IL SANTO CHE VIGILA SULLA CITTÀ. SAN PROSDOCIMO, …20 circa: iconografia ripresa nel 1564 da...

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Franco Benuccì IL SANTO CHE VIGILA SULLA CITTÀ. SAN PROSDOCIMO, PADOVA E LE SUE MURA Si trovano spesso evocati, in letteratura come in alcune delle relazio- ni presentate a questo convegno, vari paradossi relativi alla figura di san Prosdocimo: santo antico - riferito dalla tradizione addirittura all'epoca apostolica, ma vissuto almeno fino alla persecuzione dioclezianea del 304 d.C. - il cui culto godette però di una certa diffusione e 'popolarità' nel padovano solo in epoca relativamente recente, nel basso medioevo comu- nale e signorile, lasciando comunque poche tracce di sé in città; ritenuto protovescovo di Padova ma sepolto in un luogo esterno alla diretta giuri- sdizione vescovile, nel sacello di VI secolo fondato dal patrizio Opilione in onore di santa Giustina presso l'area cimiteriale di Prato della Valle e che (rse nel IX secolo, ma con certezza solo dal 970) diverrà sede del- !'omonima abbazia benedettina, e sostanzialmente estraneo ai culti santo- rali promossi nei secoli dall'episcopato patavino, salvo essere 'riscoperto' e assunto come patrono principale della Diocesi solo in tempi recentissi- mi; presunto evangelizzatore di gran parte della Venetia centro-orientale, ma documentato la prima volta come titolare di una chiesa al confine meridionale del veronese con il mantovano (Pradelle di Gazzo Veronese, anno 860), assai al di fuori della sua tradizionale area di influenza e con oltre un secolo d'anticipo sulla più precoce attestazione padovana, risa- lente appunto al 970; semplice 'comparsa' nelle versioni più antiche della Legenda di santa Giustina, che con il passare del tempo tende a fagoci- tarne la vicenda, divenendone comprimario se non addirittura potenziale protagonista quale battezzatore ed educatore della giovane padovana e dell'intera sua famiglia, evangelizzatore (e quasi 'metropolita') del vasto territorio governato dal padre Vitaliano, seppellitore della martire stessa e quindi primo promotore del suo culto, ecc. 1. In questo contributo rifletteremo su alcune di tali aporie, muovendo dalla constatazione che, nonostante il suo ruolo episcopale e di fondatore Per i dati di base relativi a leggenda e culto di san Prosdocimo, anche in riferimento a santa Giustina e all'abbazia, ccio costante riferimento, esimendomi dal citae puntualmente i singoli passaggi, a DANILE 1987, integrato dalla rilettura critica datane da TILATTI 1997, pp. 1-l18, 331-341. Per il termine 'metropolita' cf. BILLANOVICH 1989; per l'oratorio e la basilica cf. anche CoLECCHlA 2009, pp. 94-102. 81

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Franco Benuccì

IL SANTO CHE VIGILA SULLA CITTÀ. SAN PROSDOCIMO, PADOVA E LE SUE MURA

Si trovano spesso evocati, in letteratura come in alcune delle relazio­ni presentate a questo convegno, vari paradossi relativi alla figura di san Prosdocimo: santo antico - riferito dalla tradizione addirittura all'epoca apostolica, ma vissuto almeno fino alla persecuzione dioclezianea del 304 d.C. - il cui culto godette però di una certa diffusione e 'popolarità' nelpadovano solo in epoca relativamente recente, nel basso medioevo comu­nale e signorile, lasciando comunque poche tracce di sé in città; ritenutoprotovescovo di Padova ma sepolto in un luogo esterno alla diretta giuri­sdizione vescovile, nel sacello di VI secolo fondato dal patrizio Opilionein onore di santa Giustina presso l'area cimiteriale di Prato della Valle eche (forse nel IX secolo, ma con certezza solo dal 970) diverrà sede del­!' omonima abbazia benedettina, e sostanzialmente estraneo ai culti santo­rali promossi nei secoli dall'episcopato patavino, salvo essere 'riscoperto'e assunto come patrono principale della Diocesi solo in tempi recentissi­mi; presunto evangelizzatore di gran parte della Venetia centro-orientale,ma documentato la prima volta come titolare di una chiesa al confinemeridionale del veronese con il mantovano (Pradelle di Gazzo Veronese,anno 860), assai al di fuori della sua tradizionale area di influenza e conoltre un secolo d'anticipo sulla più precoce attestazione padovana, risa­lente appunto al 970; semplice 'comparsa' nelle versioni più antiche dellaLegenda di santa Giustina, che con il passare del tempo tende a fagoci­tarne la vicenda, divenendone comprimario se non addirittura potenzialeprotagonista quale battezzatore ed educatore della giovane padovana edell'intera sua famiglia, evangelizzatore (e quasi 'metropolita') del vastoterritorio governato dal padre Vitaliano, seppellitore della martire stessa equindi primo promotore del suo culto, ecc. 1.

In questo contributo rifletteremo su alcune di tali aporie, muovendo dalla constatazione che, nonostante il suo ruolo episcopale e di fondatore

Per i dati di base relativi a leggenda e culto di san Prosdocimo, anche in riferimento a santa Giustina e all'abbazia, faccio costante riferimento, esimendomi dal citarne puntualmente i singoli passaggi, a DANIE;LE 1987, integrato dalla rilettura critica datane da TILATTI 1997, pp. 1-l 18, 331-341. Per il termine 'metropolita' cf. BILLANOVICH 1989; per l'oratorio e la basilica cf. anche CoLECCHlA 2009, pp. 94-102.

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della Chiesa padovana, la figura e il culto di san Prosdocimo furono scar­samente o per nulla enfatizzati dai vescovi di Padova e trovarono invece sempre appoggio e promozione in centri e fonti di potere alternativi a quello vescovile. Come si è già accennato, le spoglie di Prosdocimo sono fin dalle origini conservate in un sarcofago-altare del sacello opilionia­no, poi inglobato nell'abbazia di santa Giustina, e con esso in qualche misura si sono identificate fino a far dimenticare l'originaria dedicazione dell'oratorio stesso IN HONORE S(AN)C(T)AE IVSTINAE MARTYRIS e il fatto che IN HOC LOCO CONLOCATAE SVNT RELlQVIAE S(AN)C(T)ORVM APOSTO­LORVM ET PLVRIMORVM MARTYRVM, come recitano le antiche iscrizioni del timpano (tav. II, 1) e della pergula, e a farlo designare tout-court come Sacello di San Prosdocimo 2. Dal sacello e dalla basilica che nel tempo vi fu edificata attorno provengono anche le più antiche rappresentazioni del santo protovescovo: di aspetto giovanile e qualificato come EP(1scorv)s ET CONFESS(OR) nella celebre imago clipeata (tav. II, 2) forse coeva all'edi­ficazione del sacello, ma rinvenuta una prima volta nel 1564 e tornata definitivamente alla luce solo nel 1957; anziano, ancora qualificato come EP(1scoru)s e rivestito dei paramenti episcopali (ma privo di attributi indi­vidualizzanti) nel pilastro destro del portale della basilica romanica (1200-20 circa: iconografia ripresa nel 1564 da Antonio Gallina per il gisant del rivestimento marmoreo del sarcofago; tav. III, 1-2).

Basilica cimiteriale in origine esterna alla città e alla diretta giuri­sdizione vescovile, ma non perciò a questa contrapposta, con l'insedia­mento dei monaci benedettini nel IX o X secolo Santa Giustina divenne anche un centro di potere per molti versi antagonista a quello vescovile: ciononostante, malgrado le dispute che opposero spesso i due poteri per questioni sia territoriali che legate al culto dei santi 3, non risulta che vi sia mai stata contrapposizione tra vescovi e abati per il possesso delle reliquie di Prosdocimo. Non solo non pare esservi mai stato il tentativo da parte dei primi di appropriarsi di quello che era il fondamento della loro autorità, ma nemmeno risulta che i vescovi di Padova abbiamo mai fatto ricorso all'iconografia del protovescovo (che la tradizione vuole inviato a Padova, come Marco ad Aquileia e Apollinare a Ravenna, direttamente da san Pietro) per affermare la loro legittima successione apostolica e autorità episcopale, né, in temporalibus, per battere moneta secondo il diritto di

2 Già Michele Savonarola, verso il 1446, così si esprimeva: Oratorium (. . .) ope­rosius, maiorique cum diligentia factum, mosaicisque picturis ornatum ( .. .) Prosdocimi sancti, Patavorumque patroni, uhi et corpum ipsum duplici marmorea arca contegitur (SA­

VONAROLA, Libellus, p. 14): si noti già la definizione del santo come Patavorum patronus. 3 Paradigmatico sotto i due profili è l'episodio legato all'inventio di san Daniele e

alla sua traslazione da Santa Giustina alla Cattedrale nel 1075-76, che portò alla fondazione della chiesa a lui dedicata, al confine tra le due giurisdizioni.

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zecca di cui erano titolari dal 1049, per privilegio concesso dall'imperato­re Enrico III al vescovo Bernardo 4

Il sostanziale disinteresse dei vescovi padovani per la figura del loro 'capostipite' risulta a mio avviso anche da un altro ordine di considerazio­ni: quando nel 602, di fronte all'incalzare dei Longobardi, il vescovo (così ancora la tradizione, peraltro assai controversa) abbandona Padova e fugge a Malamocco con tutto il popolo, le sacre spoglie che egli porta con sé come palladio (salvo poi seppellirle nel bosco di Polverara) non sono quelle di Prosdocimo, ma quelle del più oscuro vescovo Fidenzio, che resterà estra­neo agli usi liturgici della comunità benedettina di Santa Giustina almeno fino al 1691 ed è tuttora assai discusso nella sua precisa identità s. In questa stessa linea, dopo il rientro in sede del presule e la lenta ripresa della vita cittadina, la Confessione (cripta-Martyrion) della Cattedrale, rinnovata nel IX-X secolo e durata tra rimaneggiamenti e alterne vicende fino forse al1587, sarà dedicata allo stesso san Fidenzio, di cui conteneva le non megliospecificate "memorie" 6, e ancora a san Fenzo ricorreranno i vescovi suc­cessivi per affermare la loro autorità e giurisdizione in varie situazioni 'difrontiera' e di contesa territoriale: così (vedi fig. 11)

in modo evident� nel 970 quando il vescovo Gauslino, riscoperto miracolosamente il corpo di Fidenzio presso Polverara, lo trasferirà a Megliadino (allora San Tomaso, ma in seguito appunto San Fidenzio) a contrastare l'avanzata del culto veronese di san Zeno, giunto già a Montagnana insieme alle pretese territoriali del vescovo di Verona 7,

ma in modo analogo (benché meno eclatante);

4 Ignote sono a Padova scene analoghe a quella affrescata da Giotto verso il 1309nella basilica inferiore di Assisi, con il vescovo Tebaldo Pontani inginocchiato davanti al protovescovo san Rufino che gli impone la mitria (cf. ROMANO 2008, pp. 133-134, fig. 109), o a quelle ben note di Venezia, in cui il Doge riceve lo stendardo dalle mani di san Marco.Come è noto, l'immagine di san Prosdocimo comparirà sulle monete padovane solo in epo­ca carrarese, al momento culminante del suo culto (vedi sotto e SACCOCCI in questi Atti). Ilprivilegio di zecca del 16 aprile I 049 è in GLORIA 1877, n. 152.

S Cf. CORSATO 1999; V ILDERA 2002, p. LXXXIX; BILLANOVICH, BUSON 2003; CORSA­TO 2009, p. 45.

6 Cf. ROLANDINO, Cronaca, V,§ 9 = FIORESE 2004, pp. 234-235; ONGARELLO 1441,p. 50; ZANOCCO 1928, pp. 123-124. L'attendibilità della Cronaca di Ongarello quale fonte, asuo tempo negata da FABRIS 1936-37, è ora rivalutata da JoosT-GAUGIER 1985. Per praticitàse ne utilizzerà qui la manoscritta copia 'critica' approntata nel 1886 da don Francesco Bet­tio, "Parroco di Villaguattera, Maestro e Sopraintendente Scolastico di Rubano, Distrettodi Padova ( ... ),riformata e in molti luoghi emendata sui migliori testi esistenti presso leBiblioteche Universitaria, Civica, Antoniana e di quella dell'onorevole Notajo Marcolini,( ... ) appositamente a completare il vacuo della Collezione Muratoriana delli Scrittori diCose Italiane" e donata infine alla stessa Biblioteca Universitaria (vedi in merito BETrIO,GHIOTTO 2009, pp. XIV-XV, 2-3 nota 9).

7 DANIELE 1973, pp. 342-343; CORSATO 2009, pp. 40, 43, 47-48 nota 28.

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a Baone, villaggio sul versante atestino del monte Cero, strategica­mente collocato tra Cinto, che fino al 1818 era soggetto alla diocesi veronese (e che quel Capitolo rivendicò ancora fino al 1886), Valle San Giorgio ( dove sorgeva un'antica chiesa dedicata ai martiri vicen­tini Felice e Fortunato, possibile 'testa di ponte' in area euganea della diocesi berica, che fino al 1818 includeva anche Lazzo Atestino) e le proprietà che la Chiesa veronese deteneva a Monselice ( dove pure era stata edificata una chiesa dedicata a san Tomaso e san Zeno) e nel contado di Este s; presso Pernumia, dove una cappella dedicata a san Fidenzio, eretta nel 1044 "sopra un pubblico trivio" lungo il Vigenzone e documen­tata fino al 1605, conservando memoria del prodigioso passaggio fluviale del corpo del santo nel 970 9, riaffermava l'autorità vescovile in "quella parte della diocesi che era prossima a Monselice, sempre restio a sottomettersi anche religiosamente a Padova," e che "con­finava da una parte con l'agro di Ateste" insidiato da Verona e da sempre percorso da velleità autonomistiche IO; a Sarmeola e a Fornace di Tavo, lungo il confine con Vicenza 11;

8 Baone è documentato dal 1077 e la sua chiesa dal 1198, benché la dedicazione a san Fidenzio sia nota solo dal 1296. Costruita sopra un colle, perse il rango e le funzioni pievane solo dopo la metà del XVI secolo, sostituita dalla nuova chiesa, costruita in pia­no entro il 1406 e dedicata a san Lorenzo, che era inizialmente un oratorio privato della famiglia Dottori (GLORIA 1862, lll, pp. 80-82, e cf. p. 88 per Cinto; DANIELE 1973, pp. 97, 205-206; BELTRAME 1992, pp. 16-17, 55; su Cinto anche COLECCHIA 2009, p. 172). La chiesa di San Tomaso apostolo a Monselice, con tutta la corte di Petriolo cui apparteneva, fu donata nel 906 da Adelardo vescovo di Verona al conte Ingelfredo e da questi nel 914 al monastero veneziano di San Zaccaria, a cui fu a lungo contesa dagli abati di Santa Giustina e della Vangadizza e dai vescovi di Padova e di Vicenza: la condedicazione ciel tempio a San Zeno è documentata dal 994 (cf. GLORIA 1862, III, pp. 145-146; BROGIOLO 2009, pp. 145-147; COLECCHIA 2009, pp. 202-203). Numerose proprietà della schola sacerclotum veronese, solo in parte cedute nel 980 ad alcuni monselicensi, si trovavano a Vighizzolo e a Calcatonega, sotto Este (cf. GLORIA 1877, n. 64; CORSATO 2009, p. 49 nota 42). Per la scomparsa chiesa dei Santi Felice e Fortunato a Valle San Giorgio, cli VII-VIII secolo, e per Lozzo, cf. GLORIA 1862, III, pp. 84, 92; DANIELE 1973, pp. 324, 702; BILLANOYICH 2006, pp. 156-158, COLECCHIA 2009, pp. 163-164.

9 La cappella di san Fenza di Pernumia, sempre dipendente dalla pieve locale e an­ch'essa in epoca moderna giuspatronato della famiglia Dottori, ma nel 1605 ormai c/ereliua e "già spogliata della sua dote", fu poi "miseramente demoljta" a fine '700, lasciando solo il nome alla contrada dove sorgeva (CITTADELLA I 605, p. 177; MASI ERI 1799-1801, Il, pp. 261-262; GLORIA 1862, III , p. 12]; ZANINI 1925, pp. 24, 45-46; BELTRAME 1992a, p. 27).

IO BARZON 1955, pp. 75-76.11 La cape/la sancti Ficlencii de Sarmec/aula, villaggio noto e appartenente ali 'epi­

scopato padovano già ante 1026, è documentata dal 1130, quando il vescovo ne confermò il possesso decimale ai canonici della Cattedrale (DANIELE 1973, p. 622; BELTRAME 1992, p. 205). A "Fornase col suo S. Fenso sotto il Tao", la chiesa campestre (in origine soggetta alla

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nella stessa Polverara, teatro del seppellimento del 602 e dell'inven­

tio del 970, e nella vicina Roncaiette, al confine tra le terre incluse nella contea vescovile di Piove di Sacco e le dipendenze della corte di Legnaro, posseduta dall'abbazia di Santa Giustina per donazione del vescovo Olderico del 1076 (come mostrano molti toponimi loca­li, quali Legnaro del Vescovo, Legnaro dell' Abbà e, oltre il fiume di fronte a Roncaiette, Isola dell' Abbà) 12_

Così ignorato dai suoi successori nell'episcopato, san Prosdocimo restò quindi nella piena disponibilità, cultuale e simbolica, di chi senza contrasti ne deteneva le spoglie, cioè degli abati di Santa Giustina, che tra il 1129 e il 1172 ne fecero un adeguato uso 'politico' dedicandogli (fino forse al 1320) la chiesa di Villa del Bosco, in un'area di recente bonifica ed espansione agraria e territoriale dipendente dalla corte di Correzzola (il principale possedimento dell'abbazia padovana in Saccisica) 13: a riprova di come i monaci impiegassero allora a 360° il culto del protovescovo, un contratto di livello stipulato a Villa del Bosco nel 1204 prevedeva che i conduttori di quelle terre versassero il canone annuo pattuito sull'altare di san Prosdocimo nella festa dello stesso santo 14•

pieve di Torre) è documentata dalla decima papale del 1297 fino alla fine del XVI secolo, quando fu unita alla parrocchiale di San Pietro e quindi adibita a usi profani e demolita all'inizio del XIX secolo (CITTADELLA 1605, p. 211; GLORIA 1862, II, p. 139; DANIELE 1973, p. 649; BELTRAME 1992a, p. 169): sorgeva in sinistra Brenta, esattamente di fronte a Limena, località che nel medioevo "segnava l'estrema punta di espansione del Territorio Vicentino alle porte di Padova" (GLORIA 1862, I, p. 8; BELTRAME 1992, p. 96) e che ancora ne conserva memoria nell'intitolazione della parrocchiale ai santi Felice e Fortunato.

12 Le cappelle di san Fidenzio di Roncaiette, località documentata dal 918, e diPolverara compaiono entrambe nei documenti nel I 130, quando il vescovo Bellino ne con­fermò il possesso decimale ai Canonici della Cattedrale (DANIELE 1973, pp. 423,468 e cf. pp. 308-309, 313-314 per Isola dell'Abbà e Legnaro; BELTRAME 1992, pp. 92, 94-95, 138, 152). Per i riflessi storici nella toponomastica cf. BARBIERATO 2004, pp. 121-122, 124,127, 130.

13 Il territorio di Villa Buschi, parte della curia di Concha de A/baro che l'abbaziadi Santa Giustina aveva acquistato nel 1129 da Giuditta vedova di Manfredo Sanbonifacio e dal marito Guido Crescenzi, compare tra i beni confermati al monastero da papa Alessan­dro III nel 1172, da cui risultano già la presenza della chiesa e l'avvenuta bonifica: curiam Conca de A/baro in simul cum ecclesia sancti Prosdocimi de Villa Buschi cum decùnis

amplorum. La dedicazione della chiesa, nella decima papale del 1279 definita capella di­rettamente dipendente da Santa Giustina, al protovescovo padovano durò fino all'inizio del XIV secolo quando essa assunse la nuova titolazione a san Nicolò (attestata da due atti testimoniali del 1321 e 1324) che rimase poi stabile - e tuttora perdura con la successiva aggiunta di san Rocco - malgrado l'abbandono e la totale rovina dell'edificio seguito alla generale crisi che colpì l'abbazia di Prato della Valle e i suoi possedimenti agrari nel corso del XIV secolo (DANIELE 1973, pp. 220-221, 731-732; BELTRAME 1992, pp. 61,247; DE SANDRE GASPARINI 1979, pp. 17-30, spec. p. 29 per il titolo della chiesa).

14 Cf. DE SANDRE GASPARINI 1979, p. 29 nota 37.

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Negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo anche il Comune citta­dino - che stava allora riprendendosi dopo il grande incendio, provocato dalle lotte intestine tra magnati e popolari, che nel 1174 aveva distrutto gran parte della città e, nel contempo, consolidando la propria struttura di governo passando dal regime consolare a quello podestarile (adottato una prima volta nel 1175 e poi definitivamente dal 1195, dopo gli effimeri revivals del regime consolare nel 1176, 1181, 1188 e 1194) e, dopo la morte di Federico Barbarossa (1190), dalla connotazione magnatizia a quella popolare (Comunancia populi paduani), assunta dal 1200 15 - fece ricorso a san Prosdocimo quale patrono e protettore della città e della sua massima espressione politica. Nel maestoso palazzo della Ragione -avviato secondo la tradizione nel 1172 ("pocho avanti la venuta de l'im­perador Federico dito Barbarossa da padoani del 1176") e di certo condot­to a termine nel 1218-19 16 -in posizione simmetrica a quella dei supremitribunali podestarili (Sigillo e Maleficio), nell'angolo NE del Salone, trala porta Pretoria e quella dei Osei, trovava infatti posto una grande cap­pella dedicata al santo protovescovo 17• Nella chiesia del palazo avevanoluogo, oltre alla quotidiana celebrazione della messa per il personale dellacuria podestarile, anche atti giuridici di rilievo (quali l'emancipazione deifigli minori) 18, adunanze ordinarie o straordinarie degli organi di governodella città 19 e i preliminari sacrali di importanti cerimonie civiche, quali

l5 Tutti i riferimenti fattuali e cronologici qui riportati sono tratti dagli Anna/es Pa­tavini e dal Liber Regiminum Padue, collazionati da Antonio Bonardi in appendice alla sua edizione della Cronica di Rolandino (R!S2, 8.1).

l6 Cf. FABRIS I 934-39, pp. 14, 30 e la discussione in MOSCHETTI 1932-39, pp. 143-149, 153-154.

17 La collocazione della cappella, officiata dal curato della vicina chiesa di San Martino, e dei dischi podestarili in capite orientali huius solarii risulta dalla Visio Egidii di Giovanni da Nono (cf. FABRIS 1934-39, p. 15), confermata dalla Cronaca di Guglielmo Ongarello: "in quella parte che va verso la Ca' del Podestà era una cappella, dove se al­diva la Messa, grandissima, serrata de muro attorno, la quale se chiamava cappella de S. Prosdocimo" (cf. MOSCHETTI 1932-39, p. 128). L'originaria topografia interna del Salone è ricostruita (ma con errata denominazione delle porte d'accesso) in MOSCHETTI 1932-39, pp. 123-130, 135-136 (con la planimetria a tav. III, riprodotta in SEMENZATO 1964, fìg. I 3). L'esatta posizione del luogo sacro è identificata in base alla presenza in quella zona di numerosi affreschi di soggetto religioso e di resti di arredo liturgico: cf. anche MOSCHETTI 1932-39, p. 204; MOR 1964, p. 14, SEMENZATO 1964, p. 30.

l8 Cf. per es. GLORIA 1888, II, p. 39, atto del 9 maggio 1355. 19 Uno Statuto del 1295, contestuale all'istituzione dell'Unione delle fraglie cittadi­

ne, ordinava quod cuiuslibet jratalee communis Padue gastaldiones omnes, omni prima die dominico mensis, deberent in ecclesia palatii commun.is Padue convenire, et ibi ad hono­rem Dei ac beati Prosdocimi primo missam solemniter celebrarifacere, et missa completa, gastaldiones solummodo in ecclesia remanere deberent, et inter se propositionem facere generalem, quid super statwn. civitatis sit plenarie faciendum (cf. nota 15). In particolari

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l'investitura e il giuramento, in Salone, dei nuovi podestà e, nel XIV seco­lo, degli stessi signori da Carrara 20.

Nei sovraporta dei quattro accessi pubblici al Salone, forse resto della decorazione trecentesca (che Moschetti inclinava a riconoscere "opera di Giusto e dei suoi collaboratori") 21, sono affrescate le immagini cattedrate

contingenze la grande cappella del Salone poteva del resto accogliere anche il Consiglio Maggiore della città: così per esempio il 24 gennaio 1388 in communi palacio, in ecclesia ipsius palacii ( .. .) pieno et generali consilio communis et hominum civitatis Padue ad so­num campane, voce preconia more solito in dieta ecclesia convocati et congregati quia in sala maioris consilii civitatis Padue fieri non potuit propter ignis combustionem (cf. MoR 1964, p. 14 nota 17, frainteso quanto al luogo di svolgimento dell'evento).

20 La previsione statutaria del 1225, relativa all'investitura e giuramento dei nuovi podestà antequam intret hospicium ( .. .)in publica concione in palacio comunis Padue (cf. Statuti 1873, n. 6), si trova sostanzialmente applicata anche in occasione delle investiture a capitano del popolo e signore di Jacopo I da Carrara (1318), di Cangrande della Scala (1328) e di Marsilio I (1324 e 1337) e Ubertino da Carrara (1338), svoltesi "in publica concione", "per la università di Padoa", "nel palacio dii comune di Padoa", "nella sala grande" (cf. GATARI, Cronaca, pp. li, 13, 16, 22; CORTUSI, Chronica, VII,§ IX= PAGNIN 1941, p. 89). Assai esplicita e dettagliata, e perciò di particolare rilievo, è la descrizione di "come misser Francesco [II] da Carara fu fato Signore per gli Anciany dela citade suxo el Palazo dala Raxon a dì x de setenbre [MCCCLXXXX] nel dì de sancta Maria.( ... ) Fato l'alba del giorno,( ... ) essendo misser Francesco da Carara senpre stado in palacio sua persona alogiada, e levato la matina e de' suoy richi panni vestido, vene su la mastra salla del palazo, dove era gl 'infrascriti signori Anciany. Comandarono i signory Anciani che le canpane di la torre in arengho sonesse per spacio di due orre, a ciò che tuto el povollo venisse a palacio. ( ... )E insenbremente i signori Anciani, con misser Francesco da Carara e'l dus Stefano [de Baviera] andarono a udire messa nela chiesia del palazo; e finido che fu la messa del Spirito Santo, usino dela chiesia e venero a sedere tuti, e pria gli Anciany e da lato de sora era el dux Stefano con molti centilomini todeschi, da lato di soto, verso la prexon, era misser Francesco da Carrara con gli anbasadori Fiorentini e Bolognexi e molti altri centilomeny, possa tuto el povolo era sula salla del palazo, pizoli e grandi, e maschi e femine; e posto che fu ognuno in silencio, se levò in piedy da sedere misser Francesco dale Ave, el quale era di signori Anciany e sindico degli Anciani e del comun de Padoa, e fecie uno belisimo sermo­ne in comendo ( ... ) de misser Francesco da Carara; e prima datolly in mane uno confalone con l'arma dii povolo di Padoa in segno di çienerale capitanio di tuto il povollo. Possa li de' la bacheta biancha in segno de signoria e di dominacione di tuto el povollo e dela citade; possa li de' el sagramento che giurasse di mantenere iustixia e fare raxionne a tuti e di non cometer may contra al comun de Padoa alcuna cosa obrobrioxa, e senpre quello contra suoy nemixi defendere, e de oservare e fare oservare i statuti del comun de Padoa; e così giurò. E alora fu posto al signore misser Francesco da Carara a sedere in mezo degli Anciany. Posto a sedere che fu, cominciò gl'instromenti a sanare, el povolo a gridare: «Viva il signore nostro misser Francesco da Carara, e viva il Carro!», con tanti gridy che s'udiva perfino al ciello. Dopo questo si levò il signore e prexe el dux Stephano per mano, andòno perfino ala corte dei Signori, e lì disnò, e remaxe in signoria con bona gracia" (GATARI, Cronaca, pp. 431-432).

21 Cf. MOSCHETTI 1932-39, p. 210.

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dei quattro santi protettori di Padova: sopra la porta dei Osei, immedia­tamente adiacente all'area in cui era la cappella di san Prosdocimo, sta appunto l'immagine del santo protovescovo in cui, con le tradizionali insegne episcopali, compare per la prima volta la brocca dell'acqua battesimale, che resterà poi il suo caratteristico attributo, direttamente collegato alla sua funzione 'storica' di battezzatore di santa Giustina e di evangelizzatore dei popoli (fig. 1). Pare significativo che tale iconografia - divenuta poi tradizionale e immortalata da opere quali il Polittico di san

Fig. 1. Padova, Palazzo della Ragione, San Prosdocimo in cattedra, affresco sopra la porta dei Osei (da Il Palazza della Ragione a Padova. Gli affreschi, Roma, 1992, tav. LXII).

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Luca di Mantegna, già a Santa Giustina (tav. IV), e la statua di Donatello per l'altare del Santo - faccia la sua comparsa qui, in un contesto civico e non episcopale né strettamen­te religioso: nell' orizzon­te culturale medievale, la funzione di battezzatore coincideva infatti con quella di legittimatore del ceto dirigente della città e del territorio (il 'regno' di Vitaliano, corrispon­dente in sostanza con il Veneto centro-orientale, che sarebbe stato tea­tro della predicazione di Prosdocimo) 22 al cui dominio ambiva, con alterno e diseguale suc­cesso, la Padova comu­nale e poi carrarese.

Secondo Masieri, l'assunzione del culto di san Prosdocimo da parte della città si manifesta­va anche nel fatto che "il Pubblico Governo di Padova cercò mai sempre tutti gl'incontri di <limo-

Fig. 2. Asolo, Cattedrale. Pietro Damini (1592-1630), San Prosdocimo battezza i nobili di Asolo

(da www.icasolo.it/spazio ragazzi/cattedrale/la_ cattedrale_di_asolo .htm).

22 Este, Vicenza, Asolo, Feltre, Altino, Treviso secondo il dettato della Vita san­

cti Prose/ocimi, ma anche Belluno, Concordia e Oderzo secondo la tradizione riportata da SCARDEONE 1560, p. 103, e inoltre Adria, Ceneda, Chioggia, Rieti e Venezia se diamo fede alla lista di diocesi venete che fino al XIX secolo ritenevano di essere state fondate da Prosdocimo (cf. DANIELE 1987, pp. 50, 72, 165; BILLANOVICH 1989; per Rieti (por­

tus Reatinum) presso Concordia, BILLANOVICH 2006, pp. 151-153). Assai interessante, da questo punto di vista, sarebbe mappare la diffusione territoriale della classica iconografia di san Prosdocimo battezzatore, di cui cito qui solo due esempi particolarmente signifi­cativi: il perduto affresco di anonimo riminese del XIV secolo sulla volta della cappella vecchia del castello di San Salvatore di Collalto a Susegana, distrutta nel 1918 (cf. http:// fe.fondazionezeri.unibo.it/catalogo), forse uno dei caposaldi orientali di tale diffusione, e

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Fig. 3. Padova, chiostro dell'ex-monastero di san Prosdocimo, capitello raffigurante il santo proto­vescovo (foto dell'autore).

strarsi splendido, muni­fico, e liberale verso il medesimo Oratorio [il sacello opilioniano], per­ché custode delle gloriose ossa del fondatore e soste­nitore della sua Chiesa. Anzi ad eterna memoria di questo suo gran Padre e benefattore, la medesi­ma Città innalzò a Dio un Tempio di tanta antichità, che del tutto è oscura la sua origine, or posseduto da sacre Vergini, volgar­mente dette le Monache di S. Prosdocimo" 23.

La chiesa in questione, e il collegato monastero benedettino femminile, è

quella attualmente adibita a Duomo dei militari (con la vicina caserma) in fondo a via San Prosdocimo, all'angolo della circonvallazione interna alle mura (fig. 3): benché, col senno di poi, sia facile mostrare che la rico­struzione dei fatti proposta dall'arciprete di Pernumia era errata o quanto meno ingenua, pure essa conserva un suo interesse quale estrema e tardiva testimonianza della reale connessione storica della città con quel cenobio, sorto all'inizio del Duecento per iniziativa privata in un borgo di recente urbanizzazione e quindi esterno alla primitiva cinta muraria della città 24,

e, di riflesso, di san Prosdocimo con la difesa della città stessa.

la pala di Pietro Damini per il Duomo di Asolo (1612-60: cf. BANZATO, FANTELLI 1993, pp. 52, 120-121), dove chi riceve il battesimo non è più la tradizionale santa Giustina, ma alcuni nobili locali (fig. 2), nei quali le dimensioni 'cristiana' e 'civica' trovano esplicita e totale, benché tardiva, saldatura. Ad analoga istanza di identificazione tra battesimo e le­gittimazione del dominio politico risponderà, in Padova, la scelta del Battistero del Duomo quale mausoleo della famiglia signorile, da parte di Francesco il Vecchio da Carrara e della moglie Fina Buzzaccarini (cf. COLLODO 2005, p. 47).

23 MASIERI 1799-1801,Il,p.214. 24 Il monastero, assente nel 1199 dalla lunga lista di enti religiosi beneficiati dal te­

stamento di Speronella Dalesmanini, è invece citato nel 1238 nell'analogo elenco di luoghi pii cui erano destinate le elemosine di Buffone di Bertolotto e, il 26 dicembre 1239, nel testamento di Tealdo q. Aldrigeto de Bava, abitante in via nova sancti Prosdocùni, che si di­chiara fondatore di quella chiesa e chiede di esservi seppellito, disponendo altri lasciti a suo favore: la sua fondazione deve quindi risalire ai primi decenni del XIII secolo e va ascritta

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Infatti, se fino a tempi recenti la storiografia cittadina non si è mai peritata di chiarire le origini della chiesa e monastero di San Prosdocimo, essa non ha mai mancato di ricordare come il monastero "fu in gran parte gettato a terra nell'anno 1256 per fare alcune fortificazioni della città, accioche potesse difendersi contra Ezzelino, che di quella essendo stato scacciato, le veniva adosso con grande essercito. Però per ristorare in qualche parte i suoi danni la città fabricò il dormitorio l'anno 1275" 25,

ovvero che templum hoc, quod ad vetustissima tempora suam originem refert, anno 1256 simul cum Ccenobio suo magna ex parte dirutum est excitatis eodem in loco munitionibus, quce impetum sustinerent Acciolini, a cujus tyrannide, Venetorum, & Romani Pontificis armis liberata Urbs, iterum armis ejus petebatur 26. Collocato lungo la linea di difesa (fossa,

ali' iniziativa di alcuni devoti locali. La documentazione superstite, conservata ali' Archivio di Stato di Padova (Corporazioni Religiose Soppresse, San Prosdocùno), contiene per la verità atti risalenti anche al 1180, riferiti però al semplice possesso dei terreni poi destinati alla costruzione e dotazione del cenobio e della chiesa (cf. GASPAR0TTO 1967, pp. 48-50; DANIELE 1987, p. 196; ZABEO, PILLI 2002, pp. 97-98).

25 P0RTENARI 1623, p. 472. 26 SALOMONIO 1701, p. 104. A sostegno delle sue affermazioni, Portenari rinvia in

nota a quanto disposto da uno Statuto comunale del 29 marzo 1275: domino Gutifredo de la Turre potestate Padue, ( ... ) placuit maiori parti consci/ii maioris quod per comune Padue fictt unum donnitoriwn dominabus sancti Prosdocùni de Padua ad expensas comunis Padue et de denariis ipsius comunis. (. . .) Et fiat predictum opus ad honorem et pro a,nore Dei et comoditate monacharum ipsius monasterii, et pro restaurarione eius dampni quod olim passe fiterunt in destrucione suarum domorwn in servicio comunis Padue ad deffensionem civitatis Padue seu spaldi (cf. Statuti 1873, n. 1158), dove il riferimento alle vicende ezzeli­niane non è però esplicito, ma solo inferibile dall'accenno alle distruzioni olim subite dalle monache per la difesa degli spalti cittadini. Solo il confronto tra tale disposizione statutaria· e le narrazioni della vicenda ezzeliniana permette di ricondurre il pregresso danneggiamen­to di San Prosdocimo alle opere difensive del 1256: nel libro X della Cronica di Rolandino (a sua volta citato a margine da Salomonio) è infatti specificato, senza tuttavia nominare il monastero, che nell'agosto del 1256 statuunt Paduanifossatum et spaldumfacere a latere civitatis paduane versus sera, in qua jJarte potius experire videtur, propter fttturum exinde inimici adventum, foris muro scilicet circa trecentos passus; ( .. .) utpote longam foveam quasi per miliaria tria, amplam eciam, ut quasi Brente alveus crederetur. Fovea quidem

facta, constructum est ibi spaldum trabeum longo tractufortissimo et condempsum, turres quoque lignee, tortirelle sive prederie certis locis (R0LANDINO, Cronaca, X,§ 1 = F10RESE 2004, pp. 432-434); diversamente dettagliata e ben collocabile nello spazio, benché ugual­mente priva di puntuali riferimenti a San Prosdocimo, è la corrispondente narrazione di GERARDO 15523, f. 87v: "fu deliberato fortificare la cità da la banda di sera, dove era men forte, & dove era da istimar, che gli inimici havesseno a venire, & comenciorno una larga fossa, & profonda lontana da le mura de la cità [i.e. quelle comunali] 500 passi, & longa più di un miglio e mezzo: sopra !equa! feceno un spaldo di legname, & de grossi chiodi fortificato, con molte torri, & belfredi con due porte di pietra, fortificate con due fortissime torri, con barbacani, & revelini, & con li suoi ponti di legno, che passavano la detta fossa, ad uno fu posto nome Savonarola, a l'altro San Giovanni".

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spalti lignei, torri, porte San Giovanni e Savonarola: vedi nota 26) allestita d'urgenza nell'estate del 1256 dalla Saracinesca a Codalunga, (e succes­sivamente trasformata in muratura tra il 1263 e il 1270 e ripresa nel XVI secolo, senza grandi modifiche di tracciato, dalla tuttora esistente cinta veneziana) 27, il monastero di San Prosdocimo dovette essere sacrificato e in buona parte demolito, a pochi decenni dalla sua fondazione e riutiliz­zandone forse i materiali, per permettere alla città di opporsi al tentativo di riconquista da parte di Ezzelino: certo non dovette mancare chi allora attribuì la vittoriosa resistenza della città ali' intervento del santo chiamato così direttamente in causa (stabilendone quindi una almeno latente valen­za difensiva, o forse rinforzando e specializzando in tal senso la valenza poleide già suggerita dalla cappella in Salone) e ritenne perciò doveroso riparare, a titolo di ringraziamento e anche dopo un ventennio, ai danni così provocati, provvedendo a spese pubbliche al rifacimento del dormi­torio delle 'sue' monache.

La stessa valenza di Prosdocimo come santo eminentemente civico, dedito a vigilare e difendere la città, appare chiaramente in due casi in cui il presunto protovescovo appare in diretta connessione con le mura urbiche e, benché sempre rappresentato con il classico attributo della brocca battesimale, al di fuori dei consueti schemi iconografici, che vedo­no compresente la sola Giustina, con diretto richiamo della sua funzione nella leggenda di lei 28, oppure l'intero pantheon patavino (Prosdocimo,

27 Per questo e per i successivi riferimenti topografici ai borghi della Padova medie­vale e alle rispettive collocazioni rispetto alle mura veneziane si fa riferimento alle piante di Padova circondata dalle muraglie vecchie e rispettivamente dalle muraglie nuove, cli Vincenzo Dotto, allegate a PORTENARI 1623 (cf. GHIRONI 19882, nn. 23-25).

28 La canonica coppia Prosclocimo-Giustina, colta perlopiù nell'atto ciel battesimo(talvolta attorniata da altri personaggi quali accoliti, familiari di lei o altri santi), figura a volte semplicemente compresente in posizione statica, anche in contesti in apparenza privi cli relazioni con i due, quali la facciata nord del Santo, dove le due statue sono sim­metricamente disposte su mensole ai lati delle lesene che ne inquadrano la porta laterale: pace Wolters, che le data al 1370-80 (con la "forte tentazione" di identificarle con "i resti dell'ancona cominciata susa l'altare grande della chiesa", citata eia un documento ciel 12 febbraio 1372) e le attribuisce a "scultore veneziano vicino a Andriolo de Santi" (WOLTERS 1976, I, pp. 39, 172 Il. 46; II, figg. 167, 169; WOLTERS 1984, p. 25, figg. 48-49), la data incisa alla base della Santa Giustina, leggibile anche nelle vecchie foto, risulta essere MCCCCXVI (e non MDCXV), escludendo quindi sia l'interpretazione come "probabile data di collocazione" nel sito attuale che, verosimilmente, l'attribuzione all'ambito del maestro veneziano, morto prima ciel 1375 (per una più tarda datazione del San Prosdocimo, alla "fine del XIV sec.", propende già GoRINI 1965, p. 34). Benché di origine ignota, le statue provengono con ogni probabilità dalla cappella absidale un tempo dedicata ai due santi, ora cappella germanica o di San Bonifacio, sul cui altare era anche la pala del Battesimo di santa Giustina di Jacopo Ceruti (1698-1767), ora al Museo Antoniano (fig. 4; cf. ZARAMELLA 1996, pp. 8, 72-73, 206,394).

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Giustina, Daniele, Antonio, raffigurati in gruppo o in quattro posizioni isolate) 29. Isolate statue di San Prosdocimo appaiono infatti accanto alla porta d'acqua del Castelnuovo (caso da cui ha preso le mosse il presente convegno) e sul fronte interno di porta Santa Croce: in entrambi i casi, come si vedrà, la collocazione delle statue sulle attuali mura cinquecen­tesche non pare frutto di arbitraria innovazione veneziana ma, motivata com'è da episodi relativi al santo che la tradizione lega ai corrispondenti siti della cinta muraria medievale, non fa che eternare tali memorie civi­che ribadendo delle presenze assai verosimilmente esistenti già sui prece­denti manufatti.

Ad attirare l'attenzione sul primo esempio è ancora Masieri, che osserva come "perfino sulle mura di Padova ne' tempi remoti si erigeva­no simolacri rappresentanti Prosdocimo colle divise Vescovili, che colla destra benedice il popolo, e coll'altra sospeso tiene un vaso, come se ne scorge ancora uno posto sulla porta murata della nostra Città, volgarmen­te detta la Porta di tutt' i Santi: quel vaso è jeroglifico dell' acque batte­simali, con cui egli convertì gli Idolatri Padovani alla vera religione" 30_

L'originale del "simolacro" fu rinvenuto ancora in situ (benché mutilato della testa e delle mani) nel 1937 durante i lavori di sistemazione del)' adia­cente golena per collocarvi il deposito comunale delle immondizie 31

29 La raffigurazione del pantheon civico è frequentissima, nelle diverse forme d'ar­te, in tutte le epoche, in ambito sia civile (sovraporte del Salone, lunette del demolito volto della Sanità, attico del Monte di Pietà, facciata dei Monti vecchi, teleri votivi dei rettori ci­vici, miniatura dello Statuto dell'Unione delle fraglie padovane, ecc.) che religioso (a voltecon i santi titolari del luogo: altare, rosone nord e porte bronzee del Santo, attico e cancelli della cappella dell'Arca, attico di San Benedetto Vecchio, mobilio della sacrestia dei cano­nici in Duomo, monocromi della chiesa di Santa Lucia, reliquiari, stampe, ecc.). Caso par­ticolare di questa tipologia è quello di piazza dei Signori, dove i quattro santi sono disposti a coppie sulla facciata del palazzo del Capitanio (nicchie con antichi busti di Prosdocimo e Antonio in terracotta) e sul timpano della chiesa di San Clemente (statue marmoree se­centesche di Daniele e Giustina), ponendosi così tra gli elementi che, nonostante la diversa cronologia frutto di posteriori rifacimenti, unificano l'invaso, secolare teatro della ritualità civica, e ne guidano la lettura complessiva. Non mancano infine gli esempi cli confluenza dei due ricordati schemi iconografici, quali il telero di Domenico Campagnola ( 1537), già nella Loggia del Consiglio e ora al Museo Civico, e le pale di Stefano dall'Arzere (1559) per la cappella Vitaliani in San Francesco Grande (antisacrestia; fig. 5) e cli Dario Varotari (1594) per la chiesa degli Orfani Nazareni, ora anch'essa al Museo, dove, davanti alla Ver­gine col Bambino, Giustina riceve il battesimo da Prosclocimo alla presenza di Daniele e Antonio, fungenti a volte da accoliti (cf. BALLARIN, BANZATO 1991, pp. l 47-148, 234-236; SACC0MANI 1998, pp. 600,605,614, con bibliografia precedente).

30 MASIERI 1799-1801, I, p. 378. 31 Cf. FADINI 2011, pp. 54, 60-66, 77. La mutilazione della statua viene solitamente

fatta risalire ali 'epoca giacobina (1797: vedi anche FRANZIN in questi Atti, che pure esprime qualche dubbio in merito): riteniamo però che, se così fosse stato, MASI ERI 1799-180 I non avrebbe mancato di menzionare il fatto, allora - nell'ipotesi - recentissimo; dato il suo si-

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FRANCO BENUCCI

Fig. 4. Padova, Museo Antoniano. Giacomo Ceruti (1698-1767), San

Prosdocimo battezza santa Giustina

( da www .artericerca.it/artisti_italiani_ settecento/Ceruti Giacomo/5 .htm).

Fig. 5. Padova, chiesa di San Francesco Grande, cappella Vitaliani. Stefano dall'Arzere (1515-1575), San

Prosdocimo battezza santa Giustina

(foto dell'autore).

e dall' 11 marzo 1938 è depositato presso il Museo Civico, nei cui cata­loghi è datato al XIV secolo 32, mentre nel maggio del 1998, quattordici

lenzio in proposito, pare più probabile che il gesto sacrilego risalga invece ai primi mesi del 1869, quando Padova - da poco annessa al regno sabaudo - conobbe un 'ondata di notturne "prodezze vandaliche" ai danni delle immagini sacre esposte in pubblico, ben orchestrata dalle forze anticlericali allora alla guida del Comune e tesa a imporre, alla vigilia della presa di Roma, il loro ritiro all'interno delle chiese (cf. BENUCCI 2001, pp. 32-33).

32 Cf. già Nuovi ingressi, p. 327: il pezzo, un tempo esposto nel chiostro del Museo

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IL SANTO CHE VIGILA SULLA CITTÀ. SAN PROSDOCIMO, PADOVA E LE SUE MURA

anni dopo il trasferimento del servizio di nettezza urbana e l'avvio del recupero dell'area, sotto la cinquecentesca edicola che lo ospitava (ormai priva dell'originale coronamento a timpano) fu collocata la copia fedele tuttora presente (tavv. V e VI, 1).

Considerando la posizione originaria della statua e dell'intero Castelnuovo, giusto alle spalle dell'antica chiesa di Ognissanti, e rifletten­do sul nome con cui la sua porta d'acqua era designata ancora allo scadere del XVIII secolo, si nota che la "fortezza mancata" di Padova 33 sorge in corrispondenza del punto in cui si apriva, nelle mura medievali, la porta di Ognissanti (vedi nota 27). La presenza del "simolacro" del protovescovo in quella posizione trova allora immediata spiegazione alla luce del tradi­zionale racconto tramandato (con diversa cronologia) dalle fonti:

"Siando donca mandato S. Prosdocimo Greco per Vescovo de Padoa da San Piero apostolo, che fo della Nativitate de Christo anni 70, venne verso la Città, et cum licentia del Re Vitaliano entrò in quella per la Porta, che se chiama ozi de' Ogni Santi, et vedando quella Città piena de case da stare benedisse el ditta logo, per la qual bene­ditione chiare volte el fuoco possa far danno sul detto luogo" 34;

"Nell'anno donqm: dieessette 13 doppo l'Ascensione di christo in Cielo sotto Caligola e Nerone Santo Prosdocimo, di natione Grecho di età giovenile di Anni dieeisette 20 fù mandato da Santo Pietro con potesta Pontificia in Padoa à Predicare la fede Santa facendo diversi miracoli ( ... ) et primieramente entrò per la Porta di tutti Li Santi hoggi detto il Porte! Vecchio dove ritrovò una grandissima quantità d'informi, quali tutti sanò con l'invocatione sola del nome di Christo, et è cosa mirabile che in quella contrada di tuti li Santi mai ha potuto la violenza del fuoco, benché Padoafosse Abbrugiata tante volte, et questo solo s 'attribuisce à quella prima Benedittione, et ingresso del Glorioso Santo Prosdocimo" 35,

al Santo (vedi tav. V, 2), si conserva ora presso la nuova sede agli Eremitani, nel passaggio dal chiostro archeologico al deposito sculture e reca il n. inv. Lapidario 802. G0RINI 1965, pp. 34-35, ne accetta la datazione trecentesca, restringendola su basi stilistiche alla seconda metà del secolo (il rinvenimento, datato erroneamente al 1948, vi è attribuito "al prof. A. Ferrari"). La statua è segnalata anche da RuscoN1 1921, p. 51, che riteneva però "probabile che autore della porta [murata] e vicina statua sia stato Angelo Buovo", maistro muraro e nel 1513-14 proto del vicino bastione del Portello vecchio "che forse era anche lapicida come quasi tutti gli artisti murari del suo tempo" (RuscONI 1921 non accenna purtroppo alle condizioni della statua, né la foto del bastione pubblicata tra pp. 40-41 - risalente forse al 1905: cf. FADINI 2011, p. 54 - permette di rilevarne con certezza la mutilazione). Per ogni ulteriore considerazione vedi GASTALDI in questi Atti.

33 Cf. FADINI 2011. 34 ONGARELL0 1441, p. 44. 35 DA POTENZA 1604, f. 2v: le correzioni sono dell'originale, mie invece le sottoli­

neature.

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come del resto notava esplicitamente già Salomonio: Porta Omnium Sanctorum adhuc nuncupatur, quod olim in fine vici Omnium Sanctorum esset. ( ... ) Prope han.e portam erat olim portulus vetus , quo navigia appel­labant. ( ... ) Conspicitur adliuc vetus porta lapidea muro clausa, cum simulachro S. Prosdocimi papula benedicentis memorice causa quod hac S. Prcesul Urbem primum ingressus est 36.

La porta d'acqua del Castelnuovo, datata 1519 ma erede almeno 'topografica' della carrarese porta di Ognissanti, ne conserva(va) dunque anche parte dell'originario apparato decorativo, strettamente connesso alle primissime fasi della missione apostolica del giovane Prosdocimo e al luogo del suo leggendario ingresso in città: greco, come suggerisce il nome (ngoo-66xLµoç 'l'atteso'), egli avrebbe infatti raggiunto Patavium per via d'acqua lungo il Medoacus, approdando così là dove sarebbero poi sorte la chiesa e la porta di "Tutt' i Santi" 37: preme qui sottolineare la miracolosa protezione dal fuoco che la benedizione di tale arrivo avrebbe garantito nei secoli alla contrada di Ognissanti, malgrado i numerosi e devastanti incendi che colpirono Padova nel Medioevo (dopo quello già citato del marzo 1174, le fonti annalistiche ricordano infatti quelli del 1262 e del 1290, che interessarono una vasta area del centro cittadino tra le piazze e ponte Molino, e quello del 1291 a Pontecorvo, oltre a numerosi episodi legati alle vicende belliche ezzeliniane e carraresi).

San Prosdocimo, patrono 'politico' delle istituzioni comunali e rite­nuto in grado di preservare dal fuoco il settore urbano a lui direttamente legato fin dalle origini, ma solo indirettamente coinvolto, nel 1256, nella difesa della città sotto il profilo militare, ebbe poi modo di manifestarsi pienamente quale protettore anche da questo punto di vista nel 1320, nelle fasi iniziali della signoria Carrarese, quando Cangrande assediava Padova e un tentativo di irruzione in città da parte dei veronesi e dei fuoriusciti

36 SALOMON IO 170 I , p. 553 . 37 Va qui ricordato che la parte inferiore delle murature absidali della chiesa di

Ognissanti (e parte delle sue strutture più antiche, da cui sono emersi vari reperti archeolo­gici ed epigrafici di epoca romana) è costruita con blocchi calcarei e trachitici cli reimpiego, pure databili all'epoca romana (sulla chiesa antica cf. MORELLO 1992; COLECCHIA 2009 , pp. 110-11.2 , con bibliografia precedente): uno di questi, tuttora visibile in via Orus alla basedel campanile, reca infisso un anello mobile, tradizionalmente chiamato s'ciona de san Pro­

se/ocimo perché il santo, giunto al limite della città cui era destinato, vi avrebbe ormeggiatola barca (sul punto, cf. già BENUCCI 2001, p. 4, con bibliografia precedente). A pochi passidalla chiesa, all'angolo tra via Orus e via Tiepolo, è inoltre murata una lastra di pietra di69xl04 cm. con cornice dentellata, che costituisce probabilmente l'unico altro resto dellaporta medievale, databile al 1374 circa: la croce pomellata che vi è scolpita a bassorilievocorrisponde all'antica insegna civica che, ancora secondo la tradizione, san Prosclocimoavrebbe dato a Padova al momento della sua evangelizzazione: cf. CALORE 1988 (per lacroce spec. p. 39 nota 4).

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Fig. 6. Padova, porta Santa Croce e dettaglio del San Prosdocùno sull'attico (foto dell'autore).

padovani fu respinto grazie al miracoloso intervento del protovescovo: a questo episodio va infatti riferita la statua di san Prosdocimo posta sul-1 'attuale porta di Santa Croce (fig. 6) 38, circa in corrispondenza del tratto delle vecchie mura carraresi (e dei precedenti spaldi: vedi nota 27) dove avvenne l'infiltrazione nemica, tra gli orti e la fossa di Santa Giustina (ora canale Alicorno) e il borgo di Santa Croce (attuale corso Vittorio

38 A prescindere dalla grande epigrafe esterna inneggiante a Vittorio Emanuele Il, che copre lo spazio originariamente occupato dal leone marciano abbattuto nel 1797, l'ap­parato decorativo d�lla porta è in realtà abbastanza complesso: il locale interno, sulla destra entrando in città, presenta infatti le immagini apotropaiche, affrescate entro false nicchie, dell'intero pantheon patronale di Padova; sul fronte interno, rivolto ai cittadini, entro vere nicchie architettoniche poste simmetricamente agli estremi dell'attico, stanno invece le sta­tue a figura intera di san Girolamo (a destra, accompagnato dal leone e da un tronco a cui è appeso il galero cardinalizio) e san Prosclocimo (a sinistra). La presenza ciel primo è in real­tà motivata dall'essere santo eponimo del capitanio Girolamo Pesaro, governatore militare della città che, come ricorda l'iscrizione collocata ali 'interno della porta stessa, ne curò nel I 5 I 6 la realizzazione, in sostituzione di quella medievale che dal 1192 sorgeva su li 'attuale piazzale Santa Croce (cf. CALORE 1992), al termine del borgo omonimo:( ... ) HIERONYMI PISAVRO BENEDICTI PROCVRATORIS FILII PRAEFECTI ( ... ) STVDIO AC SOLERTIA INEXPVGNABILIS REDDITA ( ... ) SENATVS VENETI DECRETO M .O.XVI (cf. SALOMON IO 1701, p. 556, con impreci­sioni; sul punto già BENucc1 2001, pp. 3-4).

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Emanuele II). Le fonti annalistiche, grossomodo coeve ai fatti (vedi nota 15), e così le cronache del tempo, benché alquanto differenziate nei detta­gli e nell'ampiezza della narrazione, sono abbastanza asciutte sull 'episo­dio, specie per quanto riguarda il suo risvolto sovrannaturale e religioso, limitandosi per lo più a riconoscere nel felice esito della vicenda la grazia divina e aggiungendovi a volte l'intercessione dei santi "che sono sepulti nella chiesa di santa Giustina" (le sottolineature sono mie):

MCCCXX. Die III iunii, iuxta ecclesiam sancte Justine, Paduani extrin­seci per foveas intraverunt furtive de nocte intra fortalicias, quifuerunt mortui et submersi 39;

<MCCCXX>. Canis de la Scala cum exercitu clam invasit civitatemPadue et ascendit spaldos post monasterium sancte Justine, interfec­tis custodibus. Sed tandem per Paduanos turpiter eiectus fugatusquefuit cum multa suorum cede et sanguine. Inter quos XVI ex eis repertimortui et ducti fuerunt in civitatem et trainati ad cathenam commu­nis 40;

Mcccxx. Die martis tertia mensis i unii, de nocte ante matutinum, ( .. .)dominus Canis cum suo exercitu occulte invasit et assalivit civitatemPadue post monasterium sancte Iustine, et multi ex eis ascendentessuper butifredum et spaldum et interficientes custodes circa tres etfrangentes et incidentes spaldum, et intraverunt ulterius plusquamccc; et per gratiam Dei, et preci bus Sanctorum sentiti fuerunt etobviati per cives paduanos taliter, quod violenter, cum magno suodamno et vituperio, expulsi extra fuerunt et in maxima quantitatemortui de suis et civibus et rebellibus communis Padue, et xv ex eisin uno momento mortui ducti fuerunt nudi in plateam communis ( .. .).Et post ipsos mortuos, plures mortui inventi fuerunt; et in maximaquantitate etiam de vivis capti fuerunt. Et die mercurii sequenti, adhonorem Dei et suorum Sanctorum, fuit facta processio et laus perfratres et cleros 41;

"d 320>. il signor Cane di notte occultamente assaltò Padoa, dopoil monasterio di santa Giustina, et molti de quelli sagliendo soprali ripari ammazzorno tre uomini, che erano posti alla guarda, etrompendo gli argini introrno dentro della città più de 300 soldati;ma per la Iddio gratia et delli Santi, che sono sepulti nella chiesa disanta Giustina, furno gli inimici sentiti, e gli andorno a rimpetto glicittadini padoani in tanto, che con suo grave danno fumo respinti et

39 Annales Patavini, redazione Molin, e Li ber regiminum Padue = BONARDI 1905-08, pp. 212,355.

40 Anna/es Patavini, redazione Osio= BONARDI 1905-08, p. 264, notizia erronea­mente posta ali 'anno 1322.

41 Anna/es Patavini, redazione Zabarella = BONARDI 1905-08, pp. 239-240.

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scacciati fuora con gran vituperio, morti assai de quelli et delli ribelli di Padoa, et quindeci de quelli fumo condotti nudi nella piazza( ... ) et di poi di quelli fumo trovati assai morti in grande copia et de vivi fumo presi assai. Et il seguente giorno fu fatta processione per frati et preti" 42;

<MCCCXX>. Canis nimio desiderio cupiens Urbem penitus furtive subripere, prceparatis pluribus cedificiis transeundi secure steccatum et fossum, de mense !unii noctis tempore misit circa ducentos pedi­tes armatos ( .. .) ultra spaltum, qui primo custodes cujusdam bilfredi gladiis perimerunt ( ... ) sed inde milite Potestatis divinitus transeunte visa gente Canina, confestim versus palatium rediit, celerem auxi­lium implorando et hcec omnia Potestati quamcitius nota fecit. ( ... ) Paduanique virtute Dei hanc victoriam habuerunt 43; Dominus Canis semper cogitans Paduam occupare vi vel fraude ( .. .) ait quibusdam Paduanis extrinsecis: «Hodie potestis in civitate vestra triumphare. Placeat ergo vobis circa introitum civitatis vires vestras ostendere». Qui statim per rostam, facta juxta viridarium Sancte Justine, in civitate intraveruntfartive, quosdam vero custodes dormientes occiderunt. ( .. .) Stipendiarius quidam Parmensis ( ... ) ad resistendum inhabilis, terga vertens domino Nicolao de Carraria obviavit, cui ait: «Occurrite subito contra hostes ne civitas submer­gatur». Tunc ille cum quibusdam in hostes fecit insultum et, Dei auxilio mediante, compulit eos fugere sine ponte, quorum aliqui in foveis submersi fuerunt, aliqui deformiter truncati, nudi tracti fue­runt per plateas, nec ea die traditi sepulture. ( .. .) Fuit hoc Mcccxx,

die tertio J unii 44•

La Cronaca dei Gatari, redatta verso il 1372 e dunque a oltre mezzo secolo dai fatti del 1320, e ancor più il Libellus savonaroliano, recenziore di forse altri 74 anni, danno invece alla vicenda molta amplificazione reto­rica, indugiando sulla sua dimensione miracolosa e presentandoci un san Prosdocimo che interviene direttamente, con Nicolò da Carrara, a capo della cavalleria padovana 4s:

"Il comune di Padoa avea grandenisima speranza in ne la sua [di rnisser Nicholò da Charara] forteza; e di lui si potria iscrivere molte e molte prodece, ma soto brevità ne dirò una molto miracoloxa. Adivenne che dimorando in Padoa misser Nicolò in amore e concor­dia del signore misser Marsilio, passò una notte per mala guarda la giente de misser Cam la fossa di santa Iustina, e venne sul Pra da la

42 Annales Patavini, redazione Ambrosiana= BONARDI 1905-08, pp. 239-240.43 DA LEVADA 1321, § XXIV= DEGLI AZZONI AVOGARI 1760, pp. 208-209.44 CORTUSI, Chronica, II,§ XIV= PAGNIN 1941, p. 33.45 Cf. DANIELE 1987, pp. 46-48.

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Valle: ordenatamente messi in bataglia la giente d'arme da chavalo e da pè, in su l'alba del die fu resentiti. Di che misser Nicolò da Charara vigorosamente con pocha giente corse fuora di la porta dii Pra, non altramente come iscrive Dario de Ettore( ... ) e come scrive Umero d' Achilles ( ... ). Così per simile trasse il fortisimo misser Nicolò contra l'oste de misser Cam, e llì, ucidendo e abatendo li loro nemici, e in effetto con fugha e danno de misser Cam fu isconfitti e chazadi fuora di la fossa, donde gli era intrati; e di loro molti se n'aneghò, e ancora molti ne fu prexi. Efu ditta per alcuni cittadini, che loro avea visto san Prodocimo [sic] di brighata di misser Nicolò a chaciare fu.ora il dito oste de misser Cam: si che di lui si può mira­colosamente iscrivere" 46;

Quam itaque michi dabis, Antoni, urbem, que apud Regem Regum tot talesque intercessores habeat, queve tanta polleat dignitate? neque ad eam semper extollendam fortunandamque eis cura fitit, cum piane intelligant, continuum successum temporalium eterne reprobationis esse indicium. Ne tamen malis viris opprimeretur, ne igne aut predonibus cruciaretur, semper illorum diligens cura jitit. Unde et legitur, cum nocturno tempore eam obsidentes domini de la Scala veronenses burgo Sancte Crucis silentio cum magno ingressi essent, illico auditus per totam urbem magnus gemitus sanctorum est; quo et cives patavi expergefacti perterritique, inimicos sic sen­tientes, Prosdocimo sancto omnibus viso priori equitante, eos velut amentes effugarunt 41.

Come si nota, se nella prosa dei Gatari il miracoloso intervento del protovescovo pare assimilabile all'apparizione dell'apostolo Pietro roteante una spada, che nel 452 avrebbe permesso al 'protopapa' san Leone Magno di fermare Attila sul Mincio 4s (e finalizzato del resto, come in quel caso, alla celebrazione del protagonista umano della vicenda, cui litterate sono attribuiti i miracoloxi poteri) 49, la celebrativa agiografia savonaroliana pone l'episodio del 1320 in climax con la protezione da oppressori, incendi e predoni sempre accordata alla città dai suoi patroni, presentandoci quindi un san Prosdocimo che alle tradizionali funzioni di

46 GATARI, Cronaca, pp. 13-14. 47 SAVONAROLA, Libellus, p. [8. 48 La leggenda, accolta già da Paolo Diacono nell 'VIII secolo, è nota per le versioni

artistiche, arricchite dalla presenza anche di san Paolo, datene da Raffaello nella stanza di Eliodoro nel palazzo Vaticano (1513-14) e dallo scultore Alessandro Algardi in san Pietro a Roma (1646-53).

49 Ciò è reso evidente anche da ciò che segue immediatamente il brano citato: "An­chora di lui [Nicolò] si può iscrivere che per sua industria e forza [nel l 325] chaziò Pollo Dente fuora di Padova".

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protezione dalle calamità ambientali, comuni a molti santi civici di tutta Europa 50, unisce quelle, meno frequenti, di scudo contro le avversità socio-politiche e facendogli addirittura assumere gli immaginari e inediti connotati di santo cavaliere, del tutto simile alle bellicose immagini dei vescovi pari di Francia del XV secolo 51 o di molti vescovi-conti (e princi­pi) dell'Impero. Prosdocimo appare associato ai milites già nel testo della Vita (cap. 13: dixit Vitalianus rex ad beatum Prosdocimum: «Accipe mili­tes meos et vade per universas regni mei civitates et predica Dominum nostrum Iesum Christwn». (. .. ) Nec mora, Christi sacerdos viam ingres­sus est et ( ... ) ab omni populo quamvis paganissimo oberdante honorifice tamen susceptus est) 52, dove gli armati hanno la funzione di garanti della protezione regia alla missione evangelizzatrice e dunque di veicolo del suo successo: significativamente, già Tilatti vedeva in questo passaggio il segno dell'instaurarsi tra il rex e il protovescovo di quel vincolo di fide­litas e vassallaggio altomedievale che avrebbe portato alla "protezione militare della chiesa, caratteristica per il potere a partire dall'età carolin­gia", sfociando infine nella "militarizzazione dell'alto clero fra il IX e il X secolo" 53; senza indugiare oltre su tale disamina, da cui Tilatti trae argomento per la definizione del contesto storico-culturale di cui la Vita stessa sarebbe stata frutto, ci sembra tuttavia importante sottolineare come l'episodio del 3 giugno 1320 sembri rappresentare, almeno nella versione riferita dai Gatari e da Savonarola, la conclusione di tale processo.

Come sarà giunto san Prosdocimo dalla latente valenza difensiva del 1256, legata al coinvolgimento del monastero delle 'sue' Vergini nella lotta antiezzeliniana, a quella conclamata attribuitagli nel 1372 e 1446 in relazione all'episodio della guerra antiscaligera del 1320? L'anello di congiunzione pare essere senz'altro Albertino Mussato (1261-1329): notaio, membro del Consiglio civico, fratello di Gualpertino abate di Santa Giustina, storiografo e nel 1315 poeta laureato, cantore nel!' Ece­rinis (1313) della lotta contro il 'figlio di Satana' Ezzelino, egli riuniva in sé tutte le competenze e le conoscenze fattuali, documentarie e tradi-

5° Cf. DELORT 2010, p. 415 (con CR0UZET-PAVAN 2010, pp. 128-129): "il velo di sant' Agata protegge [Catania] contro i terremoti [e le eruzioni etnee]; san Marco, [san Gior­gio] e san Nicolò salvano Venezia nella 'mitica burrasca' [del 15 febbraio 1340]; sant' Ago­stino appare a Toledo per respingere le cavallette nel fiume, san Marcello e santa Genoveffa fanno retrocedere la Senna, e via dicendo".

51 Li si veda, l'arcivescovo-duca di Reims, i vescovi-duchi di Langres e Laon e ivescovi-conti di Beauvais, Chalons e Noyon, raffigurati a cavallo, in armi e in piena tenuta araldica, e accompagnati da angeli portami tria, nelle carte del quattrocentesco Grand anno­rial équestre de la Toison cl'Or (Paris, BNF-Arsenal, ms. 4790 Résidence).

52 Cf. DANIELE 1987, p. 242. 53 TILATTI 1997,p.100.

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zionali necessarie per narrare con vigore retorico e dovizia di particolari - nell'opus geminum, in prosa e in versi, del 1321-22 - le vicende poli­tico-militari appena trascorse, inquadrandole nelle precedenti vicendestoriche della città e dell'Italia e, in particolare, riprendendo e sviluppandoquanto già adombrato nel poema del 1313 54• Se nel trattato in prosa (Degestis Italicorum post Henricum VI[) anche la vicenda del 3 giugno 1320è "spiegata in termini esclusivamente umani" (cui si aggiunge solo iltradizionale rendimento di grazie per l'intercessione dei santi padovani- evocati in un pantheon anomalo che include, con le quattro maggio­ri 'glorie' di Santa Giustina, anche Antonio, ma esclude Daniele - perla salvezza della città), il poema (De obsidione domini Canis grandisde Verona ante civitatem Paduanam) riserva invece "ampio spazio" alsoprannaturale e alla tradizione agiografica cittadina, tratteggiando cosìper san Prosdocimo una figura da protagonista che prelude direttamen­te, pur nella diversa declinazione narrativa, a quella poi esplicitata daiGatari e da Savonarola: qui infatti Prosdocimo, Patave de gente patronus,risvegliato dall'irruzione nemica negli orti di Santa Giustina, intrattieneun lungo dialogo con l'Onnipotente e infine, per suo ordine, corre a darel'allarme alle guardie e, cavalcando lungo le mura su bianco destriero,ne garantisce la resistenza in attesa dell'arrivo della cavalleria guidata daNicolò da Carrara 55:

Erat quidem secus sancte Justine cenobium a viridarii tergo meri­diem versus palorum lignorumque subfixa strues que torrentem fluviali secus monasterium decurrentis acuto tabularium culmine amplectebatur per cuius tamen culmen et uni et soli irrepere ad interiorem aggerem facultas erat. ( .. .) Huic appositione adheren­cium trabium tabularumque iter ampliare, Cani consilium fuit, per quod iter nocturno silencio in monasteriun pedites immitti possent qui ulteriore aggere potiti additu loci comoditate dilatarent ( .. .) dormitantes propugnacule excubias primum trucidatas in foveas iecere ( ... ) et iam vi capta urbe murmure exultantes monasterio sese continere non nulli in pratum Vallis monasterio contiguum preces­sere. ( ... ) Ex templo ad portam Prati vocibus perlatis auditis ( ... ) rumoribus ex transeuncium fragoribus per eius suburbii callem et

54 Un'opera, l'Ecerinis, "caratterizzata da un forte impegno nel presente, che( ... )non può non essere letta in chiave antiscaligera" e che, mostrando in Ezzelino una pre­figurazione di Cangrande della Scala e delle sue mire espansionistiche, "si proponeva di mostrare i devastanti risultati di un certo tipo di potere non solo ai padovani, affinché stes­sero in guardia e si mobilitassero, ma anche a chiunque minacciasse nuovamente la loro libertà": il duplice opus del 1321-22, e in particolare "il De obsidione deve dunque essere ricollocato in stretto rapporto con I' Ecerinis" e certo, per quanto ci riguarda più da vicino, con le conoscenze maturate per la sua redazione (cf. GIANOLA 1999, pp. XXXIX, XLI, LX).

55 Cf. GIANOLA ] 999, pp. L, LXIII.

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Turrisellarum portam confestim clamor allatus est. Ea forte nocte Nicolaus de Cararia ( ... ) nulla mora paucis stipati peditibus ad pra­tum Vallis concitis equis concurrere, uhi in repertos Prato hostes ad mortem pari voce conclamantes iniectis gladiis impetum fecere. ( .. .) Multi non capacem sui additum cernentes frequencia obiectorum ad transitum fttgam prohibente in instantem mortem ex alto vallo se coniecere quos maxime armis honustos fovee gurges absorbuit. ( ... ) Per eam diem plurima cadavera in foveis dilapsa demersaque populares viri piscati sunt vallis appensa ad spectaculum exercitus Canis. Exprobationesque summis vocibus iniecte in Canem, armate inde absque numero uncis subrepta ex foveis summoque Deo laudes concentes beatissirnisque Prosdocimo et Justine, Luce, Mathie apo­stolo Antonioque confessori quod presertim per loca sacra reveren­dissimi eorum cenobii civitatem suam tutati sunt, nec exicia civitati necesque civium sustulerint. Acta hec Domini nostri lhesu Xpi anno xx0 post millesimum trecentesimum, IIIJ0 nonas junias 56;

Templum erat in Patavo multo venerabile cultu menibus inclu­sum sacra de Virgine nostri numinis ante ortum longevo tempore fanum. Delubro fuerat Patavo Concordia quondam nomen; ( ... ) sed postquam illuxit mundo divina propago, nostra salus, templum nostri fecere priores Prosdocimo nostre fidei legisque magistro. Postque sepulta loco martir Iustina sub ilio olli iuncta sacri servavit nomina templi. Hec prope visa Cani prono sub margine ripe palificata strues medie declivia fosse amplectens labentis aque defixa perenni con­gerie, siccus servaret ut alveus amnem. Huic supra apponi tabulas meditatus ad instar pontis et adverso pedites subducere vallo cogitat et tacitis evincere fraudibus urbem. ( .. .) Compositis igitur consulto milite rebus, dirigit ad castrum gressus sub nocte silenti et vocat extores Patavos ( ... :) «Ecce patens vobis facilis sine Marte paratur introitus; struxi tabulas trans valla ferentes arma viros tacitumque agmen ( .. .) nocte sub ipsa sopitam nullis intrare tumultibus urbem.» ( .. .) Utque aditus valli spacio maiore pateret ferri strage ruens incussus dissilit asser ingressusque novos aperit discussa bipennis. ( ... ) Irruit inde frequens in claustra sine ordine vulgus implentur loci retro viridaria sancti. ( ... ) Ingemuere ca vis Sanctorum corpora bustis auditum celo querulum fundencia murmur. Audit Omnipotens spera sublirnis ab alta. Sevocat a Sanctis Patave de gente patronum Prosdocimum: «Quid, Sancte, facis sic segnior? - inquit - Audisti gemitus Patava de clade dolentum, seva parata tue genti certamina sentis ( ... ) Hi Patavi tantas siquidem meruere ruinas? Sanctorum

56 MUSSATO, De gestis italicorum, XIII,§ II= PADRIN 1903, pp. 74-76.

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gemitus saltem miseresce tuorum hocque Canem diro frustrare, piissime, voto».( ... ) Inquit Omnipotens: ( ... ) «Patavi voces audisse patroni non piget ( ... ). Accelera, nec enim tantis obstare periclis tempus adest. Paulo si plus sermone moremur hostis habet vallum. Tenues descende per auras, vade citius, fer opem, translatos urbe repelle, ( ... ) sufficiat iam nunc tantum si menia servent tuta tui; subito multa maiora videbis». Sicut erat cana ventosa per aera palla desilit in Patavum presul somnoque iacentes excitat excubias et valla citissimus ambit, candenti convectus equo, gentesque tumultu admo­vet et totam tutele suscitat urbem. ( ... ) Ecce cohors equitum summa descendit ab urbe, parva licet; comites ductor Nicolaus agebat ( ... ) «Sum Nicolaus - ait - mihi dat Carraria nomen» ( ... ) At postquam retrusa cohors que prima tegebat transactas acies cuneum devicta reflexit vertit et ipsa viros alio sine Marte sequentes ( ... ) quod gens multa nimis pontem migraverat unum ( ... ) et tenebre ignaros multos fecere viarum ex quibus urbanas subiit pars multa per edes agmine pulsa suo; que vero proxima pontem accessit, vi pressa, cadit pon­temque ruina obstruit et liquidis pars multa illabitur undis. ( .. .) O quam multa suis moritur demersa sub armis! ( ... ) Plebs legit interior predam exuviasque iacentum et piscantur aquis fossis demersa pro­fundis corpora cesorum figitque patentia vallis, certa trahunt uncis patulis avulsa plateis exprobata diu, nullis concessa sepulcris 57•

Anche la statua di porta Santa Croce dunque, benché non sia un originale del '300, conserva la memoria del miracoloxo intervento di san Prosdocimo quale defensor civitatis, nel luogo stesso dove esso avvenne (o almeno si originò): possiamo quindi ragionevolmente assumere cheessa non sia che il rifacimento, risalente al 1516, di un precedente simo­/acro del santo, assai probabilmente collocato sulle muraglie vecchie neipressi della fossa di Santa Giustina nell'autunno del 1320, dopo il comple­to ritiro dello Scaligero da Padova (vedi fig. 7). Nonostante la delusioneper la successiva politica carrarese nei confronti di Cangrande, culminatanella cessione di Padova nel 1328, provata da Albertino Mussato e il ripe­tuto esilio che dovette perciò subire (morì infatti a Chioggia nel 1329), enonostante anche le controverse vicissitudini di Nicolò da Carrara, che nel1327 passò al campo scaligero in opposizione a Marsilio I (suo lontanocugino, succeduto nel 1324 allo zio Jacopo I nella carica di capitano delpopolo), finendo anch'egli esiliato in laguna (morì forse a Venezia nel1344), è evidente che l'episodio del 3 giugno 1320 costituisce la radicedi quel forte legame simbolico, intriso di sovrannaturale, tra i da Carrarae san Prosdocimo che abbiamo visto riaffermato in occasione della (re)investitura signorile di Francesco Novello, nel settembre 1390, introdotta

57 MUSSATO, De obsidione, I, 498-74S = GIANOLA 1999, pp. 49-66.

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IL SANTO CHE VIGILA SULLA CITTÀ. SAN P ROSDOCIMO, PADOVA E LE SUE MURA

Fig. 7. Padova circondata dalle muraglie vecchie (disegno). Sono evidenziati i siti urbani storicamente legati alla presenza di chiese e immagini di san Prosdocimo (A= posizione approssimativa dell'attuale porta di Santa Croce) (elaborazione dell'autore su base cartografica da www.muradipadova.it/lic/lemura-comunali/ le-muraglie-vecchie.html).

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da "la messa del Spirito Santo" nella cappella del Salone dedicata al santo (vedi nota 20), e che portò al culmine gli effetti politici dell'assunzione del protovescovo come Patavorum patronus, già a suo tempo operata dal Comune. Non stupirà quindi che sia proprio con la maturità della signoria carrarese che l'immagine di san Prosdocimo, mai prima utilizzata sulle monete padovane (il cui originario diritto di emissione, si ricordi, spettava al vescovo) vi fa la sua comparsa, portando a compimento l'identificazio­ne della città col suo mitico evangelizzatore (e dei suoi governanti col loro legittimatore: vedi nota 22).

Come è noto, nella monetazione carrarese compare in effetti l'intero pantheon padovano, ma i quattro patroni vi figurano in modo differen­ziato, facendovi apparizione in una successione assai scalata nel tempo e corrispondente alla loro antichità 'storica'. Il primo e più frequente­mente rappresentato è quindi proprio Prosdocimo che compare già nel grosso carrarino di Jacopo II (1345-50), quindi nel carrarino da 2 soldi della prima fase della monetazione di Francesco il Vecchio (1355-78), nel grosso carrarese da 4 soldi e nel ducato della sua seconda fase (1378-86) e infine nel carrarino da 2 soldi di Francesco Novello (1390-1405).Seguono Giustina, attestata solo sul quattrino di prima fase di Francesco ilVecchio; Daniele, raffigurato sul carrarino da 2 soldi della seconda fase diFrancesco il Vecchio e sul carrarese da 4 soldi della sua terza fase (1386-88); infine Antonio, effigiato nel soldo e nel grosso carrarino (quest'ulti­mo documentato solo da apografo) di Francesco Novello, "entrambi( ... )probabilmente ( ... ) realizzati con l'argento sottratto ( ... ) alla basilica delSanto, nel 1405, per finanziare la guerra contro Venezia" 5s.

I cinque nominali raffiguranti al verso san Prosdocimo presentano tuttavia una notevole varietà iconografica: nei carrarini e nel carrarese di Francesco I e Francesco II egli appare infatti a figura intera nelle tra­dizionali vesti episcopali - con casula, mitria, aureola, pastorale nella sinistra e mano destra benedicente o (nel carrarese) reggente la brocca battesimale - circondato da una semplice legenda identificativa s(ANTYS) PROSDOCIMVS e accompagnato al recto dall'insegna araldica carrarese e dalle iniziali e/o dal nome del signore in carica (tav. V III, 2-3); con analogo recto, nelle stesse vesti e in atto benedicente, ma a mezzo busto e racchiuso entro una cornice mistilinea circondata dalla legenda CIVITAS PADVA, egli appare anche nel ducato d'oro di Francesco I (tav. VIII, 1), il massimo valore dell'intera monetazione padovana 59, dove l'integrazione

58 SACCOCCI 1995, p. 94. Sulla monetazione carrarese cf. SACC0CCI 1989; SACCOCCI 1995; SACCOCCI 2011; VETI0RAT0 201 l, con bibliografia.

59 "Una specie di 'assalto al cielo' da parte della zecca carrarese" lo definisce SAC­cocc, 1995,p.89.

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tra testo e immagine suggerisce appunto una piena identificazione tra la città e il suo santo. La valenza poleide di san Prosdocimo, più volte messa in luce in questo contributo, è confermata anche, e a fortiori, dall'icono­grafia della sua prima apparizione numismatica, nel carrarino di Jacopo II, dove è raffigurato sempre in abito episcopale, ma seduto in trono e reggente nella destra un modellino di città murata e turrita, circondato dalla legenda s. r'soocrMvs e accompagnato al recto da una croce inquar­tante le iniziali e l'arma del signore, circondata dalla legenda crvn' PAD', a suggello della triplice identificazione tra il santo, la città e la signoria (tav. VII) 60: il gesto di reggere la città, che Prosdocimo risulta compiere qui per la prima e unica volta della sua 'carriera' iconografica, è infatti lo stesso che caratterizzerà poi - nei kararini navi del 1378 e nel carrarese del 1386 come nel resto della sua iconografia - san Daniele 61, accomu­nandolo alla nutrita schiera di santi civici ed eponimi, quali san Liberale a Treviso, san Vincenzo a Vicenza, sant'Elpidio nel Piceno, san Venanzio a Camerino, ecc.

Tra tutti i santi poleidi, il caso di Prosdocimo è direttamente com­parabile a quello di altri santi vescovi pure tradizionalmente rappresen-

60 Per la prima volta nella storia monetaria padovana, era così soddisfatto quantoprescritto dall'atto del 1049 con cui Enrico III aveva concesso al vescovo Bernardo il di­ritto di zecca: ut certior auctoritas huius nostre concessionis videatur, in una superficiae denariorum ( .. .) eiusdem civitatis .fìguram imprimi iussimus (cf. GLORIA 1877, n. 152), immagine fino ad allora sostituita da semplici legende CIVITAS PADVA, PADVA REGIA CIVITAS , ecc. L'identificazione tra la città e il suo santo si ritrova, seppur con diverse modalità, anche nel verso dei bolognini emessi nel 1413-20 da Conte da Carrara, signore di Ascoli, dove la legenda s. EMID' o' ESCVLO appare associata a un "ponte con due torri", arma civica del centro piceno (cf. SACCOCCI 1989, p. 188 n. 22).

6I Secondo GORINI 1998, e ora VETTORATO 2011, p. 89, nelle due alte torri che ca­ratterizzano la città retta da san Prosdocimo vanno riconosciute la torre Bianca e la torre Rossa, oggi mozza, del palazzo comunale "simbolo del potere politico" (cf. anche GORINI 1965, p. 33-34), mentre gli edifici retti dal san Daniele 'numismatico' raffigurerebbero ri­spettivamente la città, in una generica visione frontale (carrarino), e il castello 'ezzelinia­no', restaurato da Francesco I nel 1374 (carrarese), a significare l'evoluzione del patronato del santo dalla città alla famiglia signorile e al suo regime. Tale distinzione appare però speciosa sia per le ridottissime dimensioni del dettaglio iconografico su cui si basa che per l'identificazione ideologica tra città e signore: i modellini di città presenti nell'iconografia di san Daniele e dei vari santi civici sono del resto assai vari e diversamente dettagliati secondo l'epoca, l'occasione, il committente, ecc. Per i riflessi della tematica nell'icono­grafia di (ri)fondatori e 'patroni laici' delle città (quali Emanuele I Ducas per Tessalonica, Antenore per Padova e, aggiungiamo, Costantino il Grande per Bisanzio-Costantinopoli), cf. GORINI 1974, pp. 81-82; qui pertinente sarebbe il caso di Ubertino da Carrara, se fosse dimostrata l'invece improbabile appartenenza originaria del noto modello di Padova al suo monumento funerario (cf. ZULIANI 1989, p. 190). Per un perduto modello di Padova in oro, donato al Santo forse da Francesco Novello nel 1389 e da lui certamente requisito nel 1405 per convertirlo in moneta (vedi sopra ad nota 58), cf. RoNCHI 1937-38, pp. 137-138.

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tati nell'atto di reggere il modello della città di cui sono patroni: tra gli altri san Geminiano, vescovo di Modena e patrono di San Gimignano (SI), e san Petronio, vescovo di Bologna e patrono della stessa città 62_

In entrambi i casi, si tratta di culti civici, fondati su episodi leggendari (risalenti rispettivamente al IV e V secolo) e non particolarmente soste­nuti dai vescovi locali, ma fatti invece propri dai Comuni e promossi con particolare vigore proprio in funzione antivescovile: ciò avvenne a San Gimignano verso la metà del XII secolo, quando la cittadina si affrancò dal potere dei vescovi di Volterra e si diede un governo consolare (prov­vedendo nel contempo, 1146, a far consacrare la collegiata dedicata al patrono), mentre a Bologna (ceduta al papa dai Franchi ancora nell'VIII secolo e libero Comune dal 1114) il culto di san Petronio ha sempre avuto ( e ancora mantiene) un'esplicita connotazione civica e di contrapposizio­ne all'autorità vescovile, sentita come longa manus del potere papale. Se è vero ciò che questi casi meglio noti e documentati sembrano mostrare - se cioè l'assunzione da parte di un Comune di un vescovo in buonaparte immerso nella leggenda quale suo principale patrono, e del relativoculto quale elemento portante della religione civica, ha avuto una sottile(e assai diplomatica) funzione oppositiva nei confronti dei vescovi reali(e pienamente storici) del tempo, finalizzata all'affermazione delle isti­tuzioni cittadine quale legittima fonte di autorità politica - non è alloraforse fuori luogo ipotizzare che anche a Padova l'assunzione del culto edel patronato civico di san Prosdocimo, assai precedente all'avvento dellasignoria carrarese, abbia rispecchiato (in forme simboliche necessaria­mente non sgradite ai vescovi) non già "il vincolo di collaborazione" traautorità cittadine e potere vescovile 63, ma piuttosto l'affrancarsi della cittàda quello stesso potere e il progressivo affermarsi del libero Comune, apartire da quel 1138 in cui i primi consoli compaiono accanto al vescovo(e ai nominali conti imperiali) nel governo della città, e poi con maggiorvigore dalla seconda metà del XII secolo.

Un ulteriore indizio in tal senso sembra provenire dall'esame della distribuzione geografica delle chiese intitolate a san Prosdocimo nell'am­bito del territorio padovano, che sembra costituire un fenomeno in gran parte successivo e indipendente da quello delle dedicazioni vescovili a san Fidenzio considerate in apertura: prescindendo dai tre contesti urbani già discussi (sacello, cappella del Salone e monastero) e da quello assai

62 Se ne vedano le immagini rispettivamente nella tavola di Taddeo di Bartolo, del1391, ora al Museo Civico di San Gimignano (fig. 8) e, tra molte altre, nella quattrocentesca tavola di Michele di Matteo nel Museo di Santo Stefano a Bologna (dal martyrion; fig. 9). Analogo è il caso di san Martino di Tours, patrono di Monte San Martino MC, raffigurato in abiti vescovili e col modello della cittadina nel trittico di Vittore Crivelli, del 1489-90, nella chiesa locale a lui dedicata (fig. 10).

63 RIGON 1988, p. 37; T!LATTI 1997, p. 117.

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Fig. 8. Fig. 9 Fig. JO.

Fig. 8. San Gimignano (SI), Museo Civico. Taddeo di Bartolo, San Giminiano vescovo di Modena col modellino della città, tavola (1391) (da ciaotutti.nl/tag/ torre). Fig. 9. Bologna, Museo di Santo Stefano (dal martyrion). Michele di Matteo, San Petronio col modellino della città, tavola (XV sec.) (foto di M. Violante; da com­mons.wikimedia.org/wiki/File:I_santi_Petronio_e_Stefano.jpg?userlang=it). Fig. JO. Monte San Martino (MC), chiesa arcipretale. Vittore Crivelli, San Martino di Tours col modellino della città, tavola, anta sinistra del trittico (1489-90) ( da poi itticideimontiazzurri .it/wp-content/ gallery /dettagli_trittico_ v ittore_cri­velli/san_marti no .jpg).

antico ma del tutto estraneo al contesto padovano di Pradelle di Gazzo Veronese 64, dopo il caso di Villa del Bosco, capella dipendente da Santa Giustina e situata nell'area di bonifica ed espansione territoriale della sua corte di Correzzola (vedi nota 13), ma in un certo senso sulla falsariga di questa, tutte le altre chiese dedicate al protovescovo si trovano nel terri-

64 Cf. il cenno iniziale e DANIELE 1987, pp. 166-173. Ignoreremo anche i due casimoderni e quindi irrilevanti di santa Maria di Camponogara, eretta ad arcipretale e con­dedicata a san Prosdocimo nel 1812 dal vescovo Dondi dell'Orologio in occasione della consacrazione del nuovo edificio, e della parrocchiale urbana di san Prosdocimo fuori Pon­tecorvo, costruita nel 1938-41 per iniziativa di mons. Agostini (cf. DANIELE 1973, pp. 154, 559; BELTRAME 1992, pp. 39, 178).

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torio direttamente controllato dal Comune cittadino, in aree di espansione agraria o in siti di nuova fondazione e urbanizzazione, presso i confini civili del Padovano e in un caso addirittura fuori dall'antico territorio dio­cesano, appunto quali 'pedine' di una scacchiera geopolitica analoga ma diversa da quella su cui a suo tempo giocavano i vescovi 6s. Furono quindi dedicate a san Prosdocimo (vedi fig. 11 ):

la pieve di Villanova oltre Brenta (detta ora di Camposanpiero), loca­lità che il nome stesso mostra fondata in zona di espansione territo­riale e documentata dal 1173 quale feudo giurisdizionale venduto agli Alvarotti da Cunizza, moglie del conte Giacomo, e dai figli Manfredino e Giordano, con un castello attorno a cui si sviluppò l'abitato con la chiesa plebana, citata già nel 1192, nel primo testamento di Speronella Dalesmanini, quale destinataria di 100 soldi di elemosina 66;

la chiesa urbana di Cittadella (attuale Duomo dei Santi Prosdocimo e Donato), fondata nel 1220-21 dal Comune di Padova e inizialmente al servizio solo delle milizie e dei civili residenti nella città murata eretta allora a difesa del confine settentrionale del Padovano (specie in opposizione alla trevisana Castelfranco), in un territorio soggetto fino al 1818 alla diocesi di Vicenza: l'originaria dedicazione dell'ar­cipretale, che fino al 1376 dipese dall'antica pieve foranea di san Donato e ne assunse poi giurisdizione e contitolare, "testimonia la

65 Nel resto del vasto territorio diocesano (che, si ricordi, comprende vaste areedel vicentino, del bassanese, del feltrino e dell'attuale veneziano) l'unica istituzione re­ligiosa dedicata a san Prosdocimo era l'ospedale di Ron di Dobladino (Valdobbiadene), un ospizio il cui personale seguiva una regola vescovile ma fondato il 15 settembre 1264 per iniziativa privata (si trattava dell'esecuzione di un lascito testamentario del trevisa­no Guglielmo Guizzardi, risalente al 17 luglio 1259) e già in rovina nel 1488 (cf. G10s 2002, pp. 236-237, e per la regola MASIERI 1799-1801, Il, p. 217, che fraintende però il riferimento cronologico offerto dalla sua fonte, anticipando di oltre un secolo la vita dell'istituzione).

66 Cf ORSATO 1678, p. 338; GLORIA 1862, Il, pp. 237-238; DANIELE 1973, pp.743-744; BELTRAME 1992, p. 251. Per TILATTI 1997, p. 118 nota 235, che rinvia purea DANIELE 1973, il San Prosdocimo oltre Brenta era invece di fondazione vescovile inquanto situato nel territorio tra Brenta e Muson, "feudo di gonfalone" del vescovo diPadova, di cui nella seconda metà del XII secolo era titolare la stessa Speronella: lefonti documentarie, richiamate da ORSATO 1678 e GLORIA 1862, indicano tuttavia chela situazione locale era diversa e anche il vescovo G.B. Forzatè, in un'investitura del21 maggio 1283, menziona Villanova e le sue contrade come feudo di pertinenza solodecimale. Le spesso lamentate "recenti confusioni" tra Villanova oltre Brenta e "la veraVillanova di Camposanpiero" (ora Abbazia Pisani, frazione di Villa del Conte, in diocesidi Treviso: cf. DANIELE 1987, p. 196 nota 625) hanno portato a volte anche a identificareerroneamente quest'ultima con la Villanova domini A/varati che nelle fonti indica invecetalvolta la prima (cf. Statuti 1873, nn. 1009, 1062, ecc., da cui emerge chiaramente la suacollocazione nella zona del 'graticolato romano').

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Fig. 11. li territorio e la diocesi di Padova. Sono evidenziate in gng10 scuro le chiese dedicate a san Fidenzio (Confessione della Cattedrale, Fornace, Sarmeola, Roncaiette, Polverara, Pernumia, Baone, Megliadino), in grigio chiaro le chiese dedicate a san Prosdocimo in territorio padovano (Sacello, cappella del Salone e monastero in Padova, Cittadella, Marsango, Villanova oltre Brenta, Villaguattera, Villa del Bosco, Castelbaldo), in nero i luoghi sacri dedicati a san Prosdocimo fuori del territorio padovano (Ron di Dobladino, Pradelle di Gazzo Veronese) ( elaborazione del!' autore su base cartografica corrente).

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scelta 'politica' del comune per un santo di tradizione 'aggressiva' ed espansiva", quale appunto il protovescovo 'metropolita' 61;

I 'arcipretale di Castelbaldo, anch'esso una piazzaforte costruita nel 1291-92 per Commune Padue ( ... )supra Aticem ( .. .)pro defensione civitatis Padue et comitatus eiusdem contra voluntatem marchionum de Este et dominorum de la Scala (vedi nota 15), in un territorio quasi disabitato di proprietà dell'abbazia della Vangadizza, che fu subito oggetto di una sistematica colonizzazione per mansi: la colle­giata, decretata nel 1294 dal Consiglio padovano per il servizio delle truppe della fortezza e dei coloni e burgenses via via insediati, era amministrata da un massaro laico eletto dallo stesso Consiglio che provvedeva anche alla riscossione delle decime e al salario dell'ar­ciprete e dei canonici. Dopo gli episodi bellici e l'assoggettamento di fatto del territorio di Badia e Lendinara al Comune di Padova del 1293-95, la situazione giuridica del nuovo insediamento fu defi­nita nel 1298 con un'ampia permuta tra il Comune di Padova e la Vangadizza che assicurò al primo il pieno possesso e giurisdizione del territorio di Castelbaldo e il controllo delle due rive di un lungo tratto di fiume, e alla seconda la salvaguardia dei diritti spirituali esercitati in loco e la cessione in feudo di un' ampio territorio alle porte della città, il Bosco di Rubano, di proprietà del Comune citta­dino che ne aveva avviato la colonizzazione agraria 6s;la parrocchiale di Villaguattera, villaggio documentato fin dal 1191, la cui chiesa, una capella civitatis Padue, esisteva probabilmen­te già allora (e forse già da un ventennio, da quando cioè il prete Paternostro ne percepiva decima e quartese, oggetto della lite giu­diziaria di quell'anno con la fratalea cappellanorum Padue) e cer­tamente nel 1221 (quando è citata nella cartula dathie episcopale), ma la cui dedicazione al protovescovo è attestata solo a partire dalla decima papale del 1297, cioè dall'anno precedente alla cessione da parte del Comune del confinante Bosco di Rubano ai monaci della Vangadizza e certamente nel pieno delle trattative con l'abate (e con il vescovo di Padova a ciò delegato da Bonifacio VIII), che certa­mente suggerirono alle autorità cittadine l'opportunità di collocarvi un inequivocabile segnale di sovranità 69;

infine la parrocchiale di Marsango, villaggio citato nei documenti fin dal 1130, ma la cui chiesa, soggetta alla pieve di Santa Maria di Curtarolo, è citata la prima volta nella decima papale del 1297,

67 Cf. GLORIA 1862, Il, p. 266; DANIELE 1973, pp. 208-209; BELTRAME 1992, p. 57; la citazione da TI LATTI 1997, p. 118.

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68 Cf. DANIELE 1973, p. 188; BELTRAME 1992, p. 51; Permuta 2006.69 Cf. DANIELE 1973, p. 741; BELTRAME 1992, p. 25 I; Permuta 2006.

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che ne attesta già la dedicazione a san Prosdocimo: si tratta anche in questo caso di una zona di espansione agraria ( come mostrano il vicino Campo San Martino e la frequenza di toponimi analoghi nell'area a nord di Padova), situata per di più in una posizione assai delicata e vulnerabile data la prossimità dell'instabile confine col territorio vicentino, segnato dal fiume Brenta e quindi esposto alle inondazioni, agli incontrollabili spostamenti di corso e alle frequenti incursioni dei vicini nella fascia frontaliera, per molti aspetti una 'terra di nessuno' in cui era certo opportuno stabilire un caposaldo di giurisdizione 10.

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Franco Benucci

Università degli Studi di Padova

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