità, facendo di questa parte della città un paradigma di riferimento. Tutto questo ha contribuito a rafforzare negli abitanti senso di appartenenza e identità collettiva, radici da cui la memoria attinge per alimentare il futuro.

Libri e riviste

Bonelli R. (a cura di), Complesso residenziale a Vicenza (Città del Sole), in L’ar-chitettura, cronache e storia, a. IV, n. 35, 1958.

Magagnato L.-Vercelloni V., Inchieste edilizie sulle città italiane, Vicenza, in “Casabella”, n. 226, 1959.

Ortolani S.-Cattaneo A.-Musmeci S., Chiesa parrocchiale di S. Carlo* in Vicen-za, in “Rivista Internazionale di Arte Sacra, fede e arte”, a. XI, luglio-settembre 1963, pp. 350-353 (*sta scritto erroneamente “S. Benedetto”).

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Sacchiero don G.F, Villaggio del Sole. 15 anni di vita di una comunità parroc-chiale, Vicenza, febbraio 1976.

Musmeci S., Architettura e pensiero scientifico in Parametro, mensile di architet-tura e urbanistica, a. X, n. 80, ottobre 1979, pp. 42-44.

Brusutti A.-Ranzolin A. (a cura di), Scritti e immagini, Biblioteca pubblica del Villaggio del Sole, Vicenza 1989.

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Leder F.-Saccardo U., Vicenza, Ottocento e Novecento: piani, progetti e modifi-cazioni, Ergon, Vicenza 1995.

Roca N.G., Il Villaggio del Sole a Vicenza: un esempio di intervento razionale INA-Casa, Corso di Laurea in Architettura Teorie dell’Urbanistica, prof. Leonar-do Ciacci, Istituto Universitario di Architettura Venezia, aa. 1995-1996.

Nicoletti M., Sergio Musmeci, organicità di forme e forze nello spazio, Testo & Immagine s.r.l., Torino 1999, p. 27 e p. 79.

Roca N.G., Cinquant’anni dal piano INA-Casa. Idee per uno spazio abitabile. Concorso per la riqualificazione di tre quartieri INA-Casa: San Marco a Mestre, Forcellini a Padova, Villaggio del Sole a Vicenza, Istituto Universitario di Archi-tettura di Venezia, dipartimento di Urbanistica Venezia, aa. 1999-2000.

Roca N.G.-Tomasini G., Rinnovare la periferia: il Villaggio del Sole a Vicenza, Lab. di Sintesi Finale prof. Paolo Merlini, Istituto Universitario di Architettura Venezia, aa. 2001-2002.

Brusutti E. e R., (a cura di), Inno di arte e parola, Vicenza 2002.

Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Vicenza, Itinerari di architettura vicentina contemporanea, Vicenza 2005, p. 30.

Todescan G., Villaggio del Sole tra “modernismo” e “postmodernità”, tesina di ricerca, facoltà di Scienze della Comunicazione, Università di Bologna, aa. 2005-2006.

Associazione “Villaggio insieme”, Abitare il villaggio. Memoria e storia, Vicen-za 2009, ed. fuori commercio.

Cattaneo A., Il Villaggio del Sole e la città di Vicenza, in “Paesaggio urbano”, n. 1, 2010, pp. 72-79.

Idem, Il Villaggio del Sole e la città di Vicenza, in “Ingegneri e costruttori”, n. 3, 2010, pp. 32-40.

Associazione “Villaggio insieme”, Il valore della memoria, la forza della narra-zione, La Serenissima ed., Vicenza 2010.

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Bibliografia

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Giornali locali

Un miliardo dell’Ina-Casa per costituire il primo nucleo della Città-giardino, “Il Giornale di Vicenza” (a. XI, n. 334), 31 dicembre 1955, p. 4.

Sta nascendo davvero “la cittadella del sole”, “Il Giornale di Vicenza” (a. XIII, n. 3), 3 gennaio 1957, p. 4.

170 appartamenti sono già pronti e presto vi entreranno i nuovi inquilini, “Il Giornale di Vicenza” (a. XV, n. 49), 26 febbraio 1959, p. 4.

Domani al Villaggio del Sole l’inaugurazione della scuola, “Il Giornale di Vicen-za” (a.XVI, n.253), 21 ottobre 1060, p. 4.

La nuova scuola costruita dal Comune inaugurata ieri al Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza” (a. XVI, n. 255), 23 ottobre 1960, p. 5.

Inaugurata la sede delle elementari al Villaggio del Sole, “La Voce dei Berici” (a. XVI, n. 43), 30 ottobre 1960, p. 4.

Il Primo Ministro inaugura stamane 240 alloggi INA al Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza” (a. XVI, n. 291), 4 dicembre 1960, p. 4.

Il presidente del Consiglio taglia il nastro inaugurale del grande complesso dell’INA al Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza”, edizione del lunedì, (a. XVI, n. 47), 5 dicembre 1960, p. 2.

Sta nascendo la Chiesa al Villaggio del Sole, “Il Gazzettino” (a. 75, n. 243), 13 ottobre 1961, p. 4. La nuova parrocchia al Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza” (a. XVII, n. 262), 4 novembre 1961, p. 4.

La nuova parrocchia di san Carlo al Villaggio del Sole è ora una grande e fio-rente comunità spirituale della diocesi, “La Voce dei Berici” (a. XVII, n. 46), 19 novembre 1961, p. 6.

S.E. il Vescovo mons. Vescovo al Villaggio del Sole, “La Voce dei Berici” (a. XVIII, n. 15), 15 aprile 1962, p. 6.

Il mercatino rionale al Villaggio del Sole, “La Voce dei Berici” (a. XVIII, n. 32), 12 agosto 1962, p. 6.

Bibliografia

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Benedetti dal Vescovo la chiesa e l’asilo del Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza” (a. XVIII, n. 41), edizione del lunedì, 8 ottobre 1962, p. 2:

Benedetta la Chiesa dedicata a San Carlo, “Il Gazzettino” (a. 76, n. 41), 8 ottobre 1962, p. 2.

Benedetta da S.E. mons. Vescovo la nuova chiesa del Villaggio del Sole, “La Voce dei Berici” (a. XVIII, n. 40), 14 ottobre 1962, p. 6.

L’ingresso del parroco don Gianfranco Sacchiero, “La Voce dei Berici” (a. XVIII, n. 41), 21 ottobre 1962, p. 6.

Inaugurata al Villaggio del Sole la nuova Casa della gioventù, “Il Giornale di Vicenza” (a. XIX, n. 154), 30 giugno 1963, p. 4.

Villaggio del Sole: i problemi umani di una esperienza decennale. Una indicazio-ne per la città, “Il Giornale di Vicenza” (a. XXVI, n. 15), 18 gennaio 1970, p. 5.

Sarà conservata Villa Rota Barbieri, “Il Giornale di Vicenza” (a. XXXI, n. 214), 18 settembre 1975, p. 4.

Salvare l’ex “Casa del Sole” con un ostello della gioventù, “Il Giornale di Vicen-za” (a. XXXVI, n. 178), 27 agosto, p. 4.

Anche l’ostello come il teatro? Tutti ne parlano, nessuno decide, “Il Giornale di Vicenza” (a. XXVI, n. 221), 16 ottobre 1982, p. 7.

Villaggio del Sole, auguri!, Venticinque anni di vita della comunità parrocchiale e civile, “La Voce dei Berici” (a. XLIII, n. 44), 15 novembre 1987, pp. 22-23.

Fascino zingaro per l’addio a nonna Olga, “Il Giornale di Vicenza” (a. XLIV, n. 38), 9 febbraio 1990, p. 10.

Via alla “ciclabile” Maddalene-Villaggio del Sole, “Il Giornale di Vicenza” (a. XLVII, n. 288), 22 ottobre 1993, p. 12.

Mandelli Brusutti A., La chiesa di san Carlo al Villaggio del Sole di Vicenza. Inno di arte e parola che merita protezione, “La Voce dei Berici” (a. LIV, n. 8), 22 febbraio 1998, p. 15 del supplemento.

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Pitton G.M., Quella “tenda” nel Villaggio. La grande festa di una comunità, “Il Giornale di Vicenza” (a. 56, n. 264), 27 settembre 2002, p. 17.

Da quella “tenda” è partita la rivincita di una comunità, “La Voce dei Berici” (a. LVIII, n. 41), 27 ottobre 2002, pp. 16-17.

Crestani M., Ventidue storie per l’integrazione, “Il Gazzettino” (a. 120, n. 233), 8 ottobre 2006, Il Gazzettino di Vicenza, p. XV.

Matteazzi L., Il quartiere in cui non tramonta mai il sole. Un piccolo Decameron per favorire l’integrazione, “VicenzaPiù” (a. 1, n. 30), 14 ottobre 2006, pp. 18-19.

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Bibliografia

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