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Tanto tuonò, che alla fine, inevita- bilmente, piovve. La Commissione Europea ha pronunciato il suo fati- dico “si” e da oggi sembra non ci siano più ostacoli per la realizzazio- ne della Metropolitana Leggera Cosenza-Rende. Nessuno, anche se forse sarebbe meglio ci fosse. Ma andiamo con ordine. Il via libera dato dalla Commissione Europea, rappresentata da Andrea Murgia, responsabile delle Regioni a Obiettivo 1, sembrerebbe una buona notizia. E forse lo è per dav- vero, se ci fermiamo alle apparenze perché, in realtà la realizzazione di questo progetto (nato anni addietro e fino a qualche settimana chimera per molti amministratori locali) interessa poche realtà e non risolve per nulla il problema del trasporto pubblico dell’hinterland cosentino. Si tratta di una ventina di chilome- tri di linea ferrata, a scartamento ridotto, che collegheranno il centro città con l’Università di Arcavacata. Si parte da Viale Mancini e si arri- verà fino a Rende sfruttando la Statale 19 bis. Poi attraverso Quattromiglia, si arriverà fino al Ponte Pietro Bucci dell’ateneo cosentino. I lavori dovranno finire entro il 31 dicembre 2015 e coste- ranno circa 160 milioni di euro. Come si vede Presila e Savuto, storicamente parti essenziali della provincia, sono fuori dai giochi e come sempre resteranno ai margini di uno sviluppo non più procrasti- nabile nel tempo. E dire che forse la soluzione di mille problemi c’era ANNO XXX n. 301 giu.-lugl. 2012 - MENSILE REGIONALE DI POLITICA CULTURA COMMENTI - Spediz. in A.P. 45% art.2 c.20/B legge 662/96 - DCO/DC-CS/129 Il si espresso dalla Commissione Europea non muta le motivate perplessità sul progetto Una metropolitana alleggerita Certo, i tempi della politica sono accelerati. Le previsio- ni anche a medio termine possono rivelarsi fallaci. Ma qualche idea, o meglio qual- che ipotesi non si rivela del tutto peregrina. E una tra queste ipotesi è quella di un governo Monti, sempre di grande coalizione, legittima- ta questa volta dal voto popolare del 2013. L’ipotesi, come è ovvio, viene per il momento esclusa ripetutamente ed in ogni occasione dal diretto interes- sato, e, con minore convinci- mento, dalle ristrette oligar- chie che gestiscono i partiti A,B,C. Ma già il fatto che della faccenda continuamen- te viene chiesto allo stesso prof. Monti la dice lunga. E la dice lunga la stessa esita- zione dell’interessato che mostra un elegante garbato distacco, ma in effetti aspetta che il gallo canti tre volte per poi concedere l’assenso, ovviamente con la motiva- zione “per il bene supremo del Paese”. E sulla prosecuzione del- l’esperienza Monti, pare giungano anche dall’estero disgustose ingerenze, che al di là di ogni considerazione dovrebbero essere unanime- mente respinte. In quali motivazioni trova fondamento questa ipotesi che, ripetiamo, noi non tro- Si suda, ma il caldo c’entra poco. Si suda freddo ed i brividi corrono lungo la schiena provocando non piacere, ma un qualcosa di molto simile al terrore. Questa crisi ci distrugge e ci annienta trasformando le nostre giornate in uno stil- licidio di sensazioni non sempre positive. Ed è proprio in questi momenti bui, che sembrano rasentare la tragedia più irreparabile, che un popolo normale in una nazione normale, guarderebbe al proprio governo nella speranza di trovare spe- ranza e soprattutto sollievo. Un popolo normale in una nazione normale, Ma noi siamo italiani e viviamo in Italia. Qui la normalità è l’emergenza e ogni giorno nuovo sembra la controfigura del giorno precedente. Nella nostra penisola l’esta- te arriva all’improvviso e coglie sempre di sorpresa, al pari della neve in inverno e del traffico nelle grandi città. Tutto ci sorprende ed anche questa crisi che sta stravolgendo il mondo intero, da noi sembra essere giunta all’improvviso, quasi senza lanciare segnali premonitori. E invece non è stato così. I segnali c’erano tutti e non è necessario ricorrere alle previsioni dei Maya per capire che quella che stiamo vivendo (male) è un periodo epocale passato il quale difficilmente tor- neremo come eravamo prima. Ma torniamo ai segnali premonitori. Prima di quel- lo attualmente in carica (formato da tecnici che tecnicamente stanno abbattendo le residue macerie del nostro vivere), avevamo eletto un governo politico che politicamente era allo sbando e che era guidato da un premier che, vedendo aumentare quotidianamente il proprio patrimonio, ostentava fiducia, ottimismo e falsità. Ricordate quando ci diceva che la crisi non esisteva, che noi eravamo in grado di fronteggiare tutto, che per andare in vacanza bisognava prenotare mesi prima perché altrimenti non si sarebbe trovato posto? E ricordate quando ci dice- va (circondato dalla sua corte leccante fatta di ministri/e, vice ministri/e e sotto- segretari/e) che avrebbe ricostruito l’Abruzzo in pochi giorni e che avrebbe com- prato casa a Lampedusa cominciando a trasformarla così nella Portofino del Sud? E vi ricordate quando ci poi ci ha raccontato la balla megagalattica che eravamo finalmente usciti dalla crisi globale dopo aver detto che non c’era nessuna crisi? Un fenomeno da baraccone che il mondo ci invidiava e che, quasi per vergogna, non potevamo più mandare all’estero. Poi un giorno, improvvisamente, così come tutto capita nella patria dell’improvvisazione, ci hanno detto che eravamo entrati ufficialmente in crisi. Dai vari tg sono sparite le notizie di cronaca (Melania, Yara, Sara, Roberta e omicidi vari) che prima imperversavano, per lasciare spazio all’economia, allo spread, all’IMU, alla benzina alle stelle e alle gaffe dei mini- stri attuali. Il nuovo messaggio che doveva arrivare ai telespettatori caproni era che Monti e i suoi avevano condotto il paese allo sfacelo. Ma allo sfacelo (inne- gabile) eravamo giunti grazie all’incompetenza di chi ci ha governato per anni, di chi aveva mischiato mafia e stato, di chi scambiava la Costituzione con il bunga bunga, di chi prometteva ricchezza mentre si arricchiva, di chi ha votato usando la tasca posteriore dei pantaloni e non cuore e cervello. L’Italia allo sfacelo ci è arrivata da sola: la crisi internazionale è solo l’alibi dietro cui nascondersi. E quando si tratta di nascondersi, siamo campioni del mondo. L’unghiata Fiorenzo Pantusa NELLE PAGINE INTERNE Dalla genetica alla libertà di Francesco Valente L’abuso della metafora di F. Costabile La panchina di cemento di Mario Iazzolino Giovan B. Falcone di Alberto Valente Eustachio Intrieri di Igino Iuliano Cultura e spettacolo Il congresso del Pd calabrese appare una vicenda sempre più complessa. Il perchè non è un mistero: la difficoltà di conciliare e mettere dìaccordo quelle che, con termine nobile vengono definite “correnti di pensie- ro”, ma che con termine duro e crudo, vanno definite “lobby di potere”. Si susseguono i commissari, ma nulla cambia. Chi suonerà la sveglia? Scorcio della zona collinare di Cosenza. La metropolitana assolverebbe un vero ruolo Il Bosone della Bocconi SEGUEAPAGINA2 SEGUE A PAGINA 5

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Tanto tuonò, che alla fine, inevita-bilmente, piovve. La CommissioneEuropea ha pronunciato il suo fati-dico “si” e da oggi sembra non cisiano più ostacoli per la realizzazio-ne della Metropolitana LeggeraCosenza-Rende. Nessuno, anche seforse sarebbe meglio ci fosse.

Ma andiamo con ordine. Il vialibera dato dalla CommissioneEuropea, rappresentata da AndreaMurgia, responsabile delle Regionia Obiettivo 1, sembrerebbe unabuona notizia. E forse lo è per dav-vero, se ci fermiamo alle apparenzeperché, in realtà la realizzazione diquesto progetto (nato anni addietroe fino a qualche settimana chimeraper molti amministratori locali)interessa poche realtà e non risolveper nulla il problema del trasportopubblico dell’hinterland cosentino.

Si tratta di una ventina di chilome-tri di linea ferrata, a scartamentoridotto, che collegheranno il centrocittà con l’Università di Arcavacata.Si parte da Viale Mancini e si arri-verà fino a Rende sfruttando laStatale 19 bis. Poi attraversoQuattromiglia, si arriverà fino alPonte Pietro Bucci dell’ateneocosentino. I lavori dovranno finireentro il 31 dicembre 2015 e coste-ranno circa 160 milioni di euro.

Come si vede Presila e Savuto,storicamente parti essenziali dellaprovincia, sono fuori dai giochi ecome sempre resteranno ai marginidi uno sviluppo non più procrasti-nabile nel tempo. E dire che forse lasoluzione di mille problemi c’era

ANNO XXX n. 301 giu.-lugl. 2012 - MENSILE REGIONALE DI POLITICA CULTURA COMMENTI - Spediz. in A.P. 45% art.2 c.20/B legge 662/96 - DCO/DC-CS/129

Il si espresso dalla Commissione Europea non muta le motivate perplessità sul progetto

Una metropolitana alleggeritaCerto, i tempi della politica

sono accelerati. Le previsio-ni anche a medio terminepossono rivelarsi fallaci. Maqualche idea, o meglio qual-che ipotesi non si rivela deltutto peregrina. E una traqueste ipotesi è quella di ungoverno Monti, sempre digrande coalizione, legittima-ta questa volta dal votopopolare del 2013.

L’ipotesi, come è ovvio,viene per il momento esclusaripetutamente ed in ognioccasione dal diretto interes-sato, e, con minore convinci-mento, dalle ristrette oligar-chie che gestiscono i partitiA,B,C. Ma già il fatto chedella faccenda continuamen-te viene chiesto allo stessoprof. Monti la dice lunga. Ela dice lunga la stessa esita-zione dell’interessato chemostra un elegante garbatodistacco, ma in effetti aspettache il gallo canti tre volte perpoi concedere l’assenso,ovviamente con la motiva-zione “per il bene supremodel Paese”.

E sulla prosecuzione del-l’esperienza Monti, paregiungano anche dall’esterodisgustose ingerenze, che aldi là di ogni considerazionedovrebbero essere unanime-mente respinte.

In quali motivazioni trovafondamento questa ipotesiche, ripetiamo, noi non tro-

Si suda, ma il caldo c’entra poco. Si suda freddo ed i brividi corrono lungo laschiena provocando non piacere, ma un qualcosa di molto simile al terrore.Questa crisi ci distrugge e ci annienta trasformando le nostre giornate in uno stil-licidio di sensazioni non sempre positive. Ed è proprio in questi momenti bui, chesembrano rasentare la tragedia più irreparabile, che un popolo normale in unanazione normale, guarderebbe al proprio governo nella speranza di trovare spe-ranza e soprattutto sollievo. Un popolo normale in una nazione normale, Ma noisiamo italiani e viviamo in Italia. Qui la normalità è l’emergenza e ogni giornonuovo sembra la controfigura del giorno precedente. Nella nostra penisola l’esta-te arriva all’improvviso e coglie sempre di sorpresa, al pari della neve in invernoe del traffico nelle grandi città. Tutto ci sorprende ed anche questa crisi che stastravolgendo il mondo intero, da noi sembra essere giunta all’improvviso, quasisenza lanciare segnali premonitori. E invece non è stato così. I segnali c’eranotutti e non è necessario ricorrere alle previsioni dei Maya per capire che quellache stiamo vivendo (male) è un periodo epocale passato il quale difficilmente tor-neremo come eravamo prima. Ma torniamo ai segnali premonitori. Prima di quel-lo attualmente in carica (formato da tecnici che tecnicamente stanno abbattendole residue macerie del nostro vivere), avevamo eletto un governo politico chepoliticamente era allo sbando e che era guidato da un premier che, vedendoaumentare quotidianamente il proprio patrimonio, ostentava fiducia, ottimismo efalsità. Ricordate quando ci diceva che la crisi non esisteva, che noi eravamo ingrado di fronteggiare tutto, che per andare in vacanza bisognava prenotare mesiprima perché altrimenti non si sarebbe trovato posto? E ricordate quando ci dice-va (circondato dalla sua corte leccante fatta di ministri/e, vice ministri/e e sotto-segretari/e) che avrebbe ricostruito l’Abruzzo in pochi giorni e che avrebbe com-prato casa a Lampedusa cominciando a trasformarla così nella Portofino del Sud?E vi ricordate quando ci poi ci ha raccontato la balla megagalattica che eravamofinalmente usciti dalla crisi globale dopo aver detto che non c’era nessuna crisi?Un fenomeno da baraccone che il mondo ci invidiava e che, quasi per vergogna,non potevamo più mandare all’estero. Poi un giorno, improvvisamente, così cometutto capita nella patria dell’improvvisazione, ci hanno detto che eravamo entratiufficialmente in crisi. Dai vari tg sono sparite le notizie di cronaca (Melania, Yara,Sara, Roberta e omicidi vari) che prima imperversavano, per lasciare spazioall’economia, allo spread, all’IMU, alla benzina alle stelle e alle gaffe dei mini-stri attuali. Il nuovo messaggio che doveva arrivare ai telespettatori caproni erache Monti e i suoi avevano condotto il paese allo sfacelo. Ma allo sfacelo (inne-gabile) eravamo giunti grazie all’incompetenza di chi ci ha governato per anni, dichi aveva mischiato mafia e stato, di chi scambiava la Costituzione con il bungabunga, di chi prometteva ricchezza mentre si arricchiva, di chi ha votato usandola tasca posteriore dei pantaloni e non cuore e cervello. L’Italia allo sfacelo ci èarrivata da sola: la crisi internazionale è solo l’alibi dietro cui nascondersi. Equando si tratta di nascondersi, siamo campioni del mondo.

L’unghiataFiorenzo Pantusa

NELLE PAGINEINTERNE

n Dalla genetica allalibertàdi Francesco Valente

n L’abuso dellametafora

di F. Costabile n La panchina di

cemento di Mario Iazzolino

n Giovan B. Falconedi Alberto Valente

n Eustachio Intrieridi Igino Iuliano

n Cultura e spettacolo

Il congresso del Pd calabreseappare una vicenda sempre

più complessa.Il perchè non è un mistero:la difficoltà di conciliare e

mettere dìaccordo quelle che,con termine nobile vengonodefinite “correnti di pensie-

ro”, ma che con termine duroe crudo, vanno definite

“lobby di potere”.Si susseguono i commissari,

ma nulla cambia.Chi suonerà la sveglia?

Zip

Scorcio della zona collinare di Cosenza. La metropolitana assolverebbe un vero ruolo

Il Bosone

della Bocconi

SEGUE A PAGINA 2 SEGUE A PAGINA 5

viamo affatto peregrina?I partiti, nonostante le dichiara-

zioni ufficiali, sono consapevolidella enorme disaffezione cheverso di loro nutrono gli italiani;la classe dirigente, che nonostantesimboli botanici e bandiere sbia-dite, è sempre la stessa che si rici-cla da decenni; la grave situazionedi crisi non solo non è stataaffrontata in tempi rapidi, ma èstata accolta da partiti che da unaparte teorizzavano il benessere deiristoranti affollati e dei voli diaereo di difficile prenotazione, edall’altra dediti al pettegolezzodelle notti di Arcore; ma, soprat-tutto forze politiche che hannoabdicato al loro compito di indivi-duare e rendere esecutivi i neces-sari provvedimenti di emergenza,i quali essendo impopolari hannoritenuto opportuno delegarne ilcompito ad un governo di tecno-crati che con una mazza in mano euna forbice nell’altra hanno infie-rito ed infieriscono sui bilancidelle famiglie e su quelle cheerano ritenute conquiste socialiinalienabili.

Allora? Allora è necessarioancora per qualche tempo inven-tare un Bosone della politica chedia ancora più tempo ai partiti diritrovare un nuovo legame con lagente; di riacquistare nuova fidu-cia e credibilità.

Il Bosone? E chi meglio di

Monti, il Bosone della Bocconi.Tutto questo garantirebbe ai par-

titi anche un attimo di prudenteriesame di se stessi, di guardarsiintorno, di avere un momento diriflessione sul baratro economicodal quale l’Italia ancora stenta adallontanarsi; di scongiurare, anco-ra in piena crisi, il ripristino deivecchi giochetti politici e quelloche efficacemente è stato definitoil teatrino della politica.

Sono queste considerazioni cheimpongono un percorso che sidelinea quasi obbligato se non sivuole non solo interrompere maaddirittura vanificare il grandesacrificio imposto agli italiani perla ripresa economica.

Ed ecco che cominciano adapparire perfino stucchevoli lepolemiche sulle primarie di parti-to o di coalizione, Bersani oRenzi, addirittura Rosy Bindi, dauna parte; Alfano, Pisanu, addirit-tura Formigoni, dall’altra.

Nella logica del capo Bosone,solo la nuova legge elettorale

diventa importante; ognuno lavorrebbe a suo vantaggio per evi-tare che ci possa essere qualchepartito a trarne vantaggio. Con unparadosso: una legge elettorale,l’attuale porcellum, che tutti vole-vano modificare soprattutto per-chè privava gli elettori del lorodiritto di scelta dei candidati, orasembra che diventi prevalentel’idea di non introdurre le prefe-renze per non incentivare il clien-telismo e le infiltrazioni dei clanmafiosi. Ma su queste giravolteall’italiana, ne sentiremo ancora.

Così delineato, il percorsopotrebbe apparire tracciato e coe-rente, ma le variabili della politicanel nostro Paese non sono poche.E così, consapevoli di rischi diquanto potrà accadere, è iniziataanche la “strategia del salvatag-gio”, ovvero la strategia del cambitutto purchè ci sia io dentro.

E così, Gianfranco Fini (chil’avrebbe mai detto) prefigura unagrande alleanza compreso il Pd;Berlusconi che spreme il suo

ingegno per individuare la formu-la giusta per recuperare tutti glielettori sperduti ed amareggiatidel fu centrodestra, magari ipotiz-zando anche un suo rientro incampo. Di Pietro che fa concor-renza a Beppe Grillo, intimamen-te crucciato che un comico possasolo con una protesta lacunosa diproposte, di idee, ma con tanti vaffa....possa raggiungere il 20% neisondaggi mentre lui, con un pas-sato di manettaro e di efficacepersecutore dei politici corrotti econ un presente di dura opposizio-ne al governo dei tecnici, se ne stàlì immobile su quel 6 - 7 percento.

Ecco perchè anche noi riteniamoche in questa sorta di marasmapolitico che la crisi ha accentuato,alla fine l’unica soluzione, agevo-lata dalla scelta di una sapientecandidatura alla presidenza dellaRepubblica, sarà la riconferma diMonti a Palazzo Chigi, magaricircondato da una squadra con imaggiorenti politici che garanti-rebbero tutti, stracciando il vec-chio manuale Cencelli e adottan-do come guida il famoso romanzodello scrittore siciliano diLampedusa.

D’altra parte, Monti a PalazzoChigi farebbe comodo anche aMassimo D’Alema, il non dimen-ticato candidato al Quirinale.Ancor più legittimato dopo la per-manenza al più alto seggio istitu-zionale dell’ex comunista GiorgioNapolitano.

***

Politica

Presila ottanta anno XXX22

ANSELMO FATA

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SEGUE DALLA PRIMA PAGINAIl Bosone della Bocconi

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F i s i o t e r a p i a e R i a b i l i t a z i o n e

Numero 301 giu.-lugl. 2012 3

Cultura

Dalla genetica alla libertàdi FRANCESCO VALENTE

osì dice l’insipiente: “Si trat-ta solo di un ammasso di cel-lule indifferenziate”.

Così dice ancora l’insipiente:“E’solo un riccio di materia”. Mail fondo dell’insipienza viene toc-cato quando un giovane radicalemostra cento volte ingrandite lapunta di un ago, alla cui sommitàsta “un ammasso di cellule indif-ferenziate “ o solo un banale, iner-te “riccio di materia”. Le ossa diOscar Hertwig debbono essersisgretolate nella tomba e la suaanima turbata; egli che nel 1875,mercè diretta osservazione micro-scopica, aveva notato l’ingressodegli “spermatozoi”nelle uova diriccio di mare e il processo difusione dei due gameti maschile efemminile .

Nessuno ricorda più il giovanemedico di Leida, Hamm, cheaveva per primo ritrovato gli“ANIMALCULI SPERMATICI”,dando la possibilità a FedericoWolff di instaurare definitivamen-te più tardi la cosiddetta “Eradell’Epigenesi”.

Si rivolta nella tomba il miticoprofessore Lambertini, allievoideale di Marcello Malpighi e diG.B. Morgagni, grandi pionieridell’anatomia patologica.Mostrava agli studenti l’ovulofecondato il cattolico Lambertinie intanto badava a coprire, conumiltà e delicatezza, la testa delcadavere mentre preparava lalezione di anatomia. Nella disputasulla fecondazione assistita sonostati ignorati medi ci e biologi,però si è fatto ricorso a politici efilosofi, com’era nella naturadelle cose. Chi difende il primatodalla politica trova naturalediscettare e decidere su tutto,anche – eventualità non remota –sul cosiddetto tabù dell’incesto.Di per se l’incesto è un divietoarcaico, sacrale presso alcunepopolazioni primitive, perciòrientra nella sfera delle più anti-che proibizioni. Ma chi lo proibi-sce e perché? Freud ha cercatodi dare una spiegazione plausibiledi quest’ultimo tabù, badando aconsiderarlo come un divietoesclusivo, inteso a proteggere lefemmine di uno stesso clan dal-l’impeto di maschi giovani e pre-potenti. Solo egli, il padre padro-ne, poteva imporre delle norme,farle rispettare e disporre delledonne e di ogni altra cosa a suopiacimento. Si spiegherebbe cosìl’odio tribale ed il conseguentetorbido parricidio.

Ma il chiarimento di Freud siincentra su un divieto che confligecon la libertà , donde la negazionedel tabù in chiave psicoanaliticadi alcuni studiosi, i quali, moltopiù tardi, hanno parlato più sem-plicemente e più biologicamentedi una ”natura – cultura”.

Mi piacerebbe sapere come lapensano Giulio Giorello , filoso-fo delle scienza, ed EmanueleSeverino, filosofo teoretico. Ilprimo, con grande supponenza edobliquità, come tutti coloro checonferiscono alla scienza valoreassoluto ed alla ricerca il compi-to di uno svelamento della totali-tà, ha parlato di libertà, negandocompetenza specifica al comitatodi bioetica, privilegiando l’atei-smo contro le supposte interferen-ze della chiesa militante, difen-dendo alla fine la libertà di deci-dere su tutto. E’il preteso declino

della filosofia classica, che faemergere in questi filosofi la falsacategoria della certezza e li mettein attesa di fondare una “gaiascienza “, mediante la quale pro-clamare la morte di tutto: del pen-siero astratto, della nozione di tra-scendenza e della essenzialitàdella mente.

Non oso pensare che il loro con-cetto di libertà, quanto a liceitàsull’interruzione della linea gene-razionale di quella catena cellula-re che va da una sola cellula –l’ovulo fecondato- fino a millemiliardi nella sola corteccia cere-brale, possa raggiungere anche iltabù dell’incesto. Non sarebbesoltanto la fine della civiltà cri-stiana e occidentale, piuttosto lafine dell’Homo Sapiens . Ma nonè il quesito da risolvere. Il veroproblema, ancora nel terzo mil-lennio, è il conflitto irrisolto tra

ragione e fede, almeno per chinon accetta la logica dei grandimistici medievali, pei quali l’ideadi un grande Essere Trascendenteè presente in tutti gli uomini,prima e al di sopra di ogni dispo-sitivo razionale. Dall’interno diquesto antico conflitto, il Prof.Severino considera la religionerivelata “in se contingente”ed“extraessenziale”, che c’è, mapotrebbe anche non esserci. Unalogica diversa la sua, che possia-mo definire “dell’essenzialità”,attraverso la quale il filosofo,come il laico, apprende ciò che

ragionevolmente deve essere fattoo non fatto. In ordine appunto aqueste considerazioni, si puòaffermare che la ragione può dircise la fecondazione assistita, ilprelevamento delle cellule stami-nali e il congelamento degliembrioni, sono leciti in ogni caso.

Nelle lunghe e profonde rifles-sioni dei filosofi della scienza,come quella di Severino, nonmancano però le assurdità e lecontraddizioni, perché resta sem-pre in ombra il grande misterodella vita, dal momento che nes-suno è in grado di sapere dove laragione, unica di fronte a se stes-sa, invocata come causa ed effettodell’intelligenza e dell’etica,affonda le sue radici. Mentre sap-piamo tutti che da centomila annivengono trasmesse le stessesequenze genetico-generazionali,gli stessi messaggi che servono a

costruire il grande edificio dellasapienza.

Non c’è alcun dubbio che le cel-lule embrionali trasmettono leinformazioni necessarie ed essen-ziali per essere classificate comemessaggeri della ragione.Distruggerle è come fare esplode-re l’aereo nel quale viaggiamo.Ma c’è un’altra considerazione dafare: essenziale e necessaria,come direbbe Severino, ma ultiminel tempo come noi siamo, nonpossiamo non considerare altroche come messaggero degli deichi ci trasmette la coscienza , l’in-telligenza e la libertà , o ce ne fadono. Estremizzando, la ragionenon può distruggere se stessa e lalibertà non può essere estesa finoa sfiorare il preteso tabù dell’ince-sto, meno che mai può giustifica-re il delitto.

Per concludere non si può fare ameno di notare che un libero par-lamento, composto da uominiliberi, ha legiferato, tempo fa, suuna materia che metteva tutti difronte alle proprie responsabilità,ma anche un lungo percorso digrande solitudine. Un uomo solo èun uomo libero, inserito in ungruppo o in un sodalizio lo è dimeno.

Credenti o non credenti i grandisaggi hanno sospeso la litigiositàed hanno ascoltato la voce dellecoscienza. Una voce che emergedal profondo; un messaggio almicroscopio che arriva fino all’io.

Qualcuno fuori dal tempo inviaquesto messaggio; qualche altrolo riceve e lo eternizza attraversola fecondazione. Non possiamodistruggere la creazione e nemme-no negare il frammento di eternitàche è dentro di noi.

Il preteso declino della filosofia classica, fa emer-gere in qualche filosofo la falsa categoria dellacertezza e li mette in attesa di fondare una “gaiascienza “, mediante la quale proclamare la mortedi tutto: del pensiero astratto, della nozione di tra-scendenza e della essenzialità della mente.

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“giorno per giorno”

C

Oscar Hertwig Marcello Malpighi

In un recente inte-ressante articolopubblicato su “IlM a n i f e s t o ” ,Alberto Asor Rosasi chiede se sia pos-sibile un governo ingrado di andare aldi là sia del berlu-sconismo che delm o n t i s m o .“Tecnicamente –rileva Asor Rosa-esistono le condi-zioni per mirare adattraversare la crisisenza rinunciare alpatrimonio comuni-tario e solidaristicoche ci sta alle spal-le, ossia senza con-tinuare a massacrare le vittime. Non parlonaturalmente di un governo radicale ed estre-mistico, ma di un governo riformista, seria-mente riformista: e cioè di quel modello poli-tico-sociale che in tutta Europa è l’unico adoffrire le condizioni oggi per opporsi allo stra-potere del liberismo e del capitale finanziario,senza pensare diandare, come sidiceva una volta,“fuori sistema”.

Ma ce ne sonole forze? Quicomincia ildiscorso politicoche partiti emovimenti sirimpallano damesi senza arri-vare a delineareneanche alla lon-tana non una soluzione ma un semplice, preli-minare discorso. Prima di arrivarci bisogne-rebbe chiarire un punto.

L’antipolitica dilaga in Italia non perché cisono troppi partiti prepotenti e cattivi, ma per-ché non ci sono partiti. Ognuna delle forma-zioni politiche, di destra e di sinistra, che sicontendono il campo, è un organismo provvi-sorio e caotico, tenuto insieme dal prestigio(spesso poco attendibile) di un capo. L’unicopartito meno non partito degli altri è indubbia-mente il Pd: argomento che gli assicura alme-no alcune chances di partenza rispetto allealtre formazioni concorrenti o convergenti. Mache partito è anche il Pd? Il frutto dei colossa-li errori commessi fra il 1989 e gli anni ‘90, unorganismo non coeso e spesso incoerente e alproprio interno contraddittorio, per nientesimile ai grandi partiti riformatori europei”.

Abbiamo voluto premettere questa citazione,perché Asor Rosa pone anche una questioneessenziale che sta di fronte alla sinistra o, se sivuole, al centrosinistra: ci vuole qualcosa chesia più di una formula. Occorre un programmache identifichi le identità politiche e partitichee quindi le forze di governo.

Viste in questo senso, le indicazioni contenu-te nella relazione di Pier Luigi Bersani alrecente consiglio nazionale del Pd appaionouna risposta debole, incapace cioè di assegna-re al governo del dopo elezioni del 2013 ilpunto di svolta per una direzione nuova da

dare alla gravecrisi economicache vive il Paesee che non devegravare sui cetipiù deboli e sullariduzione dellegaranzie sociali.

“Nei prossimimesi –ha affer-mato Bersaninella sua relazio-ne- dovremo par-lare all’Italia erisvegliare nonun sogno ma unaragionevole fidu-cia, una speranzafondata. Conquesta ispirazio-ne e con questa

tensione noi dobbiamo nei prossimi mesi sor-reggere la transizione e accendere la prospetti-va”.

Ma proprio in tema di prospettiva il Pd sirivela debole ed incerto, probabilmente impa-stoiato dalla ricerca di alleanze difficili da con-ciliare attorno ad un programma che non sia di

conciliazione diinteressi contra-stanti.

Bersani rilevache i provvedi-menti che ilgoverno Montiadotta non sonocorrispondenti alpensiero del Pd ementre sottolineache l’Italia hadiritto come ognidemocrazia di

costruire un bipolarismo che metta a confron-to progetti alternativi di sviluppo, aperti quan-to si vuole, ma alternativi, si limita ad enuncia-re proposizioni di principio: europeismo, equi-tà, buona politica, regole riforme istituzionali,lavoro, cultura, uguaglianza, per poi precisareche “ Diremo queste ed altre cose. Non pro-mettendo l’impossibile, non raccontando favo-le e senza cioè che mai possa esser messa indiscussione la capacità nostra di tenere intempi difficili la barra del rigore e di rispettarei vincoli europei che fino a quando non simodificano vanno rispettati; e di adoperare peralleggerire quel fardello del debito che cizavorra”

Aspettavamo un colpo d’ala, una idea dellacrescita e di superamento della crisi. Non c’èstata.

Bersani ci ha fatto sapere che la riforma dellepensioni, l’IMU, il mercato del lavoro, le libe-ralizzazioni, la spending review, non sonoprovvedimenti del tutto condivisibili, maMonti è un pompiere che è stato chiamato adomare un incendio e noi dobbiamo aiutarlo.

Di fronte ad una enorme questione di pro-spettiva politica, quello che ha vivacizzato einfuocato il confronto tra i circa mille del con-siglio nazionale, sono state le primarie ed ilmatrimonio tra gay.

D.R.

Politica

Presila ottanta anno XXX44

Risvegliare non un sognoma una ragionevole fiducia

Il segretario del Pd traccia il percorso verso le elezioni del 2013

Anche se non siamo a Natale è il caso di prov-vedere con urgenza: qualcuno faccia un rega-lo a Pier Ferdinando Casini, che ancora ieri sulquotidiano del suocero, il Messaggero, haripetuto la solita litania: che lui punta al cen-tro, che lui è un uomo di centro, che le elezio-ni si vincono al centro, che il suo compito èquello di aggregare il centro. Qualcuno dica aPierfurby, come lo chiama Dagospia, che ilrischio non è solo quello di diventare noioso,ma addirittura comico, visti quelli destinati aessere i suoi alleati, da Gianfranco Fini a PierLuigi Bersani, da Antonio Di Pietro a NichiVendola. Ora, qualcuno gli regali un centrota-vola, un centralino, o magari un centravantiper il suo Bologna. Basta che la smettaIl Giornale del 15/7

“Ecco perché ho scelto di tornare in campo”.In una intervista rilasciata a Bruno Vespa epubblicata dal “Quotidiano nazionale”, SilvioBerlusconi spiega perche’ smette i panni del-l’allenatore, ruolo che aveva per se’ tratteggia-to, e torna a indossare quelli del centravanti.“Berlusconi - riferisce Vespa - ha perso alcunichili e la dieta che si impone lascia prevedereche ne perda altri. Per chi lo conosce, è ilsegno che dall’autunno andrà molto in giro etornerà in tv. E se torna in tv, vuol dire chetorna anche in pista”. Secondo il racconto diVespa, il Cavaliere “prende un foglio bianco,traccia una riga verso l’alto e scrive in cima38. “E’ la percentuale che abbiamo preso alleelezioni politiche del 2008”. Poi traccia unariga che dalla parte più alta della precedenteprecipita in basso e scrive 8. “Se alle prossimedovessimo scendere per assurdo all’8 percento, che senso avrebbero avuto diciotto annidi impegno politico?”. Berlusconi aggiunge:“Avrei voluto dare l’annuncio più in là, maga-ri all’inizio dell’autunno. Ma qui non si riescea tenere niente di riservato...”.Il Manifesto del 15/7

“…Quando Pier Luigi Bersani afferma che ilrientro di Berlusconi è una sciagura, non sirende conto di dire una bestialità: non tocca alui emettere sentenze, bensì agli elettori.Indemocrazia, piaccia o no, sono i voti a decre-tare chi vince. E se il segretario del Pd si misu-rasse con un rivale debole non sarebbe per luiuna disgrazia, ma una fortuna. Il problema èche la fortuna bisogna guadagnarsela evitandoanzitutto di rendersi ridicoli, mentre Bersaniin questa fase, corteggiando PierferdinandoCasini e osteggiando Matteo Renzi, traccheg-giando sulle alleanze con Nichi Vendola eAntonio Di Pietro, mostra di assomigliare dipiù alla caricatura che ne fa il comicoMaurizio Crozza che a un leader di partito.”Vittorio Feltri, su “Il Giornale”

“...Ma il ritorno di Berlusconi avviene in uncontesto a sorpresa, di cui il Cav dovrà tenereconto. Anelano a governare, vendicarsi ebastonare, con tanto di ascari della lista diRepubblica, i calunniatori che farebbero ver-gognare i pudichi delatori della Repubblicaveneziana e la garantista gendarmeria borbo-nica di Napoli; ma intanto governa una giuntatecnocratica sorretta da una ampia maggioran-za parlamentare, gente che fa errori, tanti tran-ne uno: puntare su un’Italia accanita, misera-bile, imbrogliona. Ci sono in realtà pochi ita-liani dei ceti colti e riflessivi che si sono rifiu-tati al gioco al massacro della generazioneintellettuale che ha sputtanato per semprel’azionismo storico trasformandolo in una por-cilaia di pettegolezzi ansimanti, ma questi ita-liani stanno tutti nel governo dei Monti delleFornero delle Cancellieri delle Severino e deiPassera e dei Riccardi.”Giuliano Ferrara, su “Il Giornale”

Sfogliando i giornali

Pier Luigi Bersani, leader del Pd

L’antipolitica dilaga in Italia non perchéci sono troppi partiti prepotenti e catti-vi, ma perché non ci sono partiti.Ognuna delle formazioni politiche, didestra e di sinistra, che si contendono ilcampo, è un organismo provvisorio ecaotico, tenuto insieme dal prestigio(spesso poco attendibile) di un capo.

DI FRANCO COSTABILE

C’è da più tempo una chiara edevidente disaffezione degli eletto-ri dalla politica, in particolaredalla politica dei partiti.

Dal voto amministrativo del 6 e7 maggio 2012 registriamo un’al-ta astensione dal voto, il fenome-no Grillo in aumento e i bassi con-sensi ai partiti, soprattutto al Pdl ealla lega di Bossi.

Sembrerebbe, a prima vista, chei partiti, sindacati e governo sianopreoccupati, anche se non in egualmisura, dei non gratificanti risul-tati elettorali, ma, a ben vedere,non abbiamo assistito a grandisforzi per modificare ex novo pro-spettive, linee politiche, metodi euomini rispetto ai gravissimifenomeni di recessione e dideclassamento del nostro Paese.

L’unico, irrinunciabile pensieroè conservare le rispettive posizio-ni di potere, l’attuale classe diri-gente, il presente assetto o bloccoideologico-politico-istituzionale,con la garanzia ancora di posti, diconsulenze e di privilegi nei varigangli delle strutture parlamenta-ri, giuridiche, sindacali, ammini-strative nazionali, regionali,comunali, etc.

Non credo che siamo noi cittadi-ni fiduciosamente interessati aveder risolti i problemi di unacittà, di un Paese, a non sapervedere le disinteressate e sapientistrategie politiche di partiti, sinda-cati, associazioni, fondazioni,volte al cambiamento democrati-co a al risanamento della gravecrisi italiana.

Se c’è “qualcosa di nuovo ogginel sole”, come si fa a non veder-la?

Come si spiegherebbero i fre-quenti, continui e preoccupatiappelli del Presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitanoalla classe politica tutta, a tutte leforze in campo, perché rinsavisca-no ed unite insieme concorrano

alla salvezza dell’Italia, perché diquesto si tratta e non di negativiinteressi partitici e personali.

Oggi, sorprendentemente ci èdato assistere ad una costante esi-bizione politica in televisione esui giornali di “metafore”: ad unsuo uso eccessivo, per non parlaredi abuso.

Trattasi, a mio modesto avviso,quasi di un esercizio o utilizzomanieristico, impersonale, nonimpegnativo di metafore, a mò dislogan, di battute libere, al postodi (necessarie), ragionate e con-crete critiche o proposte politichesulle varie situazioni socioecono-miche ed etiche del nostro Paese.

Questo stato di cose, oltre ad unnaturale stupore ha destato in meanche una certa curiosità, pervedere come in quest’”arte” dellametafora se la cavano i nostripolitici, giornalisti, politologi.Tanto per esemplificare un po’,citiamo alcune metafore (slogan,battute), messe in ordine sparso,così come vengono alla memoria.

L’on. Bersani, segretario delPd:”Non vorrei vincere sullemacerie degli italiani”: una rispo-sta a chi gli poneva l’evenienza dielezioni anticipate.

Il giornalista Gian AntonioStella: “E’ crollata ancheBetlemme”, la città simbolo delCarroccio, ossia la sconfitta elet-torale del 6 e 7 maggio 2012 dellaLega di Cassano Magnago, ilpaese di Bossi.

Scambio di dichiarazioni pole-miche sui risultati del 6 e 7 mag-gio tra Angelino Alfano:”Nessunopuò festeggiare” e PierluigiBersani:”Non si può dire chehanno perso tutti, se ci danno que-sti risultati tutte le settimane noifacciamo festa…”.

Angelino Alfano del Pdl insistemaldestramente sui risultati elet-torali:”Le urne confermano i duepoli”. E’una mossa difensiva die-tro la sconfitta del suo partito.

Dopo l’esperienza negativa delTerzo Polo, il segretario dell’Udc

Cesa spiega che “d’ora in poibisogna lavorare per unire un’areach’è divisa” e il leaderPierferdinando Casini, di Futuro eLibertà, salva solo Fini e stigma-tizza in modo lapidario:”Poi non èche mi sveglio pensando aGranata e mi addormento pensan-do a Briguglio”.

Anche il nostro grandePresidente Napolitano si cimentacon la metafora, intervenendo sulsuccesso di Grillo: “Dopo ilBoom del 1960, non ho visto altriboom”.

Il Cardinale Angelo Bagnasco,Presidente della Cei, a propositodel grave dato sull’astensionenelle più volte citate elezioniammnistrative, afferma che “ènecessario partecipare: c’è undiritto dovere alla partecipazionealla cosa pubblica… che si espri-me innanzitutto attraverso le pro-prie scelte politiche, elettorali”.

Il filosofo Paolo del Debbio, aproposito della sconfitta elettoraledel Pdl, chiosa con questa battu-ta:” Il Pdl è un po’ come SpencerTracy nel Vecchio e il mare:hanno tra le mani un grandepesce, ma non tirano in barca”.

Tralascio di proposito le molte-plici metafore o meglio gli innu-merevoli slogan, le continue bat-tute, spesso di cattivo gusto e tal-volta lanciate a vambera di SilvioBerlusconi.

Il grande editorialista delCorriere della Sera MicheleSalvati giorno 2 giugno 2012 sel’è presa contro un paio di partitidell’opposizione che costante-mente criticavano Monti e il suogoverno, non capendo per nientela grave crisi, in cui siamo immer-si ed infine si fece portatore della“metafora del ballo nel salonedelle feste del Titanio”, senz’altro“logora” ma che rende benel’idea. Salvati insite con la meta-fora, dicendo che a ballare sulponte del Titanic sono anche i par-titi cosiddetti “responsabili”,sostenitori di Monti.

Italia Oggi del 12 giugno 2012,oltre a scrivere che Monti venivacontrastato sia in Italia che inEuropa, aggiungeva addiritturache tedeschi ed Austria si prende-vano il lusso, oltre che la respon-sabilità di ironizzare, coinvolgen-do l’Italia nel gioco metaforicodei piccoli dieci indiani.

Cito infine l’ultima battuta delcaro e bravo Bersani, alle presecon un partito sollecitato da spin-te multiforme, senza ancora deci-se definizioni di programmi, lineepolitiche ed alleanze, dove a pro-posito degli interventi di riduzio-ne e di taglio delle spese e deglisprechi, ad esempio nella Sanità,imposti dal Governo, egli se lacava tra il bonario ed accettabile(in quanto sostenitore di Monti) eil sostenuto e contestatario: ridu-cete pure costo dei farmaci e, per-sino farmaci inutili, ma non tocca-te il personale, né diminuite glistipendi.

Si fa fatica, purtroppo, a consi-derare “l’insostenibile indifferen-za italiana agli sprechi, come diceGiovanni Belardelli sul Corrieredella Sera del 10 luglio 2012.

Quel che mi stupisce e che noncondivido affatto, non è tanto lametafora, questa immaginifica,intuitiva figura retorica, verainvenzione letteraria, in cui sisono cimentati i migliori poeti eletterati, a partire dal grandeDante Alighieri, ma l’uso e l’abu-so, non corretto, inappropriato,non significativo, espresso spessoin termini volutamente e forzata-mente capziosi da parte dei leaderpolitici più rappresentativi.

Il più delle volte non si tratta dimetafore, ma di semplici slogan,di battute spesso offensive, dimaldicenze nei riguardi di avver-sari, a cui non seguono mairesponsabili ed unitari impegniriformatori e di cambiamento eche volutamente ho evitato perpuro segno di civiltà di menziona-re.

Numero 301 giu.-lugl. 201255

Politica

Il dibattito L’abuso della metafora

già, bastava solo saperlacercare. Si chiama ferro-via ed è un tracciato anticoche forse proprio per que-sto più futuribile rispetto aprogetti pomposi cheingannano l’occhio senzaportare benefici concreti.

Ampliare la vecchiaFerrovia Calabro Lucane,oggi Ferrovie dellaCalabria, attrezzarla perla modernità, razionalizza-re l’esistente. Si potevarisparmiare qualche milio-ne di euro, si poteva raf-forzare un rapporto tra lacittà capoluogo e la suaprovincia che dovrebbeessere posto alla basedella crescita da più partiauspicata, ma spesso dallestesse parti frenata ed

ostacolata. Si poteva crea-re un ponte (non immagi-nario e virtuale comequello citato a vanveraprevisto sullo Stretto, mareale e concreto) tra leperiferie della città ed icentri vitali dei CasaliCosentini. Inoltre si sareb-be potuto unire l’utile aldilettevole, in quantonotevolissima avrebbepotuto essere la ricadutaeconomica e turistica sulterritorio poiché si potevavalorizzare quanto displendido la natura hamesso a disposizione diuomini poco avveduti eassolutamente non lungi-miranti. Inoltre, mettendoa disposizione un serviziodi trasporto così organiz-

zato (capace di toccaretutti i paesi del compren-sorio, con una frequenzaintensissima e con como-dità che supererebbero digran lunga i costi), ancheil capoluogo, spesso affo-gato da un traffico provo-cato dai pendolari occa-sionali e regolari prove-nienti dalla provincia,avrebbe potuto respirareaumentando in questomodo il proprio tenore divita.

E allora, perché si èvoluto chiudere la porta infaccia a Presila e Savuto,focalizzando il tutto suun’area poco vasta e nondeterminante nella risolu-zione del problema? Sedovessimo analizzare

logicamente questadomanda, nel tentativo difornire una risposta altret-tanto logica, forse perde-remmo il nostro tempoperché logica non c’è. Seinvece vogliamo trovarel’unica risposta possibile,allora il gioco è fin troppofacile. Siamo in balia diuna classe dirigente chenon ama (semplicementeperché non la conosce enon sa leggerla) la nostra ela propria storia; che nonvuole (semplicemente per-ché se così fosse, da mo’che si sarebbe fatta daparte) risolvere i problemidella comunità, che vieneintesa come uno strumen-to da utilizzare al fine diraggiungere successi per-

sonali; che non sa capire ibisogni di chi rappresentala vera forza di un territo-rio, vale a dire la gente.

Questa classe dirigentepreferisce coprirsi gliocchi e nascondere latesta per poter sbandiera-re su di un palco in unaqualsiasi competizioneelettorale, il raggiungi-mento di una successocome quello del parerefavorevole espresso dallaCommissione Europea,non capendo che più cheun successo sembrerebbequasi un fallimento se losi analizza dalla parte dichi dovrà esserne il prota-gonista.

FIORENZO PANTUSA

segue dalla prima pagina Una metropolitana alleggerita

Società

PrPresila esila ottantaottanta anno XXXanno XXX66

Le intervista immaginarie di Fiorenzo Pantusa

Ennio Flaiano (Pescara, 5 marzo 1910 – Roma, 20 novembre 1972)

Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la

realtà.Ennio Flaiano

Posso confessare la mia smisu-rata passione per la tua intelli-genza?

- Appartengo alla minoranzasilenziosa. Sono di quei pochi chenon hanno più nulla da dire easpettano. Che cosa? Che tutto sichiarisca? L’età mi ha portato lacertezza che niente si può chiari-re: in questo paese che amo nonesiste semplicemente la verità.Paesi molto più piccoli e impor-tanti del nostro hanno una loroverità, noi ne abbiamo infiniteversioni.

Chi è l’italiano secondo EnnioFlaiano?

- L’italiano, nella sua qualità dipersonaggio comico, è un tentati-vo della natura di smitizzare sestessa. Prendete il Polo Nord: èabbastanza serio preso in sé. Unitaliano al Polo Nord vi aggiungesubito qualcosa di comico, cheprima non ci aveva colpito. Mitelefona un tale per dirmi che stafacendo una piccola inchiesta evorrebbe che gli rispondessi aquesta domanda: di che naziona-lità vorrei essere se non fossi ita-liano. La sua domanda è senzarisposta. Si consoli pensando cheper molti l’italiana non è unanazionalità, ma una professione.In Italia i fascisti si dividono indue categorie:i fascisti e gli anti-fascisti. Per gli italiani l’inferno èquel posto ove si sta con le donnenude e con i diavoli ci si metted’accordo. Gli italiani sono irri-mediabilmente fatti per la dittatu-ra. E ricordatevi che l’Inferno diDante è pieno di italiani che rom-pono i coglioni agli altri.

E cosa rappresenta per EnnioFlaiano lo scrivere?

- Io credo soltanto nella parola.La parola ferisce, la parola con-vince, la parola placa. Questo,per me, è il senso dello scrivere.Io non ho una vocazione narrati-va. Scrivo, che è una cosa moltodiversa.

Il mondo va a rotoli. Una crisiforse senza precedenti sta scon-volgendo le economie, lecoscienze e tutti gli ambiti delloscibile umano. Qualcuno l’ave-va previsto…

- Il dramma della vita moderna èquesto: tutti cercano la pace e la

solitudine. E per il fatto stesso dicercarle, le scacciano dai luoghidove si trovano. Mai epoca fucome questa tanto favorevole ainarcisi e agli esibizionisti. Dovesono i santi? Dovremo acconten-tarci di morire in odore di pubbli-cità. In questi tempi l’unico mododi mostrarsi uomo di spirito è diessere seri. La serietà come soloumorismo accettabile. La civiltàdel benessere porta con sé pro-prio l’infelicità. Fra trent’annil’Italia sarà non come l’avrannofatta i governi, ma come l’avràfatta la televisione. Essere pessi-misti circa le cose del mondo e lavita in generale è un pleonasmo,ossia anticipare quello che acca-drà. “E vissero sempre infelici escontenti.” Così, per non ingan-nare il suo bambino termina lefavole.

Sei stato forse il più grande sce-neggiatore del cinema italiano,

sicuramente uno dei più prolifi-ci e più premiati. Come spieghiquesto tuo successo?

- Lo sceneggiatore è un tale cheattacca il padrone dove vuolel’asino. Io sono stato un sognato-re di successo e ogni sognatore èun uomo con i piedi fortementeappoggiati sulle nuvole.

L’uomo è l’animale più strano emeno definibile possibile. Forsesolo un genio della parola comeEnnio Flaiano può tentare difarlo senza cadere nella retori-ca.

- Per l’aumentato benesseremedio l’uomo e la donna si vannoorientando verso una morfologiautilitaria. Nelle classi giovani cir-colano già i modelli che verrannoprodotti in larga serie nel futuro;uomini agili, sicuri, di buon affi-damento e di basso consumo;

donne di media statura, di facilemanutenzione e dalle prestazionistandard. Lievi differenze nellerifiniture. La natura fa ancorapochi esemplari di uomini edonne lusso, destinati allo spetta-colo e al consumo collettivo d’in-formazione, alla pubblicità, airotocalchi. Pena e sospetto chesuscitano le persone normali inun mondo dove interessa soltantol’Eccezionale, in tutte le suevarietà. Così nell’uomo probo si èportati a vedere la canaglia didomani, o una canaglia che sinasconde, mentre nella canagliadi oggi si scopre un motivo diemozione. Abele viene sottopostoall’autopsia del cervello, Caino èinvitato a scrivere le sue memorie.

L’uomo è l’animale più strano emeno definibile possibile. Forsesolo un genio della parola comeEnnio Flaiano può tentare difarlo senza cadere nella retori-ca.

- Nessuno può descrivere unuomo perché non esistono dueuomini uguali tra loro e quindi ciòche può essere vero per uno puòbenissimo non esserlo per unaltro. Se leggete una descrizionedi un uomo, andate avanti con lalettura: è solo fantasia.

Flaiano e la felicità.

- Per essere felici bisognerebbedesiderare ciò che si ha. Ormainon desidero che ciò che mi offro-no ripetutamente. Quando l’uomonon ha più freddo, fame e paura èscontento.

Flaiano e la poesia.

- A vent’anni si tenta la poesia, acinquanta si pensa che bisognavainsistere. L’uomo molto riccodeve parlare sempre di poesia o dimusica ed esprimere pensieri ele-

Può un uomo essere raccontato attraverso le sue frasi? Può unuomo sterminato, incontenibile, istrionico e geniale, essere studiatosolo attraverso quanto ha scritto? Se stiamo parlando di EnnioFlaiano la risposta è sicuramente “si”. Non sarà uno studio comple-to, non sarà un racconto approfondito, ma servirà a chi magari nonlo conosce e che inconsapevolmente parla usando le sue frasi, a ren-dersi conto di quanto grande e cinico può essere il genio italico.Ennio Flaiano è stato teatro, cinema, letteratura, giornalismo, umo-rismo. Ennio Flaiano è stato un uomo che la vita l’ha analizzata, svi-scerata, rivoltata come un calzino, indossata e poi buttata via. EnnioFlaiano è stato un uomo da cui Federico Fellini (ovvero uno dei piùgrandi italiani di sempre) ha imparato tantissimo. Ennio Flaiano hainventato mondi nuovi, ha descritto vite normali, ha immaginato futu-ri molto più realistici dell’oggi. Ennio Flaiano è stato essenziale nellasua lungaggine, troppo infinito nella sua essenzialità, troppo italianoper appartenere solo al nostro paese. E’stato quasi architetto, ha sfio-rato il fascismo, quasi eroe in Etiopia, quasi regista e quasi felice.Flaiano è stato quasi tutto quello che aveva voluto essere ed è diven-tato un segmento fondamentale per la nostra storia, almeno per quel-la che concerne il XX secolo. Ha incontrato geni che alla fine hannodovuto tutti ammettere che quell’italiano dall’aspetto dozzinale, dalfisico assolutamente normale e dall’impatto praticamente quasi nullo,poteva, col solo uso della propria intelligenza, cambiare e migliorareun mondo che sembrava crescere e che invece proseguiva imperterri-ta verso una deriva senza fine. Ha collaborato con innumerevoli gior-nali, ne ha fondato altri; ha scritto capolavori assoluti (Tempo diuccidere, Diario degli errori, Melampus, La solitudine del satiro, chesolo per la bellezza del titolo meriterebbe di trovare posto ogni libre-ria del mondo), ha scritto le sceneggiature dei maggiori film dei mag-giori registi italiani: Federico Fellini, Alessandro Blasetti, LuigiZampa, Luciano Emmer, Alberto Lattuada, Camillo Mastrocinque,Anton Giulio Bragaglia, Mario Soldati, Mario Monicelli, Dino Risi,Renato Castellani, Roberto Rossellini, Domenico Paolella,Michelangelo Antonioni, Antonio Pietrangeli, Eduardo De Filippo,Pietro Germi, Elio Petri. E’ stato amico di personalità assolute comeLeo Longanesi, Aldo Palazzeschi, Carlo Levi, Vitaliano Brancati,Vincenzo Cardarelli, Orson Welles, Giuseppe Marotta, Luis Malle,Milos Forman, George Cukor. Ha attraversato tutta la cultura delsecolo veloce e di gran parte del mondo, aggiungendo sempre qual-cosa: quel qualcosa che sempre si aggiunge quando si fa ricorsoall’ironia intelligente, alla satira irriverente, a quel pizzico di italia-nità che tutto il mondo ci invidia. Per questo Ennio Flaiano ha rap-presentato da vivo un patrimonio forse non sfruttato al meglio e damorto una ricchezza saccheggiata senza rispetto.

N.B. – Le risposte che leggerete sono tutti aforismi reali di EnnioFlaiano.

Ennio Flaiano

SEGUE IN ULTIMA PAGINA

Numero 301 giu.-lugl. 20127

Cultura

Un volume di Tina Loiacono sulla saga di un nucleo familiare che attrraversa la storia dell’Italia unita

La panchina di cemento

È una lettura piacevole, avvin-cente, ricca di eventi, di analisipuntuali sulle modificazionisociali, seguendo le diverse gene-razioni di una famiglia di anticanobiltà. Lo stile, che è un “modoassoluto di vedere le cose”, si fanotare per il registro linguisticoelevato, per i dettagli precisi, lesottili sfumature chiarificatrici e icolori delle descrizioni incantate.

È frequente l’uso dello stilediretto, per i molti dialoghi pre-senti nel testo, che da maggiorforza al racconto.

La narrazione si muove su unosfondo storico di lunga durata fraOttocento e Novecento e segue levicende della famiglia, i cui com-ponenti partecipano attivamenteal corso degli eventi, subendo levarie trasformazioni politiche esociali e vivendo la storia perso-nale in maniera intensa e piena diimprevisti che, ovviamente, pre-sentano aspetti piacevoli e positi-vi, ma anche decisivi, devianti edirompenti.

È la saga di un nucleo familiarein un paese indeterminato che,per parecchie generazioni, attra-versa tutti gli avvenimenti piùimportanti dell’Italia dall’Unitàfino alla conclusione dellaSeconda Guerra Mondiale, eoltre.

La verità storica è assicuratadal racconto di una discendente.

Una ragazza conduce la narra-trice a visitare il paese e alCastello ormai abbastanza logo-rato dal tempo perché abbandona-to, ma che campeggia dall’alto diuna collina, offrendo al visitatoreuna vista incantevole.

È evidente che la visibilità e lasuggestione dei luoghi sono ilrisultato del filtro della sensibilitàche, attraverso uno sguardo moltopersonale, osserva, elabora edescrive, obbedendo alla suanatura emotiva e alla padronanzaespressiva, capace di comunicaretutte le sensazioni e le emozionivissute nel corso della visita alCastello e di tutto il viaggio nellecapitali europee dove si svolge lascena del racconto. La scrittrice,infatti, sa utilizzare una linguache le consente di evidenziare lebellezze estreme delle nostrecoste, con una prosa che si elevaa poeticità letteraria, stimolatadalle “risonanze” di un’animaprofondamente partecipe, vivifi-cando e animando la natura chenormalmente appare informe esilenziosa. È la voce del cuoreche suggerisce le sensazioni mol-teplici che animano il suo sguar-do incantato, dando alle visioniuna suggestione efficace e toc-

cante.È particolarmente significativa

la visione delle coste calabresivisitate in una gita scolastica emagistralmente dipinte da unosservatorio marino dai riflessisplendidi e trasparenti. È unapolicromia di stupendi colori inuna varietà di paesaggi arrampi-cati sulle colline; è una natura lus-sureggiante che suggerisce pro-fonde emozioni al viaggiatoredisposto a vivere nuove e intensesensazioni.

Sono, infatti, le risonanze del-l’anima che proiettano gli statid’animo, i sentimenti interiori

nelle bellezze della natura, traen-done emozioni tali da farli diveni-re sublimi.

È lo spettacolo della naturaosservata dal S. Elia. Sono le leg-gende, è la storia di Crotone e diSibari che suscitano l’interessedell’osservatrice. È tutta laMagna Graecia che fa pensare alpassato glorioso della Calabria…

“La natura così luminosa, cosìmisteriosa, così vasta da far man-care il respiro… Le ampie disteseverdi, il torrente dalle acquechiacchierine e saltellanti fra iciottoli, la montagna con l’esplo-sione di colori… le file regolaridei vigneti… i campi di grano,luminose macchie gialle contrap-poste alle macchie verdi deiboschi e degli agrumeti… ilfiume, una grande pennellata dicolore azzurro e lontano, la costafrastagliata stretta dall’abbraccio

del mare turchino…” La narrazione procede con la

descrizione dei segni indelebili diun passato benevolo, grazie airesti evidenti di un mondo privi-legiato ormai scomparso che sirianima e, con un’intensità emoti-va che le è propria, fa apparire ilvissuto più antico ed autentico,intrecciato con il mito (chenasconde “grandi verità sottol’apparente aspetto fantastico”),la storia, ma è soprattutto la fervi-da immaginazione e la creativitàa far ricostruisce una realtà vero-simile, più che vera, con tutti idettagli e le sfumature che rendo-no vivente l’esperienza passata.

È la storia di una famiglia che,nel corso di parecchie generazio-ni, attraversa gli eventi più impor-tanti della storia della nostra bel-lissima terra di Calabria, calpesta-ta e sconvolta da tanti avveni-menti, da tante emergenze. Nonbastavano i terremoti: quello del1909, molto violento, che fa rie-vocare quello del 1783, ed èdescritto con un’intensità e unapartecipazione da far pensare a unfenomeno a cui ha assistito con idettagli delle macerie prodotte,degli aiuti nazionali e internazio-nali che hanno contribuito a leni-re i dolori, a riparare i guasti, leconseguenze terribili, a seppellireil gran numero di morti.

Fra i personaggi principali,delineati con il pennello linguisti-co raffinato e particolare fin neiminimi dettagli, spicca, ovvia-mente, il Barone, la cui vita era“improntata a un grande dinami-smo: non si limitava ad organiz-zare e ordinare, ma seguiva ilavori personalmente.”

La moglie, prima di diventaretale, ha visitato la Sicilia ed èrimasta affascinata dalla bellezzadei luoghi e dalla storia dellaPrincipessa di Carini. È proprio lìche Pietro, in visita ai parenti, e incompagnia del cugino, Giacomo,conosce Dolores e la sposa dopopochi mesi.

Il figlio che nasce dalla lorounione sarà il protagonista di unavita avventurosa, in “Una Parigiprofumata di storia, colorata diarti e passioni… Capitale dellaBelle Èpoque”, la … “ville lumiè-re… una città dove imperava la

joie de vivre”, Vienna e laSpagna.

Dopo la morte di Dolores cheha lasciato Pietro nella desolazio-ne, ma senza piegarlo, il figlioDiego, educato alla più serenalibertà, vivrà a Parigi una storiaparticolare, assieme ad amicidalla vita altrettanto tormentata.

Parigi è descritta nelle sue varieimmagini, nella storia, nell’arte,nella letteratura con molta com-petenza anche nei particolari enelle più piccole nuances.

Le vicissitudini turbolente, maanche delicate, soprattutto tristi diun personaggio che attraversamolta parte del racconto, Jeanette(Jeannette), è stato assimilato aMadame Bovary. In realtà, moltovagamente si riesce a scorgerequalche punto di contatto che nonraggiunge mai la complessità, ilromanticismo, il disagio esisten-ziale e la tragicità del personag-gio di Flaubert. Le differenze equalche similitudine, in verità,sono segnalate dalla narratrice,che evidentemente conosce benela storia di Madame Bovary.Entrambe, comunque, risentonodi una condizione che richiamauna mancanza, una insoddisfazio-ne, caratteristiche di un’epocaben precisa. Infatti, Jeanetteosserva “Capii che la meschinitàdell’esistenza non si adegua maiall’immagine sognata”. Speraquindi di trovare un qualcheappagamento nella scrittura dibrevi articoli su un giornale, afare l’inviato speciale, a studiarequalche personaggio italiano,come Maria de’ Medici e Cristinadi Belgioioso, ad organizzare unconvegno, aiutato da Diego, sulledue donne che avevano molto incomune da cui lei vorrebbe forseacquisire qualche suggerimentoprezioso.

È interessante notare la riappa-rizione continua di Jeanette indiverse occasioni, finite con latragica scomparsa sul Titanicdove si è imbarcata come inviataspeciale, per un servizio giornali-stico. È un amico che, nella partefinale della narrazione, informaDiego della sua morte, di alcunecircostanze della sua vita trava-gliata, che lui non conosceva, edel suo amore ancora vivo per lui.

Diego aveva avuto una storia,un po’ strana e, in certo senso,misteriosa, con questo personag-gio tormentato, interrotta e maicompletamente esaurita, perchélei, senza apparenti motivazioni,era scomparsa. Saprà della suafine proprio dall’amico che si tro-vava, come lei, sul Titanic e che siera salvato.

1- la seconda parte, sul prossimonumero.

È la storia di una famiglia che, nel corso di parec-

chie generazioni, attraversa gli eventi più impor-

tanti della storia della nostra bellissima terra di

Calabria, calpestata e sconvolta da tanti avveni-

menti, da tante emergenze.

DI M ARIO IAZZOLINO

Società

Presila ottanta anno XXX8

GENERAZIONE

“PARTORIDERE”

Uma compie 18 anni il giorno del proprio matrimonio con Ivo. Operai,s’arrangiano a vivere in squallido appartamento di palazzo fatiscente delcentro città. La coppia -dovendo sovvenzionare i genitori di Uma- vive aiconfini della miseria (provvisti abiti e generi di prima necessità e pagate lebollette). Uma e Ivo si trovano d’accordo di non figliare in tale situazione;ma le tattiche anticoncezionali -consistenti in varietà acrobatiche di coitointerrotto- si mostrano inefficaci. Uma in lacrime confida ad Ivo d’essereincinta da tre mesi; lui protesta “E me lo dici adesso?”;lei con un sottile fil di voce “M’avresti fatta abortire”;lui si calma e (studiando la consecùtio tèmporum)“Ammesso ch’avessi avuto o abbia un simile potere,non avrei desiderato che tu abortissi, né ora lo deside-rerei”; lei soave “E’ un dono del cielo, Ivo”; lui fiero“Lasciamo stare il cielo: è un dono che ci facciamo avicenda, Uma. La ricchezza de’ proletari è generareprole giusto per caso, leggerezza, incoscienza, dispet-to…”; lei trasognata “Far figli che fàccian figli che fàc-cian girare la filanda…”. Passano altri tre mesi: Umacela al mondo la pancia che cresce sotto le larghe vesti;èvita esami e dottori. Ivo “Fatti certificar il tuo statointeressante così non lavori e ti pagano lo stesso!”; lei“Porta male sfruttare i padroni: si vèndicano della miaassenza e della nostra felicità”; lui “Ma è un nostrodiritto!”; lei “Rinunciamo: ho bisogno di riservatezza edi raccogliere le forze”; lui “Se tutti i compagni faces-sero così…”; Uma sorride “Lascia che mi prepari cosìad esser madre”; Ivo replica a fatica con un sorriso.Scadono i nove mesi; Uma “Senti come si muove!”,piglia la palma destra d’Ivo per prèmersela sul ventre;lui non sente ma annuisce; lei “Chiama la levatrice”;lui corre via e torna presto con l’esperta matrona. Uma li accoglie nuda esupina sul tavolo della cucina. La robusta compagna -terza allibìta tra idue, i pugni sui fianchi- la scruta “Allora?…”; Uma canta “Que es un soflola vida…”; Ivo proteso “Uma?”; lei si leva a sedere rannicchiata sullatavola, serra le ginocchia tra le braccia e -sbèllicandosi dal ridere, rossa inviso per lo sforzo e la vergogna- partorisce una possente modulata scur-reggia bitonale (uterina e intestinale): “Ecco fatto!”.

Flavio Pavan

“CHI BEN INIZIA”, E’ INIZIATO

Corridoio lungo e stretto, mattonelle bianche alle pareti fino ad un metroe mezzo da terra: reparto di neonatologia della città. Fuori attaccato almuro di questo antico e decadente palazzone un cartello: “qui arriva lacicogna”, poetica narrazione mista a censura pre-conciliare. Le suore dinero vestite, colore che certo poco si addice all’arrivo della vita, sostitui-scono le infermiere. Le uniche persone che non indossano il velo sono ilprimario dottor Mimì, la signorina Tummasìna, impazzita dopo un anno dinoviziato... da allora controlla che nella struttura non vi siano mosche e

uccelli “svolazzanti” e gatti randagi in certa di mangia-re. Il dottor Mimì, poveretto, dopo il primo parto esegui-to in questo ospedale-convento, ha perso l’uso dellaparola. I più cattivi sostengono che la madre superioregli abbia tagliato la lingua dopo una bestemmia nellasala parto. All’ingresso del palazzo tutti i venerdì si riu-niscono le vecchie del vicinato che abitano al civico 17.Siedono sulla panchina “del sindaco” e iniziano a fissa-re la finestra della sala parto: sono in attesa di un segna-le della madre badessa. Per ogni nato in quel giorno, asegnale dato, inizia la recita del rosario per redimere “lagià peccata” neo creatura, venuta al mondo in un “die”sbagliato. A fianco del palazzo sta il magazzino del-l’onoranze funebri, gestito da un gentile signore che, pernon rovinare la festa ai “vicini”, prima di parcheggiare ilcarro da morto lo riveste di fiori di plastica e vi issa ilnastro (tipico delle corone) con su la scritta dorata: tantiauguri! ...E intanto per il corridoio vanno onomatopeici“pitipù patapà”: stupidi adulti pronti a conquistare chidovrà assisterli. Un vecchio telefono della Sip suona, laneo mamma mostra il suo pregno petto. Da lontano siesclama: “che vacca!”. E il papà inizia “somiglia, somi-

glia?”. Una delle tante “cape di pezza”, allo scoccare del vespro consegnala sterile minestrina e il brodo di pollo. Un altro giovane papà all’angolo,di spalle girato, preme tasti di una calcolatrice. Tummasìna rincorre i suoifantasmi. Il dott. Mimì custodisce in formalina la sua lingua che riprende-rà alla pensione. Il bambino piange. I nonni ridono... tranne uno a cui èrimasto incastrato un confetto nella dentiera. E il neo nato grida: “dovesono?”

Massimo Palumbo

Matilde, figlia di mezzo in nume-rosa famiglia lucana emigrata alNord, è passata fin da adolescenteda un manicomio all’altro,seguendo i viaggi della speranzadella sua tribù: loro fuori a cerca-re un lavoro, lei dentro tra gl’inet-ti inproduttivi. Approdata venten-ne al Babi, possiede una bellezzaselvatica e una smània mai sopìtache a volte strarìpa a sconvolgerechi le sta vicino. Anche quandodorme, le linee perfette di quelviso paiono insidiate da un fasti-dio sottìle e implacabile. Ma ora(domenica notte) durante il mioturno di guardia -bagnata di spet-trale luce lunare piovuta dal vetroantisfondamento- sorride per unattimo lei come una madonnabambina. Infante allattata con lattedi mucca contrae una grave infe-zione intestinale, che -trascurata-s’estende alle meningi. Matildetrascina la povertà dei nostri col-loqui verso il tema del misteriosodisease che s’irradia dall’ombeli-co e l’induce a danzare.

Quasi guidata da un ràdar, usairromper nelle riunioni degli ope-ratori giusto allorquando una ten-sione relazionale tra noi raggiungel’acme. Raggiunto il centro dellascena si contorce mostrando di sof-frire per un gran mal di ventre chesi traduce a tratti in un languidosinuoso orgastico serpeggiar delcorpo; preme e struscia i pugni ser-rati sulle guance e poi li scoccainnanzi (“A rifiutare un seno chenon c’è” seria e misteriosa senten-zia Cinzia la giovìn collega pasio-naria). Indotto da un presagio, mitrattengo al gruppo gestionale ple-nario che si tiene il lunedì mattina.Cinzia e Adele (la saggia veteranainfermiera) lìtigano con lubrìcafreddezza serpentina sui limiti dilibertà delle ricoverate: ed eccoche Matilde appar in vestaglia peruna delle sue performances (tolle-rate in genere dal Capo il quale -con me e altri- ne gradisce assai ildissimulato valore erogeno). Leduellanti smettono l’alterco… etutti assistono incantati allo svol-

gersi dello spettacolo diversivo.Matilde tenta di strapparsi la vestedi dosso e al tempo stesso s’impe-disce di farlo; è divisa tra il disgu-sto e l’estasi; è alle prese con latensione di fasci di muscoli corpo-rei assieme ai loro antagonisti finoa raggiungere un vertice, per cede-re alla diffusa flaccidità che prelu-de a uno svenir che non avviene.Oggi con sorpresa di tutti -supe-rando l’ostacolo di Cinzia che,seduta, vorrebbe trattenerla accan-to a sé- Adele balza in piedi edentra in scena fronte a Matilde perimitarla a specchio nella danza.Ma il Capo si fa serio, si leva inpiedi e ordina “Matilde basta:torna al tuo letto!”; lei -sguardo alcielo- smette la danza e obbedisce.Adele ora si rassetta il camice e sifissa le forcine tra i capelli; senzaparole ma con rumor di sediesmosse tutti se ne vanno, tranne mee Cinzia che restiamo assìsi. Una pausa e lei mi sìbila “Quellazitella sterile ha fatto il verso allaMatilde: l’ha presa in giro”; io “E’

la tua paziente che si mette inmezzo al giro a suggerire che èmeglio danzar che venire allemani”; lei “No: vuole la nostradedizione e non ci lascia litigarein pace!”; io “O forse s’esibisce inbase alla tua regìa nascosta”; leifreme paonazza “O tu mi t’esibi-sci co’ stè interpretazion selvag-ge!”; io “Non baruffiamo, se no latua mediatrice ritorna”. Una pausatesa e lei “E’ quella frigida vaccatarantolata dell’Adele che appro-fitta di Mate per sfogarsi!” trema;io cenno a carezzarle una coscia;lei nel fiondarsi via “Vado a vedercosa succede!”. Io rimango nelteatrino circolare da balèra ariflettere sulla carenza di musicanella scansione dei tempi dell’asi-lo; mi sovviene la mia prima gio-vanissima morosa che incede dalieve raggiante Gradìva; poi i mieigenitori stretti a ballar ‘Le vie enrose’ (gìrano in senso antiorariotra loro e rispetto al terrazzo dicasa.

t

“Danzàr consola” - di ALFONSO BROGNARO - Le storielle del Babi: n. 15 - giugno-luglio

Al Nord Al Sud

Numero 301 giu.-lugl. 20129

Cultura e territoriouna storia strug-

gente, leggenda-ria, eroica fino

allo estremo sacrificio,quella di GiovanBattista Falcone, che asoli 23 anni andò incon-tro alla morte, consape-vole di avere combattu-to per una causa giusta,e di avere “inseguito” unideale per i quale nonesitò ad immolare la sua tenera esistenza.

Era nato ad Acri il 23 ottobre 1834, G.B.Falcone, da Angelo e da Maria AntoniaSalvadio .I Falcone, una antica, altolocata efacoltosa famiglia di questa cittadina dell’en-troterra cosentino, per essersi imparentati,alla fine del 1700, con i Sanseverino, principidi Bisignano, ereditarono gra parte del patri-monio di questi ultimi, patrimonio del qualefaceva parte il palazzo in Acri deiSanseverino, da allora palazzo Sanseverino-Falcone.

Per come si conveniva ad una famiglia alto-locata, il rampollo Giovan Battista fu avviatoagli studi ginnasiali nel collegio diSant’Adriano della vicina San DemetrioCorone, dove l’adolescente Falcone nontardò a far sue le idee giacobine che già datempo alitavano clandestinamente nellacomunità collegiale; idee che, in tempi piùrecenti, ebbero maggior presa sui giovani stu-denti, perché sostenute da sentimenti mazzi-niani e antiborbonici.

Intanto l’eco di un tale fermento ribellisticoaveva valicato i pur angusti confini di unapiccola comunità studentesca, tanto da fardefinire, da parte di Ferdinando II diBorbone, secondo quanto informa VincenzoPadula, “Fucina di diavoli” il collegio di SanDemetrio Corone. E in questa “Fucina” giun-se G. B. Falcone all’indomani della sfortuna-ta spedizione dei fratelli Bandiera del 1844;ed entrò subito in contatto e in amicizia con imaggiori esponenti del clima di cospirazione,quali erano i collegiali Domenico Mauro daSan Demetrio, Agesilao Milano da SanBenedetto Ullano, Attanasio Dramis da SanGiorgio Albanese. Ma il padre del Falcone,venuto a conoscenza del clima di ribellione edi cospirazione che si viveva in quel di SanDemetrio, pensò bene di trasferire il giovaneGian Battista nel vicino collegio seminarile diBisignano, con la speranza illusoria di avviar-lo alla carriera ecclesiastica. Si era inO pieno1848; i fenomeni insurrezionali sedati nelsangue, e il troppo breve esperimento dellaCostituzione di Ferdinando II di Borbone,non sfuggirono a i seminaristi della sperdutaBisignano. E il giovane Falcone, non insensi-bile a questi richiami di ribellismo insurrezio-nale, si fece sorprendere mentre, sventolandoun tricolore, inveiva contro i tiranniBorbonici. Espulso con un provvedimentoimmediato, fu trasferito dalla famiglia aNapoli, per completare gli studi nel seminariodi San Carlo all’Arena retto dagli Scolopi.Qui il giovane ribelle Falcone non restò alungo. Sorpreso in letture poco educative (letture notturne dei versi di Berchet ), preferìscappare, per evitare la inevitabile punizione.

Alcune fonti riferiscono che il Falcone sifermò a Napoli per continuare la sua attivitàdi cospiratore dopo l’ incontro con alcunevecchie conoscenze, di cui si dirà di qui apoco. Altre fonti riferiscono che dopo la fugadal collegio di Napoli , il Falcone ritornò acasa , si interessò alla gestione degli affari difamiglia, senza trascurare i contatti con gli

ambienti della cospirazione antiborbonica.Queste ultime fonti riferiscono ancora che,nel 1856, per lenire il dolore causato dallamorte di una sorella alla quale era molto lega-to, si trasferì a Napoli dove, come già riferito,entrò subito in relazione con l’ambiente dellacospirazione, riallacciando i rapporti con duevecchi compagni di collegio, rapporti chemolto incideranno sul destino della sua vita:Agesilao Milano e Attanasio Dramis. I due sierano arruolati volontariamente nell’esercitoper preparare un attentato al re Ferdinando II.E infatti l’8 dicembre del 1856, dopo la cele-brazione della messa in onore dellaImmacolata Concezione, mentre il re passavain rassegna le sue truppe, Agesilao Milanoruppe le righe e attentò alla vita del Borbonea colpi di baionetta. L’attentato fallì e l’atten-tatore Milano, prontamente bloccato, fu arre-stato, quindi processato e condannato a morteil 12 dicembre. Il giorno dopo, 13 dicembre1856, Agesilao Milano veniva impiccatonella Piazza del Mercato di Napoli.

Le indagini della polizia borbonica non tar-darono ad investigare nell’ambiente degli stu-denti calabresi che gravitavano nella cittàpartenopea, soprattutto nell’ambiente di casaFalcone, che il Milano ed altri cospiratorifrequentavano. G.B. Falcone, per sfuggireall’arresto, dopo alcuni giorni durante i qualirimase nascosto presso amici non sospettati,si imbarcò su un battello inglese alla volta diMalta. Nell’isola mediterranea ebbe modo diconoscere Nicola Fabrizi, un cospiratoremolto noto al quale il Falcone si legò conaffetto filiale, ricambiato con stima ed ammi-razione da parte dell’altro che intravedeva nelgiovane calabrese la tempra del combattenteintelligente e pronto a tutto. Si era agli inizidel ’57, e il Fabrizi, in quel particolare perio-do, attendeva, ma con poca convinzione, allapreparazione della spedizione di Sapri, chesarà guidata, di li a poco, da Carlo Pisacane.Infatti volle informare Mazzini delle poche

probabilità di successo di untale moto rivoluzionario cheriteneva prematuro e intem-pestivo. E pertanto NicolaFabrizi diede incarico al gio-vane Falcone di recarsi aGenova per riferire perso-nalmente a Mazzini sullasituazione in atto.

Grande fu la gioia e l’emo-zione di G.B. Falcone nel-l’apprendere che avrebbe

finalmente avuto la grande occasione diincontrare il Mazzini. E quando si trovòdavanti al Grande del Risorgimento, gioia edemozione mutarono in commozione ed in unpianto dirotto.

Da Genova passò quindi a Torino, perincontrare il calabrese Giovanni dei nobiliNicotera, un patriota mazziniano, con il qualeil Falcone strinse una fraterna amicizia cheportava i due calabresii a condividere pensie-ri ,ideali, speranze. Infatti entrambi partecipa-rono, con posizione di comando, alla spedi-zione di Sapri che ebbe inizio, con partenzada Genova, il 25 giugno 1857 sul piroscafoCagliari, della società Rubattino, diretto aTunisi. Dopo essersi impossessati della navedurante la notte, Pisacane, Nicotera, Falconee altri 22 compagni, sbarcarono sull’isola diPonza al mattino seguente, liberarono moltidetenuti dal penitenziario dell’isola e la seradello stesso giorno sbarcarono a Sapri, dovepurtroppo non trovarono la popolazione delluogo pronta ad accoglierli; al contrario, tro-varono masse inferocite contro i rivoltosi, dapoco sbarcati, ritenuti dei banditi per unavoluta disinformazione.

I malcapitati, messi in fuga, puntaronoverso la non lontana Padula, dove molti dei“Trecento” furono massacrati. I sopravvissu-ti, con Pisacane, Nicotera e Falcone cercaro-no una via di fuga verso il Cilento; e qui , inquel di Sansa, il Nicotera, ferito, veniva fattoprigioniero, mentre il Pisacane cadde massa-crato dalle guardie urbane e dai contadiniinferociti.Si dice che si sia tolta la vita perevitare una morte poco gloriosa.

Il giovanissimo Giovan Battista Falcone,colpito a morte, fu trovato adagiato sul corpodi Carlo Pisacane; anche per questo giovaneeroe calabrese non si esclude che si sia toltala vita per lo stesso motivo; il suo corpo, subi-to bruciato, non fu mai trovato. Fu trovata econtinua sempre viva la sua memoria neiconcittadini della sua Acri, che gli hannoeretto uno splendido monumento marmoreocollocato nella piazza della sua città natale.

Giuseppe Mazzini, dopo averlo conosciuto,disse di G.B. Falcone: “Se avessi la gioventùitaliana come costui, l’Italia sarebbe fatta”; eVincenzo Padula, nel 1874, nel ricordare latragica ed eroica vicenda del giovaneFalcone, si espresse dicendo : “un’anima viri-le e ardita in un cuore tenero di fanciullo”.

Purtuttavia non risulta che, nell’anniversa-rio del 150° dell’Unità d’Italia, a livellonazionale o regionale sia stata onorata lamemoria del giovane patriota Gian BattistaFalcone. Non così, come già detto, da partedella cittadina di Acri. Perché tanta memoriacorta? Perchè un giovane eroe viene quasidimenticato?

Eppure la vicenda umana di Giova BattistaFalcone , breve ma intensa, continua a susci-tare, in un insieme, commozione, ammirazio-ne, pianto struggente; era quasi un fanciullo,ma osò sfidare la morte ed immolare la suatenera esistenza per una grande e nobilecausa: la libertà e l’unità d’Italia.

Un eroe dimenticatoGiovan Battista Falcone

di ALBERTO VALENTE

Giovan Battista Falcone

E’

Sono state assegnate le borse distudio, messe a concorso per ilquarto anno dalla famiglia diPietro D’Ambrosio nella ScuolaElementare di Serra Pedace. Unaborsa in ogni classe ha premiatol’alunno o l’alunna che ha svoltoun elaborato sul tema:L’inquinamento. Erano presentila moglie di Petrinu, come lochiamavamo gli amici, i tre figlimaschi e una figlia. Prima dellapremiazione Franco, uno deifigli, ha proiettato un filmato suidiversi tipi d’inquinamento delnostro pianeta che ha trovato lapiena approvazione di noi spetta-tori e ha suscitato l’interesse ditutti gli alunni e i docenti, i qualihanno guardato e ascoltato, in unsilenzio assoluto, con attenzionee curiosità. Prima della premia-zione è intervenuto il Sindaco diSerra Pedace, il dott. Leo FrancoRizzati, il quale ha espresso ilplauso per l’iniziativa, sottoline-ando che in una scuola attiva èimportante dilatare l’orizzonteculturale e stimolare il merito,capace di migliorare la formazio-ne globale di ogni alunno. Una insegnante ha precisatoinnanzi tutto che tutti gli alunnihanno manifestato interesse,impegno e capacità e hanno con-seguito buoni risultati educativi eculturali, mentre, ovviamente, ivincitori fra i partecipanti sonostati leggermente più bravi nellastesura dell’elaborato.Quest’anno, poi, i nomi dei vin-citori risultati sono stati mante-nuti segreti fino alla premiazio-ne, tanto che una ragazza dellaquarta classe si è talmente emo-zionata all’annunzio della suavincita che ha accennato a unpianto consolatorio e liberatorio,mentre poi ha letto il suo elabora-to con chiarezza e convinzione.

E’ intervenuto anche il sottoscrit-to cha ha lodato la compostezzadegli alunni, l’interesse per latematica svolta e per il relativoinsegnamento da trarre per unamigliore conservazione del pia-neta, anche nel loro piccolomondo e nelle famiglie. Ha poispecificato il motivo della suapresenza, finalizzata ad evocarela figura di Pietro D’Ambrosioquale politico impegnato esoprattutto appassionato ricerca-tore intento a scoprire aspettiancora sconosciuti del nostropaese, che egli ha guidato perquattro legislature come sindaco.Ha pubblicato, infatti, un volumesulla vita e le azioni di PietroMonaco e di sua moglie MariaOliverio, correggendo alcuneimprecisioni di chi si era giàoccupato del brigante di Macchiadi Spezzano Piccolo e precisandoi dati anagrafici, la sua vita e lecircostanze della morte dovuta altradimento dei suoi luogotenenti.Io l’avevo conosciuto anchequale mio insegnante alla scuolaelementare, sia pure nei pochigiorni di supplenza. Ne ho conservato un ottimoricordo, perciò lo cercavo sem-pre, quando mi recavo a SerraPedace, avendo rafforzato l’ami-cizia, dopo averlo aiutato a pub-blicare le sue ricerche nelle qualiaveva profuso tanta energia eimpiegato molto tempo a visitarebiblioteche, archivi, studi notari-li, recandosi anche a Roma. Ladifficoltà di trovare un editore,disposto a rischiare le spese dellapubblicazione, lo aveva contra-riato ed era in uno stato di incer-ta attesa. Tutto si è risolto nelmigliore dei modi e il libro haavuto un successo enorme. Non muore definitivamente chilascia “eredità di affetti”, radiciprofonde ed esempi da imitare,come ha fatto lui, dedicando lasua esistenza ai suoi familiari e ladisponibilità a tutti gli altri!Per gli alunni, ho precisato, infi-ne, l’importanza di utilizzare imezzi di comunicazione visivaperché facilitano la memorizza-zione e ho espresso la mia lietapartecipazione alle alle manife-stazioni nel mondo dei ragazziche aiutano a mantenersi giovaninello spirito.

C’è stato un uomo a SpezzanoSila che ha lasciato il segno nellastoria semplicemente decidendo dicambiarla. Anzi, di più: di miglio-rarla. Un uomo leggero, un mae-stro che passeggiava con le manidietro la schiena e con la testa soloapparentemente tra le nuvole. Unuomo che è stato sindaco, che èstato maestro, ma che soprattutto èstato guida. Peppino Via era ed ècome l’oceano: difficile restringer-lo in argini o cercare di descriverlosemplicemente guardandolo.Bisogna esplorarlo, studiarlo e par-tire dal presupposto che, rimanen-do comunque un uomo, Peppinopoteva avere anche dei difetti. Ilpiù grosso dei quali era, senz’altro,quello di non essere immortale.

Il Circolo del PartitoDemocratico di Spezzano Sila eCamigliatello ha voluto omaggiarela figura di questo Charlot (intesocome genio assoluto) della politica,organizzando un convegno dal tito-lo esplicativo e definitivo allo stes-so tempo: Peppino Via: un uomo,la nostra storia. Erano presenti,oltre al coordinatore del CircoloSalvatore Monaco, anche il sinda-co di Spezzano Sila Tiziano Gigli,l’assessore provinciale PietroLecce, la presidentessa regionaledell’AISM Anna Flaminia VeltriBatta.

Nella Sala Convegni del popolo-so centro presilano erano presentianche numerosi ex sindaci comeAnselmo Fata, Francesco Matera,Leonardo Granieri, Silvio Lecce eduna rappresentanza della famigliadi Franchino Castiglione. InoltreTonino Greco, primo cittadinospezzanese a metà degli anni ’70,ha mandato un saluto in quantoassente per motivi di salute. Nonpoteva mancare la famiglia diPeppino, degnamente rappresenta-ta dalla moglie Rosa Via e dalnipote Gianfranco Pantusa. Ma arubare gli occhi erano i cittadiniche hanno affollato l’incontrodimostrando, per l’ennesima volta,l’amore e la riconoscenza che ognisingolo spezzanese nutre neiriguardi di un uomo che ha indiriz-zato, lasciando a tutti il libero arbi-trio, la vita di più generazioni. Sulpodio si sono alternati ricordi,commozione e parole illuminantisu questa figura che sorprende ogniqualvolta ci si approssima ad essa.Quasi struggente il ricordo di

Giovanni Turco, che ha evidenzia-to la capacità di Via di stare appres-so agli ultimi e di avere un occhiodi particolare riguardo per chi erain difficoltà; calorose e sentite leparole di Dora Aquino e di RosaMonaco, rispettivamente collegaed alunna del Maestro, mentreNando Pantusa ha ricordatoPeppino come uomo di partito.

Gli ex sindaci Matera e Fata,invece si sono soffermati sugliaspetti umani e politici di Via. “Unuomo coraggioso” è stato più voltedetto “capace di prendere decisionicoraggiose e difficili in un periodoin cui nulla era facile e soprattuttotutto era da verificare. Bisognaricordare alle giovani generazioniche Peppino quasi sempre ottenevaanche il voto delle opposizionianche quando, e ci riferiamo aglianni dell’immediato dopoguerra,essere comunisti voleva dire essereconsiderati una sorta di palla alpiede per la crescita”. Grazie a per-sone come Peppino Via, LeandroNoce, Rita Pisano, OscarinoCavaliere la Presila è riuscita a cre-scere senza essere infilzata dafenomeni malavitosi e grazie a per-sone come quelle appena citate chesi è creata una vera generazione dipolitici capaci di raccogliereun’eredità pesantissima e affasci-nante nel contempo.

Insomma, una gran bella serata,durante la quale i ricordi si sonofusi con la commozione e l’ammi-razione con la nostalgia. Il nipote,Gianfranco, ha recitato una poesiadi Renata Turco scritta dopo lamorte del maestro: una degnissimachiusura per un momento da con-segnare alla piccola grande storiadi Spezzano Sila e dell’intera pre-sila.

Grazie a lui ed ai suoi scritti gene-razioni di spezzanesi hanno comin-ciato ad amare un paese ed un ter-ritorio tutto da riscoprire e grazie alui ed ai suoi scritti si può comin-ciare a capire questa gente miste-riosa ed affascinante come pochealtre. Lui riusciva a parlarci di noifacendoci sentire importanti, met-tendoci al centro della storia, pun-tando su di noi i riflettori. Nessunolo aveva fatto prima e nessuno riu-scirà a farlo in seguito con la stes-sa maestria e con la stessa compe-tenza

F. P.

Calabria &Area urbana

Presila ottanta anno XXX10

Peppino (non è) ViaSERRA PEDACE: Assegnate le borse di studio nelle elementare

Pietrino rivive nella scuola

Pietrino D’Ambrosio

Il Sindaco Tiziano Gigli durante il suo intervento. A destra: Anna Flaminia VeltriBatta, Fiorenzo Pantusa, Gianfranco Pantusa, Salvatore Monaco e Pietro Lecce

Servizio wi-fia Rovito

La tecnologia wi-fi a Rovitoè diventata una realtà. E’ statainfatti inaugurato e presentatoil nuovo servizio wi-fi che per-metterà l’accesso gratuito allarete Internet per chiunque siain possesso di un dispositivoadeguato (che sia un notebook,uno smartphone ecc).

La copertura senza fili,messa a disposizione da speci-fici apparati installati sul terri-torio, sarà disponibile solo indeterminate zone del paese. Ilprogetto si inserisce in unaserie di azioni mirate a favori-re un maggiore sviluppo deiservizi al cittadino. “La spe-ranza è che questo sia il primopasso di un cammino che por-terà Rovito a diventare epicen-tro di innovazione e vitalitàdella Presila”, ha specificato ilResponsabile delle politichegiovanili Francesco Filicetti”.

Eustachio Intrieri, vesco-vo, nacque a San Pietroin Guarano (CS) il 25gennaio 1688 da Carlo Intrieri eOrsola Pugliese. Al Battesimo glifu dato il nome di Nicola, ma poi,divenuto frate Minimo, prese quel-lo di Eustachio.

Iniziò i suoi studi a SpezzanoGrande (ora Spezzano della Sila)presso i Minimi di S. Francesco diPaola, dove sotto la guida di DonAngelo Di Stefano, parroco diCelico, apprese la lingua latina,della quale, a soli 12 anni, ne cono-sceva “ogni erudizione”.

A circa 15 anni, si ritirò nel con-vento di Paola, ove chiese di essereammesso fra i novizi. Qui il provin-ciale del tempo, padre FrancescoPerimezzi, che fu poi anche vesco-vo di Oppido Mamertina, in virtùdelle informazioni ricevute daipadri di Spezzano, lo accolse e loseguì con particolare affetto edentusiasmo. In seguito, constatatodi persona le elevati doti intellet-tuali e morali del giovane Intrieri, edopo che questi fece la professionedei voti, a 16 anni, lo inviò a com-piere gli studi di Teologia, presso ilCollegio di San Francesco di Paolaai Monti, in Roma. Qui EustachioIntrieri fece rapidi progressi e silaureò alla giovane età di 22 anni.Rientrò, quindi nella sua sede diPaola e fu subito chiamato aCosenza, per insegnare Teologia eFilosofia, nel Collegio del suoOrdine.

Nel 1714, all’età di 26 anni, fuordinato sacerdote, nonostante lesue umili e sincere opposizioni,perché se ne riteneva indegno.Conoscendo le sue virtù di fede edeloquenza, l’allora Arcivescovo diCosenza, Mons. AndreaBrancaccio, gli fece svolgere intutto il territorio della diocesi, unintensa missione apostolica siacome predicatore che come confes-sore e docente. Nel periodo cosen-tino diede lustro all’antica e giàrinomata Accademia telesiana.

Conosciuto per le sue elevatequalità morali ed intellettuali, nel1718, all’età di trent’anni, fu richia-mato a Roma dal Generaledell’Ordine, Padre FrancescoZavarroni, originario di MontaltoUffugo che lo introdusse nell’am-biente culturale romano.

A Roma fu lettore di teologia,reggente nel Collegio dei Minimi,poi superiore. Ben presto la suafama varcò le ristrette mura delconvento, tenne conferenze e corsi,affrontò dispute teologiche e filoso-fiche e predicò in tutta la città. Fumolto stimato dal CardinaleAnnibale Albani.

A questi, nel 1723, VittorioAmedeo II di Savoia, devoto a S.Francesco di Paola, per grazia rice-vuta dai suoi genitori, ed estimato-re dei frati dell’Ordine dei Minimi,chiese un elemento dotto e fidatoper insegnare Filosofia, conformealla tradizione cattolica,all’Università di Torino, in quegli

anni da lui riforma-ta e potenziata.Vittorio Amedeo II

di Savoia, in quel periodo, attende-va alla riforma dello Stato, e, inquesto contesto intendeva arginareil pericolo del “giansenismo”, unacorrente teologica caratterizzata dauna rigorosa concezione personali-stica e deterministica della graziadivina, che, secondo i gesuiti,sosteneva la negazione del liberoarbitrio dell’uomo e avvalorava lateoria della predestinazione. Il car-dinale Albani inviò quindi a Torino“il servo di Dio”, padre EustachioIntrieri, che in quella Universitàtenne dapprima la cattedra diLogica e Metafisica come lettore e,nel 1729, per il compiacimentodello stesso re Vittorio Amedeo II,quella di Teologia Morale, con lanomina di professore.

Ma per motivi di salute, essendo

stato colpito da un colpo apopletti-co, dovette ritornare a Roma doveriprese la sua attività culturale e fuprima nominato Consultore dellaCongregazione dei Riti edell’Indice e dei Riti successiva-mente, nel giugno del 1732, dalPapa Clemente XII, Vescovo titola-re della Samaria e suffraganeo delcardinale Albani della Genga, cheera Arcivescovo suburbicario dellaS a b i n a .

Di questo periodo abbiamo rin-venuto due cronache (CHRACASDiario Ordinario di Roma, sunto dinotizie e indici - Vol. II (p. 1) (1737- 1750), che riportiamo integral-mente:

Anno 1737- 23 febbraio n. 2 p.10“Ieri mattina Monsignor Fr.Eustachio Entreri nella chiesa col-legiale di S. Lucia della Tinta, JusPatronato della Ecc.ma CasaBorghese, consacrò i due altarilaterali dalla parte del Vangelo,l’uno dedicato a S. Geminiano e S.Lucia Vedova e martire, e l’altro aS. Antonio e S. Francesco di Paola,nel primo pose le reliquie de Ss.Mm. Severino e Giocondina, nel-l’altro le Rr. de Ss. Mm. Auro eS e r e n o .

2 marzo - n. 3055 - MonsignorEntreri consacra altri due altari inS. Lucia della Tinta in cornuEpistolae, l’uno dedicato al SS.moCrocifisso con reliquie de Ss. Mm.Fausto e Tranquillo, l’altro dedica-to a S. Lucia vedova e M. con reli-

quie de Ss. Mm. Verecondo eGiocondo”.

Il 3 Maggio del 1738 il PonteficeClemente XII lo trasferì inCalabria, Vescovo di Nicotera, sederesa vacante dall’assegnazione delVescovo Francesco De Novellisalla diocesi di Sarno. Qui svolseun’intensa opera pastorale e fu peril popolo anche padre e maestro. Fuoperatore di pace, appianò lotte edissidi fra la popolazione e fumolto caritatevole: al mercoledì eal sabato elargiva personalmente leelemosine e spesso si recava nellemisere abitazioni della poveragente per portare cibo, danaro evestiti.

Quando nel 1743, una terribilepestilenza colpì la zona di ReggioCalabria, fece superare i severi con-trolli dei lazzaretti e inviò ristoriagli ammalati. Presiedeva personal-mente i riti delle processioni scal-zo, legato con funi e col capo coro-nato di spine.

Profuse molto impegno nellaristrutturazione della cattedraledevolvendo per tale scopo la rendi-ta vescovile e raccogliendo perso-nalmente offerte. Non disdegnavadi partecipare personalmente ailavori, trasportando pietre e quan-t’altro necessario. Arricchì la catte-drale di suppellettili, arredi sacri edipinti, alcuni dei quali si trovanoesposti ancora nel museo diocesa-no; sei candelabri in argento conrelative teche, furono sequestrati evenduti dal cardinale Ruffo allachiesa di S. Leoluca di ViboValentia.

Riordinò il Seminario introdu-cendo nuovi insegnamenti e riuscì afare affluire nuovi seminaristi,emanò alcuni decreti per regolariz-zare il comportamento dei chierici,l’osservanza dei precetti, l’istruzio-ne del popolo e la corretta osser-vanza della vita di clausura dellesuore.

Pare che fu indotto a trattarequest’ultimo aspetto della vitamonacale nei conventi femminiliper alcuni problemi sorti con duesue nipoti, suore clarisse di clausu-ra, Teresa e Ursula, pure esse nelconvento di Nicotera, dove laprima ne fu anche madre badessa.

Si ritiene che avesse anche dotiprofetiche: predisse la sua morte alvescovo di Bitetto, Mons.Francesco Franco, di Seminara, chegli fece visita durante i lavori di

restauro della Cattedrale, e gli pro-fetizzò anche che sarebbe stato luiil suo successore nella sede diNicotera e che avrebbe poi atteso alcompletamento dei lavori e allasolenne inaugurazione della catte-drale.

Si allontanò dalla sua diocesi inuna sola occasione, quando ricevet-te dal Papa l’incarico di recarsi aLongobardi, insieme ai Vescovi diOppido Mamertina e di Tropea(Mons. Vita e Mons. Guglielmini),per condurre un’inchiesta ecclesia-stica sulle virtù del servo di DioFra’ Nicolò da Longobardi, infor-mazioni canoniche necessarie perla causa di beatificazione e delquale, nel 1720, Mons. Intrieriaveva pubblicato una biografia. Fuin questa occasione che rivisitòanche Spezzano Grande dove pre-siedette anche all’elezione delpadre Provinciale, Cosenza e il suopaese natìo, San Pietro in Guarano,ove fu accolto, dai cittadini e dallafamiglia Collice, con sinceri eaffettuosi attestati di stima, ricono-scenza e ammirazione.Morì in odore di santità, l’11 marzo1745, all’età di 57 anni; dal suocorpo si sprigionò un particolareprofumo e una folla incalcolabileaccorse nella cattedrale. Fu spo-gliato per tre volte dalle vesti per-ché i fedeli tentarono di procurarsibrandelli dei suoi vestiti per tenerlicome reliquie.

Portava due cilici, uno gli futolto, l’altro gli si era conficcatonelle carni e non fu possibile aspor-taglielo.Fu sepolto originariamente nellacappella della Madonna delRosario, nella cattedrale, non ebbefunerali ed è l’unico prelato diNicotera di cui non esiste il certifi-cato di morte.

Ad un mese dalla morte, laduchessa Pignatelli di Monteleone,giungendo a Nicotera con il suoseguito, sull’onda dei fatti prodi-giosi avvenuti, chiese al capitolodella cattedrale di vedere il suocorpo, la salma fu riesumata e,anche in quella occasione, ancoraintatta, sprigionò il profumo.

In occasioni della sua mortefurono composti sonetti, epigram-mi ed elegie, in lingua latina ed ita-liana, alcuni di questi componi-menti sono dell’Arcadia romana.Alcune fonti sostengono che ora lesue spoglie si trovino in una criptain mezzo al coro della cattedrale,insieme a quelle di altri vescovi, manon ci sono notizie certe e le iscri-zioni incise sulle lastre di marmodelle varie cripte nella cattedralesono illeggibili perché consumatedal calpestio dei fedeli.

Nella pinacoteca del museo dellacattedrale è conservato un suodipinto e fra i paramenti due suemitria.La sua immagine ci è anche tra-mandata in un dipinto di autoreignoto che si trova nella sacrestiadella chiesa di S. Maria inGerusalemme di San Pietro inGuarano.

La via “Intrieri”, che da piazzaCarrieri solca buona parte del cen-tro storico di San Pietro inGuarano, è dedicata alla sua memo-ria.

Numero 301 giu.-lugl. 201211

Cultura e spettacolo

Un illustre e umile prelato da conoscere e riscoprire

Eustachio Intrieri

Nato a San Pietro in Guarano,iniziò gli studi presso i Minimidi San Francesco di Paola a“Spezzano Grande”. Ebbecome primo maestro DonAngelo Perimezzi, parroco diCelico. Fu Vescovo a Roma ea Nicotera. Professore diFilosofia e Moraleall’Università di Torino. Morìin odore di santità.

DI IGINO IULIANO

ROMA - “Caro MinistroPassera, la Calabria accanto allaSalerno Reggio Calabria, da Leiritenuta giustamente “infrastruttu-ra basilare per il Sud”, sarebbeopportuno realizzare l’autostradajonica che da Taranto porti aReggio Calabria, l’ammoderna-mento delle tratte ferroviarie el’alta velocità”.

Ad affermarlo è il delegato airapporti con le comunità regionalidi Roma Capitale, DomenicoNaccari. “Quando c’era il prece-dente governo - afferma - ho piùvolte ribadito la necessità diun’altra arteria sul versante jonicopugliese-calabrese, poiché da solala Salerno Reggio, pur ad ammo-dernamento terminato, non saràpiù sufficiente a sopportare lamole di traffico e il trasporto sugomma dei mezzi pesanti. La rea-lizzazione di un secondo asseautostradale consentirebbe disnellire le statali interne, limitaregli incidenti, spesso mortali,soprattutto sulla statale 106 e,qualora dovesse realizzarsi ilPonte sullo Stretto, diventerebbeuna infrastruttura di crucialeimportanza sul Mediterraneo.

L’allora viceministro Aurelio

Misiti - prosegue il delegato diAlemanno - aveva anche predi-sposto uno studio di fattibilità del-l’opera, prevedendo il projectfinancing quale strumento difinanziamento, unitamente ad uncontributo del pedaggio sulla Sa-Rc.

Se c’è la volontà si potrebbeapprofondire questa proposta. Lainvito a fare, caro Ministro, unsopralluogo sulla statale 106 joni-ca, soprattutto nella Locride, perrendersi conto delle penosi condi-zioni di viabilità. Per levare laCalabria dall’isolamento in cuiversa, per far sì che diventi real-mente la Porta d’Europa, - con-clude Domenico Naccari - biso-gna dotarla di infrastrutturemoderne e competitive, riammo-dernare l’esistente, come la fati-scente linea ferrata sulla fasciajonica e pensare ad “allungare”l’Alta velocità fino a ReggioCalabria”.

Naccari poi interviene sulla que-stione della ventilata soppressionedi tribunali calabresi. “In unaregione che ha la più potenteorganizzazione criminale delmondo, di tribunali e presidi diforze dell’Ordine se ne dovrebbe-

ro fare di nuovi, non sopprimerli”rileva Naccari, che si associa “aquanti hanno protestato a Romaper impedire la chiusura del tribu-nale di Castrovillari”, in provinciadi Cosenza. “La macchina dellaGiustizia nel nostro Paese –aggiunge- sconta enormi ritardi intermini di ammodernamento.

I tempi dei processi sono bibbli-ci e non per colpa di magistrati oavvocati ma per l’asfissiante labi-rinto burocratico in cui si ècostretti a operare. Occorre snelli-re le leggi, usare le nuove tecnolo-gie e, come chiedono i magistratiin prima linea contro la mafia,rivisitare il codice penale. Questospetta al parlamento farlo e auspi-chiamo che vi sia la giusta consi-derazione in questa direzione.

Ciò che chiede la comunità cala-brese, insieme alle altre delMezzogiorno, è un potenziamentodelle reti giudiziarie, non la chiu-sura di quei pochi presidi di lega-lità esistenti. Servono maggioririsorse, più magistrati e forzedell’Ordine. Non è pensabile con-trastare la ‘ndrangheta senza cartaper i processi e senza il carburan-te per le auto dei giudici. Pensaredi eliminare il problema soppri-mendo i tribunali è veramenteassurdo. Non vorremmo - conclu-de l’on. Naccari - che ci sia qual-cuno in futuro che ipotizzi la sop-pressione delle Facoltà diGiurisprudenza per via delladisoccupazione tra i giovani”.

vati, cercando di met-tere a disagio le per-sone che vorrebberoammirarlo per la suaricchezza soltanto.L’arte è un investi-mento di capitali, lacultura un alibi.

Flaiano e i giovani.- I giovani hanno

quasi tutti il coraggiodelle opinioni altrui.Un giovane va incon-tro alla vita: cioè, è lavita che da dietro lospinge.

Flaiano e la Cina.

- Ci deve essere qual-cosa di più noioso deilibri che si scrivonosulla Cina: la Cinastessa. Capire la Cinanon è soltanto impos-sibile, ma inutile.

Flaiano e l’amore.

- L’amore è una cosatroppo importante perlasciarla fare agliamanti. In amore gliscritti volano e leparole restano.

L’avarizia è la formapiù sensuale di castità.La castità è il mirag-gio degli osceni. Unadonna che fugge attiral’inseguitore, anzi locrea. Il traffico hareso impossibilel’adulterio nelle ore dipunta. Chi mi ama mipreceda.

Flaiano e la lettera-tura.

- Tutto ciò che è fuoridella letteratura,all’inverso, è propa-ganda, od ossequioalla moda. Leggere èniente, il difficile èdimenticare ciò che siè letto. E ormai nonsono più gli autori adallontanarsi dai lorolibri, ma i lettori. Unlibro sogna. Il libro èl’unico oggetto inani-mato che possa averesogni. I capolavorioggi hanno i minuticontati. Credo che latelevisione abbiaabbassato il livelloculturale degli intel-lettuali.

Flaiano e il successo.- Il successo allamoda si ottiene con lapubblicità e si pagacon la prostituzionealla folla. Invertendol’ordine dei fattori ilsuccesso non cambia,diventa forse piùduraturo, perché “sof-ferto”. Il successoottenuto col merito epagato con l’indiffe-renza annoia ilgrosso pubblicoe, da qualchetempo in qua,anche gli altri.

Flaiano e lapolitica.

- Io non sonocomunista per-ché non me loposso permette-re.

Coraggio, ilmeglio è passato.

Ennio Flaiano

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Le interviste immaginarie - Ennio Flaiano

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Caro ministro Passera, occorrepiù attenzione per la Calabria

LAPPANO: festeggiata Santa Gemma Galgani

Si sono svolti a Lappano i festeg-giamenti annuali in onore di SantaGemma Galgani.

Com’è risaputo, Lappano, picco-lo centro della Presila cosentina, èparticolarmente legato alla Santaluchese in quanto negli anni trentaSanta Gemma ha operato i duemiracoli che la portarono aglionori degli altari (Bolla Papa PioXII del 2 maggio 1940).La bellissima statua di SantaGemma e le due reliquie (una cioc-ca dei Suoi capelli ed un osso delSuo costato, che sono custoditenella monumentale ChiesaParrocchiale), sono state portate inprocessione per le vie del paesedomenica 1 Luglio.

Ogni anno la Festa viene colloca-ta dai lappanesi nell’ultima dome-nica di giugno, ma quest’anno c’èstata una piccola variazione inquanto l’ultima domenica corri-sponde con il 24 giugno, giorno delProtettore Parrocchiale, SanGiovanni Battista.

Il novenario ha avuto inizio il 22giugno ed ogni sera, con inizio alleore 20,45 si è tenuto il SantoRosario, istruzione e Santa Messa.Poi dal 28 giugno il triduo di predi-cazioni tenuto dal Rev. PadreFrancesco Lanzillotta O.F.M.

Il Parroco, Don Saverio Greco, sìè così rivolto ai devoti: “La nostraSanta Gemma ritorna per parlareal cuore di ciascuno di noi e perricordarci che la vita che stiamotrascorrendo è un ponte che ci per-mette di passare alla Vita Vera:quella eterna. Dieci giorni trascor-si accanto a Lei per ascoltare,seguendo il Suo esempio, la Paroladi Gesù che conduce al Cielo. E’Lei che ci invita ad ascoltare unaparola vera e sincera che ci sollevidalle incertezze, dai timori, dalleansie che ci affliggono”.

Ad affidare le proprie intenzioniall’intercessione della VenerataSanta Gemma non sono stati solo idevoti lappanesi ma tanti altri cheogni anno non mancano di venireda diverse località, calabresi e dialtre regioni.

Romilio Iusi