Il treno sospeso tra cielo e inferno - Fazi Editore...Il treno sembrava so-speso tra due cieli, in...

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40 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 LUGLIO 2016 Percorsi Itinerari Il viaggio è estasi e etica, condivisione del bello e del tragico Ho visto lusso e miseria guardarsi in faccia, con noncuranza Tra Bangkok e Singapore ho bevuto champagne su una carrozza che sferragliava tra strade allagate. Ho percorso la pampa su un pullman più accessoriato delle fattorie che incontrava. Attraversare città non è solo il passaggio di una vita nelle vite altrui, ma scambio di tempo e di emozioni. Perciò ho smesso di fare foto Il treno sospeso tra cielo e inferno S ono passati quarant’anni dal mio primo grande viaggio. Ulti- mamente ho attraversato l’Ar- gentina, da Buenos Aires a Bari- loche in un autobus executivo, un pullman tutto letto di fabbricazione italiana con sedili reclinabili fino alla po- sizione orizzontale, steward a bordo, pa- sti caldi e open bar. In venti ore ho per- corso la pampa fino ai contrafforti delle Ande, immerso in un confort sconosciu- to alla maggior parte delle case che mi passavano davanti. Ho attraversato quar- tieri disfatti, borgate in stato di abbando- no, incroci mercantili, fattorie grandi co- me nazioni. Ho visto sfilare paesaggi illu- minati da soli radenti al termine di spa- ventosi temporali, come quando percorsi migliaia di altri chilometri a bordo dei miei primi Greyhound nordamericani. Di sicuro ora ho più soldi e più esperien- za di quando avevo vent’anni. Ma anche meno foga e meno tempo. Così mi sono chiesto se pure la natura dei miei viaggi è cambiata. Evidentemente la risposta è sì. È un male? Avrei dovuto, come i vecchi giramondo, continuare a partire come facevo in gioventù per conservare a tutti i costi la noncuranza che garantiva la na- turale eleganza dei miei viaggi? È un ricordo preciso che mi spinge senza sosta a cercare una risposta a que- sta domanda. Ho viaggiato da Bangkok a Singapore a bordo dell’Orient Express. Un treno di un lusso raro: un vagone-sa- lotto tutto boiserie e velluti, con divani e poltroncine damascate. Un vagone-bi- blioteca in stile inglese, con profonde poltrone in pelle invecchiata. In coda al treno, un vagone-bar confortevole come la hall di un hotel, dove un pianista suona pezzi standard seduto a un pianoforte a coda e un barman in smoking bianco prepara Singapore Sling e Margarita. E, agio supremo, la seconda metà della car- rozza è una terrazza a cielo aperto. È lì to di desolazione e ingiustizia. Ho pensa- to alla scena di Amarcord di Fellini in cui, calata la sera, l’attrazione dei poveri è raggiungere il largo in barca per veder scivolare nella rada la massa illuminata e fiabesca del transatlantico Rex, con il suo carico di immaginario. Ovviamente mi sono domandato se avevo tradito gli ide- ali della mia giovinezza. La risposta, crudele, è che i viaggi han- no il significato che noi stessi gli diamo, come la poesia che accordava bellezza e noncuranza alla carogna. Conservo anco- ra di questa traversata delle bidonville sommerse di Bangkok il gusto amaro di un lusso sfrontato, ma anche, lo confes- so, l’indimenticabile ricordo di una cro- ciera silenziosa lungo la penisola malese inondata, alla luce delle stelle, come su un pontile mobile cullato dalla stucche- vole oscillazione della carrozza, con i bi- nari in fuga scintillanti sotto la luna. Poi, al mattino, sporto dal finestrino della di IAN MANOOK che ho passato la gran parte del viaggio. Quell’anno, tuttavia, a Bangkok c’era stata un’inondazione e le autorità, per salvaguardare i quartieri benestanti, ave- vano dirottato le maree e i klong, i canali, verso i quartieri diseredati. Quando il tre- no si è messo in moto, tutti noi, come convenuto, ci siamo ritrovati in «tenuta da sera» nel vagone-salotto, dove i came- rieri ci hanno offerto champagne e pa- sticcini. È lì che ho scorto, da dietro le tendine preziosamente ricamate, una bi- donville di baracche e capanne sommer- se dalle acque torbide e gialle del Chao Phraya, tra le quali i binari si aprivano una strada appena più larga del treno. Ovunque, nell’acqua fino alle anche, gli abitanti di quei quartieri disumani guardavano il nostro treno sfavillante lambire la loro miseria. M’immaginavo dall’esterno il treno illuminato dal lusso arrogante, con i suoi echi di un piano mondano, attraversare quell’oceano mu-

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Page 1: Il treno sospeso tra cielo e inferno - Fazi Editore...Il treno sembrava so-speso tra due cieli, in equilibrio su pro-spettive inabissate. Non ricordo immagi-ni pi dolcemente irreali

40 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 24 LUGLIO 2016

Percorsi Itinerari

Il viaggio è estasi e etica, condivisione del bello e del tragicoHo visto lusso e miseria guardarsi in faccia, con noncuranza

Tra Bangkok e Singapore ho bevuto champagne su una carrozza che sferragliava tra strade allagate. Ho percorso la pampa su un pullman più accessoriato delle fattorie che incontrava. Attraversare città non è solo il passaggio di una vita nelle vite altrui, ma scambio di tempo e di emozioni. Perciò ho smesso di fare foto

Il treno sospeso tra cielo e inferno

S ono passati quarant’anni dalmio primo grande viaggio. Ulti-mamente ho attraversato l’Ar-gentina, da Buenos Aires a Bari-loche in un autobus executivo,

un pullman tutto letto di fabbricazione italiana con sedili reclinabili fino alla po-sizione orizzontale, steward a bordo, pa-sti caldi e open bar. In venti ore ho per-corso la pampa fino ai contrafforti delleAnde, immerso in un confort sconosciu-to alla maggior parte delle case che mipassavano davanti. Ho attraversato quar-tieri disfatti, borgate in stato di abbando-no, incroci mercantili, fattorie grandi co-me nazioni. Ho visto sfilare paesaggi illu-minati da soli radenti al termine di spa-ventosi temporali, come quando percorsimigliaia di altri chilometri a bordo deimiei primi Greyhound nordamericani.Di sicuro ora ho più soldi e più esperien-za di quando avevo vent’anni. Ma anchemeno foga e meno tempo. Così mi sono

chiesto se pure la natura dei miei viaggi ècambiata. Evidentemente la risposta è sì.È un male? Avrei dovuto, come i vecchi giramondo, continuare a partire comefacevo in gioventù per conservare a tutti icosti la noncuranza che garantiva la na-turale eleganza dei miei viaggi?

È un ricordo preciso che mi spingesenza sosta a cercare una risposta a que-sta domanda. Ho viaggiato da Bangkok aSingapore a bordo dell’Orient Express.Un treno di un lusso raro: un vagone-sa-lotto tutto boiserie e velluti, con divani epoltroncine damascate. Un vagone-bi-blioteca in stile inglese, con profondepoltrone in pelle invecchiata. In coda altreno, un vagone-bar confortevole comela hall di un hotel, dove un pianista suonapezzi standard seduto a un pianoforte acoda e un barman in smoking biancoprepara Singapore Sling e Margarita. E,agio supremo, la seconda metà della car-rozza è una terrazza a cielo aperto. È lì

to di desolazione e ingiustizia. Ho pensa-to alla scena di Amarcord di Fellini in cui,calata la sera, l’attrazione dei poveri è raggiungere il largo in barca per vederscivolare nella rada la massa illuminata efiabesca del transatlantico Rex, con il suocarico di immaginario. Ovviamente mi sono domandato se avevo tradito gli ide-ali della mia giovinezza.

La risposta, crudele, è che i viaggi han-no il significato che noi stessi gli diamo,come la poesia che accordava bellezza enoncuranza alla carogna. Conservo anco-ra di questa traversata delle bidonvillesommerse di Bangkok il gusto amaro diun lusso sfrontato, ma anche, lo confes-so, l’indimenticabile ricordo di una cro-ciera silenziosa lungo la penisola maleseinondata, alla luce delle stelle, come suun pontile mobile cullato dalla stucche-vole oscillazione della carrozza, con i bi-nari in fuga scintillanti sotto la luna. Poi,al mattino, sporto dal finestrino della

di IAN MANOOK che ho passato la gran parte del viaggio.Quell’anno, tuttavia, a Bangkok c’era

stata un’inondazione e le autorità, persalvaguardare i quartieri benestanti, ave-vano dirottato le maree e i klong, i canali,verso i quartieri diseredati. Quando il tre-no si è messo in moto, tutti noi, come convenuto, ci siamo ritrovati in «tenuta da sera» nel vagone-salotto, dove i came-rieri ci hanno offerto champagne e pa-sticcini. È lì che ho scorto, da dietro le tendine preziosamente ricamate, una bi-donville di baracche e capanne sommer-se dalle acque torbide e gialle del Chao Phraya, tra le quali i binari si aprivanouna strada appena più larga del treno.

Ovunque, nell’acqua fino alle anche,gli abitanti di quei quartieri disumaniguardavano il nostro treno sfavillantelambire la loro miseria. M’immaginavodall’esterno il treno illuminato dal lussoarrogante, con i suoi echi di un pianomondano, attraversare quell’oceano mu-

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DOMENICA 24 LUGLIO 2016 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 41

mia cabina, osservavo il riflesso del trenodisegnare una lunga curva sulla piana al-lagata. L’acqua nascondeva la ferrovia e rifletteva le nuvole. Il treno sembrava so-speso tra due cieli, in equilibrio su pro-spettive inabissate. Non ricordo immagi-ni più dolcemente irreali dell’illusione diquel treno che sfreccia in cielo.

Eppure, quella che mi appariva alloracome una bellezza senza nome, capace disuscitare in me un’emozione impregnatadi magia e di rendere quel momento unistante privilegiato, per un’intera popola-zione non era altro che un terribile fla-gello carico di sventura e afflizione. Lacarogna e la bellezza, ancora una volta, ecome unico legame tra loro la spensiera-tezza che occorrerebbe giustificare e che,nel pullman in viaggio da Buenos Aires aBariloche, risveglia in me il ricordo ama-ro di quel treno su un cielo minaccioso.

In realtà, credo che al tragitto e allatappa corrispondano due percezioni fon-damentalmente diverse del viaggio. Lospostamento e la pausa: se entrambicontribuiscono a dar forma allo stessoviaggio, rispondono a logiche e a emo-zioni differenti. L’uno non si dà senza l’altra, ma si può preferire l’uno all’altra, ela mia preferenza va alla pausa, che è del-l’ordine dell’intimità.

Non c’è contraddizione tra il cedere almomento privilegiato di un treno di lus-so che si rispecchia in una piana inonda-ta e il comprendere, allo stesso tempo, che questa immagine incantata è ancheil riflesso delle sofferenze di un’intera popolazione. Sono due percezioni di unastessa realtà, l’una estetica e l’altra mora-le: entrambe sono dettate dalle emozio-ni.

del loro viaggio come me, alcuni HellsAngels sulle loro Harley Davidson, sfilzedi Hare Krishna al suono dei loro campa-nelli, hippies con i banchetti di biscottialle erbe, ma anche turisti muniti diNikon, radical chic con cocktail in mano,artisti ispirati e cantanti alla Dylan. Una folla composita arrivava ogni sera, «inse-guendo il tramonto», per un improvvisa-to cocktail happening sul pontile. Jeans eabiti da sera, Harley e Jaguar, Coca e Mar-garita. Allegri gruppi di amici si ritrova-vano per guardare il sole calare lenta-mente sul mare. Poi, quando l’astro sfio-ra l’orizzonte, un grande silenzio felice, iltempo di vederlo scivolare ancora unavolta sul retro del mondo. Una voltascomparso, la folla applaude gentilmen-te e si disperde con calma. Tornerà l’in-domani, alla stessa ora, nella speranza divedere un giorno il famoso raggio verdedi Hemingway, che pare porti fortuna.

«Al primo viaggio si scopre — dicono iTuareg — al secondo ci si arricchisce». Ilprimo giorno ho preso parte per puro ca-so all’attesa del tramonto, ma ci sono tor-nato con gioia accresciuta tutti i successi-vi giorni di quel viaggio, e a ogni nuovopassaggio per le Keys. Ho visto il raggioverde più volte, quell’ultimo balenio ca-priccioso della luce che attraversa la con-giunzione casuale di non so quali parti-celle. Ho capito molto più tardi, tornan-doci senza vederlo, che la felicità di cuiparlava Hemingway era semplicemente quell’altra congiunzione. Quella dei viag-giatori di varia provenienza raccolti attor-no a un piccolo cerimoniale, in un luogocarico del senso che ognuno gli attribui-sce con il desiderio di condividerlo…

Viaggiare è «prendere il tempo» di es-sere altrove. L’importanza che siamo di-sposti ad attribuire ai nostri viaggi di-pende dallo sguardo che gettiamo sullenostre vite. Si può viaggiare per scappa-re, per costruirsi, per curiosità o per ne-cessità. È sempre un equilibrio tra ciòche siamo pronti a lasciare e ciò che sia-mo desiderosi di scoprire, oltre che unequilibrio tra il tempo dell’assenza e iltempo viaggiato. Ch’io parta per un viag-gio organizzato di tre settimane nei trePaesi dell’ex Indocina o per un’avventurain Africa senza una meta precisa, dallaquale farò ritorno dopo un anno o due, ilprincipio resta lo stesso. Quello che cam-bia è la natura del desiderio. In un caso,quello di vedere o di conoscere delle co-se; nell’altro quello di viverle. La differen-za è la condivisione, la voglia che il viag-gio non sia solamente il passaggio di unindividuo nella vita di altri individui, perquanto rispettoso, ma uno scambio ditempo e di emozioni tra persone che siincontrano.

Prendete l’abitudine di sedervi accantoalle persone, piuttosto che davanti a loro,fate vostre alcune delle loro preferenze edifendetele insieme a loro, imparatequalche gesto quotidiano da condividerein tutta complicità, scegliete di fare degliincontri, piuttosto che di vedere cose…Farà il resto la noncuranza, che non è nédisinteresse, né pigrizia, ma l’andatura elegante e naturale di un viaggiatore chesa di essere uno straniero che passa.

(traduzione di Nicola Vincenzoni)© IAN MANOOK 2016

Il libroYeruldelgger. Morte nella

steppa, appena pubblicato daFazi (qui sopra, la copertina,

traduzione di MaurizioFerrara, pagine 522, e

16,50), è il primo capitolo diuna trilogia firmata dallo

scrittore francese IanManook, di cui pubblichiamoin queste pagine un testo sul

tema del viaggio e delviaggiare. Il noir racconta le

vicende del commissarioYeruldelgger, chiamato arisolvere il mistero di tre

cadaveri cinesi ritrovati inuna fabbrica alla periferia diuna città e quello dei resti di

una bambina, rinvenuti nelcuore della steppa mongola.A intralciare la sua indaginee a minacciare la sua stessavita ci penseranno politici e

potenti locali, magnatistranieri in cerca di

investimenti e divertimentiilleciti, poliziotti corrotti e

delinquenti neonazisti, percontrastare i quali dovrà

attingere alle più modernetecniche investigative e,

insieme, alla saggezza deimonaci guerrieri di Gengis

Khan. Sullo sfondo, unaMongolia suggestiva e

misteriosa. Yeruldelggerdovrà compiere un viaggio

alle radici di questa terra sevorrà trovare una soluzione

per i delitti e per se stessoL’autore

Ian Manook (1949, nellafoto in alto, pseudonimo di

Patrick Manoukian),giornalista, grande

viaggiatore, editore eromanziere, è stato ospitedel Festival Letterature di

Roma il 30 giugno.Parteciperà al Festival

Pordenonelegge,che si terrà in Friuli

dal 14 al 18 settembre

i

Josephine Pryde (Alnwick, Gran Bretagna, 1967),Lapses in thinking by the person I am (2015, courtesy CCA Wattis Institute for Contemporary Arts, San Francisco), particolare dell’installazione realizzata con un treno in scala ridotta su cui i visitatori potevano attraversare la galleria

La noncuranza è ciò che permette dilegare tra loro queste due percezioni sen-za privilegiarne alcuna, nella misura incui ci concede di non scegliere. Soccom-bere alla bellezza di un istante senza es-sere ignari dell’orrore che l’ha generato.Sapere che questo magnifico artificiodella natura non è che il doppio di unarealtà tragica, e non nascondersi né l’unoné l’altra. Ho incrociato molti viaggiatori,e incontrato molti sedentari, che si indi-gnerebbero per quello che sto scrivendoqui ora. Per loro, la mia presunta noncu-ranza non è che il bel nome di una viledebolezza, un’ipocrisia borghese, un ri-fiuto a impegnarsi. È vero che attraver-sando i quartieri inondati di Bangkok misono chiesto come mai queste personemiserabili, sacrificate, esposte e moltoprobabilmente umiliate non lapidasseroe assaltassero il treno per saccheggiare leriserve di viveri dei nostri vagoni risto-rante. O semplicemente per fracassare dirabbia il simbolo ingiusto di ciò che osa-vamo essere. Credo di averlo temuto, co-me tutti gli altri passeggeri, suppongo, ese fosse accaduto probabilmente l’avreicapito. Ma ad essere sinceri, non è forsequesto il modo in cui viaggiamo noi tutti,per lo meno noi viaggiatori occidentali?Le meraviglie davanti alle quali ci esta-siamo e ci soffermiamo emozionati nonsono spesso la sventura quotidiana o la penosa fatica degli altri? La magnifica immagine in controluce delle silhouettericurve nello specchio delle risaie a norddi Luzon? Servi contemporanei che sipiegano per improbabili raccolti che maigli apparterranno. I bimbetti nudi checorrono ridendo dietro a un pallone sullecolline di Rio? Disgraziati delle favelasper i quali ogni giorno è una violenza e ogni notte un tormento. I monumentalitemporali, luminosi e cupi, che si susse-

guono all’orizzonte delle steppe di Mon-golia? L’incubo delle popolazioni noma-di di vedere le loro yurte allagate e le loromandrie disperse. La bellezza della luceradente sopra i deserti? Terre aride, duree spietate per le popolazioni che riesco-no a sopravviverci. I variopinti mercatidegli altopiani di Bolivia e Perù? Rabbio-se contrattazioni per vendere quanto ba-sta a sopravvivere fino al mercato succes-sivo. Il mosaico azzurrino delle casupoleai piedi della cittadella di Jodhpur? Quar-tieri poveri in cui si ammassa un’umanitàdiseredata…

Dobbiamo ammetterlo: le nostre fotoricordo ritraggono bellezze che rappre-sentano spesso la dannazione di coloroche ci limitiamo a incrociare. Senza dub-bio è per questa ragione se ho smesso datempo di fare foto nei miei viaggi. Avreidovuto anche smettere di viaggiare? I piùbei tramonti non sono che la rifrazione della luce attraverso le particelle di unostrato inquinato di atmosfera. Lo spetta-colo, in qualsiasi angolo di mondo, è for-se per questo meno magico? Vederci solouna bella cartolina sarebbe ingenuo e semplicistico. Scorgervi unicamente l’in-quinamento globale sarebbe troppo cini-co. Sapere che è contemporaneamente l’una e l’altra cosa, abbandonarsi allacontemplazione riconoscendosi spersinell’universo ma allo stesso tempo qui,su questa terra, di fronte a questo spetta-colo, è soccombere con voluttà alle deli-zie della noncuranza.

Un giorno, zaino in spalla, sono arriva-to a Key West al termine di Duval Street,dove un pontile segna l’estrema puntameridionale delle isole Keys, in Florida.Non si può andare più lontano di questopontile di legno affacciato sul Golfo delMessico. Lì, a poco a poco, una folla miha raggiunto. Dei perdigiorno al termine