IL TEMA Giocare con le storie

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IL TEMA | Gioco e creatività 11 9 | 2020 IL TEMA | Gioco e creatività Raccontare storie, inventare personaggi e situazioni sono operazioni che aprono la mente di Luisa Mattia Scrittrice P oco tempo fa, in coda a un incontro con un folto gruppo di bambini-lettori, uno di loro mi si è avvicinato e, d’impeto, mi ha posto questa domanda: “Ma tu, quante ‘brutte’ fai prima della ‘bella’?”. La questione è solo apparentemente semplice ed è del tutto evidente che nasce da una esperienza scolastica che, di certo, lo mette alla prova spes- so. Come mette alla prova anche uno scrittore che di “brutte” ne fa e come! Perché è necessario, perché è pratica virtuosa, perché rivela il valore di quello che si scrive e aiuta a fare una delle cose indispensabili alla efficacia della trama e dello stile di racconto: togliere, eliminare, alleggerire il testo, per poi farne la “bella”, cioè la versione definitiva. Allora, mi viene da dire “evviva la brutta copia!”, se porta a ottenere di un risultato finale che dia soddisfazione a chi scrive e a chi legge. LA BELLEZZA DELLA BRUTTA COPIA Spesso, a scuola, si commette l’errore di utilizzare la “brut- ta” come spazio di controllo più che come piattaforma di elaborazione. Esercizi, schede, verifiche, tempi di conse- gna imbrattano la bellezza della “brutta”, ne fanno uno strumento di accertamento dell’efficienza e dei livelli di apprendimento. Di qui la percezione non proprio positiva da parte dei bambini. E dunque, non c’è modo di praticare “la bellezza della brut- ta copia”, a scuola? Io dico di sì, perché i docenti (e gli allie- vi) hanno a disposizione un libero campo di allenamento al racconto e alla scrittura, chiamato narrazione. È dentro le storie, nella loro elaborazione che i ripensamenti, le sot- tolineature, le cancellature, i ritorni indietro, i dubbi e i cambiamenti all’ultimo minuto hanno il loro spazio vitale. Raccontare storie, immaginare, inventare personaggi, pseudo trame, situazioni è uno spazio di libertà che por- ta con sé la spinta vitale ad essere ascoltati e letti. Questo significa che un bambino “inventastorie” si pone un obiet- tivo di comunicazione: vuole essere apprezzato e, dunque, deve essere compreso. E come raggiungere l’obiettivo? Giocare con le storie

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IL TEMA | Gioco e creatività 11 9 | 2020

IL TEMA | Gioco e creatività

Raccontare storie, inventare personaggi e situazioni sono operazioni che aprono la mente

di Luisa Mattia Scrittrice

P oco tempo fa, in coda a un incontro con un folto gruppo di bambini-lettori, uno di loro mi si è avvicinato e, d’impeto, mi ha

posto questa domanda: “Ma tu, quante ‘brutte’ fai prima della ‘bella’?”.La questione è solo apparentemente semplice ed è del tutto evidente che nasce da una esperienza scolastica che, di certo, lo mette alla prova spes-so. Come mette alla prova anche uno scrittore che di “brutte” ne fa e come! Perché è necessario, perché è pratica virtuosa, perché rivela il valore di quello che si scrive e aiuta a fare una delle cose indispensabili alla efficacia della trama e dello stile di racconto: togliere, eliminare, alleggerire il testo, per poi farne la “bella”, cioè la versione definitiva.Allora, mi viene da dire “evviva la brutta copia!”, se porta a ottenere di un risultato finale che dia soddisfazione a chi scrive e a chi legge.

LA BELLEZZA DELLA BRUTTA COPIASpesso, a scuola, si commette l’errore di utilizzare la “brut-ta” come spazio di controllo più che come piattaforma di elaborazione. Esercizi, schede, verifiche, tempi di conse-gna imbrattano la bellezza della “brutta”, ne fanno uno strumento di accertamento dell’efficienza e dei livelli di apprendimento. Di qui la percezione non proprio positiva da parte dei bambini. E dunque, non c’è modo di praticare “la bellezza della brut-ta copia”, a scuola? Io dico di sì, perché i docenti (e gli allie-vi) hanno a disposizione un libero campo di allenamento al racconto e alla scrittura, chiamato narrazione. È dentro le storie, nella loro elaborazione che i ripensamenti, le sot-tolineature, le cancellature, i ritorni indietro, i dubbi e i cambiamenti all’ultimo minuto hanno il loro spazio vitale.Raccontare storie, immaginare, inventare personaggi, pseudo trame, situazioni è uno spazio di libertà che por-ta con sé la spinta vitale ad essere ascoltati e letti. Questo significa che un bambino “inventastorie” si pone un obiet-tivo di comunicazione: vuole essere apprezzato e, dunque, deve essere compreso. E come raggiungere l’obiettivo?

Giocare con le storie

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gere la storia, nonostante le macchie! Ma noi adulti sappiamo che la memo-ria non è sempre dalla nostra parte. Facciamo fare gli smemorati creativi anche ai bambini. Che devono fare? Inventare personaggi, situazioni, og-getti ecc. per ogni macchia “dispet-tosa” e aiutarci a scrivere, comunque, la storia. L’ideale per gustare a pieno questo gioco, sarebbe poterlo regi-strare e poi riascoltarlo assieme ai bambini. Al piacere dell’invenzione si unisce il piacere di riascoltare.Per esempio, cosa si potrebbe raccon-tare se le “macchie” su Cappuccetto Rosso fossero queste?

C’era una volta un che passeggiava in un bosco. Aveva con sé Ad un certo punto sentì un rumore strano che sembrava pro-venire da Allora decise di...

CADAVERI SQUISITIPer fare una buona storia, potremmo avere bisogno di… cadaveri squisiti!Non mi riferisco a un film horror o a una trama splatter ma a un meto-do di invenzione di storie, nato dalla fantasia e dall’allegria di un gruppo di artisti surrealisti tra cui André Breton, Man Ray, Jacques Prévert, Joan Mirò.Immaginate un gruppo di giovani pittori, poeti, fotografi e narratori seduti ai tavoli di un localetto parigi-no. Tra un buon piatto e un bicchiere di vino, la serata sta passando e forse sta per arrivare una punta di noia, quando uno di loro – forse Bréton – propone di giocare mettendo in movimento la reciproca creatività. Come? È presto detto! Spostati piat-ti e bicchieri, il giovane artista libera una parte della tovaglia di carta ap-poggiata sul tavolo e ne strappa la metà, poi – matita alla mano – dice: “Disegniamo insieme ma… ognuno di noi non saprà come abbia disegna-to chi lo preceduto!”. Buffa provocazione, immediatamen-te accettata!Ma le regole non sono ancora chiare. Le stabilisce insieme agli altri: dise-gneranno un corpo. Il primo gioca-tore disegnerà la testa, il secondo il busto, il terzo le gambe e l’ultimo i piedi. Nessun’altra indicazione.

Un bambino “inventastorie” si pone un obiettivo di comunicazione: vuole essere apprezzato e, dunque, deve essere compreso

Semplice: scrivendo in maniera chia-ra, comprensibile e praticando, dun-que, uno stile efficace, netto e, se possibile, attraente. In questo conte-sto, lo scrivere-e-riscrivere, lo scrive-re-e-correggere, lo scrivere-e-ricopia-re assume un senso e si fa forte di una motivazione che travalica la pratica dell’esercitazione per diventare spazio creativo che, in quanto tale, nobilita qualunque passaggio di ripensamen-to e correzione e legittima il rispetto di regole condivise. Se voglio comuni-care, devo tener conto dell’interlocu-tore e usare un “codice” comune.Nel caso della narrazione, il codi-ce riconosciuto senza difficoltà da adulti e bambini è la storia che si va formando e la struttura – linguistica e narrativa – che la compone.Con un’aggiunta essenziale perché entra nella dimensione emotiva e af-fettiva della creatività e cioè il gioco.Gianni Rodari ci ha fatto dono, nel suo “Grammatica della fantasia”, di una serie di regole del gioco narra-tivo che, per definizione, implicano partecipazione, leggerezza, diverti-mento, impegno. E anche parecchie “brutte” copie. Dunque, giochiamo!

ESPERIMENTI NARRATIVIChe cosa succederebbe se cadessero delle belle macchie sulla pagina di una conosciutissima storia, tipo Cap-puccetto Rosso? Immaginiamo che un po’ di cioccolata sia caduta sui fogli e abbia coperto per bene alcune parole e frasi della storia. Che resta da fare, ora? Cercare di leg-

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“Ma così è troppo semplice, troppo prevedibile!”, deve aver detto uno di loro, proponendo di allargare le pos-sibilità consentendo di disegnare an-che cose diverse dalle parti del corpo umano, mantenendo lo schema: te-sta, busto, gambe, piedi.A noi sono arrivati queste giocose opere d’arte e, ancora oggi, possia-mo vedere “corpi d’autore” con per-sonaggi dalla doppia testa, gambe femminili e piedi come racchettoni da tennis.Già, ma che c’entrano i “cadaveri squisiti”? Ben presto, il giochetto per immagini si sviluppò in varianti scritte che prevedevano la composi-zione di una frase (nome, aggettivo, verbo, complemento oggetto) con i giocatori che potevano lavorare con la fantasia senza conoscere le scelte di chi li aveva preceduti.La cronaca dell’epoca racconta che, durante una delle prime volte in cui gli artisti tentarono la variante ver-bale del gioco, le prime parole scritte furono “cadaveri (soggetto)” e “squi-siti (aggettivo), di qui la denomina-zione del gioco passata ai posteri.

UNA STORIA A STAFFETTAPer una versione più “casalinga” da fare in classe, potremmo fare così.Prendiamo un foglio bianco sul qua-le il primo giocatore scrive, senza che gli altri sappiano cosa ha inten-zione di scrivere, un CHI?, cioè un personaggio che gli viene in mente. A seguire, dopo aver piegato un po’ il foglio per non far vedere le parole già scritte, gli altri completano: CON CHI? (un altro personaggio); DOVE (un luogo); QUANDO (un tempo); COSA FANNO (un’azione); COSA DICE LUI (una battuta); COSA DICE LEI (un’altra battuta); COSA DICE LA GENTE (una terza battuta); COME VA A FINIRE.Ovviamente ogni giocatore seguirà il filo della propria storia, ma, visto che il foglio gira, da un elenco logico e coerente di domande come queste:

1. CHI2. CON CHI3. DOVE4. QUANDO5. COSA FANNO6. COSA DICE LUI 7. COSA DICE LEI8. COSA DICE LA GENTE9. COME VA A FINIRE

Uscirà sicuramente una girandola di risposte scombinate, del tipo:

1. UN GATTO2. UNA PENNA3. NEL MARE4. UN SECOLO FA5. MANGIANO UN PANINO6. OGGI IL SOLE NON SCALDA7. AIUTO!8. CHE BELLA!9. ANDARONO A DORMIRE

Da qui possiamo (e dobbiamo) partire per fare una storia. Come? Cerchiamo di mettere insieme le parti secondo una successione e un senso. I bambini sono veri maestri in questo!

COMINCIARE DALLA FINECambiamo un po’ le carte in... favo-la! Rodari ne ha fatto la sostanza di molte sue storie. Noi, sulla falsariga dei suoi insegnamenti, potremmo giocare con le storie cominciando… dalla fine! Si prende una storia conosciuta e si utilizzano le ultime battute.Saranno proprio quelle frasi, l’inizio di una nuova storia. Per esempio, Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, finisce così:

– Se guardasse da questa parte, po-tremmo salutarla – disse Tommy.Ma Pippi stava fissando con occhi so-gnanti qualcosa di invisibile davanti a sé.Infine, spense la candela.

Se ne può ricavare una storia? Certo che sì!

Vediamo cosa abbiamo a disposizio-ne: un bambino che si chiama Tom-my e che parla al plurale. Dunque potremo inventare un altro perso-naggio e scegliere se è un maschio o una femmina e in quale relazione è con questo Tommy.Poi abbiamo Pippi. Se dimentichia-mo per un momento che si tratta della celeberrima protagonista del romanzo della Lindgren, potremo anche giocare a inventare un nuovo personaggio e non è detto che sia una bambina. Con un nome come Pippi potrebbe essere anche un ma-schio oppure un personaggio fanta-stico o anche una donna adulta. Ed ecco che abbiamo anche un sug-gerimento per iniziare una nuova storia perché, dice il testo “stava fis-sando con occhi sognanti qualcosa di invisibile…”. Cosa gli accadrà? Chi incontrerà? Cos’è quel “qualcosa di invisibile”? Come andrà a finire? Buone storie a tutti!