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IL POLSO MENSILE DI INFORMAZIONE PER MEDICI E OPERATORI SANITARI CULTURA E TEMPO LIBERO Troppi medici: la situazione, i correttivi, le prospettive Psicologia: l'anti-scuola lacaniana La medicina popolare qui e oggi Etruscologia: la famiglia dei Cutu B MAGGIO 1984 AGGIORNAMENTO MEDICO L'intervista Fibrosi cistica la malattia del bacio salato Medicina in cammino Gli ascessi e le fistole anali Tromboembolia polmonare: la profilassi e la terapia EDITRICE IL POLSO S.r.l. - 20124 Milano - Via A. Vespucci, 2 SPED. IN ABB. POST. GR. MI/70 TASSA PAGATA PER IP. ANNO 9

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IL POLSO MENSILE DI INFORMAZIONE PER MEDICI E OPERATORI SANITARI

CULTURA E TEMPO LIBERO Troppi medici: la situazione, i correttivi, le prospettive Psicologia: l'anti-scuola lacaniana La medicina popolare qui e oggi Etruscologia: la famiglia dei Cutu B

MAGGIO 1984

AGGIORNAMENTO MEDICO L'intervista — Fibrosi cistica la malattia del bacio salato

Medicina in cammino Gli ascess i e le fistole anali

Tromboembolia polmonare: la profilassi e la terapia

EDITRICE IL POLSO S . r . l . - 20124 Milano - Via A. Vespucci , 2 SPED. IN ABB. POST. GR. MI/70 TASSA PAGATA PER I P . A N N O 9

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Una benestante famiglia dell'Etruria Temi e problemi riaperti dalla recente scoperta della tomba dei Cutu

Dall'uomo preistorico di Isernia e di Lamezia al sabino di Curi (Rieti), contemporaneo di Ro­molo, alla (falsa) tomba di Ala­rico nel Busento, il passato, più o meno remoto, sembra rispun­tare — a volte nel senso lettera­le del termine — fuori dal suo­lo d'Italia. E i ritrovamenti ar­cheologici, che si susseguono in questi ultimi tempi con ritmo sempre più incalzante, sembra­no pure volerci ricordare insi­

stentemente quale lunga sedi­mentazione di vita e di vicende sia alla base dell'esistenza dei singoli e della società d'oggi. Ri-trovamenti, appunto, perché si tratta di risalire a un 'identità culturale le cui origini sono spes­so celate — come nel caso degli Etruschi — dalla "polvere dei tempi", quasi volessero rendersi ancora più preziosi alla cono­scenza moderna. Nel recente caso della tomba in­violata dei Cutu, a Perugia, que­sto passato si fa così presente e attuale da proporre perentoria­mente il problema di un rappor­to nuovo con esso: a partire for­se proprio da una moderna con­cezione del "museo", facendo sì che questo riacquisti la sua funzione istituzionale di render­celo stimolante e vivo.

Il 1984 doveva essere l ' anno degli Etruschi: in p rogramma un ' impor tan­te serie di manifestazioni , di most re e di convegni per fare il pun to sulla ci­viltà di questi nostri antichi progeni­tor i , o quasi .

T a n t o impor tan te e t an to articola­to era il proget to , che aveva però fini­to per t rascendere le competenze e i confini della Toscana, estendendosi fi­no a l l 'Umbria e al Lazio settentriona­le. E stato così richiesto il coordina­men to del Ministero per i Beni Cultu­rali e Ambiental i e ciò, t ra le altre co­se, ha comporta to uno slittamento del­l ' intero p r o g r a m m a al 1985.

Ma su questo sl i t tamento non è sta­ta d ' accordo " u n p o ' di p iogg ia" .

Inaugurazione anticipata È basta ta , infatt i , un p o ' di pioggia

per manda re al l 'ar ia i p rog rammi . Non che il " P r o g e t t o E t r u s c h i " sia stato annul lato, anzi il lavoro va avan­ti come e più di p r ima . Ma è che la

Sopra, il podere della famiglia Fonda a Monteluce: il capanno tra gli olivi si trova proprio sopra la tomba dei Cutu. A sinistra, la pianta della tomba. Tutte le urne sono state rimosse tranne il grande sarcofago del capostipite; una recente ispezione con endoscopio ha visualizzato al suo interno uno scheletro incompleto: mancano le braccia e il cranio, mentre le tibie presentano una netta frattura a "becco di clarino".

IL POLSO - MAGGIO 1984

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s tampa e gli altri mezzi di comunica­zione di massa non h a n n o atteso 1'85 per par lare degli Etruschi e dedicano loro fin d 'o ra grande spazio e mol to t e m p o . Perché, e che c 'entra la piog­gia?

È semplice, p r ima la pioggia — po­ca, si not i , non un diluvio torrenziale — ha aperto un buco nel terreno in un o r to della collina di Monteluce, nella pr ima periferia di Perugia, poi il si­gnor Nazareno Banella, o r to lano , la mat t ina del 21 dicembre scorso, an­d a n d o al lavoro, si è accor to del bu­co, ha guarda to den t ro , ha visto tan­te belle urne ben allineate, anfore e cocci sparsi, e tre stretti passaggi ver­so al t re t tante s tanze. E così, da solo, senza tante cer imonie, ha inaugura to l ' " A n n o degli E t r u s c h i " .

Non è la pr ima volta del resto che la pioggia, e propr io a Perugia, p ro­voca un ' impor t an t e scoperta archeo­logica. Già ai primi di ot tobre del 1822 aveva p rodo t to uno smot tamento che por tò alla luce il cosiddetto " C i p p o di P e r u g i a " : un bel pietrone di arenar ia alto 1,45 m, largo 55 cm e spesso 27 cm, che reca su due facce un' iscrizio­ne di 127 parole — la terza per lun­ghezza tra le iscrizioni etrusche cono­sciute — alla cui interpretazione si so­no affaticati celebri studiosi e oscuri dilet tanti . F inora , a dire il vero, con scarsi risultati gli uni e gli altri; e poi c'è chi non vuol sentire parlare di " m i ­s t e r o " e t rusco. . .

Quindici generazioni Ma to rn iamo alla recente scoperta,

alla t o m b a di famiglia dei Cutu e al suo valore. Diciamo subito che per " v a l o r e " non si deve intendere quel­lo venale; niente a che fare con Tu-t a n k h a m e n e i suoi tesori , i Cutu non erano faraoni e la Perugia della deca­denza etrusca non era l 'Egi t to .

La tomba dei Cutu è modesta: quat­t ro stanzette di poco più di tre metri per tre di lato e alte due, scavate in una terra grigio-nerastra. L'accesso at tua­le, che non è al t ro che il buco scavato dalla pioggia oppor tunamente allarga­to , dà propr io in quella che era la ca­mera di ingresso, come most ra una por ta dietro la quale una scaletta, an­cora da scavare, por tava certo al l 'aria aperta . In questa pr ima stanza, al mo-

Un anno tutto Etruschi Per il prossimo anno sono previste, più o meno contemporaneamen­

te, ben otto mostre in Toscana: La civiltà degli Etruschi e II mi to degli Etruschi rispettivamente al Forte del Belvedere e allo Spedale degli In­nocenti a Firenze; I santuar i ad Arezzo; L 'Accademia Etrusca ovvia­mente a Cortona; I Romani in Et rur ia a Grosseto e Orbetello; Miniere, Siderurgia e Scambi a Piombino; I Palazzi a Siena, L 'a r t ig iana to art i­stico a Volterra.

Almeno due mostre sono previste in Umbria. Perugia arcaica a Pe­rugia, con un'ipotesi su un più moderno e attraente allestimento del­l'importante Museo Nazionale; e II nuovo sistema museale a Orvieto, con un interessante test sul rapporto tra istituzione privata (Museo Clau­dio Faina) e museo pubblico (Sezione archeologica del Museo dell 'O-pera del Duomo), più un itinerario ragionato e "attrezzato" attraverso le località minori (Bevagna, Foligno, Todi).

Altre esposizioni ancora sono in programma nel Lazio e a Roma in particolare.

Su tutto comunque dovrebbe catalizzare l'attenzione il II Congresso Internazionale Etrusco, fissato per la tarda primavera dell'85. L'inte­resse particolare sarà dovuto, oltre che al gran numero di specialisti e di autorità mondiali che vi prenderanno parte e alla vastità e serietà degli argomenti presi in esame, certo anche alla sorprendente distanza di tempo che lo separa dal primo, che fu nel 1928: ben 57 anni, un salto assai più che generazionale.

Arnth Cutu, mollemente adagiato sul letto, poggia il braccio sinistro su ampi cuscini, simbolo di agiatezza. Nonostante la giovane età mostra l'incipiente pinguedine, altro simbolo di benes­sere, propria d e / T u s c u s o b e s u s dell'età della decadenza. L'iscrizione del doppio cognome sul­l'urna, che peraltro non ritroviamo su quelle più recenti, rivela le sue origini di liberto.

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mento del r invenimento , c ' e rano una ventina di urne più anfore , cocci e re­sti di un ant ico gioco.

Due locali più piccoli, a destra e a sinistra, contenevano anch'essi diver­se urne e resti di uno scudo e di un ' a r ­ma tu ra in b ronzo . Di fronte, entran­do , la quar ta stanza, la più lontana dal l ' ingresso, con le sepolture più an­tiche: una dozzina di urne e un gran­de sarcofago più, anche qui , vasi, an­fore, cocci.

Dunque niente di eccezionale, nien­te, in definitiva, che distingua l 'attuale r i t rovamento da tanti altri simili. Cer­to in questo caso è impor tan te — co­me sottolinea Anna Eugenia Feruglio, sovrintendente per i beni archeologici de l l 'Umbr ia — che la t o m b a sia per­venuta fino a noi integra, senza che la­dri e tombaroli antichi e moderni l 'ab­biano violata. Anche inconsueto e mol to , mol to interessante è l 'a l to nu­mero di inumat i : circa c inquanta di dieci, dodici, forse quindici generazio-

L'elaborato fastìgio di un'urna della tomba di famiglia dei Cutu, di cui sono ancor oggi visibili n l diverse, vissute nel l 'arco di tre se­te tracce di una vivace colorazione, rende ancora più evidente il contrasto con le rozze pareti coli, cont ro i soliti dieci, quindici inu-e il grigio degli altri reperti rinvenuti nella tomba. mati di qua t t ro o cinque generazioni .

Un gioco contro la morte

"Al tempo diAtys, figlio del re Ma­ne, ci fu in tutta la Lidia una tremen­da carestia, e i Lidi per qualche tem­po continuarono a vivere sopportan­dola, ma poi, poiché non cessava, cer­carono rimedi, e chi ne inventava uno, chi un altro. Allora furono inventati i giochi dei dadi e degli astragali e della palla e ogni altra specie di giochi, tran­ne quello della dama: l'invenzione di questo infatti i Lidi non se la attribui­scono. E, inventatili, agivano contro la fame nel modo seguente: un giorno giocavano per tutta la giornata, in mo­do da non cercar cibo, e l'altro man­giavano cessando i giochi. In tal mo­do trascorsero 18 anni".

Il noto racconto di Erodoto sull'o­

rigine degli Etruschi, secondo il quale questi non sono altro che i vecchi Li­di con un nome nuovo, testimononia con vivacità dell 'importanza dei gio­chi in generale — e di quello dei dadi

in particolare — per questo antico po­polo.

La cosa in sé non è straordinaria: un mito indiano racconta di due fratelli che si giocano il regno a dadi; i Per-

L'interno di un'urna aperta testimonia dell'usanza di cremare i defunti, pratica che gli Etruschi adottarono in seguito alla loro integrazione socio-economica con i Romani. Nella tomba dei Cu­tu sono stati rinvenuti ben cinquanta inumati, appartenuti forse a quindici generazioni diverse. (Per gentile concessione della Sovrintendenza alle Antichità dell'Umbria).

86 . =OLSO - MAGGIO 1984

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In più — fa notare ancora la sovrin­tendente Feruglio — l 'epoca di utiliz­zazione della t o m b a , tra il III e il I se­colo a . C , per Perugia in part icolare, ma più in generale per tu t ta PEtrur ia set tentr ionale, fu un ' epoca di grandi e profondi cambiament i sociali e cul­turali, legati alla progressiva sottomis­sione al dominio economico e politi­co di Roma . Di questi mutament i an­che la nostra tomba reca tracce eviden­ti: nei riti funebri , col passaggio dalla inumazione (l 'unica salma deposta nel grande sarcofago) alla cremazione (tutte le urne e urnette posteriori) e nel­la l ingua, con il latino subentra to al­l 'e trusco nelle iscrizioni sulle urne più tarde .

In questo caso poi l 'eccezionale du­rata di utilizzazione della t omba con­sentirà agli esperti di arrivare a una da­tazione delle urne assai più precisa del­l ' a t t ua l e , che pe ra l t ro c o m p o r t a un 'appross imaz ione non superiore ai 25 anni. Questo sarà possibile attraver­so un confronto , che si preannuncia mol to laborioso, tra le stesse urne e i vasi e le anfore — che oggi si sanno

datare con un'incertezza di soli 10 anni — loro " p e r t i n e n t i " , come si dice in termine tecnico, cioè facenti parte del cor redo di " q u e l l a " u rna .

Questa operazione sarà laboriosa perché è possibile che le urne non sia­no state affatto collocate fin dal pri­m o momento lì dove sono state trova­te. Anzi è probabi le che siano state spostate nel t empo, man mano che au­mentava il numero degli " u t e n t i " della tomba , sempre più verso l ' interno del­l 'abi tazione e addossate le une alle al­tre , mentre il corredo di ciascuna re­stava nella posizione originale o, peg­gio, veniva rimesso in bel l 'ordine ma mescolato a quello di altre urne .

Lo schiavo liberato Ci sono però anche altri elementi

che en t re ranno nella valutazione di una cronologia relativa: la " g r a f i c a " delle iscrizioni, ad esempio, che cam­biò mol to in quei trecento anni , e for­se anche — se sarà possibile ricostruir­lo integralmente, come è avvenuto in

siani erano così accaniti giocatori da aver dato un nome particolare a ogni tipo di colpo e di punteggio; i Germa­ni — ce lo riferisce Tacito — arriva­vano a giocarsi in un ultimo colpo la propria libertà personale e il vinto di­ventava schiavo del vincitore.

Gli Etruschi avevano altre passioni oltre a quella dei dadi e non è un caso che il latino ludus "ludo, gioco" ab­bia un'origine etrusca. Per esempio, proprio nella zona di Perugia era mol­to in voga il kot tabos, un gioco di abi­lità, forse di origine siciliana, che con­sisteva nel lancio a distanza e su un obiettivo assai ristretto del vino con­tenuto in una coppa.

Dunque la presenza dei dadi e del kot tabos nella tomba dei Cutu non ha in sé nulla di particolare ma ripropo­ne ancora una volta il problema del perché questi giochi facessero parte del corredo funebre. Cosa se ne doveva­no fare i morti? È certo che gli Etru­schi, tra ipopoli dell'Italia antica, so­no i soli a credere a una sopravviven­za nell'aldilà, ma qualcuno vorrà pen­sare che, per loro, le anime di chi ave­va tanto giocato in vita fossero con­dannate a giocare tanto anche dopo la morte? .

L.M.

. v l t V . l l i l ^ l V f ì

Il Cippo di Perugia, un blocco di arenaria venuto alla luce in seguito a uno smottamento del terreno nel 1822, è la terza iscrizione etrusca per lunghezza. 160 anni di studi non hanno ancora portato a una interpretazione sicura delle 127 parole di testo.

diversi casi a Tarquin ia , a Cerveteri e altrove — l 'albero genealogico dei Cu­tu , che promet te di essere, in piccolo, uno di quegli stemmata con mille ra­mi e mille nomi che ci descrive il vol­te r rano Persio.

E mai come in questo caso l ' i ronia, per non dire propr io la satira del poe­ta, sarebbe mot ivata : il perché lo sco­pr iamo subito leggendo l 'iscrizione del l 'urna più bella della t omba , e una delle più antiche, la più vicina comun­que al sarcofago del capostipite. Qua , sot to la piccola ma aggraziata scultu­ra che lo rappresenta mollemente di­steso su un letto, col braccio sinistro poggiato su ampi cuscini, la fronte alta scoperta, i capelli fermati in avanti da un cerchiet to, lo sguardo forse un p o ' fermo ma intenso, t roviamo scritti ac­canto al nome del giovane defunto Arn th ben due cognomi; Cais Cutus e cioè Cai Cutu . Questo doppio co­gnome è propr io di uno schiavo libe­ra to di una famiglia Cai , o Gai , e in­fatti venne puntua lmente abbandona­to dopo solo due o tre generazioni per­ché segno t roppo esplicito dell 'origi­ne servile, per l 'unico cognome Cutu .

E ci si può anche chiedere se non sia da ricercare propr io in questa origine servile, e quindi quasi certamente non etrusca, della famiglia Cutu , la spie­gazione di quella che — se conferma­ta — si presenterebbe come un 'a l t ra part icolari tà della nostra t omba : l 'as­senza, t ra gli inumat i , di donne . Per­ché si sa bene che il rilievo e l ' impor­tanza dei ruoli femminili a l l ' in terno della famiglia etrusca rappresentano un caso più unico che raro, almeno tra i popoli dell ' I tal ia antica.

Niente di cui vantarsi perciò nella recente nascita della famiglia, se non l 'agiatezza e forse addir i t tura la soli­da ricchezza conquistata di fresco: per­ché i Cutu fanno sicuramente parte di quella classe " b o r g h e s e " emergente che, nella lenta decadenza delle gran­di famiglie, a part ire dal 550 a . C . cir­ca aveva colonizzato l 'Etrur ia interna e si era sostituita a poco a poco alla dominan te oligarchia.

La loro non era né una ricchezza le­gata ai minerali del so t tosuolo , che avevano fatto la for tuna di Volterra e delle altre città del l 'Et rur ia mar i t t ima set tentr ionale, né una ricchezza mer­cantile, dovuta ai traffici con i Fenici della Sardegna e del Nord Africa e con

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i Greci delle colonie dell ' I talia meri­dionale e della madrepa t r ia . La ric­chezza dei Cutu e delle famiglie come la loro — tiene a precisare il prof. Ma­rio Torell i , ord inar io di Archeologia al l 'Universi tà di Perugia — era una ricchezza eminentemente agricola.

// verde, colore della crescita Per darci un ' idea della ricchezza dei

Cutu basta ancora oggi affacciarsi al­lo splendido p a n o r a m a del Giard ino Carducci a Perugia per abbracciarne in un unico sguardo le molteplici fon­ti: dal verde cupo dei fitti boschi ver­so Gua ldo e Nocera al verde lumino­so degli alti pascoli sopra Assisi, dal verde argenteo degli oliveti di collina verso Deruta e Bet tona al verde dora­to dei campi di g r ano , giù nella p iana del Tevere, fino al verde morb ido dei vigneti di Torg iano e delle colline del T ras imeno .

Un recente slogan turistico defini­sce l 'Umbria " I l cuore verde d ' I ta l ia" . Perfet to , solo forse sarebbe più giusto modificarlo un poco e dire " I l cuore sempreverde d ' I t a l i a " , perché qui, da sempre, il verde è il colore che conta .

E a proposi to di verde, supponiamo per un m o m e n t o che sia esat to quello che chi scrive va sostenendo da diver­so t empo — m a è questa finora solo una sua personale teoria — e cioè che l 'etrusco è una lingua strettamente im­paren ta ta con il persiano ant ico e che ha fornito al la t ino molti termini di 88

origine iranica. Allora sarà possibile capire come un unico filo leghi il no­me e il verbo latini viridis " v e r d e " e vireo,-ere "essere verde (par lando di piante) , essere v i g o r o s o " , al nome di Ver tumno — la più impor tan te divi­nità d 'Et rur ia secondo la test imonian­za di Varrone — e al verbo persiano vared— "crescere, far crescere"; e ri­t rovare ancora una volta qui una s t raordinar ia cont inui tà tra lon tano passato e realtà presente.

Questa stessa cont inui tà , d 'a l t ra par te , la r iscontr iamo propr io nel ca­so della tomba dei Cutu e non solo per questa sua presenza tranquilla e dimes­sa tra le moderne case del quart iere di Monteluce, per questo suo essere sta­ta fianco a fianco per duemila anni con una città e con una popolazione che ha cont inua to a viverle vicina, a sentirla — anche senza conoscerla — come una cosa presente e viva.

Così si spiega, ed è piena di rispet­toso amore verso questo passa to , la reazione negativa di Lorenzo e Sofia Fonda (lui, tra l ' a l t ro , è medico con­dot to di Patr ignano di Assisi), proprie­tari del terreno su cui sorge la t omba , di fronte alla forse inevitabile decisio­ne della Sovrintendenza di vuotarla del corredo funebre per studiarlo e restau­rarlo na tura lmente , ma per sistemar­lo poi al Museo Civico di Perugia. " L a prossima volta non li avvert iremo cer­t o " m o r m o r a n o tra loro e si riferisco­no alla " p r o s s i m a " t o m b a .

Cer to per loro la delusione è stata grossa: perché questa t o m b a chiusa,

Sopra, un 'urna fregiata con un mostro marino e un essere alato. I vasi spezzati sono i resti del s i l i c e r n i um , /'/ banchetto in onore del mor­to alla fine del quale i vasi venivano ritualmen­te gettati per terra. A sinistra, un 'altro scorcio dell'urna diArnth Cu­tu con, sullo sfondo, l'unico grande sarcofago databile al III secolo a.C.

dimenticata da venti secoli, era anco­ra inspiegabilmente " v i v a " . Ora inve­ce, svuotate le qua t t ro camere , scelti e piazzati i pezzi migliori in qualche bacheca del Museo, ammucchia t i gli altri in un deposi to , essa è mor ta e questa volta per sempre.

Ma, del resto, che cos 'a l t ro si po­t rebbe fare? Ricostruire la t omba co­sì com 'e ra nel cortile del Museo , co­me pure è s ta to p ropos to? Cer to , si potrebbe e non si farebbe che riscopri­re come soluzione ideale, alle soglie del 2000, quella che già era stata ado t ta ta per il Museo Topograf ico delPEtruria nella Firenze di fine '800.

Lasciare tu t to sul pos to , dopo i ne­cessari studi e restauri? È un'al t ra pos­sibilità ma, costi di manutenzione e di custodia a par te — mi d o m a n d a il prof. Torelli —, quanti sarebbero i vi­si tatori , una volta passato il c lamore della scoperta, se già oggi così pochi ogni anno sono quelli che vanno al ben più impor tan te e ricco Museo di Pe­rugia? C'è di che restare senza rispo­sta; ma poi, conf ron tando in un lam­po menta lmente l 'a tmosfera fredda dei grandi stanzoni del Museo , coi lo­ro pochi pezzi disposti in così bell 'or­dine lungo le pareti e nelle bacheche, con quella delle quat t ro camerette del­la t o m b a con tu t to il loro a rmamen­tar io ammassa to qua e là alla rinfusa, beh , la risposta non t a rda ad arriva­re. Si vuot ino pure le t ombe , si riem­piano i musei; ma per carità li si ren­da vivi, a lmeno q u a n t o una t o m b a .

Leonardo Magini IL POLSO - MAGGIO 1984