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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2005-2006 Prof.ssa Emanuela Speranzini De Saint Venant-FLESSIONE 7 IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT FLESSIONE SEMPLICE Si ha flessione semplice quando agiscono sulle sezioni terminali della trave due sistemi di forze equivalenti a due coppie di verso contrario e di modulo uguale (Figura 1) Fig. 1 Le coppie appartengono ad un piano passante per l’asse della trave (piano di sollecitazione) e avente traccia s-s sulla sezione normale (asse di sollecitazione). In queste condizioni la trave si inflette, assumendo la seguente configurazione deformata (Figura 2) Fig. 2

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IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

FLESSIONE SEMPLICE

Si ha flessione semplice quando agiscono sulle sezioni terminali della trave due sistemi di

forze equivalenti a due coppie di verso contrario e di modulo uguale (Figura 1)

Fig. 1

Le coppie appartengono ad un piano passante per l’asse della trave (piano di sollecitazione) e

avente traccia s-s sulla sezione normale (asse di sollecitazione). In queste condizioni la trave si

inflette, assumendo la seguente configurazione deformata (Figura 2)

Fig. 2

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Le sezioni trasversali, come quelle delimitate dai punti A,B,C e D, restano piane. È questa l’ipotesi

fondamentale di Bernoulli-Navier:”le sezioni piane, condotte normalmente all’asse della trave,

restano tali dopo che la trave è stata inflessa” (Figura 3).

Fig. 3

La sezione verticale CD assume la posizione inclinata C’D’. I due piani π e π’ (Figura 4) che

contengono la sezione prima e dopo la deformazione, si intersecano lungo la retta n-n detta asse

neutro, in quanto lungo questa retta l’elongazione εz è nulla.

Fig. 4

Per fibre parallele all’asse neutro la εz è costante e la variazione con η (coordinata ortogonale

all’asse neutro) è lineare

ηε kz = ,

mentre le altre componenti di deformazione valgono

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ηννεεε kzyx −=−==

0=== yzxzxy γγγ

mentre le relative componenti di tensione per un qualsiasi punto del solido sono

ησ Ekz = (1)

0===== yzxzxyyx τττσσ .

Con questo stato tensionale la superficie laterale del cilindro risulta scarica, mentre affinché siano

soddisfatte le condizioni globali di equilibrio, occorre che sia

∫ ==A

zdAN 0σ (2)

essendo nulla la forza assiale agente nella sezione normale;

∫ ==−A

zss dAM 0δσ (3)

poiché è nullo il momento delle forze esterne rispetto a tale asse;

∫ ==−A

zss MdAM αησ cos (4)

poiché la somma dei momenti elementari σzηdA rispetto all’asse n-n deve uguagliare la componente

Mn-n del momento esterno.

Tenuto conto della (1), la (2) diventa

∫ ==A

dAEkN 0η

e l’integrale rappresenta il momento statico della sezione rispetto all’asse neutro, ed è nullo solo se

l’asse neutro passa per il baricentro G della sezione.

Introducendo la (1) nella (3) si ha

∫ =A

dAEk 0ηδ

l’integrale rappresenta il momento centrifugo della sezione rispetto all’asse di sollecitazione s-s e

all’asse neutro n-n, ed è nullo quando i due assi sono coniugati rispetto all’ellisse centrale d’inerzia

della sezione (Figura 5)

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Fig. 5

Con questa seconda condizione viene univocamente determinata la posizione dell’asse neutro.

Tramite la relazione (4) si può valutare la costante k:

∫ =A

MdAEk αη cos2

detto ∫=A

n dAI 2η il momento d’inerzia rispetto all’asse neutro si ha dalla (1)

ησα z

nIMEk ==

cos

da cui si ricava la seguente formula (detta formula monomia):

ηασn

k IM cos

= (5)

La (5) assicura che le tensioni σz provocate dal momento flettente M si annullano in corrispondenza

dell’asse neutro e sono costanti lungo ogni corda a questo parallela e linearmente proporzionali alla

distanza da esso.

L’asse neutro separa la sezione in due parti nelle quali si hanno tensioni di segno opposto. I valori

massimi delle tensioni si hanno nei punti più lontani dell’asse neutro. Indicate con η’ e η’’ le loro

distanze (Figura 5) si ha:

'cos'cos'W

MI

Mn

zαηασ == (6)

''cos''cos''W

MI

Mn

zαηασ ==

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dove si è posto ''η

nIW = e ''''η

nIW = .

Le relazioni (6) mettono in evidenza che, a parità di M, le tensioni massima e minima sono tanto

minori quanto più sono grandi W’ e W’’. Questi prendono il nome di moduli di resistenza alla

flessione e dimensionalmente

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][][][ L

LLIW n ===

η

Quando agisce un momento flettente con asse di sollecitazione s-s, l’asse della trave

appartiene, a deformazione avvenuta, ad un piano detto piano di flessione. La traccia di tale piano

con la sezione normale è detta asse di flessione f-f, ed è normale all’asse neutro. Quindi, applicando

un momento esterno con asse di sollecitazione s-s, la sezione ruoterà intorno all’asse neutro n-n,

inflettendosi nella direzione ortogonale ad esso, indicata dall’asse di flessione f-f (Figura 6).

Fig. 6

Come abbiamo visto, l’asse di sollecitazione in generale non è ortogonale all’asse neutro: ne

consegue che l’asse di sollecitazione e l’asse di flessione sono distinti. In questo caso si parla di

flessione deviata.

Solo nel caso particolare in cui l’asse di sollecitazione coincide con uno dei due assi principali

d’inerzia della sezione, esso risulterà ortogonale all’asse neutro. Allora, in questo caso speciale,

l’asse di sollecitazione e l’asse di flessione coincidono e la sezione si infletterà nella direzione

indicata dall’asse di sollecitazione, cioè lungo la stessa direzione in cui è applicata l’azione flettente

esterna. In questo caso si parla di flessione retta (Figura 7).

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Fig. 7

Utilizzando il principio di sovrapposizione degli effetti è sempre possibile ricondursi allo studio di

due flessioni rette, supponendo il momento flettente esterno M nelle due componenti secondo gli

assi principali d’inerzia (Figura 8)

Fig. 8

Scegliendo il sistema di riferimento G,x,y diretto come gli assi principali d’inerzia, si ha che la

flessione deviata (generata dal momento flettente M), può essere studiata con due flessioni semplici

rette, caratterizzate da:

1. dal momento flettente Mx, con asse di sollecitazione coincidente con l’asse y e come asse

neutro l’asse x;

2. dal momento flettente My, con asse di sollecitazione coincidente con l’asse x e come asse

neutro l’asse y.

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Sommando gli effetti, la tensione in un punto vale

xI

My

IM

y

y

x

xz −=σ (formula binomia) (7)

e nel caso di flessione semplice retta (ad esempio M=Mx) si riduce all’unico termine

yI

Mx

xz =σ (formula di Navier)

Valutiamo ora la rotazione φx prodotta dalla flessione semplice retta dovuta a Mx. A tal fine

scostiamo a destra (incremento positivo) la rotazione relativa di un concio elementare di trave

(Figura 9)

Fig. 9

La rotazione tra le basi del prisma di lunghezza l vale

lEIM

x

xx =ϕ

(la quantità EIx è detta rigidità flessionale (dimensionalmente [EIx]=FL-2L4=FL2))

In conseguenza dell’effetto Poisson, la zona compressa della trave si dilata trasversalmente (come

si può vedere operando su una normale gomma per cancellare), mentre la zona tesa si contrae. La

superficie neutra si deforma secondo una superficie a doppia curvatura, detta superficie anticlastica.

La curvatura ρx vale:

x

xx

xx EI

Mlr===

ϕρ 1

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IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

FORZA NORMALE E FLESSIONE

E’ il caso in cui agisce sulla trave una forza normale N applicata in un punto C, eccentrico

rispetto al baricentro G (Figura 1).

Fig. 1

Valgono le seguenti relazioni:

−=

=

xy

yx

NeMNeM

−=

=

NM

e

NMe

yx

xy

Il piano individuato dalla linea d’azione di N e dall’asse z del prisma è il piano di sollecitazione e la

sua traccia nel piano della sezione normale è l’asse di sollecitazione s-s.

Utilizzando il principio di sovrapposizione degli effetti risulta:

xI

My

IM

AN

y

y

x

xz −+=σ (formula trinomia)

e ricordando che 2xx AI ρ= e 2

yy AI ρ=

la formula trinomia può essere così riscritta

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++= x

ey

eAN

y

x

x

yz 221

ρρσ

con una forma utile per determinare l’equazione dell’asse neutro (Figura 2), σz =0 cioè:

122 −=+ xeye

y

x

x

y

ρρ

Fig. 2

Le intersezioni con gli assi coordinati si ottengono dai sistemi

−=

=

y

x

ey

x2

−=

=

x

y

ex

y2

che consentono di individuare immediatamente l’asse neutro.

Si noti che tale asse (non più baricentrico come nella flessione semplice) ed il centro di

sollecitazione C, si trovano sempre da parti opposte rispetto a G.

La sollecitazione di forza normale e flessione (presso-flessione o tenso-flessione, a seconda che sia

N<0 e N>0) si chiama anche sollecitazione di forza normale eccentrica e si riduca a:

o forza normale centrata, se ex= ey=0 (in questo caso l’asse neutro diviene la retta

impropria);

o flessione semplice retta, quando C è il punto improprio di uno degli assi principali

d’inerzia (in questo caso l’asse neutro è baricentrico ed ortogonale all’asse di

sollecitazione);

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o flessione semplice deviata, quando C è un qualsiasi punto improprio del piano che

contiene la sezione (in questo caso l’asse neutro è baricentrico e coniugato all’asse di

sollecitazione rispetto all’ellisse centrale d’inerzia).

Si possono ottenere delle formule monomie per la forza normale eccentrica introducendo la

distanza λn di un punto della sezione rispetto all’asse neutro (Figura 3)

Fig. 3

2

2

2

2

22 1

+

++=

y

x

x

y

y

x

x

y

n

ee

xeye

ρρ

ρρλ

che introdotta nella formula trinomia fornisce

ny

x

x

ynz Kee

AN λ

ρρλσ =

+

=

2

2

2

2

dove

2

2

2

2

+

=

y

x

x

y eeANK

ρρ .

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Si può quindi procedere in due modi differenti:

1. s’impone l’equilibrio alla traslazione nella direzione z:

∫∫ ===A

nnA

z KSdAKdAN λσ

con Sn momento statico della sezione trasversale rispetto all’asse neutro, da cui nSNK = , e

quindi:

nn

z SN λσ =

2. s’impone la rotazione attorno all’asse neutro

∫∫ ===−A

nnA

nznn KIdAKdAM 2λλσ

con In momento d’inerzia della sezione trasversale rispetto all’asse neutro e Mn-n componente del

momento flettente esterno nella direzione dell’asse neutro; quindi nnn IMK −= , da cui

nn

nnz I

M λσ −=

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IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

FORZA ASSIALE

Fig. 1

Si faccia riferimento alla trave in Figura 1, mantenuta in equilibrio da due forze uguali ed

opposte N agenti su ciascuna delle due sezione di estremità. Poiché la trave si trova in equilibrio nel

suo insieme, lo sarà anche in ogni sua parte; effettuando un taglio normale all’asse del solido, la

tensione normale (Figura 2) che agisce nella sezione tagliata vale

AN

z =σ

Fig. 2

e risulta uniformante distribuita nella sezione di area A. Lo stato tensionale presenta dunque le

seguenti componenti:

0== yx σσ

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5

AN

z =σ

0=== yzxzxy τττ .

Impiegando le relazioni derivanti dai legami costitutivi per materiali isotropi, segue allora

Ez

yxσνεε −==

Ez

zσε =

0=++ yzxzxy γγγ

Fig. 3

Poiché ogni punto del prisma (Figura 7) subisce dilatazioni costanti e gli scorrimenti sono tutti

nulli, le sezioni che in origine erano piane si mantengono tali anche dopo la deformazione.

Un elemento prismatico di altezza dz, come quello di Figura 4, presenta un variazione di

lunghezza pari a

dzEANdz

Edzdw z

z ===σε

Fig. 4

e la variazione di lunghezza Δl del prisma di lunghezza iniziale l è

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6

∫∫ ===∆ll

EANldz

EANdwl

00.

Il lavoro interno, cioè l’energia elastica accumulata nel prisma, è fornito dal teorema di Clapeyron

EAlNAl

EdzdAL z

l

Azzi

22

0 21

21))((

21

=== ∫ ∫σεσ

con (σzdA) forza e (εzdz) spostamento

ed uguagliando il lavoro esterno

EAlNlNLe

2

21

21

=∆⋅=

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IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

Se un sistema di forze in equilibrio agisce su una parte ∂Ω’ della superficie ∂Ω di un solido Ω

(Figura 1), i suoi effetti si smorzano allontanandosi da ∂Ω’. Quindi la presenza del sistema di forze

praticamente non si avverte più ad una conveniente distanza, che dipende dalla forma di ∂Ω’ e dalle

sue dimensioni (postulato del De Siant-Venant).

Fig. 1

In realtà affinché esista una zona in cui l’effetto della distribuzione puntuale delle forze non si

risenta, occorre che la superficie ∂Ω’ sia piuttosto ristretta rispetto alle dimensioni del corpo. Ciò si

ottiene imponendo che il solido analizzato sia abbastanza lungo rispetto alle dimensioni delle sue

“basi” e che esso sia soggetto a forze soltanto in corrispondenza di queste (Figura 2).

Si considerano pertanto nulle

o Sia le forze di volume

o Che quelle agenti sulla superficie laterale

Fig. 2

Dal postulato del De Saint-Venant si trae che, escluse le zone più vicine alle basi, gli effetti delle

forze applicate dipendono soltanto dalle caratteristiche della sollecitazione interna e non

dall’effettiva distribuzione delle forze. Ciò si verifica superata una certa distanza dalle basi, detta

lunghezza di estinzione de. Come lunghezza di estinzione si può in linea di massima assumere la

metà della dimensione maggiore della sezione retta.

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2

E’ da far notare che tutto quello che si è detto è valido se la sezione trasversale del solido ha

dimensioni tra loro comparabili, come accade per le cosiddette sezioni compatte.

Il solido che si prende in esame ha forma cilindrica, generata da una sezione piana per

traslazione normale (Figura 3), ed è composta da un materiale linearmente elastico, omogeneo ed

isotropo.

Fig. 3

Nella trattazione dei casi particolari quasi sempre si assume O≡G e gli assi di riferimento

coincidenti con gli assi principali. Tuttavia i risultati a cui si perviene sono indipendenti da queste

assunzioni.

Il problema del De Siant-Venant è un problema ai valori al contorno nelle forze (espresse in

forma globale e non locale), la cui soluzione è quindi unica a meno di uno spostamento rigido

infinitesimo. Per eliminare tale spostamento si ipotizza che un’area infinitesime nell’intorno di G sia

fissa. In questo modo tutti gli altri punti della sezione di base conservano la possibilità di deformarsi

liberamente.

Seguendo l’approccio del metodo semi-inverso si ammette che ogni elemento superficiale

parallelo all’asse z sia soggetto esclusivamente ad una tensione tangenziale parallela all’asse stesso

(Figura 4).

Fig. 4

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3

Le fibre longitudinali non si trasmettono quindi fra loro tensioni normali, ma solo tensioni

tangenziali parallele all’asse del cilindro. Ciò si realizza ponendo

0=== xyyx τσσ

Lo studio del solido del De Saint-Venant può essere ricondotto a 4 casi di sollecitazione

semplice che vengono qui di seguito esposti.

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1

IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

TAGLIO

Quando la risultante esterna delle azioni ad un estremo delle trave giace nel piano della

sezione e passa per un punto, detto centro di taglio, la trave risulta sollecitato a taglio (Figura 1).

Fig 1

Tuttavia, l’equilibrio richiede palesemente la presenza di un momento flettente M. dunque la

sollecitazione di taglio si accompagna sempre alla flessione. La trattazione analitica di questo caso

particolare del problema del De Saint-Venant è abbastanza complessa, così è stata sviluppata sin dal

1845 (Jourawski) una teoria approssimata che conduce a risultati sufficientemente accurati per le

applicazioni.

Si assume che la sezione trasversale sia dotata di un asse di simmetria verticale e che lungo ogni

corda ad esso normale sia τzy=cost. Con quest’ultima ipotesi si rinuncia alla valutazione locale delle

tensioni tangenziali, ma si assume come incognita il loro valore medio. Quest’ipotesi è

maggiormente verificata se la corda b risulta sufficientemente corta (Figura 2).

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2

Fig. 2

Su un tronco elementare di trave agiscono le seguenti azioni (Figura 3):

Fig. 3

Estratta a sua volta la parte inferiore di questo elemento (quella annerita in figura), l’equilibrio alla

traslazione nella direzione z fornisce

( )∫∫ =++−−**

0A

zzzyA

z dAdbdzdA σστσ (1)

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3

Fig. 4

dalla formula di Navier yIM

xz =σ si ha

TdzIydz

dzdM

Iyd

xxz ==σ

Semplificando e sostituendo questo risultato nella (1) si ottiene

∫ =−A

zyx

bydAIT 0τ

da cui

bITS

x

xzy

*

=τ (formula di

Jourawski1) Dove Sx* è il momento statico dell’area A* rispetto all’asse baricentrico x (asse neutro per la

flessione). Essendo nullo il momento statico dell’intera sezione, risulta Sx(A*)=- Sx(A-A*) e si può

introdurre la seguente convenzione per le tensioni tangenziali:

o Sx>0 allora τ entranti

o Sx<0 allora τ uscenti (Figura 5)

1 La formula fu proposta dal polacco D.J. Jourawski nel 1845 studiando la formazione di rotture orizzontali nei collegamenti in legno di alcuni ponti ferroviari tra Mosca e S. Pietroburgo.

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4

Fig. 5

Nota la composizione τzy si può calcolare la componente τzx, in base a considerazioni geometriche,

imponendo che al bordo la risultante delle tensioni sia tangente al contorno stesso (Figura 6).

Fig. 6

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5

Deformazione dovuta al taglio e fattore di taglio Una forza tagliante non produce solo abbassamenti, ma anche l’ingobbamento della sezione

(Figura 7):

Fig. 7

Ciò è dovuto al fatto che le tensioni tangenziali τzy e quindi le deformazioni Gzyzy τγ = ,

variano lungo l’altezza della trave. In particolare, le γzy sono nulle nelle fibre estreme, dove gli

angoli si conservano retti.

Solo nel caso ideale di tensioni tangenziali costanti le sezioni non si ingobbano, risultando (Figura

8):

o AT

zy =τ

o GAT

zy =γ

Fig. 8

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6

Nel caso più generale di tensioni variabili, l’abbassamento della sezione può essere stimato

impiegando un γ medio.

Per dare un’espressione al γm uguagliamo i seguenti lavori elementari:

dzTTdvdL me γ21

21

== ,

=

+=

+= ∫∫ dA

GdzdvdL

Azxzy

dVzxzxzyzyi

22

21

21

21

21

21 ττγτγτ

( ) ( )dAtgbS

AAT

GdzdAtg

bS

IT

Gdz

A

x

xA

x

x

αρ

α 22*

4

22

2*

2

2

112

12

+

=+

= ∫∫ ,

essendo 2xx AI ρ= .

La quantità adimensionale

( )dAtgbS

A A

x

x

αρ

χ 22*

4 11+

= ∫

è detto fattore di taglio e dipende solo dalla geometria della sezione ed assume valori sempre

maggiori di 1.

Con quanto sopra riportato, uguagliando i lavori si ottiene:

dzGATTdzT m χγ

21

21

= ,

da cui

GAT

m χγ =

Il centro di taglio

Fig. 9

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7

La forza T di Figura 9, oltre alla inflessione della trave produrrà un avvitamento attorno all’asse

della trave. Di ciò è responsabile l’eccentricità di T, che genera un’azione torcente. Questo effetto

può essere evitato quando “la risultante delle forze esterne si riduce ad un’unica forza, giacente nel

piano della base libera, la cui retta d’azione passa per un punto Ct detto centro di taglio”. Allora la

distribuzione delle tensioni tangenziali τzx e τzy è da attribuirsi solo al taglio e non alla torsione.

Applicazioni

Quando una sezione è dotata di due assi di simmetria, allora il Ct coincide con il baricentro

G (Figura 10).

Fig. 10

È anche immediato il caso in cui le singole forze Fi convergono tutte nello stesso punto (Figura 11)

Fig. 11

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1

IL SOLIDO DEL DE SAINT-VENANT

TORSIONE

Il solido del De Saint Venant è soggetto a torsione semplice quando i carichi applicati nelle

due sezioni di base sono equivalenti a due coppie uguali e contrarie Mt, agenti attorno all’asse

geometrico del solido (Figura 1).

Fig. 1

Si studia in questa fase il caso semplice della sezione circolare. La semplificazione deriva dal fatto

che la sezione con forma circolare durante la deformazione si conserva piana, cioè non presenta

spostamenti fuori dal proprio piano.

Ammettendo che lo scorrimento angolare γ (=γ zθ) vari linearmente lungo l’asse del cilindro,

risulta in definitiva che la cinematica del solido sia descritta semplicemente da una rotazione rigida

uniforme delle sezioni trasversali attorno all’asse geometrico (Figura 2).

Fig. 2

Essendo γ una quantità piccola, ogni generatrice del cilindro si trasforma in un’elica con piccola

inclinazione. Prendendo all’interno del solido un cilindretto elementare si ha per l’arco elementare

AA’ (Figura 3)

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2

Fig. 3

ϑγ rddz = (1)

ovvero

dzdr ϑγ =

dove 1ϑϑ=

dzd

=cost è detto angolo unitario di torsione.

Impiegando il legame costitutivo γτ G= si trova

dzdGr ϑτ = (2)

cioè le tensioni tangenziali τ (=τ zθ) sono proporzionali al raggio r e dirette normalmente ad esso

(Figura 4).

Fig. 4

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3

Uguagliando il momento interno prodotto dalle τ, con quello della caratteristica di sollecitazione

Mt, si ottiene una relazione per θ1

tA

MrdA =∫τ ,

con ∫A

dAτ = forza; r = braccio

inoltre

tA

MdArdzdG =∫ 2ϑ

,

quindi

p

t

GIM

dzd

(3)

dove ∫=A

p dArI 2è il momento d’inerzia polare della sezione rispetto a G. Infine, sostituendo la

(3) nella (1) e nella (2) si arriva alle

p

t

GIrM

=γ e p

t

IrM

=τ (4)

che forniscono lo stato di deformazione e di tensione in ogni punto della sezione.

Le componenti cartesiane della tensione tangenziale valgono

yIMr

IM

p

t

p

tzx −=−=−= ααττ sinsin

xIMr

IM

p

t

p

tzy === ααττ coscos

Le altre componenti speciali di tensione σx, σy, σz, τxy, sono tutte nulle.

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4

Fig. 5 Dalla relazione (3) segue che la rotazione mutua di due facce distanti dz è

dzGIMd

p

t=ϑ ,

cossicchè, per un tronco di cilindro lungo l si ha:

lGIM

p

t=ϑ .

Il lavoro esterno vale

ptte GI

lMML 2

21

21

== ϑ ,

quello di deformazione interno

pt

AA p

t

Vi GI

lMdArGI

lMdAG

dVL 222

22

21

221

21

==== ∫∫∫ ττγ .

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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2005-2006 Prof.ssa Emanuela Speranzini LA TENSIONE

1

LA TENSIONE Ci si propone di studiare come le forze si trasmettono all’interno del corpo e di misurare, in

qualche modo, lo stato di costrizione interno che esse generano.

Aspetti statici e definizioni A titolo di esempio, si può pensare di sezionare la provetta di Figura 1 con un piano

orizzontale p (metodo delle tensioni). Il continuo, prima di essere tagliato dal piano p, si trovava

in una condizione di equilibrio sotto l’applicazione di un sistema di forze F. Questa condizione, in

generale, non è più verificata per le due metà ottenute, perché ognuna delle due esercitava, prima

del taglio, sull’altra delle sollecitazioni uguali e contrarie (una forza F), che nella condizione attuale

non sono più presenti.

Fig. 1 Il provino sezionato dal piano p non è più in equilibrio, perché ognuna delle due metà manca dell’apporto dell’altra

Invocando l’equilibrio delle parti sezionate, si può immaginare che la forza F si distribuisca

uniformemente sulle sezioni, così che la componente normale della tensione vale

AF

z =σ

Essa assume quindi il significato fisico di una densità superficiale di forza.

Dimensionalmente [sz]=FL-2 e come unità di misura si impiega il MPa (~10 Kgf cm-2), conformemente al “Sistema

Internazionale di misura-SI” (direttiva del Consiglio della Comunità Europea ’76).

Una tensione normale è positiva se di trazione, negativa se di compressione

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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2005-2006 Prof.ssa Emanuela Speranzini LA TENSIONE

2

Fig. 2 Comunque preso un punto P interno al continuo ed un piano p passante per esso,è individuata la normale n e la forza DF, in un intorno di P avente area DA

Per meglio comprendere e descrivere lo stato di tensione in un punto, cioè lo stato di costrizione

tridimensionale nell’intorno del punto (Figura 2), è conveniente introdurre il concetto di vettore

tensione, definito dal limite

AFt

An ∆∆

=→∆ 0

lim

dove DF è la forza che agisce sull’elemento d’area DA.

La nozione di tensione che qui è stata introdotta è dovuta ad Eulero (a cui si deve il metodo delle tensioni), il vettore

tensione è stato invece postulato da Cauchy.

Nella figura 3, dF è la forza applicata all’elemento infinitesimo d’area dA, individuato dalle

normale n.

Fig. 3

Ovviamente, facendo sempre stazione nel punto P, ma cambiando l’inclinazione del piano passante

per P, cioè facendo variare la direzione della normale n, cambiano tutte le grandezze in gioco e

quindi anche il vettore tensione (i piani con cui posso sezionare il continuo sono infiniti e

rappresentano una stella di piani passanti per P).

L’insieme degli infiniti vettori tensione (∞2) della stella di rette di centro P, costituisce lo stato di

tensione nel punto.

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3

Ai fini applicativi è utile riferirsi ed un intorno elementare del punto a forma di

parallelepipedo, per il quale ed ognuna delle tre giacitura (x,y,z) è possibile individuare un

particolare vettore tensione (Figura 4).

Fig. 4 Sono riportati i vettori tensione relativi alle facce del parallelepipedo di normale positiva

Ad esempio, per il generico vettore tz le componenti nel sistema di riferimento (x,y,z) sono

riportate nella figura seguente (Figura 5)

Fig. 5 La notazione tz indica che questo vettore è si è sviluppato su di un piano avente come normale z, ma il vettore ha una direzione qualsiasi nello spazio (infatti si vedono le sue componenti tzx, tzy, lungo x ed y) e non è formato solo dalla sz lungo z.

La componente normale s del vettore tz è detta normale, mentre le t vengono dette componenti

tangenziali di tensione. Convenzionalmente si adatta per gli indici la seguente notazione:

abσ dove a indica la che la tensione agisce su di un piano avente come normale a, ma è diretta

nella direzione di b.

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4

L’operazione precedente, che era stata eseguita per la direzione z, può essere ripetuta orientando la

normale secondo l’asse x e y, ottenendo:

Fig. 6

Simmetria delle tensioni tangenziali

Una caratteristica fondamentale delle tensioni tangenziali è la loro simmetria. Dal punto di

vista analitico l’equilibrio alla rotazione attorno ai tre assi (x,y,z) permette di ottenere l’espressione

delle tensioni tra loro simmetriche. A titolo di esempio imponiamo l’equilibrio alla rotazione

intorno all’asse x per il parallelepipedo elementare illustrato in figura 7.

Fig. 7

Le componenti di tensione indicate sono le sole che producono momento rispetto all’asse x, perché

a differenza delle altre hanno un braccio diverso da zero. Si ha quindi

(tyz dx dz) dy - (tzy dx dy)dz = 0

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5

cioè

tyz = tzy

analogamente per le altre direzioni y ez

txz = tzx

txy = tyx

Le sei componenti di tensione sx , sy, sz, txy, txz, tyz, vengono dette componenti speciali di

tensione ed individuano lo stato di tensione nell’intorno di un punto.

Si noti la dualità con le componenti di deformazione.

Un elemento capace di descrivere lo stato tensionale nell’intorno di un punto P, riportando tutte le

tensioni tangenziali e normali nelle varie direzioni è il cosiddetto tensore delle tensioni:

=

zzyzx

yzyyx

xzxyx

ij

στττστττσ

σ

Espressioni della tensione normale e tangenziale per una direzione arbitraria Con riferimento al caso piano illustrato in Figura 8, si valutano le tensioni relative alla

direzione dell’asse x*, a partire dalla conoscenza delle componenti sx , sy, txy nel punto O.

Fig. 8

Moltiplicando le tensioni per le rispettive aree elementari su cui agiscono, si ottengono delle forze

elementari. Allora, isolato un elemento triangolare e detta dA l’area della faccia obliqua,

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6

Fig. 9

le alte due facce con traccia AC e CB valgono rispettivamente, dA cosq, e dA sinq, mentre

le forze che agiscono sull’elemento triangolare sono dunque:

Fig. 10

Fig. 11

Calcolate le componenti possiamo poi imporre l’equilibrio lungo x* e y*:

SFx* = 0

sx* dA - sx dA cos 2q - txy dA sin q cos q – sy dA sin 2q - txy dA sin q cos q = 0

(1)

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7

sx* = sx cos 2q - sy sin 2q + 2txy, sin q cos q

SFy* = 0

tx*y* dA + sx dA sin q cos q - txy dA cos2 q – sy dA sin q cos q - txy dA sin2 q = 0

(2)

tx*y* = + 1/2 (sy - sx) sin 2q + txy cos 2q

Le equazioni (1) e (2) costituiscono le espressioni della tensione normale e di quella

tangenziale al variare dell’angolo q sotteso dall’asse x*.

Tensioni e direzioni principali di tensione

Disponendo della legge di variazione della tensione normale in funzione dell’anglo q,

ci si domanda quali siano i suoi valori estremi (max e min) e lungo quali direzioni uscenti dal

punto O essi si manifestino.

Ricordando le relazioni trigonometriche

22cos1cos2 ϑϑ +

= e 2

2cos1sin 2 ϑϑ −=

è conveniente riscrivere la (1) in questo modo:

ϑτϑσσσσ

σ 2sin2cos22* xy

yxyxx +

−+

+= (3)

Imponiamo allora la condizione di estremo

0* =ϑσd

d x

che fornisce

02cos22sin)( =+−− ϑτϑσσ xyyx (4)

ovvero

yx

xytgσσ

τϑ

−=

22 (5)

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8

quindi le direzioni cercate sono

−=

+=

yx

xy

σστ

ϑ

πϑϑ

2arctan

21

2

1

12

queste due direzioni, tra di loro ortogonali, lungo le quali la tensione normale assume i valori

massimo e minimo, si definiscono direzioni principali di tensione.

22

2

1

22 xyyxyx τ

σσσσσσ

+

−±

+=

(6)

Il confronto tra la relazione (4) e la (2) implica che lungo le direzioni principali di tensione le

tensioni tangenziali sono nulle.

Per uno stato di tensione tridimensionale si può dimostrare nel caso più generale, l’esistenza di tre

tensioni principali s1, s2, s3. A queste tensioni normali sono associate tre direzioni principali di

tensione tra di loro ortogonali.

Cerchi di Mohr

Considerando uno stato piano di tensione, la tensione normale e quella tangenziale

lungo una direzione arbitraria possono essere visualizzate mediante una rappresentazione

geometrica detta cerchio di Mohr.

Riscriviamo così la (3) e la (2)

+−

=+

+−

−=

ϑτϑσσσσ

σ

ϑτϑσσ

τ

2sin2cos22

2cos2sin2

*

**

xyyxyx

x

xyyx

yx

elevando al quadrato le due equazioni e sommando si ottiene

22

2**

2

* 22 xyyx

yxyx

x τσσ

τσσ

σ +

−=+

+−

posti poi

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9

2yxa

σσ += e 2

2

2 xyyxR τ

σσ+

−=

rimane evidente l’equazione di un cerchio

22**

2* )( Ra yxx =+− τσ

nel piano (sx*, tx*y *) con centro in (a,0) e raggio R

Fig. 12

La costruzione grafica del cerchio di Mohr si articola nella seguenti fasi:

1. si introduce una scala di riduzione per le tensioni (ad es. 1 cm = 10 MPa) e le cosiddette

“convenzioni di Mohr” per le tensioni

Fig. 13

2. con il cerchio di Mohr, relativo allo stato piano di tensione nel punto O, esplicitato rispetto

all’elemento in figura

Fig. 14

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10

Si descrivono le tensioni per tutti i modi possibili di orientare l’elementino. Ogni punto del

cerchio individua la coppia (sx*, tx*y*) associata all’angolo f. In particolare, per f = 0, si ha

il punto PV (sx, txy) e per f = 90° in senso antiorario il punto P0 (sx, -txy), che vengono

riportati nel piano P0 (s, t).

Fig. 15

congiungendo i punti PV e P0 si individua il centro del cerchio C sull’asse delle ascisse, dal

quale con raggio R = C, PV = C P0 si traccia il cerchio.

3. il punto d’intersezione P* tra la verticale condotta da PV e l’orizzontale da P0 è detto polo

delle normali.

Fig. 16

La componente normale e quella tangenziale del vettore tensione (sx*, tx*y*), relativo ad

una giacitura avente la normale inclinata dell’angolo f rispetto all’orizzontale, si ottengono

leggendo nel cerchio di Mohr le coordinate del punto P che si trova tracciando la retta per

P* inclinata di f rispetto alla verticale.

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11

Tra le infinite giaciture della stella con centro il punto P* se ne possono ricavare alcuni notevoli

(Figura 17)

Fig. 17

Le direzioni 1 e 2 sono le direzioni principali di tensione. Risulta verificata l’ortogonalità tra le due

direzioni 1 e 2, perché il triangolo s1 P* s2 inscritto nel cerchio è impostato sul diametro massimo

del cerchio. La massima tensione normale è s1 (positiva, cioè di trazione), mentre la minima è s2

(negativa, cioè di compressione). Ovviamente a queste tensioni non si associa alcuna tensione

tangenziale.

Equazioni indefinite (o locali) di equilibrio

Le sei componenti speciali di tensione sono legate da tre equazioni differenziali che traducono

l’equilibrio alla traslazione di un qualsiasi elemento infinitesimo di volume scelto all’interno del

corpo (Figura 18).

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12

Fig. 18

Poichè in generale le tensioni variano con il punto, occorre considerare un incremento delle stesse

nel passaggio da una faccia all’altra. Agiscono inoltre le forze di volume, le cui densità delle

componenti scalari indichiamo con X, Y, Z (dimensionalmente [X, Y, Z]=[FL-3]).

Scrivendo l’equilibrio alla traslazione, ed esempio lungo l’asse x, si ottiene

0=Σ→+xF ⇒

0=+

∂∂

++

∂++

∂∂

++−−− Xdxdydzdxdydzz

dxdzdyy

dydzdxx

dxdydxdzdydz zxzx

yxyx

xxzxyxx

ττ

ττ

σσττσ

E semplificando

0=+∂∂

+∂

∂+

∂∂ X

zyxzxyxx ττσ

Analogamente, scrivendo gli equilibri lungo y e z, si ha

0=+∂

∂+

∂+

∂Y

zyxzyyxy τστ

0=+∂∂

+∂

∂+

∂∂ Z

zyxzyzxz σττ

In generale, per valutare l’equilibrio di un continuo, ci si deve riferire a tutti i tipi di forze che

agiscono su di esso. Nelle applicazioni correnti si analizzeranno solo le forze di tipo meccanico,

escludendo dalla trattazione fenomeni di altro genere (come ad esempio quelli chimici).

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13

Le forze meccaniche possono essere divise in due grandi categorie

o FORZE DI SUPERFICIE

o FORZE DI MASSA

FORZE DI SUPERFICIE

Rientrano in questa categoria le forze meccaniche che sono applicate sulla superficie esterna del

continuo e che possono essere rappresentate tramite il vettore tensione

ntf =

dove in questo caso la normale n è esterna al continuo

fdAdF =

FORZE DI MASSA

Questo tipo di forze intervengono sempre quando il corpo è immerso in un campo di accelerazioni

(come quello gravitazionale), e la loro caratteristica fondamentale è quella di essere proporzionali

alla massa del continuo. Sono distribuite con continuità all’interno del corpo e possono essere

rappresentate da un’espressione del tipo

gdmdF =

con g accelerazione di gravità e dm massa infinitesima di una parte del continuo. La forza

infinitesima ottenuta per una piccola porzione di massa può essere estesa a tutto il continuo con

un’integrazione.

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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2009-2010 Prof.ssa Emanuela Speranzini Travi ad asse rettilineo

1

TRAVI AD ASSE RETTILINEO Stato di deformazione L’analisi dello stato di deformazione è ricondotto allo studio del comportamento della linea d’asse della trave considerata come struttura monodimensionale giacente nel piano. Consideriamo un elemento di trave di lunghezza dz nel riferimento Oyz. A seguito della deformazione l’elemento dz assumerà una nuova configurazione ds e subirà: Convenzioni:

rotazioni positive se antiorarie, spostamenti positivi se concordsi con il verso positivo di y (verso il basso)

a - una variazione di lunghezza

b - una variazione di direzione rispetto alla giacitura s della sezione

c - una variazione di direzione rispetto all’asse

a - Questa corrisponde ad una variazione dw dello spostamento assiale:

dzdw

dzdzds

=−

b - La variazione tra la direzione dell’elemento deformato ds e la giacitura della sezione s (ortogonali prima della deformazione) corrisponde ad una variazione dvγ della componente v secondo y:

dzdvγγ =

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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2009-2010 Prof.ssa Emanuela Speranzini Travi ad asse rettilineo

2

c - La rotazione subita dalla direzione dell’elemento deformato rispetto all’asse della trave corrisponde ad una variazione dvφ della componente di spostamento v secondo l’asse y:

dzdv ϕϕ −= dz

dvϕϕ −=

alla rotazione resta associata una curvatura:

dzvd

dzd ϕϕχ

2

−==

lo spostamento relativo totale dv fra le due sezioni esterne del tronco risulta:

γϕ dvdvdv +=

dzdv

dzdv

dzdv γϕ +=

γϕ +−=dzdv

ϕγ +=dzdv

Pertanto lo stato di deformazione della trave può essere individuato dalla conoscenza dello spostamento w, v, φ o dalle caratteristiche della deformazione ε, γ, χ legate tra loro da:

dzdw

=ε ϕγ +=dzdw

dzdϕχ =

equazioni indefinite di congruenza necessarie e sufficienti a caratterizzare la configurazione deformata.

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3

Stato di tensione Analizziamo l’equazione di un concio dz di trave genericamente caricato. Le tre condizioni di equilibrio:

→+ ) 0=+++− pdzdNNN

+ ↑) 0=−−−+ qdzdTTT

+ ) 02

2

=−++−− mdzTdzdzqdMMM

pdzdN

−=

qdzdT

−= Equazioni indefinite di equilibrio

mTdz

dM−=

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4

TEOREMA DEI LAVORI VIRTUALI 1° FORMA: in termini di spostamenti virtuali δw, δv, δφ

( ) =+++++= ∫l

l

u MvTwNdzmvqwpL0

0

δϕδδδϕδδδ

il lavoro compiuto dalle forze e dalle coppie esterne, indicato sinteticamente, può essere portato sotto il segno di integrale

( ) [ ] =+++++= ∫∫ dzMvTwNdzddzmvqwp

ll

δϕδδδϕδδ00

( ) =

++++++++= ∫ dz

dzdM

dzdM

dzvdTv

dzdT

dzwdNw

dzdNmvqwp

l

0

δϕδϕδδδδδϕδδ

=+++

++

++

+= ∫ dz

dzdM

dzvdT

dzwdNm

dzdMvq

dzdTwp

dzdNl δϕδδδϕδδ

0

↓ ↓ ↓ = 0 = 0 = T

( ) =++=

+

++= ∫ ∫ dzMTNdz

dzdM

dzvdT

dzwdNL

l l

u0 0

δχδγδεδϕδϕδδδ

( )dzMTNl

∫ ++=0

δχδγδε

poiché dz

wdδδε = δϕδδγ +=dz

vd dz

dδϕδχ =

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5

2° FORMA: in termini di forze virtuali δp, δq, δm. Ho una distribuzione virtuale di carico intesa come funzioni regolari ed infinitesime di z. δN0, δT0, δM0 δNl, δTl, δMl

( ) =+++++= ∫l

l

f MTvNwdzmqvpwL0

0

ϕδδδϕδδδδ

( ) ( ) =+++++= ∫∫ll

f dzMTvNwdzddzmqvpwL

00

ϕδδδϕδδδδ

( ) =

++++++++= ∫∫

ll

f dzdzMdM

dzdv

dzTdT

dzvdw

dzNdN

dzwddzmqvpwL

00

)()()()()()( ϕδδϕδδδδϕδδδδ

Supponiamo che sia soddisfatto l’equilibrio:

=

+++

++

++

+= ∫ dzM

dzdT

dzvdN

dzwdm

dzMdq

dzTdvp

dzNdwL

l

f0

)()()()()()( δϕδδδδϕδδδδδ

essendo:

0)(=

+ p

dzNd δδ

0)(=

+ q

dzTd δδ

TmdzMd δδδ

=

+

)(

Supponiamo che esista una deformazione congruente le cui caratteristiche ε, γ e χ siano legate dalle equazioni di congruenza:

dzdw

=ε ϕγ +=dzdw

dzdϕχ =

( )dzMTNLl

f ∫ ++=0

χδγδεδδ

dzMdzdN

dzdw

dzdvT

l

++

+=

0

δϕδϕδ

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6

EQUAZIONI DI LEGAME Consideriamo un tratto unitario di trave il lavoro di deformazione vale:

++=

EJM

GKT

EAN 222

21φ

Nel caso di incrementi infinitesimi infinitesimi dN,dT,dM:

dMEJMdT

GKTdN

EANd ++=φ

Il lavoro virtuale in termini di forza per unità di lunghezza:

dMdTdNLf χγεδ ++= Poiché nell’ipotesi di elasticità dΦ=δfL si ha:

dMdTdNdMEJMdT

GKTdN

EAN χγε ++=++

0=

−+

−+

− dM

EJMdT

GKTdN

EAN χγε

Affinché risulti verificata quest’ultima equazione:

0

0

0

=−

=−

=−

EJM

GKT

EAN

χ

γ

ε

EAN

GKT

EJM

E,G: Costanti che dipendono dal materiale. A,J, K:dipendono dalle caratteristiche geometriche (K fattore di taglio).

Per una sezione rettangolare: A=BH, 3

121 BHJ = , K=6/5.

Legame costitutivo tra le caratteristiche della sollecitazione e le caratteristiche della deformazione

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7

TRAVI INFLESSE Quando è lecito trascurare l’effetto deformativo del taglio (cioè l’influenza del taglio sulla deformazione) si parla di travi inflesse nel senso che la loro deformazione trasversale dipende esclusivamente dal momento flettente. In tal modo le equazioni indefinite di congruenza per γ=0 diventano:

dzdk

dzdv

dzdv

ϕχ

ϕ

ϕγ

==

−=

=+= 0

Le ultime due possono essere inglobate nell’unica equazione: 2

2

dzvd

−=χ

Naturalmente trascurare il taglio come deformazione non significa trascurare il taglio come sollecitazione, le equazioni di equilibrio rimangono inalterate:

Tmdz

dM

qdzdT

=+

=+ 0

Da cui risulta che l’equazione di legame risulta indeterminata:

γGKT = affinché T risulti finita, essendo γ=0, GK=∞. Prendiamo le equazioni di congruenza di legame e di equilibrio:

2

2

dzvd

−=χ , EJMk ==χ

Si ha:

EJM

dzvd

−=−= χ2

2

Dalla seconda delle equazioni di equilibrio derivando rispetto a z si ha:

qdz

vdEJ

qdzdmq

dzdm

dzvdEJ

dzd

qdzdm

dzvdEJ

dzd

dzdT

dzdm

dzMd

=

=+=+

−=+

=+

4

4

2

2

2

2

2

2

2

2

2

2

Ponendo m=0, se EJ=cost

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TRAVI ELASTICHE

Con “trave” si indica genericamente un solido in cui è identificabile una

dimensione longitudinale decisamente prevalente su quelle trasversali.

E’ per definizione un solido che si può pensare generato dal moto di una figura

piana, eventualmente variabile sia in forma che in dimensioni, il cui baricentro G

si sposta lungo una curva semplice e regolare γ (asse della trave) e la cui normale

si mantiene diretta secondo la tangente a γ.

Fra queste concentreremo la nostra attenzione su quelle per le quali valgono le

disuguaglianze:

(1) d/l << 1, dove l è la lunghezza di γ e d la maggiore dimensione della figura

piana;

(2) d/ρ1 << 1, dove ρ1 è il più piccolo valore assunto lungo γ dai raggi principali

di curvatura;

A questo solido ci riferiremo come a “travi” con linea d’asse γ.

Su γ supporremo definito un sistema di ascisse curvilinee s. La sezione della trave

con piano ortogonale a γ in P(s)∈γ, sarà detta sezione trasversale all’ascissa s. Una

trave è quindi definita dalla sua linea d’asse γ e dalla legge di variazione della sua

sezione trasversale.

La trave è piana quando esiste un piano, detto piano medio, che contiene γ e che è

piano di simmetria geometrica per T. Le travi piane possono essere ad asse

rettilineo o curvilineo (archi).

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Salvo diverse precisazioni, la trave verrà supposta costituita di un materiale

omogeneo, sia esso “indeformabile”, o “elastico” o di altra natura.

Dato il carattere per cosi’ dire “monodimensionale” del solido trave, i carichi

esterni, siano essi assegnati sotto forma di zone di volume o di superficie,

distribuite o concentrate, saranno supposti agire direttamente sui punti della linea

d’asse γ. Questa scelta prevede ovviamente che i carichi effettivamente agenti

siano stati sostituiti, secondo un qualche criterio razionale, con forze e coppie

applicate a γ e ad esse staticamente equivalenti.

Lungo γ viene poi definito un riferimento locale x, y, z , con l’origine

coincidente con il generico punto G(s)∈ γ, l’asse z diretto secondo la tangente a γ

in G(s) ed orientato verso le s crescenti, gli assi x ed y scelti coincidenti con le

direzioni principali di inerzia della sezione trasversale, ed orientati in modo tale

che la terna x, y, z risulti levogira.

Nel caso delle travi piane si orienta comunemente l’asse y, contenuto nel piano

medio, in modo che l’asse x sia uscente dal piano del disegno. Il riferimento locale

è utile anche per descrivere i carichi agenti su una trave.

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1

LA DEFORMAZIONE (Teoria lineare)

L’applicazione delle azioni esterne (forze e spostamenti impressi) produce, in generale,

variazioni di forma e di volume nel corpo.

Per misurare la variazione di lunghezza si può ricorrere ad un dispositivo di prova del tipo

riportato in Figura 1.

Fig. 1

Si definisce coefficiente di dilatazione lineare il rapporto tra la variazione di lunghezza e la

lunghezza iniziale:

finalefinale

inizialefinale

ll

lll ∆

=−

e è una quantità adimensionale per e > 0 corrisponde un allungamento per e < 0 corrisponde un accorciamento

La deformazione del tratto AB della barretta in questo caso è costante; tuttavia, in condizioni

più generali, essa può variare con il punto ed in tale caso fornisce una misura locale della

deformazione. Considerando allora l’intorno di un punto in un solido tridimensionale, questo, a

seguito della deformazione, può subire variazioni di lunghezza lungo tre direzioni inizialmente tra

loro ortogonali, x, y, z (per le quali si possono valutare ex, ey, ez,) e contemporaneamente

possono risultare alterati gli angoli tra queste direzioni.

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2

Fig. 2

La variazione angolare di due direzioni, inizialmente ortogonali, è misurata dal coefficiente di

scorrimento angolare, così definito:

finaleab ϑπγ −=2

Fig. 3

Anche il coefficiente di scorrimento angolare è una grandezza adimensionale e per convenzione

si indica:

gab> 0 comporta una diminuzione dell’angolo iniziale gab< 0 comporta una incremento

Nel caso tridimensionale si possono definire, in ciascun punto, tre coefficienti gxy, gxz, gyz.

Nella teoria lineare della deformazione si suppone che i coefficienti di dilatazione lineare e quelli di

scorrimento angolare siano quantità molto piccole.

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3

Relazioni spostamenti-deformazioni Lo spostamento s(P) di un punto P è rappresentato dal vettore che unisce la posizione del

punto occupata nella configurazione iniziale con quella nella configurazione finale (Figura 4).

Poiché, in generale, lo spostamento varia da punto a punto, occorre considerare elementi lineari di

lunghezza infinitesima. Comunque, per facilitare l’esposizione, conviene considerare dei segmenti

di lunghezza sufficientemente piccola Dx, ma non infinitesima, per poi passare ad essa tramite

l’operazione di limite.

Si faccia quindi riferimento ai punti A e B situati lungo la direzione x, che in seguito alla

deformazione assumono la posizione A’ e B’.

Fig. 4

Il punto A subisce lo spostamento u, il punto B lo spostamento u+Du, comprensivo dello

spostamento u del punto A e dell’incremento (positivo) di spostamento Du che si matura lungo il

segmento Dx. Per la definizione del coefficiente lineare di deformazione ex si ha:

( ) ( )[ ]xu

xu

xxuuux

ABABBA

xxxx ∂∂

=∆∆

=∆

∆−∆++−∆=

−=

→∆→∆→∆ 000limlim''limε

Se si indica con v(x,y,z) e w(x,y,z) le altre due componenti scalari dello spostamento, analogamente

si trova

yv

y ∂∂

=ε e zw

z ∂∂

Per ricavare l’espressione spostamenti-deformazioni relativa al coefficiente di dilatazione

angolare si osservi in Figura 5 che quando ci si muove verticalmente lo spostamento u diviene

dyyuu∂∂

+ e l’inclinazione dell’elemento infinitesimo inizialmente verticale vale yu∂∂ . Similmente il

segmento orizzontale forma l’angolo xv∂

∂ con la sua direzione originale.

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4

Fig. 5

Essendo

( )''2

yxangoloxy −=πγ

risulta

xv

yu

xy ∂∂

+∂∂

e analogamente si trova

xw

zu

xz ∂∂

+∂∂

=γ e yw

zv

yz ∂∂

+∂∂

I sei coefficienti ex, ey, ez, gxy, gxz, gyz sono detti componenti speciali di deformazione.

Espressioni del coefficiente di dilatazione lineare e di scorrimento angolare per

direzioni arbitrarie Una volta note le componenti speciali di deformazione in un determinato punto, si può

valutare il coefficiente di dilatazione lineare ex* lungo una direzione qualsiasi della stella con

centro il punto stesso, ed il coefficiente di scorrimento angolare gx*y* relativo a due direzioni

ortogonali. Per semplicità nel seguito verrà sviluppato il caso piano di deformazione, supponendo

diverse da zero nel punto O (origine del sistema di riferimento x,y) le componenti ex, ey, gxy

(Figura 6).

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5

Fig. 6

A partire dalla conoscenza di queste tre componenti, ci si propone di determinare lo spostamento

relativo del punto A, posizionato nell’intorno del punto O, lungo la generica direzione x*.

Considerando il punto O fisso si hanno i seguenti contributi:

1. spostamento elementare prodotto da ex(AA’) → du=exdx (Figura 7)

Fig. 7

2. spostamento elementare prodotto da ey (A’A’’) → dv=eydy (Figura 8)

Fig. 8

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6

3.

( )

( )

≈+=

≈+=

dydvdydu

dxdudxdv

xyxy

xyxy

γγ

γγ21

21'

21

21'

Fig. 9

essendo le componenti di deformazione quantità infinitesime.

Quindi riassumendo i tre punti si osservi la Figura 10:

Fig. 10

La differenza tra gli angoli prima e dopo la deformazione misurata da gxy viene ripartita, in modo simmetrico (½gxy +

½ gxy) e non seguendo la definizione precedente,

+=

∂∂

+∂∂

= βαγzv

yu

xynella somma di due archi differenti, in

quanto ci si riconduce da una all’altra situazione aggiungendo una rotazione rigida infinitesima che non altera la

deformazione pura dell’elemento.

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7

Proiettando questi spostamenti sull’asse x* si trova lo spostamento elementare du* del punto A

lungo x*:

du*=ducosq +dvsinq+du’cosq+dv’sinq=

=exdxcosq+eydysinq+1/2gxydycosq+1/2gxydxsinq=

=exdx*cos2q+eydx*sin2q+gxydx*sinqcosq

e ricordando la definizione del coefficiente di dilatazione lineare xu

x ∂∂

=ε si ottiene la seguente

espressione:

ex*=excos2q+eysin2q+gxysinqcosq

(1)

che fornisce il coefficiente di dilatazione lineare del punto O relativo alla direzione dell’asse x* in

funzione dell’angolo q sotteso dall’asse stesso (Figura 11).

Fig. 11

Per definizione il coefficiente di scorrimento angolare relativo ai nuovi assi x* e y* è:

gx*y*=a+b

sostituendo si ottiene la seguente espressione:

gx*y*= -2(ex-ey)sinqcosq+gxy(cos2q- sin2q) (2)

che fornisce il coefficiente di scorrimento angolare nel punto O, relativo alle due direzioni

ortogonali individuate dagli assi x* e y*, in funzione dell’angolo q sotteso dall’asse x*.

Il segno meno caratterizza le componenti degli spostamenti che sono opposte a y*

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8

DEFORMAZIONI E DIREZIONI PRINCIPALI DI DEFORMAZIONE

Disponendo della legge di variazione del coefficiente di dilatazione lineare ex* in funzione

dell’angolo q, ci si domanda quali siano i suoi valori estremi (massimo e minimo) e lungo quali

direzioni uscenti dal punto O essi si manifestino.

Ricordando le relazioni trigonometriche

2

2cos1cos2 ϑϑ +=

22cos1sin 2 ϑϑ −

=

ϑϑϑ cossin22sin = ϑϑϑ 22 sincos2cos −=

è conveniente riscrivere la (1) e la (2) in questo modo:

22sin

22cos1

22cos1

*ϑγϑεϑεε xyyxx +

+

+

=

ϑγ

ϑεεεε

2sin2

2cos22

xyyxyx +−

++

= (3)

( ) ϑγϑεεγ 2cos2sin** xyyxyx +−−= (4)

Imponiamo allora la condizione di estremo per la relazione (3)

0* =ϑεd

d x

ottenendo

( ) 02cos2sin =+−− ϑγϑεε xyyx (5)

ovvero

ϑεε

γϑϑ 2

2cos2sin tg

yx

xy =−

=

qundi le direzioni cercate sono fornite dalla relazione

( ) πεε

γϑ karctg

yx

xy +−

=2 ,...2,1,0 ±±=k

che per πϑ <≤0 fornisce

( )

+=

−=

221

12

1

πϑϑεε

γϑ

yx

xyarctg

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9

Queste due direzioni tra di loro ortogonali, lungo le quali il coefficiente di dilatazione lineare

assume i valori massimo e minimo, si definiscono direzioni principali.

Introducendo le seguenti relazioni trigonometriche

ϑ

ϑϑ21

22sin2tg

tg+±

= ϑ

ϑ21

12cos2tg+±

=

insieme alla (5), nella (3) si calcolano i valori estremi di ex*:

( ) xyyxyx 22

2

1

21

2γεε

εεεε

+−±+

=

Le componenti di deformazione e1 e e2 vengono dette deformazioni principali. Il confronto tra la

(4) e la (5) implica

g12=0

cioè per le direzioni principali risulta nullo lo scorrimento angolare. In altre parole, le direzioni

principali individuano quelle direzioni che si mantengono ortogonali dopo la deformazione. Per uno

stato di deformazione tridimensionale si può dimostrare, nel caso più generale, l’esistenza di tre

deformazioni principali e1, e2, e3. A queste componenti di deformazione sono associate tre

direzioni principali di deformazione tra di loro ortogonali.

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Corso di Scienza delle Costruzioni anno 2009-2010 Prof.ssa Emanuela Speranzini IL LEGAME COSTITUTIVO

1

IL LEGAME COSTITUTIVO

Nei capitoli precedenti sono stati introdotti i concetti di deformazione e di tensione,

descrivendo rispettivamente gli aspetti cinematici e statici del problema elastico, indipendentemente

da tipo di materiale che costituisce il corpo.

Le proprietà meccaniche del materiale, ad un livello puramente fenomenologico-sperimentale,

vengono descritte dai legami costitutivi, cioè dalle relazioni tensioni-deformazioni.

Un materiale è detto omogeneo se i legami costitutivi non dipendono dal punto; isotropo se

non dipendono dalla direzione uscente dal punto (cioè se il materiale dà la stessa risposta tensionale

indipendentemente dalla direzione in cui viene deformato).

Diagrammi sperimentali tensione-deformazione I diagrammi sperimentali tensione-deformazione variano notevolmente da materiale a

materiale. A titolo di esempio, consideriamo un’esperienza classica che consiste nel sollecitare un

provino di acciaio dolce con una forza F variabile e nel misurare la conseguente variazione Δl della

lunghezza iniziale.

Fig. 1

L’intensità della forza F viene aumentata gradualmente e lentamente dal valore nullo a quello

finale, in modo da non innescare effetti inerziali (modalità quasi statica di applicazione del carico).

La tensione e la deformazione si ottengono nel modo già visto:

0A

F=σ

inizialell∆

e sono diagrammate in Figura 2:

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2

Fig. 2

Diagramma σ-ε del provino soggetto a trazione

Se si teine conto dell’effettiva contrazione dell’area A0, importante oltre una certa deformazione, la

curva rappresentativa è quella tratteggiata.

CURVA NOMINALE TENSIONI-DEFORMAZIONI

o Il tratto OA descrive la fase elastico-lineare ed il punto A è detto limite di

proporzionalità. In questo tratto la deformazione è direttamente proporzionale alla

tensione. Il carico e lo scarico avvengono lungo lo stesso percorso rettilineo, con

assenza di deformazioni residue. Il processo è quindi completamente reversibile.

o Nel tratto AB il comportamento è ancora elastico, con assenza di deformazioni

residue allo scarico, ma non si svolge più linearmente.

o Nel tratto BC si ha lo snervamento: un notevole incremento di deformazione a

tensioni quasi costanti (questo fenomeno è assente nei materiali fragili). Il punto C è

detto limite di snervamento.

o Il tratto CDE descrive la fase plastica. Superata la fase dell’incrudimento (punto D)

inizia quella della strizione, che termina con la rottura (punto E) e quindi con la

completa separazione del provino in due parti.

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3

La linea OA, per tutti i materiali reali si può ritenere rettilinea, con limitazioni riguardanti la

lunghezza e il tipo di materiale. Su questa idealizzazione è basata la legge dell’elasticità lineare

(detta legge di Hooke1):

εσ E=

La costante elastica E è nota come modulo di elasticità normale o modulo di Young2 ed ha le

dimensioni di una tensione. Geometricamente equivale alla tangente dell’angolo, formato dal

segmento OA e dall’asse ε, nel sistema di riferimento σ-ε (Figura 3).

Fig. 3

dal punto di vista fisico, E, misura la rigidezza di un materiale.

A titolo di esempio si riportano nella Tabella 1 i valori di E per alcuni materiali di uso corrente:

1 Il fisico inglese Robert Hooke (1635-1702) studiò l’utilizzo delle molle elastiche nella costruzione di orologi, che sino

al suo tempo utilizzavano il pendolo e quindi l’energia potenziale dovuta al peso. Lo studio delle molle, che

consentivano di immagazzinare energia elastica, gli fece formulare la legge dell’elasticità linare. Nel 1676 secondo il

costume in voga all’epoca, pubblicò l’anagramma: CEIIINOSSSTTUV, che qualche tempo dopo svelò: UT (ex)

TENSIO SIC VIS. Ciò esprime in latino la proporzionalità tra la forza (VIS) e l’estensione (exTENSIO)

2 Thomas Young (1773-1829)

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4

MATERIALE E [N mm-2]

Acciaio 206.000-210.000

Alluminio e duralluminio 70.000

Bronzo 99.000

Calcestruzzo cementizio 25.000-42.000

Caucciù 1-8

Ghisa grigia 85.000-115000

Ghisa malleabile 160.000-170.000

Legno 10.000

Ottone 103.000

Piombo 17.000

Un altro diagramma σ-ε di notevole importanza è quello rappresentativo di un materiale

fragile (Figura 4). Anche in questo caso, la legge di Hooke viene sperimentalmente confermata solo

per sollecitazioni convenientemente limitate (tratto OA).

Fig. 4

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5

Il coefficiente di Poisson

Un concio unitario di materiale omogeneo, isotropo, elastico-lineare, soggetto ad una

trazione uniforme σ, si deforma di una quantità ε = σ/E nella direzione della σ, ma subisce anche

una contrazione trasversale pari a –υε (Figura 5). La costante υ, che è il rapporto tra la

deformazione trasversale e quella longitudinale, è detta coefficiente di Poisson o di deformazione

trasversale. Per materiali reali solitamente si ha 0< υ<0.5.

Fig. 5

Per un materiale elastico-lineare omogeneo ed isotropo le costanti elastiche sono 2: E e υ.

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6

Il modulo di elasticità tangenziale

Quando il concio è sollecitato da tensioni tangenziali τ, si deforma come illustrato in Figura

6, dove γ = τ/G. La costante G è detta modulo di elasticità tangenziale.

Fig. 6

Geometricamente equivale alla tangente dell’angolo, formato dal segmento OA e dall’asse γ, nel

sistema di riferimento τ - γ (Figura 7).

Fig. 7

Tra il modulo di elasticità normale E e quello tangenziale G, vale la seguente relazione:

)1(2 ν+=

EG

la cui dimostrazione non verrà trattata in questa sede.

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7

Infine, assemblando i risultati già presentati, si ottiene il legame costitutivo per i materiali

isotropi nel caso tridimensionale

( )( )

( )( )

( )( )

yzyz

xzxz

xyxy

yxzz

zxyy

zyxx

G

G

G

E

E

E

τγ

τγ

τγ

σσνσε

σσνσε

σσνσε

1

1

1

1

1

1

=

=

=

+−=

+−=

+−=

Si noti dalle ultime tre equazioni come a tensioni tangenziali nulle corrispondano scorrimenti

angolari nulli e viceversa. Ciò permette di concludere che per materiali isotropi le direzioni

principali di tensione e di deformazione coincidono.

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1

LAVORO ED ENERGIA

In meccanica l’energia è definita come la capacità di compiere lavoro.

Il lavoro delle forze esterne Consideriamo una forza applicata ad un corpo che, in modo quasi statico, viene fatta variare

da zero ad un valore massimo f* (Figura 1). In seguito all’applicazione della forza si genererà nel

corpo un campo di spostamenti. Indichiamo con u la componente di spostamento nella direzione

della forza stessa. Il lavoro compiuto dalla forza esterna può essere calcolato con il seguente

integrale

''*

0∫=u

dufL

Fig. 1

Nell’ipotesi di comportamento lineare si ha

**

''

uf

uf=

e quindi l’integrale fornisce

**21''

**''

**''

*

0

*

0

*

0

ufduuufduu

ufdufL

uuu

∫∫∫ ==

==

Questa espressione, che può essere graficamente interpretata come l’area del triangolo in Figura 1,

traduce il Teorema di Clapeyron. Nell’ipotesi di un corpo elastico-lineare e conservativo

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2

(energeticamente isolato dall’esterno), il lavoro compiute da forze, che crescono gradualmente dal

valore nullo al valore finale, è la metà di quello che compirebbe se, mentre si producono gli

spostamenti, le forze fossero presenti in tutto il loro valore finale dall’inizio della trasformazione.

L’energia elastica di deformazione e il potenziale elastico Il lavoro esterno per un corpo conservativo è tutto immagazzinato nel corpo sotto forma di

energia elastica di deformazione. Questa energia internamente accumulata è totalmente

recuperabile rimuovendo (in modo quasi elastico) il carico esterno.

Per definire l’energia interna di deformazione si consideri un elemento infinitesimo soggetto

alla tensione normale σx (Figura 2).

Fig. 2

In questo caso la forza e lo spostamento valgono rispettivamente

dydzxσ dxxε

Se il materiale è linearmente elastico (Figura 3) e la tensione viene fatta variare con le

modalità già descritte (da un valore nullo a quello finale) si può applicare il teorema di Clapeyron

per valutare il lavoro elementare

Fig. 3

L’area OCA rappresenta l’energia complementare. Per materiali lineari elastici le due aree OCA e OAB sono uguali.

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3

dVdU xxεσ21

= (Th. di Clapeyron)

con dV=dxdydz il volume elementare

Il ragionamento può essere ripetuto nel caso delle tensioni tangenziali τzx (Figura 4):

Fig. 4

In questo caso la forza e gli spostamenti valgono

dxdyxzτ dzxzγ21

dydzxzτ dxxzγ21

ed il lavoro elementare risulta

dVdU xzxzγτ21

=

considerando tutti i contributi al lavoro elementare prodotti dalle 6 componenti speciali di tensione

e per le 6 componenti speciali di deformazione si può scrivere

dVdU zyzyxzxzxyxyzzyyxx )(21 γτγτγτεσεσεσ +++++=

l’energia di deformazione immagazzinata in un corpo elastico per unità di volume o densità di

energia di deformazione o anche potenziale elastico, vale:

)(21

zyzyxzxzxyxyzzyyxxdVdU γτγτγτεσεσεσ +++++==Φ

Un materiale che ammette un potenziale elastico è detto iperelastico.

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4

I teoremi di Betti e di Castigliano

Il principio di sovrapposizione degli effetti relativo alle soluzioni di strutture elastiche

lineari, ci consente di sommare le soluzioni parziali, prodotte dai singoli sistemi di forze iF , per

ottenere la soluzione globale (Figura 5).

Fig. 5

Per effetti si intendono gli spostamenti, le deformazioni, le caratteristiche della sollecitazione

interna e le tensioni.

Il principio di sovrapposizione degli effetti è valido nelle ipotesi di

1. vincoli bilaterali e lisci

2. materiale elastico lineare

3. spostamenti e deformazioni infinitesimi

Il teorema di Betti (o di reciprocità)

Sia valido il principio di sovrapposizione degli effetti e il sistema considerato sia

conservativo (cioè energeticamente isolato con l’esterno). Per la medesima struttura indichiamo con

aF e as le forze e i corrispondenti spostamenti del primo sistema (a) e con bF e bs le forze

e i corrispondenti spostamenti del secondo sistema (b). Allora facendo agire prima le aF e poi le

bF il lavoro compiuto vale

∑∑∑ ++= babbaae sFsFsFL21

21

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5

infatti le forze aF e bF compiono, per effetto degli spostamenti da esse provocati, i lavori

valutati secondo il teorema di Clapeyron, mentre le aF , agenti con il loro valore finale

all’applicazione delle bF compiono il lavoro

∑ basF

Invertendo l’ordine di applicazione delle forze, cioè prima quelle del secondo sistema bF e poi le

aF , il lavoro è dato da

∑∑∑ ++= abaabbe sFsFsFL21

21

poiché i due lavori devono essere uguali, in quanto il sistema è conservativo, segue l’eguaglianza

dei lavori mutui:

∑∑ = abba sFsF

cioè

baab LL =

“ il lavoro che le forze del primo sistema compiono per gli spostamenti del secondo sistema è

uguale al lavoro che le forze del secondo sistema compiono per gli spostamenti del primo sistema”

Il teorema di Castigliano Siano valide le ipotesi del teorema di Betti e si consideri una struttura in equilibrio soggetta

alle forze esterne iF (Figura 6)

Fig. 6

Il lavoro di deformazione dipenderà allora unicamente dalle forze esterne, che potranno riguardarsi

come variabili indipendenti

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6

),...,,...,( 21 ni FFFFLL∧

=

Tra le forze esterne si consideri la forza concentrata F e la componente di spostamento lungo la

direzione della forza stessa sF. Se si incrementa la forza F della quantità infinitesima dF,

l’incremento del lavoro di deformazione che ne consegue è

dFFLdL

∂∂

= (1)

e consta di due parti

1. il lavoro prodotto da tutte le forze Fi in seguito agli spostamenti dei loro punti di

applicazione, spostamenti dovuti all’azione di dF. Applicando il teorema di Betti per i due

sistemi a e b, questo contributo può essere così espresso

• sistema a

Fig. 7

• sistema b

Fig. 8

dFssF FidF

n

ii =∑

=,

1 (2)

con il vantaggio di coinvolgere un unico termine;

2. il lavoro della forza infinitesima dF per lo spostamento da essa stessa prodotto.

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7

Poiché il secondo contributo è trascurabile rispetto al primo, uguagliando la (1) e la (2) si ottiene la

relazione che traduce il Teorema di Castigliano

FsFL=

∂∂

che si enuncia così

“la derivata parziale del lavoro di deformazione rispetto ad una forza esterna è uguale allo

spostamento del punto di applicazione della forza nella direzione della forza stessa”

osservazioni

1. per la validità del teorema, il lavoro di deformazione deve essere conseguente

all’applicazione delle sole forze esterne, senza l’intervento di altre cause di deformazione

come, ad esempio, le variazioni termiche o i cedimenti anelastici dei vincoli.

2. forze e spostamenti possono essere intesi in senso generalizzato, così per il teorema è valida

anche la seguente forma:

MML ϕ=

∂∂

3. il teorema di Castigliano è utilizzabile per il calcolo degli spostamenti in strutture

isostatiche. Si può a tal fine notare, valutando il teorema di deformazione con il teorema di

Clapeyron

+++++∂∂

=∂∂

= ∫ ∫ ∫ ∫ ∫ ∫S S S S S ST

Z

Y

Y

X

XYY

XXF ds

EJMds

EJMds

EJMds

GATds

GATds

EAN

FMLs

222222

21 χχ

∫∫∫ +∂∂

+∂∂

+∂∂

=S

YY

YS

XX

XS

dsGAT

FTds

GAT

FTds

EAN

FN χχ

∫∫∫ ∂∂

+∂∂

+∂∂

=S

T

TTS

Y

YYS

X

XX dsEJM

FMds

EJM

FMds

EJM

FM

(4)

ed indicando le componenti dell’azione interna associate alla forza F=1 con

FNN∂∂

=' FTT X

X ∂∂

=' FTT Y

Y ∂∂

=' F

MM XX ∂

∂='

FMM Y

Y ∂∂

=' F

MM TT ∂

∂='

si ottiene una formale coincidenza della (4) con il PLV nella forma delle forze virtuali.

4. qualora si debba valutare uno spostamento relativo tra due punti di una struttura, occorre

applicare due forze uguali in modulo ed opposte in verso.