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IL SORRISO DELLA LIBERTà A cura di: EDOARDO RIALTI Prefazioni: RINO FISICHELLA e LORENZO ORNAGHI IL SORRISO DELLA LIBERTà. Tommaso Moro, la politica e il bene comune

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Il sorrIsodella lIbertà

A c u r a d i : E d o a r d o r i a l t i

P r e f a z i o n i : r i n o F i s i c h E l l a e l o r E n z o o r n a g h i

i l sor r i so d E lla l i b E rtà. Tommaso Moro , l a po l i t i ca e i l bene comune

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© Mondadori Portfolio / Picture DeskA

Tommaso Moro, Hans Holbein II Giovane, Frick Collection, New York

In copertinaA c u r a d i : E d o a r d o r i a l t i

P r e f a z i o n i : r i n o F i s i c h E l l a e l o r E n z o o r n a g h i

sI rINGrazIaNo

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Il sorrIsodella lIbertà

A c u r a d i : E d o a r d o r i a l t i

P r e f a z i o n i : r i n o F i s i c h E l l a e l o r E n z o o r n a g h i

i l sor r i so d E lla l i b E rtà. Tommaso Moro , l a po l i t i ca e i l bene comune

sI rINGrazIaNo

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Testi: Edoardo rialtiricerca iconografica: Carlotta Borghesi, Valentina FrigerioDirezione artistica e progetto grafico: Blossom Communications - blossoming.it

Pubblicato da:a. G. Bellavite s.r.l.

Per conto di: Copyright ©2012 Fondazione Costruiamo Il Futuro

Fotografie: © indicato nelle singole didascalie

stampato in Italia nel ottobre 2012 da:

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“Dubitare di Lui [Dio], mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand’anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi. Senza dubbio allora Egli mi porgerebbe la Sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso. Se poi Egli dovesse permettere che imiti ancora in peggio san Pietro, nel cedere, giurare e spergiurare (me ne scampi e liberi nostro Signore per la sua amorosissima passione, e piuttosto mi faccia perdere, che vincere a prezzo di tanta bassezza), anche in questo caso non cesserei di confidare nella Sua bontà, sicuro che Egli porrebbe su di me il Suo pietosissimo occhio, come fece con san Pietro, e mi aiuterebbe a rialzarmi e confessare nuovamente la verità, che sento nella mia coscienza […]. Ho però ferma fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima e mi concederà di lodare la Sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.”

Tommaso Moro, Lettera dal carcere alla figlia Margaret

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sommarIoPrefazioni Rino Fisichella Lorenzo Ornaghi

Presentazione Maurizio Lupi Discorsi del Beato Giovanni Paolo II Discorso di sua santità Benedetto XVI

Nota del curatoreEdoardo Rialti Quella che sembrava la fine

caPitolo 1. l’amico del mondo

Un commediante nato L’uomo di lettere L’amore e la famiglia Non c’è mai stato ingegno più grande si vede meglio a testa in giù Il più perfetto degli avvocati

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sommarIo

caPitolo 2. l’amico del re

Difensore della fede La grande questione Wolsey, Cromwell e anna Bolena sulla nave in piena tempesta Grande misericordia e poco rigore

caPitolo 3. l’amico di dio

Il dossier Moro Il cerchio si stringe sempre vicini al cielo Ecclesia libera sit servo fedele del re ma prima di Dio Quel che ne seguì La sua eredità nel tempo

Biografia Testi di Tommaso Moro Per saperne di piùLa Fondazione Costruiamo Il Futuro

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

moNs. rINo fIsIchella prefazIoNe

«Fin dall’inizio del mio ministero come successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo». Con queste Parole, Papa Benedetto XVI nella Lettera apostolica Porta fidei, indica il motivo fondamentale per cui ha deciso di indire uno speciale Anno della fede. si tratta di prendere coscienza della situazione di crisi nella quale l’umanità si trova. Una crisi generale, che coinvolge anche la Chiesa, manifestandosi, soprattutto in occidente, come crisi di fede. Quello che era un presupposto ovvio in passato, per il nostro contemporaneo non lo è più. Il secolarismo, obbedendo ad un ideale di autonomia individuale che si sente minacciata da qualsiasi riferimento ad una verità rivelata, ha assunto come proprio programma il «vivere come se Dio non esistesse». Così ha condotto l’uomo ad una situazione di confusione e disorientamento, lo ha ridotto all’isolamento in balia di forze di cui non conosce neppure il volto. Il progetto di una vita senza fede si tramuta inevitabilmente in una crisi

che rende impossibile all’uomo scoprire la propria identità, il senso per la propria vita.

anche l’impegno per il conseguimento del bene comune segna il passo in una situazione di generale disorientamento e confusione. E ciò è comprensibile in quanto vivere di indifferenza, agnosticismo e ateismo non aiuta a realizzare un progetto comune, perché impedisce di approdare ad un senso pieno nella ricerca della verità. Pensare che si possa costruire una società realmente attenta al bene dell’uomo e di tutti gli uomini, capace di superare la frammentarietà e l’individualismo, prescindendo dal contributo del cristianesimo vorrebbe dire gettare le basi per il fallimento di un progetto per il futuro. rinunciare a riconoscere le radici che sostengono l’occidente e l’identità cristiana che ancora lo plasma, vuol dire determinare il fallimento di qualunque progetto per il futuro.L’Anno della fede intende essere innanzitutto un sostegno offerto ai credenti in Cristo, a quanti, cioè, continuano a professare con convinzione la fede

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moNs. rINo fIsIchella prefazIoNe

e ad offrire la loro preziosa testimonianza, talvolta fino al martirio. «Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno» (Porta fidei 9).sono convinto che la mostra Il sorriso della libertà. Tommaso Moro, la politica ed il bene comune possa offrire una bella opportunità, nel contesto dell’Anno della fede, per riscoprire la singolare testimonianza di un uomo che ha saputo vivere la propria fede nel servizio disinteressato al bene comune fino al dono della vita, preferendo

obbedire a Dio prima che ai governanti. Questa testimonianza consentirà di prendere sempre più coscienza che il contributo della fede cristiana nella definizione di un progetto che consenta di uscire dalla situazione di crisi è fondamentale proprio nella misura in cui favorirà la riscoperta delle radici e dell’anima dell’identità occidentale, passaggio obbligato per poter creare desiderio di appartenenza, superamento dell’individualismo e del particolarismo, condivisione. In questa prospettiva si coglie l’urgenza dell’invito che il Papa rivolge ai fedeli perché considerino l’importanza della testimonianza cristiana nella vita politica, che già Paolo VI aveva definito come la «forma più alta di carità».auspico che la mostra possa essere conosciuta ed apprezzata da molti, a partire da quanti già sono coinvolti in diversa misura nell’impegno politico.

† Rino FisichellaPresidente del Pontificio Consiglio

per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

loreNzo orNaGhI prefazIoNe

a Thomas More – santo e martire inglese, che il Beato Giovanni Paolo II ha voluto proclamare patrono dei governanti e dei politici nell’anno giubilare del 2000 – la Fondazione Costruiamo il Futuro dedica una mostra importante e suggestiva, all’avvio dell’anno della Fede indetto dal santo Padre Benedetto XVI. E alla mostra, bella, ha dato un titolo altrettanto bello: Il sorriso della libertà.al cuore e alla mente di ciascuno di noi, il titolo subito richiama le molte ragioni per cui si sorride: dalla gioiosa spensieratezza del bambino che formula i suoi «perché?» sulla realtà di cui incomincia ad avere esperienza, alla speranza fiduciosa del giovane che intende attivamente

partecipare all’edificazione di una società migliore, sino alla rasserenante saggezza di chi, giunto quasi al termine della propria avventura umana, ogni giorno ringrazia il signore che senza sosta gli allieta la ‘giovinezza’. sono tutti sorrisi che nascono dalla libertà. E che cercano la libertà, indispensabile affinché la creatività e la responsabilità di ogni persona si possano esprimere con pienezza ed efficacia.affinché questo sorriso possa continuare a risplendere sul volto di ogni cittadino, la politica non può degenerare in un’attività di second’ordine. Né deve essere percepita o intesa come inevitabilmente tale da chi appartiene alla polis

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loreNzo orNaGhI prefazIoNe

e, vivendo con fierezza questa appartenenza, è consapevole che il primo compito della politica consiste proprio nel perseguimento di ciò che è autenticamente bene per la comunità. Non vi è politica degna di questo nome, allorché il bene comune risuona come un’espressione retorica o, peggio, come un infingimento sin troppo facile da smascherare. È la grande lezione di Thomas More, oggi attuale e vitale ancor più di quanto non lo sia stata nei secoli passati. In essa riecheggia, potente, l’ammonizione di sant’agostino: non diversamente da quando la giustizia sembri negata o dimenticata da chi governa, anche l’assenza del bene comune inesorabilmente trasforma la politica e gran parte

del ceto politico in magnum latrocinium. La liturgia inglese riserva a Thomas More una significativa preghiera: «Lord, strengthen us by example of your martyr Thomas, so that we may always follow conscience, and be king’s good servant, but God’s first, through Jesus Christ our Lord. Amen». Che tali parole – rafforzate e bene esemplificate dalla mostra Il sorriso della libertà – possano davvero essere di guida per tutti noi, nell’agire quotidiano così come nell’impegno politico.

Lorenzo OrnaghiMinistro per i Beni e le Attività Culturali

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

maurIzIo lupI preseNtazIoNe

Tommaso Moro non è stato un politico, è stato uno statista. Uno dei pochi uomini cui si possa con piena cognizione attribuire questo titolo. Non lo dico io, l’ha definito così Giovanni Polo II nel giorno della sua proclamazione a patrono dei governanti e dei politici, il 31 ottobre del 2000. anzi, Papa Wojtyla parlò di “grande statista”. sessantacinque anni prima, il 19 maggio 1935 a quattro secoli dalla sua morte, il Cancelliere di Enrico VIII, il re che gli fu amico e che lo fece decapitare, era stato canonizzato dalla Chiesa cattolica.Politico e santo. L’accostamento di questi due nomi fa rabbrividire, non solo per l’apparente inconciliabilità tra loro di cui noi politici diamo spesso testimonianza, ma soprattutto per l’altezza dell’ideale cui anche un “mestiere sporco” come il nostro deve tendere. D’altronde, come ricordava Francesco Cossiga - che quanto alla propria moralità diceva di aver “trasgredito quasi l’intero Decalogo” - rispondendo a chi gli chiedeva se Tommaso Moro non fosse una figura un po’ troppo

elevata da proporre al mondo politico di oggi in cui i riferimenti a principi ideali scarseggiano, e la coerenza sembra merce davvero rara: “La Grazia serve essenzialmente ai peccatori. E di protettori ne hanno bisogno soprattutto i deboli”.Politico e santo. Per questo una mostra che abbiamo voluto pronta in concomitanza con l’anno della fede proclamato da Benedetto XVI. Perché la fede c’entra con la politica, non in modo prescrittivo ma certamente come giudizio ideale. Perché la democrazia senza riferimento a un valore che non sia solo quello derivato dal consenso popolare (o del re) mostra tutta la sua fragilità e il suo rischio di violenza. Perché un uomo di fede come Tommaso Moro ha saputo essere testimone dell’irrinunciabilità della libertà di coscienza e insieme della responsabilità di un uomo di stato. Le sue dimissioni e il silenzio di fronte a scelte che non condivideva documentano il suo amore al bene comune e alla pace sociale, che sono le condizioni per uno sviluppo ordinato e costruttivo della vita di un popolo.

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Il potere, che quando rinuncia al suo fondamento morale diventa pre-potere, non gli permise neanche il diritto al silenzio. a socrate fu impedito di parlare, a Tommaso Moro fu impedito di tacere. Il suo silenzio gli fu imputato come tradimento.La vicenda di Tommaso Moro ci mette in guardia da questa prepotenza, che tende a non arrestarsi di fronte a nulla, neanche a usare della religione: è tremendamente significativo che Enrico VIII abbia convinto i vescovi inglesi ad accettarlo come capo della Chiesa “comprando” il loro assenso condonandogli la restituzione delle ricchezze accumulate grazie alla corruzione.Chiamato dai suoi contemporanei “uomo per tutte le stagioni”, Tommaso Moro è invece un uomo per tutte le generazioni, perché ricorda a chi ha responsabilità politica, e a chi gliela concede, la domanda fondamentale sulla legittimità del potere. Fin dove può spingersi il potere per conservarsi? o, come ha detto Benedetto XVI: “Quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini e fin dove possono estendersi?”.

Ci sono due ultimi motivi apparentemente meno decisivi per la scelta di allestire questa mostra ma non secondari né nella vita di Tommaso Moro né nell’atteggiamento che dovremmo avere noi politici. Il primo, la preoccupazione per la giustizia: nei suoi anni da giudice presso la Corte delle richieste Tommaso Moro accelerò e sburocratizzò la macchina giudiziaria, smaltendo, con sorpresa di tutti, i numerosi processi pendenti accumulatisi nel tempo (succedeva già allora). secondo, guardava alla vita, a sé e ai suoi progetti politici con grande senso dell’umorismo che gli permetteva di considerare con distacco e fin con ironia i tentativi che metteva in essere. Un sorriso che non lo ha abbandonato neppure sul patibolo: “Per favore aiutatemi a salire – disse al boia con l’ascia in mano – poi per scendere non disturberò nessuno”. augurandoci la stessa profondità e la stessa leggerezza, buona mostra.

Maurizio LupiPresidente della Fondazione Costruiamo il Futuro

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

lettera apostolIca IN forma dI motu proprIo per la proclamazIoNe dI saN tommaso moro patroNo deI GoVerNaNtI e deI polItIcI

31 ottobre 2000

GIoVaNNI paolo II

Dalla vita e dal martirio di san Tommaso Moro scaturisce un messaggio che attraversa i secoli e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità inalienabile della coscienza, nella quale, come ricorda il Concilio Vaticano II, risiede “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nella sua intimità” (Gaudium et spes, 16). Quando l’uomo e la donna ascoltano il richiamo della verità, allora la coscienza orienta con sicurezza i loro atti verso il bene. Proprio per la testimonianza, resa fino all’effusione del sangue, del primato della verità sul potere, san Tommaso Moro è venerato quale esempio imperituro di coerenza morale. E anche al di fuori della Chiesa, specie fra coloro che sono chiamati a guidare le sorti dei popoli, la sua figura viene riconosciuta quale fonte di ispirazione per una politica che si ponga come fine supremo il servizio alla persona umana.

Di recente, alcuni Capi di stato e di Governo, numerosi esponenti politici, alcune Conferenze Episcopali e singoli Vescovi mi hanno rivolto petizioni a favore della proclamazione di san Tommaso Moro quale Patrono dei Governanti e dei Politici. Tra i firmatari dell’istanza vi sono personalità

di varia provenienza politica, culturale e religiosa, a testimonianza del vivo e diffuso interesse per il pensiero ed il comportamento di questo insigne Uomo di governo.

Tommaso Moro visse una straordinaria carriera politica nel suo Paese. Nato a Londra nel 1478 da rispettabile famiglia, fu posto, sin da giovane al servizio dell’arcivescovo di Canterbury Giovanni Morton, Cancelliere del regno. Proseguì poi gli studi in legge ad oxford e a Londra, allargando i suoi interessi ad ampi settori della cultura, della teologia e della letteratura classica. Imparò a fondo il greco ed entrò in rapporto di scambio e di amicizia con importanti protagonisti della cultura rinascimentale, tra cui Erasmo Desiderio da rotterdam.

La sua sensibilità religiosa lo portò alla ricerca della virtù attraverso un’assidua pratica ascetica: coltivò rapporti di amicizia con i frati minori osservanti del convento di Greenwich e alloggiò per un certo tempo presso la certosa di Londra, due dei principali centri di fervore religioso nel regno. sentendosi chiamato al matrimonio, alla vita familiare e all’impegno laicale, egli sposò nel 1505 Giovanna Colt dalla quale ebbe quattro

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figli. Giovanna morì nel 1511 e Tommaso sposò in seconde nozze alicia Middleton, una vedova con figlia. Fu per tutta la sua vita marito e padre affezionato e fedele, intimamente impegnato nell’educazione religiosa, morale e intellettuale dei figli. La sua casa accoglieva generi, nuore e nipoti, e rimaneva aperta per molti giovani amici alla ricerca della verità o della propria vocazione. La vita di famiglia lasciava, per altro, ampio spazio alla preghiera comune e alla lectio divina, come pure a sane forme di ricreazione domestica. Tommaso partecipava alla Messa quotidianamente nella chiesa parrocchiale, ma le austere penitenze che adottava erano conosciute solo dai suoi familiari più intimi.

Nel 1504, sotto il re Enrico VII, venne eletto per la prima volta al parlamento. Enrico VIII gli rinnovò il mandato nel 1510, e lo costituì pure rappresentante della Corona nella capitale, aprendogli una carriera di spicco nell’amministrazione pubblica. Nel decennio successivo, il re lo inviò a varie riprese in missioni diplomatiche e commerciali nelle Fiandre e nel territorio dell’odierna Francia. Fatto membro del Consiglio della Corona, giudice presidente di un tribunale importante, vice-tesoriere e cavaliere, divenne nel 1523 portavoce, cioè presidente, della Camera dei Comuni.

Universalmente stimato per l’indefettibile integrità morale, l’acutezza dell’ingegno, il carattere aperto e scherzoso, la straordinaria erudizione, nel 1529, in un momento di crisi politica ed economica del Paese, fu nominato dal re Cancelliere del regno. Primo laico a ricoprire questa carica, Tommaso affrontò un periodo estremamente difficile, sforzandosi di servire il re e il Paese. Fedele ai suoi principi si impegnò a promuovere la giustizia e ad arginare l’influsso deleterio di chi perseguiva i propri interessi a spese dei deboli. Nel 1532,

non volendo dare il proprio appoggio al disegno di Enrico VIII che voleva assumere il controllo sulla Chiesa in Inghilterra, rassegnò le dimissioni. si ritirò dalla vita pubblica, accettando di soffrire con la sua famiglia la povertà e l’abbandono di molti che, nella prova, si rivelarono falsi amici.

Costatata la sua irremovibile fermezza nel rifiutare ogni compromesso con la propria coscienza, il re, nel 1534, lo fece imprigionare nella Torre di Londra, ove fu sottoposto a varie forme di pressione psicologica. Tommaso Moro non si lasciò piegare e rifiutò di prestare il giuramento che gli si chiedeva, perché avrebbe comportato l’accettazione di un assetto politico ed ecclesiastico che preparava il terreno ad un dispotismo senza controllo. Nel corso del processo intentatogli pronunciò un’appassionata apologia delle proprie convinzioni circa l’indissolubilità del matrimonio, il rispetto del patrimonio giuridico ispirato ai valori cristiani, la libertà della Chiesa di fronte allo stato. Condannato dal Tribunale, venne decapitato.

Col passare dei secoli si attenuò la discriminazione nei confronti della Chiesa. Nel 1850 fu ricostituita in Inghilterra la gerarchia cattolica. Fu così possibile avviare le cause di canonizzazione di numerosi martiri. Tommaso Moro insieme a 53 altri martiri, tra i quali il Vescovo Giovanni Fisher, fu beatificato dal Papa Leone XIII nel 1886. Insieme allo stesso Vescovo fu poi canonizzato da Pio XI nel 1935, nella ricorrenza del quarto centenario del martirio.

Molte sono le ragioni a favore della proclamazione di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti e dei Politici. Tra queste, il bisogno che il mondo politico e amministrativo avverte di modelli credibili, che mostrino la via della verità in un momento storico in cui si moltiplicano ardue sfide e gravi responsabilità. oggi, infatti, fenomeni economici

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fortemente innovativi stanno modificando le strutture sociali; d’altra parte, le conquiste scientifiche nel settore delle biotecnologie acuiscono l’esigenza di difendere la vita umana in tutte le sue espressioni, mentre le promesse di una nuova società, proposte con successo ad un’opinione pubblica frastornata, richiedono con urgenza scelte politiche chiare a favore della famiglia, dei giovani, degli anziani e degli emarginati.

In questo contesto, giova riandare all’esempio di san Tommaso Moro, il quale si distinse per la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime proprio perché, in esse, intendeva servire non il potere, ma l’ideale supremo della giustizia. La sua vita ci insegna che il governo è anzitutto esercizio di virtù. Forte di tale rigoroso impianto morale, lo statista inglese pose la propria attività pubblica al servizio della persona, specialmente se debole o povera; gestì le controversie sociali con squisito senso d’equità; tutelò la famiglia e la difese con strenuo impegno; promosse l’educazione integrale della gioventù. Il profondo distacco dagli onori e dalle ricchezze, l’umiltà serena e gioviale, l’equilibrata conoscenza della natura umana e della vanità del successo, la sicurezza di giudizio radicata nella fede, gli dettero quella fiduciosa fortezza interiore che lo sostenne nelle avversità e di fronte alla morte. La sua santità rifulse nel martirio, ma fu preparata da un’intera vita di lavoro nella dedizione a Dio e al prossimo.

accennando a simili esempi di perfetta armonia fra fede e opere, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici ho scritto che “l’unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, devono santificarsi nell’ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita

quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini” (n. 17).

Quest’armonia fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l’elemento che più di ogni altro definisce la personalità del grande statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà semplice, contrassegnata dal celebre “buon umore”, anche nell’imminenza della morte.

Questo il traguardo a cui lo portò la sua passione per la verità. L’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale: ecco la luce che ne illuminò la coscienza. Come ho già avuto occasione di dire, “l’uomo è creatura di Dio, e per questo i diritti dell’uomo hanno in Dio la loro origine, riposano nel disegno della creazione e rientrano nel piano della redenzione. si potrebbe quasi dire, con espressione audace, che i diritti dell’uomo sono anche i diritti di Dio” (Discorso, 7.4.1998).

E fu proprio nella difesa dei diritti della coscienza che l’esempio di Tommaso Moro brillò di luce intensa. si può dire che egli visse in modo singolare il valore di una coscienza morale che è “testimonianza di Dio stesso, la cui voce e il cui giudizio penetrano l’intimo dell’uomo fino alle radici della sua anima” (Lett. enc. Veritatis splendor, 58), anche se, per quanto concerne l’azione contro gli eretici, subì i limiti della cultura del suo tempo.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, nota come nel mondo contemporaneo stia crescendo “la coscienza della esimia dignità che compete alla persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili” (n. 26). La vicenda di san Tommaso Moro illustra con chiarezza una verità fondamentale dell’etica politica. Infatti la difesa

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della libertà della Chiesa da indebite ingerenze dello stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere politico. In ciò sta il principio basilare di ogni ordine civile conforme alla natura dell’uomo.

Confido, pertanto, che l’elevazione dell’esimia figura di san Tommaso Moro a Patrono dei Governanti e dei Politici giovi al bene della società. È questa, peraltro, un’iniziativa in piena sintonia con lo spirito del Grande Giubileo, che ci immette nel terzo millennio cristiano.

Pertanto, dopo matura considerazione, accogliendo volentieri le richieste rivoltemi, costituisco e dichiaro celeste Patrono dei Governanti e dei Politici san Tommaso Moro, concedendo che gli vengano tributati tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono, secondo il diritto, ai Patroni di categorie di persone.

sia benedetto e glorificato Gesù Cristo, redentore dell’uomo, ieri, oggi e sempre.

Dato a Roma, presso san Pietro, il giorno 31 ottobre dell’anno 2000, ventitreesimo di Pontificato.

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

GIubIleo deI GoVerNaNtI e deI parlameNtarI omelIa del saNto padre 5 Novembre 2000

GIoVaNNI paolo II

“Ascolta, Israele!” (Dt 6,3.4). La parola di Dio, in forma solenne e nello stesso tempo amorevole, ci ha rivolto poc’anzi l’invito ad «ascoltare». ad ascoltare «oggi», «ora»; e a farlo non singolarmente o privatamente, ma insieme: “ascolta, Israele!”.

Questo appello giunge stamani in modo particolare a voi, Governanti, Parlamentari, Politici, amministratori, convenuti a roma per celebrare il vostro Giubileo. Tutti saluto cordialmente, con uno speciale pensiero per i Capi di stato presenti tra noi.

Nella celebrazione liturgica si attualizza, qui ed ora, l’evento dell’alleanza con Dio. Quale risposta Dio s’attende da noi? L’indicazione or ora ricevuta nella proclamazione del testo biblico è perentoria: occorre innanzitutto mettersi in ascolto. Non un ascolto passivo e disimpegnato. Gli Israeliti compresero bene che Dio attendeva da loro una risposta attiva e responsabile. Per questo promisero a Mosé: “Ci riferirai tutto ciò che ti avrà detto il signore nostro Dio e noi lo ascolteremo e lo faremo” (Dt 5,27).

Nell’assumere questo impegno, essi sapevano di aver a che fare con un Dio di cui potevano fidarsi. Dio amava il suo popolo e ne voleva la felicità. In cambio, Egli chiedeva l’amore. Nello “Shema Israel”,

che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, accanto alla richiesta della fede nell’unico Dio, è espresso il comando fondamentale, quello dell’amore per Lui: “Tu amerai il signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5).

Il rapporto dell’uomo con Dio non è un rapporto di paura, di schiavitù o di oppressione; al contrario, è un rapporto di sereno affidamento, che scaturisce da una libera scelta motivata dall’amore. L’amore che Dio attende dal suo popolo è la risposta a quello fedele e premuroso che Egli per primo gli ha manifestato attraverso le varie tappe della storia della salvezza.

Proprio per questo i Comandamenti, prima che come un codice legale e un regolamento giuridico, sono stati compresi dal popolo eletto come un evento di grazia, come un segno della propria appartenenza privilegiata al signore. È significativo che Israele non parli mai della Legge come di un fardello, di un’imposizione, ma come di un dono e di un favore: “Beati noi, o Israele, - esclama il profeta - perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato” (Bar 4,4).

Il popolo sa che il Decalogo è un impegno vincolante, ma sa anche che è la condizione per la vita: Ecco, dice il signore, io pongo dinanzi a te la

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vita e la morte, cioè il bene e il male; ti comando di osservare i miei comandi, perché tu abbia la vita (cfr Dt 30,15). Con la sua Legge Dio non intende coartare la volontà dell’uomo, bensì liberarlo da tutto ciò che può comprometterne l’autentica dignità e la piena realizzazione.

Mi sono soffermato, illustri Governanti, Parlamentari e Politici, a riflettere sul senso e sul valore della Legge divina, perché questo è un argomento che vi tocca da vicino. Non è forse, la vostra quotidiana fatica, quella di elaborare leggi giuste e di farle accettare ed applicare? Nel fare ciò voi siete convinti di rendere un importante servizio all’uomo, alla società, alla stessa libertà. E a buon diritto. La legge umana infatti, se giusta, non è mai contro, ma a servizio della libertà. Questo aveva intuito già il saggio pagano, che sentenziava: “Legum servi sumus, ut liberi esse possimus” - “siamo servi delle leggi, per poter essere liberi” (Cic., De legibus, II,13).

La libertà a cui fa riferimento Cicerone, tuttavia, si situa principalmente a livello dei rapporti esterni tra cittadini. Come tale, essa rischia di ridursi ad un congruo bilanciamento dei rispettivi interessi, e magari dei contrapposti egoismi. La libertà a cui fa appello la parola di Dio, invece, affonda le proprie radici nel cuore dell’uomo, un cuore che Dio può liberare dall’egoismo, rendendolo capace di aprirsi all’amore disinteressato.

Non a caso, nella pagina evangelica poc’anzi ascoltata, allo scriba che gli chiede quale sia il primo di tutti i comandamenti, Gesù risponde citando lo “Shema”: “amerai il signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza” (Mc 12,30). L’accento è posto sul «tutto»: l’amore di Dio non può che essere “totalitario”. Ma solo Dio è in grado di purificare

il cuore umano dall’egoismo e di «liberarlo» alla piena capacità di amare.

Un uomo dal cuore così «bonificato» può aprirsi al fratello e farsi carico di lui con la stessa premura con cui si preoccupa di se stesso. Per questo Gesù aggiunge: “Il secondo (comandamento) è questo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31). Chi ama Dio con tutto il cuore e lo riconosce come «unico Dio», e perciò come Padre di tutti, non può guardare a quanti incontra sul suo cammino che come ad altrettanti fratelli.

Amare il prossimo come se stessi. Questa parola trova sicuramente eco nei vostri animi, cari Governanti, Parlamentari, Politici e amministratori. Essa pone oggi a ciascuno di voi, in occasione del vostro Giubileo, una questione centrale: in che modo, nel vostro delicato e impegnativo servizio allo stato e ai cittadini, potete dare adempimento a questo comandamento? La risposta è chiara: vivendo l’impegno politico come un servizio. Prospettiva luminosa quanto esigente! Essa non può, infatti, ridursi a una riaffermazione generica di principi o alla dichiarazione di buone intenzioni. Il servizio politico passa attraverso un preciso e quotidiano impegno, che esige una grande competenza nello svolgimento del proprio dovere e una moralità a tutta prova nella gestione disinteressata e trasparente del potere.

D’altra parte, la coerenza personale del politico ha bisogno di esprimersi anche in una corretta concezione della vita sociale e politica che egli è chiamato a servire. sotto questo profilo, un politico cristiano non può non fare costante riferimento a quei principi che la dottrina sociale della Chiesa ha sviluppato nel corso del tempo. Essi, com’è noto, non costituiscono un’”ideologia” e nemmeno un “programma politico”, ma offrono le linee fondamentali per una comprensione dell’uomo e della società

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alla luce della legge etica universale presente nel cuore di ogni uomo e approfondita dalla rivelazione evangelica (cfr Sollicitudo rei socialis, 41). Tocca a voi, carissimi Fratelli e sorelle impegnati in politica, farvene interpreti convinti e operosi.

Certo, nell’applicazione di questi principi alla complessa realtà politica, sarà spesso inevitabile incontrarsi con ambiti, problemi e circostanze che possono dare legittimamente adito a diverse valutazioni concrete. al tempo stesso, però, non può giustificarsi un pragmatismo che, anche rispetto ai valori essenziali e fondanti della vita sociale, riduca la politica a pura mediazione degli interessi o, ancor peggio, a una questione di demagogia o di calcoli elettorali. se il diritto non può e non deve coprire l’intero ambito della legge morale, va anche ricordato che esso non può andare “contro” la legge morale.

Ciò assume particolare rilevanza in questa fase di intense trasformazioni, che vede emergere una nuova dimensione della politica. Il declino delle ideologie s’accompagna ad una crisi delle formazioni partitiche, che spinge ad intendere in modo nuovo la rappresentanza politica e il ruolo delle istituzioni. occorre riscoprire il senso della partecipazione, coinvolgendo maggiormente i cittadini nella ricerca delle vie opportune per avanzare verso una realizzazione sempre più soddisfacente del bene comune.

In tale impegno il cristiano si guarderà dal cedere alla tentazione della contrapposizione violenta, fonte spesso di grandi sofferenze per la comunità. Il dialogo resta lo strumento insostituibile per ogni confronto costruttivo, sia all’interno degli stati che nei rapporti internazionali. E chi potrebbe assumere questa «fatica» del dialogo meglio del politico

cristiano, che ogni giorno deve confrontarsi con quello che Cristo ha qualificato come «il primo» dei comandamenti, il comandamento cioè dell’amore?

Illustri Governanti, Parlamentari, Politici, amministratori, numerosi ed esigenti sono i compiti che attendono, all’inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio, i responsabili della vita pubblica. È proprio pensando a questo che, nel contesto del Grande Giubileo, ho voluto, come sapete, offrirvi il sostegno di uno speciale Patrono: il santo martire Tommaso Moro.

La sua figura è veramente esemplare per chiunque sia chiamato a servire l’uomo e la società nell’ambito civile e politico. L’eloquente testimonianza da lui resa è quanto mai attuale in un momento storico che presenta sfide cruciali per la coscienza di chi ha responsabilità dirette nella gestione della cosa pubblica. Come statista, egli si pose sempre al servizio della persona, specialmente se debole e povera; gli onori e le ricchezze non ebbero presa su di lui, guidato com’era da uno spiccato senso dell’equità. soprattutto, egli non scese mai a compromessi con la propria coscienza, giungendo fino al sacrificio supremo pur di non disattenderne la voce. Invocatelo, seguitelo, imitatelo! La sua intercessione non mancherà di ottenervi, anche nelle situazioni più ardue, fortezza, buon umore, pazienza e perseveranza.

È l’auspicio che vogliamo corroborare con la forza del sacrificio eucaristico, nel quale ancora una volta Cristo si fa nutrimento e orientamento della nostra vita. Vi conceda il signore di essere politici secondo il suo Cuore, emuli di san Tommaso Moro, coraggioso testimone di Cristo e integerrimo servitore dello stato.

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VIaGGIo apostolIco Nel reGNo uNIto INcoNtro coN le autorItÁ cIVIlIWestminster hall - city of Westminster17 settembre 2010

beNedetto XVI

signor Presidente,

La ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di questa distinta assemblea. Nel rivolgermi a voi, sono consapevole del privilegio che mi è concesso di parlare al popolo britannico ed ai suoi rappresentanti nella Westminster Hall, un edificio che ha un significato unico nella storia civile e politica degli abitanti di queste Isole. Permettetemi di manifestare la mia stima per il Parlamento, che da secoli ha sede in questo luogo e che ha avuto un’influenza così profonda sullo sviluppo di forme di governo partecipative nel mondo, specialmente nel Commonwealth e più in generale nei Paesi di lingua inglese. La vostra tradizione di “common law” costituisce la base del sistema legale in molte nazioni, e la vostra particolare visione dei rispettivi diritti e doveri dello stato e del singolo cittadino, e della separazione dei poteri, rimane come fonte di ispirazione per molti nel mondo.

Mentre parlo a voi in questo luogo storico, penso agli innumerevoli uomini e donne che lungo i secoli hanno svolto la loro parte in importanti eventi che hanno avuto luogo tra queste mura e hanno segnato la vita di molte generazione di britannici e di altri

popoli. In particolare, vorrei ricordare la figura di san Tommaso Moro, il grande studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di servire Dio per primo. Il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi difficili, la perenne questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’opportunità di riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico.

La tradizione parlamentare di questo Paese deve molto al senso istintivo di moderazione presente nella Nazione, al desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. se da un lato, nella vostra storia, sono stati compiuti a più riprese dei passi decisivi per porre dei limiti all’esercizio del potere, dall’altro le istituzioni politiche della nazione sono state in grado di evolvere all’interno di un notevole grado di stabilità. In tale processo storico, la Gran Bretagna è emersa come una democrazia pluralista, che attribuisce un grande valore alla libertà di espressione, alla

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libertà di affiliazione politica e al rispetto dello stato di diritto, con un forte senso dei diritti e doveri dei singoli, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La dottrina sociale cattolica, pur formulata in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un tale approccio, se si considera la sua fondamentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e la sua sottolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune.

E, in verità, le questioni di fondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali. ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? a quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali? Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile. se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia.

L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve termine, ai complessi problemi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi finanziaria globale. Vi è un vasto consenso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a creare la situazione di grave difficoltà nella quale si trovano ora milioni di persone nel mondo. Così come “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale” (Caritas in Veritate, 37), analogamente, nel campo politico, la dimensione morale delle politiche attuate ha conseguenze di vasto raggio,

che nessun governo può permettersi di ignorare. Una positiva esemplificazione di ciò si può trovare in una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del Parlamento britannico: l’abolizione del commercio degli schiavi. La campagna che portò a questa legislazione epocale, si basò su principi morali solidi, fondati sulla legge naturale, e ha costituito un contributo alla civilizzazione di cui questa nazione può essere giustamente orgogliosa.

La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un processo che funziona nel doppio senso. senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti,

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che diede origine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà.

La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione. In tale contesto, non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore. Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono alcuni che sostengono che la celebrazione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi sono altri ancora che – paradossalmente con lo scopo di eliminare le discriminazioni – ritengono che i cristiani che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, agire contro la propria coscienza. Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a cercare vie per promuovere ed incoraggiare il dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita nazionale.

La vostra disponibilità in questo senso si è già manifestata nell’invito senza precedenti che mi avete rivolto oggi, e trova espressione in quei settori di interesse nei quali il vostro Governo si è impegnato insieme alla santa sede. Nel campo della pace, vi sono stati degli scambi circa l’elaborazione di un trattato internazionale sul commercio di armi; circa i diritti umani, la santa sede ed il regno Unito hanno visto positivamente il diffondersi della democrazia, specialmente negli ultimi 65 anni; nel campo dello sviluppo, vi è stata collaborazione nella remissione del debito, nel commercio equo e nel finanziamento allo sviluppo, in particolare attraverso la “International Finance Facility”, l’”International Immunization Bond” e l’”advanced Market Commitment”. La santa sede è inoltre desiderosa di ricercare, con il regno Unito, nuove strade per promuovere la responsabilità ambientale, a beneficio di tutti.

Noto inoltre che l’attuale Governo si è impegnato a devolvere entro il 2013 lo 0,7% del reddito nazionale in favore degli aiuti allo sviluppo. È stato incoraggiante, negli ultimi anni, notare i segni positivi di una crescita della solidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre questa solidarietà in azione effettiva c’è bisogno di idee nuove, che migliorino le condizioni di vita in aree importanti quali la produzione del cibo, la pulizia dell’acqua, la creazione di posti di lavoro, la formazione, l’aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle vaste risorse che i governi sono in grado di raccogliere per salvare istituzioni finanziarie ritenute “troppo grandi per fallire”. Certamente lo sviluppo integrale dei popoli della terra non è meno importante: è un’impresa degna dell’attenzione del mondo, veramente “troppo grande per fallire”.

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Questo sguardo generale alla cooperazione recente tra regno Unito e santa sede mostra bene quanto progresso sia stato fatto negli anni trascorsi dallo stabilimento di relazioni diplomatiche bilaterali, in favore della promozione nel mondo dei molti valori di fondo che condividiamo. spero e prego che questa relazione continuerà a portare frutto e che si rifletterà in una crescente accettazione della necessità di dialogo e rispetto, a tutti i livelli della società, tra il mondo della ragione ed il mondo della fede. sono certo che anche in questo Paese vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini, in armonia con la storica pratica di questo Parlamento di invocare la guida dello spirito su quanti cercano di migliorare le condizioni di vita di tutto il genere umano. affinché questa cooperazione sia possibile, le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla Chiesa cattolica, devono essere libere di agire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche

convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamento ufficiale della Chiesa. In questo modo potranno essere garantiti quei diritti fondamentali, quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di associazione. Gli angeli che ci guardano dalla magnifica volta di questa antica sala ci ricordano la lunga tradizione da cui il Parlamento britannico si è sviluppato. Essi ci ricordano che Dio vigila costantemente su di noi, per guidarci e proteggerci. Ed essi ci chiamano a riconoscere il contributo vitale che il credo religioso ha reso e può continuare a rendere alla vita della nazione.

signor Presidente, La ringrazio ancora per questa opportunità di rivolgermi brevemente a questo distinto uditorio. Mi permetta di assicurare a Lei e al signor Presidente della Camera dei Lords i miei auguri e la mia costante preghiera per Voi e per il fruttuoso lavoro di entrambe le Camere di questo antico Parlamento. Grazie, e Dio vi benedica tutti!

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Per chi, come il sottoscritto, tanta parte del bene e della gioia su questa terra è venuta nel leggere e nell’ascoltare storie e racconti, quel che è più facile e forte ad imprimersi non sono anzitutto concetti od intuizioni, ma delle immagini, delle scene visibili; e al termine di questi mesi di lavoro su Thomas More ed il suo tempo convulso, quello che appunto continua a interrogarmi e talvolta a commuovervi è, appunto, una scena, che potrebbe essere l’inizio di un romanzo e che invece è un episodio di vita reale: due uomini sono seduti su un balcone in una calda notte d’estate,

il capo rovesciato a guardare assieme le stelle, a commentarne i moti, a discutere e godere d’una serata d’amicizia. Un consigliere ed il suo re, Thomas More ed Enrico VIII, così come ce li racconta William roper.È uno di quei momenti nei quali per chi scrive è come se si intravedesse il misterioso segreto della vita di un uomo, l’unicità della sua presenza sulla terra ma anche la sua capacità di esprimere moti e sentimenti che appartengono al cammino di tutti. Thomas More è stato sempre ed anzitutto un

È facile, a volte, donare il proprio sangue alla patria e ancora più facile donarle del denaro. Talvolta è più difficile donarle la verità. G. K. Chesterton, L’imputato

Nota del curatoresotto le stelle

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amico, come notava con affetto Erasmo da rotterdam: un amico del suo tempo, delle sue conquiste, delle sue passioni intellettuali, delle sue sofferte questioni e lacerazioni, un amico del suo paese, che voleva servire al meglio delle sue notevoli capacità, un amico del suo re. Ma in tutto questo ha sempre tenuto lo sguardo rivolto al cielo, ad un orizzonte infinitamente più vasto, l’unico a suo giudizio che donasse a tutto la sua giusta proporzione ed il suo valore. È questa la sorgente del suo inesauribile senso dell’umorismo (un carisma molto britannico in effetti), della sua tenerezza come padre, della sua magnanimità come giudice e politico, della sua fermezza nel voler consegnare al suo tempo, al suo Paese, ai suoi avversari di dibattito, e perfino al suo re

niente altro che la verità, la sua amicizia con Dio.sono uno sguardo ed uno sorriso quelli di More che, in questo molto simile a socrate, attraversano il tempo e continuano a sfidare chi vi si imbatta. anche noi oggi possiamo sederci e discutere con lui di politica, religione, libertà, confortati dal fuoco quieto del suo acume, del suo umorismo, della sua lungimiranza. anche noi possiamo essere invitati a sollevare gli occhi alle stelle, e non smettere di farlo in nome di qualsivoglia parzialità, per quanto intensa o sofferta, come accade al giovane Enrico VIII. anche noi possiamo decidere se accettare la sua amicizia.

Edoardo Rialti

Edoardo Rialti è Docente di Letteratura Italiana ed Inglese all’Istituto Teologico di Assisi, e Visiting Professor della OLSWA University, Ontario. Collabora con “Il Foglio” ed è traduttore e biografo di autori come C. S. Lewis e G. K. Chesterton.

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quella che sembraVa la fINe

È con queste parole che il 28 Giugno 1535 veniva deliberata l’accusa e l’incarcerazione di Tommaso Moro, avvocato, scrittore ed ex Cancelliere del reame. si dava avvio ad un processo che si sarebbe concluso con la sua condanna a morte e che avrebbe dovuto marchiarne d’infamia per sempre la memoria, come per qualsiasi altro nemico del re. Ma stavolta non si trattava di un criminale comune: a morire era uno degli

intellettuali più stimati d’Europa, amato dal popolo e chiamato a corte dal re in persona, ed il colpo della mannaia sarebbe stato come un sasso gettato in uno stagno, che amplifica i suoi cerchi ancora e ancora. Tommaso Moro non sarebbe stato dimenticato mai più, continuando ad affascinare ed interrogare il mondo con la forza irriducibile della sua testimonianza, della sua vita e della sua morte.

la predetta commissione inquirente dichiara che il sunnominato tommaso moro perfidamente, proditoriamente e dolosamente ha di fatto progettato, tramato, tentato e perpetrato di privare interamente il predetto serenissimo

re nostro sovrano dei suddetti dignità, titolo e appellativo della sua regale condizione - e cioè della sua dignità, titolo e appellativo di capo supremo della chiesa inglese sopra la terra - a manifesto spregio dello stesso re e sovrano e detrimento della sua regale corona, contro la forma e gli effetti dei predetti statuti e contro la pace dello stesso re e sovrano.

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quella che sembraVa la fINe

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© Corbis

La cella dove fu rinchiuso Tommaso Moro nella Torre di Londra

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l’amIcodel moNdo

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l’amIcodel moNdo

l’europa del ‘400 e ‘500La situazione di profonda crisi e trasformazione spirituale, culturale e politica dell’Europa di Enrico VII, Carlo V e Filippo II è per molti aspetti assai affine alla nostra medesima situazione di incertezza e radicali rivolgimenti. Un intero cosmo sta tramontando per sempre: Costantinopoli e la sua civiltà millenaria cadono sotto l’assedio turco; l’orizzonte geografico si allarga vertiginosamente con la scoperta delle americhe, ed antiche certezze ed istituzioni sono poste in questione: le due grandi istituzioni sovranazionali della civiltà medievale, la Chiesa e l’Impero, soffrono profonde crisi interne ed esterne, come i dolorosi scismi, che si concluderanno solo col Concilio di Costanza, e le spinte dei singoli stati, sempre più potenti. È in momenti come questo che “il bene comune” si fa incerto e ancora più prezioso, e la natura stessa dell’agire politico viene investita da una serie di interrogativi radicali come quelli de “Il Principe” del fiorentino Niccolò Machiavelli: fin dove può spingersi il potere per conservarsi? È meglio essere amati o temuti? si possono forzare gli eventi con la frode e la violenza?

L’Inghilterra si sta ancora fasciando le ferite della sanguinosa guerra interna delle “Due rose” delle famiglie Plantageneti: la dinastia Tudor ottiene il sopravvento e stabilisce la pace, ben consapevole che ogni successione al trono può portare ad un nuovo bagno di sangue. È questo il mondo in cui Tommaso Moro aprirà per la prima volta gli occhi, il 7 febbraio 1478.

“Il mondo è fuori dissesto” (W. Shakespeare)

Mondadori Portfolio / akg Images

Geographia sacra, 1598, by abraham ortelius

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uN commedIaNte Nato

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l’infanzia e gli studi

Il padre John era a sua volta avvocato, si sposò quattro volte, ed era solito affermare che “scegliere la moglie è sempre un bel rischio: è come mettere la mano in un sacco pieno di serpenti ed anguille, sette serpenti per ogni anguilla: un bel caso fare la scelta buona”. Un gusto per l’umorismo e gli scherzi che si trasmetterà anche al figlio. Preso a servizio come paggio nella casa del Cardinale Morton, il dodicenne Tommaso già prendeva parte alle rappresentazioni natalizie, rubando la scena

agli attori, col piglio e la presenza scenica di un improvvisatore consumato. sono i primi passi di uno spirito desideroso di ergersi nel teatro del mondo e recitare il proprio ruolo con estro brillante per il gusto di tutti gli spettatori, nella divertita consapevolezza che i teatri, grandi o piccoli, tali restano, e che l’agire dell’uomo, per quanto decisivo, non costituisce l’ultimo orizzonte della sua dignità e della sua natura, ma è circondato e compreso da una misura ben più grande.

infanzia son chiamata, tutta gioco è la mia mentelanciare un cerchio, un bastoncello ed un pallone.ben so girar la trottola e così condurla attorno:ma quegli odiosi libri, dio mio, come vorreiche bruciassero nel fuoco - tutti a polvere ridotti.Per sempre allora un gioco la mia vita sarebbe,qual vita dio conceda, sino all’ultimo mio giorno.

t. moro, Versi giovanili Ritratto dell’Infanzia

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uN commedIaNte Nato

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Tommaso invece i libri li amò sempre e continuò i suoi studi ad oxford, dove perfezionò il latino e apprese greco, francese, aritmetica, geometria.

Platone, aristotele e Tommaso d’aquino saranno le letture di tutta una vita. Nel 1501 era già avvocato.

1478nasce a Londra

1501diventa avvocato

1490a servizio del Cardinale Morton

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Bambini che giocano

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

l’uomo dI lettereconferenze, traduzioni e saggi sul valore ed i rischi della politica

non si finirebbe più di spiegare quante cose mancano a chi non conosce i greci.

Nel 1504 l’illustre grecista Grocyn gli affida un ciclo di conferenze su “La Città di Dio” di sant’agostino, il grande affresco teologico sulla natura della società civile e sulla presenza della Chiesa nella storia. sono gli anni in cui Moro si dedica anche a tradurre gli amati scrittori antichi, così come poi la vita di Pico della Mirandola, il giovane prodigio italiano che aveva scritto sulla divina dignità dell’essere umano e sull’ultima armonia tra la ricerca filosofica dei grandi geni del mondo antico e la rivelazione divina.

sono questi, in fondo, i due grandi pilastri del pensiero di Tommaso Moro: la grandezza e la portata dell’umana libertà, che può e deve agire nella storia, e l’autentico orizzonte spirituale nel quale ogni azione ed impegno deve esercitarsi per essere un effettivo servizio, e non ridursi ad errore, e magari a violenza. Una riflessione che, anche quando assume toni drammaticamente seri, non perderà mai il guizzo del sorriso.

t. moro, Lettera a Martin Dorp

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

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l’uomo dI lettere

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

in coscienza non amo molto parlare dei principi, cosa non del tutto immune da rischi… quando il leone ebbe proclamato che, pena la vita, nessun animale cornuto sarebbe dovuto restare nella foresta, uno di loro, che aveva in fronte un grumo di carne, fuggì via di corsa. la volpe gli chiese perché tanta fretta. Quello le disse del proclama. “Ma non è un corno quello che hai in testa”. “lo so” rispose l’altro, “ma se il leone lo chiamasse un corno, che ne sarebbe di me?”.

t. moro, Vita di Riccardo III

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Tommaso Moro con la figlia Margaret, 1850 circa, Collezione privata

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l’amore e la famIGlIa

[ricordo] un uomo molto onorato e molto buono, il quale, avendo diverse volte notato come sua moglie si desse pena nel legare stretti i capelli per far apparire più larga la fronte, e nel serrare strettamente il corpo per rendere più sottile la vita, pensando al grande dolore che si procurava […] le disse: “certo, signora, vi farebbe gran torto il signore iddio se non vi mandasse all’inferno, dal momento che ve lo guadagnate con tanta fatica”.

picchiatela voi

Moro si sarebbe sposato due volte; la prima con la diciassettenne Jane Colt, nel 1504, da cui ebbe un maschio e tre femmine, tra cui la prediletta Margaret. si racconta che la giovane moglie lamentasse sia che non sapesse mai quanto suo marito parlasse sul serio, sia la sua pretesa di farle apprendere il latino e la musica. Moro arrivò a riportarla dal suocero. “Usa

dei tuoi diritti – picchiala per bene” fu il consiglio dal padre di Jane. “Picchiatela voi” ribatté Moro. E da allora marito e moglie vissero assieme in pace fino al 1511, quando Jane morì. Moro si risposò con alice Middleton, che il latino non lo imparò mai e che a sua volta si trovò a fare i conti con l’umorismo affettuoso del marito.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

t. moro, Dialogo del Conforto

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l’amore e la famIGlIa

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

sento che siete divenuti abili astronomi, che conoscete non solo la stella polare, ma pure la costellazione del cane; mi assicurano che sapete perfino distinguere il sole dalla luna.

se la mia possibilità fosse uguale al desiderio, vorrei ricompensare ogni sillaba della tua lettera con due monete d’oro. ti mando quanto hai chiesto. avrei voluto mandartene di più, ma come godo nel dare, così mi piace sentirmi richiesto e vezzeggiato dalla mia figliola; specialmente da te, la cui virtù e il cui sapere hanno resa tanto cara al mio cuore.

la mia scuolaMoro fu padre dolcissimo ed educatore esigente, capace di una stima ed una valorizzazione davvero fuori del comune e in netto anticipo su tanti schemi del tempo, ad esempio per quel che concerne la formazione delle donne. Tutti i suoi figli, ragazzi e ragazze, appresero non solo il latino col quale gli

scrivevano pressoché tutti i giorni, ma anche greco, matematica, filosofia e astronomia. Egli li chiamava “la mia scuola” e alla costante attenzione con cui seguiva la loro formazione umanistica e spirituale si accompagnava sempre il gusto per il sorriso e lo scherzo:

Egli li amò tutti, ma fu Margaret la sua prediletta, la confidente che lo riempiva di gioia e di orgoglio anche quando lo cercava per delle necessità economiche:

t. moro, Lettera ai figli

t. moro, Lettera a Margaret

© Mondadori Portfolio / The Bridgeman art Library

La famiglia di sir Tommaso Moro, rowland Lockey, 1590 circa,

National Portrait Gallery, Londra

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NoN c’è maI stato INGeGNo pIù GraNdeerasmo, l’amico di tutta una vita

Per Moro l’amicizia sarà sempre “l’ottavo sacramento”, il fondamentale strumento donato ad ogni uomo per uscire dall’angustia delle proprie pretese visioni, il centuplo di gioia nei momenti felici ed il balsamo nei momenti di oscurità. E nel 1499 egli incontrò per la prima volta l’uomo con cui avrebbe camminato assieme per tutta la vita: Erasmo da rotterdam. Ne nacque una strana coppia, formata da un laico inglese ed un apolide religioso fiammingo, entrambi convinti sostenitori di un profondo rinnovamento morale e culturale della Chiesa, cui l’Umanesimo avrebbe potuto fornire un contributo fondamentale. Tutti e due erano persuasi che non ci sia fede senza libertà e non ci sia libertà

senza senso dell’umorismo per i poveri sforzi dell’intelletto umano, sostenuto ed ultimamente corretto da una verità ben più grande delle sue capacità di investigazione.

Erasmo dedicherà a Moro quell’“Elogio della Follia” (Moria, appunto) che scrisse in gran parte come suo ospite, nel quale attaccava con ironia sferzante l’ignoranza pomposa ed il bigottismo ottuso di tanti uomini di Chiesa. Ne nacque una polemica infuocata e Moro scese in campo a difesa dell’amico e della sua battaglia per lo studio filologico della Bibbia: “Preferisco discutere servendomi della ragione piuttosto che dell’autorità”.

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NoN c’è maI stato INGeGNo pIù GraNde

occhi grigio celesti con piccole macchie che sono segno d’un ingegno non comune; la bocca è sempre pronta a sorridere e tutto in lui parla di facezie e di buon umore, piuttosto che di serietà e di gravità. non ho mai visto nessuno tanto indifferente quanto lui ai vari cibi. Preferisce la frutta, i latticini, le uova. È grande amatore di ogni specie di musica, non ha però abitudini al canto. non bada ai formalismi, è franco e familiare con tutti. sembra nato e creato per l’amicizia. dei suoi interessi non si dà troppa preoccupazione, mentre per gli amici non risparmia fatiche né premure. ha una tale carica di simpatia e di gaiezza che vicino a lui si rasserenano anche i più malinconici e diventano piacevoli anche le cose più uggiose. Fin da ragazzo prendeva grande piacere negli scherzi: non sono però scherzi sciocchi né mai crudeli... ha sempre pronte battute spiritose e si diverte anche quando gli altri si prendono gioco di lui... se gli capita di vedere qualcosa di insolito, lo compera subito.

erasmo da rotterdam, Lettera a Von Hutten

© Mondadori Portfolio / Picture Deska

Hans Holbein the Younger, Erasmus von rotterdam, 1523, Kunstmuseum, Basilea

© Mondadori Portfolio / akg Images

Erasmo da rotterdam, Hans Holbein Il Giovane, 1523, Kunstmuseum, Basilea

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sI Vede meGlIo a testa IN GIù

È nello stesso spirito ironico di Erasmo che Moro stese, da uomo di stato, la sua opera più celebre, “Utopia”: un grande paradossale affresco sulla natura del buon vivere comunitario, che, come “L’Elogio della Follia” o il “Don Chisciotte”, rimette in discussione le più scontate sicurezze e si domanda chi sia pazzo e chi no, cosa sia davvero utile e cosa no. Perché, talvolta, non c’è modo migliore per comprendere una cosa che accostarla da un punto di vista divertitamente rovesciato, ma niente affatto disimpegnato; una parodia che critica

ferocemente la sete di potere di tanti governanti e le sue conseguenze per i più poveri: “il popolo non va alla guerra di sua spontanea volontà, ma vi è trascinato dalla follia dei re”.Uno scherzo che voleva far pensare sorridendo: ma è proprio delle ideologie non avere il senso dell’umorismo. Ed il monarchico Moro avrebbe trovato davvero divertente che il suo nome potesse figurare su una stele della Piazza rossa di Mosca, come profeta della rivoluzione Comunista. Cosa che in effetti avvenne.

l’“Utopia” è opera quanto mai caratteristica di Moro. soprattutto perché, in gran parte, è concepita in scherzo. alcuni nostri contemporanei hanno pure scritto delle Utopie, ma senza accorgersi che erano scherzi. scritta questa burletta in latino, impedì che fosse tradotta in inglese, per timore che la prendessero sul serio ed accrescesse il baillame scismatico. Ed affermò di preferire che tutti i propri libri e quelli di Erasmo andassero distrutti, piuttosto che, “come a quei giorni era verisimile”, ne venisse danno a qualcuno. in altre parole, quanto egli era strenuo patrono di libertà spirituale, altrettanto era convinto che dovesse esserci qualcuno, o qualcosa, a disciplinarla, e non gli passava per la testa di poter essere lui questo qualcuno.

l’utopia

G. K. chesterton, Tommaso Moro e l’Umanesimo

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sI Vede meGlIo a testa IN GIù

1516pubblica “Utopia”

1499incontra Erasmo

1511Erasmo gli dedica l’“Elogio della Follia”

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L’isola di Utopia, 1516

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Il pIù perfetto deGlI aVVocatI

Nel 1502, ancora giovane, Moro fu nominato Commissario di pace per l’Hampshire, e nel 1510, Giudice di pace, deputato alla Camera dei comuni sotto Enrico VII e vice-sceriffo di Londra. E fu proprio nella City che, il 1 maggio 1517, si scatenò una violenta insurrezione popolare contro i mercanti stranieri. a fronteggiare i ribelli fu anche Moro, che prese poi parte alla delegazione che implorò

clemenza al re nei confronti degli arrestati. Il discorso con cui Moro arringò la folla, condannando la paura dello straniero, sarebbe stato celebrato anche da shakespeare, che collaborò ad un’opera teatrale intitolata “sir Thomas More”. Il protagonista chiede alla folla di immedesimarsi con le sue stesse vittime, di sentirsi come “loro”, i mercanti attaccati, fosse pure per un istante:

al tempo stesso il Tommaso Moro di shakespeare condanna l’uso della violenza per finalità politiche e sociali, con la quale la vita in comune collassa “e gli uomini, come pesci voraci, si divoreranno l’un l’altro”.

immaginate di vedere i desolati stranieri, coi bambini sulle spalle, ed i miseri bagagli, arrancare verso i porti in cerca di trasporto.

moro e la pace del regno

La tragedia di Tommaso Moro

© Corbis

ritratto di Tommaso Moro,Pierre Duflosritratto di Edward Coke, avvocato e statista, Pierre Duflos

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Del periodo di studi e contemplazione vissuto presso i certosini il giudice Moro conserverà per tutta la vita l’abitudine ad alzarsi presto, per cominciare una giornata interamente dedita al benessere del Paese e dei singoli. E sotto di lui, come Giudice alla Corte delle richieste, la lenta macchina burocratica dei processi e delle vertenze prese ad accelerare: il genero racconta che un giorno “quando chiamò la successiva, si sentì rispondere che non c’era più nessuno che attendesse giudizio”. Erano decenni, se non secoli, che non capitava.

E l’attenzione di Moro non era rivolta solo a che ogni suddito avesse diritto a processi rapidi ed equi, ma anche a sostenere la delicata condizione dei suoi

colleghi politici. Eletto Portavoce dei Comuni nel 1523, chiese al re “di dare a tutti coloro che fanno parte di questa assemblea la Sua generosa licenza e benevola assicurazione di poter liberamente parlare, senza temere di incorrere nel Vostro temutissimo sdegno, e francamente esporre il proprio pensiero su tutto ciò che concerne quello per cui siamo qui riuniti”. È la prima attestazione ufficiale della libertà di parola. Ma l’impegno quotidiano, fatto di sfumature, dettagli, particolari, non lo avrebbe mai distolto dall’unico orizzonte nel quale egli riteneva che ogni azione, piccola o grande, acquistasse senso. È proprio quando venne nominato Cavaliere del regno che egli compone “Le ultime quattro cose”, una meditazione sulla morte ed il destino dell’anima.

“se un tuo amico avesse in corso una causa davanti a me, potrei certo dare udienza prima a lui che non ad un altro. Ma in ogni caso puoi star sicuro che se le parti avranno rimesso la causa nelle mie mani, allora, anche se uno dei contendenti fosse mio padre e l’altro il diavolo, e il diavolo avesse ragione, ti assicuro che sarebbe il diavolo a vincere la causa”.

piccole e grandi rivoluzioni del diritto

W. roper, Vita di Tommaso Moro

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l’amIcodel re

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l’amIcodel re

lutero e lo scIsma“Sorgi Signore… le volpi si sono levate a distruggere la tua vigna… il cinghiale selvaggio la devasta…”.

sono queste le prime parole della Bolla Papale che il 15 giugno 1520 condannava la pubblicazione e la diffusione delle tesi con cui il monaco Martin Lutero attaccava le indulgenze e la ricchezza della Curia Papale. E furono quelle parole ad essere consumate dalle fiamme in cui Lutero le gettò pubblicamente. L’unità della Chiesa è investita dalla tempesta protestante, che attaccherà poi l’infallibilità papale, alcuni sacramenti, il celibato sacerdotale ed il monachesimo, e niente in Europa sarà più come prima. si critica l’autorità spirituale, ma non quella politica: l’azione dei principi e dei governanti, soprattutto se protestanti, per Lutero non può essere oggetto di critica. Lo si evince bene dalla sua durissima condanna della rivolta dei contadini tedeschi. “Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi”.

martin lutero

si sollevano questioni e problemi che non possono più essere ignorati. Con quale autorità i governi possono esigere fedeltà dai sudditi? Da come si intenderà prendere posizione sulla natura della Chiesa e dello stato dipenderà l’assetto, ed il benessere dei singoli popoli.

“una bufera è in arrivo”

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Erasmo e Tommaso dal Giovane Enrico VIII a Greenwich nel 1499, Frank Cadogan Cowper,

1910, Palace of Westminster, Londra

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dIfeNsore della fedeenrico VIII

Moro lo incontrò assieme ad Erasmo, quando il principe aveva solo otto anni e sapeva già leggere il latino degli umanisti. Colto, esperto musicista e poliglotta, amante delle discussioni scientifiche e teologiche, nel giovane principe Enrico VIII, che sognava le crociate, i gesti generosi in battaglia e che fece della propria corte il centro delle arti d’Europa, sembrava essersi incarnato il fiore della cavalleria. Convinto cattolico, scrisse di suo pugno contro Lutero una “Difesa dei sette sacramenti” e fu insignito dal Papa del titolo di “Difensore della Fede”. Moro lo amò ed ammirò, arrivando a dire che quando il re arringava la folla sembrava che parlasse sempre

ad ogni singolo uomo. all’improvvisa morte del fratello maggiore si trovò a sposare la cognata Caterina d’aragona, zia del potente imperatore Carlo V, in virtù di una dispensa papale e dell’assicurazione che la giovane fosse ancora vergine. Moro ed Enrico si incontrarono ancora in occasione dell’incoronazione e quando si trattò di risolvere una causa legale tra il re e la santa sede in merito ad una nave. Moro difese roma, vinse, e l’ammirato Enrico decise di averlo al suo fianco, nel consiglio privato del re. Ne nacque l’amicizia tra uno dei re più complessi e contraddittori della storia, e l’umanista che voleva donargli sempre e solo la verità.

lo mandava a chiamare e, ricevendolo nei suoi appartamenti privati, sedeva con lui a parlare di astronomia, geometria, teologia… e talvolta, alla sera, voleva salire con lui fino ai lucernari per commentare assieme le variazioni, i corsi, i moti e le fasi dei pianeti e degli astri.

Principe, sotto il tuo regno l’età dell’oro è tornata. Voglia il cielo che qui si arresti la profezia di Platone!

t. moro, Componimento in onore di Enrico VIII

W. roper, Vita di Tommaso Moro

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Eppure Tommaso scherzava sulla sua presunta fortuna di sedere accanto al re, ad ammirare le stelle: “Sono convinto che se la mia testa potesse procurargli un castello in Francia, essa non tarderebbe a cadere”.

G. K. chesterton, Tommaso Moro e l’Umanesimo

Contributo audio: Greensleeves, ballata di Enrico VIII, musicata da Loreena Mckennit.

© Mondadori Portfolio / akg Images

ritratto di Enrico VIII, Hans Holbein Il Giovane, 1539-1540, Galleria Nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini, roma

tommaso Moro ed Enrico Viii furono amici, benché finisse che uno ammazzò l’altro. amici e, come già dissi, diversi. Enrico Viii voleva l’ordine, la disciplina, l’ortodossia, e voleva essere precisamente lui a regolare tutte queste cose. a Moro importavano le idee nuove, gli autori greci, le discussioni filosofiche, ma non pretendeva di essere lui a decidere fino a che punto fosse giusto e conveniente…. il re voleva l’ordine nella chiesa, ed essere lui a stabilire quest’ordine. l’altro sentiva che nella chiesa doveva esserci libertà, tanto non sarebbe toccato a lui disciplinarla.

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la GraNde questIoNeIl divorzio da caterina d’aragona

se uno prende la moglie del fratello è un’impurità, egli ha scoperto le nudità del fratello: non avranno figli.

È tra queste due sentenze bibliche che oscilla l’animo di Enrico: Caterina non riesce a dargli figli maschi e si sta allontanando dalla fertilità. senza un erede il Paese potrebbe conoscere di nuovo l’orrore delle guerre di successione. La regina, amata dal popolo, rispetta il re e ne tollera persino le numerose amanti, ma nel 1527 il segreto della coppia regale, che vive di fatto separata, esplode. Il re decide di allontanare la regina “per motivi di coscienza”, spingendola senza risultato ad entrare in convento, e chiede al Papa di ratificare il divorzio.

Clemente VII invia un cardinale a presidiare il processo. Per una volta Tommaso Moro e Lutero sono d’accordo: la ragione è dalla parte della regina allontanata. È l’inizio di una complessa partita a scacchi, alla quale partecipa anche il nipote di Caterina, l’Imperatore Carlo V, in tensione con Enrico ed in contrasto col Papa; una partita cui si aggiunge d’un tratto una nuova pedina: l’ultima amante del re, una delle dame della regina, che promette di dargli un erede maschio. Un erede che deve però diventare legittimo.

Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, il suo cognato verrà a lei e se la prenderà in moglie.

levitico XX, 21

deuteronomio XXV, 5

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Enrico VIII e anna Bolena, T. Cooke

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Wolsey, cromWell eaNNa boleNaalfiere, cavallo e regina

sono questi i tre grandi protagonisti del momento: Wolsey, l’ultimo cardinale-principe del rinascimento inglese, dai vizi privati e pubblici debordanti e dall’immenso fiuto politico. L’uomo che ha tenuto sulle spalle l’enorme peso della gestione del regno, ma che non riesce ad ottenere l’annullamento del matrimonio, finendo in disgrazia; il segretario del cardinale stesso, un uomo di umili origini che vede nel divorzio del re la prima fessura per la grande cascata della riforma protestante di cui è convinto sostenitore, e la “donna del desiderio”, che astutamente continuò a non concedersi al re e gli promise quello che non

sarebbe stata in grado di mantenere, un erede al trono. Il primo cadrà, per la soddisfazione dei molti ed invidiosi nemici che colgono l’occasione per fargli pagare gli anni di assoluto dominio; gli altri due otterranno sempre più potere presso Enrico, invitandolo a non dipendere dalla presunta autorità di nessun altro, a spogliare le millenarie abbazie ed incorporarne i beni. Il tempo della loro rovina è solo rimandato, perché Enrico ha ben poca misericordia con chi delude le sue aspettative: cadranno anche loro, anni dopo, una per stregoneria, l’altro per tradimento.

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© Corbi - ˜© Mondadori Portfolio / akg Images - © Corbis

Cardinal Wolsey,Thomas Cromwell

anna Bolena

Per quanto gradita, la corona non rappresentava il supremo trionfo di anna. il figlio, l’erede maschio che gli astrologi prevedevano con tanta sicurezza, era quella la sua vittoria finale.

c. erickson, Elisabetta I

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sulla NaVe IN pIeNa tempestauna regina sotto processo

Fu una sorpresa per tutti quando, il 31 maggio 1529 al processo presso i Blackfriars, non si presentarono solo i difensori della regina, ma Caterina stessa. Il vescovo Fisher ha parole di fuoco contro il re e la sua

amante, lo stesso “non ti è consentito” che Giovanni Battista riservò ad Erode, ma è Caterina ancora una volta a compiere l’inaspettato, attraversando la sala e inginocchiandosi davanti al marito:

Poi, non riconoscendo il valore di un processo al suo matrimonio, lasciò l’aula tra l’ammirazione della folla. La santa sede tergiversa ancora e Moro, attivo anche nelle trattative di pace con la Francia e l’Impero, si impegna a studiare la questione, ma le sue ricerche riconfermano quanto egli si sente già di

sottoscrivere: Caterina è la legittima sposa di Enrico ed egli, più volte sollecitato dal re, glielo ribadisce ancora e ancora, pur conservando in pubblico un assoluto riserbo. Molte facoltà teologiche appoggiano Enrico, e la pressione si fa sempre più forte.

sire, io vi supplico, per tutto l’amore che c’è stato tra noi e per amore di dio, di rendermi giustizia. sono stata per voi una moglie degna, fedele, obbediente, sempre pronta a soddisfare la vostra volontà e i vostri desideri. E quando per primo mi avete avuta (chiamo dio a testimone) ero una fanciulla pura, mai toccata da un uomo; e se ciò sia vero o no, lascio decidere alla vostra coscienza.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

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moro cancelliere

alla disfatta di Wolsey, che il re allontana nonostante gli anni di servizio, segue la più difficile delle richieste: assumere le redini del regno come nuovo Cancelliere, nella promessa da parte di Enrico VIII di dover “sempre servire lui, ma Dio prima ancora”. sono parole che Moro non dimenticherà, accettando l’incarico. È il 25 ottobre 1529.

non si deve abbandonare la nave in piena tempesta, solo perché non potete comandare ai venti… se non potete far andare bene tutte le cose, dovete almeno aiutare, perché vadano il meno male possibile.

sono tutti lieti di questa promozione, perché egli è persona retta e colta, e buon servitore della regina.

E così egli è anche in piena corte. E poi dicono che i buoni cristiani si trovano solo nei monasteri!

Mi fanno tutti le congratulazioni. sono sicuro che almeno tu mi compiangerai.

t. moro, Utopia

t. moro, Lettera ad Erasmo

erasmo da rotterdam, Lettera ad Ulrich Von Hutten

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Il processo di Caterina d’aragona, Henry Nelson o’Neil

Birmingham Museums and art Gallery

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GraNde mIserIcordIa e poco rIGoremoro e la libertà di coscienza

Tommaso Moro era sostenitore irriducibile della libertà di coscienza, ma non che le personali convinzioni dovessero portare alla perturbazione dell’ordine civile. Per questo egli era favorevole alla repressione della predicazione pubblica dei protestanti, ma al

tempo stesso fu capace di ospitarli ed accoglierli personalmente in Inghilterra, qualora vi si recassero per motivi di studio: sarà così con simone Greyer, che lo ricorderà con gratitudine nella sua edizione di Platone (Basilea 1534). Moro sarà inoltre convinto assertore che:

Quando si ha che fare non con gente arrogante e maliziosa, ma con persone ignoranti o semplici e sprovvedute, io desidero che si usi grande misericordia e poco rigore.

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Martin Lutero, Cranach il Vecchio, Firenze, UffiziTommaso Moro, litografia del 1835

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l’amIcodI dIo

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l’amIcodI dIo

la teocrazIa dI eNrIco VIII

Il cardinal Wolsey aveva accumulato un’enorme ed illegale ricchezza personale, che è facile gioco attribuire alla connivenza di altri vescovi corrotti, costretti così ad una pesante offerta a titolo di risarcimento. Ma Enrico coglie l’occasione e nel febbraio 1531 acconsente a perdonare il clero suo debitore, purché questi lo riconosca “Unico e Supremo Capo della Chiesa d’Inghilterra”. Ed i vescovi acconsentono, sotto la fragile clausola “fin dove lo consente la legge di Cristo”. È il debole tentativo di arginare una cascata, per cui stato e Chiesa si fondono in una nuova ibrida teocrazia, che non ha alcun fondamento se non l’arbitrio del re, che potrà così ottenere il suo divorzio. “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” aveva affermato Cristo, ponendo così le basi della laicità occidentale.

Già in pieno Medioevo un altro re inglese di nome Enrico aveva assassinato il vescovo Beckett, che difendeva l’indipendenza della Chiesa: l’omicidio si era scandalosamente svolto in una cattedrale, per l’orrore di tutta la società inglese. Con Enrico VIII non ci sarà più scandalo alcuno, perché il re si è preso la cattedrale stessa, e Cesare si è nuovamente arrogato ciò che spetta a Dio.

capo supremo della chiesa

© artres.com

sentenza di divorzio tra Enrico VIII e Caterina d’aragona, 23 maggio 1533,

Londra, The National archives

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Infangare, dileggiare, indebolire

È un metodo di tutti i tempi, ieri come oggi, quello di insozzare con false accuse la reputazione di un uomo buono e stimato, pur di ricattarlo e costringerlo a schierarsi col re e la Nuova Chiesa. si comincia sempre minandone la credibilità con delle parodie. Nel 1533 i teatri vedono lanciare una nuova commedia dal titolo “L’immagine dell’Ipocrisia” dove si sbeffeggia “un cavaliere sofista che ha scritto una Apologia, un Dialogo, una Supplica, una Debellazione, e anche un’Utopia”. Ma è solo il primo passo: Moro viene accusato da Cromwell, che adesso è segretario del re, di aver accettato donazioni che influenzassero le sue sentenze di giudice: egli si limita a ribattere che “queste accuse possono far paura ad un bambino, ma non a me”, e ne dimostra l’infondatezza senza problemi.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

Il dossIer moro

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Lo si iscrive dunque tra i sostenitori di una “fanciulla del Kent” che aveva profetizzato contro re Enrico. Moro mostra alla Commissione la copia della sua lettera alla ragazza, nella quale la ammoniva a non occuparsi delle faccende del re e dello stato. si passa dunque alle minacce, citandogli il versetto biblico per cui “L’ira del re è morte”. “Tutto qui?” risponde Moro, “L’unica differenza è che io morirò oggi, e voi domani”.

Egli conosce la paura e la preoccupazione per sé ed i propri cari, eppure un giorno confida misteriosamente al genero: “Figliolo, grazie al cielo la battaglia è vinta”. agli occhi del mondo invece il peggio doveva ancora arrivare.

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© Mondadori Portfolio / Leemage

Tommaso Moro, 1857 circa, Collezione privata

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Il cerchIo sI strINGele dimissioni

Enrico si è incamminato lungo una strada che Moro non vuole seguire. Il silenzio del cancelliere su gesti dalle conseguenze politiche così eclatanti sarebbe semplicemente insostenibile. Ufficialmente per motivi di salute - ed in effetti soffriva di gravi disturbi polmonari - il 16 maggio 1532 il re accetta le sue dimissioni, “a malincuore”, come scrive lo stesso Moro ad Erasmo. Dopo aver tentato ogni strada, nel rispetto del re e della propria coscienza, dopo anni di sforzi nel grande teatro del mondo, Moro

sembra non chiedere di meglio che veder calare il sipario: inizia a profilarsi l’inarrestabile china della povertà per chi, prima, era l’uomo più potente del regno. Privo dei suoi titoli anche le entrate si assottigliano: la grande casa familiare non ha più legna e la sera i camini si riscaldano con le felci. I vescovi inglesi che si sono arresi ad Enrico VIII offrono a Moro una donazione per la sua opera profusa negli anni a servizio della Chiesa e del reame, ma egli la rifiuta.

anna Bolena è incoronata regina il 1 giugno 1533 e Moro viene invitato alla cerimonia ed alcuni vescovi lo pregano personalmente di partecipare. Moro rifiuta; per anna Bolena il gesto è un insulto

che non dimenticherà. Per la sua famiglia di convinti riformatori e anche per Enrico VIII il silenzio di Moro si fa clamore sempre più insopportabile.

Preferirei vedere gettata nel tamigi la somma intera piuttosto che consentire che io o qualcuno dei miei ne toccasse un solo centesimo.

W. roper, Vita di Tommaso Moro

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successione e supremazia

Nel 1534 vengono promulgati l’atto di successione e di supremazia: criticare il nuovo matrimonio del re, la discendenza della regina anna, l’unica legittima nonostante certe insinuazioni, comporta il tradimento. ogni suddito deve giurare “fedeltà e obbedienza unicamente alla maestà del Re e ai suoi diretti discendenti; e a nessun’altra autorità, principe o potenza entro o fuori i confini di questo regno”.

al re viene riconosciuto “pieno potere ed autorità di vagliare, reprimere, raddrizzare, riformare, riordinare, correggere, contenere ed emendare di volta in volta tutti quegli errori, eresie, abusi, peccati, prevaricazioni e irregolarità di qualunque genere, che per mezzo di qualsiasi autorità o giurisdizione spirituale debbano o possano legittimamente essere riformati, repressi, riordinati, raddrizzati, corretti, contenuti

o emendati, nulli essendo ogni qualsivoglia uso, costume, prescrizione, legge o autorità straniera”. Vi si irridono anche “presunte dispense accordate dal potere di un uomo”.

ormai lo scisma da roma è ufficiale. I vescovi sottoscrivono all’unanimità: ad opporsi saranno Moro, il vescovo Fisher, alcuni certosini, ed altri fedeli, come l’ex cappellano del re, che Moro ricordò poi di aver visto “scortato gentilmente da due gentiluomini” alla prigione della Torre. Moro, come il Papa, è pronto a riconoscere la successione di anna, ma non la validità sacramentale del nuovo matrimonio e del nuovo titolo del re, e si ostina a non voler giurare e a non voler dire perché. a socrate era stato impedito di parlare. a Moro sarà negato il silenzio con cui rispetta la sua coscienza ed al tempo stesso il suo re: viene accusato di tradimento ed incarcerato.

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© Mondadori Portfolio / The Bridgeman art Library

Tommaso Moro con la figlia Margaret, 1810-90

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sempre VIcINI al cIeloconforto nella torre

Iniziano i lunghi mesi di reclusione di uno strano prigioniero, che nel fetore è capace di scrivere come non mai, di immaginare fiabe, di confortare i familiari e non smettere di augurare ogni bene per il suo re. Fuori, le decapitazioni si susseguono, eppure quel tetto per Moro “non è meno lontano dal Cielo di

qualunque altro”. Certamente egli è consapevole, e lo scrive, che “un Turco purosangue non è così crudele per il popolo cristiano quanto un falso cristiano”, ma, quando gli uomini del re lo accusano di malvagità ed ingratitudine nei confronti di chi l’ha tanto amato, Moro si ribella:

Pur negli strazi e nelle umiliazioni, nella paura e nella confusione, Moro sorprende una strana letizia e non perde neppure il gusto per il sorriso, come quando, scrivendo dei tanti che nei momenti di paura si rivolgono ai maghi, nota che “talvolta avviene che vedano

cose meravigliose, ma un quattrino dei loro soldi non lo rivedono mai più”. Inizia una meditazione sulla “Tristezza di Cristo” nell’orto degli Ulivi, prima di essere arrestato ed ucciso, ma il progetto resta incompiuto. Moro stesso si troverà non a scriverlo, ma a viverlo.

io non faccio male a nessuno, non dico male di nessuno. desidero il bene di tutti. E se questo non basta a garantire ad un uomo la sua vita, allora io non ho più alcun desiderio di rimanere in vita. sono già del resto nelle condizioni di un moribondo. del mio corpo faccia il re quel che vuole, e voglia iddio che dalla mia morte non gliene venga altro che bene.

t. moro, Testimonianza durante il processo

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sempre VIcINI al cIelo

Pur negli strazi e nelle umiliazioni, nella paura e nella confusione, Moro sorprende una strana letizia:

1532dimissioni

1535processo

1534rifiuta di sottoscriverel’atto di supremazia

© Mondadori Portfolio / Picture Desk

La Torre di Londra, litografia, XVII sec.

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ecclesIa lIbera sItIl processo

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Il 1° Luglio 1535 Moro aveva cinquantotto anni, ma con la barba lunga, appoggiato ad un bastone, sembrava un vecchio consumato. Tra coloro che dovevano giudicarlo c’erano il padre, lo zio, il fratello di anna Bolena e Cromwell. Uno degli uomini di Cromwell stesso, richard rich, dichiara di aver udito Moro negare al re il titolo di Capo della Chiesa. Moro accusa rich di spergiuro, ma la sentenza è già scritta: la Corte lo dichiara colpevole, e Moro decide di rompere il suo silenzio, gridando alto cosa siano davvero la Politica e lo stato.

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© Mondadori Portfolio / The Bridgeman art Library

arresto e condanna di Tommaso Moro, antoine Caron, XVII sec., Blois, Musee Communal Du Chateu

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E alla pretesa di validità giuridica accampata dalle decisioni del Parlamento Moro oppose fieramente che “per un singolo vostro parlamento e Statuto (e Dio sa di qual sorta) io ho tutti i Concili di un intero millennio, io ho tutti gli altri regni della Cristianità”. I suoi nemici lo volevano morto, ma egli non li odiò neppure allora. anzi

concluse ricordando “la morte di santo Stefano, cui assisteva consenziente anche Paolo: ora entrambi sono insieme santi in Paradiso. Così mi auguro e prego che anche voi, giudici della mia condanna, possiate un giorno trovarvi con me in cielo a godere insieme della gioia del Paradiso”.

“l’incriminazione è basata su un atto del Parlamento che contrasta direttamente con le leggi di dio e della sua chiesa, in quanto la suprema giurisdizione della chiesa o di una sua parte non può venire avocata a sé, con nessuna legge, da nessun principe temporale, appartenendo di diritto alla sede di roma per quel primato spirituale trasmesso per singolare privilegio a san Pietro e ai suoi successori, i vescovi di quella sede, dalla parola stessa di cristo nostro salvatore al tempo della sua presenza su questa terra. [...] E ancora disse che tutto ciò era contrario alle leggi e agli statuti del nostro paese come si può chiaramente rilevare nella Magna charta, là dove sta scritto: «Quod Ecclesia anglicana libera sit et habeat omnia iura sua integra et libertates suas illaesas»; e che per di più era in contrasto col sacro giuramento con cui il re si impegna solennemente all’atto dell’incoronazione. E aggiunse inoltre che il regno d’lnghilterra non potrebbe mai rifiutare obbedienza alla sede di roma, così come un figlio non può rifiutare obbedienza al proprio padre”.

W. roper, Vita di Tommaso Moro

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la condanna

Doveva essere impiccato e squartato, come Giuda. Ma il re non lo sopportò e commutò la sentenza in decapitazione. La data fu fissata per il 6 luglio ed il 5 Moro scrisse alla figlia Margaret.La data alla quale Moro fa riferimento è quella

dell’anniversario della traslazione delle spoglie di san Tommaso Becket: un altro Tommaso, ucciso da un altro Enrico, del quale era stato a sua volta amico e servitore, per difendere le chiavi che Cristo aveva affidate a Pietro.

domani è la vigilia di san tommaso e il giorno dell’ottava di san Pietro. Vorrei andare a dio proprio domani, in un giorno così propizio ed adatto per me.

t. moro, Lettera alla figlia Margaret

© Mondadori Portfolio / The Bridgeman art Library

arresto e condanna di Tommaso Moro, antoine Caron, XVII sec., Blois, Musee Communal Du Chateu

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serVo fedele del re ma prIma dI dIola morte

“Per favore aiutatemi a salire, poi per scendere non disturberò nessuno”. È questo che Moro sussurrò sorridendo al luogotenente che lo accompagnava al patibolo. si rivolse poi alla folla riunita, ribadendo che moriva per la santa Chiesa

Cattolica, invitandola a pregare sempre per Enrico VIII, a cui aveva mantenuto la parola data al momento di diventare Cancelliere: egli moriva “suddito fedele del Re, ma di Dio prima di lui”. Benedisse il carnefice e si inginocchiò a ricevere il colpo.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

© Corbis

La decapitazione di Tommaso Moro, a man for all seasons, 1966

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Contributo video: La morte di Thomas More e la benedizione del carnefice, da I Tudor

Il corpo fu fatto a pezzi e la testa esposta su quello stesso ponte di Londra di cui Moro aveva avuto la responsabilità come vice-sceriffo. Nel mondo si traduceva e si stampava ovunque il racconto della sua morte. Moro, “quell’uomo sorridente che si lascia

ammazzare per affermare il diritto di ognuno a non essere obbligato a pensare come vuole il governo” (a. Paredi) e che i contemporanei ammirati avevano definito “un uomo per tutte le stagioni”, si è rivelato un uomo per tutte le generazioni.

dubitare di lui [dio], mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand’anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invocherei cioè cristo e lo pregherei di aiutarmi. senza dubbio allora Egli mi porgerebbe la sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso […]. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. nulla accade che dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.

t. moro, Lettera alla figlia Margaret

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quel che Ne seGuìanna Bolena non riuscirà a dare ad Enrico il sospirato erede maschio: caduta in disgrazia con l’accusa di adulterio e stregoneria, sarà condannata alla decapitazione. Cromwell assurgerà alle più alte cariche dello stato, ma la sua politica di inesorabile crudeltà verso le antiche tradizioni religiose del paese gli attireranno l’odio del popolo. Il suo maldestro tentativo di rafforzare i rapporti dell’Inghilterra con la Lega Protestante per mezzo delle nozze di Enrico con anna di Cleves sarà la sua rovina: il re divorziò in fretta da una consorte che non lo attraeva ed i cui vantaggi politici risultarono di poco conto. accusato di eresia protestante e tradimento, conoscerà la medesima Torre in cui aveva fatto segregare Tommaso Moro, e, come lui, la decapitazione. Enrico VIII, il re che per la passione amorosa e per obbedienza alla propria coscienza aveva rotto il millenario legame con roma, si sposò così tante volte da allestire, agli occhi

dei contemporanei, una tragica farsa. Tragica perché sempre più dominata dal sangue e dalla collera. Il vecchio Enrico, tormentato dalla gotta e dalla piaga di un’ulcera che continuava ad infettarsi, chiuse gli occhi dopo aver perseguitato sia cattolici che luterani, in un clima di disamore e di sospetto. Paradossalmente al breve interregno di suo figlio Edoardo saranno due delle sue figlie dichiarate bastarde e senza diritti ad impugnare le redini del regno: Maria, e poi Elisabetta.Il prestigio dell’uomo che avevano voluto distruggere continuò invece a colpire e sfidare le generazioni a venire: nel 1886 Moro era beato, nel 1935 una petizione di oltre 170 mila persone ne chiedeva la canonizzazione, che avvenne il 19 maggio 1935. Giovanni Paolo II lo proclama patrono di politici e governanti nel 2000. Dal 1980 anche la Chiesa anglicana, che Enrico VIII aveva fondato, lo commemora tra i santi.

il cattolicesimo perfezionato dal povero Enrico Viii, il suo piccolo cattolicesimo senza Papa, andò a gambe all’aria, anche prima che il re fosse morto. Venne spazzato via dal torrente delle cose che Enrico Viii aveva più odiate: il protestantesimo, che si mise subito a sfruttare il re; e il puritanesimo, che più tardi doveva decapitare il re. analoga sorte è toccata al puritanesimo. Mentre l’umanesimo di Moro anche oggi è fresco come il primo giorno, nell’immortale giovinezza dell’umorismo e del pensiero.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

G. K. chesterton, Tommaso Moro e l’Umanesimo

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune 71il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

© L’osservatore romano

La proclamazione di Tommaso Moro patrono di politici e governanti, il 31 ottobre 2000

in Piazza san Pietro a roma

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la sua eredItà Nel tempo

tommaso Moro è più importante in questo momento storico di quanto lo sia mai stato fin dalla sua morte, persino più di quel grande momento stesso; eppure non è oggi così importante come invece sarà tra un centinaio d’anni. Egli potrebbe arrivare ad essere riconosciuto come il più grande tra gli inglesi, o quantomeno il più grande personaggio storico nella storia d’inghilterra. perché egli fu al di sopra di tutto ciò che è storico; e rappresentò ad un tempo un tipo, un punto di svolta ed un destino ultimo. se non fosse successo l’avvento di quell’uomo particolare in quel particolare momento, la storia intera sarebbe stata differente.

il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

G. K. chesterton

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la resistenza di Moro e [del cardinale] Fisher alla supremazia della corona sul governo della chiesa fu un ergersi eroico. Erano consapevoli

dei difetti dell’esistente sistema cattolico, ma odiavano e temevano il nazionalismo aggressivo

che stava distruggendo l’unità della cristianità. Videro che la rottura con

roma comportava il rischio di un dispotismo libero d’ogni vincolo.

Moro si erse come difensore di quanto v’era di più bello nello

sguardo medievale. al cospetto della storia ne rappresenta

la sua universalità, il suo credo nei valori spirituali e il

suo senso istintivo dell’aldilà. Enrico Viii con una mannaia

crudele decapitò non solo un consigliere onesto e dotato,

ma un intero sistema che, per quanto avesse mancato di vivere all’altezza dei suoi

ideali nella realtà, aveva a lungo fornito l’umanità dei

suoi sogni più luminosi.

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W. churchill

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che cos’era, per noi che abbiamo combattuto il fascismo e il nazismo, la resistenza? la resistenza è stata innanzitutto un’intima e profonda scelta morale, compiuta dai giovani e dai non giovani.alla fine accettai. tommaso Moro, che per noi cattolici era un simbolo di libertà e di opposizione all’assolutismo di stato, divenne il mio nome di battaglia.

b. zaccagnini

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Una domanda provocatoria. Non è una figura un po’ troppo elevata,

quella di Tommaso Moro, per poterla proporre al mondo politico

di oggi? Attualmente i riferimenti a principi ideali scarseggiano, e la coerenza, in politica, sembra

merce davvero rara. la grazia serve essenzialmente ai peccatori. E di protettori ne hanno

bisogno soprattutto i deboli.

f. cossiga

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tommaso Moro si distinse per la costante fedeltà alle autorità e alle istituzioni legittime proprio perché, in esse, intendeva servire non il potere, ma l’ideale supremo della giustizia. la sua santità rifulse nel martirio, ma fu preparata da un’intera vita di lavoro nella dedizione a dio e al prossimo. Quest’armonia fra il naturale e il soprannaturale costituisce forse l’elemento che più di ogni altro definisce la personalità del grande statista inglese: egli visse la sua intensa vita pubblica con umiltà semplice, contrassegnata dal celebre “buon umore”, anche nell’imminenza della morte. Questo il traguardo a cui lo portò la sua passione per la verità. l’uomo non si può separare da dio, né la politica dalla morale: ecco la luce che ne illuminò la coscienza.

papa Giovanni paolo II

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in particolare, vorrei ricordare la figura di san tommaso Moro, il grande studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non

credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di

servire dio per primo [...]. E, in verità, le questioni di fondo che furono

in gioco nel processo contro tommaso Moro continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali.

ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di

nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri

cittadini, e fin dove esse possono estendersi? a quale autorità ci si può appellare per

risolvere i dilemmi morali? se i principi morali che sostengono

il processo democratico non si fondano, a loro

volta, su nient’altro di più solido che sul

consenso sociale, allora la fragilità

del processo si mostra in tutta

la sua evidenza. Qui si trova la

reale sfida per la democrazia.

papa benedetto XVI

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

bIoGrafIa

1474John More, Padre di Thomas More, magistrato di piccola nobiltà, sposa il 24 aprile di quest’anno agnes Granger, che in sette anni dal 1475 al 1482 gli darà alla luce ben sei figli.

1478secondogenito dopo la sorella Joan, il 7 febbraio 1478 nasce a Londra Thomas More

1490More entra come paggio in casa di John Morton, cancelliere d’Inghilterra e futuro cardinale.

1492all’Università di oxford segue gli studi di umanità.

1493 Nel New Inn di Londra inizia lo studio del diritto.

1496Il 12 febbraio si trasferisce da New Inn al più prestigioso Lincoln’s Inn, perfezionando la sua preparazione giuridica. Vi resterà fino al 1500.

1497L’1 settembre, muore Henry abyngdon, organista del re, e More compone tre epigrammi funebri in suo onore (nn. 159, 160 e 161), altri due suoi epigrammi (nn. 273 e 274) appaiono a stampa ad anversa in una grammatica latina per fanciulli intitolata “Lac puerorum”. si tratta delle sue prime composizioni databili.

1499Nel giugno Erasmo sbarca in Inghilterra, dove si tratterrà fino al gennaio 1500. In agosto More lo conduce a rendere omaggio al principe Enrico (il futuro Enrico VIII), allora in età di otto anni, al quale entrambi i visitatori offrono versi. Inizia da quell’incontro la loro fervida amicizia.

documenti a cura del centro culturale “san tommaso moro”

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1501ammesso alla professione forense, dà lezioni di diritto a Furnival’s Inn, una scuola dipendente da Lincoln’s Inn; assolverà tale incarico fino al 1517. Prende stanza presso la Certosa di Londra, dividendo la severa vita dei monaci, per saggiare la propria vocazione ascetica.

1502approfondisce lo studio del greco e gareggia con William Lily nel tradurre in versi latini, diciotto carmi tratti dall’anthologia Planudea; col titolo di Progymnasmata li pubblicherà nel 1518 in apertura della raccolta dei propri Epigrammata.

1504si apre il 21 gennaio la sessione del Parlamento; More vi siede alla Camera dei Comuni.Dopo l’ottobre sposa la diciassettenne Jane Colt, figlia maggiore di un gentiluomo di campagna dell’Essex. La coppia si installa nel sobborgo di Bucklersbury sul Tamigi, nella casa detta The Barge («La scialuppa»), dove More abiterà fino al 1524.

1505 Probabilmente il 1 gennaio offre quale strenna la propria versione inglese della biografia di Giovanni Pico della Mirandola all’amica d’infanzia Joyce Lee, che ha preso a Londra il velo delle clarisse. Erasmo sosta per qualche mese in Inghilterra, ospite di More. Circa in settembre nasce la primogenita Margaret, colta, affettuosa e devota (m. 1544).

1506 Nasce la seconda figlia Elizabeth.

1507 Fino al 29 settembre More è pensioner di Lincoln’s Inn, dove assume poi funzione di butler (maestro di casa). Nasce la terza figlia Cecily.

1508 Probabilmente nell’autunno compie il suo primo e breve viaggio sul continente, dove visita le Università di Parigi e Lovanio, interessandosi ai programmi e ai metodi didattici.

1509 Il 21 aprile muore a richmond Enrico VII; l’incoronazione di Enrico VIII e di Caterina d’aragona (sposi l’11 giugno) ha luogo a Westminster il 24. In agosto, reduci dall’Italia, giunge in Inghilterra Erasmo, il quale, ospite in casa di More, vi compone l’“Elogio della follia”.

documenti a cura del centro culturale “san tommaso moro”

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il sorriso della libertà Tommaso Moro, la politica ed il bene comune

In settembre More rappresenta i negozianti di Londra (la Mercers’ Company, che il 21 novembre lo accoglierà fra i suoi membri) nelle trattative con la città di anversa.Nasce John, quarto ed ultimo figlio, l’unico maschio, che morirà nel 1547.

1510 More rappresenta la City di Londra (21 gennaio) nel primo Parlamento convocato da Enrico VIII.È chiamato (3 settembre) alla carica di vice-sceriffo di Londra; siederà ogni giovedì mattina per giudicare le cause spicciole del tribunale municipale. È nominato docente (22 ottobre) a Lincoln’s Inn per il ciclo di lezioni autunnale.

1511 I primi d’aprile Erasmo è daccapo ospite di More, cui dedica (9 giugno) l’“Elogio della follia”, destinato a vedere la luce ad anversa l’anno seguente.Tra il luglio e l’agosto muore, a soli 23 anni, la moglie Jane; dopo un solo mese di vedovanza, certo spinto dalla necessità di affidare a cure responsabili i suoi quattro bambini, si accasa con la quarantenne alice Middleton, da due anni vedova di un mercer londinese, che ha con sé una figlia grandicella.

1512 Nel febbraio-marzo è daccapo deputato di Londra ai Comuni nel secondo Parlamento di Enrico VIII.

1513 Chiamato (13 settembre) a far parte di una commissione incaricata di provvedere al restauro del ponte di Londra. Inizia la stesura della History of King richard III, cui non darà l’ultima mano e che vedrà la luce postuma nel 1641.

1514 raggiunge a Lincoln’s Inn (1 novembre) il massimo grado accademico di lent reeder.

1515 Chiamato a far parte (7 febbraio) della missione diplomatica inglese incaricata di negoziare nei Paesi Bassi il rinnovo dei patti commerciali, More figura fra i destinatari delle istruzioni regie (7 maggio). Partito da Londra il 12, insieme al segretario personale John Clement, giunge a Brugge il 17 e là, poco più tardi, rivede Erasmo. Nelle pause delle difficili trattative ha occasione di recarsi per consultazioni a Magonza (1 luglio), a Tournai, e di visitare a Malines (agosto) Hiëronymus Busleyden, nella sua splendida casa-museo.Tornato a Brugge, il 20 ottobre vi data la lunga lettera polemica diretta a Martin van Dorp in difesa di Erasmo.

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1516 scrive ad Erasmo (febbraio) di aver ricusato una pensione regia, che avrebbe compromesso la sua indipendenza professionale al servizio della Mercers’ Company. Nel primo semestre stende il libro I di “Utopia”.È nominato (10 giugno) consigliere legale della Commissione annonaria di Londra.Nuova sosta a Londra di Erasmo, sempre ospite di More.In vista della pubblicazione, il 3 settembre, spedisce ad Erasmo il testo compiuto di “Utopia”, distinta ancora con il titolo originario Nusquama; il 2 ottobre l’amico gli assicura il proprio interessamento per la stampa. L’Utopia vede la luce nel dicembre.

1517 Una deliberazione regia (26 agosto) designa More con due colleghi a rappresentare l’Inghilterra in una controversia con la Francia per questioni di pirateria.La missione conduce More a Calais ai primi di settembre; L’8 settembre Erasmo scrive a Moro di avergli inviato in dono il ritratto suo e di Pieter Gilles. Dal 29 di quel mese corre lo stipendio di 100 sterline annue assegnatogli quale consigliere reale.

1518 Dal 5 marzo More risulta al servizio del re, quale membro del Consiglio privato, e al cadere d’aprile Erasmo gli scrive col rammarico di vederlo allontanato dagli studi e dagli amici. More si dimette (23 luglio) dalla carica di vicesceriffo.

1519 scrivendo ad Ulrich von Hutten (23 luglio), Erasmo delinea un affettuoso e lusinghiero ritratto di More.

1520 È chiamato (8 aprile) a far parte della commissione incaricata di ricevere l’imperatore e di rinnovare il trattato commerciale con l’Impero: muove da Greenwich (21 maggio).al seguito del re, per incontrare a Dover Carlo V; si imbarca (31 maggio) col re per l’incontro con Francesco I di Francia («campo del Drappo d’oro», 7-24 giugno).

1521 È nominato (2 maggio) cancelliere dello scacchiere e vice-tesoriere d’Inghilterra; il suo stipendio annuo ascende ora a 173 sterline; è insignito del titolo di cavaliere, che lo autorizza a portare la collana d’oro con le s intrecciate e la rosa araldica dei Plantageneti.La figlia Margaret, sedicenne, sposa (2 luglio) William roper (1496-1578).

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È chiamato (25 luglio) a far parte di una missione diplomatica, che sbarca a Calais il 2 agosto e raggiunge Brugge il 14; là si intrattiene con Erasmo, Vives e Gaspare Contarini.

1523 Con lo pseudonimo «Ferdinandus Baravellus» firma (13 febbraio) la dedica di una sua polemica “responsio” contro Lutero; l’opera avrà una seconda edizione in settembre, con un’aggiunta di 60 pagine, sotto il nuovo pseudonimo di «Gulielmus rosseus».È eletto (15 aprile) speaker della Camera dei Comuni nel quarto Parlamento di Enrico VIII.

1524si installa, prima dell’ottobre, nella sua nuova, grande casa di Chelsea sul Tamigi.È nominato (10 giugno) high steward, cioè patrono e censore, dell’Università di oxford.

1525 Negozia e conclude (28-30 agosto) la tregua con la Francia. assume le funzioni di cancelliere del ducato di Lancaster. È nominato (novembre) high steward anche dell’Università di Cambridge.

1526 Lascia (24 gennaio) l’ufficio di cancelliere dello scacchiere. rientra (14 luglio) da una breve missione diplomatica in Francia. Il re gli concede (19 novembre) una prebenda ecclesiastica a Westminster.Giunge ospite a Chelsea il grande pittore Hans Holbein, che ritrarrà l’intero gruppo di famiglia e fisserà le sembianze di More in una celebre tavola.

1527 Il vescovo di Londra Cuthbert Tunstall incarica More (marzo) di confutare le tesi dei riformati. Nominato (25 aprile) membro della commissione destinata a negoziare la pace con la Francia; al seguito del card. Wolsey, lascia Londra. Il re gli rivela (ottobre) la propria decisione di ottenere il divorzio; More si schermisce, sostenendo che si tratta di un affare da teologi e da canonisti.

1529 Insieme a Tunstall è designato (30 giugno) a rappresentare l’Inghilterra alla conferenza di Cambrai con la Francia; lasciata Londra il 1 luglio, il 4 è a Calais e il 5 a Cambrai, dove il 3 agosto viene firmata la Pace delle Dame; il 20 More ne dà relazione al re. Caduto in disgrazia il card. Wolsey, More riceve a Greenwich (25 ottobre), dalle mani del re, il Gran sigillo e diventa cancelliere del regno; il suo stipendio sale a oltre 400 sterline annue.all’apertura del Parlamento (3 novembre) presiede ex officio la Camera dei Lords.

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1530 ai primi di dicembre si spegne il padre, John More.

1532 adducendo a pretesto la cattiva salute, l’eccesso di lavoro e il compenso insufficiente, si dimette (16 maggio) dalla carica di cancelliere e il 19 consegna al re il Gran sigillo; in realtà, non si sente di appoggiare la condotta del sovrano nella questione del divorzio. Costruisce la tomba di famiglia nella chiesa di Chelsea e vi trasporta i resti della prima moglie: un affettuoso epitaffio esprime la volontà di riposare accanto alle sue due consorti.

1533 anna Bolena viene incoronata regina a Westminster (1° giugno): More si esime dall’assistere alla cerimonia.

1534 Invitato a prender posizione netta nella controversia sul divorzio reale, si presenta (13 aprile) al palazzo arcivescovile di Lambeth e rifiuta di sottoscrivere l’«atto di successione». Viene carcerato (17 aprile) nella Torre di Londra; ammalato, sofferente, ma sereno; compone vari scritti di meditazione e di ascesi religiosa.

1535Nel corso di quattro drammatici interrogatori (30 aprile, 7 maggio, 3 e 14 giugno), tiene testa con pacata fermezza alle minacce e alle blandizie dei giudici asserviti al monarca. Viene condannato a morte (Westminster 1 luglio) sotto l’imputazione «di aver parlato del re in modo malizioso, traditoresco e diabolico». scrive (5 luglio) l’ultima lettera a Margaret, benedicendo tutti i suoi cari.Il 6 luglio, alle 9 del mattino, viene decapitato sulla Tower Hill per gentile concessione del re, che gli risparmia l’impiccagione inflitta ai traditori; la sua testa mozzata viene esposta sul Ponte di Londra, rimpiazzando quella del card. John Fisher, che era stata troncata il 22 giugno.Un’ondata di sdegno e di commiserazione corre l’Europa: una Expositio fidelis del suo comportamento e del supplizio patito con inflessibile animo circolò largamente, a partire dal 23 luglio, sotto il nome sibillino di «Philippus Montanus», che cela forse quello illustre di Erasmo; largamente nota fu anche la lettera di eguale argomento spedita il 9 agosto dal cardinale Niccolò schönberg al card. Marino Caracciolo.Vari scritti ascetici vergati da More in carcere videro la luce postumi.Nel 1889 papa Leone XIII lo beatificò e nel 1935 (19 maggio), quarto centenario del supplizio, Pio XI lo proclamò assunto fra i santi. Il 31 ottobre del 2000 Giovanni Paolo II lo dichiara patrono di politici e governanti.

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testI dI tommaso moro t. Moro, Lettere dalla prigionia, traduzione di Maria Teresa Pintacuda Pieraccini, Bollati Boringhieri, Torino 1959

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t. Moro, Preghiere della Torre con una lettera di Erasmo da Rotterdam, introduzione e traduzione di Marialisa Bertagnoni, Morcelliana, Brescia 1968

t. Moro, Il dialogo del conforto nelle tribolazioni, traduzione e note di alberto Castelli, Editrice studium, roma 1970

t. Moro, Lettere dal carcere, Introd. di John Harriot s. J., trad. e note di alberto Castelli, Poliglotta Vaticana s.l., 1971

t. Moro, Centoventi epigrammi, traduzione italiana di Luigi Firpo, in Il Pensiero politico, a. 11 n. 2., olschki, Firenze 1978, pp. 209-242

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t. Moro, Nell’orto degli ulivi. Expositio Passionis Domini (1534-35), traduzione di Marialisa Bertagnoni, Edizioni ares, Milano 1985

t. Moro, Lettere, a cura di Bruno Fortunato, Editrice Morcelliana, Brescia 1987

t. Moro, Tutti gli epigrammi, traduzione di Luigi Firpo e Luciano Paglialunga, Edizioni san Paolo, Milano 1994

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t. Moro, Il Dialogo del conforto nelle tribolazioni, Traduzione e note di alberto Castelli, Fabbri Editore, Milano 1997

t. Moro, Le Quattro Cose Ultime con la Supplica delle Anime & nell’Orto degli Ulivi, traduzione e cura di Vittorio Gabrieli, Edizioni ares, Milano 1998

t. Moro, Preghiere e lettere dalla Torre, osanna Venosa, Potenza 2000

t. Moro, Gesù al Getsemani. De Tristitia Christi, traduzione di simona Erotoli, Figlie di san Paolo, Milano 2001

t. Moro, Lettera a Marten van Dorp (ottobre 1515), in Erasmo da rotterdam, Elogio della follia, Introduzione e note di stefano Cavallotto, traduzione della comunità di san Leonino, Ed. Paoline, 2004, pp. 378-418

t. Moro, Storia di Re Riccardo III, trad. it. di V. Gabrieli, Ed. di storia e Letteratura, roma 2005

t. Moro, Il corpo benedetto di Cristo, trad. it. a cura di Giuseppe Gangale in Città di Vita: Bim. di religione arte e scienza, Firenze, anno 60 n. 6, nov.-dic. 2005, pp. 633-642

t. Moro, La lamentazione della Regina Elizabeth, saggio per un’edizione delle opere liriche di Tommaso Moro, traduzione italiana di Carlo M. Bajetta, in Testo a Fronte, rivista semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria, n. 37 – anno XVIII – dicembre 2007, Milano

t. Moro, Poesie Inglesi, a cura di Carlo M. Bajetta, Ed. san Paolo, Milano 2010

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per saperNe dI pIùsui tempi di tommaso morog. K. chesterton, Una breve storia d’Inghilterra, rubbettino, 2003

W. cobbett, a history of the protestant reformation in England and Ireland, Tan Book and Publishers, 1988

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W. roper, Vita di Tommaso Moro, traduzione e note di Joseph Cinquino, M D’auria Editore, Napoli 1968

J. aubrey, “Sir Thomas More”, in Vite brevi di uomini eminenti, a cura di oliver Lawson Dick, traduzione di

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V. gabrieli, g. Melchiorri, The book of Sir Thomas More, Editrice adriatica, Bari 1981

V. Puccim, Tommaso Moro, Edizioni Messaggero, Padova 1984

l. bouyer, Tommaso Moro: umanista e martire, Jaca Book, Milano 1985

a. Paredi, Vita di Tommaso Moro, Edizioni o.r., Milano 1987

E. E. reynolds, Il processo di Tommaso Moro, salerno Editrice 1985

c. Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, 1993

P. ackroyd, Thomas More. Una sfida alla modernità, traduzione di Luca Cafiero, Edizioni Frassinelli, 2001

P. c. Martinez, “Tommaso Moro” Il primato della coscienza, Trad. Isabella Mastroleo, Edizioni Paoline, Milano 2010

g. K. chesterton, Tommaso Moro e l’umanesimo, in g. K. chesterton, I delitti dell’Inghilterra, raffaelli 2011

Un uomo per tutte le stagioni,1966, vincitore di sei Premi oscar, regia di Fred zinnemann, con Paul scofield, Wendy Hiller, Leo McKern, robert shaw, orson Welles

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foNdazIoNecostruIamo Il futuroLa Fondazione Costruiamo il Futuro nasce nel 2009 su iniziativa di Maurizio Lupi, oggi Vice Presidente della Camera dei Deputati. La Fondazione si prefigge come obiettivo “lo studio e lo sviluppo di una cultura politica che si fondi sul principio di sussidiarietà” (art.3 dello statuto). Per il raggiungimento del proprio scopo la Fondazione esercita attività di studio e ricerca, informazione, formazione e divulgazione, contribuendo al dibattito politico-amministrativo e ponendosi come punto di raccolta del contributo delle realtà locali per l’elaborazione di proposte specifiche da sottoporre nelle sedi istituzionali più opportune. Costruiamo il Futuro è una fondazione con una spiccata attenzione al territorio; recupera e sviluppa infatti la presenza e le attività delle associazioni

Costruiamo il Futuro a Merate ed a seregno.La peculiarità della Fondazione Costruiamo il Futuro è riscontrabile sin dal momento costitutivo. Essa infatti ha come soci fondatori oltre cento esponenti del mondo imprenditoriale, artigianale, culturale, liberi professionisti e amministratori estremamente legati ed innamorati del proprio territorio.La Fondazione gode del riconoscimento Nazionale previsto dal Codice Civile a testimonianza di una vocazione nazionale e rivolge la propria attività a tutti quei cittadini che a livello locale e nazionale, sociale e politico, con il proprio studio e la propria intrapresa, intendono impegnarsi nello studio e nell’applicazione di modelli di sussidiarietà, impegnandosi anche nella raccolta fondi e nel sostegno di esperienze sociali che studiano o realizzano il principio di sussidiarietà.

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coordinaMEnto gEnEralE:Carlotta BorghesiValentina Frigerio

dirEzionE artistica E ProgEtto graFico:Blossom Communications - blossoming.it

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CoN IL PaTroCINIo DI

CoN L’aLTo PaTroNaTo DEL PrEsIDENTE DELLa rEPUBBLICa

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