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Girolamo Zampieri IL SARCOFAGO DI SAN PROSDOCIMO NEL CONTESTO FUNERARIO DELLA BASILICA DI SANTA GIUSTINA IN DOVA* La presenza di sarcofagi lapidei all'interno dell'area funeraria di Santa Giustina evidenzia un caratteristico tipo di sepoltura a inumazione, il cui rito non è ignoto nel I secolo d.C., benché esso acquisti un rilievo particolare nei secoli successivi da parte delle classe più abbienti. La sempre più frequente adozione di questo tipo di sepoltura in luogo dell'in- cinerazione portò alla crescente diffusione dei sarcofagi di marmo e alla formazione di officine specializzate in Roma, ad Atene e in Asia Miniore. In Italia settentrionale, dalla prima metà del II secolo d.C. circa, ha inizio a Ravenna e ad Aquileia la diffusione dei sarcofagi in marmo orientale del Proconneso. In questi centri, le tipologie sono fondamentalmente due: a cassapanca e a decorazione architettonica. Nel caso di Santa Giustina, siamo di fronte a dei sarcofagi la cui morlogia e sintassi decorativa non possono costituire una classe partico- larmente significativa, per quanto la loro struttura - almeno per alcuni di essi - non si ririsca più a un'opera originale, ma a un reperto sfigurato da un'atroce rilavorazione. Vediamoli brevemente. Anzitutto il sarcofago in pietra di Aurisina di Domizia Atiliana e di Flavio Leto che, secondo Orsato 1 , si trovava nel "guardaroba de' monaci di S. Giustina, convertito in urna olearia" e, con questa funzione, utilizzato anche in una bottega di via Pinzocchere 2 , oggi via Locatelli. Ma è soprat- tutto l'accurata ispezione nella 'cripta' dell'oratorio di Opilione che ha consentito di portare alla stesura dell'inventario dei reperti ivi conservati, permettendoci di risarcire in qualche modo l'esclusione d'una testimo- nianza archeologica, il cui significato è di peso considerevole, visto che consente di analizzare manufatti lapidei ancora in situ: quattro sarcofagi, per l'appunto, che gli studi sull'oratorio e sull'area circostante tacciono: né di essi v'è traccia nel libro di Maria Tonzig 3 e nelle Relazioni edite nel 1969 e nel 1970 da Gino Pavan 4 . Solo in una brevissima nota, Paolo * Questo contributo riprende in forma sintetica quanto edito in ZAMPIERI 2003, pp. 71-120. 0RSATO 1652, p. 13. 2 Prot. Museo n. 212 ciel 1896, ingressi 2752, inventario 217. Su questa via si veda SAGGIORI 1982, p. 275. 3 TONZIG 1929. 4 PAVAN 1968; PAVAN 1970. 45

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Girolamo Zampieri

IL SARCOFAGO DI SAN PROSDOCIMO

NEL CONTESTO FUNERARIO

DELLA BASILICA DI SANTA GIUSTINA IN PADOVA*

La presenza di sarcofagi lapidei all'interno dell'area funeraria di Santa Giustina evidenzia un caratteristico tipo di sepoltura a inumazione, il cui rito non è ignoto nel I secolo d.C., benché esso acquisti un rilievo particolare nei secoli successivi da parte delle classe più abbienti. La sempre più frequente adozione di questo tipo di sepoltura in luogo dell'in­cinerazione portò alla crescente diffusione dei sarcofagi di marmo e alla formazione di officine specializzate in Roma, ad Atene e in Asia Miniore. In Italia settentrionale, dalla prima metà del II secolo d.C. circa, ha inizio a Ravenna e ad Aquileia la diffusione dei sarcofagi in marmo orientale del Proconneso. In questi centri, le tipologie sono fondamentalmente due: a cassapanca e a decorazione architettonica.

Nel caso di Santa Giustina, siamo di fronte a dei sarcofagi la cui morfologia e sintassi decorativa non possono costituire una classe partico­larmente significativa, per quanto la loro struttura - almeno per alcuni di essi - non si riferisca più a un'opera originale, ma a un reperto sfigurato da un'atroce rilavorazione. Vediamoli brevemente.

Anzitutto il sarcofago in pietra di Aurisina di Domizia Atiliana e di Flavio Leto che, secondo Orsato 1, si trovava nel "guardaroba de' monaci di S. Giustina, convertito in urna olearia" e, con questa funzione, utilizzato anche in una bottega di via Pinzocchere 2, oggi via Locatelli. Ma è soprat­tutto l'accurata ispezione nella 'cripta' dell'oratorio di Opilione che ha consentito di portare alla stesura dell'inventario dei reperti ivi conservati, permettendoci di risarcire in qualche modo l'esclusione d'una testimo­nianza archeologica, il cui significato è di peso considerevole, visto che consente di analizzare manufatti lapidei ancora in situ: quattro sarcofagi, per l'appunto, che gli studi sull'oratorio e sull'area circostante tacciono: né di essi v'è traccia nel libro di Maria Tonzig 3 e nelle Relazioni edite nel 1969 e nel 1970 da Gino Pavan 4. Solo in una brevissima nota, Paolo

* Questo contributo riprende in forma sintetica quanto edito in ZAMPIERI 2003, pp.71-120.

0RSATO 1652, p. 13.2 Prot. Museo n. 212 ciel 1896, ingressi 2752, inventario 217. Su questa via si veda

SAGGIORI 1982, p. 275. 3 TONZIG 1929. 4 PAVAN 1968; PAVAN 1970.

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GIROLAMO ZAMP!ERI

Lino Zovatto e Ireneo Daniele 5 ne fanno menzione, benché anch'essi si sottraggano all'analisi dei reperti. I documenti d'archivio sono certamente più generosi di notizie.

In rapporto alla struttura architettonica dell'oratorio di Opilione, la cui 'cripta' cominciò a esistere sicuramente solo dopo il rinnovamento del 1565, come c'informa Girolamo da Potenza 6, i quattro sarcofagi si collo­cano all'interno (A, B) e all'esterno (C, D) della 'cripta' stessa (fig. 1). La loro presenza s'avverte come un inserto antico lasciato sul luogo d'origine con cauta discrezione a testimonianza d'una precedente area cimiteriale, che par concentrarsi nella zona dove poi sorsero il cosiddetto 'mausoleo' e l'oratorio. E proprio qui, nel sottosuolo dell'oratorio di Opilione - e nelle immediate vicinanze - si ebbero le invenzioni dei corpi dei santi in arche marmoree (fig. 2a-b). S'insinua, quindi, il sospetto del reimpiego di alcuni sarcofagi romani per deporvi le salme venerate della primitiva chiesa padovana. Ecco. Codesto spunto ci rimanda alle invenzioni di san Daniele, di san Prosdocimo, di santa Giustina e di san Luca a dar retta all' inventio del 1177. Ma ritorniamo all'esame dei nostri reperti.

L'autopsia del sarcofago A, in trachite, collocato sulla parete nord della 'cripta' dell'oratorio, offre un aspetto decisamente scabro: cassa monolitica, pareti grossolanamente lavorate quasi fosse allo stato di cava. Il coperchio, forse non pertinente, è piatto e sporgente da un lato. Esso non offre particolari elementi che consentano un inquadramento cronologico puntuale. Esemplari di questo tipo sono generalmente assegnabili ali' età imperiale. Il sarcofago B, anch'esso in trachite, con tracce di scialbatura bianca sulla fronte, è sistemato sul lato sud della 'cripta'. Il coperchio, in marmo rosso di Verona, non è pertinente. La fronte è occupata da una grande tabula rettangolare con cornice modanata e anse a doppia voluta ornate nel centro da una sorta di punta di freccia romboidale. Questo tipo di ansa, frequente nei sarcofagi aquileiesi, è già presente agli inizi del III secolo d.C., ma diventa usuale dall'età severiana. La nostra tabula, che occupa tutta la fronte della cassa, si può inserire nel tipo IV 2 della classi­ficazione di Rebecchi 7• Il sarcofago C (fig. 3), in trachite, perfettamente in situ, si trova all'esterno dell'oratorio di San Prosdocimo, sotto l'atrio di settentrione, ed è appoggiato con un fianco sulla parete est, in parte costruita con mattoni sesquipedali romani, tra il cosiddetto 'mausoleo' e l'oratorio. Il quarto sarcofago, indicato con la lettera D, tuttora in situ,

è nel cortile retrostante l'oratorio di San Prosdocimo, tra le fondazioni

S ZOYATTO 1963, p. 27; DANIELE] 987, pp. I 10-111, 145, 152.6 DA POTENZA, f. 69v.: "Fo bottata un volto a quella capella et tra li muri fo fatto

come una cameretta et in quella fono poste tutt'arche et ossa onorevolmente dove oggi appaiono".

7 REBECCHI 1978,p.243.

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o - muratura di età paleocristiana

o ED avanzo pavimento musivo sec. VI

probabili stmtlure murarie sec. VI

sarcofagi romani A-B-C-D

Fig. 1. Pianta del complesso opilioniano (basilica, oratorio, 'mausoleo'), con l' in­dicazione topografica dei rinvenimenti (da BRESCIANI ALYAREZ 1970, p. 72, fig. 2. Rielaborazione grafica di R. Sacchetto Cozza; da ZAMPIERI 2003, p. 76).

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GIROLAMO ZAMPIERI

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Fig. 2a-b. Pianta della 'cripta' dell'oratorio di San Prosdocimo, con l'indicazione topografica dei rinvenimenti (fig. 2a); pianta dell'oratorio di San Prosdocimo e vani adiacenti (fig. 2b). Padova, Biblioteca Civica, R.I.P. XXXIX 3605-3606 (da ZAMPIERI 2003, p. 78).

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Fig. 3. Sarcofago C. Padova, basilica di Santa Giustina: 'cripta' dell'oratorio di San Prosdocimo (foto G. Ghiraldini; da ZAMPIERI 2003, p. 81).

del!' abside poligonale dell'oratorio stesso e le fondazioni dell'edificio circolare, cioè il 'mausoleo'. Si tratta, quindi, d'uno spazio precedente­mente occupato da sepolture a inumazione (sarcofagi lapidei e tombe alla cappuccina), sigillato in epoca paleocristiana dagli edifici riconducibili alla primitiva basilica, all'oratorio e al 'mausoleo'.

Se ha senso questo breve elenco di materiali archeologici disponibili in situ e di quelli la cui provenienza da Santa Giustina è accertata da dati d'archivio o da fonti attendibili, val la pena di esaminare anche il sarco­fago di san Daniele, prima di prendere in considerazione quello di san Prosdocimo.

Va detto che, sinora, la storia di questi due manufatti lapidei è stata condotta più volentieri nei modi d'una biografia dei due santi, talché, pure in quest'ottica- ch'è stata principio stimolante-, l'accento ha finito per essere posto soprattutto sulla loro leggenda piuttosto che sullo studio tipologico e cronologico dei sarcofagi, ch'è rimasto invece circoscritto ai commenti in margine a una produzione letteraria che ha coinvolto numerosi studiosi. Siamo nel 1075. Dalla leggenda, nel!' editio Brunacci s,

8 BRUNACCI 1763, p. 136.

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apprendiamo che tolte le lastre di marmo del pavimento del sacello di Santa Giustina ("detto di San Prosdocimo") 9 (cf. fig. 2a), dopo breve lavoro si vide un'arca di marmo bianco circondata da lamine di ferro e di piombo. È il sarcofago di San Daniele, di cui si ebbero tre ricognizioni: nel 1592, nel 1862 e nel 1953, prima che venisse inaugurato l'altare del santo levita nella cripta della cattedrale, dove il vescovo Ulderico volle trasferire, nel gennaio del 1076, il corpo del martire, benché i monaci di Santa Giustina evidenziassero giustamente il dolore di quella perdita. Un'ultima ricognizione si ebbe nel 2003. Molte sono state le novità JO, a parte l'iscrizione, che ha avuto ampia e suggestiva trattazione, giacché sarebbe ozioso riproporne la lettura, che trova invece nuova linfa nell' in­telligente contributo di Maria Pia Billanovich 11•

L'autopsia del sarcofago rivela quanto segue: marmo proconnesio, vasca monolitica, coperchio non pertinente. L'attuale stato di conserva­zione, che evidenzia liptoclasi su un fianco, cioè una spaccatura natu­rale del marmo, è il risultato d'un riutilizzo e d'un adattamento a nuova sepoltura mediante la semplice abrasione della primitiva epigrafe e forse con la totale cancellazione della classica coppia di eroti che sorreggeva la tabula rettangolare. Anche l'intera superficie posteriore è stata com­pletamente rilavorata. Siamo forse di fronte a un reimpiego voluto dalla committenza? dal vescovo Ulderico o dal canonico Giovanni dell 'Abbate o dal cardinale Alvise Cornaro, il quale ultimo, nel 1592, fece trasferireil sarcofago nel nuovo sottocoro della cattedrale? Proprio in quell'anno,il 21 marzo, fu aperto il sarcofago, e le sacre spoglie vennero collocate inuna cassetta di piombo.

E veniamo al sarcofago di San Prosdocimo, tema del nostro inter­vento, per raccogliere la necessaria tradizione, che aggancia da una parte uomini di chiesa, dall'altra uomini votati alle lettere in una dinamica narrativa che s'affida al bagaglio ricco dell'agiografia, che definisce la storia e la leggenda di san Prosdocimo, per il quale sarebbe troppo lungo e ozioso, in questa sede, discriminare punto per punto la genesi e le tappe della storia dell'inventio, per cui conviene solo avvertire che esse hanno fondamento nella descrizione di molti_ studiosi, tra cui Ireneo Daniele, al quale conviene affidarci 12• Vediamo brevemente con lui i più importanti avvenimenti.

Le principali ricognizioni del santo furono compiute nel 1564, nel 1605 e nel 1957, ma ricerche non ufficiali del prezioso sepolcro si ebbero già prima del 1560, quando lo Scardeone nel suo De antiquitate Urbis

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9 BARZ0N 19792, p. 377.IO Su tutta la questione si veda ZAMPIERI 2003, pp. 84-91.li BILLAN0VICH 199la;BILLANOVICH 1991b. 12 DANIELE 1987, pp. 130-220.

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Patavii asseriva d'essere stato informato che nell'arca visibile di san Prosdocimo non v'era il corpo del santo, il quale si trovava invece ( ... ) in marmoreo tumulo sub terram de fosso 11. La relazione del cancelliere del Comune di Padova, Gian Giacomo Terenzio (Francesco, per Saviolo) 14,

ci fa sapere che l'altare di san Prosdocimo non si trovava in un braccio dell'oratorio, ma quasi al centro di esso, a ridosso della pergula 15, che fu demolita insieme all'altare del santo costituito da lastre di marmo. Nulla, però, si trovò all'interno dell'altare, a eccezione d'una grande lastra lapi­dea, che copriva il pavimento sottostante, sollevata la quale apparve l'ima­go clipeata di san Prosdocimo. Leggiamo: magnum perantiquum, quod tegebatur maximo lapide semicircularis formae, in capite cuius sita erat marmorea tabella, in qua umana capitis figura sculpta erat et haec verba descripta legebantur: 'S. Prosdocimus ep. et conf"'. Il sito, quindi, come nel caso del sarcofago di san Daniele, è chiaramente specificato e rappre­senta una precisa coordinata di riferimento (cf. punto 'c' in fig. 2a). Ma c'è di più. Le ossa del santo, separate le une dalle altre, sarebbero state impri­gionate nel gesso, "un gesso liquefatto" secondo Girolamo da Potenza 16;

"( ... ) involte in un bianchissimo panno lino, ma così secco, e duro, che non puotero essere di là cavate, senza l'aiuto, e l'opera degli scarpelli" secondo Leonello Crocecalle 17; "in bianchissimo panno lino", secondo Cavacio 1 s. Quindi, nell'impossibilità d'identificare oggi l'effettiva situa­zione, ci resta una sorta di sottile percezione filtrata attraverso le notizie forniteci con dovizia di particolari da Girolamo da Potenza. Seguiamone il racconto 19: "pertanto se ne cavò tutto il restante de la cappella [di San Prosdocimo] per ritrovare qualche altra memoria, dove si trovorno una infinità di sepolture ( ... ) non di marmo, ma semplicemente posti in terra ( ... ). L'altra arca ancora di finissimo marmo fo ritrovata a piede di quel Crocifisso dove è hora proprio il corpo o arca di S. Prosdocimo ( ... ). Fo tolta questa bella arca et data a lavorar per metterci il corpo [del santo] dove hora sta". Cavacio riporta la storia con altrettanta chiarezza 20.

Sulla traslazione del corpo di san Prosdocimo, Terenzio fornisce una relazione dettagliata 21• Di questa, conta considerare che le reliquie furono sistemate in una cassetta di piombo, che fu collocata in un loculo scavato nel muro e chiuso da una lastra di marmo, identificabile con l'ele-

lJ SCARDEONE 1560, pp. 102-103, 266-267. l4 SAVIOLO 1682, p. 150.15 SAVlOLO 1682, p. 149. 16 DA POTENZA, f. 69r.

17 CROCECALLE, f. ] 25r.-v.lS CAVACIO 16962, pp. 284-285.19 DA POTENZA, f. 69r.20 CAVAClO 16962, p. 285.21 SAV IOLO 1682, p. 154.

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gante pluteo a due specchiature, databile al VI secolo d.C., appartenente, secondo Zovatto, "a recinzione presbiteriale di basilica paleocristiana" 22•

Terenzio, inoltre, riferisce che la cassa di legno entro la quale furono tro­vati, imprigionati nel "gesso rappreso", i resti del santo 23 fu sistemata nel cavo dell'altare-sarcofago assieme ai pezzi di gesso e sopra le fu collocata la 'tabella' con l'imago clipeata di San Prosdocimo 24• Nel 1605 l'abate di Santa Giustina, don Domenico Perozzi, ottenne la riesumazione dei sacri resti per toglierne una reliquia 25: tutto fu trovato com'era stato sistemato quarant'anni prima. Nel vano dell'altare fu rimessa l'antica cassa di legno con dentro i pezzi di gesso, sopra fu sistemata l'imago clipeata e il vano fu chiuso con una lastra di marmo rosso. Tre secoli e mezzo dopo, in occasione della terza ricognizione effettuata nel 1957, nulla era cambiato. Ma questa è storia recente e s'avverte, quindi, scontata 26.

Torniamo al sarcofago, ranunentando ancora alcune parole di Girolamo da Potenza: "L'altra [arca] ancora ( ... ) de finissimo marmo [dove] forno ritrovati due corpi( ... ) senza niuna iscrizione o carattere che quelli due corpi fossero Gauslino ( ... ) et Vitale( ... ). Fo tolta questa bella arca et data a lavorar per metterci il corpo di S. Prosdocimo dove hora sta" 21. Per contro, però, Terenzio, il cancelliere del Comune, non speci­fica che l'altare addossato al 'loculo' scavato nella parete del nicchiane meridionale dell'oratorio si riferisca a quell'antica arca di marmo nella quale furono trovati i resti di due vescovi e sulla cui fronte - in realtà, il verso del sarcofago - venne "fissato un paliotto marmoreo" con l'imma­gine del santo giacente tra due angeli cerofori, opera pregevole di Antonio Gallina 28.

La conoscenza dei fatti che ci sono esposti lascia quindi una certa inquietudine, inevasa la domanda: qual è l'evidenza attendibile? Affidiamoci allora a padre Ruperto Pepi, alla sua dettagliata descrizione dell'ultima esumazione e ricognizione del santo. Egli scrive: "L'altare, eretto nel 1565, era un sarcofago antico, romano o greco, di marmo pario ( ... ).Nel cavo del sarcofago apparve una cassa di legno a pareti doppie ( ... ); sopra la cassa era posta orizzontalmente una lastra rettangolare

22 ZOYATTO 1970, p. 35. 23 SAVIOLO I 682, p. 157. 24 Sulla 'tabella' si veda BILLANOYICH in questi Atti.25 SAVIOLO 1682, pp. 158-165 riferisce la relazione del vicecancelliere del Comune,

Giorgio Marsilio. 26 PEPI 1962.27 Sul rinvenimento si vedano inoltre: PORTENARI 1623, pp. 411-412; Antichi e

moderni pregi 1623, cc. 17, 31. 28 Archivio Sartori 1988, p. 1263, n. 262; ZOVATTO 1970, p. 40, nota 24. Lo scultore

De Surdis per altri studiosi: PEPI, 1962, p. 471; DANIELE 1987, p. 139, nota 326.

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( ... ) portante l'effigie( ... ) di un uomo imberbe vestito di tunica e pallio ( ... ),su due righe le parole scs. PROSDOCIMUS. / EP. ET. CONFESS. ( ... )" 29.

Ruperto Pepi, rilevando la qualità raffinata dell'attuale "parete posteriore" del sarcofago, pensava che si trattasse d'un "sarcofago antico, romano o greco, di marmo pario".

Allo stato attuale di conservazione del manufatto, sarei tentato d'in­terrogare la coscienza dello scultore per chiedere se l'atroce rilavorazione del sarcofago possa essere in qualche modo giustificata. Valga, però, a sua discolpa, l'atto di obbedienza a ineluttabili esigenze di culto, come si può intuire dalle parole di Girolamo da Potenza: "Fo tolta questa bella arca et data a lavorar per metterci il corpo di S. Prosdocimo dove hora sta". Dunque, se nella riesumazione del 1605 tutto fu trovato com'era stato sistemato nel 1564 e nulla cambiò nella ricognizione del 1957, se ne deduce che il sarcofago dovrebbe essere proprio quello di cui parla Girolamo da Potenza. Procediamo quindi all'autopsia del reperto, così come oggi si presenta ai nostri occhi, soffermandoci un attimo sulla lettera di Giulia Fogolari indirizzata al Soprintendente ai Monumenti del Veneto, ing. Antonio Rusconi: "Sarebbe opportuno che nel sistemare il sarcofago di S. Prosdocimo nella collocazione definitiva si tenesse un po' discosto dal muro e si facesse in modo che il frammento figurato posteriore non venisse murato, ma restasse libero anche se non facilmente visibile" 30_

L'intelligente proposta di Giulia Fogolari non venne accolta perché, a giudizio del Soprintendente Rusconi, lo spazio già ristretto dell'oratorio suggeriva di sistemare il sarcofago sulla parete meridionale, appoggiando­ne il frammento figurato, del quale Giulia Fogolari aveva molto opportu­namente provveduto a fare un calco, di cui s'è persa memoria 31•

Per esaminare quella che attualmente costituisce la parete posteriore del sarcofago di san Prosdocimo, sarebbe stato necessario spostare l'in­tero manufatto dal muro con un'operazione assai rischiosa, in quanto le lastre di marmo su cui appoggiava il sarcofago sarebbero state seriamente danneggiate. In questa scoraggiante incertezza, d'accordo con l'abate e il priore di Santa Giustina e dopo aver ottenuto l'autorizzazione del soprin­tendente Guglielmo Monti 32, si provvide a rimuovere una piccola parte

29 PEPI 1962, pp. 471-473; PEPI 1966, p. 104. 30 La lettera è datata 19 settembre 1958 (ASPA Padova, Busta 5, VI/5 'Padova­

S.Giustina'). 31 Sul sarcofago di San Prosocimo, la F0RLATI TAMARO, p. 296 così scrive: "Va poi

rilevato che nel sarcofago dove si è trovato il corpo di S. Prosdocimo vi erano anche fram­menti vitrei di età senza dubbio romana e frammenti di scultura. È certo quindi che si tratta di un sarcofago romano, come quello riadoperato per S. Daniele levita". Va detto, però, che frammenti vitrei non sono menzionati nella dettagliata relazione di Ruperto Pepi.

32 Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Veneto Orientale, autorizzazione prot. 298 del 9/11/2000.

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della muratura del lato sud dell'oratorio, muratura che venne quasi intera­mente ricostruita sulle tracce originali in occasione dei lavori di restauro del 'martyrium', come si evince da una interessantissima fotografia degli anni Cinquanta (fig. 4), che evidenzia proprio lo sfondamento della parete

Fig. 4. Padova, basilica di Santa Giustina, oratorio di San Prosdocimo (interno): sfondamento della parete meridionale e rimozione del pavimento durante le ope­razioni di restauro effettuate negli anni Cinquanta (foto D. Piovesan; da ZAMPIERI 2003, p. 96).

sud dell'oratorio, come ebbe a scrivere padre Ruperto Pepi 33_ È da rico­noscere che il lavoro eseguito con professionalità poté mettere in luce la fascia inferiore del sarcofago, sulla quale rimangono ancora tracce impor­tanti di figure. Certo, la possibilità, oggi, di effettuare riscontri precisi è severamente negata dalla gravissima manomissione compiuta.

Per accertare l'entità della rilavorazione subita dal sarcofago di San Prosdocimo, credo sia indispensabile rileggere la relazione di Ruperto Pepi e consultare alcune fotografie significative, gentilmente messe a disposizione da monaci di Santa Giustina. Veniamo a sapere che all'in­terno del sarcofago si trovava una "cassa di legno ( ... ) tutta sconnessa

33 PEPI 1962: "( ... ) la parete meridionale del sacello era stata totalmente demolita, e poi rifatta ( ... )".

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[contenente] un velo di seta color giallo-arancione ( ... ) non piegato ma ammucchiato sopra tutto il contenuto, zolle e polvere di gesso: che evi­dentemente era quello in cui nel 1564 furono ( ... ) trovate incrostate e imprigionate le Ossa di S. Prosdocimo" 34. Essenziale e circostanziata la descrizione che segue: "( ... ) il cavo del sarcofago era nella parte tergale chiuso con un muro, cui era appoggiata una lastra di marmo greco; tolta la lastra, si vide che essa chiudeva la bocca di un loculo che penetrava nel vivo della parete retrostante all'altare. Dentro questo loculo si scor­geva una cassa di piombo (fig. 5) nella quale si trovavano ( ... ) le sacre

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Fig. 5. Sezione del sarcofago lapideo e della parete meridionale dell'oratorio (dis. R. Cremesini; da ZAMPIERI 2003, p. 101, modificata).

Ossa ( ... ), assai in disordine, in parte incrostate ancora di gesso". Un ultimo spunto, legato alla relazione di Pepi, ci interessa particolarmente. Leggiamo: "Continuandosi nel sacello il lavoro di rimozione dell'altare si vide che al sarcofago mancava quasi tutta la parte posteriore, rimanendone soltanto la parte più bassa, e anche questa scalpellata verso le estremità; nella zona centrale si scorgono, posanti sullo zoccolo primitivo, i piedi di

34 PEPI 1962, pp. 471-472.

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tre personaggi: nudi quelli del personaggio di mezzo, e nude le tibie, e in atto di camminare verso sinistra; calzati di saldali, e uscenti da tuniche talari abbondantissime quelli dei due personaggi laterali, che paiono esse­re stati rappresentati di fronte" 3s.

L'evidenza archeologica, così come s'è conservata, non è di facile lettura. Ma poniamo mente attenta, per cominciare, al tipo di marmo, un pentelico di ottima qualità, che suggerisce una produzione attica del reperto: gli elementi strutturali della cassa, il tipo e le caratteristiche della decorazione parrebbero confermare l'ipotesi. Le limitazioni imposte dalla particolare posizione del frammento lapideo ne impedivano una corretta lettura, soprattutto delle parti laterali, poiché l'apertura, effettuata sulla parete sud dell'oratorio, non poteva essere allargata per una lunghezza superiore a quella del frammento stesso (fig. 6). Qualche aggiustamento successivo e la realizzazione d'un perfetto calco in gesso (fig. 7), ha reso possibile un'indagine più libera e sicura, nonostante l'esiguità del fram­mento su cui è dato giudicare.

Fig. 6. Varco aperto nella parete meridionale esterna dell'oratorio di San Prosdocimo per consentire la massima visibilità dello zoccolo del sarcofago (recto) (foto G. Ghiraldini; da ZAMPIERI 2003, p. !05).

35 PE� 1962,p.473.

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Fig. 7. Calco in gesso dello zoccolo del sarcofago di San Prosdocimo eseguito dallo scultore R. Cremesini (da ZAMPIERJ 2003, p. 106).

Benché del brano plastico della fronte del sarcofago ormai quasi più nulla sussista, si conserva ancora la parte inferiore di tre figure: due femminili ai lati, e una maschile al centro della composizione; altre due figure, di cui rimangono deboli tracce del contorno dei piedi, si trovano alle estremità. Due pilastrini con base modanata sono ricavati presso gli angoli della cassa e poggiano sullo zoccolo di base. Rimane da chiarire se e come, in origine, i fianchi e il verso fossero decorati. Il nostro sar­cofago s'ha quindi da considerare frammento scampato alla demolizione cinquecentesca, "dato a lavorar per metterci il corpo di S. Prosdocimo", come afferma Girolamo da Potenza, più volte citato. Sicché ci si chiede se il monumento fosse integro al momento della scoperta, condizionante il lavoro dello scultore Antonio Gallina, nella cui rilavorazione del sarco­fago riportava, all'interno della basilica di Santa Giustina, un momento di stile dotto, ch'è un segno significativo della scelta non casuale del committente.

Le modifiche apportate da Gallina non presentano problemi crono­logici: anzi, grazie alle notizie d'archivio recuperate da padre Antonio Sartori, è consentito datarle con notevole precisione al 1564. Il corona­mento superiore e il verso del sarcofago antico sono seriamente rilavorati. Le figure, tradotte nei contenuti intenzionali espressi nel programma affidato al Gallina, sono scoperte: San Prosdocimo è raffigurato diste­so su un doppio drappo, con barba fluente e mani incrociate sul petto, tra due Angeli inginocchiati che reggono candelabri accesi (tav. III, 2). L'impaginazione è semplice e severa, e tuttavia distesa nei nessi e nelle presenze scultoree d'uno schema iconografico donatelliano letto attraver­so le esperienze cinquecentesche, in cui le pur lievi impennate di plastici­smo sono subito smorzate in un gioco epidermico di colore.

Ma per tornare al nostro frammento figurato, val la pena di cogliere qualche altro dato. La vasca interna è liscia, a forma rettangolare, e lo spessore calcolabile è di cm 15/20 circa. Il margine superiore della cassa è moderno e, all'interno, presenta un 'gradino' su cui appoggia il coper­chio, fissato per mezzo di grappe metalliche. Poiché al sarcofago mancava

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quasi tutta la parte posteriore, questa fu "sostituita da una lastra di marmo greco incastrata entro due scanalature praticate nelle pareti laterali" 36.

Non so se questa radicale eliminazione dell'evidenza archeologica più importante possa essere giustificata dalla volontà di riproporre in nuove vesti l'interno del Sacello opilioniano. S'è già accennato alla por­tata rilevante di quest'azione, che non fu certamente indolore. Decisa nel 1564 dall'Abate Angelo Faggi di Castel di Sangro, riguardava il rinno­vamento e la risistemazione dell'intero complesso edificato da Opilione, quindi anche dei monumenti scultorei ivi conservati, tra cui, appunto, il nostro sarcofago, che ebbe a subire quella radicale trasformazione che oggi possiamo osservare. I fatti, che più indietro si sono addotti leggendo la relazione di padre Pepi ed esaminando con la massima attenzione il frammento conservato, confortano l'ipotesi: delle cinque figure a rilievo, due sono state completamente scalpellate, mentre le altre tre conservano solamente i piedi e una piccola parte della veste. Il senso generale della figurazione viene quindi a essere profondamente alterato per effetto di tale gravissima mutilazione.

Al centro della composizione v'era una figura stante, di profilo a sinistra, come la posizione dei piedi suggerisce. È il personaggio centrale, forse l'apice d'un gruppo, ch'è impossibile dire cos'altro comprendesse. Il delicato e fermo rilievo delle gambe e dei piedi - quello destro è in posizione avanzata e di pieno profilo - sembra suggerire una corporeità snella e inerte, limitata da sfumati contorni e da una plasticità un po' eva­nescente. Dovrebbe trattarsi d'un giovane, in composizione sintattica con le altre figure, di cui quella a sinistra (fig. 8a-b), verso la quale il giovane

a. b.

Fig. 8a-b. Sarcofago di San Prosdocimo: particolari dei piedi della figura femmi­nile di sinistra (dis. R. Cremesini; da ZAMPIERI 2003, pp. 112-11 3).

36 PEPI 1962, p. 473.

58

Fig. 9. Sarcofago di San Prosdocimo: ricostruzione grafica della posizione delle gambe incrociate della figura fem­minile di destra (dis. R. Cremesini; da ZAMPIERI 2003, p. 111).

è rivolto, è rappresentata stante, con il corpo di prospetto (?), la gamba destra di carico, la sinistra lievemente flessa e scostata di lato. Indossa un lungo chitone che lascia scoperti i piedi, calzati di sandali dall'alta suola. L'altra figura fem­minile (fig. 9) è anch'essa rappre­sentata stante, con la gamba destra tesa, di carico, la sinistra incrociata davanti alla destra, come si deduce

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dalla posizione del piede corrispondente, che ha il tallone fortemente sol­levato da terra e poggia sulla base con le sole dita, mentre l'altro piede, di pieno prospetto, è completamente in piano. Questa posizione è certa­mente più naturale per una figura in piedi che per una figura seduta, ed è più adatta a un personaggio in riposo appoggiato a qualche sostegno o a un 'altra figura, com'è presumibile nel nostro caso, viste le tracce dei piedi che rimangono nello zoccolo. Le dita dei piedi di entrambe le figure fem­minili non sono rese sinteticamente, ma si caratterizzano per un'analisi abbastanza minuziosa. Un 'ultima deduzione possibile mi sembra riguardi il chitone delle figure laterali, il cui massimo effetto è ottenuto dall'oppo­sizione tra le nitide e profonde pieghe scanalate e la cedevole tenerezza di alcune pieghe con bordi che s'afflosciano sul dorso del piede.

Non c'è dubbio che la descrizione qui presentata sia da considerarsi un semplice tentativo di lettura in confronto a quanto si sarebbe potuto scrivere se il sarcofago non avesse subito la gravissima mutilazione che conosciamo. È stato perciò possibile rilevarne solo alcuni elementi, neces­sariamente slegati. Ma chi erano i personaggi rappresentati? com'era la costruzione delle figure e qual era l'articolazione spaziale? quali erano gli attributi dei personaggi o gli eventuali ingredienti simbolici? Credo che l'assenza sorprendente di superficie marmorea non consenta identifi­cazioni che siano ragionevolmente note e sicure se non in modi d'ipotesi esposte sicuramente a rischio. In questi casi, perciò, l'invito alla prudenza è doveroso.

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Allo stato attuale di conservazione si possono unicamente eviden­ziare due raggruppamenti distinti di figure, uno a destra e uno a sinistra del giovane a piedi nudi, ma non possiamo conoscere il momento rap­presentato, né qual era la relazione che intercorreva fra loro, benché si possa dire che nessuna figura fosse estranea all'azione. Altro discorso si può invece riservare al sandalo calzato dalle due figure femminili, il cui lungo chitone ne copre lateralmente la suola. Si tratta d'un tipo di sandalo caratterizzato da strisce di cuoio che s'incrociano fra l'alluce e il secondo dito passando attraverso un fermaglio di forma romboidale, che s'assesta proprio sopra l'incrocio delle dita. La striscia di cuoio laterale termina a forma di 'coda di rondine', come osserviamo, per esempio, nei sandali della kore 2238 di Villa Adriana (fig. 10a), ma soprattutto nei sandali della statua di Lucilla 68 bis, conservata nel Museo Nazionale Romano (fig. 10b), e della lwre vaticana 2296 (fig. 10c), ritenuta una copia di quella londinese 37. I sandali degli esemplari 2238 e 2296 con­servano, secondo Dohan Morrow, caratteristiche del V secolo, ma il profilo e il tipo di fascia con le punte "diritte" non si riscontrano nella scultura greca fino al tardo IV secolo a.C. 38. La spessa suola del nostro sandalo presenta una sorta di passante a cilindretto che, sulla parte ester­na, è collocato in corrispondenza del dito mignolo; su quella interna in corrispondenza dell'alluce, come riscontriamo nella figura femminile del nostro sarcofago e nella statua di Lucilla.

In questi sandali sono sicuramente presenti indizi d'un lavoro curato e d'impegno nella ricerca dei particolari. Per accertare i fatti che sembrano appagare questa persuasione, basti avvicinare i nostri sandali a quelli presenti nei piedi di Chatsworth (Devonshire Collection) e di Berlino (Staatliche Museen) (fig. l l a-b), benché questi piedi siano di considerevole impegno e di dimensioni eccezionali, appartenendo a una statua, forse una divinità, alta presumibilmente undici metri. Un elemento significativo è dato dal fatto che questo tipo di sandalo con passante a cilindretto sarebbe, secondo Pic6n, esclusivo delle figure femminili; anzi, di molte divinità femminili, le quali, nella statuaria, sarebbero state le prime a calzarlo 39. Mi domando, allora, se la lettura di Pic6n possa essere rivelatrice ai fini del giudizio che, oggi, possiamo dare sulle due figure femminili presenti nel sarcofago di San Prosdocimo. E, poi: se si trattasse

37 ScHMIDT 1973, pp. 32-34. La bella statua marmorea di Domitia Lucilla, figliadi Marco Aurelio e di Faustina Minore, moglie di Lucio Vero, poi di Tiberio Claudio Pompeiano, già nella collezione di Palazzo Sciarra, ora esposta nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, è datata al 161-169 d.C. (in didascalia). Su questa statua si veda NISTA 1981 con bibliografia.

38 MORROW 1985, pp. 171-173. 39 PICÒN 1983, fig. 1-5, pp. 96-98.

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a. c.

a e

b. Hadrian's villa, no. 2238 Kore, Vatican

Fig. 1 Oa-c. Particolari dei piedi della kore 2238 di Villa Adriana (a); della statua di Lucilla esposta nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo (b); della kore vaticana 2296 (c) (a, c: da MoRROW 1985, p. 167, fig. 13; b: concessione Soprintendenza Archeologica di Roma - Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo; da ZAMPIERI 2003, p. 115).

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a.

b.

Fig. 11 a-b. Piedi colossali appartenenti a una statua proveniente dall'Egitto, Devonshire Collection di Chatswort (a); Staatliche Museen di Berlino (b) (da P1c6N 1983, figg. l, 3; da ZAMPIERI 2003, p. 116).

veramente d'una divinità, quali relazioni o sorta di dipendenza intercorre­rebbero fra queste figure e il personaggio al centro della composizione, i cui piedi sembrano assumere un carattere di acerba giovinezza? L'estrema frammentarietà del rilievo induce a lasciare senza risposta la questione. Possiamo però osservare che le dimensioni dei piedi non sono inferiori a quelle delle altre figure, il che potrebbe far pensare a un personaggio non subalterno. Inoltre, la forma stessa dei piedi e la posizione che dovevano assumere le gambe ricordano certe sculture e alcune stele di giovani efebi, benché, nel nostro caso, si notino sensibili differenze e cronologie assai meno antiche. I dati che emergono dall'esame dei sandali delle due figure femminili ci portano in altri contesti figurativi.

Se si osserva nella tavola cronologica di Koch e Sichtermann 40 la scelta dei miti figurati presenti nei sarcofagi attici - Achille, Amazzoni, Ippolito e Meleagro, ecc. -, riesce difficile porre in connessione a uno di questi miti la scena del nostro sarcofago. Credo si debbano escludere anche scene con temi dionisiaci, i Centauri, Eracle, Bellerofonte ed Edipo,

40 KOCH, SICHTERMANN 1982, pp. 458-459.

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Teseo, i Sette contro Tebe e Orfeo. Forse Oreste? ma sarebbe in una composizione anomala; le Muse? ma chi potrebbero essere i personaggi maschili ai lati delle figure femminili? uno potrebbe essere Apollo, e l'al­tro? e il personaggio al centro della composizione? Una variante possibile potrebbe essere il gruppo di Amore e Psiche, ove spesso Psiche è resa con le gambe incrociate e un panneggio che le copre la parte inferiore del corpo, mentre Amore è posto nudo di fronte a lei, talvolta con i piedi di profilo. Va detto, però, che anche in questo caso si tratta d'una suggestio­ne tutta da verificare e che non spiega del tutto la terza figura femminile, di cui rimangono deboli tracce. Insomma: la risposta è, a mio avviso, difficile; e allinearci a operazioni critiche precise potrebbe risultare in larga misura arbitrario. L'unico conforto sta nel fatto che il linguaggio del nostro rilievo, per quanto frammentario, sembra chiaramente accentato e senza ambiguità. Per il momento, quindi, credo sia consigliabile attenerci a osservazioni di carattere generale e cercare piuttosto elementi attendibili e verificabili. Torniamo, così, al punto, cioè all'esame dei sandali.

La peculiare formulazione delle strisce di cuoio e la presenza del fermaglio romboidale e del passante a cilindretto sembrerebbero indizi significativi per un serio confronto con altri sandali di questo tipo, tuttavia son dettagli che sopravvivono a lungo, per cui non si possono utilizzare come elementi certi di datazione. I piedi di Chatswoth e di Berlino con sandali simili ai nostri sono datati genericamente da Pic6n all'età romana, mentre Oehloer li ritiene d'epoca traianea 41, datazione che ci sentiamo di escludere per i nostri piedi, e quindi per il nostro sarcofago, che ci sembra invece, pur con la necessaria prudenza, possa essere collocato cronologi­camente al terzo quarto del II secolo d.C., considerando la presenza di poche figure che lasciano intravedere facilmente lo sfondo, le dimen­sioni e la forma dello zoccolo di base sul lato con la scena figurata, che ricorre a partire dall'epoca medio antonina. E con questa datazione può starci anche lo zoccolo di base dei fianchi e del recto del sarcofago (cf. fig. 8), sulla cui ampia superficie la figura di san Prosdocimo, che potrebbe aver sostituito un'originaria decorazione a carattere puramente decorati­vo, è distesa su una sorta di 'letto da parata'. Lo zoccolo così modanato, infatti, che ritengo possa essere originale, ben corrisponde a quello dei sarcofagi attici più antichi, sino al 160-170 d.C., e in quest'ordine di ricer­ca è debito riconoscere che una critica intelligente è quella condotta da Sabine Rogge 42• Ritengo originale anche la leggera sporgenza del fondo

41 P1C6N 1983, p. 105. 42 ROGGE 1993. Sul tipo di zoccolo presente sulla fronte del sarcofago di San

Prosdocimo si veda CILIBERTO 1996, pp. 15, 58. Attorno al 140 d.C. sarebbero 'nati', nelle botteghe dei rilievi neoattici, i primi sarcofagi attici: GIULIANO, PALMA 1978, p. 11.

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della parete della cassa, sotto il coperchio - eh' è moderno - e il tondino liscio che, in alcuni casi, è decorato ad astragali. Pure originale potrebbe essere lo specchio liscio con cornice modanata lavorato sui fianchi, che trova confronti con un sarcofago ateniese datato intorno al 150-170/ 180 d.C. 43. In ogni caso, nel sarcofago patavino, lo scultore sembra fondereinsieme i due tipi di zoccolo per l'innanzi adottati distintamente: quelloliscio e quello modanato, in una composizione anomala rispetto agli altriesemplari di questo tipo. Se questo corrispondesse al vero, non si dovreb­be esitare nel giudicarlo artista di tutto rispetto, ma con deviazioni dalleforme canoniche.

Inevitabile, a questo punto, chiederci la provenienza del sarcofago di San Prosdocimo. Il tipo di materiale usato, sicuramente marmo pen­telico (le imitazioni sono generalmente realizzate in marmo proconnesio o in pietra locale) rende accettabile l'ipotesi dell'origine attica. Certo,ad Aquileia è accertata l'importazione di sarcofagi attici, ma in nessuncaso, a quanto ci è dato sapere, si trova una sintassi compositiva similealla nostra. E trattandosi d'un reperto che potrebbe facilmente sfuggire ameno di non esservi indirizzati da qualcuno, è parso opportuno presentar­lo in occasione dell'incontro di studio: Un uomo chiamato Prosdocimo a

Patavium 44•

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2007. 43 KOCH, SICHTERMANN 1982, pp. 452,459, fig. 479. 44 Per un esame più dettagliato del sarcofago di San Prosdocimo, si veda ZAMPIERI

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