Il Tesoro Nascosto

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IL TESORO NASCOSTO ovvero pregi ed eccellenze DELLA S. MESSA CON UN MODO PRATICO E DIVITO PER ASCOLTARLA CON FRUTTO OPERETTA DEL BEATO LEONARDO DA PORTO MAURIZIO TORINO PER GIACINTO MARIETTI TIPOGRAFO-LIBRAIO 1840 ____________________ AL LETTORE I tesori per grandi, e preziosi che siano, non sono mai apprezzati, se prima non sono conosciuti. Or ecco, caro lettore, perché da molti non si fa la dovuta stima del sacrosanto sacrifizio della Messa: perché sebbene questo è il più gran tesoro che illustri, ed arricchisca la Chiesa di Dio, è però un tesoro nascosto, un tesoro, da pochi conosciuto. Ah se da tutti fosse conosciuta questa gioia di Paradiso, ognuno v'impiegherebbe un intiero patrimonio per ottenerla; né si lascerebbe uscir di bocca quella proposizione scandalosa, che mette orrore: Una Messa di più, una Messa di meno poco conta. Anzi a guisa di quel trafficante evangelico,

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Il Tesoro Nascosto, di S. Leonardo da Porto Maurizio

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IL TESORO NASCOSTO

ovvero pregi ed eccellenze

DELLA S. MESSA

CON UN MODO PRATICO E DIVITOPER ASCOLTARLA CON FRUTTO

OPERETTA

DEL BEATO LEONARDODA PORTO MAURIZIO

TORINO

PER GIACINTO MARIETTITIPOGRAFO-LIBRAIO

1840

____________________

AL LETTORE

I tesori per grandi, e preziosi che siano, non sono mai apprezzati, se prima non sono conosciuti. Or ecco, caro lettore, perché da molti non si fa la dovuta stima del sacrosanto sacrifizio della Messa: perché sebbene questo è il più gran tesoro che illustri, ed arricchisca la Chiesa di Dio, è però un tesoro nascosto, un tesoro, da pochi conosciuto. Ah se da tutti fosse conosciuta questa gioia di Paradiso, ognuno v'impiegherebbe un intiero patrimonio per ottenerla; né si lascerebbe uscir di bocca quella proposizione scandalosa, che mette orrore: Una Messa di più, una Messa di meno poco conta. Anzi a guisa di quel trafficante evangelico, darebbe fondo a tutti i suoi beni per impadronirsi di sì prezioso tesoro: Abiit, et vendidit omnia, quae habuit, et emit eam; (Mt. 13, 46). Per illuminar dunque chi se ne vive al buio, e non ha il dovuto concetto di sì sacrosanto mistero, si dà in luce la presente operetta. Che se voi alla sua prima comparsa la criticaste o come superflua o come temeraria: come superflua, perché, essendosi ormai dati alle stampe tanti libretti, che con sì bell’ordine assegnano il modo di ascoltare con frutto la santa Messa, pare, che non si possa desiderare di vantaggio: come temeraria, perché altro talento si richiede per mettere in mostra tutti i pregi di mistero sì venerando, che sormonta la capacità degli stessi Serafini; io vi risponderei con tutta ingenuità, che dite il vero; e confesso, che non ho che dirvi contro. Anzi queste due riflessioni mi hanno trattenuto per molto tempo, prima di dare il mio assenso; avendo provato in me stesso non poca ripugnanza nel dover risolvermi a dar di mano ad un'opera, che non avrebbe incontrato altro accoglimento, che una pubblica taccia e di superflua, e di superiore alle mie forze.

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Ma due motivi mi hanno dato la spinta a vincere tutte le ritrosie del mio cuore. Il primo si è un consiglio da me venerato come comando, perché provenuto da personaggio, a cui per molti titoli ero tenuto ubbidire. Il secondo la speranza, che debba recare qualche piccolo giovamento ai popoli da me coltivati colle missioni. Attesochè uno dei maggiori beni, che si rioporti dalle sante missioni si è l’accrescimento del culto, e venerazione al Santissimo Sacramento, procurandosi in esse di eccitare in tutti un santo fervore, che li sproni ad alimentarsi più spesso col pane degli angeli ed a corteggiare il Santissimo Viatico, ogni qualvolta si porta agli infermi, affinché si veda accompagnato da moltitudine di popolo, con molteplicità di lumi, in somma con tutta pompa, e decoro. La maggior diligenza però si adopera per indurre tutti ad ascoltare ogni giorno la santa Messa: né potete immaginarvi quanto giovi per conseguire questo santo fine, il fare capitare alle mani della povera gente certi libretti composti con stile piano e semplice, e però adattati alla loro capacità. Questi spianano ogni difficoltà per promuovere la divozione, porgendo lume all’intelletto, e fervore al cuore; e talvolta ne riportano maggior profitto, che dalle prediche stesse, perché la parola vola, e la verità in iscritto l'hanno sempre sotto gli occhi. Quando pure questa piccola operetta non dovesse giovare che ad un'anima sola, non potrà dirsi totalmente superflua: ed affinché riesca più popolare, e più profittevole ai semplici, si dividerà in tre soli capitoli. Nel primo si distenderà una breve istruzione sopra l'eccellenza, necessità, ed utilità della santa Messa, nel secondo si assegnerà un metodo pratico, e divoto, per ascoltarla con frutto: nel terzo si descriveranno alcuni esempi, che serviranno come di stimoli al cuore di ogni stato di persone per ascoltarla ogni giorno. Ecco i motivi, che dovranno eccitare in voi la compassione verso di me, se vi pare, che pretenda troppo; ed ecciteranno in me la speranza di giovare anche a voi, che forse gradite poco; perché alla fine vi rendo palese un tesoro nascosto, di cui se saprete prevalervi, vi arricchirà di tutti i beni e in vita, e in morte, e nel tempo, e nell'eternità. Vivete felice.

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BREVE ISTRUZIONE

SOPRA L'ECCELLENZA, NECESSITÀ, ED UTILITÀDELLA SANTA MESSA.

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CAPITOLO I.

Tre grandi eccellenze della S. Messa.

I. Gran pazienza vi vuole per soffrire il linguaggio pestifero di alcuni libertini, dai quali di tempo in tempo si gettano all'aria proposizioni sì scandalose, che puzzano di ateismo, e sono il veleno della pietà. Una messa di più, una messa di meno poco conta. Non è poca, che ascolti La messa nei giorni di festa. La messa di quel sacerdote è La messa della settimana santa; quando egli comparisce all'altare ed io me n'esco fuori di Chiesa. Chi la discorre così dà a vedere, che ha poca, o niuna stima del sacrosanto sacrifizio della Messa. Sapete voi, che sia, in realtà la santa messa? E’ il sole della cristianità, l'anima della fede, il centro della religione cattolica, dove mirano tutti i riti, tutte le cerimonie, e tutti i sacramenti della medesima; in somma è un compendio di tutto il buono, e di tutto il bello, che si trova nella chiesa di Dio. Pertanto voi, che leggete: ponderate bene quanto sono per dirvi in questa istruzione.

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II. E verità irrefragabile, che tutte le religioni, che sono state da che ha principiato il mondo, hanno sempre avuto qualche sacrifizio come parte essenziale del culto, che si deve rendere a Dio. Ma perché le loro leggi erano o vane, o imperfette; così i loro sacrifizi erano altresì o vani, o imperfetti. Vanissimi erano i sacrifizi degli idolatri, né occorre mentovarli; ed imperfetti erano quelli degli ebrei, i quali benché allora professassero la vera religione, i loro sacrifizi però erano poveri, e difettosi, chiamati da S. Paolo infirma, et egena elementa (ad Gal. 4, 9); perché non potevano cancellare i peccati, e conferire la grazia. Il solo sacrifizio, che noi abbiamo nella nostra santa religione, cioè la santa messa, è un sacrifizio santo, perfetto, e di tutto punto compito, con cui ogni fedele onora altamente Iddio; protestando nel tempo stesso il suo niente, ed il supremo dominio, che Dio ha sopra di lui, chiamato però da Davide: Sacrificium justitiae; (Ps. 4. 6. ) Sacrifizio di giustizia, sì perché contiene il giusto dei giusti, ed il santo dei santi, anzi la giustizia, e santità medesima; sì perché santifica le anime coll'infusione della grazia, e coll'affluenza dei doni, che conferisce. Essendo dunque un sì santo sacrifizio il più venerabile, ed il più eccellente di tutti, affinchè voi formiate il dovuto concetto di sì gran tesoro, spiegheremo qui brevemente, ed in succinto alcune delle di lui divine eccellenze: perché il dirle tutte non è opera, a cui giunger possa la nostra povera mente. III. La principale eccellenza del sacrosanto sacrifizio della messa si è, che deve riputarsi essenzialmente l'istesso, anzi l'istessissimo, che si offerì nel Calvario sulla Croce; con questa sola differenza, che il sacrifizio della Croce fu sanguinolento, e si fece una volta, in quella sola volta soddisfece pienamente per tutti i peccati del mondo; e quello dell'altare è sacrifizio incruento, che può replicarsi infinite volte; e fu istituito per applicarci in particolare quel pagamento universale, che Gesù sborsò per noi sul Calvario. Sicché il sacrifizio cruento fu il mezzo della redenzione, e l'incruento ce ne pone in possesso: l'uno ci apre l'erario dei meriti di Cristo Signor nostro, e l'altro ce ne dà l'uso. E però avvertite, che nella messa non si fa una sola rappresentazione, o una semplice memoria della passione, e morte del Redentore, ma si fa in qualche vero senso quella stessa azione sacrosanta, che si fece sul calvario; e si può dire con tutta verità, che in ogni messa il nostro Redentore torna a morire per noi misticamente senza morire in verità; vivo ad un tempo, e come ucciso: Vidi agnum stantem tanquam occisum (Ap. 5, 6). Nel dì del Santo Natale si rappresenta dalla chiesa la nascita del Signore, ma non è già vero, che il Signore in quel giorno nasca. Nel dì dell'Ascensione, e di Pentecoste si rappresenta la salita del Signore al cielo, la venuta dello Spirito Santo in terra; ma non è già vero, che in quel giorno il Signore salga al cielo, e lo Spirito Santo visibilmente scenda in terra. Ora non può già dirsi lo stesso del mistero della santa messa, perché in questo non si fa una semplice rappresentanza, ma si fa lo stesso sacrifizio incruentemente, che si fece sulla Croce con effusione di sangue. Quello stesso Corpo, quello stesso Sangue, quello stesso Gesù che si offri allora sul Calvario, si offerisce ora nella santa messa: Opus, dice la Chiesa, Opus nostrae redemptionis exercetur (Orat. secr. in missa Dom. 9. post Pent.). Sì sì exercetur; si fa, si pratica quello stesso sacrifizio, che si fece sulla Croce. Oh che opera stupenda! Or ditemi di grazia: se quando voi andate alla chiesa per ascoltare la messa ponderaste ben bene, che andate al Calvario, per assistere alla morte del Redentore, vogliamo dire, che andreste con un tratto sì immodesto, e con abbigliamenti si sfacciati? Se la Maddalena fosse andata al Calvario appiè della Croce tutta abbigliata, profumata, ed imbellettata, come quando trattava con i suoi amanti, che si sarebbe detto di lei? Or che si deve dire di voi, che andate alla santa messa, come se andaste ad una festa di ballo? Che sarebbe poi, se profanaste quell'azione sacrosanta con cenni, con risa, con cicalecci, amoreggiamenti, e sacrilegi? Dico, che l'iniquità disdice in ogni tempo, ed in ogni luogo; ma i peccati, che si commettono in tempo di messa, e vicino agli altari, sono peccati, che si tirano addosso la maledizione di Dio. Maledictas homo, qui facit opus Domini fraudulenter (Jer. 48, 10), Pensatevi seriamente, mentre io vi discopro altre maraviglie, ed eccellenze di sì prezioso tesoro. IV. Pare che non possa ritrovarsi prerogativa più eccellente del santo sacrificio della messa, quanto il potersi dire, che non solo è copia, ma è l'originale medesimo del sacrifizio della Croce: e pure assai più lo fa spiccare l'aver per sacerdote un Dio umanato. Certo è, che in sì santo sacrifizio tre cose devono considerarsi; il sacerdote, che offerisce; la vittima che viene offerta; e la maestà di

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Dio, a cui fa l’oblazione. Or ecco il risalto meraviglioso, che per tutte tre queste considerazioni fa la santa messa: Il sacerdote che offerisce è un uomo Dio, Cristo Gesù; la vittima è la vita di un Dio; né ad altri si offerisce, che a Dio. Ravvivate dunque la fede, e riconoscete in quel sacerdote, che celebra, la persona adorabile del nostro Signore Gesù Cristo. Egli è il primario offerente, non solo perché ha istituito questo santo sacrifizio, e gli ha data l'efficacia coi suoi meriti; ma perché in ogni messa egli stesso si degna per nostro bene di transostanziare il pane, e il vino nel suo Corpo santissimo, e nel suo preziosissimo Sangue. Ecco dunque il privilegio massimo della santa messa, l'avere per sacerdote un Dio umanato; e quando voi vedete all'altare il celebrante, sappiate, che il di lui maggior pregio si è l'essere ministro di quel Sacerdote invisibile, ed eterno, quale è il nostro Redentore. Quindi è, che il sacrifizio non lascia di essere grato a Dio benché il sacerdote, che celebra, sia iniquo sacrilego, e malvagio; attesochè il principale offerente è Cristo Signor nostro, ed il sacerdote è un di lui semplice ministro. Siccome, chi dà la elemosina per mano di un servitore, si dice con tutta verità, che è il principale donante, e benché il suo servo sia perfido e scellerato, se giusto è il padrone, la limosina non lascia di essere meritoria, e santa. Benedetto dunque sia Dio, che ci ha donato un sacerdote santo, santissimo, che non solo in ogni luogo (essendosi ormai dilatata dappertutto la santa fede) ma anche in ogni tempo in ogni giorno, anzi in ogni ora (come si può ricavare dal corso del Sole, il quale ad altri nasce, quando a noi tramonta) offerisce all'eterno Padre questo divin sacrifizio. Dunque ad ogni ora in varie parti della terra, questo santissimo sacerdote offerisce al Padre il suo sangue, la sua anima, e tutto se stesso per noi, e tutto questo fa tante le volte, quante sono le messe, che si celebrano nell'universo mondo. Oh tesoro immenso! Oh miniera di dovizie inestimabili, che abbiamo nella chiesa di Dio! Oh felici noi, se potessimo assistere a tutte queste messe! Qual capitale di meriti non ci acquisterebbe? Che cumulo di grazie in questa vita, e che fondo di gloria nell'altra non ci frutterebbe sì amorosa assistenza? V. Ma che dissi assistenza? Quelli, che ascoltano la messa, non solo fanno l'ufficio di assistenti, ma altresì di offerenti; potendo nominarsi anch'essi sacerdoti: Fecisti nos Deo nostro regnum, et sacerdotes (Ap. 5, 10). Il sacerdote celebrante è come un pubblico ministro della chiesa in comune, ed è mediatore di tutti i fedeli, e particolarmente di quelli, che assistono alla messa, presso il sacerdote invisibile, che è Cristo; ed assieme con esso offerisce all'eterno padre sì a nome comune, sì a nome particolare tutto il gran prezzo della redenzione umana. Ma non è solo in sì santa funzione; mentre concorrono con lui ad offerire il sacrifizio tutti quelli, che assistono alla messa; e però quando si volta il sacerdote, dice: Orate fratres, ut meum, et vesrum sacrificium acceptabile fiat: pregate fratelli, acciò il mio, e vostro sacrifizio sia accetto a Dio; acciò intendiamo, che se bene egli fa la figura di principale ministro; tutti quelli che sono presenti fanno con esso lui la grande offerta. Sicché quando voi assistete alla santa messa, fate in un certo modo l'uffizio di sacerdote. Che dite adesso? Ardirete di qui innanzi sentir la messa sedendo, ciarlando, guardando qua, e là, e forse mezzo che dormendo; contentandovi di recitare alla peggio alcune orazioni vocali, senza badar punto all'uffizio tremendo, che esercitate di sacerdote? Ah che non posso qui contenermi, che non esclami: oh mondo incapace; che non intendi nulla di misteri sì sollevati! Come è possibile, che si stia intorno all'altare con mente distratta, e cuore dissipato, in tempo, che gli angeli santi vi stanno tremanti, ed attoniti in contemplare gli effetti di un'opera sì stupenda? VI. Vi meravigliate forse, in sentirmi dire, che la Messa è un'opera stupenda? E vi par poca maraviglia ciò che operano poche parole di un semplice sacerdote? E qual lingua mai né umana, né Angelica potrà spiegare un potere sì smisurato? E chi mai poteva immaginarselo, che la voce di un uomo, la quale non ha forza dalla natura neppure di alzare una paglia da terra, dovesse poi avere dalla grazia una forza così stupenda, sino a far scendere dal cielo in terra il Figlio di Dio? Questo è maggior potere, che trasferire i monti da luogo a luogo, che seccare i mari, che volgere i cieli; anzi questo è un emulare in un certo modo quel primo Fiat, con cui Iddio cavò dal nulla tutte le cose, ed in qualche modo può sembrare, che superi ancora quell'altro Fiat, con cui la gran Vergine tirò nel suo seno il Verbo Eterno: perché essa altro non fece, che somministrare la materia al corpo di Cristo fatto di lei bensì, cioè dei suoi preziosissimi Sangui, ma non da Lei, cioè non per opera sua. Ma la voce del sacerdote, qual strumento di Cristo nell'atto di consacrare, in un altro mirabile modo, cioè

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Sacramentalmente lo riproduce, e ciò tante volte quante consacra. Fece capire questa verità il B. Giovanni Buono da Mantova ad un Eremita suo compagno (S. Ant. 3. p. hist. tit. 24. c. 13.), il quale non poteva capacitarsi, come mai le parole di un sacerdote avessero tanta forza di tramutare la sostanza del pane nel corpo di Gesù Cristo, e la sostanza del vino nel di lui Sangue; e quel ch'è più deplorabile, acconsentì alla diabolica suggestione. Si avvide il buon servo di Dio dell'errore di costui, e condottolo ad una Fonte, presane una tazza d’acqua gliela diede a bere. Quando che egli l'ebbe bevuta, confessò, che in tutto il tempo di vita sua non aveva mai gustato un vino sì delicato. Allora Giovanni Buono, non vedi, disse, mio caro fratello, il fatto meraviglioso? Se per mezzo di me uomo miserabile l'acqua si è convertita in vino per Divina virtù, quanto più devi credere, che per mezzo delle parole del sacerdote, che sono parole di Dio, il pane ed il vino si convertano nella sostanza del Corpo, e del Sangue di Cristo? E chi ardirà mai assegnar limiti all'Onnipotenza di Dio? Tanto bastò per illuminare 1'ingannato Romito, che sbandito ogni dubbio dalla sua mente, fece gran penitenza del suo peccato. Un po’ di fede vi vuole, e fede viva, e confesseremo, che l'eccellenze prodigiosissime, che si contengono in questo adorabile sacrifizio sono senza numero: né ci farà gran specie il vedersi raddoppiare ogn'ora il prodigio di replicarsi in mille, e mille luoghi l'umanità sacrosanta di Gesù, godendo, per dir così, una specie quasi d'immensità negata ad ogni altro corpo, e riserbata a lei sola per merito della sua vita sacrificata all'Altissimo; conforme da un demonio, che parlava per bocca d'una spiritata con una similitudine materiale e grossolana fu dato da intendere ad un ebreo incredulo (Matthiol. in Silv. hist. p. 2. l. 8. c. I. tit. 20. E.x. 7). Si tratteneva costui su d'una piazza, dove erano molte persone, e fra queste la detta spiritata: passò in quel tempo un sacerdote, che accompagnato da molto popolo, portava il Santissimo viatico ad un infermo. Tutta quella gente s'inginocchiò facendo il dovuto ossequio di adorazione al Santissimo Sacramento: il solo ebreo non si mosse né diede segno alcuno di riverenza. Ciò veduto dalla donna, si alzò tutta infuriata, tolse di capo all'ebreo il cappello, e gli diede una gran guanciata, dicendo: O sventurato. Perché non fai riverenza al vero Dio, che si trova in quel divin Sacramento? Che vero Dio? ripigliò l'ebreo; se ciò fosse vero, ne seguirebbe, che si darebbero più Dei, mentre sopra ciascheduno dei vostri altari, quando si dice la Messa, ve n'è uno. Ciò udito dallo spirito maligno, che possedeva quella femmina, subito prese un crivello, e postolo incontro al sole, disse all'ebreo, che mirasse i raggi, che entravano per quei buchi, e poi soggiunse: dimmi, ebreo, sono per questa causa molti soli, che passano per i buchi di questo crivello, ovvero un sol sole? E rispondendo l'ebreo, che il sole era un solo; dunque, replicò la donna, perché t'ammiri, se Iddio umanato, c sacramentato, benché uno, indivisibile, e invariabile, per eccesso di amore si fa vedere con vera e reale presenza sopra diversi altari? Tanto bastò per confondere la perfidia dell'ebreo, e con tal ragione fu costretto a confessare la verità della fede. Oh Santa fede! Un raggio della vostra luce si richiede per replicare con fervore di spirito: e chi ardirà mai di assegnar limiti all'onnipotenza di Dio? Per il gran concetto, che santa Teresa aveva dell'onnipotenza di Dio, soleva dire che quanto più alti, profondi, ed astrusi al nostro intendimento erano i misteri della nostra santa fede, ella li credeva con altrettanto più di fermezza, e maggior divozione; sapendo benissimo, che l'onnipotentissimo Iddio può fare prodigi infinitamente maggiori. Ravvivate di grazia la fede, e confessate, che questo divin sacrifizio è il miracolo dei miracoli, la meraviglia delle meraviglie, e che la di lui maggior eccellenza consiste nell'essere incomprensibile alla nostra povera mente, e pieno di stupore dite più e più volte: Oh che gran tesoro, che gran tesoro! Che se non vi muove la di lui prodigiosa eccellenza, almeno vi muova la di lui somma necessità. VII. Se al mondo non vi fosse il sole, che sarebbe mai del mondo? Ohimè? Ogni cosa sarebbe tenebre, orrore, sterilità, e somma miseria. E se al mondo non vi fosse la santa messa, che sarebbe di noi? Oh infelici noi! Saremmo privi di ogni bene, ricolmi di ogni male; saremmo il bersaglio di tutti i fulmini dell'ira di Dio. Alcuni si meravigliano parendo loro, che il nostro buon Dio abbia in un certo modo cambiato il modo di governare: anticamente si faceva chiamare il Dio degli eserciti, e parlava ai popoli fra mezzo alle nuvole, e con i fulmini alla mano: ed infatti castigava le colpe a tutto rigore di giustizia. Per un solo adulterio fece andare a fil di spada venticinque mila persone della tribù di Beniamino. Per una leggera superbia di Davide nel numerare il popolo, mandò una

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pestilenza sì furibonda, che in breve ora fece cascar morte settantamila persone. Per un solo sguardo curioso, e meno riverente dei Betsamiti atterrò con fiera strage più di cinquantamila di loro. Ed ora tollera con pazienza non solo le vanità, e le leggerezze; ma gli adulteri più sordidi, gli scandali più iniqui, e le bestemmie più orrende, che molti dei cristiani vomitano ad ogni tratto contro il suo santissimo nome. Come va dunque? Perché sì gran diversità di governo? Forse le nostre ingratitudini sono più scusabili, che non erano prima? Tutto all'opposto. Sono assai più colpevoli, stante l'aggiunta di benefizi sì immensi. La ragione vera di sì stupenda clemenza è la santa Messa, in cui si offerisce all'eterno Padre questa gran vittima di Gesù. Ecco il Sole di santa chiesa, che dissipa le nuvole e rasserena il cielo. Ecco l'arco celeste, che placa le tempeste della divina giustizia. Io per me credo, che se non fosse la santa messa, a quest'ora il mondo sarebbe già sprofondato, per non poter più reggere all'alto peso di tante iniquità. La messa è quel poderoso sostegno, che lo tiene in piedi: e però voi arguite da tutto questo, quanto sia necessario questo divin sacrifizio, ma non basta, se alle occasioni non ce ne sappiamo prevalere. Pertanto quando noi siamo assistenti alla santa messa dovremmo praticare quel che già praticò Alfonso d'Alburcherche, (Osor. lib. 8. rer. eman.) il quale ritrovandosi colla sua armata di mare in pericolo di perire, stante una fiera e spaventosa tempesta, si appigliò a questo partito. Prese in braccio un fanciullino innocente che si trovava sulla sua nave, ed alzatolo verso il cielo: se noi, disse, siamo peccatori, questa crcaturina è al certo senza peccati, deh Signore, per amore di questo innocente perdonate la morte a noi colpevoli. Credereste? Piacque tanto a Dio la vista di quel bambinello illibato, che tranquillato il mare cambiò in allegrezza a quei sventurati il timore della morte già imminente. Or che credete voi, che faccia l'eterno Padre, quando il sacerdote, alzando in aria l'Ostia sacrosanta, gli mostra 1'innocenza del suo figliuolo divino? Ah che la di lui pietà non può resistere a vista dell'innocenza illibatissima di Gesù; e si sente come violentata a mettere in calma le nostre tempeste, ed a provvedere a tutte le nostre necessità. Dove che senza questa vittima sacrosanta di Gesù sacrificato per noi prima sulla croce, e giornalmente su dei nostri altari, era finita per noi, ed ognuno di noi poteva; dire al suo compagno: a rivederci all'inferno; sì, sì all'inferno, all'inferno, a rivederci all'inferno. Ma con questo tesoro nelle mani della santa messa respira la nostra speranza; e se non viene da noi, abbiamo in pugno il santo Paradiso. Bisogna dunque baciarli i nostri altari, profumarli con incensi, e timiami, e molto più onorarli con una somma modestia, mentre da essi ci proviene tanto bene. E voi giungete le mani per ringraziare l'eterno Padre, che ci abbia posti in questa amorosa necessità di offerirgli spesso questa vittima di Paradiso: e molto più ringraziatelo per l'utilità immensa, che potete ricavarne, se sarete fedele non solo in offerirla ma in offerirla con i debiti fini, per i quali ci ha fatto sì prezioso dono. VIII. Il grandioso, e l'onesto sono due motivi assai forti per muovere i cuori; ma l'utile non solo muove; ma ad onta di tutte le ripugnanze riporta quasi sempre la vittoria. Siano pure di poco rilievo appresso di voi e l'eccellenza, e la necessità della santa messa: come potrete non apprezzare la somma utilità che arreca e ai vivi e ai defunti, e ai giusti, e ai peccatori; e in vita e in morte, ed anche dopo la stessa morte? figuratevi d'essere voi quel debitore evangelico, che aggravato da grosso debito di diecimila talenti, e citato a render conto, si umilia, si raccomanda, e domanda tempo per soddisfare compitamente ai suoi debiti: Patientiam habe in me, et omnia reddam tibi (Mt. 18, 26). Lo stesso dovete far voi, che avete non uno, ma molti debiti nel banco della divina giustizia. Dovete umiliarvi, e domandar tanto tempo, quanto si richiede per ascoltare la santa messa; e siate certo, che con questa soddisferete compitissimamente a tutti i vostri debiti. S. Tommaso l'angelico (1-2. art. 3 ad 19) insinua a tutti noi, quali siano questi debiti, che abbiamo con Dio; e dice che sono specialmente, quattro, e tutti e quattro infiniti. Il primo si è di lodare ed onorare la di lui infinita maestà, degna d'infinito onore, e d'infinite lodi. Il secondo di soddisfarlo per tanti peccati commessi. Il terzo di ringraziarlo per tanti benefici ricevuti. Il quarto di supplicarlo come datore dì tutte le grazie. Or come mai noi creature meschine, che abbiamo bisogno persino del fiato che respiriamo, potremo soddisfare a tutti questi debiti sì rilevanti ? Eccone il modo agevolissimo, che deve consolar me, deve consolar voi, e tutti. Procuriamo di ascoltar molte messe, ed ascoltarle con tutta la divozione possibile, con farne altresì celebrare molte, più che si può: e siano pure i nostri

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debiti esorbitanti, siano senza numero, non v'ha dubbio, che con questo tesoro, che si cava dalla santa messa, potremo soddisfare a tutti compitissimamente. Ed acciò voi restiate più illuminati ed abbiate più piena cognizione di questi debiti, li spiegheremo ad uno ad uno tutti quattro; e non sarà poca la vostra consolazione nel vedere la somma utilità; e la ricchezza inesausta, che potete cavare da sì ricca miniera per scontarli tutti. IX. Il primo debito, che abbiamo contratto con Dio si è d'onorarlo: questo è dettame della stessa legge naturale, che ogni inferiore deve ossequio al suo superiore; e quanto è maggiore la di lui grandezza, altrettanto maggiore deve essere l'omaggio, che se gli presta. Quindi ne viene, che possedendo Iddio una grandezza infinitamente infinità, se gli deve un'onore infinitamente infinito. Oh meschini noi! E dove troveremo mai un'offerta degna del nostro creatore? Girate pur gli occhi per tutte le creature dell'universo, no, che non troverete cosa degna di Dio. Ah che offerta degna di Dio non può essere altro, che Dio medesimo. Ed egli, che risiede sul trono della sua grandezza, conviene, che ne discenda a porsi come vittima sui nostri altari, affinché l'omaggio corrisponda perfettamente alla preminenza della sua infinita maestà. Ciò che si effettua nella santa messa, in cui Iddio è onorato quanto egli merita, perché è onorato dal medesimo Dio, cioè da Gesù, il quale ponendosi in qualità di vittima sull'altare, con un atto d’inesplicabile sommissione adora la santissima Trinità, tanto, tanto, quanto ella è adorabile; in maniera che tutti gli altri ossequi, che le si fanno dalle altre creature, a fronte di questa umiliazione di Gesù scompariscono come le stelle rincontro al sole. Si racconta di un'anima santa, (Sanct. Jure p. 3. c. 10) che innamorata di Dio sfogava con mille desideri l'incendio della sua carità. Ah mio Dio, diceva, mio Dio, vorrei avere tanti cuori e tante lingue, quante sono le fronde degli alberi, gli atomi dell'aria, e le stille dell'acqua per amarvi, ed onorarvi quanto voi meritate: oh se avessi in mia mano tutte le creature, le vorrei porre ai vostri piedi, acciò tutte si struggessero in amore verso di voi, purché io amassi voi più che tutte loro insieme, anzi più che tutti gli angioli, più che tutti i santi, più che tutto il Paradiso. Quando un giorno, che ciò faceva con maggiore fervore, udì rispondersi dal Signore così: Consolati figlia, perché con una messa sola che tu venghi ad ascoltar con divozione, mi renderai tutta quella gloria che desideri ed infinitamente maggiore. Vi ammirate forse in sentir questa proposizione! Non avete ragione; perché essendo il nostro buon Gesù non solamente uomo, ma Dio vero ed onnipotente, umiliandosi sull'altare, con quell'atto di umiliazione, dà a tutta la Santissima Trinità un ossequio, un onore infinito: sicché noi che concorriamo insieme con lui ad offerire il gran sacrificio, veniamo ancor noi per mezzo suo a dare a Dio un ossequio, un onore infinito. Oh che gran cosa! Diciamolo pure un'altra volta perché troppo preme il saperlo; sì, sì: noi con ascoltare la santa messa diamo a Dio un ossequio, un onore infinito. Or qui sbalorditevi per il gran stupore e riflettete esser verissima la suddetta proposizione, cioè che quando un'anima assiste con divozione alla santa messa, dà più onore a Dio, di quello che colle loro adorazioni gli diano lassù in Cielo tutti gli Angeli e tutti i Santi posti insieme: Imperocché essi finalmente sono semplici creature, e così il loro ossequio è limitato e finito; laddove nella messa si umilia Gesù, la di cui umiliazione è di merito. e valore infinito; e però l'ossequio e l'onore, che noi per mezzo suo diamo a Dio nella messa, è un ossequio, un onore infinito. Ed oh quanto bene, se così è, quanto bene si paga a Dio questo primo debito con ascoltare la santa messa! Oh mondo cieco, quando aprirai gli occhi per capire verità così importanti? E voi avrete più cuore di dire: Una messa di più, una messa di meno poco conta! Oh cecità orribile!... X. Il secondo debito, che abbiamo con Dio, è di soddisfare la sua giustizia per tanti peccati commessi. Oh che immenso debito è mai questo! Un solo peccato mortale pesa tanto sulle bilance della divina giustizia, che per soddisfarlo non bastano tutte opere buone di tutti i martiri, e di tutti i santi, che sono stati, sono, e saranno. E pure col santo sacrifizio della messa, se si considera il suo intrinseco prezzo, e valore si può soddisfare compitissimamente per tutti i peccati commessi; ed acciò veniate a comprendere, quanto siete obbligato a Gesù, attendete. Se bene egli è l'offeso, pure non contento di aver soddisfatto la divina giustizia per noi sul Calvario, ci ha dato, e ci dà continuamente questo modo di soddisfarla nel santo sacrifizio della messa; perché rinnovandosi nella messa quell'offerta, che già fece Gesù all'eterno Padre sulla croce per i peccati di tutto il mondo, quel medesimo divino sangue, che già si sborsò per redimere il genere umano, viene ad

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applicarsi, ed offerirsi specialmente nella messa per i peccati di chi celebra, o fa celebrare, e di tutti quelli, che assistono a sì tremendo sacrifizio. Non già perché il sacrifizio della messa scancelli per se stesso immediatamente le nostre colpe, come fa il sacramento della penitenza; ma perché le scancella mediatamente, impetrandoci vari aiuti necessari d'impulsi interni di buone ispirazioni, e grazie attuali per pentirci degnamente dei nostri peccati, o nel tempo stesso della messa, o, in altro tempo opportuno. E però solo Dio sa quante anime escono fuori dal fango dei loro peccati per gli aiuti straordinari, che loro provengono da questo divin sacrifizio. E qui riflettete, che se bene a chi sta in peccato mortale non giova il sacrifizio come propiziatorio, giova però come impetratorio; e tutti i peccatori dovrebbero ascoltare molte messe per ottener più facilmente la grazia di convertirsi. Alle anime poi, che vivono in grazia, dà una forza mirabile, per mantenersi in stato di grazia, e scancella immediatamente (secondo la più comune) tutti i peccati veniali, purché almeno in generale ne siano pentite; conforme lo dice chiaramente S. Agostino: Si quis devote audiat missarn, non incidet in peccatum mortale, et venialia remittentur ei (Supra Can. quia passus de cons. Dist. 2.). Chi ascolterà divotamente la santa messa riceverà un gran vigore per non commettere peccato mortale, e gli saranno perdonati tutti i peccati veniali, che avrà commessi sino a quell'ora. Né deve ciò recar maraviglia; attesochè, conforme racconta san Gregorio (lib. 4. dial. cap. 57): se le messe, che una povera donna faceva celebrare ogni lunedì per l'anima del suo marito fatto schiavo dai barbari, e da lei creduto morto, gli facevano sciogliere le catene dai piedi, e le manette dalle braccia, in maniera che in tutto quel tempo, che si celebravano le messe, rimaneva libero e sciolto; come egli stesso confessò alla moglie ritornato, che fu in libertà: quanto più dobbiamo credere, che un tal sacrifizio sarà efficacissimo per sciogliere i lacci spirituali, quali sono i peccati veniali, che tengono come carcerata l'anima, né la lasciano operare con quella libertà e fervore, con cui opererebbe, senza questi impedimenti? Oh benedetta messa, che ci mette in libertà dei figli di Dio, e soddisfa per tutte le pene dovute ai nostri peccati. XI. Adunque, mi direte voi, basta sentire o far celebrare una sola messa per scontare i gravissimi debiti contratti con Dio a cagione di tanti peccati commessi, perché essendo la messa di valor infinito, si viene con essa a dare a Dio una soddisfazione infinita. Piano di grazia: perché sebbene la messa è di valor infinito, dovete nondimeno sapere, che Iddio l'accetta in un modo limitato e finito, più o meno, conforme alla disposizione maggiore o minore di chi celebra, o fa celebrare o assiste al sacrifizio. Quorum Tibi fides cognita est, el nota devotio, dice la S. Chiesa nel Canone: insinuando con un tal favellare ciò, che espressamente insegnano gran maestri, (Lug. dist. 9. num. 103) che la maggiore o minor soddisfazione per le pene dovute ai nostri peccati. che si applica nel sacrifizio, viene determinata dalla maggiore o minor disposizione di chi celebra o assiste come sopra. Or qui mirate l'abbaglio di coloro che vanno in cerca delle messe più spedite e meno devote e quel ch'è peggio, vi assistono con poca o niuna divozione; né fanno diligenza alcuna nel farle celebrare di scegliere i sacerdoti più ferventi e divoti. E’ vero che tutti i sacrifizi sono uguali in ordine al sacramento, dice S. Tommaso, (3. p. q. 82. a. 6.) non sono però uguali in ordine agli altri effetti che ne provengono; laonde quanto maggiore e la pietà attuale o abituale del celebrante, sarà maggiore anche il frutto della sua applicazione; sicché il non far differenza tra un sacerdote tiepido ed un divoto, sarà un non far differenza se sia piccola o grande la rete con cui si pesca: lo stesso dite di quelli che ascoltano la messa. E se bene vi esorto quanto so e posso ad ascoltar molte messe; vi avverto però ad avere più riguardo alla maggior divozione che al maggior numero, perché se voi avrete maggior divozione in una sola messa, che non avrà un altro in cinquanta, voi darete più onore a Dio in quella sola e caverete maggior frutto anche di quella sorta, che dicesi ex opere operato, che non caverà quell'altro con quel numero maggiore di cinquanta. In satisfactione, dice S. Tommaso, magis attenditur affectus offerentis, quam quantitas oblationis. (3. p. q. 79. art. 5). E se bene è vero (come asserisce un grave autore) che con una sola messa ascoltata con singolare divozione si può dar il caso, che resti soddisfatta la giustizia di Dio per tutti i peccati commessi da qualsisia gran peccatore conforme l'accenna il sacro Concilio di Trento, il quale dice, che con l'offerta di questo santo sacrifizio Iddio concede il dono della penitenza, e mediante la vera penitenza perdona peccati gravissimi, enormissimi ed infiniti: Hujus quippe oblatione placatus Dominus gratiam, et donum

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poenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingenua dimittit (sess. 22. cap. 2), con tutto ciò perché a voi non è palese né la disposizione interna con cui ascoltate la santa messa, né la soddisfazione che ad essa corrisponde, dovete assicurarvi più che potete con ascoltarne molte ed ascoltarle con tutta la divozione possibile. E beato voi se avrete una gran fiducia nella misericordia di Dio che mirabilmente campeggia in questo divin sacrifizio; e con questa viva fede e con raccoglimento divoto ascolterete tutte le messe che mai potete, dico che potrete nutrire nel vostro cuore questa bella speranza di andarvene addirittura in Paradiso senza toccar Purgatorio. Alla messa dunque, alla messa; e non v'esca mai più di bocca quella proposizione scandalosa: Una messa di più, una messa di meno poco conta. XII. Il terzo debito è di gratitudine; per gl'immensi benefizi che ci ha fatti l'amantissimo nostro Dio. E però fate un cumulo di tutti i doni e grazie, che avete ricevute da Dio; di tanti beni di natura e di grazia e corpo e anima e sensi, e potenze e sanità e vita: anzi la stessa vita di Gesù suo Figliuolo e la stessa morte per noi sofferta accresce a dismisura il gran debito che abbiamo con Dio. E come mai potremo noi a sufficienza ringraziarlo. Da parte la legge della gratitudine è osservata perfino dalle fiere, le quali per i loro benefattori giungono talvolta a cambiare in ossequio la crudeltà: molto più dovrà osservarsi dagli uomini dotati di ragione e sì altamente beneficati dalla divina liberalità. Ma dall'altra la nostra povertà è sì grande, che non vi è modo di soddisfare per il minimo dei benefizi ricevuti da Dio; perché il minimo di tutti venendoci dalle mani di sì gran Maestà, ed essendo accompagnato da una carità infinita, acquista un prezzo infinito e ci obbliga ad una infinita corrispondenza. Oh noi meschini! Se non possiamo reggere al peso d'un sol benefizio, come mai potremo portare il carico di tanti e tanti senza numero? Eccoci, se così è, posti in questa forzosa necessità di vivere e morire ingrati al nostro sommo benefattore. Ma no, fate Cuore: il modo di ringraziare compitissimamente il nostro buon Iddio ci viene assegnato dal santo Davide, il quale avendo preveduto in spirito questo divin sacrifizio, confessa chiaramente, che niuna cosa può essere sufficiente a rendere le dovute grazie a Dio eccetto la messa. Quid retribuam Domino pro omnibus, quae relribuit mihi? Che contraccambio renderò al Signore per tanti benefizi, che mi ha compartiti? (Ps. 115). E rispondendo a se stesso dice: Calicem salutaris accipiam, ovvero secondo un'altra versione: Calicem levabo. Alzerò in alto il calice del Signore, cioè, gli offerirò un sacrifizio a lui gratissimo, e con questo solo soddisferò al debito di tanti e sì segnalati benefizi. Aggiungete che questo sacrifizio fu istituito principalmente dal nostro Redentore a questo fine, cioè per riconoscere la divina beneficenza e ringraziarla; e però viene detto per eccellenza Eucaristia, e significa azione di grazie. Anzi egli stesso ce ne diede l'esempio, allorché nell'ultima cena, prima di consacrare in quella prima messa, alzò gli occhi al cielo e ringraziò il suo Padre celeste. O ringraziamento divino che ci scopre il fine altissimo, per cui fu istituito questo tremendo sacrifizio; ed invita noi a conformarci col nostro capo, affinché in ogni messa a cui assisteremo, ci sappiamo prevalere di sì gran tesoro, offrendolo per gratitudine al nostro sommo benefattore! tanto più che tutto il Paradiso e la Vergine e gli Angeli e i Santi godono, che noi paghiamo questo tributo di grazie a sì gran Monarca. XIII. Viveva angustiata da mille ansie d'amore la venerabile suor Francesca Farnese (in ejus vita) per vedersi ricolma da capo a piedi di benefizi divini, senza trovar modo per sgravarsi di sì gran peso, con fare al suo Signore una competente retribuzione. Quand'ecco le comparve un giorno la Santissima Vergine, e ponendole nelle braccia il suo celeste Bambino, prendilo, le disse, che è tuo e sappi prevalertene, perché con questo solo compirai a tutti i tuoi doveri. O benedetta messa con cui ci viene posto non solo tra le braccia, ma nelle mani e nel cuore il Figlio di Dio: Parvulus datus est nobis; (Is 9, 6) acciò ce ne possiamo prevalere; non essendovi dubbio alcuno, che con questo solo possiamo soddisfare compitamente al debito di gratitudine che abbiamo contratto con Dio. Anzi, se ben si considera, nella messa noi rendiamo in certo modo a Dio qualche cosa di più di quello, che egli abbia donato a noi; se non in realtà almeno apparentemente: attesochè una volta sola l'eterno Padre ci ha donato il suo divin Figliuolo nella sua incarnazione; e noi gliela ridoniamo innumerevoli volte in questo santo sacrifizio. Sicché pare che in certo modo restiamo superiori, se non nella qualità del dono non potendo donarsegli cosa maggiore d'un Figlio di Dio almeno

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nell'apparenza, replicando tante e tante volte lo stesso dono. O grande Iddio o amorosissimo Iddio, come non abbiamo noi infinite lingue per rendervi infiniti ringraziamenti per un sì gran tesoro che ci avete donato della s. messa! E voi che fate? Avete ancora aperti gli occhi per conoscere un sì prezioso tesoro? Se, per l'addietro è stato per voi un tesoro nascosto, adesso che cominciate a conoscerlo, come non gridate attonito per lo stupore: Oh che gran tesoro, che gran tesoro! XIV. Ma non finisce qui la somma utilità del santo sacrifizio della messa; mentre con esso possiamo di più pagare il quarto debito, che abbiamo con Dio, che è di supplicarlo, e chiedergli nuove grazie. Già sapete quanto sono grandi le vostre miserie così del corpo, come dell'anima, ed il bisogno, che perciò avete di ricorrere a Dio, affinché in ogni momento vi assista, e vi soccorra; giacché egli solo è l'autore, ed il principio di ogni nostro bene tanto temporale, quanto eterno. Ma dall'altra parte con qual'animo, con che cuore potrete voi supplicarlo per nuovi benefizi, vedendo l'ingratitudine somma, con cui non avete corrisposto a tanti favori, che vi ha fatto; anzi avete rivoltato in sua offese le sue medesime grazie? Ma pure fate animo, fate cuore, perché se non li meritate voi questi nuovi benefizi li ha meritati per voi il buon Gesù il quale per questo fine ha voluto nella messa essere ostia pacifica, cioè sacrifizio impetratorio per ottenerci in essa dal Padre tutto ciò, che ci abbisogna. Sì, sì: nella santa messa il nostro caro ed amato Gesù, come primo, e sommo sacerdote raccomanda al Padre la nostra causa, prega per noi, e si fa nostro avvocato. Se noi sapessimo che la gran Vergine si unisse Con noi a pregare l'eterno Padre per ottenere le grazie, che desideriamo, qual confidenza non concepiremmo di essere esauditi? Che confidenza dunque, che speranza non dobbiamo avere, sapendo, che nella messa lo stesso Gesù prega per noi, offerisce il suo preziosissimo sangue all’eterno Padre per noi; e si fa nostro avvocato? O benedetta messa, che è la miniera di tutti di nostri beni! XV. Ma bisogna scavare ben addentro questa miniera per scoprire i gran tesori che in se contiene. Oh che gran gioie di grazie, virtù e doni ci impetra la santa messa! primieramente ci impetra tutte le grazie spirituali, e i beni, che appartengono all'anima, come sono il pentimento dei peccati, la vittoria delle tentazioni così esterne dei compagni cattivi, e demoni infernali, come interne della nostra carne ribelle; impetra gli aiuti della grazia sì necessaria a risorgere, a stare in piedi, a camminare avanti nella via di Dio; impetra molte buone e sante inspirazioni, ed impulsi interni, che ci dispongono a scuotere la tiepidezza, e spronano ad operare il tutto con maggior fervore, con volontà più pronta, ed intenzione più retta e pura, che porta seco un tesoro inestimabile, essendo questi mezzi efficacissimi per ottenerci da Dio la grazia della perseveranza finale da cui dipende la nostra salute eterna, e quella sicurezza morale, che si può avere quaggiù dalla beata eternità. In oltre impetra ancora tutti i beni temporali, in quanto anch'essi concorrono alla salute dell'anima: la sanità l'abbondanza, la pace, coll'esclusione di tutti i mali, che si oppongono di pestilenze, di terremoti, guerre, di carestie, di persecuzioni, di liti, d'inimicizie, di calunnie, d'ingiurie; in somma ci libera da tutti i mali, e ci arricchisce di tutti i beni. E per dire il tutto in una parola: la santa messa è la chiave d'oro del Paradiso, e mentre l'eterno Padre ci dà questa chiave cosa potrà più negarci di tutti i suoi beni? Qui proprio Filio non pepercit, dice s. Paolo, sed pro nobis omnibus tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32). Or vedete, se aveva tutta la ragione quel buon sacerdote, il quale era solito dire, che per quanto chiedesse a Dio grazie grandi, e per sé, e per altri, celebrando la santa messa, (Osor. Con. 8. Tom. 4.) non gli pareva di chiedere giammai nulla, paragonando le cose per cui ricorreva a Dio con l'offerta, che gli faceva; e la discorreva così: Tutte le grazie, che io chiedo a Dio nella messa, sono beni creati, e finiti, dovechè i doni che gli offerisco sono doni increati ed immensi; dunque, tirati bene i conti, io sono il creditore, e lui il debitore: e con questa ragione chiedeva grazie grandi, e molto ancora otteneva. E voi come non vi risvegliate? Perché non domandate grazie grandi? Se vi piace il mio consiglio, in ogni messa chiedete a Dio, che vi faccia un gran santo: vi pare troppo? Non è troppo, Non è il nostro buon padre, che si protesta nel santo vangelo, che per un bicchiere d'acqua donato per suo amore ci vuol dare il Paradiso? Come dunque offerendogli tutto il sangue del suo benedetto Figliuolo non ci darà cento Paradisi, se tanti ve ne fossero? Come potete dubitare, che non sia per darvi tutte le virtù, e tutte le perfezioni, che si richiedono per farvi santo, e santo

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grande nel cielo? Oh benedetta messa! Dilatate pure il cuore, e dimandate cose grandi col riflesso, che domandate ad un Dio, che non impoverisce col dare, e però quanto più domanderete tanto più otterrete. XVI. Ma pure lo credereste? Oltre i beni, che noi domandiamo nella santa messa, il nostro buon Dio ce ne concede molti altri, che non domandiamo. Ce lo dice apertamente S. Girolamo: A bsque dubio dat nobis Dominus quod in missa petimus; et quod magis est, saepe dat quod non petimus (Cap. Cum mart. da celeb. miss.). Senza alcun dubbio, dice il santo, concede il Signore tutte le grazie che nella messa se gli domandano, purché siano convenienti; e quello che è di maggior maraviglia, molte volte concede ancora quello, che non se gli domanda, se però da parte nostra non vi poniamo qualche ostacolo. Laonde si può dire, che la messa sia il sole del genere umano, che sparge i suoi splendori e sopra i buoni, e sopra i cattivi, né v'è anima così perfida sopra la terra, che ascoltando la santa messa non ne riporti qualche gran bene, e molte volte ancora senza che vi pensi, e senza che lo domandi, Conforme avvenne in quel caso celebre raccontato da S. Antonino, (2. p. Th. l. 9. c. 20. §. 2) che essendo un dì usciti alla foresta due giovani peraltro libertini, e licenziosi; uno dei quali aveva udita la messa, e l'altro no; mossasi nell'aria fiera tempesta, udirono fra tuoni, e lampi una voce, che gridò: Ammazza, ammazza; e subito venne un fulmine, che incenerì quello, che non aveva udito messa. L'altro tutto atterrito seguitava il viaggio, cercando qualche scampo alla sua vita, quando senti di nuovo la medesima voce che replicò: Ammazza ammazza; ed aspettando il povero giovane la vicina morte, udì un'altra voce, che rispose: Non posso, non posso, perché oggi ha sentito il Verbum Caro factum est. La messa da Lui udita m'impedisce scaricare il colpo. Oh quante volte Iddio vi ha liberato dalla morte, o almeno da molti pericoli gravissimi per la santa messa da voi udita! Ve ne assicura san Gregorio nel quarto dei suoi dialoghi; Per auditionem missae homo liberatur a multis malis, et periculis. È verissimo, dice il santo dottore, che chi ascolta la santa messa sarà liberato molti mali, e da molti pericoli benché non antiveduti. Anzi, ripiglia S. Agostino, sarà liberato dalla morte subitanea, che è il colpo più formidabile, che scagli contro i peccatori la divina giustizia: Qui missam devote audierit, subitanea morte non peribit (Sup. can. Quia passus, de Consecr. dist. 2). Ecco un preservativo mirabile, dice il santo, per evitare la morte improvvisa: ascoltare ogni giorno la santa messa, ed ascolta da con tutta la divozione possibile. Chi porterà seco un sì efficace preservativo, vi va sicuro, che non gli accadrà sì spaventosa disgrazia. Corre una certa opinione attribuita da alcuni a sant'Agostino. cioè, che nel tempo che l'uomo ascolta la messa, non invecchia, ma si mantiene in tutto quel tempo collo stesso vigore di forze, con cui si trovava al principio della messa. Io non mi curo di sapere, se ciò sia vero, o no; dico bensì, che se bene chi ascolta la messa invecchia in quanto all'età, non invecchia però nella malizia; perché, al dire di s. Gregorio, un uomo dabbene, che ascolta con divozione la santa messa, si conserva nella via retta dello spirito: Justus audiens missam, in via rectudinis conservatur (de sacrif. miss. apud Bern. de Bust.); e gli si accresce sempre più il merito e la grazia, e fa nuovo acquisto di virtù, per piacere più al suo Dio. Anzi, ripiglia s. Bernardo, si guadagna più in una sola messa (e ciò deve intendersi atteso l'intrinseco suo valore) che in distribuire ai poveri le proprie faco1tà, e andar pellegrinando per tutti i santuari più famosi della terra: Audiens devote missam; aut celebrans, multo magis meretur, quam si substantiam suam pauperibus erogaret, et totam terram peregrinando transiret (apud Bern. de Bust. p. 2. ser. 3). Oh ricchezze immense della santa messa! Capitela bene questa verità; può più meritare chi ascolta, o celebra una sola messa, considerandola in sé stessa, e nell'intrinseco suo valore, che chi aprendo l'erario di tutte le sue facoltà distribuisse ogni Cosa per sovvenimento ai poveri, e andasse pellegrinando per l'universo inondo, e visitasse con somma divozione i santuari di Gerusalemme, di Roma, di Compostella, di Loreto, ed altri; e la ragione può dedursi da s. Tommaso l'Angelico, il quale dice che nella messa si contengono tutti quei frutti, e tutte quelle grazie, anzi, tutti quei tesori immensi, che il Figlio di Dio sparse si abbondantemente sopra la Chiesa sua sposa in quel sacrifizio cruento della Croce. In qualibet missa invenitur omnis fructus, et utilitas, quam Chistus in die Parasceves operatus est in Cruce (de Consec. dist. 2). Or qui fermatevi alquanto, chiudete il libro , non leggete, ma fate un cumulo di tutte queste utilità sì doviziose, che porta seco la santa messa; ponderatele bene in silenzio, e poi

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ditemi: avrete più difficoltà a credere, che una messa sola, per quanto è dal canto suo, e relativamente al suo intrinseco prezzo e valore, sia di tanta efficacia, come dicono vari Dottori, che basterebbe per ottenere la salute di tutto il genere umano? Fingete un caso, che nostro Signore Gesù Cristo non avesse patito cosa alcuna sul Calvario, ed in vece del sacrifizio cruento della Croce avesse istituito solamente la messa, con ordine espresso, che in tutta la terra non si celebrasse, che una messa sola. Or bene, ammessa questa supposizione, sappiate, che quella messa sola celebrata dal più povero sacerdote del mondo sarebbe stata sufficientissima, considerata intrinsecamente in se stessa, e per quanto è da parte sua, per impetrare da Dio la salute di tutti gli uomini. Sì, sì, una sola messa, nella divisata maniera parlando, basterebbe per ottenere la conversione di tutti i Turchi, di tutti gli Eretici, di tutti gli Scismatici, in somma di tutti gl'infedeli, cd anche di tutti i mali cristiani, chiudendo le porte dell'inferno a tutti i peccatori, e vuotando il purgatorio di tutte le anime purganti. Noi miseri colla nostra tiepidezza, poca divozione, e scandalose immodestie, che commettiamo in ascoltare la messa, oh quanto restringiamo i termini della sua grande sfera, e rendiamo inefficace il suo gran valore! Lasciate dunque, che io salga su l'eminenza dei più alti monti, e quivi a gran voce esclami: Popoli ingannati, popoli ingannati, che fate voi? Perché non correte alle Chiese, per ascoltare santamente quante mai messe potete? Perché non imitate gli Angeli santi, che, al dire del Grisostomo, quando si celebra la santa messa, scendono a schiere dall’empireo e stanno dinanzi ai nostri altari ricoperti colle ali d'una riverente modestia, ed aspettano questo tempo benedetto della messa, affine d'intercedere per noi con più efficacia; sapendo benissimo, esser questo il tempo più opportuno, e la congiuntura sopra d'ogni altra propizia per ottenere grazie dal ciclo. E voi confondetevi, per avere nei tempi addietro sì poco apprezzata la santa messa: anzi per aver profanata tante volte un'azione sì sacrosanta; e molto più se siete nel numero di coloro, che con voci temerarie ardiscono, dire: Una messa di più, una messa di meno poco conta. XXVII. Per concludere e dar fine a questa istruzione, riflettete, che non a caso ho detto di sopra, che una messa sola per quanto è dal canto suo, e atteso l'intrinseco suo valore, è sufficiente per vuotare il purgatorio di tutte le anime purganti, ed istradarle al santo paradiso, attesoché questo divin sacrifizio non solo giova alle anime dei defunti come propiziatorio per soddisfare la pena, (De Lug. sect, 6. n. 158) ma giova altresì Come impetratorio per ottenere la remissione; conforme si scorge dal costume della chiesa, la quale non solo offerisce la messa per le anime purganti, ma prega in essa per la loro liberazione. Affinché dunque vi moviate a compassione di quelle anime sante, sappiate, che il fuoco, in cui sono involte, è un fuoco sì vorace, che non cede a quello dell'inferno, secondo il sentimento di s. Gregorio; (Dial. t. 4. c. 131) e come istrumento della Divina giustizia, opera con sì gran vigore; che arreca loro pene insofferibili, superiori a quanti martirii possono in questo mondo o vedersi, o provarsi, o anche immaginarsi: e molto più affligge la pena del danno, perché prive della bella visione di Dio, conforme dice l'Angelico, (in dist. 12. art. I) provano una smania intollerabile per il desiderio vivo, che hanno di vedere quel Sommo bene, e non è loro permesso. Or qui entrate in voi stesso, e ponderate: Se voi vedeste vostro padre, e vostra madre, che stanno per affogarsi in una laguna di acque, e la loro liberazione non vi dovesse costare altro, che stendere una mano: non sareste tenuto per legge di carità, e di giustizia a stendere quella mano per sovvenirli? Come va dunque? Voi vedete col lume della fede tante povere anime, e forse dei vostri più stretti congiunti, che bruciano vive in un lago di fiamme, e non volete soffrire un piccolo incomodo di ascoltare per loro sovvenimento divotamente una sola messa? Che cuore è mai il vostro? Che poi la santa messa rechi un gran sollievo a quelle povere anime, chi mai potrà dubitarne? Basta, che voi vogliate dare la dovuta credenza a S. Girolamo, e vi dirà chiaramente, che quando si celebra la messa per qualche anima purgante, quel fuoco per altro voracissimo, sospende il suo vigore, e quell'anima non soffre pena alcuna per tutto il tempo, che dura la santa messa: Animae quae sunt in purgatorio, pro quibus solet sacerdos in missa orare, interim nullum tormentum sentiunt, dum missa celebratur (cap. cum nar. infra de celeb. miss.). Anzi afferma, che in ogni messa molte escono dal purgatorio; e se ne volano al santo Paradiso: Missa celebrata, plures animae exeunt de purgatorio. Aggiungete, che questa carità usata da voi verso i poveri purganti tutta ridonderà in vostro bene: e benché potrebbero addursi esempi senza fine in conferma di questa

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verità, basterà uno molto autentico seguito nella persona di s. Pier Damiano, (In ejus. vit.) il quale in età ancor tenera rimasto orfano dei genitori fu ammesso in casa di un suo fratello, che lo maltrattava, alla peggio, sino a farlo andar scalzo, tutto lacero facendogli soffrire di tutto una somma penuria. Gli accadde un dì, di ritrovare per la via non so qual moneta: pensate se gioì? sembrò, a lui di aver trovato un tesoro. Ma come spenderla? Molte cose gli suggeriva la sua necessità; ma alla fine pensa, e ripensa, si risolve darla ad un sacerdote, che celebri una messa per le anime sante del purgatorio. Lo credereste? Da lì in poi mutò scena la sua fortuna. Venne accolto da un altro fratello di miglior indole; questi l'amò a par di figlio, il vestì con decenza; lo mandò a scuola, onde poi diventò quel grand'uomo, quel gran santo, che fu d'ornamento alla porpora, e di sì gran sostegno alla chiesa. Or vedete, come da una sola messa fatta celebrare con un po' di scomodo ebbe origine così gran bene per lui. Oh benedetta messa, che nel tempo stesso giova ai morti, ed ai vivi: giova nel tempo e nell'eternità! Attesochè quelle anime sante sono sì grate verso dei loro benefattori, che arrivate in cielo si fanno loro avvocate, né si quieteranno mai, sinchè non li vedano in possesso della gloria. E ben lo provò una donna disonesta qui in Roma, la quale, dimenticata affatto della sua eterna salute, ad altro non attendeva, che a sfogare le sue passioni, servendo di bandiera al diavolo per rovinare la gioventù; né altro bene faceva, se non che pochi giorni passavano, che non facesse celebrare qualche messa per le anime del purgatorio. Queste, come piamente si crede, tanto pregarono per la loro benefattrice, che un giorno fu sorpresa da sì veemente contrizione dei suoi peccati, che lasciato il luogo infame, si portò appiè di un zelante confessore, fece la sua confessione generale, e poco dopo se ne morì sì bene disposta, che lasciò a tutti segni chiari della sua eterna salute. Questa grazia sì prodigiosa si attribuisce al valore delle messe da lei fatte celebrare per quelle anime benedette del purgatorio. Risvegliamoci ancor noi, e non permettiamo che publicani, et meretrices praecedant nos in regnum Dei. (Mt 21, 31). XVIII. Se voi poi foste di quella razza d'avaroni, i quali non solo mancano alla carità, lasciando di pregare per i loro defunti, senza ascoltar mai una messa per quelle povere anime afflitte, ma di più calpestando ogni diritto di giustizia, ricusano di soddisfare i legati pii di messe lasciate in testamento dai loro maggiori; o essendo sacerdoti accumulano molte messe, senza mai celebrarle, oh qui sì che prenderei fuoco, e vi direi in faccia: Andate, che siete peggiore d'un demonio, perché alla fine i demoni tormentano solamente l'anime reprobe, ma voi tormentate le anime elette; i demoni infieriscono contro dei presciti; ma voi infierite contro dei predestinati, e cari a Dio. No che per voi non vi è confessione che vaglia, né assoluzione, che tenga, né confessore, che vi possa assolvere, se voi non fate gran penitenza di sì gran peccato, e non soddisfate appuntino a tutti gli obblighi che avete coi morti. Ma padre mio, non ve n'è, non si può. Non ve n'è, non si può? Per fare quella comparsa ve n'è, si può per sfoggiare con tanto lusso, con tanto sfarzo ve n'è, si può; per spendere in quei conviti in quelle cene, in quelle villeggiature, in quelle conversazioni, e talvolta in quei trebbi, ridotti, e postriboli ve n'è, si può. E per soddisfare ai debiti non solo coi vivi, ma quel ch'è più, coi poveri morti, non ve n'è, non si può? Già l'intendo; non v'è no in terra chi vi riveda i conti; ma avete da fare il saldo con Dio. Attendete pure a mangiare i lasciti dei defunti, i legati pii, i sacrifizi, e sappiate, che per voi sta registrata coll'oracolo del profeta un'intimazione di disgrazie, di malattie, di fallimenti, di traversie, e rovine irreparabili nella roba, nella vita, nell'onore. E' voce di Dio, che non può mancare; Comederunt Sacrificia Mortuorum, et multiplicata est in eis ruina. (Ps. 105, 28.) Sì, sì, rovine, disgrazie, precipizi irreparabili a quelle case, che non soddisfano agli obblighi, che hanno coi morti. Girate per tutta Roma, e mirate quante famiglie sparse, case rovinate, fondachi chiusi, negozi sospesi, commerci tronchi, fallimenti, disgrazie, e guai: Oh povera Roma rovinata! mi dite voi. Ma qual è la causa di tante rovine? Se farete di tante sciagure un esatto scrutino, troverete, che una delle cause principali si è la crudeltà, che si usa coi poveri morti, negando loro il dovuto sovvenimento, con trascurare la soddisfazione dei legati pii; e perciò si commettono infiniti sacrilegi, si profanano i sacrifizi, ed il tempio di Dio, conforme disse il Redentore, è divenuto una spelonca di ladri. Né dovete ammirarvi, se il cielo piove fulmini, e minaccia guerre, e terremoti, e stermini; ecco il perché: Comederunt Sacrificia Mortuorum, et multiplicata est in eis ruina. E però con tutta ragione dal Concilio quarto Cartaginese questi ingrati

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furono dichiarati scomunicati come veri omicidi dei loro prossimi, e dal Concilio Valense fu ordinato, che fossero scacciati di chiesa come infedeli. Se bene né men questo è il massimo dei castighi, che dà Iddio a questi disamorati dei loro defunti: ah che la piena maggiore dei mali si riserba loro per l'altra vita: protestando s. Giacomo, che costoro saranno giudicati da Dio con tutto il rigore della giustizia, senza usar loro punto di misericordia, mentre non usarono misericordia coi poveri morti: Judicium sine misericordia illi, qui non fecit misericordiam (Jac. 2, 13) E permetterà Iddio, che siano pagati della stessa moneta dai loro successori; cioè che non siano adempite le loro ultime volontà, né si celebrino le messe lasciate in testamento per le anime loro proprie: e celebrandosi, da Dio non si accetteranno, ma saranno applicate ad altre anime bisognose, e che in vita ebbero compassione ai poveri morti. Così si legge anche nelle nostre croniche d'un frate, che dopo morte comparve ad un suo compagno, e gli manifestò le pene acerbissime, che soffriva nel purgatorio, particolarmente per essere stato molto negligente per li altri frati defunti; e che per fino allora niente gli aveva giovato tutto il bene che gli era stato fatto, né le messe, che gli erano state celebrate; perché Iddio in pena della sua negligenza le aveva applicate ad altre anime, che in vita furono divote dei purganti: e ciò detto sparve. (Cron. Fratr. Min. Part. 2) XIX. Prima di terminare la presente istruzione, permettetemi, che colle ginocchia a terra, e mani giunte, supplichi voi, che leggete, a non chiudere questo libretto, se prima non fate un proponimento saldissimo di voler in avvenire impiegare tutte le vostre più premurose diligenze per ascoltare e far celebrare tutte quelle messe che a misura delle vostre occupazioni, e del vostro stato vi saranno permesse, non solo per le anime dei defunti, ma altresì per l'anima vostra; e questo per due motivi: primieramente per ottenere una buona e santa morte, essendo costante opinione dei dottori, non esservi mezzo più efficace per arrivare ad un sì santo fine che la messa: anzi Cristo Signor nostro rivelò a santa Metilde (Lib. 3. Grat. spir. c. 27) che chi in vita sarà stato solito di ascoltare divotamente la santa Messa, sarà consolato in morte dalla presenza degli angeli e santi suoi avvocati, che lo difenderanno valorosamente da tutte le insidie dei demoni infernali. Oh che bella morte è per succedere alla vostra vita, se l'avrete! Impiegata in ascoltare quante mai Messe potrete! L'altro motivo è per uscire presto dal purgatorio, e volarvene all'eterna gloria; non essendovi mezzi più adattati per ottenere da Dio una grazia si preziosa, qual è di andarvene a dirittura in paradiso senza toccar purgatorio, o almeno per abbreviare la dimora tra quelle fiamme, che l'indulgenze ed i sacrifizi. In quanto all'Indulgenze i sommi Pontefici hanno slargato la mano in concederne moltissime a chi ascolta divotamente la santa Messa. In quanto poi all'efficacia del santo sacrifizio della Messa per accelerare la remissione della pena del purgatorio, già si è sufficientemente dimostrato di sopra: e dovrebbe bastarvi l'esempio ed autorità di quel gran servo di Dio Giovanni d'Avila, che fu l'oracolo delle Spagne, allorché ridotto all'estremo, ed interrogato, qual cosa gli fosse più a cuore, e qual sorta di bene maggiormente bramasse gli fosse fatto dopo morte? Messe, rispose, messe messe (In eius vit.) Ma se vi contentate, vorrei su quest'affare porgervi un consiglio di gran peso: ed è che tutte le messe, che voi bramate, che, vi siano celebrate dopo la morte, procuriate di farvele celebrare in vita; né vi fidate di chi se ne rimane sulla scena di questo mondo dopo di voi. Tanto più che sant'Anselmo vi fa sapere, che una messa sola ascoltata, o celebrata per l'anima vostra in vita, vi sarà forse più profittevole, che mille dopo la morte: Audire devote unicam missam in vita, vel dare elemosinam pro ea, prodest magis, quam relinquere ad celebrandum mille post obitum: (apud Castel. diur. sac. praep.) Ben comprese questa verità un ricco mercante nelle riviere di Genova, il quale venuto a morte non lasciò cosa alcuna in suffragio dell'anima sua. Ognuno stupiva, come mai un uomo sì ricco, sì pio e sì generoso verso tutti, in morte poi fosse stato sì crudele verso se stesso. Ma sepolto che fu, si trovò scritto in un suo libretto il gran bene, che si era fatto in vita per l'anima sua: messe fatte celebrare per l'anima mia duemila: per maritar zitelle diecimila, duecento per il tal luogo pio ec. E in fine di quel libretto vi era scritto così: Chi vuol del bene, se lo faccia in vita, e non si fidi di chi resta dopo la morte. E' assai trito il proverbio: Che fa più lume un candeliere dinanzi, che una torcia dietro le spalle. Prevaletevi d'un sì bel ricordo, e ponderata ben bene l'eccellenza ed utilità della santa Messa, stupitevi della cecità, in cui siete vissuto sinora, non facendo la dovuta stima un sì gran tesoro, che purtroppo per voi è stato un tesoro nascosto. Adesso

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però che ne conoscete il valore, sbandite dalla vostra mente, e molto più dalla vostra lingua quelle proposizioni scandalose: una messa di più una messa di meno poco conta. Non è poco che ascolti la messa nei giorni di festa. La messa di quel sacerdote è la messa della settimana santa: quando egli comparisce all'altare, ed io me n'esco di chiesa; e rinnovate il santo proponimento di ascoltare di qui innanzi quante mai messe potete, e di ascoltarle colla dovuta divozione: ed acciò vi riesca, servitevi del seguente modo pratico e divoto. Dio vi benedica.

CAPITOLO II.

Metodo breve e divoto per ascoltare con frutto la santa messa. I. Fu opinione del Grisostomo (Homil. 3. de incomp. Dei nat.), conforme si è accennato di sopra nell'istruzione, ed è approvata e confermata da s. Gregorio nel quarto dei suoi dialoghi, che quando si celebra dal sacerdote la santa messa, si aprono i cieli, e scendono giù dall'empireo molte schiere di angeli per assistere al divin sacrificio. E s. Nilo abate discepolo del predetto s. Giovanni Grisostomo protesta, che celebrando il santo dottore, vedeva intorno all’altare una gran moltitudine di quei spiriti celesti, che assistevano ai ministri sacri in quella sì santa funzione. Or ecco il modo più proprio per assistere con frutto alla santa messa; andare alla chiesa come se si andasse al Calvario, e trattenersi dinanzi all'altare come dinanzi al trono di Dio in Compagnia dei santi angeli. Vedete dunque che modestia, che riverenza, che attenzione si esige da noi per riportarne il frutto e le benedizioni, che suole Iddio concedere a chi onora con un divoto contegno misteri sì sacrosanti. II. Si legge, che, mentre si celebravano dagli ebrei i sacrifizi dell'antica legge, nei quali non si sacrificavano che tori, agnelli, ed altri animali, pure era cosa degna di ammirazione il vedere con quanta applicazione, decoro e silenzio vi assisteva tutto il popolo; e benché vi fosse un numero senza numero di persone assistenti, oltre a settecento ministri, che sacrificavano, con tutto ciò pareva che il tempio fosse vuoto, mentre non si udiva un minimo strepito, né pure un sospiro. Or se tanto rispetto e venerazione si usava a quei sacrifizi, che alla fine non erano che una sola ombra, ed una semplice figura del nostro; che silenzio, che divozione, che attenzione non merita la santa messa, in cui lo stesso Agnello immacolato, il Verbo Divino si offerisce in sacrifizio per noi? Ben l'intendeva il glorioso s. Ambrogio, il quale conforme riferisce Cesario (l. I. Mirac. c. 30), celebrando la santa messa, dopo letto il vangelo si rivoltava al popolo, ed esortando tutti ad un raccoglimento di voto, intimava loro un rigorosissimo silenzio, non solo con por freno alla lingua, sino ad astenersi da ogni minima paroletta, ma voleva di più che raffrenassero la tosse, ed ogni altro strepito naturale. Ed in fatti era ubbidito, e chiunque assisteva alla sua messa, si sentiva, rapire come da un sacro orrore; ed era interiormente commosso, riportandone un gran frutto, ed accrescimento di grazia. III. Eccovi spianato il sistema di tutta la presente operetta, in cui altro non si pretende, che illuminare, e muovere chiunque si compiacerà di leggerla, ad abbracciare con fervore di spirito la pratica e metodo di ascoltare la santa messa, che qui viene descritto. Ma perché vari sono i modi, tutti divoti e santissimi, che finora sono stati assegnati per assistere alla santa messa, conforme si vede in vari libretti a questo fine dati alle stampe con sommo profitto dei fedeli, non intendo di violentare il vostro arbitrio; ma lasciandovi in libertà di eleggere quello che vi sembrerà più aggradevole e più conforme al vostro genio di voto ed alla vostra capacità, farò solamente con voi l'uffizio dell'angelo custode, con suggerirvi il più fruttuoso, cioè quello che, secondo il dettame del mio debole giudizio, potrà riuscirvi più utile e men gravoso. A questo fine ve li distinguerò in tre classi. IV. Il primo modo di ascoltare la santa messa è di coloro, i quali col libretto alla mano accompagnano con somma attenzione tutte le azioni del sacerdote: recitano ad ognuna di esse un'orazione vocale, che trovano descritta in quel libro, ed in questo modo passano tutta la messa

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leggendo, e non vi è dubbio, che se alla lettura va accoppiata la considerazione di quei santi misteri, è un modo molto eccellente per assistere al santo sacrificio, ed è altresì di gran frutto. Ma perché porta seco una somma soggezione, dovendo chi assiste attendere a tutte quelle sacre cerimonie che fa il sacerdote, e poi ritornare con l'occhio al libro per leggere l'orazione corrispondente a quel mistero, riesce in pratica non poco faticoso, e credo c che pochi perseverino e durino molto tempo a servirsi di questo metodo, benché utilissimo, stante la debolezza della nostra mente, che facilmente si stracca in dover riflettere sulla diversità di tante azioni che sull'altare si fanno dal sacerdote. Con tutto ciò chi se ne trova bene, e ne ricava il suo profitto spirituale, seguiti pure, perché ad una industria sì laboriosa non mancherà un competente premio appresso Dio. V. Il secondo modo di ascoltare la santa messa è di quelli, i quali non si servono dei libretti, né leggono cosa alcuna in tempo del divin sacrifizio, ma fissano l'occhio mentale avvivato dalla fede in Gesù crocefisso, ed appoggiati all'albero della croce ne raccolgono i frutti d'una dolce contemplazione, passando tutto quel tempo in un divoto raccoglimento interiore, con trattenersi mentalmente a considerare quei sacri misteri della passione di Gesù, che non solo si rappresentano, ma misticamente si operano in quel santo sacrifizio. Certo è, che questi, tenendo raccolte le potenze in Dio, vengono ad esercitare atti eroici di fede, di speranza, di carità, e d'altre virtù, e non v'è dubbio essere questo modo di ascoltar la mensa assai più perfetto del primo, ed anche più dolce e più soave, conforme l'esperimentò un buon religioso laico (Henr. in Inquis.), il quale soleva dire, che in ascoltare la messa egli non leggeva che tre sole lettere. La prima era nera, cioè la considerazione dei suoi peccati, che cagionava in lui confusione e pentimento; e questa meditava dal principio della messa sino all'offertorio. La seconda era rossa, cioè la meditazione della passione di Gesù, considerando quel preziosissimo sangue che Gesù sparse per noi sul Calvario, soffrendo sì acerba morte; ed in questa si tratteneva sino alla comunione. La terza era bianca, perché mentre il sacerdote si comunicava, egli si univa mentalmente col suo Gesù sacramentato, facendo la comunione spirituale, dopo la quale se ne rimaneva tutto assorto in Dio nella considerazione della gloria che sperava per frutto di quel divin sacrifizio. Questo idiota ascoltava la messa con molta perfezione, e vorrei che tutti imparassero da lui una sì alta sapienza. VI. Il terzo modo di ascoltare la santa messa con frutto contiene una via di mezzo, non esige la lettura di molte orazioni vocali, come si prescrive nel primo: né richiede uno spirito molto elevato in contemplazione come si professa da chi segue il secondo. Ma se ben si considera, è il più adattato, c conforme allo spirito della chiesa, la quale gode, che noi ci uniformiamo ai sentimenti del sacerdote celebrante, che deve offerire il sacrifizio per quei quattro fini accennati nella precedente istruzione; essendo questo al dire dell’Angelico, il modo più efficace per pagare i quattro gran debiti, che abbiamo contratti con Dio. Quindi è che esercitando voi in qualche modo 1'uffizio di sacerdote, quando assistete alla messa, dovete attuarvi, per quanto è possibile, nella considerazione dei quattro fini predetti, e vi riuscirà agevolissimo, se praticherete in tempo della messa le quattro offerte che qui di sotto vengono descritte. Se ne desiderate la pratica, eccola appunto. Portate per qualche tempo con voi il presente libretto, sino a tanto, che abbiate imparate dette offerte, o almeno vi siate ben bene imbevuto del senso delle medesime, non curandomi, che siate molto attaccato alle parole; ed uscita che sia la messa, mentre il sacerdote si umilia appiè dell'altare dicendo il Confiteor etc. ancor voi, fatto un breve esame, eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, chiedendo perdono a Dio dei vostri peccati, ed invocando l'aiuto dello Spirito Santo, e Maria Santissima, per ascoltare quella messa con tutta riverenza e divozione. Indi dividetela in quattro spazi di tempo, per pagare in essi i predetti quattro gran debiti nel modo e forma che segue. VII. Nel primo, che sarà dal principio sino al vangelo, pagherete il primo debito, di onorare e lodare la Maestà di Dio degna d'infinito onore, e d'infinite lodi. Pertanto umiliatevi con Gesù, e sprofondatevi col pensiero nel vostro nulla, confessate sinceramente il meschinissimo niente che siete avanti sì immensa Maestà, e ditele così umiliato nell'interno, ed anche nell'esterno (dovendo stare alla messa ben composto, e modesto).

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Ah mio Dio! Vi adoro, e riconosco per mio Signore, e padrone dell'anima mia: mi protesto, che tutto quello che sono, e tutto quello che ho, tutto lo riconosco da voi. E perché la somma maestà vostra merita un onore ed un ossequio infinito; ed io sono il più poverino impotente affatto per pagarvi questo gran debito: Vi offerisco le umiliazioni e gli ossequi, che vi rende Gesù sopra l'altare; ciò che fa Gesù, intendo di fare anch'io: Mi umilio e mi abbasso insieme con lui avanti la Maestà vostra: Vi adoro colle umiliazioni medesime, che vi fa Gesù: Godo, e mi compiaccio, che Gesù benedetto vi dia per me un onore ed un ossequio infinito. Chiudete poi il libro, e seguitate a far molti di questi atti interni di compiacenza, che Dio sia infinitamente onorato, e replicatelo più e più volte: Sì, mio Dio, mi compiaccio dell'onore infinito, che risulta alla Maestà vostra da questo santo sacrifizio: me ne compiaccio, ne godo quanto so e posso. Né vi curate di star attaccato alle parole postevi sopra; ma servitevi di quelle, che vi detterà la vostra divozione, standovene tutto raccolto ed unito con Dio. Oh quanto bene in questo modo, quanto bene pagherete il primo debito. VIII. Nel secondo spazio di tempo, che sarà dal vangelo sino alla elevazione, pagherete il secondo debito; e dando una breve occhiata ai vostri gravissimi peccati, e vedendo l'immenso debito, che per essi avete contratto colla Divina giustizia, ditegli con un cuore umiliato. Ecco, mio Dio, quel traditore, che tante volte si è ribellato contro di voi. Ohimè, che addolorato abomino e detesto col più vivo del mio cuore i miei gravissimi peccati e vi offerisco in sconto di essi la stessa soddisfazione, che vi dà Gesù sull'altare. Vi offerisco tutti i meriti di Gesù il Sangue di Gesù, tutto Gesù, Dio, ed uomo, che in qualità di vittima si sacrifica di nuovo per me; giacché il mio Gesù si fa su quell'altare mio mediatore, mio avvocato; e col suo preziosissimo Sangue implora da voi il perdono per me; mi unisco colle voci di quel Signore amoroso, e vi chiedo misericordia per tanti miei gravissimi peccati. Misericordia vi chiede il Sangue di Gesù, misericordia vi chiede il mio cuore addolorato. Deh caro mio Dio, se non vi muovono le mie lagrime, vi muovano i gemiti del mio Gesù: e quella misericordia, che ottenne per tutto l'umano genere sulla Croce, perché non dovrà ottenerla per me su quest’altare? Sì che lo spero, che in virtù di quel preziosissimo Sangue mi perdonerete tutte le mie gravissime colpe, che seguiterò a piangere sino all'ultimo respiro della mia vita. Chiuso il libro, replicate pure molti di questi atti di contrizione vera, intima, e veemente. Date pure sfogo ai vostri affetti, e senza strepito di parole, ma dentro del vostro cuore dite a Gesù: Caro Gesù mio, datemi le lagrime di Pietro, la contrizione della Maddalena, ed il dolore dei Santi, che una Volta peccatori, furono poi veri penitenti, acciò in questa messa ottenga un perdono generalissimo dei miei peccati. Fatene molti di questi atti tutto raccolto in Dio, e siate certo, che in questo modo pagherete compitissimamente tutti i debiti, che con tanti peccati avete contratto con Dio. IX. Nel terzo spazio di tempo, che sarà dall'elevazione alla comunione. rimirandovi ricolmo di tanti e sì rilevanti benefizi, in contraccambio di questi offerite a Dio un dono d'infinito valore, cioè il corpo, ed il Sangue di Gesù Cristo: anzi invitate tutti gli Angeli, e tutti i Santi, a ringraziare Dio per voi in questa, o somigliante maniera. Eccomi, amatissimo mio Dio, carico di benefizi e generali, e particolari, che mi avete fatti, e siete per farmi e nel tempo e nell'eternità: conosco, che le vostre misericordie verso di me sono state, e sono infinite; ma pure sono pronto a pagarvi di tutto sino all'ultimo soldo: eccovi però per gratitudine ed in pagamento questo divino Sangue, questo preziosissimo Corpo, questa vittima innocente, che io vi presento per mano del sacerdote. Quest'offerta, che io vi faccio son certo che basta per pagarvi di tutti i doni, che mi avete fatti: questo dono di valore infinito vale esso solo quanto tutti i doni, che ho ricevuti, ricevo, e son per ricevere da voi. Deh Angioli santi, e voi tutti Beati del cielo aiutatemi a ringraziare il mio Dio, ed offeritegli in ringraziamento di tanti benefizi non solo questa, ma tutte le messe, che attualmente si celebrano nel mondo tutto, acciò la sua amorosa beneficenza resti compitamente ricompensata per tante grazie, che mi ha fatte, ed è per farmi ora, e nei secoli dei secoli. Amen.

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Oh quanto si compiacerà il nostro buon Dio di sì affettuoso ringraziamento! Oh quanto resterà soddisfatto per questa sola offerta, che vale più che tutte le altre offerte, essendo di valore infinito! E per attuarvi maggiormente in sì divoto sentimento invitate lutto il Paradiso ad impiegarsi tutto per voi: invocate tutti i Santi, che avete in maggior divozione, e dite loro con voci intime del vostro cuore: O cari miei Santi avvocati, ringraziate la bontà del mio Dio per me, acciò non viva e muoia ingrato; deh supplicatelo che accetti il mio buon cuore, ed abbia riguardo agli amorosi ringraziamenti, che in questa messa gli fa il mio Gesù per me. Né vi contentate di dirlo una sola volta, ma replicatelo più, e più volte: ed assicuratevi, che in questo modo verrete a soddisfare compitamente a questo gran debito: e molto più vi riuscirà, se ogni mattina farete l'atto di offerta, che comincia: Eterno mio Dio, ec. e lo troverete nel fine di questa operetta, per offerire a questo fine tutte le messe, che si celebrano nel mondo tutto. X. Nel quarto spazio di tempo, che sarà dalla comunione sino all'ultimo, dopo aver fatta la comunione spirituale in tempo, che il sacerdote si comunicherà sacramentalmente; nel modo e forma, che v'insinuerò nel fine di questo capitolo: risguardate Dio dentro di voi e poi fatevi un gran cuore per dimandargli molte grazie, sapendo, che in quel tempo Gesù si unisce con voi, e prega, e supplica anch'egli per voi; e perciò. dilatate il cuore, e non dimandate cose di poco momento, ma dimandate grazie grandi, essendo altresì grande l'offerta, che voi gli fate del suo Divin Figliuolo, e però ditegli con un cuore umiliato. Caro mio Dio, pur troppo mi riconosco indegno dei vostri favori: confesso la mia somma indegnità, e che per tanti, e sì gravi peccati non merito di esser esaudito. Ma come potrete non esaudire il vostro Divin figliuolo, che sull'altare prega per me, e vi offerisce la sua vita, ed il suo sangue per me? Deh amatissimo mio Dio udite i prieghi di questo mio grande avvocato, ed in suo riguardo concedetemi tutte le grazie, che conoscete necessarie per compire il grande affare della mia eterna salute. Adesso sì, che mi faccio cuore a dimandarvi un perdono generale di tutti i miei peccati, la grazia della perseveranza finale nel bene; anzi vi addimando, mio Dio, confidato nei prieghi del mio Gesù, tutte le virtù in grado eroico, tutti gli aiuti efficaci per farmi un vero santo: vi addimando la conversione di tutti gl'infedeli, e di tutti i peccatori, e particolarmente di quelli, che mi appartengono per congiunzione di sangue; o per affinità spirituale: vi chiedo la liberazione non di un'anima sola, ma di tutte le anime del purgatorio: cavatele fuori tutte, affinché con l'efficacia di questo divin sacrifizio rimanga vuoto quel carcere dei purganti: e convertite tutte le anime dei viventi, questo misero mondo diventi un paradiso di delizie per voi, dove amato, riverito, e lodato nel tempo da tutti noi, veniamo poi a lodarvi, e benedirvi per tutta l'eternità. Amen. Dimandate pure, dimandate e per voi, e per i vostri figliuoli, e per i vostri amici, parenti, e conoscenti; dimandate per ottenere il sovvenimento di tutti i vostri bisogni sì spirituali, come temporali; anzi dimandate la pienezza di tutti i beni, ed il sollievo da tutti i mali per la santa chiesa, e non dimandate con tiepidezza, ma con fiducia grande, e siate sicuro, che le vostre preghiere unite colle preghiere di Gesù saranno esaudite. Terminata la santa messa, fate un atto di ringraziamento a Dio con l'Agimus tibi gratias etc. ed uscitevene di chiesa col Cuore compunto, come se scendeste dal Calvario. Or ditemi adesso: se tutte le messe, che avete ascoltate finora, le aveste ascoltate in questo modo, di quanti tesori vi sareste arricchita l'anima? Oh che gran perdita voi avete fatta mentre avete ascoltata la santa messa guardando qua e là, e mirando chi entra, e chi esce di chiesa, e talvolta ancora ciarlando, e mezzo che dormendo; o al più masticando alla peggio poche orazioni vocali, senza punto di raccoglimento interiore. Risolvetevi dunque ad abbracciare questo modo soavissimo, ed agevolissimo di ascoltare la messa con frutto, e che consiste in pagare i quattro gran debiti, che avete contratto con Dio, e siate sicurissimo, che in poco tempo farete un acquisto dovizioso di grazie singolarissime, né vi cadrà più in pensiero di dire: Una messa di più, una messa di meno, poco conta. XI. In quanto al modo di fare la Comunione spirituale in tempo, che il sacerdote si comunica nella messa, conforme si accennò di sopra: conviene sapere la dottrina del sacro Concilio di Trento, il quale dice, che l'uomo può ricevere il santissimo Sacramento in tre maniere. La prima solo

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sacramentalmente; la seconda solo spiritualmente; la terza sacramentalmente e spiritualmente. Qui non si parla della prima, la quale è di coloro, che si comunicano in stato di peccato mortale, come fece Giuda, nemmeno della terza comune a tutti quelli, che si comunicano in grazia, ma si parla della seconda propria di coloro, dice il sacro Concilio: Qui voto propositum illum coelestem panem edentes, fide viva, quae per dilectionem operatur; fructum ejus, et utititatem sentiunt: (Sess. 13. cap. 8) i quali non potendo ricevere sacramentalmente il corpo del Signore, lo ricevono spiritualmente con gli atti di una viva fede, e fervente carità, e con un sommo desiderio di unirsi a quel sommo Bene; e con questo mezzo si rendono capaci di ricevere il frutto di questo divin Sacramento. Per facilitare la pratica di un tanto bene, ponderate quanto son per dirvi. Allorché il sacerdote sta per comunicarsi nella santa messa, voi stando ben composto sì nell'interno, come nell'esterno, eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, e picchiandovi umilmente il petto, in segno che vi riconoscete indegno di sì gran grazia, fate tutti quegli atti di amore, di offerta, d'umiltà, con tutto il resto, che solete fare quando vi comunicate sacramentalmente, e poi desiderate con vivo desiderio di ricevere il buon Gesù sacramentato per vostro bene. E per ravvivare la vostra divozione, immaginatevi, che Maria santissima, o qualche vostro santo avvocato vi porga la santa particola: figuratevi di riceverla: ed abbracciando Gesù nel vostro Cuore, replicate più e più volte con parole intime dettate dall'amore: Venite caro Gesù mio, venite dentro questo povero mio cuore, venite e saziate le mie brame: venite, e santificate l'anima mia; venite Gesù dolcissimo venite. E ciò detto, fate silenzio, rimirate il vostro buon Dio dentro di voi; e come se realmente vi foste comunicato, adoratelo e ringraziatelo, e fate tutti quegli atti, che solete fare dopo la comunione sacramentale. Or sappiate, che questa benedetta e santa Comunione spirituale sì poco praticata dai cristiani dei nostri tempi, è un tesoro che vi riempie l'anima di mille beni: e conforme dicono vari autori, (P. Rodrig. Parte 2. Eserc. Perf. Tract. 8. c. 15) è così utile, che può produrre quelle grazie stesse, che produce la Comunione sacramentale, anzi maggiori. Imperocché sebbene la Comunione sacramentale, cioè quando realmente ricevete la sacra particola, di sua natura è di maggior frutto, perché essendo sacramento, ha la virtù ex opere operato: tuttavia può un'anima con tanta umiltà, amore e divozione, fare la sua Comunione spirituale, che meriti maggior grazia di quello meriti un'altra, la quale si comunichi sacramentalmente, ma non con tanta e squisita disposizione. Quindi è, che il nostro Salvatore gradisce tanto questo modo di comunicarsi spiritualmente, che molte volte con evidenti miracoli si è compiaciuto di benignamente esaudire le pie brame dei suoi servi; ora comunicandoli colle sue proprie mani, come accadde alla B. Chiara da Montefalco, a santa Caterina da Siena, ed a santa Liduina: ora per mano degli angeli, come avvenne al mio Serafico dottore san Bonaventura, e ad altri due santi vescovi, Onorato e Firmino: (In Vit. eorum) e talvolta ancora per mezzo della gran madre di Dio, che colle proprie mani volle comunicare il B. Silvestro. Né dovete meravigliarvi di queste amorose finezze, perché la Comunione spirituale infiamma l'anima di amor di Dio, l'unisce con Dio, e la dispone a ricevere i più segnalati favori. Come mai dunque al riflesso di queste verità vi rimanete sì freddo ed insensato? E quale scusa potrete mai addurre per esentarvi da una pratica sì divota? Deh finite una volta di risolvervi, e però avvertite, che questa santa Comunione spirituale dà a voi questo vantaggio sopra la Comunione sacramentale, che la Comunione sacramentale non può farsi che una volta il giorno, ma la Comunione spirituale potete farla tante volte, quante sono le messe che ascoltate, ed anche fuori della santa messa, e mattina e sera, e giorno e notte, in chiesa ed in casa; senza che abbiate bisogno di licenza del confessore: in somma quante volte voi praticherete quanto di sopra si è prescritto, altrettante volte farete la Comunione spirituale, e vi arricchirete di grazie, di meriti, e di ogni bene. Or ecco il fine di questa tenue operetta; ed è d'inserire nel cuore di tutti quelli, che la leggeranno, un santo desiderio che s'introduca nel mondo cattolico l'uso di ascoltare ogni giorno colla più soda pietà e divozione la santa messa, ed ogni volta che si ascolta la messa di fare la Comunione spirituale. Oh che gran bene, se si ottenesse questo santo fine! Spererei di vedere rifiorire nel mondo tutto quel santo fervore, che si ammirò in quel secolo d'oro della primitiva chiesa, allorchè i fedeli ogni giorno assistevano al santo sacrifizio, ed ogni giorno si comunicavano sacramentalmente. Se voi non siete degno di tanto, almeno almeno ascoltate ogni giorno la santa messa, ed ogni giorno

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comunicatevi spiritualmente. Se mi riesce di guadagnar voi, mi figurerò di aver guadagnato il mondo tutto, e darò per ben impiegata questa mia debole fatica. Ma per togliere via tutte le scuse, che sogliono addursi da alcuni per non ascoltare la santa messa, nel seguente capitolo si apporteranno vari esempi adattati ad ogni sorta di persone, acciò tutti intendano che se si privano di sì gran bene, è per loro colpa, tiepidezza e svogliataggine nel ben operare, e non sarà poco il rammarico che ne proveranno in punto di morte.

CAPITOLO III.

Vari esercizi per indurre tutti i fedeli d'ogni stato e condizione, ad ascoltare ogni mattina la santa messa.

Molte sono le scuse che favoriscono la tiepidezza di coloro che di mala voglia s'inducono ad ascoltare la santa messa. Voi li vedrete tutti in faccende, tutti ansiosi ed intenti a promuovere interessi di fango; per questi ogni fatica è leggiera, né vi è incomodo che li trattenga: dovechè per ascoltare ]a santa messa, che è l'affare supremo di tutti gli affari, li vedrete svogliati e freddi, con cento pretesti frivoli alla mano, di occupazioni gravi, di poca sanità, d'intrighi di famiglia, scarsezza di tempo, molteplicità di negozi ecc. In somma, se la santa chiesa non gli obbligasse sotto pena di peccato grave ad ascoltarla almeno nei giorni festivi, Dio sa, se mai visitassero una chiesa, o piegassero un ginocchio avanti ad un altare. Oh vitupero! Oh disgrazia somma dei nostri tempi! Miseri noi! Quanto siamo declinati dal fervore di quei primi fedeli, i quali, conforme si è detto di sopra, ogni giorno assistevano al santo sacrifizio, e si ricreavano col pane degli angeli, comunicandosi sacramentalmente. E pure non mancavano loro e faccende, e negozi ed occupazioni: anzi con questo mezzo incamminavano bene i loro negozi ed interessi, sì temporali come spirituali. Mondo cieco, quando aprirai gli occhi per conoscere un sì palpabile errore! Via su risvegliatevi tutti; e sia questa la nostra divozione più cara, la più diletta; cioè ascoltare ogni giorno la santa messa, con far in essa la santa Comunione spirituale. Per ottenere un sì santo fine non trovo mezzo più efficace che l'esempio; essendo massima irrefragabile, che noi tutti vivimus ab exemplo; e ci si rende facile ed agevole tutto ciò, che vediamo fare agli altri nostri consimili. Tu non poteris, rimprovera se stesso il P. s. Agostino: tu non poteris quod isti, et istae? (Conf. l. 8. c. II). Ne addurremo dunque alcuni spettanti a varie sorte di persone, ed in questo modo spero che guadagneremo tutti.

§. I.

Esempi per muovere i sacerdoti a celebrare ogni mattina, fuorché in caso di legittimo impedimento.

Un’istorietta venuta a mia notizia spianerà questo primo paragrafo degli esempi spettanti ai sacerdoti; ed è, che un sacerdote, il quale per una grave ferita fattasi nel dito indice della mano, restò impedito dal celebrare per due mesi: e dove che prima diceva la messa ogni dì, non ne lasciando neppure una; lo credereste? In que' due mesi benché vi corressero feste, segnalatissime, non si comunicò neppure una volta, nemmeno ascoltò mai una messa nei giorni feriali. Ma perché ? Ve lo dirò: per comunicarsi semplicemente e per ascoltare la messa, non corre il giulio come per celebrarla. Oh avarizia sordida dei sacerdoti, che vivono dimenticati del loro sublimissimo stato! Questo è un volere che il cielo serva alla terra; e un rovesciare tutte le leggi e tutto il buon ordine

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dell'economia spirituale, con dar a divedere che si stima più un giulio, che Dio. Non dico che non sia dovuto lo stipendio a chi celebra, perché qui altari inservit de altari vivere debet; ma non ha da essere questo il fine del celebrante. Adunque risvegliatevi, o sacerdoti di Cristo, e procurate in primo luogo, che sia semplice e puro l'occhio della vostra intenzione, risguardando Dio puramente: e però, prima di dar principio alla santa messa, rinnovate almeno mentalmente i quattro fini accennati di sopra e prescritti dall'Angelico, e nel Memento, dopo aver applicato il sacrifizio per quelli ai quali siete obbligati, fate in succinto quelle offerte all'Altissimo, indirizzandolo a quei santi fini, per i quali è stato istituito; cioè per onorare Dio, per ringraziarlo, per soddisfarlo, e per impetrare dalla sua bontà tutti i beni. Indi usate ogni diligenza per celebrare con tutta modestia, raccoglimento ed attenzione, posatamente, senza affrettarvi; e ponendovi tutto quel tempo, che è necessario per pronunziar bene e distintamente tutte le parole, e far compitamente tutte le cerimonie colla gravità e convenienza che si deve: attesochè se le parole non sono proferite articolarmente, e le cerimonie non sono fatte con decenza e maturità, in vece di essere istrumento di pietà e di religione, sono materia di scandalo a chiunque le osserva. Un buon consiglio è, che il sacerdote procuri di tener il suo interno ben raccolto, attendendo al senso delle parole che proferisce, con gustarne il significato, e formar nel suo interiore atti di varie virtù che a quello corrispondano. Allora sì, che influirà gran divozione negli astanti, e ne riporterà un gran profitto per se stesso. Supposto tutto questo, ogni sacerdote deve prendere questa ferma e costante risoluzione di celebrare ogni mattina la santa messa; poiché se nella primitiva chiesa i laici si comunicavano ogni giorno, con quanto maggior ragione dobbiamo credere che celebrassero ogni dì i sacerdoti? Quotidie immolo Deo Agnum immuculatum, disse sant'Andrea apostolo al tiranno: Io offerisco ogni giorno a Dio l'Agnello. immacolato; (Ex Sur. 30. Nov.). E s. Cipriano in una sua Epistola dice: Sacerdotes qui sacrificium Deo quotidite immolamus. Noi sacerdoti che celebriamo ed offeriamo giornalmente il sacrifizio a Dio; (Ep. 54.). E s. Gregorio Magno (Hom. 27, in Evang.) racconta di s. Cassio vescovo di Narni, che costumando di dire la messa ogni dì, comandò, Iddio ad un suo cappellano, che gli dicesse da sua parte che faceva molto bene, e che la sua divozione gli era molto grata, e l'avrebbe ricompensata ampiamente nel santo paradiso. Al contrario quei sacerdoti, che per mera negligenza lasciano di celebrare, chi mai potrà ridire il gran danno che arrecano a tutta la chiesa? È notissima la sentenza del venerabile Beda: Sacerdos qui absque legitimo impedimento missae celebrationem omittit, quantum in ipso est, sanctissimam Trinitatem privat laude et gloria; angelos laetitia; peccatores venia; justos auxilio, et gratia; existentes in Purgatorio subsidio ef rifrigerio: Ecclesiam ipsam ingenti beneficio; et seipsum medicina et remedio. Il sacerdote, che senza legittimo impedimento lascia di celebrare ogni giorno, per quanto è in lui, priva la Santissima Trinità di lode e gloria; gli angioli di allegrezza; i peccatori di perdono, i giusti di aiuto e grazia; le anime del Purgatorio di suffragio e refrigerio; la chiesa d'un immenso beneficio; e se stesso di medicina e rimedio. Dove mi troverete voi un ladro sì famoso, che tutti in un colpo faccia furti di sì gran rimarco, quanti ne fa un sacerdote, che non impedito lascia di celebrare, e ruba tanto bene ai vivi, ai morti, ed a tutta la chiesa? Né vale la scusa delle troppe occupazioni. Il B. Ferdinando arcivescovo di Granata, che era insieme primo ministro di quel regno, ed in conseguenza occupatissimo, pure celebrava ogni mattina. Il cardinale di Toledo l'avvisò (Rodrig. Eser. Perf; Ps. 2. Tracr. 7 c. 16) che per la corte si mormorava di lui, che, oppresso da tanti negozi, celebrava ogni giorno. Appunto per questo, rispose il servo di Dio, avendomi l'Altezze Vostre posto su le spalle un peso sì esorbitante, non trovo miglior sostegno, per non cadere a terra, che il santo sacrifizio della messa, da cui cavo forze e vigore, per tirar innanzi l'impiego da loro impostomi. Molto meno vale una certa specie di umiltà. S. Pietro Celestino, per il gran concetto, che aveva dell'altezza di sì gran mistero, voleva astenersi dal celebrare ogni giorno: gli comparve un s. Abate, (Sur. in Vit. ipsius c. 3) da cui aveva ricevuto l'abito di monaco, il quale gli disse in tuono di voce imperiosa: «e qual Serafino mi troverete voi in tutto l'empireo, che sia degno di celebrare? Iddio ha fatto ministri del santo sacrificio gli uomini; e non gli angioli, è come uomini sono soggetti a mille imperfezioni. Umiliatevi sì, ma celebrate ogni giorno, perché tale è la volontà di Dio. Con tutto ciò, acciò la frequenza non sminuisca la dovuta riverenza, dovete sforzarvi d'imitare quei santi, che

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spiccarono maggiormente nella modestia ed attenzione, in sì santo ministero. Il grande e famoso arcivescovo sant'Erberto nel celebrare era tocco da una divozione sì straordinaria, che sembrava un angelo di paradiso» (In vita eorum). Il beato s. Lorenzo Giustiniano nel dire la santa messa restava come immobile, i suoi occhi si vedevano rugiadosi di lagrime, ed il suo spirito tutto rapito in Dio. Ma sopra tutti s. Francesco di Sales. Non si è veduto ecclesiastico, che sia stato all'altare con maggior maestà, con maggiore riverenza e raccoglimento, di quello ch'è spiccato in lui: appena si vestiva degli abiti sacerdotali, che si spogliava subito di tutti gli altri pensieri: posto il piè sul primo gradino dell'altare, il suo interiore ed esteriore, prendevano una maniera tutta angelica, che rapiva chiunque a rimirava. Ma come mai questi Santi trovarono un sì gran pascolo spirituale in celebrare la santa messa? Perché celebravano come se fossero alla presenza di tutta la corte del Cielo; conforme avvenne a san Bonito vescovo di Clermonte, che standosene una notte ritirato in chiesa, comparve in quel tempio la gran Vergine con una gran comitiva di Santi: alcuni di questi dimandarono alla gran Signora, chi, aveva da celebrare la santa messa? Rispose: Bonito mio servo diletto. Il santo prelato in sentirsi nominare si ritirò indietro per il timore, volendo nascondersi, ed il sasso, a cui stava appoggiato, con stupendo miracolo si ammollì, e prese le impressioni del corpo del santo, che anche adesso vi si vedono scolpite: ma la sua umiltà non giovò ad altro, che a renderlo più degno. Gli convenne celebrare in presenza della gran Madre di Dio, servito dà tutti quei cittadini del cielo. Dopo la messa la Santissima Vergine gli diede un camice bianchissimo d'una tela sì fina, che non si trova cosa, che possa pareggiarla; ed anche oggidì si mostra come una preziosa reliquia. (Sur. 15. Jun.). Or ditemi; con che modestia, raccoglimento, ed amore avrà celebrata quella messa? Che se questo esempio vi pare troppo sublime, e voi prendete la forma di celebrare dal glorioso san Vincenzo Ferreri, il quale celebrava ogni giorno prima di predicare, e due cose portava all'Altare: una somma purità interiore, ed un'estrema pulitezza esteriore. (In ejus vita). Per ottenere la prima si confessava ogni mattina; e questo vorrei da voi, o sacerdote, che cercate il maggior gusto di Dio nel trattare sì sovrani misteri. Gran cosa! alcuni spendono le mezze ore di tempo in leggere libricini per prepararsi al santo sacrifizio, quando con breve esame, e con eccitarsi ad un vero dolore di qualche peccato della vita passata (non avendo altra materia) potrebbero acquistare una sì gran purità di cuore. Ecco la preparazione più nobile, che possiate fare per la santa messa: confessarvi ogni mattina. Togliete via tutti gli scrupoli, e non disprezzate questo mio consiglio. Oh che acquisto dovizioso di meriti farete mai! Oh quanto mi ringrazierete quando ci troveremo nella beata Eternità! Per ottenere la seconda. voleva il santo, che l'Altare fosse adornato con pompa e decoro; e celebrando ordinariamente alla presenza d'immenso popolo, esigeva una somma pulitezza in tutte le suppellettili, ed arredi sacri. Or qui lasciatemi piangere, mentre girando in varie parti colle missioni, trovo bene spesso in molte chiese, non solamente di villa, ma eziandio di città principali, o sia per avarizia, o sia per negligenza, ed irreligiosità dei ministri, trovo dissi, paramenti, corporali, purificatori, ed altre biancherie sì sozze e macchiate, che fanno stomaco, e nausea sì ai sacerdoti, come ai secolari, che non posso vederle senza orrore. Nimis videtur absurdum, dice il sacro Concilio Lateranense, in sacris sordes negligere, quae dedecerent etiam in profanis: (C. Relinqui de custod. Euch.). Non posso soffrire un sì gran disordine; e però voi sagrestani, voi rettori, voi parrochi, voi cito al tribunale di Dio per render conto d'un inconveniente sì orribile. Chi vi può scusare da colpa grave, mentre vi servite per l'altare di ciò, che aborrireste in una mensa profana? E voi che fate, o vescovi, prelati, visitatori? Perché, quando nelle vostre visite trovate purificatori sordidi, corporali mezzo che rosi da tarli, veli sdruciti, perché non li stracciate in faccia ai parrochi negligenti? Perché non li castigate con pene rigorose! Voi mi direte, che trovate sempre ogni cosa pulita, e bene in assetto. V'ingannano, credete a me, v'ingannano: e però servitevi dello stratagemma d'un zelantissimo prelato, quale trovando in visita una sagrestia provvista di arredi nobilissimi, pianete di broccato d'oro, camici fini, ed altre simili suppellettili in sommo preziose: or bene, disse al parroco, vi comando sotto pena di sospensione a Divinis, ipso facto incurrenda, che non permettiate, che veruna di queste suppellettili sacre si porti via, sotto qualsivoglia pretesto, dalla

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vostra chiesa. Fu altro questo, che pagar il nolo di quello, che aveva preso ad imprestito dai suoi amici? Io concedo, che la povertà di molte chiese scusi dagli ornamenti ricchi, intessuti di seta e d'oro; ma come può scusare dalla dovuta pulitezza e decenza? Il mio serafico padre s. Francesco era dotato di tanto zelo verso sì sacrosanto mistero, che se bene innamorato della santa povertà, voleva però, che le sagrestie, e gli altari si mantenessero in Sommo grado puliti, e molto più le suppellettili sacre, che servono immediatamente al divin Sacramento: anzi egli stesso si metteva bene spesso a scopare con somma diligenza le chiese. S. Carlo nelle sue ordinazioni si mostra tanto esatto in cose che sembrano minuzie, che per verità fa stupire chiunque legge. E per concludere, la stessa gran madre di Dio ha voluto in persona farci intendere questa convenienza, mentre comparsa a S. Brigida, le disse: Missa dici non debet nisi in ornamentis mundis. (Revel. S. Brigid. l. 6. c. 46). Non si deve celebrare la santa messa, che con paramenti puliti, che spirino divozione colla loro decenza e mondezza. Prima di terminare questo primo paragrafo, resta a dire qualche cosa del ministro, che sene alla messa. Ai tempi nostri quest'uffizio s'impone ai ragazzi, e persone idiote, quando le prime teste coronate non sarebbero degne di tanto onore. S. Bonaventura dice, che questo è uffizio angelico perché nel santo sacrifizio molti angeli vi assistono, che servono a Dio in quel santo ministero. (Ex. lib. 5. Spirit grat.). La gloriosa santa Metilde vide l'anima di un fratello laico ornata di mirabile splendore, perché con somma diligenza s'era esercitato in servire a tutte le messe, che mai poteva. E san Tommaso d'Aquino, che fu il sole delle scuole, perché conosceva il tesoro nascosto, che portava seco quest'uffizio di servire al divin sacrifizio; dopo aver celebrato, non era contento, se non s'impiegava a servire un'altra messa. (Sur. in Vita S. Thom. Aqu.). E Tommaso Moro gran cancelliere d'Inghilterra aveva poste le sue delizie in questo santo impiego di servire alle messe, e perché un giorno fu rimproverato da un primate del regno; con dire, che al re Enrico sarebbe spiaciuta quella di lui bassezza, rispose il Moro: Domino meo Regi displicere non potest, quod ipsius Regis Domino obsequium impendo. Non può dispiacere al mio re l'ossequio, che presto al padrone dello stesso re, anzi al re dei re, e signore dei signori (Corn. a Lap. in c. 16. n. 11). Si confondano quelle persone, talvolta anche religiose, che si fanno pregare, e ripregare per servire alle messe: quando dovrebbero fare a gara, e strapparsi di mano i messali, per aver l'onore d'impiegarsi in uffizio sì divoto, che fa invidia agli stessi angeli e beati del cielo. Si deve bensì usare ogni diligenza, acciò chi serve alla messa sia bene istruito nel suo impiego: deve stare con gli occhi bassi, con composizione esterna, grave e divota; deve proferire le parole distinte, adagio con voce né sì bassa, che dal sacerdote non si senta, né sì strepitosa, che dia noia agli altri, che celebrano nei vicini altari; e però dovrebbero escludersi certi ragazzetti troppo leggieri, che fanno dei giuocolini e tumulti, con sommo disturbo del sacerdote: e prego Dio, che illumini gli uomini più sensati ad impiegarsi in sì santo e lodevole uffizio; anzi i più nobili, e più prudenti dovrebbero dare esempio agli altri.

§. II.

Di vari Principi, Re, ed Imperatori.

Gli esempi i dei grandi sogliono muovere assai più, che la pietà benché singolare dei privati, essendo più che vero l'assioma comune: Regis ad exemplum totus componitur orbis. Ed oh! che serie ben lunga ne potrei stendere per animar tutti a seguire le loro vestigia, con ascoltare ogni giorno la santa messa! Ne toccheremo alcuni così di passaggio. (Ref. gen. in ann. 32. ex tripl. l. I. c. 9) Costantino il grande non solo ascoltava messa ogni giorno nel suo palazzo, ma mentre andava a qualche impresa, fra gli strepiti di Marte, ed i rumori delle armi, conduceva seco un altare portatile, e vi faceva continuamente celebrare, e con questo mezzo riportò segnalatissime vittorie. Lo stesso

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osservò costantemente Lotario imperatore, il quale, o fosse tempo di pace, o di guerra, ogni giorno voleva ascoltare tre messe. E il pio re d'Inghilterra Enrico III ogni giorno ascoltava parimenti tre messe con somma esemplarità di tutta la sua corte: Singulis diebus tres missas cum nota audire solebat, et plures audire cupiens, privatim celebrantibus assidue assistebat. (Matt. de Par. hist. Ang. Pag. m. 679) E però fu premiato dal Signore anche temporalmente, con aver maneggiato lo scettro cinquantasei anni. Benché per mettere in mostra la pietà dei monarchi inglesi, e la loro assiduità in ascoltare la santa messa, non è d'uopo ricorrere ai secoli trasandati; basta fissare lo sguardo nell'anima grande di Maria Clementina piissima regina, la di cui perdita, Roma non ha ancor finito di piangere; questa, conforme ebbe più volte la bontà di confidarmi, aveva poste tutte le sue delizie nell'assistere al divin sacrifizio, e però ascoltava ogni giorno quante messe mai poteva, e vi assisteva immobile, senza cuscini, senza appoggi, come se fosse una vera statua della pietà; e da sì divota assistenza le si accese nel cuore un amore sì sviscerato verso Gesù sacramentato, che ogni giorno voleva trovarsi presente a tre, o quattro benedizioni del Santissimo, che si davano in varie chiese, facendo correre a tutta carriera per le strade di Roma la sua carrozza, a fine di arrivare in tempo a tutte. Ed oh! quante lagrime sparse questa buona signora per saziare la fame di quel pane angelico! fame sì veemente, che la faceva languire notte e dì; perché il suo cuore si sentiva ad ogni ora trasportato dove aveva fisso il suo amore: e pure permise Iddio, che non fossero esaudite le sue premurose istanze, e lo permise per rendere eroico il suo amore, anzi per farla martire dell'amore; poiché a mio credere, questo le accelerò la morte, conforme ricavo evidentemente dall'ultima lettera, che già languente mi scrisse. Il certo si è, che se le fu tolta la frequente comunione, non le fu tolto il merito, perché quello sfogo amoroso, che non poteva avere nella comunione sacramentale, lo trovava nella comunione spirituale, che non solo in tempo di messa, ma più e più volte fra il giorno ripeteva con sommo contento del suo cuore, praticandola per appunto nella forma prescritta nel capitolo precedente. Or ditemi: quest'esempio sì sublime, che può dirsi oculare, perché veduto da noi, ed ammirato ai giorni nostri da tutta Roma, non basta per strozzar in gola tutte le scuse a coloro, i quali provano sì gran difficoltà in ascoltare ogni giorno la santa messa, ed in fare la comunione spirituale? se bene non mi basta, che imitiate questa buona regina nell'impiegare il cuore in vivi desideri di ricevere Gesù sacramentato, ma vorrei, che l'imitaste nell'impiegare le mani nei lavori, ch'essa bene spesso faceva per provvedere le chiese povere di suppellettili sacre: esempio imitato in Roma da molte dame e signore, che si prendono per loro ricreazione il lavorare colle proprie mani vari arredi sacri per ornamento delle chiese: e fuor di Roma da una gran principessa di altezza, di gran sangue, e di non minor pietà, che ascolta ogni mattina più messe, e bene spesso tiene impiegate le sue damigelle in far lavori per servizio dell'altare, sino a consegnare casse intiere di corporali, purificatori, e simili suppellettili ai missionari, e predicatori, acciò le distribuiscano per le chiese povere, e dappertutto si offerisca a Dio questo divin sacrifizio colla dovuta pompa, pulitezza, e decoro. Mi sia lecito adesso qui esclamare: Sovrani della terra, ecco il modo di assicurarvi il cielo. E che fate di grazia, che fate? perché non aprite la mano, per fare spiccare la vostra liberalità con abbondanti limosine in benefizio di tante chiese sì bisognose! Non occorre dire, che l'erario è assai scarso, i dazi non fruttano, le rendite ogni giorno più si sminuiscono. Vi troverò io il modo facilissimo di provvedere agli altari, senza pregiudicare al decoro del vostro stato. Eccolo agevole, cd alla mano. Un cavallo di meno in stalla, uno staffiere di meno intorno alla carrozza, un centinaro di meno per la villeggiatura; ed ecco fatto un grosso peculio per sovvenire alle necessità di tante povere cure. Voi intimate diete, radunate congressi, fate consulte, e consigli di guerra per assicurare le vostre province, e pure non vi riesce; dove che un pensiero, che vi suggerisca un mezzo termine opportuno, aggiusta un negozio, e quel negozio aggiustato vi assicura un regno. Ma quel pensiero si profittevole di dove viene? da Dio, capitelo bene, da Dio. E qual è il mezzo più efficace, per ottenerlo? La santa messa. Ascoltate dunque più messe, fatene altresì celebrar molte, e provvedete gli altari di vasi sacri, di suppellettili preziose, e proverete sopra di voi una provvidenza di Dio meravigliosissima, che assicurerà i vostri stati, e vi renderà felici, e nel tempo, e nell'eternità.

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Concludiamo questo paragrafo, con l'esempio di san Venceslao re di Boemia, (In ejus Vit.) che se non in tutto, almeno in parte dovrebbe imitarsi da tutti voi. Questo santo re non si contentava di assistere ogni giorno a più messe genuflesso sul nudo suolo: né di servire in persona ai sacerdoti sacrificanti con maggior umiltà di qualsisia chierico di prima tonsura; ma di più contribuiva ai sacri altari, le più ricche gioie del suo tesoro, e i più preziosi drappi della reale suppellettile. Costumava inoltre fare di propria mano le ostie che dovevano servire nel santo sacrifizio: a questo fine senza riguardo alla regia dignità, egli medesimo impiegava le sue mani destinate a maneggiar scettri, in coltivare un campo, reggere l'aratro, seminare il frumento, raccogliere la messe; indi macinava il grano, sceglieva la farina per cuocere e formar le ostie, che dovevano servire per la consacrazione, le quali poi presentava con umilissima riverenza ai sacerdoti, acciò le convertissero nel divinissimo corpo del salvatore. Oh mani degne d'avere lo scettro dell'universo! Ma qual ricompensa gli fruttò una sì tenera divozione? Permise Iddio, che Ottone I Imperatore concepisse verso questo santo re una benevolenza senza pari, sino a concedergli la facoltà d'imprimere nel suo scudo la divisa imperiale dell'aquila nera in campo bianco, grazia non concessa ad altri principi. Così Iddio per mezzo dell'Imperatore volle rimeritare la gran pietà di Venceslao, verso il divin sacrifizio. Ma molto più fu rimunerato dal re del cielo, quando per mezzo d'un gloriosissimo martirio gli fu concesso un gran diadema di eterna gloria: ed eccolo per l'affetto sviscerato alla santa messa doppiamente coronato e in questo mondo, e nell'altro. Riflettete, e risolvete.

§. III.

Per le signore Dame.

Una Dama, che entra in chiesa tutta pomposa, ed abbigliata con vari ornamenti, si tira dietro tutti gli occhi, e non voglia Dio, tutti i cuori, rubando a Dio le adorazioni. Quindi è, che non occorre addurre esempi per indurre le signore dame ad ascoltare ogni giorno la santa messa; purtroppo sono inclinate a frequentare le chiese: il punto sta, che si dia loro ad intendere, con qual modestia, e riverenza devono trattenersi nella casa di Dio, particolarmente quando si celebra il santo sacrifizio; attesochè quanto mi edificano molte gentildonne, e signore romane, le quali compariscono avanti gli altari con abiti positivi, senza pompa, ed artifiziosi abbigliamenti, altrettanto mi scandalizzano certe vanarelle, le quali con cimieri in campo, e con un brio da teatro, vogliono essere le dee delle chiese. Per riscuotere da queste un timore riverenziale dovuto alla sacrosanta messa, servirà una mirabile visione, che ebbe la Beata Ivetta nobile Fiamminga, (Bolland. in vita B. Ivet. 13. Jan. cap. 40) la quale udendo la messa, vide il portentoso spettacolo d'una dama assai riguardevole, che le stava a Iato. Costei teneva bensì gli occhi curiosi verso l'altare; ma non già per attendere al sacrificio, o per adorare il Sacramento, che pretendeva di ricevere; ma per dar pascolo all'impudico suo affetto. D'intorno le stavano alquanti diavoletti menando danze, e facendo tripudi. Quando si levò per accostarsi più all'altare; chi di quei diavoletti le alzava lo strascico della veste da terra; chi le offriva il braccio per appoggio; chi le faceva ala; ed altri in altre guise la servivano come loro favorevole signora. Di peggio poi vide la santa, quando colei avvicinatasi alla sacra mensa, si pose ginocchioni, perocchè scendendo il sacerdote col Sacramento in mano per porgerle la comunione, le parve che il Salvatore si partisse dalla sacra Particola, e volasse verso il cielo, non volendo entrare nella bocca di quella scellerata tanto corteggiata da malvagi spiriti. Attonita la beata Ivetta a sì mirabile prodigio, ricorse con umili preghiere alla misericordia del Redentore, il quale glie ne rivelò la cagione: notificandole, che quella dama portava sensuale affetto ad un ecclesiastico assistente al sacro altare: che però nel tempo del sacrifizio, in vece di fissare gli occhi nei sacrosanti misteri, dava immodesti, ed impudichi sguardi al suo vago, a cui desiderava più di piacere, che al suo Dio. La quale sfacciata immodestia, siccome aveva allettati i diavoli a farle corteggio, così aveva scacciato da lei il Salvatore; essendo verissimo il detto dello Spirito Santo: Quoniam in malevolam

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animam non introibit sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis (Sap. 1, 4). Voi mi direte, o signora, che non siete nel numero di persone così perdute; e ve lo credo con tutta ingenuità, ve lo credo; ma pure quel vedervi venir in chiesa, scoperta con una certa nudità scandalosa che fa stomaco: tutta gale, tutta profumata, non vi rende degna, di cento biasimi? Molto più se conducete con voi quel vostro cagnolino, che col sonaglio al collo turba tutti gli astanti al santo sacrifizio; molto peggio se in tempo di messa vi trastullate facendo carezze al cagnolino. Ecco il pronostico, che ardisco di farvi: Quelle vostre mani saranno, se non altro, morsicate da cani, e cani di fuoco per anni, e anni nel purgatorio. Mi meraviglio dei sacerdoti, che dovrebbero strapparvi dalle braccia quel cane, e sbatterlo in terra, e con quattro calci gettarlo fuori di chiesa. Che vitupero è mai questo! Voi siete che fate diventare il sacro tempio una spelonca di ladri, mentre rubate l'onore a Cristo col disturbo che cagionate ai sacerdoti, ai chierici, ed a tutto il popolo. Deh ritornate in voi stessa, e risolvetevi d'imitare santa Elisabetta regina di Ungheria: (in ejus Vit.) la quale con somma maestà si portava ad udire la santa messa, ma in quel tempo si levava la corona di capo, le gioie dal dito, e spogliata di tutti gli ornamenti, se ne stava ricoperta con un velo, in portamento così modesto, che non fu veduta mai rivolgere un occhio in altra parte; il che piacque tanto a Dio, che volle palesare a tutti il suo gradimento; poiché la santa nella stessa messa era in tal guisa da divino splendore illustrata, che gli occhi dei riguardanti ne rimanevano abbagliati, sembrando a tutti, che fosse un Angelo di Paradiso. Servitevi di un sì nobile esempio, ed assicuratevi che sarete gradita e da Dio, e dagli uomini, ed i vostri sacrifizi vi saranno di sommo profitto e in questa vita, e nell'altra.

§. IV.

Per le donne ordinarie.

Grande è l'utilità, che si riporta dalla santa messa, conforme si è dimostrato nella precedente istruzione; ma molte volte non conviene, che alcune donne vadano alla chiesa nei giorni feriali. Voi che allattate, o avete obbligo per motivo di giustizia, o di carità, di assistere ad un infermo, o pure avete un marito traverso, che vi proibisce l'uscire di casa, non dovete inquietarvi, e quel che sarebbe peggio disubbidire: perché quantunque la santa messa sia cosa santissima e di tanto profitto, quanto dimostrato abbiamo, contuttociò migliore sempre è l'ubbidienza, ed il negare la propria volontà. Anzi per vostra consolazione vi deve esser noto, che facendo l'ubbidienza raddoppiate il guadagno, ed il merito: attesochè la bontà di Dio in tal caso non solo premierà la vostra ubbidienza, ma vi metterà anche a credito la messa, come se ascoltata l'aveste; appagandosi della vostra buona volontà. All'incontro col disubbidire perdereste l'uno e l'altro merito, mentre dimostrate di aver più gusto di soddisfare alla volontà propria, che a quella di Dio, il quale espressamente si è dichiarato nelle carte, che Melior est obedientia, quam victima; (I. Reg.15) che più si compiace dell'ubbidienza, che delle messe, e sacrifizi, che non sono di precetto. Ma che sarebbe poi, se andaste alla messa, e per i cicalecci, curiosità, e volontarie distrazioni, ve ne ritornaste colle mani vuote? Così avvenne ad una donna di contado, (Henr. in Mag. Spec. Exemp. d. 10. Ex. 28) che abitava in un casale alquanto discosto dalla chiesa. Costei, per impetrare da Dio una grazia desiderata, propose, e promise di udire un gran numero di messe nel decorso di un anno. Perciò qualora sentiva suonare la campana d'invito al santo sacrifizio in una chiesa campestre, subito interrompeva le sue faccende, e prontamente vi s'inviava per piogge e per nevi, senza far conto alcuno dell'inclemenza dei tempi. Ritornata poi a casa, per tenere il computo delle messe udite, ed adempirne puntualmente il numero, a cui si era obbligata, metteva ciascuna volta una fava in un bussolo, che serbava in luogo segreto. Trascorso l'anno, credendo di aver compitamente soddisfatto alla promessa, e d'aver fatto molto ossequio a Dio, ed acquistato a sé non poco merito, andò ad aprire il vasetto dei segni, ove di tante fave, che vi aveva intromesse ne ritrovò una sola: del che oltremodo stupita ed attonita, ne prese gran cordoglio. Onde rivolta a Dio con lagrime ebbe a dire: O Signore, come mai di tante messe a cui ho assistito, una sola ne trovo segnata? Non ho già

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io mancata d'intervenirvi, eziandio con sommo mio scomodo, senza temere di tempo contrario, per piogge, per geli, e per qual si fosse disastro? Quando Iddio le ispirò di andare a consigliarsi con:un saggio e pio sacerdote, il quale le domandò in qual modo fosse andata alla chiesa e con che divozione avesse assistito ai sacrifizi? Al che rispondendo quella che veramente nel cammino aveva sempre parlato di faccende e di facezie; e nell'assistere ai divini misteri se l'era passata in cicalecci, discorrendo con quella, e con questa, col pensiero sempre fisso alle cure di casa e della campagna: Eccovi la cagione, disse allora il sacerdote, per cui quelle messe sono perdute: le ciarle, le curiosità, le distrazioni volontarie vi hanno tolto il merito: Il demonio se le ha prese per sé, oppure l'angelo ha levato quei segni, per darvi a divedere, che si perdono le opere buone, se non si fanno bene. Ringraziate però Dio, che una bene udita vi sia stata fruttuosa. Fate adesso una seria riflessione e dite: Chi sa di tante messe udite in vita mia. quante saranno state accette, e gradite a Dio? La coscienza che vi dice? Se vi pare, che molto poche saranno fruttuose nel cospetto di Dio, rimediatevi con una vera emendazione in avvenire. Se poi, che Dio non voglia, foste nel numero di quelle disgraziate, che servono di bandiera al diavolo anche in chiesa per strascinare anime all'inferno; udite il seguente caso spaventoso, e tremate. Si narra nel seminario, detto Dormi sicuro, di una donna, che essendo restata molto povera, se ne andò per disperata in luoghi solitari, ove le apparve il demonio, e le disse, che se ella voleva trattenere le genti con cicalecci, e ragionamenti inutili ed impertinenti, l'avrebbe fatta più ricca di prima. La misera donna accettò il partito, e si mise a fare quel mestiere diabolico, e vi riuscì a maraviglia; perché chiunque le stava a lato, tanto diceva, tanto si adoprava, che non poteva attendere né alla messa, né ai divini uffizi. Ma poco tempo passò, che le fu sopra la mano vendicatrice di Dio. Ecco che una mattina, sopravvenendo una fiera tempesta, cadde una saetta, la quale uccise lei sola, e la ridusse in cenere. Imparate, o donne, a spese d'altre, e fuggite quelle che con tanti cicalecci ed irriverenze nelle chiese, si fanno ministre del diavolo; se non volete ancor voi incorrere nell'ira di Dio.

§. V.

Per li mercatanti, ed artigiani.

L'idolo dei nostri tempi è l'interesse: ed oh quanti gli si prostrano avanti offrendogli in ogni luogo, ed in ogni tempo tutti gli omaggi. E quindi ne viene, che correndo dietro a quest'idolo, si scordano del vero Dio, e perciò vengono a precipitare in un subbisso di mali, con rimaner privi di tutti i beni: dove che protesta il santo profeta Reale che tutti quelli, i quali ricercano in primo luogo Dio, non incorreranno in verun male, ed abbonderanno di ogni bene: Inquirentes Dominum non deficient omni bono (Ps. 33, 11). Il che si verifica molto più in quelli, che prima di accingersi ai loro negozi, alle loro faccende, procurano di assistere alla santa messa: conforme il comprova l'avvenimento di tre mercatanti di Gubbio, i quali portatisi ad una fiera che si faceva nel borgo nominato Cisterno, e fatto lo spaccio delle loro merci, due di loro cominciarono a trattare della partenza, e presero risoluzione di partire il dì seguente sull'alba, per arrivare la sera alla loro patria. Il terzo collega non diè consenso a quel partito, e protestò che essendo il giorno seguente, domenica, non si sarebbe mai messo in viaggio se prima non avesse udita la santa messa. Anzi si diè ad esortarli, che se volevano ritornare di compagnia, come erano venuti, si contentassero di assistere prima al santo sacrifizio; che poi preso un poco di refezione, sarebbero partiti più allegramente; e che se non potevano giungere quella sera a Gubbio, non mancavano agiati alberghi per istrada. Non si arresero a questo saggio e salutare consiglio i compagni, ma risoluti di arrivare la sera alle loro case, risposero, che Iddio, se per quella volta perdevano la messa avrebbe avuto di loro compassione. Così la domenica innanzi l'alba, senza neppure entrare in chiesa, postisi a cavallo, presero il cammino verso la patria. Arrivarono presto al fiume Corfuone, il quale per una dirotta pioggia caduta quella notte, era a dismisura cresciuto, onde la corrente dell'acqua battendo

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gagliardamente nel ponte di legno l'aveva alquanto smosso ed indebolito: Sopra di questo salirono ambedue coi loro cavalli, e tostochè furono nel mezzo, ecco che un furioso impeto di acqua divise ed atterrò il ponte: per modo che i due infelici mercatanti coi loro cavalli precipitarono nel fiume; dove restarono affogati, perdendo ad un tempo e danari, e merci, e vita, e forse anco l'anima. Alla strepitosa rovina accorsero i paesani, e con rampiconi tanto fecero, che ne trassero fuori i cadaveri, che lasciarono ivi distesi su la riva, affinché fossero riconosciuti, e si potesse dar loro sepoltura. Intanto il terzo mercatante, che si era trattenuto per soddisfare al precetto della santa messa, postosi con allegra speditezza in cammino, sopraggiunse al medesimo fiume, ove vide sul lido i due cadaveri. Fermatosi a rimirarli con occhio curioso, ben tosto li riconobbe per i suoi compagni. Indi dagli astanti intese il miserabile infortunio con gran commozione del suo cuore. Allora alzò le mani al cielo, ringraziando l'Altissimo, che così benignamente l'avesse preservato dalla comune sciagura: e benedisse mille volte quell'ora, in cui aveva assistito al santo sacrifizio, da cui riconosceva la sua salute. Ritornato alla patria sparse la trista novella, mosse i parenti a procurare il funerale dei defunti, ed accese in tutti un vivo desiderio di ascoltare ogni giorno la santa messa. (Lohner Tom. 2. tit. 64), Maledetta avarizia (lasciatemi un po' sfogare) maledetta avarizia, che stacca il cuore da Dio, e quasi quasi toglie la libertà di attendere al gran negozio dell'eterna salute! Acciò li mercatanti avari entrino in se stessi, mi spiegherò con un esempio della Sacra Scrittura. Sansone, come ben sapete, fu legato con nervi di bue, con corde vergini, cioè non mai usate altra volta; alla fine notificò alla sua ingannatrice, che la sua forza era ascosa nei capelli: onde raso che fu, perdette ogni vigore, andò in potere dei Filistei, dai quali fu accecato, e condannato a condurre una mola. Or dico io: qual fu l'errore superlativo di Sansone? Forse il lasciarsi legare con tante manifatture? L'errore non fu qui; sapeva benissimo, che tutta la forza del paese non bastava a tenerlo, e che non v'era rete per un tal pesce; tutto il male fu il notificare dove consisteva la sua forza, e lasciarsi radere i capelli, perduti i quali Sansone non fu più Sansone. Or dico io, che un mercatante si lasci legare da cento occupazioni di bottega, di traffichi, di conti, di cambi ecc. è forse questa l'avarizia perniciosa? Non sta, qui l'avarizia: tatto il male dell'avarizia sta in lasciarsi radere i capelli. Mi spiego: Ha quel mercatante un carico di negozi; ma la mattina per tempo sente suonar la messa, e dice: Negozi miei abbiate pazienza, mettiamo la messa in sicuro. Questo è Sansone legato sì da negozi, ma non tosato. Quell'altro trafficante è preso stretto da sette, e più corde; di operai da soddisfare, di conti da saldare, lettere da scrivere, corrispondenti da sollecitare, quello aspetta una risposta, quell'altro un pagamento; oh che labirinto di corde! Ma che? Viene la domenica, o la festa di qualche santo suo avvocato, si striga da tutto, e va con tutta pietà ad ascoltare più messe, ed a fare le sue divozioni. Questo ancora è Sansone legato, ma non tosato, perché con tutti i negozi non perde di mira il negozio massimo dell'eterna salute. Ma (attendete a questo) quando siete legati da mille funi d'interessi, e non vi è vigore da spezzarle, per uscire fuori a suo tempo, e tener salda la frequenza dei sacramenti e l'assistenza ai santi sacrifizi: Oh poveri Sansoni? allora siete legati insieme, e tosati. Benché gli acquisti siano giusti, quel modo così spasimante non è giusto; quella è una brutta avarizia, che vi tratterà come fu trattato Sansone, finché come a Sansone vi cada la casa in testa: ed allora quae parasti cujus erunt? (Lc. 12, 20) Ma pensatela voi: questi avari non si arrenderanno mai, se non li pigliamo per il loro verso. Or bene: che pretendete voi? Arricchire, accumulare, far guadagni? E qual è il modo più sicuro? Eccolo: ascoltare ogni giorno la santa messa. Vedetelo in quei due artigiani; ambedue fanno lo stesso mestiere, uno è carico di famiglia, moglie, figliuoli, nipoti, l'altro è solo colla sua consorte. Il primo tira innanzi la sua famiglia con grande splendore, e tutte le faccende gli riescono a maraviglia. Avventori alla bottega, spaccio dei lavori, sino a mettere da parte ogni anno un buon peculio per maritare a suo tempo le figliuole. L'altro è solo, non ha lavori, si muore di fame, e va spiantato. Un giorno disse confidentemente al suo vicino: ma come fate voi? In casa vostra vi piove ogni bene di Dio; ed io meschino non posso alzare il capo: ed in mia casa vi piovono tutte le disgrazie. Ve l'insegnerò io, disse l'amico; domattina sarò da voi, e vi insegnerò il luogo di dove cavo tanto bene. La mattina lo condusse in chiesa ad ascoltare la messa, e poi lo ricondusse in

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bottega al lavoro; e così fece due, o tre volte. Allora colui gli disse: se non vi vuol altro, che andare in chiesa ad ascoltare la messa, la via già la: so da me, senza che vi scomodiate. Così per appunto disse l'altro: ascoltate ogni giorno la santa messa, e vedrete, che muterà faccia la vostra fortuna. Ed in fatti fu così: perché cominciando a sentire la santa messa ogni mattina, fu provveduto di lavori, in breve tempo pagò i debiti, e rimise la sua povera casa in ottimo stato. (Sur. in Vit. S. Joan. Eleem.). Credete voi al vangelo? Or se credete al vangelo, come potete mettere in dubbio questa verità? non dice chiaro: Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia adiicientur vobis? (Mt. 6, 33.). Cercate prima Dio in tutte le cose, e tutto il resto vi sarà dato per giunta. Se non altro fate ne la prova per un anno: ascoltate per un anno ogni mattina la santa messa; e se i vostri interessi temporali non pigliano miglior piega, lamentatevi pur di me: ma non sarà così, perché avrete motivo di ringraziarmi.

§. VI.

Per i Servitori, e Contadini.

L'Apostolo san Paolo dice, essere peggio d'un infedele chi non tiene la debita cura della sua famiglia: Si quis suorum, et maxime domesticorum curam non habet: fidem negavit, et est Infideli deterior. (I Tim. 5, 8). Questa cura s'intende non solo quanto al corpo, ma molto più in quanto all'anima: onde se sarebbe grande empietà il lasciar mancare il vitto corporale ai suoi famigliari e servitori, molto maggiore infedeltà dovrà dirsi, il privarli degli alimenti spirituali, e specialmente il non dar loro comodità, di ascoltare ogni giorno la santa messa, la di cui perdita non potrà mai ristorarsi da qualsivoglia padrone, per ricco e potente che sia. Quando Iddio stabilì con Abramo quel gran patto; comandò, che non solo esso si circoncidesse, ma anco tutti i servi e tutti gli schiavi: Tam Vernaculus, quam Emptitius circumcidetur. (Gen. 17, 12). Segno evidente, che il buon cristiano non deve contentarsi di attendere per se solo al culto divino (massimamente per mezzo della salita messa) ma deve adoprarsi, acciò vi s'impieghino tutti i suoi servitori, e tutti della sua famiglia. Questa santa economia spirituale praticò con tutta compitezza s. Elzeario conte d'Ariano, (in ejus Vit.) il quale fra molti buoni ordini, che diede alla sua famiglia, il primo fu, che tutti ogni mattina ascoltassero la santa messa; e serve, e servitori e garzoni, tutti voleva vederli alla messa. Costume santissimo, che si pratica da molti signori, e porporati, e prelati di Roma , i quali ogni mattina ascoltano la santa messa, e vogliono vedervi assistente tutta la servitù. Né dovete credere, che quel tempo, il quale s'impiega dai vostri servitori in ascoltare la santa messa sia un tempo perduto: oh quanto vi sarà ricompensato da Dio! S. Isidoro era un povero agricoltore, (In ejus Vit.) ma guarda, che mancasse mai di ascoltare ogni mattina la santa messa; e Iddio per fargli conoscere quanto gli fosse gradita la sua divozione, in tempo, che assisteva alla santa messa, faceva arare il suo campo dagli angeli. E’ vero, che Dio non farà miracoli così palpabili per voi, ma in quante maniere ricompenserà la vostra pietà? Potete arguirlo da ciò, che successe ad un pover'uomo. Era questi un vignaiolo, che manteneva la sua famiglia col sudore della sua fronte. Costumava ogni giorno, prima di portarsi al lavorò, d'intervenire al santo sacrifizio della messa. Una mattina andato per tempo al posto deputato ai giornalieri, aspettava, che venisse un padrone ad invitarlo, e condurlo a giornata; quando, udito il suono della campana, si portò secondo il suo costume alla chiesa per fare le sue orazioni. Terminata la messa, ne uscì un'altra, ed egli spinto dalla sua divozione ascoltò quell'altra messa. Ritornato poi al luogo consueto, lo trovò vuoto, essendo già tutti stati spediti dai padroni alle loro faccende in campagna; perciò il buon'uomo se ne ritornava assai mesto alla sua casa: quando s'imbatté nella via in un cittadino assai facoltoso, che vedendogli le nuvole della malinconia sulla fronte, gli disse: dande procedesse tanta tristezza? Che volete? rispose quel meschino: questa mattina per non perdere la messa ho perduta la giornata. Non vi date pena, replicò il ricco, andate in chiesa, sentite

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un'altra messa secondo la mia intenzione, e questa sera vi pagherò la vostra giornata. Andò quel pover'uomo, ed ascoltò tutte le messe che si celebrarono in quel giorno; e la sera andò a ricevere la sua mercede; c furono dodici soldi, paga consueta dei giornalieri in quel paese. Se ne ritornava contento a casa, quando gli venne incontro un personaggio sconosciuto (era il Salvatore del mondo) il quale lo richiese, che mercede avesse ottenuta per una giornata sì bene impiegata? Ed intendendo, che erano stati soli dodici soldi; Così poco, disse, per opera di tanto merito? Ritornate dal ricco e ditegli che se non vi accresce la mercede, le cose sue andranno molto male. Portò quel semplice l'ambasciata al cittadino, il quale gli diede altri cinque soldi, e lo mandò in pace. Si contentò il pover'uomo di quell'accrescimento; ma non si contentò Gesù, il quale al sentire, che l'aggiunta era stata solo di cinque soldi; né pur basta, replicò, ritornate da quell'avaro, e ditegli, che se non accresce la paga, si aspetti una terribile sciagura. Vi andò nuovamente con timoroso rispetto; e così a mezza bocca fece l'ambasciata, alla quale il ricco, mosso interiormente da Dio, s'avanzò a dargli cento soldi con una buona veste nuova. (Nicol. Lag. tract, 6, d. 10. de Mis. C. 100). Voi senza dubbio ammirerete con ragione la divina provvidenza in sovvenire a quel povero vignaiolo pel la religiosa pietà, che aveva di assistere ogni giorno al santo sacrifizio. Ma degna di maggior ammirazione si è la grazia, che la sovrana misericordia usò verso quel ricco: imperocchè nella notte seguente gli apparve in sogno il Salvatore, rivelando gli che per le messe sentite dal povero l'aveva liberato da una morte improvvisa, che in quella notte medesima l'avrebbe precipitato all'inferno. A sì formidabile avviso destatosi, detestò la sua mala vita, diventò divotissimo della santa messa, a cui assisté sempre mai ogni mattina; anzi ne faceva poi celebrare molte ogni giorno in varie chiese, sinchè dopo una virtuosa vita, terminò i suoi giorni con una felice morte. Or vedete quanto è liberale la bontà ai Dio verso chi si mostra divoto del santo sacrifizio della messa. Alla messa dunque, povera mia gente, alla messa; e siate pur certi, che con questa soda divozione troverete il sollievo di tutte le vostre miserie.

§. VII.

Esempio formidabile per quelli, i quali non apprezzano il gran tesoro della santa messa.

I due dottori della chiesa, l'angelico s. Tommaso, ed il serafico s. Bonaventura insegnano, conforme si accennò nella precedente istruzione, che il sacrosanto sacrifizio della messa è di valore infinito, sì per ragione della vittima, che si offerisce, cioè il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di Cristo Signor nostro; come per ragione del primario offerente, che è lo stesso Gesù. E pure da quanti vien tenuto in sì poca stima, che pospongono questo tesoro inestimabile ad ogni vile interesse! A questo fine, si è distesa questa tenue operetta; acciò tutti quelli, che si degneranno di leggerla, restino illuminati, e vengano a formare il dovuto concetto di una gioia, che non ha prezzo, e se prima questo santo sacrifizio era per loro un tesoro nascosto, adesso che si è loro dimostrato il valore infinito, che in esso si contiene, si risolvano efficacemente a farne acquisto, con ascoltare ogni giorno la santa messa: e però si racconta il seguente caso assai formidabile, che sarà il sigillo di tutta l'opera. Riferisce Enea Silvio, (In Europa cap. 21) che fu poi Pio II, come nelle parti della Germania in una città chiamata Scizia, si trovò un gentiluomo principalissimo, il quale da gran ricchezze caduto in gran povertà, si era ritirato in una sua villa, a titolo di risparmio. Quivi soprafatto dalla malinconia, era egli in procinto di disperarsi: onde il demonio lo stimolava ogni dì a mettersi un laccio al collo, e darsi la morte; giacché, diceva il maligno, ad un albero secco null'altra cosa più si conviene, che la scure. In questa battaglia di tristezza e di tentazioni, ricorse il nobile ad un santo confessore, il quale gli diede questo buon consiglio. Non lasciate passar mai giorno alcuno, in cui non ascoltiate la santa messa, e non temete. Gradì il cavaliere quel buon avviso e prontamente cominciò a metterlo in esecuzione: e per assicurarsi di non perdere giammai la santa messa, salariò

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un cappellano, che continuamente a sua requisizione offerisse il sacrifizio, a cui egli assisteva ogni mattina con religiosa pietà. Ma avvenne, che un dì il suo cappellano di buon mattino andò ad un villaggio poco discosto, per assistere ad un novello sacerdote, che vi doveva celebrare la sua prima messa: onde temendo il divoto signore di dover quel giorno rimaner privo del sacrifizio, si affrettò di portarsi al medesimo villaggio, per intervenirvi. Per istrada si abbatté in un paesano, il quale gli disse, che poteva rivolgere i passi indietro, perché la messa novella era terminata, né v'erano altre messe. Allora turbato il cavaliere cominciò a piangere; e che sarà di me, replicava più volte, che sarà di me in questo giorno? Forse sarà l'ultimo di mia vita. Stupì il villano in vederlo così afflitto: non piangete, signore, gli disse, non piangete, perché vi venderò io la mia messa. Datemi questo vostro mantello, che portate indosso, ed, io vi cedo la mia messa. Di buon grado accettò il partito quel gentiluomo, e consegnatogli il mantello seguitò il viaggio verso la chiesa; dove fatta breve orazione, appena nel ritorno si condusse al luogo dell'accordo, vide quel miserabile, che aveva venduta la messa, pendere in aria ad una quercia impiccato, e morto come Giuda. Imperocché la tentazione di sospendersi era passata da lui nell'infelice villano, che privo dell'aiuto, che ottenuto gli avrebbe il sacrifizio, non aveva saputo resistere alla maligna tentazione del demonio; con che il buon gentiluomo finì d'intendere, quanto efficace rimedio gli avesse suggerito il suo confessore; e si confermò nel suo santo proposito di ascoltare ogni giorno la santa messa. Vorrei, che da sì funesto avvenimento cavaste due verità di gran peso: la prima si è l'ignoranza grandissima di molti cristiani, i quali, non apprezzando le ricchezze immense, che si contengono nella santa messa, giungono a barattarle con un sozzo guadagno; e di qui viene ancora quel favellar così improprio d'alcuni, i quali non si vergognano di presentarsi ad un sacerdote con dirgli: volete, che questa mattina, vi paghi la messa? Pagar la messa! E dove troverete voi tanto di capitale, che possa uguagliare il valore d'una messa, mentre una messa vale più che tutto il paradiso? Oh ignoranza insopportabile! Quel poco di danaro, che date al sacerdote, lo date per sostentarlo, ma non già come pagamento, mentre la santa messa è un tesoro, che non ha prezzo. È vero, che in quest'operetta vi ho esortato ad ascoltare ogni dì la santa messa, ed a farne celebrare quante più potete; e però chi sa, che il demonio non vi metta in cuore questo sospetto: I frati con belli e speciosi motivi, ci esortano a far celebrare molte messe, ma non è oro tutto quel che luce, mentre sotto specie di zelo cercano il loro guadagno, ed allo stringere del sacco, alla fine si scopre, che tutto si fa, e tutto si dice per interesse. O quanto andreste ingannato, se ciò pensaste. Ringrazio Dio, che mi abbia fatto abbracciare un istituto, in cui si professa altissima, e strettissima povertà, né si ricevono limosine per messe; e se bene cento scudi ci fossero esibiti per una sola messa, non si accetterebbero in veruna maniera; dicendo noi tutte le messe con quell'intenzione, che ebbe Cristo in croce, allorché offrì all'eterno Padre quel primo sacrifizio sul calvario. Adunque, se vi è chi possa parlar chiaro senza timore di taccia alcuna, son io, che cerco puramente il vostro bene; e quel tanto, che vi ho insinuato in quest'operetta, ve lo replico di bel nuovo sul fine. Ascoltate molte messe, ve ne prego, ascoltate molte messe, e fatene celebrare molte; più che potete; e metterete in sicuro un gran tesoro, che vi frutterà in questo mondo, e nell’altro. La seconda verità che dovete ricavare dal caso riferito, si è l'efficacia della santa messa per impetrarci ogni bene, e per liberarci da ogni male, e particolarmente per rinvigorirci, e darei forze spirituali per vincere tutte le tentazioni. Lasciatemi dunque replicare: alla messa di grazia, alla messa, se volete riportar vittoria dei vostri nemici, e veder sottomesso ed abbattuto tutto l'inferno. Un solo consiglio rimane a suggerirvi, che riguarda sì i secolari come i sacerdoti; ed è che per ottenere in gran copia i frutti della santa messa, voi secolari dovete ascoltarla con somma divozione. Questo chiodo l'ho battuto più volte nella presente operetta, ma su quest'ultimo lo ribatto con più vigore. State dunque con divozione alla santa messa: e però, se vi piace, servitevi di questo libretto, e mettete in pratica con tutta esattezza quanto si prescrive nel capitolo secondo: e vi do l'esperienza per maestra, poiché in breve tempo proverete una mutazione sensibile del vostro cuore, e toccherete con mano il gran bene, che ne riporteranno le anime vostre. E voi sacerdoti dovete temere la giustizia di Dio, allorché o per soverchia fretta, o per irriverente trascuratezza, trasgredite le sacre cerimonie, precipitate le parole, confondete le azioni, in una parola, acciabattate la messa. Riflettete,

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che consacrate, maneggiate e ricevete il figlio dell'Altissimo, e che non è senza colpa ogni minima cerimonia, che voi o lasciate, o malamente, ed alla peggio eseguite; conforme insegna il dottissimo Suarez: vel unius caeremoniae omissio culpae reatum inducit. (Tom. 3. in 3. part. dist. 85. sect. 2). Quindi è, che quell'oracolo delle Spagne Giovanni d'Avila, era di costante opinione, che l'eterno Giudice nei sacerdoti, più di ogni altra cosa, farà un rigorosissimo esame di tutte le messe da loro celebrate. Laonde sentendo dire, che un sacerdote giovane era trapassato all'altra vita appena detta la sua prima messa, sospirò il sant'uomo dicendo: adunque ha egli detta la messa? E replicando quelli, che aveva avuta questa felice sorte di morire subito celebrata la prima messa: ohimè, ripigliò, molto ha da rendere conto a Dio, se ha celebrata una messa. E voi, ed io, che ne abbiamo celebrate tante, come la passeremo al tribunale di Dio? Facciamo dunque questo santo proponimento, di rivedere (almeno nei primi esercizi spirituali, che faremo) di rivedere tutte le rubriche del messale, e tutte le sacre cerimonie, per celebrare con tutta l'esattezza possibile: e spero, che se noi sacerdoti celebreremo con grave e divota compostezza esteriore, e quel ch'è più, con un gran fervore di spirito nell’interiore, anche i secolari si ridurranno ad ascoltare ogni giorno la santa messa, e ad ascoltarla con somma divozione; ed avremo il contento di vedere rinnovato nei cristiani dei nostri tempi il fervore dei primi fedeli della chiesa; ed il nostro buon Dio ne resterà, sommamente onorato, e glorificato, che è l'unico fine di questa tenue operetta. Pregate per me con recitare una sola Ave Maria.

ATTO DI OFFERTA

Da farsi ogni mattina

Eterno mio Dio, eccomi prostrato innanzi l'immensa Maestà vostra, ed umilmente adorandovi vi offerisco tutti i miei pensieri, parole ed opere di questo giorno: ed intendo di far tutto per amor vostro, per gloria vostra, per adempire la divina volontà vostra, per servirvi, lodarvi e benedirvi, per essere illuminato nei misteri della santa fede, per assicurar la mia salute, e sperare nella vostra misericordia, per soddisfare la vostra divina giustizia per tanti miei gravissimi peccati, per suffragare le anime, sante del purgatorio, per impetrar la grazia di una vera conversione a tutti i peccatori, insomma intendo di operare oggi ogni cosa in unione di quelle purissime intenzioni che ebbero in vita Gesù e Maria, e tutti i santi che sono in cielo, e tutti i giusti che sono in terra, e vorrei poter sottoscrivere col proprio sangue questa mia intenzione, e replicarla tante volte ogni momento, quanti saranno i momenti dell'eternità. Ricevete, caro mio Dio, questo mio buon Cuore, datemi la vostra santa benedizione con una grazia efficace di non commettere peccato mortale in tutto il tempo di vita mia, ma particolarmente in questo giorno, in cui desidero ed intendo di ricevere tutte le indulgenze, delle quali posso essere capace, di assistere a tutte le messe che oggi si celebreranno in tutto l'universo mondo, applicandole tutte in suffragio delle anime sante del purgatorio, acciò siano liberate da quelle pene. Così sia.

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CON PERMISSIONE