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DISPENSA DI STORIA – IL MEDIOEVO 1 1 COMPRENSIVO SETTIMO IV ANNO SCOLASTICO 2015-2016 CLASSE I H IL SUCCO DELLA STORIA TESTI SUL MEDIOEVO PER UNA PRIMA MEDIA DISPENSA CURA DEL PROF. ALESSANDRO CAFARELLI E DEL PROF. LUCA VINAI

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DISPENSA DI STORIA – IL MEDIOEVO 1

1

COMPRENSIVO SETTIMO IV

ANNO SCOLASTICO 2015-2016

CLASSE I H

IL SUCCO DELLA STORIA

TESTI SUL MEDIOEVO

PER UNA PRIMA MEDIA

DISPENSA CURA DEL PROF. ALESSANDRO CAFARELLI E DEL PROF. LUCA VINAI

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1A. L'APOGEO DELL’IMPERO ROMANO

1 La ricchezza dell'Impero è prodotta dai campi . Nel II secolo d.C. l'Impero romano aveva raggiunto il massimo della sua estensione e della sua potenza. Era grande quasi tre milioni di chilometri quadrati, dieci volte più dell'Italia, ed era abitato da circa sessanta milioni di persone, come l'Italia di oggi. Allora, duemila anni fa, non c'era nessun impero che fosse così potente in tutto il mondo occidentale. La maggior parte degli abitanti dell'Impero lavorava nelle campagne: molti erano contadini liberi, proprietari di piccoli campi, ma vi erano anche immense aziende agrarie, possedute da senatori ricchissimi, che i romani chiamavano ville. In ogni villa c'era una residenza splendida, dotata di tutte le comodità: terme, palestre, biblioteche, portici e giardini. Qui abitava la famiglia del signore. Vi erano, anche, le abitazioni di centinaia e a volte migliaia di uomini e donne, schiavi e liberi, che lavoravano alle dipendenze del signore: contadini, artigiani, mercanti e servitori domestici. La villa era un'azienda agraria completa, fornita di mulini per macinare il grano, di frantoi per produrre l'olio, di torchi per l'uva e di magazzini per salare la carne e conservarla; aveva inoltre fornaci, per cuocere i recipienti di terracotta necessari per conservare gli alimenti e venderli in città. Tutto il cibo consumato nell'Impero proveniva dalle campagne. L’agricoltura, perciò, era la ricchezza principale dell'Impero romano e le ville erano il motore della sua economia.

2 La cultura dell'Impero prospera nelle città. Nel territorio dell'Impero romano sorgevano quasi duemila città, piccole e grandi. Qui gli artigiani producevano ogni genere di manufatti: ceramiche, armi, strumenti, tessuti, gioielli. Nelle città risiedevano i giudici, che amministravano la giustizia, e i governatori, eletti dalle elites urbane (cioè dalle famiglie più ricche). Vi erano i magazzini delle merci e le botteghe; vi erano le caserme, nelle quali erano acquartierati gli eserciti. Le città, dunque, erano il luogo del governo, della difesa e della produzione e del commercio dei prodotti dell'Impero. Molti abitanti delle città sapevano leggere, scrivere e parlavano le due lingue dell'Impero, il latino e il greco. Perciò, solo nelle città c'erano i maestri e le scuole; solo nelle città c'erano le botteghe dove i libri venivano copiati a mano, da artigiani specializzati (detti "amanuensi"), e dove i cittadini potevano comprarli. Al contrario dei cittadini, i contadini erano analfabeti e parlavano soltanto le lingue locali; erano considerati abitanti di grado inferiore, e chiamati spesso con nomi spregiativi: bubulci ("bifolchi"), villani ("abitanti delle ville") o pagani, "abitanti dei villaggi" (dalla parola latina pagus, che significa "villaggio"). 3 L'imperatore detiene i poteri principali. L’imperatore controllava l'amministrazione dell'Impero. Al suo servizio aveva migliaia di impiegati, che accertavano il pagamento delle tasse, facevano i censimenti per contare con precisione i sudditi, tenevano in ordine gli archivi dove si conservavano le ricevute delle tasse, gli elenchi dei cittadini e tutta la documentazione del governo. L’imperatore era il capo dell'esercito. Egli comandava trenta legioni composte da più di trecentomila soldati. L’esercito aveva due scopi: difendeva i confini dagli invasori e sedava le ribellioni che, spesso, scoppiavano fra i contadini. A volte, l'imperatore inviava l'esercito anche oltre i confini, nei territori dei barbari, per saccheggiare le ricchezze di quelle terre, oppure per distruggere delle tribù che considerava

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pericolose, soprattutto quando si alleavano e formavano grandi regni. L’imperatore era anche il pontefice massimo, cioè il sacerdote che chiedeva agli dei di proteggere il popolo romano; perciò, in tutte le città vi erano dei templi dove i cittadini pregavano affinché il loro imperatore continuasse a soccorrere il suo popolo, rendendo vittorioso l'esercito e prospera l'agricoltura. 4 L'imperatore usa le ricchezze dell'Impero. In ogni città vi erano i funzionari, che prelevavano le tasse per conto dell'imperatore. Pagavano tutti: gli abitanti delle città e quelli della campagna. L’imperatore raccoglieva in questo modo una ricchezza immensa. Usava una parte di questo denaro per pagare i funzionari e i soldati dell'esercito e ne utilizzava un'altra per abbellire le città con monumenti magnifici e utili; costruiva palazzi reali, terme dove i cittadini si ritrovavano, facevano attività sportive e curavano l'igiene, basiliche dove si amministrava la giustizia, fori (le piazze dove i cittadini si incontravano), acquedotti e strade. Gli imperatori facevano anche costruire circhi e anfiteatri per offrire ai cittadini dell'Impero i loro spettacoli preferiti: corse di carri tirati da cavalli e vari tipi di combattimenti. Una terza parte delle entrate veniva usata per acquistare grano, olio, carne e vino, da distribuire gratuitamente ai cittadini di Roma pili poveri.

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2A. L'IMPERO DIVENTA CRISTIANO

1 Costantino trasforma l'Impero. Costantino nacque a Nis, nell'odierna Serbia, e governò dal 306 al 337. La sua politica fu diversa da quella di Diocleziano, il suo predecessore. Egli, infatti, riunificò l'Impero sotto il suo comando, e stabilì che tutti i culti religiosi fossero liberi (313). Poi egli stesso si convertì al cristianesimo e operò per diffondere nell'Impero la sua nuova religione: fece costruire chiese fastose, come la basilica di San Pietro a Roma, e proclamò la domenica giorno festivo, in ricordo della resurrezione di Cristo. Per manifestare pubblicamente il suo allontanamento dalla religione politeista (nella quale si adoravano molti dei), abbandonò Roma, troppo piena di templi e di dei, e fondò una nuova capitale sullo stretto dei Dardanelli, sul confine fra Europa e Asia. Lì, dove sorgeva Bisanzio, antichissima città greca, fondò la Nuova Roma, una città interamente cristiana, che da lui prese il nome di Costantinopoli. Costantino voleva che il cristianesimo fosse la religione unificatrice di tutti i suoi sudditi. Perciò promosse i concili: assemblee alle quali partecipavano vescovi di tutte le regioni dell'Impero. Questi discutevano sulle questioni religiose, e decidevano i culti che tutti i cristiani dovevano seguire, e i libri sacri (i vangeli) che dovevano leggere. Chi non obbediva ai concili, era considerato eretico. 2 Il cristianesimo diventa la religione ufficiale d ell'Impero. Al principio del IV secolo il cristianesimo era professato da un terzo dei cittadini romani; tutti gli altri seguivano l'antica religione politeista, oppure religioni nuove, come il manicheismo o il culto del dio Mitra, una religione seguita soprattutto dai soldati. Per tutto il IV secolo tutti i culti furono liberi, anche se gli imperatori romani proteggevano il cristianesimo, e lo favorivano rispetto alle altre religioni. Alla fine del secolo il cristianesimo era diventata la religione più diffusa. Fu allora che l'imperatore Teodosio (379-395) decise che doveva essere l'unica religione dell'Impero (391). Da quel momento in poi, tutti gli altri culti cominciarono a essere perseguitati, e vennero perseguitati anche i cristiani eretici. La vecchia religione politeista, per disprezzo, cominciò a essere chiamata "pagana" (cioè una religione da contadini). 3 I nuovi invasori vengono da Lontano. Intanto, nelle steppe a nord del lontano Impero cinese, accadevano degli eventi che ebbero conseguenze importantissime anche per l'Occidente: Le tribù nomadi - che i cinesi chiamavano xiongnu e i romani "unni" - cominciarono ad abbandonare i loro territori, nei quali praticavano quasi esclusivamente la pastorizia, probabilmente a causa del peggioramento del clima o per l'aumento della popolazione. Dapprima superarono la Grande muraglia, eretta dagli imperatori cinesi proprio per proteggersi dalle loro incursioni, e invasero l'Impero cinese; poi incominciarono a spostarsi verso occidente. Nel 375 gli unni superarono gli Urali e si affacciarono sulle pianure europee. Le tribù di agricoltori e pastori che vi erano stanziate, prese dal terrore, si spostarono a loro volta verso occidente, cercando salvezza entro i confini dell'Impero romano. Incominciò, quindi, un nuovo periodo di invasioni.

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4 Come reagiscono gli imperatori romani. Di fronte a questa straordinario movimento di uomini e donne, gli imperatori romani cercarono con ogni mezzo di proteggere i loro sudditi. Stipularono trattati con molti capi barbari: concedevano loro di insediarsi pacificamente nelle terre dell' Impero, arruolavano i loro guerrieri nella cavalleria imperiale, accoglievano i loro piccoli principi a palazzo, per educarli e insegnare loro l'arte di governare. Altre volte li pagavano affinché restassero nelle loro terre a combattessero altre genti, considerate violente e pericolose. Ma, quando fu necessario, gli imperatori si batterono coraggiosamente fino alla morte, come accadde all'imperatore Valente, che morì assieme a molti dei suoi soldati nella battaglia di Adrianopoli del 378, per fermare i visigoti, una federazione di tribù gotiche.

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3A. L'IMPERO CONTINUA ANCORA

1 L'Impero si divide. Nel 395, prima di morire, Teodosio divise l'Impero romano in due zone, e le assegnò ai suoi due figli: questa data è importante, perche da quel momento l'Impero non fu più riunificato. Dal punto di vista politico l'Impero era composto da due regioni: l’Occidente e l'Oriente, con due capitali distinte, due imperatori, due senati e due eserciti. Dal punto di vista economico e sociale, però, esso era diviso in tre regioni, molto diverse tra di loro. La zona orientale aveva molte città popolose e la popolazione era cristianizzata; la zona africana aveva città floride e campagne produttive, ma pagava molte tasse a Roma; la zona occidentale, che comprendeva l'Italia, aveva una linea di confine molto lunga, e quindi aveva bisogno di un esercito numeroso. Queste differenze causarono una sorte diversa per ciascuna delle suddette zone.

2 I contadini chiedono protezione ai signori. Poiché l'esercito imperiale non era più in grado di proteggere la loro vita, i contadini si rifugiavano in massa presso le ville. Qui, il signore li difendeva sia contro gli invasori sia contro gli esattori imperiali delle tasse; in cambio, i contadini offrivano al signore il loro lavoro e i loro possedimenti. Perciò, le proprietà di queste ville cominciarono a estendersi e a diventare immense, al punto che una dozzina di ricche famiglie senatoriali possedeva quasi tutta la terra arabile dell'Italia e della Gallia (la Francia odierna). 3 I signori accolgono gli invasori. Pur di garantire la pace, i signori più potenti erano disposti a cedere una parte dei loro terreni agli invasori, a patto che venissero seguite attentamente le regole ramane dell'hospitalitas. Si consultavano quindi i catasti, si sceglievano le terre e si contrattava la parte da cedere ai nuovi arrivati. Dopo essersi insediati, gli invasori diventavano essi stessi i più strenui difensori dell'Occidente contro gli invasori successivi; ai Campi Catalaunici, in Gallia, ad esempio, una coalizione di germani e romani, guidati dal generale romano Ezio, sconfisse Attila, il re degli unni (451). 4 In Occidente si disgrega l'Impero romano. Durante il V secolo, dunque, si formarono in Occidente delle regioni con popolazione mista, nelle quali l'autorità imperiale contava pochissimo. Al suo posto erano le truppe germaniche che assicuravano la difesa, e obbedivano a un loro re. Le élites cittadine e i signori rurali continuavano a governare e facevano rispettare le leggi; i vescovi cristiani, infine, gestivano la redistribuzione delle ricchezze, cioè raccoglievano le elemosine e distribuivano il cibo ai più bisognosi. Queste regioni diventavano sempre più in grado di autogovernarsi. Perciò, quando l’imperatore Romolo Augustolo venne destituito da un generale barbaro, il senato romano informo l'imperatore d'Oriente che in Occidente non c'era più bisogno di nominare un nuovo imperatore; in Italia, come in Gallia o in Iberia, ci si poteva governare da soli. Era il 476: questa è considerata dalla maggior parte degli storici la data della caduta dell'Impero romano d'Occidente.

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5 Nuovi regni a Occidente, ma a Oriente l'Impero co ntinua. L’imperatore e il senato della Nuova Roma, cioè Costantinopoli, non accettarono la decisione del senato romano. Perciò inviarono in Italia Teodorico, re degli ostrogoti (federazione di tribù gotiche), con il compito di rimettere l'imperatore sul trono. Ma Teodorico, dopo aver conquistato l'Italia, fondò un proprio regno. Come lui, nel V secolo, i franchi avevano fondato un regno in Gallia, i visigoti si erano impadroniti dell’Iberia e i vandali si erano stanziati nella provincia di Africa (l'odierna Tunisia e parte dell'Algeria). Tutta la parte occidentale dell'Impero, perciò, era divisa in regni diversi. Qui vivevano circa venti milioni di persone, e solo il cinque per cento era costituito da germani. La società e la vita dei cittadini comuni non erano cambiate molto; si erano trasformati, però, i gruppi dirigenti, che erano tutti germanici. L’Impero d'Oriente, invece, continuava a essere governato da un solo imperatore, che controllava effettivamente le sue terre, ma si considerava il legittimo imperatore anche delle terre occidentali. Infatti, durante tutta la lunghissima vita dell'Impero d’Oriente (mille anni, fino al 1453), i suoi imperatori e i suoi abitanti continuarono a considerarsi romani, e "romani" venivano chiamati anche dagli altri popoli. Gli storici moderni, invece, li chiamano spesso “bizantini" (da Bisanzio, il nome della città greca poi rifondata e divenuta Costantinopoli) e anche noi, in questo libro, seguiremo questa usanza.

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IL MONACO (tema 1) UN PERSONAGGIO IMPORTANTE NELLA SOCIETÀ MEDIEVALE

Le origini del monachesimo. Al tempo dell'Impero romano vi erano degli uomini e delle donne che decidevano di vivere da soli. Si allontanavano dalle città affollate e chiassose e si ritiravano preso templi o in località molto isolate, nel deserto o sulle pendici di un monte, dove dedicavano la loro vita al servizio della divinità: un dio tradizionale o il Dio cristiano. Erano i monaci (dal greco monos, che vuol dire "solo"). La regione dell'Impero dove i monaci erano più diffusi era l'Egitto. Il monaco più famoso era Antonio, detto "l'Eremita", dalla parola greca éremos, che vuol dire "solitario". Era celebre perché (così si leggeva nel libro che raccontava la sua vita) combatté contro i demoni, e vinse ogni genere di tentazione. San Benedetto da Norcia. Gli eremiti vivevano ciascuno per conto proprio, senza alcuna disposizione comune, ma fin dal IV secolo alcuni uomini di Chiesa avevano pensato di creare delle regole per organizzare l'eremitismo. La regola che ebbe più successo fu quella elaborata da san Benedetto, nato a Norcia nel 480 circa e morto a Montecassino, nel Lazio, nel 547 circa. Benedetto era di famiglia nobile. All'età di diciassette anni, si era ritirato in solitudine sul monte Subiaco, a una cinquantina di chilometri da Roma, dove fondò un monastero, nel quale vivevano tanti eremiti. Dopo qualche anno, però, i monaci, stanchi della severità di Benedetto, tentarono di avvelenarlo. Egli, allora, abbandonò Subiaco e, verso il 525, si trasferì a Montecassino, al confine tra Lazio e Campania; qui, nel 529, fondò un nuovo monastero e scrisse una Regola, per organizzare la vita dei monaci. La Regola stabiliva, per esempio, come dovevano svolgersi le preghiere durante la mensa; quanto cibo e quanto vino spettassero a ciascun monaco; come dovevano vestire i monaci nelle varie stagioni. Secondo la Regola, nel monastero tutto doveva essere in comune, i monaci dovevano accontentarsi di un pagliericcio per dormire e dovevano vivere del lavoro delle loro mani, come avevano fatto anche gli apostoli. Quando morì, nel 547, Benedetto fu seppellito accano alla sorella gemella Scolastica, che aveva fondato un monastero femminile nelle vicinanze di Montecassino. Perché la Regola di san Benedetto ebbe successo. La Regola di san Benedetto si diffuse rapidamente in Europa. Per capire il suo successo, bisogna ricordare che, a quel tempo, l'Italia era stata sconvolta dalla guerra fra bizantini e ostrogoti e, subito dopo, dall'invasione dei longobardi. La penisola era distrutta e la popolazione poverissima, ed era molto difficile far funzionare un'amministrazione complessa come quella di una chiesa o di un monastero. L’idea di Benedetto fu quella di fondare delle aziende agrarie, i cui guadagni potessero far sopravvivere una comunità monastica. Con questo tipo di organizzazione non c'era bisogno di trasportare alimenti e denaro, né accorrevano molti amministratori. Perciò, si può dire che il monastero benedettino nacque dalla fusione fra l'azienda agraria (la villa romana) e una comunità religiosa. Infatti, il monastero non era altro che una villa - con contadini, schiavi e liberi, terre da coltivare e pascoli per gli animali - al cui centro c'era l'edificio dove abitavano i religiosi.

LA VITA NEL MONASTERO

Come si diventava monaco? Erano i genitori a decidere di avviare il proprio figlio alla vita monastica. I ragazzi educati fin da fanciulli nel monastero erano chiamati "nutriti". Per mantenere il giovane e permettere la sua istruzione, i genitori offrivano al convento dei beni (case, bestiame o ricchezze); perciò, in generale, erano le famiglie benestanti a mandare i loro figli in monastero. Le famiglie prendevano questa decisione per varie ragioni: intanto i genitori speravano che, se avessero offerto a Dio un proprio figlio, avrebbero avuto in cambio preghiere da parte dei monaci e quindi la protezione divina.

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Leggere e scrivere. A volte anche uomini adulti decidevano di entrare in convento. Se erano analfabeti, però, dovevano imparare a leggere e scrivere: infatti, la Regola benedettina obbligava i monaci a leggere libri sacri per due o tre ore al giorno, e a imparare a memoria la Bibbia. A partire dall'XI secolo alcune congregazioni di monaci, come quella cistercense, introdussero anche la figura dei conversi, che erano dei laici analfabeti, accettati come monaci. Essi non potevano partecipare al coro, cioè alla preghiera liturgica comune, e dovevano svolgere i compiti più umili all'interno del monastero. Questi monaci non erano di origine nobile e la loro funzione assomigliava molto a quella dei servi. Il lavoro dei monaci. Una parte del tempo dei monaci era destinata alle preghiere e alle cerimonie sacre, un'altra parte, invece, al lavoro. Questa ripartizione Del tempo era descritta dalla formula ora et labora, “prega e lavora". Fra i lavori che i monaci svolgevano, vi era anche quello di ricopiare i codici ed era un impegno così faticoso che, a volte, veniva imposto come penitenza. I monaci ricopiavano diligentemente su pergamena i documenti che attestavano le donazioni dei fedeli al monastero, oppure le storie dei loro santi fondatori. Copiavano gli scritti sacri: Vangeli, raccolte di canti religiosi, prediche di santi padri. Tuttavia, nei primi secoli, i monasteri erano così poveri che questa attività era molto limitata. Gli scriptoria. Fu nei secoli successivi che si svilupparono gli scriptoria, cioè le officine nelle quali decine di monaci si dedicavano al lavoro di copiatura dei codici. In questo periodo vennero copiate anche molte opere di antichi scrittori latini: gli storici di Roma, gli scrittori di diritto, i poeti e gli scrittori tecnici che spiegavano come si costruivano gli acquedotti e i ponti o come si coltivava la terra; in questo modo, i monaci benedettini salvarono una parte della cultura latina. Le opere che non furono ricopiate andarono perdute per sempre. Alcuni scriptoria, come quello di Montecassino, diventarono molto celebri perché gli amanuensi, cioè gli scribi che vi lavoravano, sapevano ricopiare con grande precisione e illustravano i libri con estrema bravura. Le opere di questi scriptoria erano richieste in tutta Europa e venivano pagate a caro prezzo; per questo motivo lo scriptorium era anche una ricca fonte di guadagno per il monastero. La vita dei monaci. Alla base della vita monastica c'erano due princìpi: il rispetto delle regole e l'ubbidienza a un superiore. Nei monasteri benedettini esistevano regole precise, ma la vita dei monaci non era molto severa e dura, se la paragoniamo a quella degli altri uomini del Medioevo. Chi entrava in monastero doveva però restarci per tutta la vita, perché la scelta monastica era irreversibile. Spesso i monaci diventavano consiglieri dei sovrani o mediatori in contese e guerre fra signori locali, re, papi e imperatori. Molti di loro, infatti, erano straordinariamente apprezzati dalla gente, perché avevano prestigio, autorevolezza, forza di decisione.

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4A. UNA NUOVA POTENZA: GLI ARABI 1 I problemi di Costantinopoli: i persiani e le ere sie. Dopo aver perso l'Italia, gli imperatori romani di Bisanzio dovettero affrontare due grandi problemi. Il primo era costituito dall'Impero persiano che, allo scopo di procurarsi uno sbocco sul mar Mediterraneo, cercava ostinatamente di impadronirsi delle coste siriane e causò guerre ininterrotte, che dissanguarono finanziariamente entrambi gli imperi. Il secondo problema era costituito dalle eresie che si erano diffuse in Egitto e in Siria. Gli imperatori bizantini tentarono di estirparle: fecero condannare le teorie eretiche nei concili e mandarono in esilio i vescovi eretici. In questo modo, però, provocavano continue ribellioni delle popolazioni locali, affezionate al proprio clero. 2 Una regione periferica diventa minacciosa. Verso la metà del VII secolo per l'Impero bizantino sorse una terza minaccia, proveniente dalla penisola arabica. Questa è una regione immensa, grande quasi quanto tutta l'Europa occidentale, circondata dal mare da tre lati. Essa confinava a nord con i due grandi imperi, bizantino e persiano; al centro era desertica, ma sulle coste e presso il confine settentrionale vi erano terre fertili e città, e si erano formati molti regni. Perciò la penisola arabica era popolata da beduini (nomadi alleva tori di cammelli e cavalli), che erano in prevalenza politeisti; ma nei regni e nelle città erano diffuse le religioni degli imperi: il cristianesimo, il manicheismo, il giudaismo e così via. 3 Muhammad fonda una nuova religione. Qui, tra il 610 e il 620, Muhammad (in italiano Maometto), un mercante nato a La Mecca intorno a1570, cominciò a predicare una nuova religione, l'islam, che prescriveva una fede assoluta in un solo dio: Allah. Le popolazioni arabe, fino ad allora divise e spesso nemiche tra loro, trovarono nell'islam una spinta alla loro unione. Dapprima, alcune di esse fecero delle spedizioni armate contro l'Impero, e riuscirono a sconfiggere l'esercito di Bisanzio. Il successo di queste imprese diffuse entusiasmo e fu un potente stimolo per tutti gli arabi a unirsi in un solo popolo; così formarono un solo esercito e invasero l'Impero. Dal canto loro, le popolazioni locali non opposero molta resistenza e, anzi, li accolsero con favore. La vittoria contro l'Impero romano d'Oriente galvanizzò gli arabi, che si lanciarono alla conquista seguendo tre direttrici: a ovest, verso l'Egitto e l'Africa settentrionale; a nord, contro l'Impero bizantino; a est, contro l'Impero persiano. 4 L'avanzata dell'islam è inarrestabile. Spesso, durante la loro avanzata, gli arabi incontravano popolazioni desiderose di liberarsi dagli esattori imperiali e dai vescovi imposti da Bisanzio, e stanche di produrre grano per la plebe della capitale lontana; a volte, gli stessi cittadini aprivano le porte delle loro città agli invasori. Fu così che gli arabi si impadronirono in pochi anni di Egitto, Palestina e Siria. Verso occidente, gli arabi dapprima incontrarono molte difficoltà nello sconfiggere le tribù berbere, cioè i nomadi del Maghreb, rimasti indipendenti sotto i cartaginesi, i romani e i bizantini; ma quando i berberi si convertirono all'islam, gli arabi poterono contare sulle loro capacità di combattenti per procedere nell'occupazione di nuove terre. 5 L'avanzata musulmana si ferma nell’VIII secolo. Nel 711, un piccolo esercito berbero attraversò lo stretto di Gibilterra e invase la Spagna: qui fu spesso accolto amichevolmente da popolazioni cristiane che non sopportavano il dominio dei visigoti,

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anch'essi cristiani, ma seguaci dell'eresia ariana. I berberi vittoriosi tentarono poi di proseguire verso nord e, passati i Pirenei, condussero numerose scorrerie fino a quando furono fermati dalla cavalleria franca, che li sconfisse nel 732 a Poitiers. Verso oriente gli arabi non incontrarono grandi ostacoli. I domini persiani furono conquistati uno dopo l'altro e diventarono parte dell'Impero islamico. Invece, verso nord, l'Impero bizantino si rivelò un nemico temibile. o Sul mare, gli arabi furono sempre battuti dalle flotte bizantine; via terra trovarono un baluardo insuperabile nella popolazione dell'Asia Minore (l'odierna Turchia), cristiana e fedele all'imperatore, e nelle mura di Costantinopoli, che respinsero due lunghi assedi (nel 674 e nel 717).

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MAOMETTO, PROFETA DELL’ISLAM (tema 2)

L’ORIGINE DI UNA NUOVA RELIGIONE

Maometto fonda l'islam. La religione islamica è una religione monoteista perché i suoi fedeli credono in un solo dio e lo chiamano Allah, cioè "l'unico dio". Dalla parola islam deriva muslim (da cui !'italiano “musulmano"), con cui si indica il fedele in Allah, "colui che si sottomette a Dio". Il profeta che ha dato inizio a questa religione si chiamava Muhammad; un nome che in italiano traduciamo con Maometto. Come Mosè, anche Maometto ricevette da Dio insegnamenti e regole di vita da trasmettere agli altri uomini. L'islam nasce in Arabia. L’Arabia è una grande penisola, molto più vasta dell'Italia, e in gran parte desertica. Nel VI secolo era abitata da pastori e commercianti nomadi, ma anche da agricoltori e commercianti sedentari. Al nord e al centro vivevano i pastori nomadi, detti "beduini", che in arabo vuole dire "abitanti del deserto", che allevavano dromedari, montoni e capre; nell'Arabia meridionale e nelle oasi lungo le strade percorse dalle carovane di mercanti, vivevano invece le popolazioni sedentarie. I contadini producevano cereali, frutta (datteri, uva) legumi e altri prodotti come spezie. incenso e mirra, che venivano poi commerciati nelle città e lungo le strade principali. La lingua di tutti gli arabi aveva una comune origine semitica, e la loro religione comprendeva il culto di numerose divinità. La popolazione viveva in tribù, cioè in gruppi di persone legate da vincoli di parentela; i membri di una tribù erano di solito molto uniti e si aiutavano a vicenda. La Mecca è la città più importante. Nel VII secolo la città più importante della penisola arabica era La Mecca, che ogni anno ospitava una grande fiera dove si potevano vendere e comprare animali, prodotti agricoli, oggetti artigianali, tessuti, armi, spezie e tante altre merci. In questa occasione venivano sospese tutte le guerre, e dall'Arabia intera giungevano i pellegrini, per visitare la Ka'ba, un tempio di forma cubica che conteneva una pietra nera, che si riteneva fosse caduta dal cielo. Lo stesso pellegrinaggio era fatto anche da fedeli di altre religioni: pagani, ebrei, cristiani.

MAOMETTO: UNA VITA STRAORDINARIA

la nascita di Maometto è avvolta nella leggenda. Maometto nacque intorno al 570: non conobbe mai suo padre, che era morto durante un viaggio d'affari mentre la moglie era incinta. La nascita di Maometto, quella di tanti altri uomini famosi, è ricordata come miracolosa, segnata da eventi speciali. Secondo la leggenda, quel giorno gli angeli volarono intorno alla e scagliarono pietre ai ginn, piccoli geni maligni che spiavano tutto quello che avveniva nell'universo. Non ci fu bisogno di tagliare il cordone ombelicale al neonato perché era già reciso. Gli angeli lavarono il bambino e le donne che assistevano la madre lo trovarono pulito e lindo come il cristallo. La notte in cui nacque il cielo si illuminò di una luce molto intensa; infine si scoprì che il piede del piccolo lasciava sulla pietra nera della Ka'ba la stessa impronta del piede di Abramo. Maometto ha un'infanzia difficile. Maometto a anni perse sia la madre, sia il nonno che lo accudiva e così fu accolto in casa di uno zio paterno, che si occupava di commerci. Anche durante la fanciullezza Maometto fu protagonista di episodi speciali. Un giorno era in viaggio con la carovana di suo zio, quando arrivarono a Bosra, una bella cittadina cristiana. All'arrivo dei carovanieri, un monaco eremita di nome Bahira inaspettatamente uscì dalla sua cella e raccontò loro il sogno che aveva fatto: egli aveva visto avvicinarsi una carovana di cammelli, uno dei cammellieri aveva un'aureola e una nube sul capo. Il monaco guardò Maometto, riconobbe in lui il cammelliere della visione ed esclamò: «Tu sei l'inviato di Dio, il profeta annunciato dal libro sacro, la Bibbia». Maometto si sposa. A causa della sua povertà, Maometto non riusciva a trovare moglie. Un giorno una donna di nome Khadigia s'innamorò di lui. Era ricca, vedova, era stata già sposata due

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volte, dirigeva da sola i suoi affari e le sue carovane erano considerate le più importanti della Mecca. Maometto yenne prescelto, per la sua onestà, per guidare queste preziose carovane verso la Siria. Quindi Khadigia gli propose di sposarla, Maometto accettò e nel 595 si celebrò il matrimonio. Maometto diventò un uomo ricco, importante, ma ebbe solo figlie femmine da Khadigia. Per un arabo non avere figli maschi era un disonore, tanto più che la legge permetteva di avere più di una moglie. Ma Maometto fu fedele alla propria consorte e, finché visse, non ebbe altre donne, nonostante fosse abbastanza ricco da potersene permettere molte. Alla fine decise di adottare due ragazzi: suo cugino Alì e Zayd, uno schiavo che aveva affrancato. Maometto capisce di essere il profeta. Da giovane Maometto aveva praticato i culti tradizionali della sua gente, ma quando giunse a quarant'anni. fu preso da un'inquietudine religiosa, alimentata forse dai contatti con il giudaismo e il cristianesimo, religioni che aveva conosciuto durante i suoi viaggi; per questa ragione cominciò a trascorrere intere notti in meditazione in una caverna del monte Hira, presso La Mecca. Una notte dell'anno 611, mentre Maometto vegliava, avvolto nel burda, il suo mantello, all'improvviso gli apparve l'arcangelo Gabriele che gli disse: «Tu sei l’apostolo di Dio». Dopo questa prima apparizione, le rivelazioni si ripeterono molte volte e Maometto si convinse di essere stato scelto come profeta, come la voce che Allah avrebbe usato per comunicare con gli uomini e insegnare loro la giusta via. Maometto sosteneva di essere un inviato di Dio che, dopo aver mandato i suoi profeti a ebrei e cristiani, trasmetteva tramite lui il suo ultimo messaggio per correggere e purificare i precedenti. Egli aveva dunque il compito di diffondere il messaggio di Dio nel mondo. Questo significato è contenuto nella parola Corano, il testo sacro dei musulmani, derivante dal termine Qura'an, che significa "recitazione ad alta voce". Il Corano fu infatti dettato a Maometto dall'arcangelo Gabriele e il profeta, semplicemente, lo trascrisse, senza modificarlo in nessun modo. La predicazione di Maometto incontra difficoltà. Maometto aveva avuto l'ordine da Dio di convertire innanzitutto la sua tribù. Dopo qualche resistenza, i suoi familiari accettarono pienamente il suo messaggio religioso. Maometto riuscì a convertire anche molte persone di condizione modesta, come fabbri, artigiani, schiavi; ebbe invece meno successo con i ricchi mercanti della Mecca. Questi ultimi ritenevano il monoteismo professato da Maometto addirittura pericoloso, mentre pensavano che il politeismo facilitasse le buone relazioni con tutte le genti vicine e permettesse di ricavare grandi guadagni dal pellegrinaggio al santuario della Ka'ba. Appoggiare una religione monoteista avrebbe rischiato di distruggere il clima di tolleranza religiosa che c'era alla Mecca; inoltre, sarebbero giunti in città meno pellegrini e i commercianti avrebbero visto ridursi i loro incassi. Per queste ragioni la gente cominciò a sbeffeggiare Maometto e i suoi seguaci, a insultarli o scagliare pietre contro di loro. Molti lo consideravano un indovino, uno stregone, un poeta o, peggio, un uomo pagato da cristiani ed ebrei. La situazione per Maometto si fece difficile. Maometto si trasferisce a Medina. Maometto entrò in contatto con alcuni abitanti di Yathrib, cittadina cosmopolita e tollerante, in cui vivevano alcuni suoi parenti. Fu invitato a stabilirsi in quella città e vi si trasferì con parte dei suoi seguaci nel 622. Da questo espatrio o emigrazione (higra, da cui "égira") ha inizio l'era musulmana. Termina l'epoca tribale e inizia il tempo dell'islam, una dottrina non solo religiosa ma anche sociale e politica. Questa data è così importante per i musulmani che il 622 dell'era cristiana corrisponde all'anno zero del loro sistema di datazione. Yatrib diventò così Madinat al-Nabi (da cui Medina), cioè “la città del profeta". Maometto organizza la comunità musulmana. La comunità musulmana di Medina si rafforzò sotto la guida politico-religiosa indiscussa di Maometto. Egli le diede un'organizzazione semplice: la prima moschea riproduceva la struttura della casa dove il profeta riuniva i suoi discepoli. In questo periodo, però, egli entrò in conflitto con la comunità ebraica della città, perché gli ebrei lo

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criticavano per la sua insufficiente conoscenza dei testi biblici. A essi Maometto rispose che la colpa era degli ebrei, che avevano alterato le scritture di cui erano depositari e che perciò la vera rivelazione era quella contenuta nel Corano. Tutta l'Arabia si converte all'islam. Maometto cercò di rafforzare la comunità di Medina creando alleanze con varie tribù. Si voleva preparare in modo da essere pronto quando si fosse presentato il momento buono per attaccare La Mecca. In questa occasione Maometto mostrò delle doti di grande capo militare e politico oltre che religioso. Nel 630, marciò contro La Mecca con un esercito di diecimila fedeli. I ricchi mercanti della città preferirono convertirsi e firmare un patto di pace, così Maometto si impadronì pacificamente della città ottenendo un grande risultato politico e religioso. L’anno successivo riportò delle vittorie sulle tribù arabe ribelli e sui beduini (battaglia di Hunayn, non lontano dalla Mecca): molti di essi furono sottomessi e molti, più o meno sinceramente, si convertirono alla nuova religione. Così, nel 632, l'Arabia fu conquistata interamente all'islam. Maometto organizza la società musulmana. Medina ormai era divenuta una città importante. Molti persiani, egiziani, siriani, iracheni, yemeniti vi si trasferirono attratti dall'islam; accorsero anche molti commercianti e guerrieri, forse spinti dalla promessa di facili guadagni. In questa fase Maometto ricevette da Dio le rivelazioni che riguardavano l'organizzazione della comunità religiosa. Furono fissati i cinque pilastri dell'islam: la professione di fede, che consiste nel proclamare la formula «Non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Muhammad è il suo profeta», la preghiera da tenersi cinque volte al giorno con il capo rivolto a La Mecca, l'elemosina, il digiuno nel mese di Ramadàn (il nono mese dell'anno musulmano), il pellegrinaggio alla Ka'ba. Maometto emanò anche delle leggi sul matrimonio e famiglia. Stabilì, ad esempio, che un uomo poteva avere fino a quattro mogli, ma doveva trattarle allo stesso modo, e che le donne avevano diritto a ereditare una parte delle ricchezze della famiglia. Su questo aspetto rivoluzionario bisogna considerare che nomadi e sedentari avevano concezioni diverse. I sedentari erano contrari a questa regola perché rischiava di dividere la terra in porzioni troppo piccole: era meglio tenere la proprietà tutta unita. Ma Maometto era un cammelliere della Mecca e ragionava da commerciante. Infine fu vietato il prestito di denaro con interesse, cioè l'usura. Maometto muore. Nel marzo del 632 Maometto compì il pellegrinaggio alla Mecca detto "dell'addio", rivelò le norme relative al pellegrinaggio stesso e, tornato a Medina, si ammalò e morì. Qui fu sepolto, e il pellegrinaggio alla sua tomba, almeno una volta nella vita, è un dovere religioso per ogni musulmano. Maometto aveva trasformato completamente l'Arabia: da zona geografica divisa fra tante tribù era diventata un potente stato, capace di unire nomadi e sedentari, rafforzato da una comune identità basata su una fortissima fede religiosa .

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5A. IL MONDO AL TEMPO DELL'IMPERO ROMANO 1 l'Impero romano. L’Europa, l'Asia e l'Africa costituiscono un unico territorio, chiamato "Antico continente". Questo nome viene dal fatto che nell'antichità e nel Medioevo queste erano le sole terre conosciute. Fra il II e il VII secolo nell'Antico continente vi erano molte grandi potenze. Quella più a occidente era l'Impero romano, un impero bilingue, perché vi si parlavano il latino e il greco. Nei territori dell'Impero romano nacquero due fra le religioni più importanti del mondo occidentale: il cristianesimo e l'ebraismo. 2 l'Impero persiano dei Sasanidi. Andando verso oriente, si incontrava il grande Impero persiano, che era governato da una dinastia detta "Sasanide", dal nome del fondatore Sasan, e usava la lingua pharsi (persiana), simile alle lingue occidentali. In questo vastissimo territorio nacque e si diffuse il manicheismo, religione, oggi scomparsa, che fu una delle più seguite nel mondo antico. Per grandezza, forza militare e ricchezza, l'Impero persiano era equivalente all'Impero romano. Fra questi due imperi i rapporti non erano sempre pacifici; infatti, i re sasanidi tentavano con ogni mezzo di raggiungere il Mediterraneo e, dal canto loro, i romani non sopportavano l'idea di pagare ai persiani tasse salatissime per commerciare con l’Oriente. Per questi motivi scoppiarono guerre sanguinose fra i due contendenti. 3 L'Impero gupta. A oriente delle terre abitate dai persiani, vi era l'Impero gupta. Il territorio dei gupta era il luogo di nascita di alcune religioni importantissime, fra le quali l'induismo e il buddismo. La prima religione si diffuse in tutta l'India; la seconda, invece, fu portata da monaci e mercanti verso nord, oltre le altissime montagne dell'Himalaya, e si diffuse in Cina e in Giappone. In India si parlavano diverse lingue: le più diffuse erano simili a quelle occidentali; infatti, gran parte delle popolazioni che ancora oggi vivono in Europa, Iran e India parlano lingue che appartengono alla stessa famiglia, chiamata appunto "indoeuroea". Con l'India, dunque, finisce la parte occidentale dell'Antico continente. 4 L'Impero cinese. Andando ancora verso oriente, si incontrava l'Impero cinese. Questo impero si era unificato verso il III secolo a.c., nello stesso periodo in cui in Occidente i romani, sconfiggendo i cartaginesi, avevano posto le basi del loro grande dominio. Dopo l'unificazione, la Cina era diventata un impero potente e organizzato: gli imperatori ella dinastia Han, che governarono fino al III secolo d.C., conquistarono ampi territori circostanti ed estesero i confini dei loro domini. Nell'Impero cinese si parlavano molte lingue: quella più diffusa nel nord del paese e impiegata dai funzionari dello stato era il mandarino. Fra l'Impero cinese e l'Impero romano probabilmente non vi erano rapporti diretti; di certo, però, ciascuno conosceva l'esistenza dell'altro. Alcune merci preziosissime, infatti, viaggiavano da un capo all'altro dell'antico continente: la seta, che veniva esportata dalla Cina verso Roma; l'oro che, invece, seguiva il percorso inverso e dall'Impero romano arrivava in Cina. 5 Il sistema degli scambi nell'Antico continente. Le vie che mettevano in comunicazione la parte orientale e quella occidentale dell'Antico continente erano fondamentalmente due. Una via era terrestre: passava attraverso i territori dell'Impero persiano, lungo i deserti e le steppe asiatiche e giungeva in Cina. L’altra via era marittima: attraversava l'oceano Indiano, arrivava sulle coste dell'Impero gupta e da qui proseguiva verso la Cina. Esistono molte testimonianze di questi commerci, come i resti di città mercantili, che sorgevano lungo le strade; o le grandi quantità di monete romane che gli archeologi trovano ancora adesso in India.

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6 nomadi. A nord di questa "collana di imperi" si estendeva a perdita d'occhio il territorio vastissimo dei nomadi. Erano popolazioni che vivevano dei prodotti dell'allevamento, ma anch'esse partecipavano ai commerci continentali, sia direttamente, organizzando lunghe carovane di cammelli che trasportavano le merci da vendere, sia indirettamente, in quanto percepivano delle tasse dai mercanti di passaggio. A volte, i nomadi decidevano di impadronirsi della ricchezza degli imperi: fu questo il caso dei nomadi xiongnu o unni che tra il IV e il V secolo d.C. attaccarono prima l'Impero cinese, poi l'Impero romano, e furono fra le cause della caduta della parte occidentale di quest'ultimo. Come già sai, vi era anche un'altra regione abitata prevalentemente da nomadi: la penisola arabica. Questa era popolata da tribù che parlavano lingue semitiche (simili all'ebraico) e vi-vevano di allevamento e di commerci fra il Mediterraneo e l'oceano Indiano. 7 L'Africa. L’oro che animava i commerci tra imperi e popolazioni nomadi nel mondo antico veniva prevalentemente dall'Africa; di qui era importato nell'Impero romano e, successivamente, si muoveva verso oriente. In questo periodo, anche in Africa avvennero dei cambiamenti importantissimi, che modificarono profondamente la storia di quel continente. Immediatamente a sud del deserto del Sahara, infatti, vivevano delle popolazioni africane che conoscevano l'arte dell'agricoltura e della pastorizia e che erano, appunto quelle che commerciavano l'oro con le popolazioni mediterranee; sono le popolazioni africane che noi oggi chiamiamo bantu, che vuoI dire "uomini". Nel resto dell'Africa vivevano, invece, delle tribù di cacciatori e di raccoglitori. Quando i bantu cominciarono a migrare verso sud e a colonizzare le terre dell'Africa centrale, le popolazioni di cacciatori e raccoglitori furono costrette a rifugiarsi nelle foreste equatoriali e nelle regioni semidesertiche dell'Africa meridionale, dove ancora oggi vivono: li conosciamo con il nome di boscimani e di pigmei. 8 La colonizzazione del Pacifico. Le popolazioni dell'Asia sud-orientale, dal canto loro, dettero vita al processo di colonizzazione più difficile e spettacolare della storia dell'umanità. Infatti, a bordo di canoe che potevano contenere poche decine di persone, senza bussola e senza carte geografiche, si spinsero nell'oceano Pacifico e ne colonizzarono, una dopo l'altra, tutte le isole. Portavano con sé animali e semi di piante, per trasportare, insieme con la loro lingua e la loro cultura, anche i loro sistemi di sopravvivenza. Questa migrazione, iniziata già in tempi molto antichi, durò dei secoli e si diresse sia a oriente, sia a occidente, verso l'isola del Madagascar. Con le loro canoe, i coloni percorrevano distanze enormi: nel 400 d. C. essi raggiunsero persino le lontanissime isole Hawaii. 9 L'America. Mentre le civiltà dell'Antico continente erano in relazione (più o meno diretta) fra di loro, le popolazioni americane si svilupparono in modo totalmente indipendente. Infatti, l'America era stata colonizzata da gruppi umani, che, fra trentamila e quindicimila anni fa, erano partiti dall'Antico continente e si erano spinti nel Nuovo, attraversando probabilmente lo stretto di Bering. Nel Nuovo continente, queste popolazioni inventarono un'agricoltura particolare, basata su alcune piante sconosciute nell'Antico continente, come il mais, la patata, la melanzana e il pomodoro.

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LE CIVILTÀ DEL GRANO, DEL RISO E DEL MAIS (tema 3)

LA CIVILTÀ DEL GRANO

Il grano è l'alimento delle società occidentali. Il grano (o frumento) è stato per millenni il principale alimento delle civiltà occidentali. Egizi, greci, romani, bizantini, e i vari regni medievali, che hanno avuto religioni, culture e forme di governo diverse, avevano questo in comune: vivevano tutti del lavoro dei contadini. E il grano era l'alimento principale di tutte quelle popolazioni. Il grano offre vantaggi e svantaggi. Il grano impoverisce il terreno, perché assorbe moltissime sostanze nutritive. Per mantenere fertile il terreno, i contadini europei inventarono il sistema della "rotazione": cioè ogni anno coltivavano una parte della terra, e lasciavano riposare l'altra. Nei campi lasciati a riposare andavano a pascolare i buoi e i cavalli, animali molto importanti perché aiutavano il contadino a trascinare l'aratro. Il letame dei bovini e degli equini, inoltre, veniva utilizzato per la concimazione del terreno. Il grano serve per fare il pane, e anche altri cibi, ma ha un basso valore nutritivo. Per sfamare un uomo adulto occorre circa un chilo di farina; quindi, le società basate sul grano dovevano mettere a coltura tutta la terra a disposizione. Il grano ha, però, il vantaggio di poter essere conservato per molto tempo dopo il raccolto; per questo, nel Medioevo, i mercanti potevano trasportare grandi quantità di grano anche in luoghi lontani da quelli di produzione. Il grano aveva una bassa resa. Il rapporto fra la quantità di grano che viene seminata e quella che viene raccolta si chiama "resa". Nell'antichità e nel Medioevo, in media, si raccoglievano soltanto cinque chicchi di grano per ogni chicco seminato. La resa del grano era dunque molto bassa. La scarsa resa del grano e il suo basso valore nutritivo avevano delle conseguenze: quando la popolazione aumeNtava, i contadini dovevano coltivare sempre più terre per produrre abbastanza cibo in grado di sfamare tutti. Perciò, dopo aver utilizzato tutte le terre fertili pianeggianti, impararono a lavorare anche i terreni collinari e abbatterono le foreste, per trasformarle in campi coltivabili. Quasi tutti gli abitanti, oltre il 90%, erano occupati nell'agricoltura, e il grano era l'alimento fondamentale dell'alimentazione umana, al punto che ebbe un posto importante nelle religioni occidentali: il grano e il pane venivano considerati sacri .

LA CIVILTÀ DEL RISO

Il riso è l'alimento delle popolazioni orientali. Il riso è stato per millenni il cibo principale delle popolazioni indiane e cinesi; poi si è diffuso in Giappone, in Malesia e in tutte le civiltà che si affacciavano sui mari meridionali dell'Asia Orientale. Per le popolazioni dell'Estremo Oriente il riso ha nell'alimentazione lo stesso ruolo del pane per gli occidentali. È l'alimento base d'ogni pasto: viene mangiato lesso e senza sale, accompagnato a volte da erbe e da piccole quantità di strutto, un grasso ricavato dal maiale. Per renderlo più appetitoso, le popolazioni asiatiche hanno imparato nei secoli a mescolarlo con altri cibi. Questa pianta ha un valore nutritivo più alto rispetto al grano. Il riso era così importante per questi popoli che, quando svolgevano cerimonie religiose, tra le offerte agli dèi spesso c'era una ciotola di riso. Il riso viene coltivato nell'acqua. I modi per coltivare il riso sono vari e dipendono dalle caratteristiche dei terreni e dal clima. La tecnica più conosciuta e frequente è quella della coltivazione acquatica: il riso viene piantato in campi che, in seguito, vengono inondati. Le piante crescono sommerse e, di tanto in tanto, l'acqua che le ricopre viene cambiata. Per questo tipo di coltivazione, quindi, è necessario un sistema di irrigazione che faccia giungere

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acqua alle risaie dalle sorgenti o dai fiumi. A questo scopo, fin dai tempi più antichi, gli uomini progettarono macchine idrauliche, pompe a pedali, canali di bambù e argini per trattenere l'acqua piovana. Nelle regioni in cui i terreni pianeggianti erano pochi, gli uomini impararono a coltivare il riso anche sulle colline, creando delle vasche sui terrazzamenti. Tutte queste invenzioni hanno modellato il paesaggio delle campagne della Cina, che è uno dei paesi in cui la coltivazione del riso è più diffusa. La resa del riso è elevata. Il riso matura rapidamente: in un anno i contadini riuscivano a ottenere due raccolti. Se si coltivavano le risaie con tecniche intensive, la resa poteva essere molto elevata: un ettaro di risaia rendeva più del doppio di un campo di grano delle stesse dimensioni. Per ottenere raccolti così abbondanti era necessario tantissimo lavoro e l'impegno di un gran numero di contadini, che vivevano concentrati in territori poco estesi vicino ai campi. Le autorità dello stato organizzavano e sorvegliavano il loro lavoro. Per coltivare il riso occorre molta manodopera. Per preparare i campi per le coltivazioni acquatiche serviva molta manodopera addetta alla costruzione di argini, canali, terrazzamenti sulle colline. Perciò i centri urbani, ricchi di abitanti, sorgevano sempre in prossimità delle coltivazioni. La città, con i suoi numerosi abitanti, era utile ai coltivatori di riso anche per un altro motivo: il concime per le coltivazioni, infatti, si otteneva dagli escrementi umani. La maggior parte del raccolto di riso veniva consumata dalle popolazioni che lo coltivavano. Per questo motivo non esisteva un commercio del riso paragonabile a quello del grano. I popoli che praticavano la risicoltura non conoscevano le altre colture e non praticavano forme di allevamento di animali .

LA CIVILTÀ DEL MAIS Il mais è l'alimento delle popolazioni americane. Il mais era la principale fonte di cibo nell'Impero dei maya, degli aztechi e di tutte le società di agricoltori dell’America centro-meridionale. Per i maya, il mais non era solo un cibo, ma aveva anche un significato religioso: secondo uno dei loro miti sulla creazione, infatti, gli uomini erano stati generati solo quando gli dèi creatori, dopo vari tentativi, avevano infine usato il mais per dare un corpo ai primi antenati del genere umano. Il mais cresce rapidamente. Il mais deriva da un'antica pianta che l'uomo ha pazientemente imparato a coltivare in climi e altitudini differenti. Cresce rapidamente e i suoi chicchi sono commestibili già prima di giungere a maturazione; anche lo stelo della pianta è commestibile e costituisce un alimento prezioso perché ricco di zuccheri. Con la farina ottenuta dai chicchi di mais, le antiche popolazioni dell'America centro-meridionale preparavano le gallette, che poi cuocevano su un focolare di pietra. Queste gallette erano la base della loro alimentazione e corrispondevano al nostro pane. Il mais ha una resa elevata. La coltivazione intensiva del mais dava ottimi risultati. I contadini riuscivano a ricavare due raccolti. annuali. In questo modo si potevano ottenere all'incirca centocinquanta chicchi per ogni seme piantato. Inoltre, la coltivazione del mais richiedeva poco lavoro per i contadini e non prevedeva l'uso di animali né l'u tilizzo di attrezzi complicati. Il mais ha bisogno di un clima mite. Per coltivare il mais, ogni contadino doveva lavorare circa centocinquanta giornate all'anno. Nel tempo libero dal lavoro agricolo, i contadini venivano utilizzati dai loro re e dai sacerdoti per costruire edifici, templi e piramidi gigantesche nelle città. Le popolazioni che coltivavano il mais si dedicavano anche al commercio con gli abitanti dei villaggi di montagna delle Ande, che vivevano spesso oltre i mille metri di altitudine. Nei loro villaggi gli andini non potevano coltivare il mais perché questa pianta cresce solo se il clima è mite; sulle loro montagne, però, c’erano miniere di salgemma: essi, quindi, potevano scambiare il sale che producevano con il mais e la farina prodotti dalle popolazioni che vivevano a valle.

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B1. IL REGNO FRANCO

1 La splendida corte di Aquisgrana. Carlo era il re dei franchi, e il suo regno occupava una parte della Francia e della Germania attuali. La sua capitale, Aquisgrana, che oggi si chiama Aachen, si trova al confine fra Germania, Francia e Belgio. Era (ed è ancora adesso) una città termale, e Carlo amava le terme e i bagni di acqua calda, come i romani di un tempo. Ma era anche una città sacra, perché vi era custodito il mantello di Martino, il santo guerriero dei franchi. Qui Carlo costruì il palazzo e la cappella reale, e li volle simili alle chiese di Ravenna, la capitale del regno di Teodorico, il grande re ostrogoto che aveva governato felicemente su barbari e latini. 2 Carlo compie grandi imprese. Per ingrandire il suo dominio o per domare qualche ribellione, ogni anno, in primavera, Carlo preparava una spedizione militare. In quasi quarant'anni di regno, combatté contro i musulmani spagnoli, i longobardi italiani, gli àvari di Austria, i sassoni e i bavari di Germania. Nessuno riusciva a contrastare la potenza del suo esercito: Carlo, infatti, era un combattente coraggioso e un generale intelligente. Le sue vittorie militari,però, erano anche il frutto della sua capacità politica. Egli era abilissimo nell'intrecciare alleanze con i signori che incontrava durante le sue spedizioni militari. A ogni signore chiedeva soldati e cavalieri; così, con il loro aiuto, riusciva a organizzare, ogni anno, un esercito numeroso e imbattibile. 3 i vassalli erano alleati interessati. Quando Carlo conquistava un territorio, premiava i signori alleati donando loro delle proprietà terriere, strappate ai vinti, o sequestrate alle chiese e ai monasteri dei territori conquistati. Si trattava di un dono particolare, che nel linguaggio del tempo si chiamava "feudo". I signori che ricevevano il feudo diventavano "amici leali" del re, o come si diceva allora diventavano suoi "vassalli". I vassalli sapevano che il feudo era un dono temporaneo, perché era la ricompensa per il prestito dei guerrieri in occasione di una spedizione militare; ma solo di rado lo restituivano. Anzi, col passare del tempo, il vassallo cominciava a considerare il feudo come una sua proprietà e lo aggiungeva ai suoi possedimenti. 4 I conti governano per conto del re . I signori più meritevoli venivano insigniti del titolo di "conte". Un conte aveva il compito di rappresentare il re, assicurare la difesa e amministrare la giustizia in una regione ampia, detta "contea", che comprendeva terre di proprietà del conte ma anche terre e curtes di proprietà di altri signori o del re; comprendeva città indipendenti e possedimenti di vescovi e di monasteri. NeI suo dominio, Carlo istituì circa duecento contee. Egli, però, non aveva a disposizione un'amministrazione vasta ed efficiente per controllarle tutte di persona; perciò doveva spostarsi continuamente, per sorvegliarle direttamente e per raccogliere i tributi. Per farsi aiutare nel controllo, si serviva di uomini di fiducia, detti "missi dominici", scelti fra i vescovi e i signori alleati. 5 Carlo crea le marche e i ducati. Lungo le frontiere più pericolose, Carlo aveva unificato più contee, in modo da formare una solida barriera contro i nemici. L’unione di più contee formava una "marca"', che Carlo affidava al governo di un "marchese". La marca di

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Catalogna proteggeva i domini carolingi dagli arabi di Spagna; la marca d'Austria e la marca del Friuli furono istituite per contrastare gli àvari e le popolazioni slave dell'Europa centrale. Le regioni più ribelli, come la Bretagna, vennero affidate ai "duchi”, scelti fra coloro che sapevano combattere meglio. 6 La corte di Carlo. La fama di Carlo era così diffusa, che egli riceveva nel suo palazzo omaggi e doni dagli ambasciatori dei tanti regnanti europei, dal califfo di Baghdad e dall'imperatore di Bisanzio; ma alla sua corte si recavano anche conti, duchi e marchesi e missi dominici, per informare il re delle questioni del regno e per discutere con lui dei problemi militari e di governo. Proprio per farsi aiutare in questo compito, Carlo convocò ad Aquisgrana tutti i sapienti del tempo. Questi formarono laSchola palatina, un'istituzione che promosse riforme fondamentali: fece riaprire nei monasteri le scuole (erano state chiuse alla fine del VI secolo), sollecitò i monaci a ricopiare i libri antichi, stabilì misure e pesi uguali per tutte le terre del regno.

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FEUDI E SIGNORI (tema 1) RE E VASSALLI

Quali poteri reggevano la società medievale? Il crollo dell'Impero carolingio fu interpretato in passato come un nuovo imbarbarimento, come la dissoluzione del potere dello stato, ma oggi gli studiosi interpretano quei secoli in modo molto diverso. Gli storici moderni ritengono che il Medioevo sia stata un'età di sperimentazione. Esistevano molti poteri: quello del signore, quello dell'abate nella sua abbazia, quello del feudatario, quello del re. Ognuno di questi era un modo di far funzionare la società: per questo gli studiosi parlano di pluralizzazione dei poteri. Per molti secoli gli uomini sperimentarono forme governo differenti: a volte si affermarono poteri centrali forti, altre volte presero il sopravvento dei governi locali. Fu proprio questo che avvenne dopo la divisione dell'impero di Carlo Magno. Come si reggeva un sistema di questo tipo, apparentemente fragile, fatto di tanti poteri locali più o meno ampi e di poteri superiori, come quelli del re o dell'imperatore? Il re. Il re era un aristocratico che possedeva molte terre. I sovrani non stabilivano la loro residenza in una sola città, ma si spostavano continuamente da una città all'altra, per poter tenere sotto controllo il loro territorio. C’erano diversi modi per diventare re: per discendenza, per designazione del sovrano precedente, per elezione, per consacrazione religiosa, per conquista. Un re, però, poteva ricevere il titolo d'imperatore solo dal papa; il mondo occidentale aveva infatti due capi, il papa e l'imperatore: il primo aveva il potere spirituale, il secondo quello temporale. Carlo Magno, che era re dei franchi per discendenza e re dei longobardi per conquista, era diventato imperatore per consacrazione del papa. In teoria l'imperatore aveva un potere enorme; nella realtà, però, gli obbedivano davvero solo gli abitanti delle regioni nelle quali era anche re, cioè l'Italia e la Germania. La sua autorità era rispettata solo perché imposta con la forza e con la donazione di terre ai suoi vassalli . L'origine del vassallaggio. La parola vassallo deriva dal celtico gwass che vuol dire l’uomo di fiducia, cliente, dipendente". In origine, questo termine indicava il legame del capo con i suoi soldati. La fedeltà si basava su un rapporto personale molto stretto dovuto al fatto che questi uomini combattevano e vivevano insieme per lungo tempo. In genere, gli uomini rispettavano molto questo legame, ma accadeva anche che i vassalli si rivoltassero contro i loro signori. C'erano vassalli più fedeli e altri meno: alcuni di loro oscillavano dalla fedeltà al tradimento a seconda degli interessi del momento. L'importanza della guerra. I vassalli erano legati al re da un patto di fedeltà e venivano compensati con la concessione di una proprietà terriera detta "beneficio" o "feudo". All'inizio, il beneficio era un elemento secondario, ma con il passare del tempo la situazione cambiò: concedere benefici diventò per il sovrano l'unico modo possibile per ottenere la fedeltà dei suoi vassalli. Finché Carlo vinse tante guerre questo sistema funzionò bene; infatti egli conquistava nuove terre e ne distribuiva una parte ai suoi vassalli. Quando i franchi smisero di conquistare, però, non ci furono più nuove terre da dare in beneficio. Perciò si può dire che la guerra era un momento fondamentale per il sistema inventato dai franchi: essi erano costretti a espandersi, dal momento che vivere lunghi periodi in pace voleva dire mettere in crisi il loro sistema sociale e politico. Vassallaggio con il sovrano. Per poter governare il loro grande territorio, i re carolingi divisero il regno in contee. Ogni contea era affidata a un conte. Territori più vasti e più difficili da governare erano affidati a duchi e marchesi. Questi giuravano fedeltà al re e promettevano di aiutarlo in guerra, di amministrare il territorio che veniva affidato loro e di esercitare la giustizia in suo nome. In cambio il re donava un beneficio, ovvero una proprietà terriera che il vassallo gestiva per tutta la

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vita. Questo beneficio era il compenso per il lavoro svolto, una specie di stipendio per permettergli di vivere bene, anche se spesso il vassallo abitava in città e non nelle terre avute in beneficio. Vassallaggio fra aristocratici. Oltre al re, ogni ricco e nobile signore del popolo franco poteva avere dei vassalli concedendo benefici ad altri aristocratici. In questo caso, chi riceveva un beneficio non riceveva anche altri poteri, come quello di amministrare la giustizia. Questi rapporti di vassallaggio assomigliavano a una rete di legami ingarbugliati. Il rapporto vassallatico era un modo per collegare gli aristocratici franchi con vincoli personali. L’intreccio aumentò in modo davvero notevole, finché nel XII secolo fu considerato comportamento abituale quello di essere vassallo di venti o più signori.

IL POTERE DIVENTA EREDITARIO

Il capitolare di Quierzy. Alla fine del IX secolo i conti che avevano ricevuto un beneficio riuscirono a diventare sempre più importanti e autonomi rispetto alla volontà del re. Chi riceveva una contea da governare si comportava come se questa gli appartenesse, tanto che la lasciava in eredità ai figli. Questa situazione, già esistente, fu sancita dal re franco Carlo il Calvo il 14 giugno 877 con il capitolare di Quierzy, una città della Francia settentrionale. Questo documento rendeva legalmente ereditarie sia le cariche pubbliche, cioè le funzioni svolte dal conte in nome del sovrano, sia i benefici. A partire da quel momento, quindi, i poteri di governo su un territorio diventarono patrimonio ereditario delle famiglie dei signori. L'Edictum de beneficiis. Il re era lontano e incapace di risolvere quotidianamente i problemi di ogni singola contea; il signore locale, invece, si trovava sul luogo e poteva intervenire velocemente. Per garantire una certa sicurezza agli abitanti del territorio e per imporre loro il suo potere doveva avere anche un castello e dei cavalieri. In cambio del loro servizio, i suoi fedeli soldati venivano ricompensati con la concessione di benefici. A loro volta, però, anche questi vassalli dei signori locali pretesero di poter lasciare i feudi in eredità ai propri discendenti. Così, alcuni secoli dopo, nel 1037, un altro imperato-re, Corrado II, emanò l'Edictum de beneficiis (chiamato in età moderna Constitutio de feudis). Il testo decretò l'ereditarietà di tutti i benefici minori. Dopo questo editto i poteri signorili diventarono ancora più importanti e per il re era ormai molto difficile controllare le regioni più lontane del suo regno. Tanti potenti nella stessa contea. I conti e i marchesi nominati dai re carolingi non erano gli unici a essere ricchi e potenti nel loro territorio. Spesso essi riuscivano a esercitare i loro poteri solo sulle terre che erano state affidate a loro direttamente, cioè sulla proprietà ricevuta in beneficio; in tutto il resto del territorio della contea, invece, incontravano l'opposizione delle famiglie aristocratiche e degli istituti ecclesiastici. Cerano alcuni aristocratici che possedevano molte terre, spesso ottenute in cambio dell'aiuto fornito al re in battaglia. A volte essi ottenevano dal sovrano delle immunità, cioè un privilegio che permetteva loro di tenere per sé le tasse riscosse in nome del re e giudicare e punire i contadini senza far ricorso alla giustizia dei conti. Poteva anche succedere che dei grandi proprietari terrieri esercitassero il potere nonostante non avessero ricevuto ufficialmente un'immunità: costruivano castelli, riscuotevano tributi e amministravano la giustizia. All'interno delle contee c'erano anche le grandi proprietà ecclesiastiche: abbazie, patrimoni dei vescovi e chiese cittadine, che godevano delle immunità già dal periodo carolingio. Le terre dei ricchi signori laici e le proprietà ecclesiastiche diventavano come delle isole separate dal territorio circostante. Il potere più importante in Europa fra il IX e l'XI secolo era quindi quello del signore locale: era con lui, non con l'imperatore, che i contadini e gli altri abitanti avevano continui contatti e da lui dipendevano per la difesa della loro vita e dei loro campi.

I POTERI SIGNORILI

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La signoria fondiaria e la signoria di banno. L’espressione "signoria fondiaria" indica il potere dei ricchi proprietari terrieri, che esercitavano la loro autorità sui servi e sui contadini liberi che lavoravano nelle loro terre. I contadini dovevano pagare delle tasse in natura o in denaro e avevano l'obbligo delle corvées, cioè dovevano svolgere dei lavori gratuiti per il signore. Il proprietario risolveva piccole liti e manteneva l'ordine nei suoi territori. Il termine "banno" deriva dalla parola germanica ban, che indicava il diritto dei capi germanici di convocare le tribù e di punire quelli che commettevano dei crimini. Gli storici usano questo termine per indicare i poteri pubblici che venivano esercitati da sovrani, conti, marchesi, duchi e signori minori. Il signore di banno aveva poteri che si estendevano a tutti gli abitanti della sua circoscrizione, anche alle persone che non lavoravano direttamente per lui. Egli poteva chiedere gratuitamente prestazioni di lavoro per i turni di guardia, per la manutenzione delle mura, delle strade o della sua casa. Il signore di banno amministrava la giustizia, riscuoteva le tasse e organizzava schiere di soldati. Il suo potere si fondava sulla capacità di difendere gli abitanti delle terre sulle quali dominava; per questo i signori dovevano possedere uno o più castelli e mantenevano al proprio servizio cavalieri e soldati. Esercitavano il potere di banno sia i signori che avevano ricevuto l'incarico dal sovrano (conti, marchesi ecc.), sia i signori fondiari che, costruendo castelli e circondandosi di uomini armati, avevano esteso la propria autorità al territorio circostante. La piramide feudale. Nel XII secolo si inizia a costituire una prima forma di piramide feudale. Tra il IX e il XII secolo i signori si erano appropriati dei poteri pubblici e avevano contribuito a creare una organizzazione della società fondata su poteri locali. Dalla fine del XII secolo, però, alcuni re cercarono di riaffermare il proprio controllo e il proprio potere su tutto il territorio. I sovrani crearono quindi una struttura gerarchica per mettere ordine nella complicata sovrapposizione di poteri e cercarono di fare in modo che, direttamente o indirettamente, tutta la rete dei rapporti fosse collegata a loro.

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LA CURTIS (tema 2)

CHI ABITAVA LA CURTIS

le campagne al tempo di Carlo Magno. Nelle campagne europee, al tempo di Carlo Magno, vi erano molte aziende agrarie più o meno grandi. Queste aziende in Francia e in Germania venivano chiamate ville, in Italia curtes, in Inghilterra manor. Le curtes, spesso, erano un'evoluzione delle antiche ville romane. Nelle campagne vi erano anche piccoli villaggi indipendenti, insediamenti agricoli sparsi di famiglie contadine che vivevano isolate e, infine, terre lavorate dai contadini che abitavano nelle città. la curtis e i suoi abitanti. Ogni curtis aveva un edificio centrale, destinato all'abitazione del signore e circondato dalle case di legno dei contadini. Le famiglie che lavoravano nella curtis potevano essere o libere o schiave: quelle libere tenevano per sé il ricavato del loro lavoro e davano al signore solo una parte del raccolto; le famiglie schiave gli consegnavano tutto il raccolto e, in cambio, il signore dava loro ciò che serviva per sopravvivere. I proprietari delle curtes. Le curtes erano proprietà di grandi signori. Alcuni discendevano dall'antica nobiltà romana, altri erano di origine germanica: in Italia, ad esempio, i longobardi avevano cacciato gli antichi proprietari latini. Altri ancora non avevano antenati famosi, ma erano diventati ricchi approfittando delle grandi trasformazioni di quell'epoca o della confusione creata da qualche guerra: in quei tempi, poiché pochissimi sapevano scrivere, era molto difficile conoscere l'origine delle persone e delle proprietà. Vi erano curtes piccole e curtes grandissime: alcuni signori ne possedevano molte e altri signori ne possedevano una sola. Sicuramente, il signore più ricco era l'imperatore Carlo Magno, che possedeva curtes in Francia e anche in altre regioni del suo impero. Erano tanto numerose che dovette far scrivere delle leggi, chiamate Capitularia, perché fossero governate secondo regole precise. Per controllare le curtes, Carlo si serviva dei missi dominici: questi visitavano le aziende, ne calcolavano i ricavi e prevedevano gli introiti del sovrano.

LE TECNICHE AGRICOLE E I COMMERCI La rotazione biennale. La coltivazione dei campi della curtis era collettiva. I contadini decidevano insieme quale parte del territorio coltivare con cereali o legumi e quale lasciare a riposo; il terreno lasciato a riposo si rigenerava e l'anno successivo dava un buon raccolto: questa tecnica agricola si chiamava "rotazione biennale". Nonostante le tecniche utilizzate dai contadini, le rese agricole rimasero molto basse: per ogni chicco di grano seminato se ne raccoglievano appena tre! La pastorizia. Anche provvedere al bestiame era un'attività collettiva. I ragazzi e i pastori della curtis portavano ogni giorno gli animali a pascolare nei terreni incolti e nella boscaglia che circondava l'insediamento. Gli uomini allevavano bovini, ovini e suini. Se la curtis era di un signore ambizioso o del re, si allevavano anche cavalli: questi animali, infatti, erano i "carri armati" del Medioevo e quindi era importantissimo allevarli, anche se molto costoso. La caccia e la raccolta. Nel paesaggio medievale i boschi occupavano un'area maggiore rispetto a quella che avevano all'epoca dell'Impero romano. Nel bosco si praticava l'allevamento, soprattutto quello dei maiali, e si cacciavano cinghiali, cervi, daini, caprioli e orsi. Grazie alla caccia e all'allevamento, i contadini potevano consumare un’elevata quantità di carne. Nel bosco gli uomini raccoglievano frutti spontanei e ricavavano il legname, un materiale fondamentale per riscaldarsi, cucinare e costruire case e attrezzi. I frutti dei boschi, delle aree incolte e del lavoro agricolo permettevano un'alimentazione sufficiente. Ma quando sopraggiungeva una carestia, la vita dei villaggi diventava durissima.

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Commerci e mercanti. Presso le città, di solito fuori dalle mura, si svolgevano mercati periodici. In queste occasioni, dalla curtis partiva un piccolo gruppo di dipendenti che si recava a vendere le eccedenze, cioè quella parte del raccolto che non serviva agli abitanti della curtis per sopravvivere. Le eccedenze non erano abbondanti, ma erano sufficienti per acquistare strumenti di lavoro, metalli e tessuti. Ogni tanto passavano per la curtis mercanti che venivano da terre lontanissime. Essi vendevano vini profumati, stoffe intessute di fili d'oro e d'argento, gioielli, sale e armi. Il signore contrattava a lungo il prezzo e impegnava buona parte della produzione della curtis per poter acquistare questi prodotti pregiati. Per i signori possedere merci rare e preziose era un modo per distinguersi dagli altri uomini e mostrare la propria ricchezza e il proprio potere. I mercanti più celebri provenivano da Venezia; essi risalivano il Po e i grandi fiumi del Veneto per portare in tutta la valle padana le merci che arrivavano da Costantinopoli e dai domini arabi. I veneziani erano invidiati da tutte le popolazioni agricole, meravigliate per il fatto che essi riuscissero a guadagnarsi da vivere senza arare, seminare e mietere.

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B2. L'EUROPA TRA NUOVE DIVISIONI E NUOVI NEMICI 1 Carlo viene incoronato imperatore. Quando Carlo conquistava un popolo, ne diventava il re. Egli, infatti, si firmava nelle sue lettere "re dei franchi, re dei longobardi e patrizio dei romani". All'inizio del IX secolo il suo dominio si estendeva su quasi tutta l'Europa. Per rappresentare questa sua preminenza, decise di farsi incoronare imperatore. Perciò si recò a Roma, e nella basilica di San Pietro fu nominato imperatore da papa Leone III. Era la notte di Natale dell'800: da oltre trecento anni nessuno era stato più incoronato imperatore a Roma. 2 L'Europa occidentale viene divisa. Per i franchi, le proprietà paterne dovevano essere lasciate in eredità a tutti i figli maschi, divise in parti uguali. Per questo motivo, Carlo divise il suo impero in tre regni, Italia, Francia e Germania, per ciascuno dei suoi figli. Due di questi, però, morirono giovani, perciò il terzo, Ludovico, ereditò tutto l'impero. Anche Ludovico aveva tre figli e, alla sua morte, l'impero di Carlo venne definitivamente diviso in tre parti. Tra i figli di Ludovico i rapporti non furono affatto pacifici: anzi, dopo qualche anno, sfociarono in una guerra, che durò fino all'843 quando, a Strasburgo, venne siglata la pace. Il documento che cita il giuramento fra i tre re è ricordato dagli storici perché era scritto in lingua francese e tedesca. Fino ad allora tutti i documenti erano stati scritti in latino. Perciò il giuramento di Strasburgo è considerato dagli storici una specie di "atto di nascita" delle due nazioni europee. 3 Giungono nuovi invasori. Questi tre nuovi regni dovettero subito affrontare nuovi e terribili attacchi, provenienti dalle regioni circostanti. Le nuove invasioni giungevano da zone diverse: dalle regioni scandinave arrivavano, con le loro navi veloci, i vichinghi; dalle coste settentrionali dell'Africa i saraceni, che erano popolazioni africane convertite alla religione islamica; dalle pianure dell'Europa orientale arrivava la cavalleria degli ungari. Nell'arco di duecento anni, ci furono più di cento assalti; in pratica quasi ogni anno, d'estate, aveva luogo una scorreria. Una parte dell'Europa venne devastata e saccheggiata, senza che la cavalleria dei franchi riuscisse a evitare il disastro.

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B3. SI FORMA LA SOCIETÀ MEDIEVALE EUROPEA 1 L'autorità imperiale si indebolisce. I regni dell'Europa occidentale nati dalla divisione dell'impero di Carlo non erano capaci di proteggere le popolazioni europee dai nuovi invasori, ungari, normanni e saraceni; perciò, queste impararono a organizzarsi per difendersi da sole. Nuove mura cingevano le città e i vescovi che sollecitavano e coordinavano la costruzione di queste opere di difesa diventarono, a poco a poco, le autorità politiche alle quali i cittadini potevano rivolgersi. 2 I grandi signori d'Europa. Dal canto loro, i discendenti dei conti e dei marchesi, che Carlo Magno aveva nominato nel secolo precedente, cominciavano a considerarsi indipendenti, e non tenevano più in gran conto l'autorità di un re che abitava lontano e raramente visitava le loro terre. Moltissimi signori, inoltre, costruivano castelli impenetrabili, attorno ai quali si raccoglievano le abitazioni dei contadini. Dal momento che non c'era più un grande esercito imperiale, infatti, i signori restavano i soli difensori della popolazione, perciò aggregavano intorno a sé altre curtes e altri villaggi. Avevano eserciti personali con essi ingrandivano i loro domini, sottomettendo signori vicini. In breve tempo questi signori costituirono dei domini molto estesi, nei quali esercitavano la giustizia, riscuotevano i tributi e stabilivano i pedaggi da pagare per attraversare ponti portare le proprie merci al mercato. Questi signori non avevano ricevuto il loro potere da nessuno: né dall'imperatore, né dai re o dal papa e nemmeno dal popolo; erano completamente indipendenti e non esisteva nessuna autorità superiore che li controllasse.

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IL CASTELLO (tema 3)

L'origine dei castelli. Nel periodo delle invasioni germaniche, i romani avevano fortificato molte parti del territorio. Per esempio, avevano costruito fossati, palizzate, accampamenti fortificati lungo i confini dell’Impero (il limes) per impedire a quelle popolazioni di entrarvi; avevano fortificato le città, cingendo le mura e torrioni. Con il tempo, molte di queste fortificazioni erano andate distrutte; ma, a volte, nelle campagne e nelle valli, restavano delle torri solide e den costruite. Com'era fatto un castello? All'epoca dei re carolingi, molte di queste torri vennero restaurate e circondate da altre fortificazioni e diventarono i primi castelli. Altri castelli, invece, erano interamente nuovi: erano costruiti su rocce a strapiombo o sulla sommità di colline che dominavano la pianura circostante. A volte venivano eretti in cima a una collinetta artificiale alta qualche metro, circondata da un fossato e protetta da una palizzata. Qualche torre, di solito costruita in legno, completava la fortificazione. All'interno della palizzata vi erano i campi, le case di legno dei contadini e qualche casa in muratura delle famiglie abbienti. Un castello era abitato in genere da molte famiglie di servi (da venti a novanta famiglie), contadini liberi e piccoli proprietari che lavoravano nei mansi massarici circostanti. Vi erano castelli piccoli, dell'ampiezza di un ettaro, e altri molto grandi, vasti quasi tre ettari (ogni ettaro misura 10.000 metri quadrati e corrisponde a circa due campi di calcio). Perché si costruivano i castelli? I castelli venivano costruiti per la difesa. Erano un rifugio per la popolazione che fuggiva sia dalle bande di ungari, saraceni e normanni, che percorrevano e saccheggiavano ogni anno le contrade dell'Europa occidentale, sia dagli attacchi di altri signori. Il castello era una sicurezza, ma questo non era l'unico e forse nemmeno il principale motivo della sua costruzione: lo scopo fondamentale era probabilmente che, attraverso il castello, il vescovo o il signore potevano controllare attentamente la produzione agricola e riscuotere più facilmente le tasse. Le conseguenze della creazione di castelli. Per tutti questi motivi, i castelli si moltiplicarono in poco tempo in tutta l'Europa: a questa rapida diffusione gli storici danno il nome di "incastellamento". La creazione di castelli ebbe molte conseguenze. Diminuirono, per esempio, le differenze sociali fra i contadini, che erano accomunati dal bisogno di protezione alle dipendenze di un signore. I proprietari di castelli riuscirono a imporre il loro potere su tutte le famiglie che risiedevano nell'area in cui si trovava la grande proprietà: da esse i signori pretendevano il pagamento di tasse e delle corvées, cioè delle prestazioni gratuite di lavoro. I signori nel loro territorio assumevano anche le funzioni di giudici e amministravano la giustizia. Anche il paesaggio e gli insediamenti umani cambiarono: scomparvero o diminuirono le case costruite in campagna, vicino ai terreni coltivati. Presso le mura dei castelli i contadini concentrarono le coltivazioni di maggior pregio: orti e vigneti. Chi costruiva i castelli? I principali costruttori di castelli furono i vescovi, che facevano recintare le terre delle comunità agricole sulle quali dominavano. Anche le città e i villaggi a volte decidevano autonomamente di dotarsi di fortificazioni. Infine, in varie parti d'Europa

molti signori costruirono dei castelli, ma meno numerosi di quelli fatti costruire dai vescovi.

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B4. L'IMPERO GERMANICO 1 Una regione in via di sviluppo. L’Europa del X secolo era una regione in pieno sviluppo. Il clima, che al tempo della caduta dell'Impero romano d'Occidente era freddo e umido, aveva cominciato a cambiare e diventava sempre più caldo. Aumentavano le terre coltivate e cresceva il cibo a disposizione, perché i signori obbligavano i contadini a lavorare di più e con maggiore cura; per questo motivo aumentava anche la popolazione, si fondavano nuovi villaggi e le città si ingrandivano. Al tempo stesso, però, l'Europa era afflitta da continue guerre: da una parte le città e i signori locali combattevano fra di loro, per strapparsi reciprocamente terre e villaggi; dall'altra continuavano le scorrerie di saraceni, ungari e vichinghi. 2 I sassoni restaurano l'impero di Carlo Magno. In questo periodo, così tormentato, i sassoni rifondarono !'impero di Carlo. Li guida,- Ottone, discendente di Widuchindo, uno dei nobili sassoni che, un secolo prima. erano ribellati a Carlo. I domini di Ottone erano fra i più estesi della Germania. Abilissimo nello stringere alleanze e nel guidare gli eserciti in battaglia, sconfisse boemi e polacchi, popolazioni slave, e inflisse agli ungari una sconfitta decisiva nella battaglia di Lechfeld (955). Da allora cessarono le invasioni ungare e Ottone fu considerato il salvatore della cristianità. Nel 962 venne in Italia con il suo esercito e si fece incoronare imperatore dal papa. Così, nel X secolo, la Sassonia, che al tempo di Carlo era una regione periferica dell'Impero, ne divenne il centro. Ottone riorganizzò i suoi domini, affidando i territori dell'Impero a signori posti sotto il suo stretto controllo. La dinastia fondata da Ottone tenne la carica imperiale per circa ottant'anni.

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B5.I NORMANNI, UN POPOLO CHE CAMBIÒ DUE MONDI 1 I normanni scoprono terre e fondano regni. Mentre l'Impero sassone e quello bizantino si espandevano, nasceva in Europa una terza potenza, quella dei normanni: con questo nome, che vuol dire "uomini del nord" vennero chiamati i vichinghi, un popolo che abitava la Scandinavia. Nella loro terra freddissima e poco fertile praticavano la caccia e coltivavano i campi, ma con tecniche e strumenti arretrati che non davano frutti abbondanti; perciò, ogni anno i vichinghi compivano decine di spedizioni, per fare razzie nelle terre delle popolazioni sedentarie. Spesso, però, i vichinghi si insediavano nelle terre nelle quali approdavano e lì fondavano villaggi e città. In questo modo, avevano colonizzato l'Islanda e le coste della Groenlandia e, intorno all'anno Mille, erano sbarcati in America, dove avevano fondato dei villaggi, i cui resti sono stati trovati dagli archeologi moderni. Nella Francia settentrionale avevano fondato un ducato che da loro prese il nome di "ducato di Normandia": di qui partirono, quasi contemporaneamente, due grandi spedizioni: con la prima, i normanni conquistarono l'Inghilterra (1066), guidati da Guglielmo detto il Conquistatore, che oggi viene considerato il fondatore dell'attuale Regno di Inghilterra; la seconda grande invasione normanna si diresse verso l'Italia meridionale.

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I CONTADINI EUROPEI TRA IL IX E L’XI SECOLO (tema 4)

LA VITA DEI CONTADINI

Contadini schiavi e contadini liberi. Esistevano tipi di contadini diversi dal punto di vista sociale. C'erano i discendenti degli schiavi dell'Impero romano, che lavoravano nelle case dei signori e coltivavano i loro vastissimi latifondi. C'erano, poi, i "servi casati", ovvero gli schiavi che ricevevano una casa e delle terre da coltivare: essi erano più autonomi rispetto ai servi che lavoravano in casa del signore. Non tutti i contadini erano servi: alcuni erano allodieri, cioè piccoli proprietari terrieri. Nel X secolo, questi piccoli proprietari, in pericolo per via delle invasioni e delle guerre, decisero di cedere le proprie terre in cambio della protezione del signore. Essi si accomandarono, cioè donarono la loro proprietà al signore, mantenendo il diritto di coltivarla. Nonostante questo fenomeno, però, la piccola proprietà continuò a esistere in casa del signore. Vita quotidiana nei villaggi. La giornata del contadino era ripetitiva, perciò partecipare a una messa, frequentare la domenica l'osteria del villaggio, recarsi al mulino, dal fabbro o al mercato per vendere o acquistare, erano tutte occasioni che introducevano nella sua vita piacevoli momenti di socialità. Ogni tanto c'erano giorni speciali, come le feste religiose più importanti, la festa del santo patrono e i matrimoni: allora, si indossava l'abito della festa e si mangiava e beveva abbondantemente. A dicembre un avvenimento coinvolgeva tutta la comunità: l'uccisione del maiale. Si trattava di un evento così importante che è stato disegnato in tanti cicli dei mesi, nei quali vengono descritte le principali attività dei contadini. La Chiesa e il contadino. I contadini avevano una religiosità che si collegava con antichi rituali pre-cristiani. La Chiesa fece propri riti propizia tori e persino forme di magia buona. I preti stessi, a volte, usavano arti magiche e nessuno si scandalizzava, perché i fedeli credevano che questo fosse uno dei loro compiti. Molti rituali cristiani seguivano il ciclo delle stagioni e il rapporto dei contadini con i santi era legato a uno scambio di favori: devozione verso il santo in cambio di buoni raccolti, pioggia e salute per uomini e animali. I contadini erano attaccati alla loro chiesa: era il luogo della preghiera, il cuore della comunità; vi si svolgevano le feste ed era lì che l'intera comunità si rifugiava nel momento del pericolo. Il cimitero e la chiesa, inoltre, permettevano di ricordare la storia del villaggio. Le campane richiamavano i contadini alla preghiera, segnalavano gli incendi e in qualche caso allontanavano i lupi. La famiglia contadina. In genere, le famiglie contadine erano costituite dai genitori, dai figli e dai nonni. Tuttavia, quando i contadini avevano migliori condizioni di vita, una proprietà terriera estesa, un certo numero di animali da lavoro, allora, insieme a questo nucleo familiare ristretto, vivevano anche zii, cugini e persino parenti più lontani. Nella famiglia contadina tutti lavoravano nei campi e allo stesso tempo svolgevano altri lavori per migliorare la situazione economica: le donne filavano la lana e tessevano sia per la famiglia sia per i lanaioli della città; i ragazzi conducevano gli animali al pascolo. In caso di bisogno le figlie potevano fare le domestiche in città, i figli andavano da un artigiano per imparare un mestiere, le mogli diventavano balie per i figli di qualche ricco. Il cibo più diffuso fra i contadini. L’alimentazione dei contadini variava molto a seconda delle aree geografiche e dei secoli.

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Nell'Alto Medioevo gli alimenti fondamentali erano le verdure e la carne, che si otteneva sia da animali allevati sia dalla caccia a cinghiali, cervi, daini e caprioli. Nei secoli successivi, la popolazione aumentò molto e fu necessario abbattere dei boschi e coltivare molta più terra per sfamare gli uomini. La terra per nutrire gli animali, in questo modo, si riduceva e di conseguenza diminuiva anche il consumo di carne da parte dei contadini. Una parte del raccolto era usata per pagare le tasse al proprietario della terra: un signore, un proprietario cittadino, un convento o una chiesa; il resto poteva essere usato per nutrirsi o veniva venduto. Il pane era il prodotto fondamentale dell'alimentazione. Ce n'erano tanti tipi: bianco, di spelta, di sorgo, nero. Alcuni tipi di pane erano più costosi e pregiati, altri costavano meno e perciò erano consumati dai più poveri. Economia di sussistenza. Le comunità contadine cercavano di essere autosufficienti almeno nella produzione degli alimenti principali, come i cereali. Questi dovevano bastare per la sussistenza, cioè per soddisfare i bisogni immediati dei produttori. In quei secoli gli uomini sapevano conservare solo alcuni cibi, mentre la maggior parte doveva essere consumata in breve tempo; perciò quando si verificavano carestie, epidemie o guerre, i contadini si trovavano in gravi difficoltà. Caccia, pesca e raccolta. La caccia, la pesca e la raccolta di frutti ed erbe selvatiche erano molto importanti per i contadini. Grazie a queste attività, le famiglie contadine potevano sia variare la loro alimentazione, sia guadagnare qualcosa vendendo o barattando animali, frutti, erbe o pesci. I signori cercavano di limitare la caccia e di riservarla agli aristocratici. In molti casi, però, i contadini riuscirono a mantenere la consuetudine di praticare nelle campagne, nei boschi e presso i corsi d'acqua la caccia, la pesca e la raccolta.

LE TECNICHE AGRICOLE La resa agricola. Dopo il Mille la produzione agricola era aumentata: nuovi campi erano infatti stati messi a coltura; tuttavia, la terra rendeva ancora poco: per ogni seme piantato si riusciva a raccoglierne, in media, dai quattro ai cinque; un rendimento molto basso, se confrontato con quello dei nostri giorni (cinquanta chicchi raccolti per ogni chicco seminato). Avevano raccolti più ricchi i contadini dell'Europa centrale e occidentale e quelli delle pianure che potevano contare su terreni profondi e abbondanza di acqua, mentre i raccolti più poveri erano quelli dei contadini delle alture o dell'area mediterranea. In questa zona, infatti, le precipitazioni piovose sono concentrate solamente in un periodo dell'anno, il terreno è poco profondo e ricco di pietre e rocce. Animali, attrezzi e tecniche nell'Europa centrale e occidentale. Nell'Europa centrale e occidentale gli animali più utilizzati nei lavori agricoli erano il bue e, più raramente, il cavallo. Possedere un animale da attaccare agli attrezzi agricoli era per i contadini un a elemento di differenziazione sociale. Per tirare l'aratro ci volevano due o quattro buoi; veniva utilizzato, infatti, l'aratro pesante, con ruote nella parte anteriore, coltro e versoio per penetrare in profondità nel terreno e rovesciarlo. L’aratro pesante era molto costoso e solo i signori delle grandi curtes apotevano permetterselo. In queste zone d'Europa, i contadini usavano una particolare tecnica di coltivazione: dopo aver suddiviso il terreno in tre parti, coltivavano nella prima parte cereali, nella seconda parte leguminose di primavera e lasciavano la terza parte a riposo, perché il terreno si rigenerasse. Ogni anno, cambiavano la parte di campo lasciata a riposo: in questo modo, tutto il terreno restava fertile. Questa tecnica si chiamava "rotazione triennale". Animali, attrezzi e tecniche nell'Europa mediterran ea. A causa delle caratteristiche del terreno, generalmente poco profondo, nell'area mediterranea si usavano animali e attrezzi agricoli diversi. Veniva utilizzato un aratro leggero: per tirarlo erano sufficienti due buoi. L’aratro era a vomere simmetrico e serviva ad aprire il suolo senza rovesciare la zolla.

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In Sicilia e in Sardegna si impiegava ancora l'antico aratro a chiodo, a volte con la punta in ferro. I contadini usavano una "rotazione biennale": con questa tecnica, solo metà delle terre era messa a coltura, mentre l'altra metà restava a riposo per un anno.

UNA PROTEZIONE PAGATA CON TASSE E LAVORO Quante tasse pagavano i contadini e gli altri abita nti? I contadini erano sottoposti a molte imposizioni. Alcune di queste erano obblighi che essi avevano nei confronti del proprietario delle terre nelle quali vivevano: consistevano in corvées, cioè in giornate di lavoro da dedicare al terreno del signore, nella fornitura di prodotti (un maiale all'anno, dodici uova alla settimana ...) o di una parte del raccolto. Altre erano vere e proprie tasse che dovevano pagare al signore che esercitava il potere di banno, cioè un potere pubblico su tutta la circoscrizione. Ecco alcuni esempi di queste tasse: • fodro: all'inizio era pagata in natura al sovrano dai proprietari terrieri liberi. Serviva a mantenere l'esercito del re al suo passaggio. Poi diventò una tassa dovuta al signore locale; • albergaria: originariamente era dovuta al sovrano e serviva a pagare l'ospitalità al re e ai suoi ufficiali; • testatico: imposta che ogni persona doveva pagare al signore di banno; • taglia: tassa che il signore di banno imponeva quando voleva, decidendo ne anche, volta per volta, l'entità; • ripatico: il pedaggio per usare un porto fluviale; • pontatico: il pedaggio per attraversare un ponte; • focatico: una tassa, che prende il nome da "focolare", dovuta al signore da tutte le famiglie, come riconoscimento della protezione che egli esercitava sugli abitanti dell'insediamento. Vi era poi la manomorta: non si trattava di una tassa, ma di un privilegio del signore di banno che, in certe condizioni, poteva ereditare i possessi dei suoi dipendenti. Le tasse avevano effetti positivi o negativi? L’esistenza di tante tasse può far pensare che i signori medievali fossero avidi. In realtà, la tassazione sui contadini era meno pesante di quella che alcuni imperi o città imponevano ai loro abitanti. Il signore locale decideva quali tributi far pagare ai contadini, con quale frequenza e di quale entità. Interesse del signore locale era attirare contadini nelle sue terre e accrescere le sue entrate attraverso le imposte, ma senza portare alla fame i contadini, il cui lavoro era la base del suo sostentamento. Sull'economia queste tasse ebbero un effetto positivo. Per poterle pagare, i contadini e gli abitanti in genere erano costretti a lavorare tantissimo: aumentavano, quindi, le rendite dei signori, che usarono le ricchezze per comprare prodotti rari e lussuosi; così si svilupparono anche il lavoro artigianale e il commercio. Fu un processo a catena, partito dalla tassazione dei contadini e conclusosi nelle città, che furono quelle che si avvantaggiarono maggiormente di questa ricchezza: lì, infatti, si trovavano i mercati dove si recavano i nobili, dove avvenivano tutti i piccoli scambi e dove lavorava il maggior numero di artigiani. Lo sviluppo economico delle città, secondo alcuni storici, fu dovuto proprio alle tasse imposte dai signori ai contadini. Contestazioni e rivolte. Molte tasse erano contestate dai contadini, soprattutto quando diventavano esageratamente esose. Gli agricoltori cercavano di ottenere delle franchigie, cioè documenti scritti che permettevano di non pagare più alcune imposte, e spesso riuscivano nel loro intento, soprattutto se si organizzavano fra loro. Ogni tanto i contadini si ribellavano ai loro signori. I motivi per protestare erano tantissimi: non solo il numero eccessivo di tasse, ma anche sentenze ingiuste o un continuo impegno in guerre. A volte, quando i contadini trovavano capi in grado di guidarli nelle loro contestazioni, scoppiavano rivolte a carattere locale o regionale. Altre volte il conflitto si risolveva in una resistenza silenziosa o in un accordo.

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Venivano firmati statuti, carte di libertà e patti: in questi si metteva in chiaro cosa era dovuto al signore e si cercava di limitare le richieste esagerate nei confronti dei contadini.

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B6. IL MONDO AL TEMPO DI CARLO MAGNO 1. L'Impero arabo. In questo periodo le popolazioni arabe, rimaste fino ad allora divise le une dalle altre, si unirono sotto la guida dei califfi musulmani e conquistarono la parte meridionale dell'Impero bizantino e tutto l'Impero persiano. I vincitori stabilirono la loro capitale a Baghdad, una splendida città fondata nel 762 sulle rive del fiume Tigri. Qui regnava il califfo, appartenente alla famiglia degli Abbasidi, che discendeva da uno zio di Maometto. Come l'imperatore bizantino, anche il califfo governava in nome di Dio. 2 L'Occidente. In Europa erano avvenuti molti cambiamenti. A Oriente c'era l'Impero bizantino, che si considerava l'erede dell'Impero romano e riusciva a contrastare validamente la nuova potenza araba. A Occidente, invece, si erano formati i regni romano-germanici che, però, non erano durati a lungo: infatti, erano stati conquistati dagli arabi (in Spagna) oppure erano stati sconfitti da Carlo Magno ed erano entrati a far parte del suo Impero, nato nell'800. Carlo Magno aveva rapporti commerciali e politici sia con i bizantini, sia con i califfi arabi: agli occhi di questi ultimi, tuttavia, l'Impero dei franchi appariva povero, poco raffinato, con pochissime città e abitato in gran parte da contadini e pastori. 3. L'EstremoOriente. In Estremo Oriente, l'Impero cinese era stato invaso dai nomadi xiongnu; ma, con il passare del tempo, questi si erano integrati con la popolazione e avevano fondato una nuova dinastia, chiamata T'ang, che restò al potere fino al 907. Limpero cinese era la più grande potenza del mondo. Ancora più a est si era formato un nuovo impero, il Giappone. Era un impero militarizzato, i cui signori erano dei guerrieri, chiamati "samurai". Di tutti i grandi imperi del passato, quello giapponese è l'unico a essere sopravvissuto: ancora oggi, infatti, il Giappone ha un imperatore, considerato il discendente di quegli antichi sovrani. 4. Il sistema degli scambi tra Oriente e Occidente. Nonostante questi grandi cambiamenti, l'antico sistema di scambi continentali continuava: l'oceano Indiano era solcato da navi e le steppe dell'Asia centrale erano attraversate da carovane che trasportavano grandi ricchezze da un capo all'altro del mondo. Dall'Africa ingenti quantità di oro giungevano in Occidente attraverso tre vie: le coste bagnate dall'oceano Indiano, che mettevano in comunicazione le grandi miniere d'oro dell'Africa meridionale con l'Impero arabo; il Nilo, attraverso il quale l'oro africano giungeva al Mediterraneo; infine, le carovane di cammellieri che attraversavano il deserto e giungevano fino alle rive del fiume Niger, ricco di quel metallo pregiato che poi smerciavano alle maggiori potenze occidentali. L’Oro africano era, infatti, il motore delle grandi civiltà occidentali (arabi e bizantini); i ricchi mercanti arabi, in particolare, lo adoperavano per pagare le preziose merci che importavano dall'Oriente (seta, spezie, ceramiche), per mezzo di navi che solcavano l'oceano Indiano, collegando l’Occidente e l'Oriente dell'Antico continente. 5. In America. In America centrale e meridionale, nelle regioni in cui si erano insediate le popolazioni che praticavano l'agricoltura, nacquero i primi imperi: quello dei maya, quello dei toltechi e quello dei chimu. Queste grandi civiltà erano profondamente diverse da quelle dell'Antico continente: per lavorare i campi i contadini non impiegavano mammiferi

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come i buoi o i cavalli, ma facevano tutto a mano; coltivavano il majs e riuscivano a produrne quantità tali da poter nutrire sai loro stessi, sia i nobili, sia le immense schiere di operai che lavoravano alla costruzione delle città e degli imponenti templi, che possiamo ammirare ancora oggi. I grandi territori che si trovavano a nord e a sud della regione agricola continuavano invece a essere abitati da popolazioni che praticavano prevalentemente la caccia e la raccolta.

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C1. I CONTADINI

1 Nel VI e VII secolo la popolazione dell’Europa Oc cidentale diminuisce. Nei secoli VI e VII, l'Europa occidentale era una regione di terre incolte: paludi, boscaglie e foreste immense. I latini chiamavano questo paesaggio saltus. Le città erano diventate piccole e scarsamente popolate; qua e là vi erano campi coltivati, intorno ai villaggi e alle città. Il clima, diventato freddo e piovoso, rendeva la coltivazione della terra più difficoltosa che al tempo dell'Impero romano: la produzione agricola, perciò, era diminuita. Ma altre cause contribuivano a questa riduzione: le violentissime epidemie che si erano succedute tra il II e il VI secolo, le numerose guerre all'interno dell'Impero per la conquista del potere e le continue invasioni di barbari. Di conseguenza, la popolazione si era quasi dimezzata rispetto all'epoca dell'Impero romano ed era di circa 15 milioni di persone: quasi tutti contadini, impegnati nella produzione del cibo necessario per sopravvivere. 2 L'Europa occidentale si riprende. Dopo il secolo VII, le condizioni dell'Europa occidentale presero lentamente a migliorare. Le grandi epidemie erano terminate. Anche il clima, a poco a poco, cominciava a diventare più caldo e umido e, perciò, più favorevole alle coltivazioni, soprattutto nelle terre dell'Europa settentrionale. A partire dal regno di Ottone I, cioè dal X secolo, gli eserciti imperiali riuscirono, a poco a poco, a respingere saraceni, ungari, normanni, popoli che, nel frattempo, erano diventati sedentari, e perciò avevano smesso di compiere scorrerie. Nelle città i vescovi assicuravano il loro governo; nelle campagne, i villaggi liberi si autogovernavano; gli abati curavano il buon andamento dei monasteri e delle loro terre; i signori delle curtes amministravano i loro possedimenti e, con i loro piccoli eserciti, garantivano sicurezza agli abitanti del territorio circostante. 3 I contadini usano il debbio e la rotazione bienna le. Nel corso del X secolo gli abitanti dell'Europa erano diventati circa 22 milioni. Questo aumento della popolazione rendeva necessario estendere le coltivazioni e produrre più cibo. I contadini, però, dovevano affrontare il grave problema dell'impoverimento del suolo che, quando viene coltivato troppo a lungo, smette di essere fertile e non produce più. I cereali, infatti, uno dei prodotti fondamentali nell'agricoltura del Medioevo, assorbono molte sostanze nutritive dal terreno e lo impoveriscono progressivamente; perciò è impossibile coltivare a cereali lo stesso campo per molti anni di seguito e ottenere, ogni anno, la stessa quantità di prodotto. Fino al tempo di Carlo Magno, quando i contadini avevano bisogno di nuova terra fertile, bruciavano un tratto di boscaglia nel saltus. Questa pratica si chiamava "debbio". Praticavano anche la rotazione biennale delle colture: ogni anno, la metà del terreno disponibile per la coltivazione veniva lasciata a riposo, cioè non veniva coltivata. Il riposo ristabiliva la fertilità della terra, che così poteva essere seminata l'anno successivo. 4 Si incomincia a usare la rotazione triennale. Dal X secolo, si incominciò a diffondere la tecnica della rotazione triennale. Questo sistema di rotazione delle colture fu adottato dapprima nella Francia centrale e poi venne impiegato in altre regioni europee. Consisteva nel seguente procedimento: gli agricoltori dividevano il terreno da coltivare in tre parti: in una parte seminavano in autunno il grano; in un’altra, in primavera, piantavano cereali

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leggeri come avena e orzo, oppure legumi, come fave, ceci o piselli; la terza parte era lasciata a riposo. Così ogni anno i contadini ottenevano una quantità costante di cibo e lasciavano inutilizzato solo un terzo del terreno coltivabile. Questo aveva il tempo per riacquistare sostanze nutritive e poteva essere coltivato l’anno seguente a cereali. 5 La fatica dei contadini. Intorno al X secolo, gli agricoltori europei cominciarono a effettuare con cura tutte le operazioni necessarie per ottenere un buon raccolto: arare, sarchiare (cioè rompere le zolle e ricoprire i semi dopo la semina), irrigare e concimare. La cura delle coltivazioni, insieme con la rotazione delle colture, permetteva non soltanto di mantenere costante la produttività del suolo, ma addirittura di aumentarla. Questo nuovo sistema non richiedeva nuovi strumenti o innovazioni tecnologiche, ma soltanto moltissimo lavoro in più. I contadini del X secolo, infatti, lavoravano per più ore e più duramente di quelli dei secoli precedenti: ma fu questa loro fatica che permise la crescita economica e sociale dei secoli successivi. 6 La bonifica del saltus . Quando la popolazione del villaggio aumentava, al punto che la terra non bastava più per dare cibo a tutti, si decideva di emigrare. Famiglie di contadini, perciò, abbandonavano la loro terra d'origine, alla ricerca di uno spazio libero nel saltus: abbattevano gli alberi nella boscaglia, oppure bonificavano le zone paludose, mettevano a coltura i nuovi terreni e fondavano un nuovo villaggio. In questo modo, gli agricoltori medievali crearono dei nuovi paesaggi agrari che esistono ancora oggi. Ad esempio, prosciugarono le pianure dell'Olanda allagate dal mare, le protessero con dighe e iniziarono a coltivarle a grano (quei campi oggi si chiamano polder); e, ancora, drenarono l'acqua delle paludi che rendevano impraticabile la pianura padana, costruirono canali per convogliare l'acqua e irrigare i campi, disboscarono ampi tratti di terreno, e trasformarono quela valle in uno dei territori più produttivi d'Europa. Altri prosciugamenti di zone paludose vennero realizzati in Inghilterra, in Normandia e in Linguadoca (una regione nel sud-ovest della Francia). 7 L'emigrazione Se il territorio vicino era già occupato da altri villaggi e il saltus era già interamente coltivato, i contadini si spostavano più lontano. I contadini tedeschi, ad esempio, emigravano verso est, verso le terre dell'Europa orientale (dall'odierna Polonia fino ai paesi del Baltico). Gli storici hanno calcolato che in Europa vennero fondati oltre 150 000 villaggi, che in media contavano circa 500 individui ciascuno. Hanno calcolato, ancora, che oltre mezzo milione di contadini emigrarono dalla Germania e dall'Olanda per colonizzare le pianure dell'Europa orientale. Se contiamo anche le loro famiglie, possiamo ritenere che si trattò di uno spostamento di due-tre milioni di persone. I re e i signori favorirono questo processo, concedendo ai contadini che si insediavano nei nuovi villaggi alcuni privilegi (detti franchigie) come l'esenzione da alcuni tributi, protezione e libertà personale, Possiamo riconoscere una traccia di queste concessioni nei nomi di alcune località, come Villafranca o Borgofranco in Italia), Freistadt (in Germania) e Villefranche (in Francia). Questo lento processo di bonifica delle terre e di colonizzazione dell'Europa durò fino al XIV secolo. In questo secolo la popolazione europea, che nei decenni dopo l'anno Mille aveva raggiunto i 30-40 milioni di persone, ormai superava i 55 milioni di individui, aveva

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messo a coltura tutto il saltus e occupava tutte le terre arabili, dall'odierna Spagna fino alla Russia.

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C2. I SIGNORI 1 I signori favoriscono la diffusione delle innova zioni tecniche. I signori erano ormai così forti e ben organizzati che riuscivano a garantire il governo e il controllo di tutto il territorio. Erano ricchi e, perciò, potevano acquistare animali e nuovi strumenti per coltivare le loro terre e migliorare così la produzione. Potevano, ad esempio, acquistare l'aratro pesante, che era uno strumento munito di ruote, con una lama che tagliava il terreno, e un versoio (un'altra lama ricurva) che lo rivoltava. L’aratro pesante esisteva da moltissimo tempo: sembra che i celti lo conoscessero, prima ancora dei romani; ma era molto costoso e i contadini liberi non potevano comprarlo: per questo motivo usavano l'aratro leggero, costituito da una punta di legno, a volte protetta da un rivestimento di metallo. Il signore, invece, poteva permettersi l'aratro pesante. Questo attrezzo agricolo permetteva di arare i terreni duri e gelidi del nord, quelli che nessun aratro leggero avrebbe mai potuto dissodare. 2 I signori utilizzano il cavallo in agricoltura. Per trainare l'aratro i contadini adoperavano l'energia dei buoi, animali resistenti ma molto lenti. I nomadi, invece, per tirare i loro carri adoperavano i cavalli: e con grande vantaggio, dal momento che questi animali sono molto più veloci. I signori medievali erano i soli a utilizzare il cavallo, animale considerato nobile, perché utilizzato in guerra. Essi cominciarono a usarlo anche per i lavori agricoli: con i cavalli che trascinavano l'aratro pesante si arava più velocemente, e si potevano coltivare in minor tempo porzioni di terreno più vaste. 3 Si diffonde l'uso della ruota idraulica. La ruota idraulica permetteva di trasformare l'energia delle acque dei fiumi in forza lavoro. Era uno strumento utilissimo, conosciuto fin dall'antichità romana, ma non era molto diffuso, perché costava moltissimo. I signori del X secolo potevano permetterselo e perciò cominciarono ad adoperarla per far funzionare i loro mulini. A quel tempo, però, ogni famiglia contadina aveva la propria macina, e ognuno produceva per sé la farina che gli serviva; i signori, allora, obbligavano i contadini a distruggere le loro macine e a portare il grano ai mulini signorili. Qui, per far macinare il loro grano, i contadini pagavano una tassa, che consisteva in una certa quantità di farina. I signori, così, incrementavano le loro ricchezze; i contadini, dal canto loro, perdevano un po' di farina, ma risparmiavano il tempo della macina, e potevano lavorare di più nei campi. 4 Aumentano i commerci. A partire dal X secolo, dunque, i signori cominciarono a disporre di una notevole quantità di ricchezza, che impiegavano per comprare beni di lusso: sete e drappi pregiati che provenivano da Bisanzio e dalle città arabe; spezie, che i mercanti musulmani importavano dall'Oriente; vini profumati del Mediterraneo; pellicce e ambra, che venivano dall'Europa settentrionale. Utilizzavano inoltre la ricchezza di cui disponevano per acquistare beni di prima necessità: primo fra tutti il sale. Il sale era un ingrediente necessario per la vita quotidiana perché serviva a conservare i cibi e la sua mancanza provocava danni alla salute; doveva essere trasportato anche da lontano, dal momento che si ricavava dal mare. Inoltre, per costruire i nuovi strumenti che cominciavano a essere usati nei campi, servivano anche grandi quantità di ferro: tutte queste nuove necessità misero in moto il commercio.

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Ovunque, in Europa, cominciarono a sorgere luoghi di mercato, presso le città o i villaggi, o semplicemente vicino ai porti fluviali e marittimi: infatti, poiché mancavano le strade, il commercio si svolgeva per mare e lungo i fiumi.

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C3. LA SOCIETÀ MEDIEVALE 1 Crescono le città. Durante i secoli X e XI le città tornarono a essere il centro dell'economia, della politica e della cultura. Non si trattava, però, di città grandi come le nostre. In genere, erano piccoli centri, di poco più di un migliaio di abitanti. Le città intermedie, di 15-20 000 abitanti, erano in Italia circa duecento, situate prevalentemente nel centro e nel sud. Rarissime erano le città grandi, come Milano, Firenze, Parigi, Roma, che superavano i 50 000 abitanti. Solo due fra queste, Milano e Parigi, oltrepassarono i 100 000 abitanti, e fra i secoli XII e XIII divennero le "metropoli" del Medioevo. 2 La produzione cittadina. L’elemento che differenziava la città dal villaggio non era tanto il numero di abitanti, quanto la varietà dei lavori che vi si svolgevano. Il villaggio era esclusivamente dedicato alla produzione agraria, mentre in città si concentravano le produzioni artigianali: tessuti, armi, strumenti di ferro. Nelle città, inoltre, si sperimentavano nuovi usi della ruota idraulica; gli artigiani la utilizzavano per l'industria tessile: la ruota azionava i macchinari per la follatura, una lavorazione che serve a rendere i tessuti morbidi e compatti; era impiegata anche nell'industria del ferro: i fabbri medievali avevano infatti inventato meccanismi capaci muovere, con l'energia idraulica, i pesanti magli che battevano il ferro rovente. 3 Il vescovo non garantisce più il governo cittadi no. In Italia molte città erano rimaste in vita, anche dopo la caduta dell'Impero romano. Per questo motivo, l'Italia fu la regione più urbanizzata di tutto il Medioevo. Per lungo tempo le città erano state governate dai vescovi, che avevano preso il posto delle antiche famiglie nobili romane. Durante tutta la prima metà del Medioevo, i vescovi erano riusciti a organizzare la vita civile urbana, avevano gestito il potere politico ed erano stati spesso i rappresentanti politici della città, nei suoi rapporti con gli altri poteri. A partire dal X secolo però, quando la potenza economica delle città cominciò a crescere e aumentarono i conflitti fra signori, imperatori e papi, i vescovi ebbero sempre maggiori difficoltà a essere riconosciuti come capi da tutti gli abitanti. 4 È difficile governare una società complessa. La popolazione cittadina era ora composta da gruppi sociali diversi: signori – laici ed ecclesiastici - artigiani di ogni genere e contadini che lavoravano la terra attorno alla città. La società cittadina era "complessa", perché ogni gruppo sociale aveva problemi e bisogni particolari, che non sempre coincidevano con quelli degli altri; era inoltre una società conflittuale, perché ogni gruppo sociale cercava di far prevalere le proprie necessità. I vecchi sistemi di governo, che si basavano sulla capacità del vescovo di stabilire la pace e mantenere l'accordo fra i cittadini, non funzionavano più. 5 Nasce il comune. Le città, dunque, cercarono nuove forme di organizzazione politica. Cominciò, così, un lungo periodo di esperimenti dai quali nacque un'istituzione totalmente nuova, il comune. Questa istituzione era il frutto dell'accordo fra le tre componenti principali della vita economica e politica urbana: gli uomini di guerra, cioè gli aristocratici, gli uomini del denaro, cioè i mercanti e gli artigiani, gli uomini di cultura, cioè i notai, gli

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avvocati e i chierici. Questi tre gruppi si riunivano in un'assemblea, definita arengo o parlamento o concione, ed eleggevano i consoli. Erano i consoli a governare la città. Gli accordi sul governo della città variavano da luogo a luogo: in alcune città prevalevano gli aristocratici laici, in altre quelli legati al vescovo e così via. Ma, in tutti casi, questo accordo prese il nome di "comune". 6 I comuni non si diffondono nell'Italia del Sud. Il comune fu la forma di governo che adottarono quasi tutte le città del centro-nord italiano. Nel sud, invece, proprio durante la formazione dei comuni, si stabilì un forte regno centralizzato, quello dei normanni. Le città meridionali, perciò, per quanto fossero normalmente autonome nei loro commerci e avessero anch'esse consigli di cittadini, non ebbero mai la possibilità di autogovernarsi. 7 L'aggressività dei comuni. L’unione fra le tre componenti cittadine (le armi, il denaro e la cultura) rese i comuni del centro-nord un soggetto politico e militare fortissimo. Ne fu una prova il fatto che - nello spazio di appena cinquant'anni - i comuni si impadronirono del contado, cioè del territorio circostante. Cacciarono i signori rurali, o li obbligarono a dichiararsi vassalli della città; misero le mani sui villaggi e sulle città più piccole vicine; avevano infatti la forza economica (gli uomini del denaro) per pagare eserciti potenti (gli uomini della guerra). Inoltre, gli uomini di cultura presentavano queste conquiste come "liberazione del territorio" e creavano gli strumenti giuridici (leggi e statuti) per governarle legittimamente. 8 I comuni ricorrono ai podestà. Durante tutto l'Xl secolo e nella prima parte del XII secolo, dunque, i comuni si diffusero nel centro e nel nord dell'Italia: ma proprio questa nuova situazione creava nelle città dei problemi che non sempre i consoli riuscivano a risolvere. Questi, infatti, non avevano una preparazione specifica per governare. Perciò, alcuni comuni cominciarono a rivolgersi a quei consoli, anche di altre città, che avevano dimostrato di saper ben governare, e li assunsero come governatori a pagamento; questi, poiché non erano abitanti del posto, potevano essere arbitri imparziali nei conflitti cittadini. Erano i podestà; rimanevano in carica solo un anno e si facevano accompagnare da uno staff di persone abili e di fiducia. 9 La politica diventa un mestiere. Questo esperimento politico ebbe successo e fu imitato dalla maggior parte dei comuni. Si formò in questo modo un ceto di governatori che giravano da una città all’altra. Alcune famiglie aristocratiche si specializzarono nel formare queste figure politiche; perciò troviamo molte città che venivano governate dai membri di una stessa famiglia. Il "buon governo" diventò una materia di studio, e alcuni chierici scrissero dei trattati, che venivano letti e studiati dai podestà e dai consigli comunali. La politica era diventata una professione per persone specializzate. 10 La crescita delle città. Nel corso del XII-XIII secolo, la superficie delle città europee continuò a crescere: era aumentato anche il numero degli uomini e delle donne che vi abitavano. Per ampliare lo spazio urbano, le vecchie cinte murarie furono abbattute e se ne costruirono altre più ampie. All'interno delle città vennero costruiti nuovi palazzi, edifici monumentali destinati a ospitare gli uffici comunali, affaccia ti su grandi piazze dove si

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tenevano le assemblee popolari. Le città vennero abbellite anche da grandi cattedrali dette gotiche: le prime furono costruite in Francia già prima della metà del XII secolo, ma in poco tempo lo stile gotico si diffuse in tutta l'Europa. 11 Il popolo si afferma nelle istituzioni comunali. Nel corso dei primi due secoli del millennio, le città si erano impadronite interamente del contado, cioè del territorio che le circondava. Avevano occupato altri villaggi, dopo aver cacciato i vecchi signori o aver fatto accordi con loro. Si erano date delle leggi, avevano imposto tasse sui prodotti dell'agricoltura, dell'artigianato, sui commerci e sul passaggio di stranieri nel loro territorio. Inizialmente mercanti e artigiani, cioè i cosiddetti "uomini del denaro", non erano stati protagonisti di questo processo di trasformazione; verso il XIII secolo, però, cominciarono a partecipare alle assemblee, alleandosi fra loro per sostenere i propri diritti con più forza: il nome che designava questa alleanza era "popolo". Il popolo divenne presto tanto potente che, nel corso del XIII secolo, riuscì a governare la maggior parte delle città comunali, privando gli aristocratici del potere politico. Alle trasformazioni interne si accompagnò, in alcuni centri urbani, il tentativo di estendere il proprio potere su centri più piccoli, in modo da formare dei domini regionali. Le città più grandi e potenti, come Venezia, Genova, Firenze, coniavano moneta e avevano un loro esercito per difendersi, per assicurare l'ordine interno e per espandere il loro territorio. 12 Milano, l'antagonista dell'Impero. Milano era la città più potente e ricca di tutta l'Europa occidentale. La sua popolazione, probabilmente, toccava le duecentomila persone: più del doppio delle più grandi città del tempo (Parigi, Roma e Firenze); riusciva ad armare un esercito di ben quarantamila soldati; inoltre, era adornata di più di duecento chiese e cinquanta monasteri. Le manifatture che ospitava erano innumerevoli: in primo luogo fabbriche di armi e di corazze (per le quali era famosa in tutta l'Europa), manifatture tessili e botteghe nelle quali si lavorava il cuoio (selle e finimenti per i cavalli). Vi si trovavano poi scuole, maestri, botteghe dove si copiavano i codici (i libri del Medioevo). Da Milano, mercanti e banchieri si recavano in ogni parte del mondo. Essa, dunque, era il cuore di un contado ricco, ma anche il centro di una rete di commerci che importava materie prime da tutta l'Europa e le esportava ovunque.

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IL CITTADINO NEL XII SECOLO (tema 1)

VANTAGGI E SVANTAGGI DELLE CITTÀ

Le speranze dei contadini e i bisogni delle città. Un proverbio ricorrente nelle città tedesche affermava che "l'aria delle città rende liberi". In realtà si trattava solo di una frase di propaganda, che doveva servire ad attirare i contadini dalle campagne verso le città. Avere più abitanti significava per le città poter contare su un numero maggiore di cittadini che pagavano le tasse e su una manodopera più numerosa da impiegare nelle attività manifatturiere urbane. Alcuni governi cittadini come Vercelli, Bologna o Firenze affrancarono molti servi, regalando loro la libertà. Perciò molti contadini si trasferivano nei centri urbani perché speravano di pagare meno tasse, di liberarsi dalla prepotenza dei signori feudali e, soprattutto, di trovare occasioni per migliorare la loro condizione. Tuttavia si accorsero ben presto che, anche se in città esistevano privilegi e libertà maggiori rispetto alla campagna, dovevano però pagare tasse pesanti e sopportare una vita piena di insidie. I forestieri. Nei grandi centri urbani come Milano, Firenze o Lione c'era un gran numero di stranieri. La città attirava molti forestieri perché era più facile trovare lavoro e c'era più disponibilità di cibo. Quando arrivavano in una nuova città, gli stranieri tendevano a concentrarsi e ad abitare tutti negli stessi quartieri o in strade vicine. Alcuni abitanti delle città erano contenti di questi nuovi arrivi, altri meno. I venditori di cibo si rallegravano per i nuovi venuti perché aumentavano le vendite e i padroni delle locande perché avevano molti clienti ai quali affittare le stanze per la notte. Gli artigiani, al contrario, guardavano con sospetto e ostilità gli stranieri, perché li vedevano come possibili concorrenti e, quando guadagnavano meno, li ritenevano responsabili. I cittadini più ricchi, poi, li consideravano un pericolo e una causa di disordine.

COME ERANO FATTE LE CITTÀ Le mura. Erano lo strumento principale per la difesa della città, perciò gli abitanti spendevano molto denaro per costruirle. Ma le mura indicavano anche lo spazio entro il quale erano valide le leggi urbane e separavano i cittadini dai contadini . Gli abitanti di uno stesso quartiere custodivano e difendevano la parte delle mura e la porta vicine alle proprie abitazioni. Le porte della città venivano aperte di giorno e chiuse di notte. Quando la popolazione aumentava, c'era bisogno di costruire nuove case, ma poteva capitare che lo spazio all'interno delle mura fosse già completamente occupato da abitazioni, botteghe, edifici pubblici e chiese; allora le mura venivano abbattute e veniva costruita una nuova cinta muraria più ampia. Le case. Il cittadino trascorreva poco tempo in casa: andava al lavoro o al mercato, oppure si recava a prendere l'acqua da una cisterna, a lavare i panni, a comprare il cibo; le case erano usate soprattutto per dormire e come riparo nei periodi più freddi. La maggior parte delle famiglie viveva in case di due stanze, in ognuna delle quali dormivano più persone, e condivideva con altre l'uso del pozzo e del cortile. Le case erano quasi tutte di legno e di piccole dimensioni. Erano umide e piene di spifferi perché il vento entrava dalle porte e dalle imposte: i vetri, infatti, erano poco usati. Per cucinare e riscaldarsi si accendeva il fuoco con la legna e il fumo del focolare si diffondeva nelle stanze facendo bruciare gli occhi e la gola. I fabbri, i tessitori, i carpentieri abitavano, in genere, in una casa con una piccola stanza, che serviva da bottega: lì vivevano insieme con gli apprendisti, giovani che svolgevano un periodo di tirocinio per imparare il mestiere. I pochissimi ricchi abitavano case con più stanze e tante comodità. Al primo piano c'erano generalmente le camere, mentre al secondo piano e all'ultimo c'erano la cucina e una piccola loggia per stendere i tessuti o i panni: questa struttura si chiama "a torre". Le torri erano il simbolo del prestigio e della potenza della famiglia che vi abitava.

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Vita di quartiere. Nella città ogni gruppo sociale occupava zone ben precise: esisteva così il quartiere dei nobili e il quartiere o la via degli stranieri; oppure si formavano quartieri specializzati, come, per esempio, il quartiere o la via dei macellai, dei tintori, dei concia tori. Le persone che abitavano nello stesso quartiere avevano proprie regole di vita, basate sulla consuetudine. Queste regole cambiavano da vicinato a vicinato e spesso erano più importanti di quelle ufficiali. Il vicinato poteva, ad esempio, accettare una convivenza come un matrimonio, anche se non era avvenuto davanti a un prete. L'igiene. Camminare per i vicoli di una città medievale poteva riservare al cittadino tante sorprese, a volte sgradevoli. Poteva accadere, ad esempio, che qualcuno gettasse i propri escrementi giù nel cortile o nella strada: le case infatti non avevano il bagno e tutti i rifiuti venivano gettati fuori. La gente era costretta a sopportare i cattivi odori. Le malattie e le infezioni si diffondevano molto facilmente perché gli abitanti delle città vivevano a contatto ravvicinato: perciò la peste, il tifo e il colera in breve tempo contagiavano tante persone. I luoghi pubblici. All'interno di una città vivevano insieme artigiani, contadini, studenti, mercanti, nobili,mendicanti, chierici, soldati e prostitute. Tutte queste persone si incontravano per strada ma anche nei luoghi pubblici come il mercato e la cattedrale. Al mercato si poteva trovare tutto ciò che serviva alla vita quotidiana,dai prodotti più comuni come frutta e verdura, cesti, vasi e attrezzi di legno, alle merci più pregiate come tessuti e pietre preziose. La cattedrale era, invece, la sede del vescovo e nelle città rappresentava il potere religioso; vi erano custodite le reliquie dei santi, i documenti relativi ai matrimoni e ai battesimi, le donazioni.

LA VITA DEI CITTADINI L’alimentazione. Un momento importante nella giornata del cittadino era il pranzo. L’alimento principale era il pane. l poveri mangiavano il pane nero impastato con la crusca, i ricchi, invece, si cibavano di pane di frumento e farina bianca setacciata. Nelle città in cui operavano artigiani che lavoravano la lana o producevano pergamena, in genere gli abitanti consumavano anche molta carne. In queste città, infatti, c'erano sempre molte pecore, necessarie per ricavare la lana e la pelle da trasformare in pergamena. Le pecore producevano anche latte che veniva consumato subito o trasformato in formaggio. Nelle città dell'Europa meridionale si consumava molto vino, mentre nelle regioni dell'Europa del nord la gente beveva sidro e birra. La vite, infatti, non cresce se il clima è troppo freddo e importare il vino era molto costoso: soltanto i più ricchi potevano permetterselo. La famiglia e il matrimonio. Le famiglie cittadine erano meno numerose di quelle che vivevano in campagna. Pochi padri riuscivano a far sposare le figlie fra i dodici e i quindici anni: gli altri non potevano, perché non possedevano la dote necessaria. Di solito, perciò, le ragazze si sposavano tra i sedici e i ventuno anni. Gli uomini si sposavano in tarda età, a circa trent'anni, perché dovevano prima trovare un lavoro sicuro. Il matrimonio era quindi una conquista difficile e una vittoria per chi ci riusciva. Non sempre il matrimonio durava a lungo. La durata media di un'unione era di circa dodici anni nelle famiglie comuni e di sedici tra i nobili. I matrimoni erano brevi perché spesso uno dei due coniugi moriva o perché le guerre o i viaggi separavano moglie e marito. La violenza. Le strade erano pericolose e piene d'insidie, soprattutto di notte. Erano molto frequenti furti, violenze, omicidi. Per difendersi, i cittadini avevano l'abitudine di portare con sé delle armi, anche se esistevano delle leggi che lo vietavano. A volte si poteva aggredire qualcuno per difendere un valore che era considerato molto importante a quel tempo: l'onore. Le strade, le piazze, le taverne erano i luoghi dove si conquistava o si difendeva il proprio onore e la propria reputazione. Se si veniva offesi o scherniti da qualcuno, bisognava dimostrare pubblicamente il proprio coraggio e riconquistare la stima dei propri concittadini.

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C4. LE CITTÀ MARINARE

1 Venezia, la dominatrice dei mari. Nel 1202 Innocenzo III aveva organizzato una spedizione per liberare la Terrasanta: oggi la conosciamo come quarta crociata. Il suo invito non aveva ottenuto una risposta entusiastica da parte dei signori del tempo; perciò, i crociati non erano moltissimi e soprattutto non avevano denaro a sufficienza per pagare il nolo delle navi veneziane. I veneziani, allora, proposero di trasportarli gratuitamente, in cambio della conquista di Zara, una città adriatica che oggi fa parte della Croazia; poi, non soddisfatti, convinsero i crociati a fermarsi a Costantinopoli, capitale dell'Impero bizantino, e a conquistarla. Nel 1204, dopo aver compiuto una strage terribile, i crociati cacciarono l'imperatore: al suo posto nominarono un loro condottiero, Baldovino di Fiandra, dando vita all'Impero latino d'Oriente. In realtà, i veri padroni di Costantinopoli furono, da quel momento, i veneziani, i quali presero possesso anche di Creta e di Cipro, due isole al centro del Mediterraneo orientale. Venezia cercava di imporre il proprio controllo sulle vie marittime per impadronirsi delle ricchezze dei commerci per mare: le imprese della famiglia Polo, che partì dall'Italia e giunse in Cina, sono una testimonianza di questo progetto. 2 Città rivali fino alla morte. I più fieri difensori di Costantinopoli contro l'assalto dei crociati e dei veneziani erano stati i soldati e i marinai genovesi. Ugualmente, nel 1261, quando gli imperatori bizantini, che intanto si erano rifugiati in Asia Minore, cacciarono i veneziani dalla città e rifondarono il loro impero, ad aiutarli furono ancora i genovesi. La rivalità e l'odio fra Venezia e Genova erano indicibili: si racconta che i genovesi distrussero la sede del rappresentante veneziano, ne trasportarono le pietre a Genova e le utilizzarono per costruire il loro Banco di San Giorgio. Le due città lottavano così aspramente perché in gioco vi era il predominio dei ricchissimi commerci nel Mediterraneo e verso l'Oriente. 3 Genova sconfigge Pisa. Mentre Venezia aveva avuto facilmente ragione delle città adriatiche e, dopo aver stretto accordi con il regno dell'Italia meridionale, si era lanciata alla conquista dell'Oriente, Genova aveva dovuto lottare parecchio per ottenere la supremazia nel mar Tirreno. Infatti, vi era un'altra città ugualmente desiderosa di costruire e mantenere un suo impero commerciale: Pisa; questa, oltretutto, dominava sulla Sardegna e sulla Corsica. Genova, perciò, dovette distruggere il suo avversario vicino: lo fece nella battaglia della Meloria del 1284. Ormai senza più rivali nel Tirreno, Genova si lanciò alla fondazione di un impero, paragona bile a quello di Venezia. Spinse i suoi commerci verso oriente fino al mar Nero, e verso occidente: le sue navi varcarono lo stretto di Gibilterra, alla conquista dei mercati dell'Europa settentrionale e alla ricerca di nuove ricchezze in Africa.

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I MERCANTI TRA XI E XIII SECOLO (Tema 2)

I MERCANTI, VIAGGIATORI COLTI E CORAGGIOSI

Il mercante doveva studiare. I giovani che volevano intraprendere l'attività di mercante dovevano avere un'istruzione di tipo pratico. Imparavano la matematica, che era essenziale per tenere la contabilità; studiavano la geografia e l'astronomia. Esistevano delle guide pratiche all'attività commerciale, dove venivano elencate le merci, i luoghi in cui comprarle e venderle, le misure e i pesi usati nei diversi paesi. Infatti, nel Medioevo, ogni paese e ogni città aveva dei pesi e delle misure particolari, e usava una sua moneta. Perciò, in questi libri si indicava il valore delle monete e i dazi doganali, e c'erano perfino i suggerimenti per evitare di pagare troppe tasse. Nei loro libri, infine, erano descritte le vie commerciali e c'erano i calendari che indicavano i luoghi e i periodi migliori per commerciare. Il mercante conosceva gli usi dei popoli e le loro lingue. I mercanti dovevano conoscere le leggi e la storia dei popoli con cui erano in rapporto. Nelle località commerciali, o nei posti di ristoro dove facevano tappa, il mercante doveva dimostrarsi una persona educata ed esperta e, per conquistare la simpatia delle popolazioni e dei notabili del luogo, doveva conoscere i loro usi e costumi. Perciò, i mercanti leggevano dei libri, nei quali erano descritte la storia e le abitudini dei popoli di tutto l'antico continente; questi libri erano scritti dagli stessi mercanti: in questo modo essi trasmettevano le conoscenze da un popolo a un altro. Anche lo studio delle lingue era molto importante: i mercanti italiani imparavano l’inglese, il tedesco e il francese, l'arabo e il turco; quelli tedeschi, invece, per commerciare con le regioni del Baltico, apprendevano il russo e l'estone. Ma vi erano delle lingue internazionali: come il latino volgare nei paesi del Mediterraneo, e il tedesco nelle regioni del Baltico. Furono compilati numerosi vocabolari e frasari delle lingue più diffuse e manuali, anche per lo studio delle lingue orientali più lontane. Viaggi per terre e per mari. I mercanti che si recavano con le loro carovane in paesi lontani attraversavano le terre di vari popoli e affrontavano pericoli di ogni genere. A volte i predoni e i signori locali li derubavano delle loro mercanzie e dei guadagni, oppure li costringevano a pagare dei dazi elevati. Per difendersi, i mercanti dovevano saper usare le armi. Inoltre i viaggi erano lenti e faticosi perché le strade erano sconnesse, e qualche volta non esistevano nemmeno. Anche navigare via mare, però, comportava dei pericoli: i naufragi e gli assalti del pirati o dei mercanti concorrenti. I mercanti-navigatori avevano a disposizione i portolani, che erano dei lbri nei quali si descrivevano i porti e le vie marittime. La tecnica di navigazione più sicura e utilizzata dai mercanti era quella di cabotaggio, che consisteva nel rimanere sempre in vista della costa; i comandanti delle navi si avventuravano in mare aperto solo quando non potevano farne a meno. Per evitare le burrasche invernali si iniziava a navigare in primavera e si terminava in autunno. Per potersi orientare, il mercante-navigatore doveva saper riconoscere gli astri e individuare con esattezza i punti cardinali. Nel XII secolo gli europei impararono dagli arabi a utilizzare la bussola e l'astrolabio. Grazie a questi strumenti era possibile calcolare la latitudine e la rotta con una certa approssimazione.

L'ORGANIZZAZIONE DEI COMMERCI Fiere e fondaci. I mercati si svolgevano nella grandi piazze, oppure nelle strade delle città medievali. Dal XII secolo cominciarono a tenersi le fiere, cioè delle occasioni di incontro fra i mercanti per scambiare le merci più diverse, come spezie, pepe, seta, lana, legname, cera, pellicce, grano. Le prime furono quelle della Champagne, una regione nel nord-est della Francia. Da queste fiere, le merci venivano poi trasportate dai mercanti in tutta Europa. Nelle città commerciali più importanti i commercianti possedevano dei fondaci, cioè dei magazzini dove conservavano e proteggevano le merci e dove potevano alloggiare essi stessi.

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Le compagnie commerciali. Le merci che provenivano dalle terre lontane costavano moltissimo, perché il commercio era rischioso e faticoso; l'attività commerciale, a sua volta, richiedeva grandi quantità di denaro: perché bisognava pagare le carovane, e non sempre queste riuscivano a tornare con i prodotti dell'Oriente. Perciò, lentamente, il mercante diventò un imprenditore: raccoglieva il denaro dai ricchi della sua città e lo investiva in una compagnia commerciale, che aveva sedi nelle più grandi città europee. La compagnia affidava quindi le sue merci a imprese specializzate nel trasporto, via mare o via terra. Sistemi di pagamento e assicurazioni. Per i pagamenti i commercianti utilizzavano monete d'oro o d'argento. Portare con sé grandi quantità di denaro durante i viaggi d'affari, tuttavia, era scomodo e poco sicuro; perciò, alla fine del XIII secolo, i mercanti cominciarono a studiare nuovi sistemi di pagamento: per esempio con lettere che dalla sede centrale venivano inviate alle sedi periferiche, con l'ordine di pagare le somme pattuite. In questo modo, i mercanti evitavano di portare con sé tante monete. Inoltre, per garantire il risarcimento alle compagnie che perdevano le loro merci in naufragi o incendi, furono create le assicurazioni.

IL MERCANTE, UNA FIGURA COMPLESSA Benefattore o peccatore? Spesso, dunque, i mercanti e soprattutto i capi delle compagnie diventavano ricchissimi. Allora, celebravano il loro successo costruendo palazzi fastosi, commissionando a pittori o a poeti opere bellissime; oppure facevano alla Chiesa enormi offerte di denaro, per costruire cattedrali, chiese, altari e statue sacre. Eppure, nonostante ciò, essi non erano ben visti dalla Chiesa, e soprattutto dalla nobiltà, perché il loro denaro non proveniva dal sudore della fronte e dal lavoro della terra (come è scritto nella Bibbia). Perciò, spesso i mercanti erano considerati delle persone immorali, destinate ad andare all'inferno, dopo la morte. La figura del mercante era dunque un problema per la società medievale: da una parte essi erano dei grandi benefattori della Chiesa., ma dall’altra erano considerati dei peccatori. La salvezza religiosa. Alla fine del XII secolo, si verificò un evento che permise la risoluzione del problema. Alcuni teologi sostennero che nell'aldilà non c'erano soltanto il Paradiso e l'Inferno, ma anche un luogo intermedio, dove le anime potevano sostare per purificarsi, e andare quindi in Paradiso: il Purgatorio. Finalmente molti peccatori, tra cui i mercanti, potevano entrare in chiesa a testa alta: ora anche loro, se avessero compiuto delle buone azioni, sarebbero andati, come tutti i buoni cristiani, in Paradiso. Cerano, però, dei mercanti per i quali questa rassicurazione non era sufficiente: e allora, abbandonavano le loro ricchezze e sceglievano una vita di povertà e di penitenza. I due casi più celebri furono quelli di Francesco d'Assisi e di Valdo di Lione. Entrambi erano mercanti ed entrambi decisero di dedicare la loro vita a Dio e alla predicazione del Vangelo. Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Il tempo nel Medioevo era scandito dalle feste religiose e dai momenti di preghiera previsti durante la giornata. La campana della chiesa segnalava a tutti i cittadini i momenti importanti della giornata: il sorgere del sole, il mezzogiorno, il tramonto. Quindi d'estate, essendo la giornata lunga, il tempo impegnato al lavoro era lungo; d'inverno, al contrario, il tempo dedicato al lavoro era breve, perché la giornata è molto corta. Questi tempi andavano bene per il lavoro contadino, che ha bisogno della luce del sole, ma non per il lavoro del mercante, che ha bisogno di misurare con precisione i tempi, di calcolare i viaggi e gli investimenti di denaro. I mercanti Cei cittadini in genere) avevano bisogno di un sistema diverso, per misurare il tempo. Perciò quando, alla fine del XIII secolo, fu inventato l'orologio meccanico, tutte le città fecero a gara per averne uno da sistemare sulla torre civica. Le campane furono collegate a questi orologi, e da quel momento in poi, il giorno diventò uguale: sempre di ventiquattro ore, per tutte le città europee, e per ogni giorno dell'anno.

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I CAVALIERI (Tema 3)

I PROFESSIONISTI DELLA GUERRA Combattere? All'inizio era solo un mestiere! Dal X al XIII secolo la cavalleria fu solo una professione praticata da persone di origine sociale diversa. I signori avevano costruito i castelli, ma avevano anche bisogno di soldati capaci di usare le armi per proteggere le loro terre. All'inizio una parte dei cavalieri proveniva da famiglie umili; potevano essere contadini arricchiti o servi fedeli ai quali il signore donava armi e cavalli e a volte affidava un castello. La loro fortuna non dipendeva dalla loro origine familiare, ma dalla qualità del servizio che svolgevano, cioè da come sapevano combattere. Gli aristocratici diventano cavalieri. Con il passare del tempo il mestiere di cavaliere fu praticato solo dagli aristocratici. Questa attività richiedeva, infatti, attrezzature molto costose: cavalli, armature, armi; a mano a mano che il costo di questi elementi aumentava, solo chi era ricco poteva permettersi tutto ciò che serviva al combattimento. Gli aristocratici furono attirati verso questa professione anche dal fatto che l'attività di cavaliere era diventata sempre più prestigiosa e offriva la possibilità di fare fortuna e di diventare potente. I cadetti delle famiglie nobili diventano cavalieri . Molti giovani aristocratici scelsero la carriera di cavaliere anche per un'altra ragione. Fra il X e l'XI secolo le famiglie iniziarono a trasmettere l'eredità solo ai figli primogeniti. In quei secoli, infatti, i signori avevano interesse a diventare sempre più ricchi e ad accrescere il loro potere sulla zona dove si trovavano il loro castello e la maggior parte delle loro terre. Per mantenere il potere e la ricchezza era importante non dividere il patrimonio familiare, che spesso era di piccole dimensioni: per questa ragione si preferì lasciare in eredità al primogenito la maggior parte del patrimonio di famiglia, mentre agli altri figli veniva data una piccola dote. Il destino che toccava ai cadetti (i figli non primogeniti) era quello di imparare fin da bambini a usare le armi, a cavalcare, a combattere presso la corte del feudatario del padre. Molti giovani aristocratici cercarono fortuna nei due mestieri che permettevano di raggiungere posizioni di privilegio, ricchezza o potere: diventavano, cioè, cavalieri o monaci. Il giuramento dei cavalieri. La cerimonia per diventare cavaliere si chiamava adoubement, dal franco dubban, che vuoI dire "colpire". In questa occasione il futuro cavaliere riceveva la spada e un colpo simbolico sulla guancia o sulla nuca per mano del cavaliere più anziano. Questa cerimonia si poteva svolgere in situazioni e in modi diversi: se avveniva subito dopo una battaglia oppure quando un principe passava da un castello, la Cerimonia era molto veloce, ma negli altri casi per organizzare l'adoubement bisognava spendere una forte somma di denaro. Per questa ragione molti giovani, nobili ma non troppo ricchi, rinunciavano alla cerimonia e rimanevano scudieri a vita. Fra il XII e il XIII secolo l'adoubement cambiò significato e diventò un rito quasi religioso. La cavalleria, infatti, era cambiata e si era trasformata in una specie di ordine sacro: solo i figli dei cavalieri potevano essere ammessi a questa cerimonia, perché i nobili avevano iniziato a pensare a loro stessi come a un gruppo sociale chiuso. Le aspirazioni di un cavaliere. I cavalieri più giovani si riunivano in compagnie e vagavano di città in città, di castello in castello mettendosi ogni volta al servizio dei signori locali. La loro grande passione erano i tornei, vere e proprie guerre simulate che permettevano ai più valorosi di mettersi in mostra e di ottenere anche buoni ingaggi. Il loro scopo era quello di fare fortuna, sposare una donna nobile e ricca e magari diventare signori; la maggior parte di loro raggiungeva questo obiettivo solo in età matura. A quel punto il cavaliere si dedicava soprattutto ad amministrare le proprietà di famiglia. Chi non era sposato, indipendentemente dall'età, veniva chiamato iuvenes, "giovane".

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IL RUOLO DEI CAVALIERI NELLA SOCIETÀ Come fermare i cavalieri più violenti? Qual era il ruolo dei cavalieri nella società medievale? Come venivano considerati? I chierici raccontavano che la società era divisa in tre parti: c'era chi pregava per la salvezza dell'umanità, chi combatteva per sé e per gli altri e chi lavorava per permettere a tutti di sopravvivere. In questa visione della società, costruita sul modello della Trinità, i cavalieri non combattevano solo per conquistare ricchezze, ma anche per il bene di tutta la comunità. Questo ideale fu rafforzato anche dall'epica cavalleresca e da romanzi che raccontavano le storie di valorosi cavalieri che si comportavano in modo irreprensibile. In realtà, molti cavalieri si riunivano in compagnie erranti e spesso compivano rapine e saccheggi. Per impedire questi comportamenti e trasformare l'attività dei cavalieri in un servizio utile alla società, i vescovi e i signori locali crearono il movimento della "pace di Dio". I cavalieri di questo movimento giuravano che non avrebbero compiuto violenze ingiustificate e non avrebbero usato le armi durante le principali ricorrenze religiose. I vescovi, inoltre, crearono un modello di comportamento del perfetto cavaliere, mescolando ideali cristiani con valori già presenti nella cultura cavalleresca: la necessità di essere non solo prodi, ma anche saggi, virtuosi, generosi, leali. Così il cavaliere diventò il difensore dei poveri, dei deboli, delle donne e dei ragazzi. Gli ordini militari. Nel XII secolo furono fondati degli ordini monastico-militari, costituiti da laici che vivevano in povertà e che si impegnavano a non sposarsi. Lo scopo di questi ordini era quello di controllare i territori conquistati in Terrasanta, difendere i pellegrini che si recavano in Palestina, assistere i deboli e gli ammalati. La Chiesa esitò molto prima di concedere lo statuto religioso a questi gruppi, perché sembrava terribile che dei religiosi fossero autorizzati a uccidere anche se in nome di Dio. Alla fine, però, il privilegio fu concesso e così in Spagna, in Portogallo, nel nord-est europeo nacquero ordini monastico-militari, che avevano lo scopo di difendere santuari importanti o combattere popoli che professavano altre religioni per diffondere il cristianesimo. Gli ordini militari più celebri. Fra gli ordini più celebri ci furono i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (oggi detti "di Malta" dalla loro attuale sede), i Templari e l'ordine dei Cavalieri di Santa Maria, detto "ordine teutonico" perché era riservato ai soli cavalieri tedeschi. Questi ordini dipendevano direttamente dalla Santa sede a Roma e non dal re: quindi, dovunque si stabilivano, si comportavano come una signoria indipendente. Essi ricevettero donazioni in denaro e in terre così sostanziose che alcuni cavalieri si occupavano solo di amministrare questi beni e non andavano più a combattere in Terrasanta. Per questa loro ricchezza, che contrastava con i voti di povertà, furono ben presto criticati e suscitarono l'interesse addirittura di alcuni re e pontefici; nel 1312, ad esempio, dopo una serie di processi ordinati dal re di Francia Filippo il Bello, in cui i Templari erano stati accusati di praticare la stregoneria e riti diabolici, il papa sciolse l'ordine: in realtà è probabile che l'intento del re fosse quello di impadronirsi delle notevoli ricchezze accumulate dall'ordine. La balestra e le armi da fuoco: un duro colpo alla cavalleria! Nel XII secolo, durante gli assedi e nelle battaglie, i soldati cominciarono a usare la balestra. Si trattava di un'arma con cui si potevano scagliare delle frecce con grande potenza e precisione. La Chiesa all'inizio ne proibì l'uso, data la sua violenza, ma era un'arma straordinariamente efficace e tutti continuarono a utilizzarla. Un colpo di balestra forava la corazza dei cavalieri, i quali si fecero costruire protezioni più robuste che coprivano tutto il corpo; questo provocò un aumento del peso delle armature: ecco perché, mentre era a cavallo, un cavaliere appariva invincibile nella sua armatura, ma quando cadeva da cavallo era facile bersaglio di chi combatteva a terra. La pesante armatura, infatti, rendeva difficili e lenti i suoi movimenti sul campo di battaglia. Un altro grave colpo alla cavalleria fu dato successivamente dall'invenzione delle armi da fuoco, in grado di perforare ogni corazza. Queste invenzioni, lentamente ma inarrestabilmente, misero in crisi la figura del cavaliere e ne minarono progressivamente la fama d'invincibilità.

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C5. LE CROCIATE

1 Tanti fedeli vanno in pellegrinaggio. Il pellegrinaggio era un rito fondamentale, sia nel cristianesimo sia nell'islamismo. Nell'Occidente europeo, erano molti i cristiani che andavano pellegrini per penitenza presso qualche santuario importante; quello di Santiago de Compostela in Galizia e quello di San Michele sul Gargano erano fra i più noti e frequentati. Il pellegrinaggio più sacro era sicuramente quello in Terrasanta: era chiamato passagium proprio perché, per giungere in Palestina, bisognava oltrepassare il Mediterraneo. Tuttavia, non erano sempre gruppi di pellegrini inermi e umili a mettersi in viaggio. In realtà, erano degli spostamenti di centinaia e di migliaia di persone; molte di esse erano armate e, durante il percorso, alcune si abbandonavano a saccheggi e a rapine. 2 Parte la crociata. Nel 1095, papa Urbano II, al termine di un concilio, durante il quale vennero prese in esame questioni religiose e conflitti fra signori, proclamò che, per fare penitenza, era necessario che quei nobili facessero un grande pellegrinaggio. Si mossero in moltissimi, armati e no, nobili e no. Una parte di loro, soprattutto cavalieri in cerca di un ingaggio o di un beneficio, contadini senza terra e mendicanti, viaggiò via terra. Costoro attraversarono la penisola balcanica ed entrarono nell'Impero bizantino, compiendo rapine e massacri durante il tragitto. 3 L'armata cristiana conquista Gerusalemme. Una seconda parte, invece, che comprendeva i maggiori nobili francesi e normanni, si radunò a Costantinopoli e, attraverso l'Asia Minore, si diresse verso le coste del Vicino Oriente (gli odierni stati di Siria, Libano e Israele). I cristiani assediarono e conquistarono le ricche città musulmane e, in ognuna di esse, insediarono come signore un nobile occidentale. Finalmente, nel 1099, l'armata cristiana conquistò Gerusalemme, compiendo una strage sanguinosissima. Oggi noi chiamiamo quella conquista la prima crociata; a quella seguirono altre spedizioni, altre crociate, tra la fine dell'XI secolo e il XIII secolo. Certamente la conquista di Gerusalemme fu una dimostrazione di fede cristiana; ma fu anche il segnale che l'Europa non era più la meta delle invasioni di popolazioni vicine. Essa era ormai una terra forte e potente, capace di ingrandirsi con la forza delle armi, ma anche con i commerci e le espansioni contadine.

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C6. IL MONDO AL TEMPO DELLE CROCIATE 1 L'Occidente europeo. A partire dall'XI secolo le città dell'Occidente europeo, come abbiamo visto, cominciarono a crescere e a rivaleggiare con quelle dell'Impero bizantino e del grande mondo arabo. Si impadronirono di porti e strade che collegavano l'Oriente e l'Occidente divennero il centro dei commerci. Le loro navi dominavano il Mediterraneo e solcavano anche mari lontani, come l'oceano Atlantico; veneziani e genovesi fondarono ovunque colonie e in questo modo costruirono una specie di impero commerciale. Le terre fredde del Baltico vennero conquistate dai principi e dagli imperatori tedeschi. Anche la potenza militare occidentale riprese a crescere: ne sono testimonianza le crociate, che si diressero non solo verso il Vicino Oriente e la Terrasanta, ma anche verso l'Impero bizantino, la Spagna e l'Europa orientale. 2 Nel mondo arabo avvengono grandi cambiamenti. Grandi cambiamenti, intanto, erano avvenuti nel mondo arabo. L’antico impero arabo, ormai, era suddiviso in regni, chiamati "emirati" (cioè principati, dal termine arabo emir, che significa "principe, comandante"), spesso in lotta fra di loro. Le guerre nascevano sia per motivi di potenza, sia per motivi commerciali, sia ancora per motivi religiosi. Infatti (come nel cristianesimo) anche la religione araba era divisa in diverse correnti, ognuna delle quali giudicava le altre eretiche e tentava di sopprimerle. In.Iran prevalevano gli Sciiti. Questi erano dei musulmani che si ritenevano discendenti diretti di Maometto e sostenevano che, per questo, dovevano guidare il popolo arabo. Gli sciiti si separarono dalle altre regioni arabe e ricostituirono così il territorio dell'antico Impero persiano. Negli emirati del Mediterraneo orientale, invece, gli arabi dovettero cedere il potere ai turchi, una popolazione proveniente dall'Asia centrale che si era convertito all'islam. Grazie al loro valore come guerrieri, i turchi vennero arruolati come guardie di palazzo da molti emiri arabi. I loro comandanti poi divennero sempre più potenti e finirono con il sostituire gli emiri. 3 In Africa fiorisce il commercio, in America i ma ya entrano in crisi. In Africa, nelle vastissime terre che si estendevano a sud del mondo arabo, il commercio dell'oro aveva prodotto molte trasformazioni: sulle strade che portavano dal Mediterraneo al Niger erano fiorite città carovaniere, fra le quali la più importante era Timbuctù. Intanto in America dopo il Mille la grande civiltà dei maya, una popolazione che dominava tutta la fascia centrale del continente, entrò in crisi. Cause di questo periodo difficile furono da una parte le guerre continue fra i piccoli regni maya, e dall'altra i disastri ambientali, che i maya avevano causato con la loro coltivazione intensiva.

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D1. RE E IMPERATORI 1 Federico di Svevia fonda il Sacro romano impero. Nel 1152 i principi tedeschi elessero re Federico I di Svevia, soprannominato "Barbarossa". Tre anni dopo, nel 1155, a Roma, papa Adriano IV lo incoronò imperatore. Il nuovo imperatore era diverso dai suoi predecessori medievali, proprio perché era anche un re. Il suo potere, come quello di tutti i re del suo tempo, era sacro; e, come tutti i re contemporanei, anche Federico I di Svevia cercava di governare effettivamente il suo territorio e non si accontentava di essere un'autorità lontana, supereminente. Anzi, per essere più efficace, il Barbarossa prese a modello gli antichi imperatori romani: stabilì che, in tutto il suo dominio, solo lui aveva il diritto di coniare moneta, dichiarare guerra, riscuotere le tasse e garantire la sicurezza delle vie di comunicazione. Questi diritti, che appartenevano al re e a nessun altro signore, erano chiamati, nel linguaggio medievale, regalìe. Infine, Federico I di Svevia promosse lo studio delle leggi e del diritto romani, perché era convinto che quelle regole antiche avrebbero assicurato il buon funzionamento del suo dominio. Per queste caratteristiche (la sacralità del potere e l'imitazione dell’impero romano) il suo regno venne chiamato Sacro romano impero. 2 L'Italia fa parte dell'Impero. L’impero di Federico Barbarossa includeva anche una parte dell'Italia. La penisola italiana, infatti, era divisa: mentre il Sud era unificato dal grande Regno normanno, Il Centro e il Nord facevano parte del territorio imperiale. In questa zona, però erano sorte signorie e città che aspiravano a governarsi autonomamente; fra le città che non rispettavano l'autorità dell'imperatore c'era Milano, il centro urbano più ricco e popoloso dell'Europa occidentale. Milano pretendeva di sottomettere i signori e le città della Lombardia per costruire un proprio dominio indipendente. 3 Milano e l'Impero lottano fra loro. Per sfuggire all'aggressività di Milano, molte città della valle padana proclamarono la propria fedeltà a Federico I di Svevia; perfino il papa invocò il suo aiuto per proteggere i più deboli dall'arroganza della metropoli lombarda. L’imperatore, incoraggiato da questi consensi, assediò la città ribelle e la mise a ferro e fuoco. Ma questa punizione, così violenta, ottenne un effetto che Federico non si aspettava: molti suoi alleati italiani, spaventati, lo abbandonarono e si unirono a Milano in un'alleanza contro l'imperatore, la Lega lombarda. Nel 1176, a Legnano, si svolse la battaglia decisiva fra la Lega e l'Impero. Federico Barbarossa venne sconfitto e, nella pace di Costanza del 1183, fu costretto a concedere alle città italiane il diritto a esercitare le regalìe. In cambio, le città italiane dovettero dichiararsi vassalle dell'Impero.

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CAMPI DI GRANO, CAMPI DI BATTAGLIA (Tema1) I preparativi per la guerra. Prima di cominciare una guerra, il re e i comandanti dell'esercito si riunivano in assemblea per progettare la spedizione militare. Fare progetti significava prima di tutto pensare quali vantaggi avrebbe portato la conquista di un territorio. I comandanti valutavano anche il bottino, cioè il guadagno che l'esercito avrebbe potuto ricavare dal saccheggio successivo alla vittoria e dai riscatti che si potevano ottenere per la liberazione dei prigionieri nobili. Ma nel momento della pianificazione era necessario valutare anche i rischi e le difficoltà dell'impresa. Una preoccupazione fondamentale era rappresentata dalla ricerca del cibo che serviva per il mantenimento degli animali e dell'esercito. Durante il Medioevo le guerre avvenivano soprattutto in primavera e in estate, poiché, in genere, in quei periodi c'era abbondanza di cibo e condizioni climatiche migliori. Piogge e nevicate erano più rare e gli eserciti potevano muoversi meglio per i campi e attraversare anche alte montagne. Non sempre, però, in estate c'era abbondanza di cibo: la scarsità di piogge e il caldo potevano a volte danneggiare il raccolto e provocare la siccità; per questo gli accampamenti venivano posti nelle vicinanze di terre fertili e ricche di corsi d'acqua. La difesa del raccolto. I contadini avevano il compito di fornire il cibo necessario a tutto l'esercito. Quando, però, una città oppure un castello erano assediati, accadeva che soldati e contadini fossero costretti a lavorare insieme. I contadini si preoccupavano della cura del raccolto, mentre i militari difendevano il lavoro dei contadini, proteggevano il raccolto e, se il pericolo incombeva, aiutavano gli agricoltori per accelerare i tempi di raccolta. La partecipazione dei soldati ai lavori dei campi era, poi, indispensabile quando, durante gli assedi, i nemici catturavano molti contadini per spaventarli e bloccare la loro attività: in quei casi, senza l'aiuto concreto dei militari, la città sarebbe rimasta priva di alimenti. Che fatica combattere d'estate! Quando un re pianificava una guerra doveva considerare attentamente le avversità atmosferiche. Affrontare una guerra oltre le Alpi o i Pirenei poneva problemi legati all'attraversamento delle montagne o alle piogge, frequenti anche in estate. Una guerra in paesi caldi nel Sud dell'Europa, per non parlare di quelli nel Medio Oriente, creava problemi ai soldati e agli animali che mal sopportavano il clima torrido di quelle zone. Oltre alle piogge, infatti, anche l'eccessivo calore delle ore diurne, il vento e la polvere erano fenomeni naturali che ostacolavano il combattimento. Le battaglie cominciavano all'alba. Con il passare delle ore, il sole rovente costringeva gli eserciti a ritirarsi nei loro accampamenti per una pausa pomeridiana. Durante le spedizioni, molti cavalli e uomini morivano a causa del caldo eccessivo. Poteva anche accadere che ci fossero forti venti, che sollevavano terra e sabbia e rendevano le battaglie ancora più faticose. La corazza era il principale mezzo di difesa per un soldato. Ma indossarla durante l'estate era una sofferenza: era infatti pesante e non permetteva il passaggio dell'aria, perché le piastrelle di metallo che la costituivano erano fissate in modo da essere strette l'una accanto all'altra. Il sole, inoltre, le faceva diventare caldissime. A volte, se il caldo era insopportabile, i guerrieri preferivano togliersi l'armatura ed esporsi ai colpi dei nemici piuttosto che soffrire la calura. Un altro fattore che rendeva rischiose le battaglie estive erano gli insetti. Mosche, zanzare, pulci, tafani e ragni velenosi erano portatori di malattie infettive e di fastidiosi malesseri. Si narra che l'esercito di Federico II, durante la presa di Brescia, fu attaccato da sciami di mosche così fitti che a malapena si riusciva a mangiare senza ingoiarle insieme con il cibo. Durante gli assedi le mosche aumentavano a causa dei cadaveri decomposti abbandonati sui campi di battaglia e degli escrementi di uomini e cavalli. Guerre invernali. Le guerre cominciavano a marzo e si concludevano in ottobre o in novembre, quando ritornava il freddo, le giornate divenivano più brevi e il foraggio per gli animali cominciava a scarseggiare. In genere, dunque, d'inverno non si combatteva; però poteva accadere che gli

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scontri estivi si concludessero senza vincitori né vinti. In questo caso i comandanti avversari si davano appuntamento per il marzo seguente, o si mettevano d'accordo per sfidarsi in duello con l'uso delle sole spade. In rare occasioni si decideva di continuare la guerra anche durante !'inverno. Combattere in questa stagione presentava, infatti, difficoltà enormi, e proprio per questo le spedizioni invernali duravano solo poche settimane. Sotto la corazza i militari indossavano sempre degli abiti protettivi. Durante l'estate questi abiti si impregnavano di sudore, mentre d'inverno si bagnavano per la pioggia e per la neve. In tutti i casi i soldati avevano grandi difficoltà di movimento. Anche per i cavalli l'inverno era difficile e spesso alcuni non resistevano e morivano per il freddo. Azioni notturne degli eserciti. La notte era destinata al riposo delle truppe, ma anche, a volte, ad azioni militari. Il buio notturno permetteva di andare a raccogliere informazioni sul nemico, sabotare le armi e i mezzi di difesa, corrompere le sentinelle che vegliavano sugli accampamenti nemici e infine far fuggire i prigionieri. Durante la notte, si marciava uniti e protetti dalle armature e ci si riconosceva mediante parole d'ordine. Bisognava essere accompagnati da guide che sapessero muoversi perfettamente anche al buio. A volte venivano organizzati degli attacchi notturni: l'esercito assaltava di sorpresa gli accampamenti nemici con grida terribili per terrorizzare i soldati e seminare il panico fra di loro. Chi era nell'accampamento aveva !'impressione di essere di fronte a un esercito numeroso e potente. Se l'accampamento era poco sorvegliato e la paura provocava una gran confusione, l'attacco poteva avere successo.

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I NUOVI FERMENTI RELIGIOSI (Tema 2)

LE NUOVE ERESIE

Gli eretici avevano molte idee in comune. Le eresie antiche (IV-VI secolo) erano state promosse da vescovi che avevano idee diverse da quelle della Santa sede su questioni teologiche; le eresie che si svilupparono dopo il Mille, invece, riguardavano questioni morali e si diffusero tra il popolo. Erano moltissime e diverse le une dalle altre, ma avevano anche alcune caratteristiche in comune. Quasi tutti gli eretici criticavano il comportamento del clero. Secondo loro i sacerdoti, i vescovi e i monaci avevano tradito la parola di Cristo, perché erano diventati troppo ricchi, avidi, potenti e prepotenti. Inoltre molti eretici volevano rendere più comprensibile il messaggio evangelico. Infatti le funzioni religiose si svolgevano in latino, ma la gente non capiva più questa lingua; perciò essi chiedevano che la Bibbia e i Vangeli venissero letti e commentati nella lingua abitualmente parlata dal popolo. Un altro punto che accomunava i gruppi eretici era la richiesta di permettere anche ai laici di predicare, mentre, fino ad allora, avendo solo la Chiesa il potere di decidere chi poteva predicare, il permesso di farlo veniva concesso esclusivamente a uomini di Chiesa. Vari gruppi di eretici, infine, sostenevano che il vero cristiano doveva lasciare le sue ricchezze e vivere modestamente del suo lavoro o addirittura in totale povertà, contando solo sulle elemosine. I patari. Il movimento dei patari (che forse vuol dire "stracciaioli" oppure "straccioni") nacque verso la metà dell'XI secolo dalla predicazione di Arialdo, un diacono originario della zona di Varese. Il suo obiettivo era combattere la corruzione e il potere dei ricchi sacerdoti di Milano. I patari criticavano il matrimonio dei preti e la simonìa, cioè l'abitudine di acquistare e vendere le cariche ecclesiastiche. Lo scontro fra il clero milanese e i patari fu violento e durò circa venti anni; poi, dopo la morte dei capi più importanti, il movimento lentamente si estinse. I catari. Un altro movimento che ebbe molti seguaci fu quello dei catari, parola che in greco vuol dire "puri". I catari mostravano la stessa esigenza di rinnovamento morale dei patari, ma in più avevano elaborato una propria teologia, ben diversa dal cristianesimo di Roma. Sostenevano che nel mondo esistono due divinità di uguale forza, il bene e il male, in continua lotta fra loro. Affermavano che ogni individuo ha dentro di sé una parte di bene e una di male e perciò deve continuamente purificarsi. I catari pregavano solo con il Padre Nostro, l'unica preghiera direttamente insegnata da Cristo. Negavano decisamente la superiorità del papa e della Chiesa di Roma, e i suoi sacramenti. Costituirono una Chiesa alternativa rispetto a quella cattolica, con una propria gerarchia ecclesiastica, dei vescovi, un clero e organizzarono persino dei concili. Erano organizzati su due livelli: i credenti e, a un livello più alto, i perfetti. Quando un credente diventava perfetto, doveva donare tutti i suoi beni alla Chiesa catara. I valdesi. Uno dei movimenti che raccolse più fedeli fu quello valdese. Nacque alla fine del XII secolo nel Sud della Francia e si diffuse presto nell'Italia settentrionale. I valdesi furono chiamati così perché seguivano l'esempio e la predicazione di Valdo, un ricco mercante di Lione che aveva scelto la povertà, il lavoro manuale e la predicazione itinerante. Valdo cercò in principio di ottenere l'autorizzazione della Chiesa non solo per la sua scelta di vivere in povertà, ma per poter predicare con semplicità il Vangelo. La sua richiesta fu vana e quando alcune donne valdesi iniziarono ugualmente a predicare, la Chiesa romana insorse: predicare era un'esclusiva degli uomini e dei chierici, mentre i valdesi erano laici. Così i seguaci di Valdo furono considerati eretici e nel 1184 furono scomunicati. Per scampare alle persecuzioni, si nascosero in alcune vallate piemontesi. Un gruppo di loro fuggì nell'Italia meridionale e si stabilì a Guardia Piemontese, in Calabria. Lì vissero in pace fino al XVI secolo, quando vennero sterminati da alcuni signori locali.

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LE RISPOSTE DELLA CHIESA

Le crociate. La Chiesa combatté in maniera implacabile questi movimenti religiosi, sia con leggi e istituzioni speciali, sia inviando spedizioni armate dette "crociate" . Particolarmente crudele fu quella del 1208 bandita da Innocenzo III contro i catari della Linguadoca, nella Francia meridionale. In questa crociata i cavalieri cattolici massacrarono gli abitanti di interi villaggi e città dove si era diffusa l'eresia. Quando non riuscivano a distinguere i cristiani dai catari, nel dubbio, massacravano anche i cristiani e si giustificavano sostenendo che nell'aldilà Dio avrebbe saputo riconoscere le pecorelle del suo gregge e premiarle. L'Inquisizione. Contro le eresie fu creata anche l'Inquisizione (nel Medioevo questa parola significava "inchiesta"). Si trattava di un vero e proprio tribunale che giudicava le persone accusate di essere eretiche e le condannava se erano riconosciute colpevoli. Fino al XIII secolo, ogni diocesi affidava i processi contro gli eretici a tribunali propri. Questo sistema, però, non era efficace: infatti poteva accadere che alcune idee fossero considerate eretiche in una città e ortodosse, cioè corrette, in un'altra. Perciò nel 1231 papa Gregorio IX decise che ci sarebbe stata una sola Inquisizione. Il compito di giudicare gli eretici fu affidato ai nuovi ordini religiosi, i domenicani e i francescani. Gli inquisitori erano molto severi e durante gli interrogatori usavano anche la tortura. Poteva accadere che gli inquisiti, non resistendo al dolore, confessassero di essere eretici anche se non lo erano, o denunciassero degli innocenti, pur di far cessare la sofferenza. A volte, le torture erano così atroci che gli stessi credenti cattolici si ribellavano e scrivevano al papa, denunciando la crudeltà degli inquisitori, come accadde in Germania nel 1230. Le pene variavano a seconda della gravità del reato del quale l'accusato era riconosciuto colpevole. Per i reati meno gravi le punizioni erano il carcere, la confisca dei beni o l'obbligo di portare sui vestiti un segno di riconoscimento: in questo modo gli eretici erano allontanati dai loro concittadini. Per i reati più gravi la pena era il rogo. Le condanne a morte, che venivano eseguite dalle autorità civili, furono moltissime, tanto che alla fine del XIII secolo le eresie erano quasi del tutto scomparse. La risposta intellettuale. Per combattere le eresie la Chiesa usò anche altre strategie. Gli eretici riuscivano ad avere un numero sempre maggiore di seguaci perché offrivano un esempio di vita povera e virtuosa e sapevano farsi ascoltare con un linguaggio semplice e comprensibile da molte persone. Anche la Chiesa, quindi, cercò di favorire quei movimenti che le erano fedeli ma che, al tempo stesso, proponevano ideali di povertà e sapevano comunicare con la gente, soprattutto nelle città, l'ambiente dove si erano sviluppate le eresie. Per questo autorizzò l'istituzione di due nuovi ordini religiosi, chiamati ordini mendicanti: i domenicani e i francescani. I domenicani. L’ordine dei domenicani nacque nel 1216 in seguito alla proposta fatta al papa dal sacerdote spagnolo Domenico di Guzman 0175-1221). Il compito principale affidato a questo ordine fu quello di difendere la fede combattendo le eresie attraverso la predicazione. I domenicani si guadagnarono fama di fedeli alleati del papa e di rigorosi difensori della fede cattolica. La loro solida preparazione teologica e filosofica li rendeva capaci di controbattere efficacemente le tesi degli eretici. Fra i domenicani ci furono molti grandi intellettuali, come Tommaso d'Aquino, e molti insegnarono nelle università. L’ordine domenicano si diffuse in tutta l'Europa, soprattutto nelle città. Domenicani furono i giudici dei processi d'inquisizione, ma a volte il loro comportamento fu così severo che provocò proteste da parte della popolazione. I francescani. La nascita del movimento francescano avviò una nuova fase nella storia della Chiesa. Suo fondatore fu Francesco d'Assisi (1182-1226). Figlio di un ricco mercante, Francesco decise di abbandonare tutti i suoi beni e di vivere secondo il Vangelo, condividendo la sorte dei più poveri, insieme con i suoi primi compagni. I seguaci di Francesco vivevano del loro lavoro o di

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elemosine, ma non potevano possedere assolutamente nulla. Questo stile di vita somigliava a quello di eretici come i valdesi; ma, a differenza di questi, i francescani non contestarono mai l'autorità della Chiesa e i suoi dogmi. Verso il 1210 il papa autorizzò Francesco a predicare, anche se egli non era un sacerdote. Nel giro di pochi anni il numero dei compagni C'frati") di Francesco crebbe rapidamente. Il movimento da lui fondato si dimostrò capace di soddisfare il desiderio di vita evangelica presente in molti giovani, sottraendoli al rischio di essere attratti dagli eretici. La Chiesa perciò trasformò i francescani in un ordine religioso ufficiale, approvando nel 1223 la Regola che ne fissava obblighi e compiti. Francesco morì nel 1226 e dopo appena due anni la Chiesa lo consacrò santo. I francescani ben presto diventarono un ordine importante: molti di loro insegnavano in università famose come quella di Oxford o presiedettero il tribunale dell'Inquisizione. Benedettini e nuovi ordini: che differenza c'era? Gli ordini religiosi creati da Domenico di Guzman e Francesco d'Assisi si differenziavano nettamente da quelli esistiti fino ad allora. I religiosi della tradizione benedettina erano dei monaci e vivevano in comunità che risiedevano in genere in campagna; i loro compiti erano la preghiera e la produzione di libri, e di norma essi non si allontanavano dai monasteri. I domenicani e i francescani, invece, non conducevano vita monastica, cioè separata dal mondo (l'aggettivo "monastico" deriva dal greco monos, che vuol dire "solo", "solitario"). Il loro compito, infatti, era la predicazione pubblica. I loro conventi sorsero perciò nelle città, dove si trovavano ambienti sociali e culturali più vivaci, le proteste dei laici contro il clero erano più frequenti e le dottrine eretiche avevano più successo. Gli ordini mendicanti non potevano possedere proprietà terriere, perciò dovevano sostenersi soprattutto grazie alle elemosine in denaro, che era più facile ottenere nelle città, perché i ricchi ceti borghesi erano inclini alla beneficenza. Alla fine del XIII secolo i conventi dei nuovi ordini domenicano e francescano si contavano già a centinaia. I nuovi ordini monastici sono inseriti nella vita d elle città. Nelle città dove esistevano delle università, l'insegnamento della teologia fu riservato ai francescani e ai domenicani. Nell'Italia comunale i conventi degli ordini mendicanti sorsero proprio nel periodo di più intensa espansione delle città. Le chiese dei francescani e dei domenicani vennero costruite nelle zone in cui si stavano sviluppando nuovi quartieri popolari densamente abitati. Di fronte a queste chiese si aprivano le piazze, vasti spazi creati apposta per accogliere le folle che si radunavano per ascoltare i più famosi predicatori. Questi ultimi spiegavano a migliaia di fedeli i precetti del Vangelo e ammonivano i cittadini servendosi di un linguaggio popolare, ricco d'esempi edificanti e narrazioni avvincenti. Grazie a questa capacità comunicativa erano capaci di impressionare profondamente gli ascoltatori, suscitando paura e commozione, pentimento ed esaltazione.

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LE DONNE E LA FAMIGLIA IN EUROPA FRA XII E XIII SECOLO (Tema 3)

LA VITA DELLE DONNE MEDIEVALI I ruoli delle donne. Dal punto di vista degli uomini, le donne potevano avere tre ruoli: mogli, madri, figlie. In ognuno di questi ruoli esse vivevano in funzione dell'uomo: come figlie erano soggette al padre, come mogli al marito, come madri dovevano curare la crescita dei figli. Esisteva però una quarta possibilità per le donne: diventare monache. Mogli e figlie. Il primo obiettivo di una donna era sposarsi. Secondo la mentalità medievale l'uomo, che era stato creato per primo da Dio, doveva dominare la donna. Le donne, inferiori e deboli, avevano bisogno di una casa che le proteggesse. Quando uscivano di casa per andare al lavatoio, al forno pubblico, in chiesa o alla fontana dovevano seguire sempre gli stessi percorsi controllati e sicuri. La donna di città lavorava in casa. I lavori domestici la impegnavano per tutto il giorno: doveva filare, tessere, cucire e ricamare. La donna di campagna, invece, lavorava nei campi come il marito, con gli stessi suoi diritti e doveri. Le figlie dei nobili erano considerate uno strumento politico per la famiglia. Il matrimonio di una figlia, infatti, serviva a stipulare un'alleanza con una famiglia rivale, a legarsi a dinastie regali o principesche, a fare accordi con i potenti. L’unione era decisa dalle famiglie e spesso gli sposi si conoscevano solo poco prima del matrimonio. La dote. Anche nel Medioevo, come oggi, era costoso iniziare una vita di coppia e gli sposi vi contribuivano in modo diverso: l'uomo portava il suo lavoro e la sua parte di eredità paterna; la donna portava la dote, cioè una certa quantità di denaro, la biancheria, le stoviglie, qualche gioiello. Se la sposa era povera, la dote era composta solo dagli oggetti essenziali. Per costruire la loro dote, le spose di umili origini dovevano lavorare fin dall'adolescenza. Se la futura moglie era ricca, la dote poteva comprendere terre, castelli, opere d'arte. I ricchi, prima di sposarsi, firmavano davanti al notaio un contratto che dichiarava nei minimi particolari la consistenza della dote. Madri. Una volta sposate, le donne dovevano mettere al mondo dei figli. Per i nobili era necessario avere un figlio maschio a cui lasciare in eredità i possedimenti e i titoli del padre. Se la moglie era sterile o non partoriva figli maschi, il marito poteva averli da altre donne: dopo la nascita li faceva diventare figli legittimi; oppure poteva ripudiare la moglie e risposarsi. Nel corso della loro vita, le donne affrontavano molte gravidanze; dei figli che mettevano al mondo, però, molti morivano in tenera età. Le madri ricche non allattavano i loro figli, ma li affidavano alle balie, donne che, per lavoro, accudivano, allattavano e crescevano i figli delle donne ricche. Avevano un figlio della stessa età di quello a loro affidato: per questo i due bambini crescevano insieme. Monache. Le donne che non si sposavano, che rimanevano vedove o che venivano ripudiate dal marito a cui non erano riuscite a dare un figlio, potevano farsi monache. In genere, le ragazze nobili venivano messe in convento' prima del matrimonio, per essere educate come la loro condizione richiedeva. Quelle che erano destinate al matrimonio lasciavano poi il convento per essere date in moglie; le altre, invece, prendevano i voti e diventavano delle religiose. Nel convento la donna aveva una certa libertà, ma anche lì doveva ubbidire a un uomo, il vescovo. Fino al XII secolo la Chiesa non riconosceva alle donne il diritto di parlare o di esprimere le loro opinioni in merito alle questioni teologiche.

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LAVORO E ISTRUZIONE

In casa, in bottega, nei campi. Le donne nobili erano impegnate ad amministrare la casa. La famiglia si preoccupava del loro sostentamento. Era consuetudine che le mogli dei commercianti e dei negozianti aiutassero il marito nel lavoro nella bottega di famiglia. In campagna, le contadine lavoravano come gli uomini negli orti e nei campi; si occupavano anche degli animali da cortile, filavano, tessevano, cucivano e riparavano i vestiti. I mestieri considerati più adatti alle donne erano quelli legati alla casa e alla maternità: lavandaia, balia, serva in una casa ricca. Si trattava di lavori manuali molto pesanti: in casa non c'era l'acqua corrente e bisognava recarsi al lavatoio e alla fontana per raccoglierla e per lavare i panni. I soldi guadagnati con il loro lavoro servivano ad aiutare la famiglia o a costituire la dote. L'istruzione. Per essere brave mogli, madri e figlie non serviva saper leggere e scrivere. Le donne imparavano a fare i mestieri di casa dalle loro madri. Se dovevano svolgere un altro mestiere in campagna o nella bottega del marito, imparavano da lui. Alcune donne, però, erano colte: sapevano leggere, scrivere, disegnare, dipingere, scolpire, erano orafe, copiavano i testi e li miniavano, cioè li ornavano con delle miniature. Le firme di alcune donne su atti notarili ci fanno capire che esse avevano dei possedimenti. Le donne e la medicina. I primi testi di medicina che parlavano di donne erano arabi. Il primo testo cristiano porta la firma di una donna di nome Trotula; fu scritto a Salerno, dove c'era una famosa scuola di medicina. Questi libri affrontavano questioni mediche riguardanti le donne che erano state studiate fin dall'antichità: il parto, l'aborto, le malattie legate alla sessualità femminile. Le donne artiste. Non conosciamo molti nomi di donne artiste del Medioevo. I lavori dell'artista e dell'artigiano erano lavori soprattutto da uomini. Erano poche le donne a cui veniva dato il permesso di andare a bottega presso un maestro, di usare i materiali che comunemente venivano utilizzati solo dagli uomini; in genere, queste donne erano le mogli o le figlie di miniatori, di pittori, di copisti e li aiutavano nel loro lavoro. Ruoli rigidi e immutabili. Nella maggior parte dei casi, le donne medievali riuscivano ad avere un loro ruolo solo all'interno della famiglia come madri, mogli, figlie. Una donna che lavorava fuori casa o si spostava da sola da un luogo all'altro non veniva giudicata bene dalla comunità in cui viveva. Anche rimanere vedova o non poter avere figli erano condizioni che venivano interpretate in modo negativo; le donne che si trovavano in queste situazioni, spesso venivano recluse nei conventi. Ma poteva anche capitare che una donna dominasse il marito ed esercitasse la sua autorità su di lui: questo era un motivo per deridere lo sposo troppo debole. Il rovesciamento dei ruoli nella coppia in alcuni casi veniva punito con il rituale della cavalcata dell'asino: l'uomo doveva attraversare tutto il villaggio seduto al contrario su un asino e tenendone la coda, mentre i suoi compaesani si facevano beffe di lui. In generale si può affermare, quindi, che le donne e gli uomini avevano ruoli molto rigidi e che non era possibile allontanarsene senza essere criticati e spesso emarginati da tutta la comunità.

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D2. IL MONDO TRA IL XII E IL XIII SECOLO 1 Le città italiane e i mongoli di Gengis Khan. A partire dal XIII secolo, alcune città italiane (Genova, Venezia, Firenze e Milano) erano diventate il centro di un sistema economico e commerciale che riguardava quasi tutta l'Europa. Esse producevano beni di lusso, comprati in tutte le fiere europee, e controllavano quasi tutto il commercio strategico: cioè gli scambi con le regioni lontane, l'India, l'Asia meridionale e la Cina. Al principio del XIII secolo, una nuova potenza si affermò nel centro dell'Asia. Erano i mongoli, che sotto la guida di Gengis Khan conquistarono dapprima il Nord della Cina, e poi si lanciarono alla conquista dell'Antico continente avanzando verso occidente e giungendo fino in Polonia. Molti erano terrorizzati dalla loro avanzata, al punto che in Occidente il loro nome - tatari - venne modificato in "tartari", cioè abitanti dell'inferno; ma per i mercanti italiani essi costituirono una fortuna. 2 I nomadi rendono sicura Lavia della seta. A quel tempo l'imperatore era Federico Il. Federico chiese disperatamente aiuto al papa e agli altri regnanti occidentali. Fu aiutato però soltanto dai polacchi: a Liegniz, nel 1242, il suo esercito venne sconfitto dalla cavalleria mongola. In Occidente tutti tremarono, al pensiero di un'imminente invasione. Alla morte del Gran Khan Ogodai, successore di Gengis Khan, l'avanzata delle truppe mongole verso occidente si interruppe improvvisamente: ma ormai, i mongoli avevano costituito un vasto impero, che dominava da occidente a oriente tutto l'antico continente. Questo impero garantiva sicurezza ai mercanti: le vie di terra (la cosiddetta "via della seta"), furono sempre più frequentate, e sul loro percorso si costruirono molte città. Di questa nuova situazione furono soprattutto i genovesi a beneficiare. 3 In Africa si formano regni e imperi. Nell'Africa occidentale si erano formati grandi regni e imperi: i Regni del Ghana e del Benin e l'Impero del Mali, sorto nel XIII secolo. Questi domini, vasti e ben organizzati, commerciavano con il Mediterraneo, scambiando oro e avorio con il sale e con prodotti europei e arabi. Una grande fonte di ricchezza era per loro costituita dal commercio degli schiavi: li catturavano nelle terre dei loro nemici e li vendevano ai mercanti musulmani e cristiani. 4 In America prevalgono gli aztechi e gli inca. In America, le civiltà che si erano formate continuarono a crescere e a svilupparsi, arrivando anche a scatenare terribili guerre, nelle quali ogni regno cercava di imporre il proprio dominio sugli altri. Al termine di queste guerre, si era affermata la potenza degli aztechi, che dominavano l'America centrale dalla loro capitale Tenochtitlan. In America meridionale, gli inca avevano fondato un dominio vastissimo, che dal Perù arrivava fino al Cile. Questi imperi erano governati con una burocrazia molto esperta, che conosceva e usava la scrittura. Anche in altre zone del Nuovo continente, però, i villaggi di agricoltori si riunivano in centri più grandi: per esempio, lungo le rive del fiume Mississippi sorse una società di agricoltori che aveva fondato città di oltre diecimila abitanti e che usava seppellire i propri sovrani sotto enormi tumuli. Con il tempo, però, questi nuclei sociali scomparvero e le terre degli odierni Stati uniti tornarono a essere popolate da tribù prevalentemente dedite alla caccia e alla raccolta.

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E1. POPOLAZIONE E RISORSE: UN EQUILIBRIO PRECARIO

1 Il sistema agricolo medievale. Fra il 1000 e il 1300 la popolazione europea raddoppiò (passando da meno di 40 a più di 80 milioni di abitanti), ma l'agricoltura riuscì ugualmente a produrre il cibo necessario, grazie soprattutto a tre fattori: l'applicazione della rotazione triennale, la messa a coltura di nuove terre e il conseguente aumento del lavoro dei contadini. L’allargamento della superficie coltivata non poteva però avvenire senza incontrare dei limiti. Vi erano, prima di tutto, ambienti e condizioni sfavorevoli all'agricoltura: le paludi, le montagne, il clima troppo freddo delle regioni più settentrionali. Inoltre, quando i contadini allargavano i campi, lo facevano a spese degli altri due elementi che costituivano il sistema agricolo e che andavano, invece, salvaguardati: le foreste e i pascoli naturali. 2 L'importanza delle foreste. Il bosco, attraverso la caccia e la raccolta, forniva una parte notevole delle risorse alimentari ed era il luogo ideale per l'allevamento brado del maiale. Inoltre le foreste erano una riserva di legno. Per quanto, infatti, fosse in continua crescita la produzione di ferro, impiegato per fabbricare armi e armature, l'Europa medievale era una civiltà ancora in gran parte fondata sul legno: lavorandolo, si costruivano case, navi e attrezzi; bruciandolo, poi, si otteneva l'energia necessaria per il riscaldamento e quella impiegata in varie attività domestiche e produttive: la cottura degli alimenti, l'ebollizione dell'acqua salmastra per ricavare il sale, la preparazione della birra, la lavorazione dei metalli. Per salvaguardare i boschi, alla fine del XIII secolo le autorità statali e comunali cominciarono a proibire i disboscamenti. Le città dell'Europa settentrionale iniziarono quindi a importare legname proveniente dalle foreste della regione baltica. 3 Un delicato equilibrio. Quando cresceva lo spazio occupato dagli uomini per l'agricoltura, si è detto, si riducevano i pascoli necessari all'allevamento. Essenziale era quello dei bovini, che venivano utilizzati per trainare gli aratri e il cui concime serviva a ricostituire e accrescere la fertilità dei campi. In confronto alla nostra agricoltura il rendimento della terra era piuttosto basso: per ogni chicco di grano seminato se ne ricavavano al massimo 4 o 5 nelle terre più fertili e meglio coltivate; ma questi rendimenti, già limitati, si riducevano ulteriormente nelle zone in cui la crescita della popolazione provocava un aumento delle aree coltivate e una riduzione dei pascoli e del bestiame e quindi della disponibilità di concime. 4 Un'Europa sovrappopolata. Verso l'anno 1300 l'Europa aveva quasi raggiunto il massimo numero di abitanti che poteva sopravvivere in base alle pratiche agricole dell'epoca e ai limiti posti dall'ambiente. In Europa occidentale vi erano alcune regioni (l'Italia, la Francia e i Paesi Bassi) dove veniva perfino toccata la densità, eccezionale per quei tempi, di 40 abitanti per chilometro quadrato. Esistevano naturalmente ancora vaste zone dominate da stagni e paludi sulle quali sarebbe stato possibile estendere la superficie coltivata; tuttavia la società medievale non possedeva strumenti tecnici in grado di prosciugarle.

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Nelle regioni orientali e baltiche la densità di popolazione era molto più bassa e ampie riserve di terra erano ancora disponibili. Ma, a causa delle difficoltà climatiche, non era facile coltivarle e la diffusione dell'agricoltura avvenne qui molto lentamente. 5 Il rischio delle carestie. L’agricoltura medievale era particolarmente esposta ai rischi del cattivo tempo e poiché, come abbiamo visto, i rendimenti erano già normalmente piuttosto bassi, ogni loro ulteriore diminuzione provocava gravissime carestie. Nella prima metà del Trecento in tutta Europa le condizioni meteorologiche cominciarono a peggiorare: il clima divenne più freddo e umido. Fra il 1314 e il 1315, in un'area che includeva l'Inghilterra, la Francia settentrionale e la Germania, le piogge insistenti e le conseguenti inondazioni rovinarono irrimediabilmente le semine autunnali; perciò i raccolti che seguirono risultarono inferiori di oltre un terzo a quelli che erano considerati i valori normali. Ancora più estesa fu l'area interessata dal successivo periodo di carestie: dal 1339 al 1346, tutta l'Europa fu colpita dalla mancanza di cibo. Tale carestia determinò un numero elevato di morti. Alla carestia seguì un'ulteriore crisi di dimensioni straordinarie provocata dall'arrivo in Occidente di una malattia che da secoli non si era più manifestata in questa parte del mondo: la peste.

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E2. L'EUROPA È TRAVOLTA DALLA PESTE 1 Lo spopolamento dell'Europa. La peste, una malattia infettiva contagiosa, raggiunse nell'estate del 1347 la città di Caffa, in Crimea, sede di una importante base commerciale genovese, probabilmente trasportata da una delle carovane provenienti dall'Asia centrale. Nell'autunno del 1347 la malattia colpì Costantinopoli; poi, nel corso dei tre anni successivi, giunse in Italia e in tutta Europa fino alla Scandinavia e alla Polonia. Almeno un terzo della popolazione europea morì di questa epidemia, e in alcune città perirono addirittura la metà o i due terzi degli abitanti. Dopo il 1350 nuove pestilenze si ripresentarono a intervalli di una decina d'anni e si sovrapposero ai periodi di carestie. Ogni epidemia, infatti, provocava la morte di milioni di contadini, lo spopolamento di interi villaggi, l'abbandono delle coltivazioni e, di conseguenza, la riduzione drastica della produzione agricola. La combinazione di peste e carestie impedì a lungo nuovi aumenti della popolazione, tanto che il XIV secolo appare, visto nel suo insieme, come un periodo di crisi generale. Il risultato di questa crisi fu una duratura riduzione della popolazione: verso il 1400 la popolazione dell'Europa era scesa a 55 milioni e nel 1450 si trovava ancora attorno ai 60 milioni. 2 Il grande terrore. La prima reazione all'epidemia fu il terrore collettivo. Le conoscenze mediche del tempo si rivelarono del tutto inutili di fronte alla nuova malattia; nelle città, luoghi in cui il morbo infuriava con più violenza, si contavano centinaia di morti al giorno, senza che le autorità potessero far molto per impedire la strage. La morte divenne un'esperienza quotidiana e improvvisa: i morti erano così numerosi che non era neppure possibile fornire il conforto dei riti della religione cristiana, e tutto questo aumentò la disperazione della popolazione. [angoscia per la morte, che poteva colpire chiunque all'improvviso, fu ben illustrata in numerosi affreschi e dipinti dell'epoca, nei quali la morte era rappresentata come uno scheletro a cavallo che, impugnando una falce, decimava senza pietà la popolazione. La gente credeva che la peste fosse un segno della prossima fine del mondo e del giudizio finale che Cristo stava per pronunciare su tutta l'umanità. Essa era considerata una terribile punizione divina, della quale bisognava trovare la causa per castigare i colpevoli. Turbe di fanatici presero a girare da una città all'altra, invitando le popolazioni alla penitenza e inscenando impressionanti manifestazioni pubbliche di autoflagellazione, frustando si il petto e la schiena. Di questo clima di panico e dell'ossessiva ricerca dei colpevoli da punire fecero le spese gli ebrei che, accusati di diffondere il morbo, furono assassinati a migliaia. 3 La crisi economica e sociale del XIV secolo. Alle carestie e alle pestilenze si intrecciò una profonda crisi economica. La riduzione della produzione agricola fece aumentare il prezzo del frumento e degli altri cereali. Per acquistare i cereali, necessari per la sopravvivenza, la popolazione era costretta a spendere la quasi totalità dei propri guadagni, e riduceva quindi al minimo le spese per tutti gli altri tipi di consumo. Dopo il 1350 tutte le attività produttive furono trascinate nella crisi generale. I nobili ricavavano dal loro controllo sulla terra e sui contadini i redditi con cui potevano acquistare le merci più lussuose, che venivano procurate dall'attività dei mercanti. Quando, però, i raccolti cominciarono a ridursi, le possibilità di spesa dei nobili diminuirono

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e la crisi finì per coinvolgere perciò anche le grandi correnti del commercio. La crisi oltre che economica divenne anche sociale. I grandi proprietari terrieri, per cercare di conservare il loro alto livello di vita, pretesero dai contadini la consegna di una parte maggiore di raccolto, impoverendo così chi lavorava la terra. I signori feudali, che in passato avevano assicurato la difesa e l'organizzazione del territorio, si limitarono ora a vivere alle spalle dei contadini e divennero sempre più inclini alla violenza, al banditismo e alla guerra; a loro volta i contadini reagirono dando vita a grandi sollevamenti armati contro l'oppressione e lo sfruttamento dei signori. Le carestie, le epidemie, lo sfruttamento dei contadini e le guerre si sommavano e si intrecciavano fra di loro determinando una situazione di continua tensione sociale.

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LA MEDICINA MEDIEVALE (Tema 1)

LA DOTTRINA MEDICA DEGLI UMORI I quattro umori. Nel Medioevo, la dottrina della salute e delle malattie considerata come la più scientifica era quella presentata nel testo Regola salemitana della salute (Regimen sanitatis Salemi). L’opera, uno dei più celebri testi medici di allora, è un compendio del sapere elaborato dalla scuola medica di Salerno, famosa in tutta Europa nell'XI e XII secolo. Le dottrine salernitane derivavano a loro volta da quelle della medicina greca e avevano in particolare accolto e organizzato la cosiddetta "teoria dei quattro umori". Secondo questa teoria, gli umori sono le sostanze umide e fluide che circolano attraverso il corpo umano: il sangue, connesso con il cuore; il flegma (o flemma), la còlera (o collera) e la melancolia. Il flegma sarebbe prodotto dal cervello e si può identificare con la saliva o il muco nasale, mentre còlera e melancolia sono nomi greci che indicano due tipi di bile, prodotti uno dal fegato e l'altro dalla milza. La còlera (dal greco colé, che vuoI dire "bile") è la bile, detta anche "verde"; la melancolia (termine diventato più comune nelle forme storpiate "malinconia" o "melanconia") in greco indica la bile nera (mélan), una sostanza che nella realtà non esiste e che era solo immaginata dalle teorie mediche antiche. I quattro temperamenti. Dalla teoria degli umori deriva immediatamente quella dei "temperamenti", cioè del diverso rapporto fra gli umori esistente in ciascun corpo umano e che determina il carattere e la personalità degli individui. A seconda della prevalenza della quantità dell'uno o dell'altro, avremo quattro diversi tipi umani, accuratamente descritti dai testi salernitani: sanguigno, flemmatico, collerico (o bilioso), malinconico, ciascuno con una propria struttura corporea e un colore esteriore, come si può vedere da questo breve esempio. L’uomo sanguigno è per natura paffuto, faceto, allegro e aperto alle novità. Gli piacciono Venere, Bacca e il cibo. È sempre loquace, ilare e ridente, non si muove facilmente all'ira. L‘uomo flemmatico è di deboli forze, poco adatto allo studio e portato all'ozio, lento nei movimenti e sonnolento, con un colore quasi di neve nel volto. Legate alla teoria dei temperamenti sono rimaste in uso le espressioni: "essere di umor nero", direttamente derivata dal significato di "malincolia", ed "essere di buon umore", caratteristica del tipo sanguigno. Salute e malattia. Quando uno degli umori è presente in eccesso rispetto agli altri, si sviluppano vere e proprie malattie, che si curano ristabilendo lo stato di salute proprio a ogni tipo umano, cioè l'equilibrio e l'armonia fra gli umori stessi. Una particolare attenzione va prestata all'eccesso di sangue, responsabile di svariate malattie: queste si curano estraendo il sangue superfluo con il salasso (o flebotomìa, dal greco "tagliare le vene"), cui il Regimen dedica gran parte dei suoi capitoli. Gli umori, gli elementi e la vita umana. La teoria degli umori aveva ambizioni che andavano oltre la medicina, come si vede dallo schema che proponiamo. Gli umori corrispondono a quelli che, secondo una vecchia tradizione filosofica, erano i "quattro elementi" del mondo (aria, acqua, terra, fuoco), a loro volta risultanti da varie combinazioni delle due fondamentali coppie di opposti caldo-freddo e umido-secco. Inoltre, i quattro temperamenti legati agli umori corrispondevano al passaggio da una stagione all'altra e da una fase all'altra della giornata e della stessa vita umana.

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LA MEDICINA MEDIEVALE E LA PESTE Il parere dei medici di Parigi. Di fronte all'epidemia di peste, le pratiche mediche del tempo si dimostrarono subito di scarsa efficacia. Nel 1350 il collegio dei medici dell'Università di Parigi pronunciò il suo responso sulla natura della malattia, in un testo che cercava di dare una spiegazione al flagello ma suonava anche come una dichiarazione di impotenza: secondo i medici, la peste non si trasmetteva da uomo a uomo, per contagio, ma era una malattia universale, in parte mandata da Dio per punire i peccati umani, in parte risultato di straordinarie condizioni ambientali. La corruzione dell'aria. Collegata a questa opinione era la dottrina astrologica o "aerista". Fino al XVII secolo si pensava che la Terra si trovasse al centro di un universo con dimensioni piuttosto ridotte. Secondo questa teoria, intorno alla Terra ruotavano la Luna, i cinque pianeti (Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno) e il Sole. Nella loro rotazione, i cinque pianeti, tutti di grosse dimensioni e relativamente vicini alla Terra, potevano talora entrare in "congiunzione", trovandosi allineati rispetto allo stesso meridiano. Questo allineamento sviluppava influssi molto pericolosi sulle zone più basse del mondo. La congiunzione all'origine della peste era veramente un fatto straordinario, perché aveva provocato la corruzione dell'aria, facendola divenire calda e umida, così da produrre putrefazione dei corpi. I consigli medici contro la peste. Al ripetersi delle epidemie, durante il XIV e XV secolo, le autorità statali e cittadine cercarono di isolare i luoghi dove infuriava la peste e le persone già infette: in questo modo dimostravano di accettare di fatto la teoria del contagio, che i medici continuarono per secoli a considerare del tutto priva di fondamento. La teoria della corruzione dell'aria, collegata a quella degli umori, suggeriva forme di prevenzione e cura. Il pericolo stava nel caldo-umido, e coloro che possedevano umori più facilmente disposti alla febbre e alla putrefazione erano considerati più esposti degli altri a prendere la peste. Per questo dovevano evitare alimenti (come quelli bollitO che sviluppavano nell'organismo le condizioni favorevoli alla peste e assumere medicinali di natura fredda e asciutta. Il consiglio più utile che i medici avrebbero dovuto dare sarebbe stato, invece, quello di fuggire subito dal luogo infetto, andare il più lontano possibile e non tornare fino a quando non si fosse assolutamente certi che l'epidemia era finita.

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LE CRISI DEL TRECENTO (TEMA 2)

I TRE FLAGELLI DEL SECOLO Carestie, epidemie, guerre. A fame, peste et bello, libera nos, Domine ("Liberaci, o Signore, dalla fame, dalla peste e dalla guerra"): questa preghiera risuonava costantemente nelle chiese medievali. Carestia, pestilenza e guerra erano considerate le peggiori calamità e si pregava, quindi, il Signore di tenerle lontane dalle proprie case. Queste tre sciagure potevano comparire separatamente, ma spesso erano collegate tra loro. Se il cattivo tempo mandava in rovina il raccolto, si era costretti ad affrontare un periodo prolungato di sottoalimentazione e a sopravvivere ricorrendo a cibi di emergenza, che spesso si rivelavano addirittura dannosi. La fame era perciò all'origine di diversi tipi di epidemie, come le malattie intestinali, che conducevano alla morte per disidratazione, o le malattie infettive, favorite dall'indebolimento dell'organismo. Le epidemie potevano a loro volta causare carestie: mentre la popolazione contadina veniva decimata dal morbo, la fuga dei superstiti e il conseguente stato di abbandono delle campagne compromettevano le semine e i raccolti. Anche le guerre causavano estese carestie: i soldati spesso incendiavano i raccolti o provocavano il terrore fra i contadini, che erano costretti a cercare rifugio dove potevano e non riuscivano a seminare o a mietere. Infine, i movimenti di truppe potevano accelerare la diffusione di una pestilenza. Nel corso del Trecento l'Europa fu colpita ripetutamente da grandi sciagure: prima, nel 1315-17 e nel 1339-46 si verificarono gravi carestie; poi, nell'inverno 1347-48, arrivò la peste. Nel 1337, intanto, era scoppiata la più lunga e sanguinosa fra le guerre del Trecento, la guerra dei Cento anni fra Inghilterra e Francia

LE RIVOLTE POPOLARI NELLE CAMPAGNE E NELLE CITTÀ Guerra e situazione economica. La guerra dei Cento anni si svolse in territorio francese e qui le operazioni militari, la peste e la carestia si intrecciarono fra il 1346 e il 1350, e di nuovo in altre fasi del conflitto. Anche in altre regioni dell'Europa le tre massime sciagure si presentarono più volte congiuntamente. Guerre di conquista ed espansione opposero gli stati italiani, mentre guerre dinastiche fra sovrani e principi, che aspiravano a impossessarsi di una corona, si verificarono non solo tra Inghilterra e Francia ma anche in Spagna e in Germania. Fra le carestie e le epidemie esistevano influenze reciproche e le guerre potevano provocare o aggravare le une e le altre; ma le guerre stesse vennero talvolta esasperate dai disordini economici provocati dalle crisi agricole e dalle pestilenze. Crisi economica e nobiltà feudale. La ricchezza della grande e piccola nobiltà feudale dipendeva dallo sfruttamento esercitato sui contadini, che erano obbligati a consegnare ai signori prodotti agricoli e denaro e a svolgere per loro delle corvée, cioè dei lavori, spesso molto pesanti, non retribuiti. Le grandi crisi agricole impoverivano i contadini, che avevano meno prodotti e meno denaro da fornire alla nobiltà: diventava quindi più difficile per la classe nobiliare conservare i propri redditi. Le pestilenze del XIV secolo, inoltre, decimarono la popolazione contadina e moltiplicarono le terre abbandonate o incolte, colpendo in maniera permanente i redditi dei signori. In questa nuova situazione la nobiltà accettava volentieri di seguire un re o un principe nelle imprese belliche, nella speranza di partecipare alla spartizione delle conquiste o di trarre vantaggio dai saccheggi. Di fronte al rischio dell'impoverimento, la nobiltà feudale accrebbe le sue pretese sui contadini sopravvissuti, i quali, contemporaneamente, furono anche assoggettati a maggiori richieste di denaro da parte dei re, in quanto le lunghe e costose guerre di quel periodo avevano portato all'introduzione di nuove imposte. Tutto questo determinò un aggravarsi delle tensioni sociali. La jacquerie. Nel 1356, nel corso della guerra dei Cento anni, il re di Francia venne catturato dagli inglesi, che richiesero per la sua liberazione un enorme riscatto; fu allora subito introdotta una nuova pesante imposta. I contadini, oppressi da fame e miseria, si ribellarono, dando vita alla

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grande rivolta contadina nel 1358, che interessò molte regioni della Francia settentrionale e che fu ricordata con il nome di "jacquerie". Questo nome è derivato dall'espressione Jacques bonhomme (che potremmo rendere con "Quel bonaccione di Giacomo") usata per deridere i contadini: per secoli venne chiamata jacquerie ogni rivolta contadina contro la nobiltà terriera o gli agenti del fisco. Simili rivolte erano condotte in nome di valori elementari di giustizia, spesso richiamando alcune affermazioni del Vangelo sulle sofferenze della povera gente e contro l'egoismo dei ricchi. Si manifestavano con l'incendio di castelli e l'uccisione di nobili e di esattori fiscali particolarmente odiati; erano poco organizzate e perciò destinate a venire represse rapidamente e con grande violenza. Lajacquerie del 1358 durò soltanto tredici giorni e si concluse con una battaglia nella quale le truppe della nobiltà uccisero migliaia di contadini. Tra i testimoni della rivolta vi fu il monaco parigino Jean de Venette che, nella sua Cronaca, pur condannando le violenze dei contadini, riconosce la causa della rivolta nell'oppressione dei signori: In quel tempo i nobili deridevano i contadini e gli umili, chiamando li con il nome di Jacques Bonhomme. (...) È con questo nome che i lavoratori della terra furono poi sempre chiamati in Francia e in Inghilterra. Ma, oh, dolore!, molti di quelli che allora li schernivano, ne furono in seguito vittime. E infatti molti morirono più tardi miserevolmente per mano dei contadini, mentre un gran numero di contadini furono massacrati dai nobili e videro come rappresaglia i loro villaggi dati alle fiamme. (...) I contadini crebbero tanto in forza che li si poteva stimare a più di cinquemila. [...) Quelli che in principio si erano lanciati in questo affare per amore di giustizia e perché i loro signori, invece di difenderli, li opprimevano, si abbandonarono ad atti vili e abominevoli. Altre rivolte contadine si ebbero negli anni successivi in Europa; in particolare nel 1381 ne scoppiarono di violentissime, contemporaneamente, sia in Francia sia in Inghilterra. Le conseguenze delle rivolte contadine. Le rivolte delle campagne ebbero risultati che andarono oltre le sanguinose sconfitte del momento. I contadini, decimati dalla peste, avevano dalla loro parte un elemento di forza: per evitare che si trasferissero da chi offriva migliori condizioni e che le terre restassero incolte, i signori dovettero fare loro alcune concessioni. Le jacquerie, anche se fallite, produssero in Francia e in Inghilterra una prima debole attenuazione dei gravami servili. Le rivolte nelle città. Nello stesso tempo le tensioni andavano crescendo anche nelle città, coinvolte nella generale crisi economica. Molti artigiani e operai delle industrie tessili e delle altre attività manifatturiere restarono senza lavoro. Nei maggiori centri produttivi i lavoratori diedero vita a sollevamenti armati che puntavano a ottenere dai mercanti e dagli imprenditori che controllavano le corporazioni un aumento dei salari, ma anche a impossessarsi del governo cittadino. Simili rivolte si erano verificate già nei primi decenni del secolo, ma fu dopo il 1350 che divennero più frequenti: è quanto accadde a Parigi, a Londra e soprattutto a Firenze nel 1378, e nei grandi centri tessili delle Fiandre l'anno successivo. Tutte le sommosse si conclusero con la sconfitta dei ribelli e con il consolidamento del potere esercitato all'interno delle istituzioni comunali dalle grandi famiglie dei mercanti e dei banchieri.