IL RUOLO DEL CHIMICOpag. 2 - chimicitoscana.it · parametri possono essere totalmente influenzati...

32
ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANA CORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003 1 16 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini IL RUOLO DEL CHIMICO NELL’INVESTIGAZIONE DELLE CAUSE DELL’INCENDIO INDICE 1. IL RUOLO DEL CHIMICO pag. 2 2. ANALISI DI LABORATORIO PER LA RICERCA DI SOSTANZE INFIAMMABILI pag. 2 3. PREPARAZIONE DEI CAMPIONI pag. 6 4. METODOLOGIE ANALITICHE pag. 10 4.1. Analisi GC pag. 12 4.2. Analisi GC/MS pag. 13 5. PROBLEMATICHE GENERALI pag. 19 5.1. CASO A: incendio in un Calzaturificio pag. 19 5.2. CASO B: incendio in una Maglificio pag. 23 5.3. CASO C: incendio in un Mobilificio pag. 25 5.4. CASO D: incendio in una ditta trasformatrice di carta pag. 26 6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE pag. 30

Transcript of IL RUOLO DEL CHIMICOpag. 2 - chimicitoscana.it · parametri possono essere totalmente influenzati...

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

116 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

IL RUOLO DEL CHIMICO NELL’INVESTIGAZIONE DELLECAUSE DELL’INCENDIO

INDICE

1. IL RUOLO DEL CHIMICO pag. 2

2. ANALISI DI LABORATORIO PER LA RICERCA DI SOSTANZE INFIAMMABILI pag. 2

3. PREPARAZIONE DEI CAMPIONI pag. 6

4. METODOLOGIE ANALITICHE pag. 10

4.1. Analisi GC pag. 12

4.2. Analisi GC/MS pag. 13

5. PROBLEMATICHE GENERALI pag. 19

5.1. CASO A: incendio in un Calzaturificio pag. 19

5.2. CASO B: incendio in una Maglificio pag. 23

5.3. CASO C: incendio in un Mobilificio pag. 25

5.4. CASO D: incendio in una ditta trasformatrice di carta pag. 26

6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE pag. 30

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

216 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

IL RUOLO DEL CHIMICO NELL’INVESTIGAZIONE DELLE CAUSEDELL’INCENDIO

1.IL RUOLO DEL CHIMICO

Nel corso delle precedenti lezioni è stata presentata una breve panoramicadelle metodologie più idonee per il campionamento in caso di eventotermico cui il chimico deve rispondere, in misura precisa e dettagliata,fornendo, ove possibile, risposte definitive ai fini delle conclusioni senza inogni caso prescindere:- dalle evidenze dirette (ricerca ed eventuale identificazione delle

sostanze acceleranti);- dalle evidenze indirette (anomalie termiche);- dagli elementi raccolti attraverso un processo per esclusione.

In una seconda fase dell’indagine, la logica del campionamento deveessere integrata con una logica di indagine a più ampio respiroimpiegando, per questo, le tecniche analitiche più idonee perdocumentare ogni particolare della scena analizzata e per la ricerca disostanze eventualmente estranee al processo produttivo o all’attività inessere nei locali danneggiati.

2.ANALISI DI LABORATORIO PER LA RICERCA DI SOSTANZEINFIAMMABILI

La vasta gamma di acceleranti di fiamma potenzialmente impiegabile perprodurre effetti, in molti casi devastanti, nel corso di un incendio copremateriali di natura sia solida, che liquida (prevalentemente di originepetrolifera) la cui difficoltà nell’individuazione proviene principalmente dallevariazioni in composizione, dovute al contatto con acqua e aria eall’esposizione al calore, che si verificano durante l’evento termico e chepossono risultare, nelle situazioni più sfavorevoli, in una loro totaletrasformazione e/o allontanamento.

Abbiamo già detto nel corso della precedente lezione che laconcentrazione di tali sostanze nei residui della combustione, giàridottissima, tende inevitabilmente a ridursi progressivamente nel tempo,raggiungendo già dopo pochi giorni valori tali da non poter essere piùrilevati, nemmeno con le più sensibili tecniche strumentali. Per fortuna,questo assunto si rivela in molti casi non così drammaticamente vero.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

316 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

L’analisi dei residui di un incendio rappresenta comunque spesso unasingolare e straordinaria opportunità per testare una procedura analitica aisuoi limiti estremi.

L’espressione “indagine incendio” viene impiegata, nel linguaggio comune,per descrivere i processi analitici impiegati nella ricerca di eventuali residuidi sostanze acceleranti e, sebbene la procedura rigorosa coinvolganumerosi passaggi critici che determinano il successo dell’indagine globale,i momenti cruciali possono essere individuati in:- preparazione del campione;- impiego di metodi strumentali appropriati per l’identificazione delle

eventuali sostanze acceleranti;- interpretazione dei risultati analitici.

Premesso che l’esito favorevole di un’indagine può essere spesso previstonel momento in cui viene adottata la metodologia analitica ottimale, inumerosi fattori coinvolti nella procedura globale (Figura 1), operanti più omeno indipendentemente l’uno dall’altro, rappresentano contributifondamentali al successo dell’analisi stessa. Il chimico, ovviamente, non puòesercitare alcun tipo di controllo sulla natura del campione (se non innegativo, ovviamente) e, ad eccezione, forse, della capacità diinterpretare i risultati analitici, per ogni particolare situazione solo pochiparametri possono essere totalmente influenzati dall’analista.

D’altra parte, la possibilità di rilevare residui di sostanze acceleranti neicampioni prelevati in seguito all’evento dipende da numerosi fattori(Tabella 1) che possono assumere alternativamente connotati vantaggiosi osfavorevoli, talora concomitanti.

Ad esempio, i materiali dotati di elevata capacità adsorbente possonoprodurre significativi quantitativi di interferenze volatili; per contro, materialicome vetro e metalli, sebbene non producano interferenze, non sono ingrado di trattenere liquidi in misura significativa (scarso adsorbimento).

Da questo punto di vista l’analista non ha praticamente alcuna influenzasulle variabili riportate in tabella ed il suo contributo viene limitato alla sceltadelle metodologie più idonee di preparazione del campione e allaselezione delle condizioni ottimali per l’analisi.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1

Figura 1.Fattori che determinano l’esito di un’analisi.

CAMPIONE

ACCELERANTI

SEPARAZIONE

INTERFERENZE

RIDUZIONEDEL RUMOREDI FONDO

INTERPRETAZIONEDEI RISULTATI

Preparazionedel campione

Matrice

Risoluzionecromatografica

Concentrazione

Tipologia

Artefatti

Prodottidi pirolisi

Pulizia dellapre-colonna

Rivelazioneselettiva

Presentazionedei risultati

Esperienza

Analisi corretta

Analisiinconclusiva oscorretta

46 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

516 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Tabella 1. Fattori che influenzano la possibilità di rilevare eventuali residui diacceleranti.

CONDIZIONIFAVOREVOLI

CONDIZIONISFAVOREVOLI

ACCELERANTI

Liquidi dotati di unampio intervallo di

temperature diebollizione in grado di

fornire uncromatogramma

caratteristico.

Liquidi altamente volatili.

MATRICE,PROPRIETA’ FISICHE

Materiali dotati dielevata capacità

adsorbente o resistentialle fiamme (moquette,

cemento,...).

Materiali incapaci ditrattenere liquidi e/o

dotati di elevatavelocità di combustione(metalli, poliuretani,...).

MATRICE,PROPRIETA’ CHIMICHE

Materiali cheproducono semplici

prodotti di pirolisi (vetro,metalli,...).

Materiali cheproducono complessi

prodotti di pirolisi(moquette, tessuti,...).

EFFETTI E DINAMICADELL’INCENDIO

Raggiungimento dibasse temperature,

scarsa duratadell’esposizione e

conservazioneappropriata dei

campioni.

Raggiungimento dielevate temperature,

combustione completaed esposizione dei

campioni agli agentiatmosferici.

PROCEDURA DICAMPIONAMENTO

Procedure diarricchimento. Metodi generali.

PROCEDURA DIANALISI

Procedure in grado difornire elevata

risoluzione e di rilevare lapresenza di specifici

acceleranti.

Metodi generali basatisu colonne impaccate.

INTERPRETAZIONE DEIRISULTATI ANALITICI

Sistema in grado diconfrontare profilicromatografici.

Impossibilità di unconfronto diretto deiprofili cromatografici.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

616 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

3.PREPARAZIONE DEI CAMPIONI

Salvo rari e fortunati casi, la ricerca di sostanze infiammabili in materialiresiduati da incendi deve realizzarsi mediante tecniche analitiche diparticolare sensibilità, sufficientemente potenti e sofisticate da consentire larivelazione e l’identificazione dei componenti presenti anche inconcentrazioni modestissime.

A tale proposito la tecnica di elezione è senz’altro la gas-cromatografia,abbinata ad idonee procedure di pretrattamento dei materiali daanalizzare.

L’accuratezza e la precisione richiesti nella preparazione dei campioniprelevati rappresentano il requisito fondamentale dell’analisi chimica direttaal fine di garantire consistenza ed attendibilità ai risultati analitici perl’impiego degli stessi in un’aula giudiziaria.

Premesso che le sostanze residue dalla combustione di infiammabili,sottoforma di componenti inalterati o parzialmente combusti, si trovano neimateriali residuati da un incendio in forma adsorbita, la ricerca di talisostanze non può prescindere da una separazione preliminare dalle matriciove le stesse possono essere contenute. Ciò può essere realizzato attraversosvariati procedimenti (Tabella 2), ma sostanzialmente mediante due distintemetodologie:- deadsorbimento termico;- deadsorbimento a mezzo di un solvente.

Nel primo caso si utilizza la volatilità delle sostanze infiammabili comeproprietà in grado di consentire il loro trasferimento in una fase vaporerealizzata in un recipiente chiuso dove il materiale viene sottoposto adadeguato riscaldamento.

Nel secondo caso si sfrutta la capacità di un idoneo solvente di “asportare”tali sostanze dalla matrice, trasferendole in un mezzo liquido. Entrambequeste tecniche presentano vantaggi e svantaggi.

Sebbene il deadsorbimento termico abbia il pregio di una notevolesemplicità, tale tecnica presenta, in alcuni casi, forti limitazioni legate allafase vapore che tende ad arricchirsi delle frazioni più volatili, mentre lefrazioni meno volatili rimangono concentrate nella matrice.

Tale effetto di ripartizione risulta inoltre marcatamente dipendente, a paritàdi temperatura, dalla natura della matrice. Di conseguenza, è possibile che

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

716 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

due matrici diverse, impregnate della stessa miscela di sostanzeinfiammabili, producano vapori diversi per qualità e per composizione.

Tabella 2. Metodi generali di preparazione dei campioni.

DESCRIZIONE CARATTERISTICHEFAVOREVOLI

CARATTERISTICHESFAVOREVOLI

Spazio di testastatico

Analisi dei vapori inequilibrio con una

fase solida oliquida ad una

data temperaturain ambienteconfinato.

Velocità esemplicità. Scarsa sensibilità.

Distillazione

Il campione vienedistillato in uno

specialeapparato. Se il

distillato consiste didue fasi, una o

entrambevengono iniettate

al GC.

Appropriato percampioni che

contengono moltaacqua.

Apparecchiaturarelativamenteingombrante.

Scarsa versatilità.

Estrazione consolvente

Il campione vieneestratto con un

solventeimmiscibile in

acqua.

Possibilità diindividuare

acceleranti solubiliin acqua

(etanolo,...).

Contemporaneaestrazione delle

sostanzeinterferenti.

Spazio di testadinamico

Il campione vieneadsorbito e

successivamenterecuperato perdesorbimentotermico o perestrazione con

solvente.

Possibilità direcuperarequantità dicampione

relativamenteelevate.

Apparecchiaturarelativamenteingombrante.Inefficace persostanze polari.

Distillazioneazeotropica

Il campione vieneaddizionato di

acqua.

Possibilità diincrementare la

volatilità diidrocarburi

pesanti.

Presenza di faseacquosa.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

816 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

La tecnica di deadsorbimento termico non consente quindi generalmentedi trarre informazioni dirette, se non qualitative, sulla composizionedell’infiammabile adsorbito.

Il deadsorbimento a mezzo di un opportuno solvente è sicuramente piùlaborioso, ma consente di trasferire nel mezzo liquido i componenti adsorbitiin misura decisamente più rappresentativa di quanto avvenga con ildeadsorbimento termico.

Anche questa tecnica presenta comunque alcune limitazioni, prima tratutte la presenza di impurezze, anche nei solventi più puri, a livelli diconcentrazione tali da interferire talvolta, parzialmente o completamente,con la rivelazione delle sostanze infiammabili.

Esiste, ovviamente, anche la possibilità di combinare le due tecniche,andando a deadsorbire termicamente gli infiammabili da una soluzione incui gli stessi siano stati trasferiti preventivamente dalla matrice, ma, anchequesta tecnica non sempre garantisce la completa eliminazione degliinconvenienti già citati.

In base all’esperienza, e sulla scorta di prove preliminari, viene solitamentedefinita la tecnica in grado di garantire i migliori risultati caso per caso.

Il primo accertamento tecnico che si esegue su materiali semicombustirelativi ad incendi è finalizzato alla rilevazione dei suddetti composti volatili eviene in genere eseguito impiegando la tecnica di arricchimento dello“spazio di testa statico”.

La tecnica dello “spazio di testa statico” si realizza ponendo un’aliquota delcampione in una fialetta di vetro che viene ermeticamente chiusamediante l’impiego di un tappo dotato di un setto in gomma.

Scaldando il fondo della provetta a circa 120 °C per circa 30 minuti, i vaporiche si liberano dai materiali residuati dall’incendio si arricchisconoprincipalmente nelle sostanze volatili, che possono essere analizzate per viagas-cromatografica prelevando la fase vapore che si concentra nellospazio di testa libero della fiala (spazio di testa).

Allo scopo di ottenere esiti analitici più certi ed affidabili, in alcune situazionipuò essere utile eseguire l’analisi dei campioni con l’impiego di una tecnicadi ulteriore “arricchimento” delle S.O.V. basata sull’uso di un sistemadenominato S.P.M.E. (Solid Phase Micro Extraction).

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

916 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Tale sistema si basa sull’impiego di una speciale siringa dotata di un agocapillare in materiale sintetico che, immerso in una soluzione acquosa o neivapori prodotti per riscaldamento di un materiale, è in grado di catturare,per adsorbimento, le S.O.V. presenti. Tale siringa viene poi utilizzatadirettamente per l’iniezione gas-cromatografica.

L’impiego di questa tecnica consente di ottenere tracciati GC più puliti dalmomento che l’ago raccoglie e concentra selettivamente le S.O.V. acarattere prevalentemente idrocarburico.

Nei casi più fortunati, la natura e la tipologia dei campioni possonopermettere di indirizzare la ricerca della presenza di eventuali sostanzeinfiammabili ad una ricerca di tipo diretto, anziché dover far ricorso adindagini, più laboriose e meno definitive, per la ricerca degli eventualispecifici prodotti di combustione parziale.

Occorre comunque puntualizzare che la scelta del metodo più idoneo daadottare spesso dipende dalle particolari condizioni a contorno.

L’analisi di un campione residuato da un incendio che presenti un elevatocontenuto di accelerante altamente volatile può essere eseguitaimpiegando la tecnica di arricchimento dello “spazio di testa”, mentre uncampione contenente una grande quantità di acqua può esseresottoposto a distillazione o ad estrazione con solvente.

In ogni caso, lo scopo del pretrattamento del campione è quello di isolare icomponenti volatili dalla matrice e di arricchirli in un volumesufficientemente limitato da essere introdotto in una colonna gas-cromatografica.

Stesso destino viene rivolto ai campioni di riferimento e tale operazione sirende necessaria in quanto il ritrovamento di certi componenti“potenzialmente estranei” rispetto alle sostanze chimiche che possanoessere presenti nei locali danneggiati, od a quelle che possano prodursi perdegradazione dai materiali presenti, richiede necessariamente una serie diverifiche, soprattutto in termini di confronto con altre situazioni presenti nellastessa area.

In una seconda fase di processo, le risposte analitiche dei campioniprelevati sul luogo dell’incendio verranno messe a confronto con quelleottenute dai materiali presenti “naturalmente” sul luogo del sinistro.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1016 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Questi materiali, se forniti come campioni integri, vengono sottoposti acombustione in laboratorio, in varie condizioni, per evidenziare le sostanzevolatili prodotte.

4.METODOLOGIE ANALITICHE

Al fine di rilevare la presenza di sostanze riconducibili a liquidi infiammabili oacceleranti, si procede all’esame del materiale costituente i repertiimpiegando le tecniche analitiche di seguito specificate:- gas-cromatografia, per la rivelazione di sostanze volatili;- HPLC, proposta come tecnica analitica complementare in supporto

all’analisi GC di routine per l’analisi dei derivati petroliferi isolati daicampioni residuati dagli incendi;

- cromatografia su strato sottile, per l’identificazione ed il confronto disostanze idrocarburiche colorate o fluorescenti all’azione delle radiazioniultraviolette.

Nella gas-cromatografia una colonna di diametro modesto e lunga da unoa più metri anche ripiegata su se stessa più volte, è riempita di un materialeadsorbente (cromatografia per adsorbimento) o di un materiale inerte chesupporta un liquido non volatile nelle condizioni dell'esperienza(cromatografia per ripartizione).

In tale colonna, mantenuta a temperatura rigidamente costante in unacamera termostatica, tale da permettere la volatilizzazione del campione(se liquido), viene introdotto un flusso costante di gas di trasporto.

Ovviamente occorre impiegare gas inerti (verso le sostanze da analizzare) ea tal fine si prestano assai bene i gas nobili. Trascorso un tempo variabile,dipendente dalla natura del campione e dalle condizioni sperimentali,inizieranno ad emergere all'estremità opposta della colonna, mescolati conil gas di trasporto, l'uno distanziato dall'altro ed in ordine inverso di affinitàper le sostanze che riempiono la colonna, i singoli componenti della miscelada esaminare.

Nella gas-cromatografia le possibilità di successo dipendono daun'accurata scelta degli adsorbenti e dei liquidi supportati, oltre che, inlarga misura, anche della temperatura e della velocità impressa al gas ditrasporto.

L’HPLC (High Performance Liquid Chromatography) è uno strumentoanalitico derivato dalla cromatografia classica e si basa sugli stessi principi.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1116 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Nella cromatografia classica il componente principale è la colonna checontiene la fase stazionaria all'interno della quale scorre la fase mobilerappresentata dall'eluente. Il passaggio dell'eluente avviene tramite laspinta esercitata dalla colonna di liquido costituente la fase mobile e quindiil processo, se la fase stazionaria non è sufficientemente porosa, può essereanche molto lento.

La separazione dei componenti avviene tramite interazioni che si creano frai costituenti della miscela e le due fasi. A seconda delle proprietà delle fasi edella natura della miscela da separare, le interazioni possono essere:- di natura elettrostatica;- dipolo-dipolo;- di Van Der Waals;- di scambio ionico.

Nell'HPLC la forza che permette all'eluente di scorrere nella colonna, èrappresentata dalla pressione applicata da una pompa in testa allacolonna che forza la fase mobile a scorrere all'interno della fase stazionaria.Questo permette non solo di rendere il processo più rapido ma anche diottenere un maggior numero di piatti teorici il che si riflette in una migliorerisoluzione.

Per la sua versatilità e l’ampia applicabilità, l'HPLC è attualmente una delletecniche di separazione più ampiamente impiegate a scopi qualitativi equantitativi e non è esclusa la possibilità che negli anni futuri possa sostituirela gas-cromatografia nell’ambito dell’indagine incendi in particolare e nellachimica forense in generale.

Attualmente, l’inconveniente principale della tecnica è dovuto al fatto cheper l’HPLC non sono disponibili, se non a costi molto elevati, rivelatoriuniversali ed altamente sensibili come quelli impiegati per la gas-cromatografia.

I rivelatori più ampiamente utilizzati per la cromatografia liquida si basanosulla misura dell'assorbimento della luce ultravioletta o della luce visibile daparte del campione. Generalmente vengono indagate lunghezze d'ondache vanno dai 200 ai 280 nm poiché molti gruppi funzionali dei compostiorganici assorbono in questa regione. La sorgente usata può essere sia ilmercurio che i filamenti in tungsteno o deuterio equipaggiati con filtri diinterferenza che eliminano le radiazioni indesiderate.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1216 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

I rivelatori spettrofotometrici sono molto più versatili di quelli fotometrici esono quelli più usati negli strumenti a più alte prestazioni. Spesso sonostrumenti detti a diode array (D.A.D.)che possono mostrare l'intero spettro diassorbimento di un analita che entra in colonna.

Un altro tipo di rivelatore che ha trovato molte applicazioni si basa sullavariazione dell'indice di rifrazione del solvente causato dalle molecole dianalita. In contrasto con la maggior parte dei rivelatori precedentementeindicati, questo è scarsamente sensibile e meno selettivo dal momento chel'indice di rifrazione è in generale meno specifico per le varie sostanze e puòessere influenzato anche da soluti presenti nella fase mobile.

Infine, la cromatografia su strato sottile è una tecnica analitica chepermette il riconoscimento qualitativo, previa separazione, dei componentidi una miscela per mezzo dei tempi di ritenzione delle sostanze rilevate,oppure per confronto delle stesse con standard di riferimento.Il sistema separativo, bifasico, è costituito da una fase fissa (fase stazionaria)e da una fase mobile. In particolare si opera posizionando una frazionedegli estratti, opportunamente elaborati, su lastra cromatografica in vetrosupportata con “gel di silice” (fase stazionaria) e dotata di una “banda diconcentrazione”. Tale lastra presenta la caratteristica di separare i varicomponenti presenti nei campioni in esame che vengono trasportati da uneluente (fase mobile). La separazione dei vari costituenti la miscela vieneresa possibile poiché le varie sostanze si muovono con velocità diverselungo il percorso a causa delle differenze di affinità chimica e fisica chepresentano nei confronti delle due fasi.

4.1.Analisi gas-cromatografica

A differenza delle altre tecniche cromatografiche che per la loro stessanatura non vi si prestano, la gas-cromatografia ha subito in questi ultimi anniuno sviluppo tecnico considerevole, essenzialmente basato sulle possibilitàdi creare rivelatori di elevatissima sensibilità.

L’interpretazione dei risultati prende tipicamente l’avvio da un paragonevisuale dei cromatogrammi. Sfortunatamente non esiste una soluzionesemplice per questi problemi dal momento che molti componenti devonoessere considerati simultaneamente. L’interpretazione dei risultati vienecomunemente condotta per confronto del cromatogramma del campionein esame con una banca dati dei cromatogrammi degli accelerantistandard. La complicazione principale della tecnica proviene dal fatto cheil rumore di fondo viene introdotto nella forma di picchi estranei. Il problemaè più severo nel momento in cui alcune delle sostanze della matrice sono

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1316 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

identiche a quelle dell’accelerante; in questi casi, l’eventualeindividuazione delle sostanze acceleranti può essere realizzata solosfruttando altri parametri, come un inaspettato rapporto dei picchi o lapresenza di non individuati co-prodotti.

4.2.Analisi GC/MS

Per una risposta univoca circa la natura dei componenti volatili presenti neicampioni prelevati si rende spesso necessario l’impiego di una tecnicaanalitica sufficientemente sofisticata da consentire l’identificazione dellesostanze sulla base della loro struttura molecolare. Questa possibilità puòessere brillantemente offerta dalla tecnica GC/MS, che prevede l’impiegodi un rivelatore di spettrometria di massa sequenzialmente alla comune gas-cromatografia. Grazie alle notevoli capacità diagnostiche della tecnica, adessa si ricorre in tutte le situazioni in cui si rendono necessarie confermedefinitive in merito alle attribuzioni gas-cromatografiche che, come è giàstato puntualizzato, si basano solo su un confronto tra i tempi di ritenzione(Tr) delle sostanze.

L’analisi GC/MS dispone di una doppia potenzialità di confronto:- il tempo di ritenzione del picco gas-cromatografico;- la struttura molecolare del componente.

Il rivelatore MS si basa sul principio per cui una molecola, sottoposta abombardamento con un fascio di elettroni di elevata energia, si frammentain unità più piccole caratterizzate da uno specifico rapporto tra massa ecarica (m/z). L’abbondanza relativa dei diversi frammenti costituisce unparametro caratteristico, per cui, in pratica, lo spettro di massa rappresentauna impronta digitale tale da identificare univocamente la strutturamolecolare della sostanza stessa.

La tecnica di analisi GC/MS consente di condurre l’analisi secondo duediverse modalità:- T.I.C. (Total Ion Current)- S.I.M. (Selected Ion Monitoring)

L’analisi effettuata secondo la modalità T.I.C. viene condotta registrando lacorrente ionica totale prodotta dal rivelatore di spettrometria di massa.Grazie all’impiego di questa tecnica è possibile ottenere un “mass-cromatogramma” che viene memorizzato su supporto magnetico etrasferito su carta in modo da rendere possibile l’analisi delle singoleframmentazioni di ogni picco, ricostruendo la sua struttura molecolareanche attraverso il confronto con gli spettri di massa contenuti nella banca

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1416 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

dati in dotazione allo strumento. Ad ogni picco viene quindi attribuita unaben precisa struttura molecolare. L’analisi effettuata secondo la modalitàS.I.M. viene condotta registrando la corrente dovuta ai singoli ioni,selezionabili in fase di programmazione, caratteristici di ogni classe dicomposti. Grazie all’impiego di questa tecnica è possibile incrementare inlarga misura sia la sensibilità, che la selettività del sistema, permettendo dirilevare la presenza dei composti ricercati anche se presenti in quantitàmodestissime e consentendo di eliminare i segnali di sostanze estraneepresenti nel campione, che possono interferire con la rivelabilità dellesostanze di interesse.

Ovviamente, l’impiego dell’una o dell’altra tecnica è strettamente legatoalla natura del campione in esame e alle sue condizioni relative. In ognicaso, ad ogni segnale (picco) sul tracciato strumentale (cromatogramma)è associato un insieme di ioni (spettro di massa) che ne definisconounivocamente il composto chimico eluito in un ben definito tempo di analisi(tempo di ritenzione). È importante sottolineare che il dato fornito dallospettrometro di massa è altamente specifico per ogni composto analizzatoin quanto è indissolubilmente e direttamente legato alla sua strutturachimica. Operando con questa particolare strumentazione ne consegueche la metodologia applicata per il riconoscimento degli acceleranti vienesviluppata utilizzando al massimo le informazioni riguardanti la composizionee le caratteristiche chimiche dei possibili acceleranti.

Figura 2. Diagramma di flusso per l’identificazione degli acceleranti.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

16 maggio 200

Le informazioni chimiche sugli acceleranti sono contenute nel complessocromatogramma totale costituito da tutti i picchi con tutti i frammentiderivanti dalle specie chimiche eluite (acceleranti, prodotti di pirolisi ecostituenti il materiale integro), che può essere semplificato medianteestrazione di uno o più frammenti diagnostici per ognuna delle speciechimiche di interesse.

Un esempio sono i frammenti 91, 105 e 119 utili per la ricerca della benzinaoppure 57 e 71 per l’individuazione di cherosene o gasolio.

Figura 3. Risposta strumentale della benzina.

153 Prof. Giorgio Valentini

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

16 maggio 20

Figura 4. Risposta strumentale del gasolio.

Questa eladove sono mper l’identifi

Infatti, la casono monochimici, tutti

L’impronta cambiamenprelievo, dealtre variabisull’acceleravolatili ed ar

1603 Prof. Giorgio Valentini

borazione consente di ottenere un cromatogramma parzialeessi in evidenza solo i picchi formati dai frammenti specifici, utili

cazione di ciascun accelerante.

ratteristica peculiare dei comuni liquidi infiammabili è che noncomponenti, ma sono costituiti da una miscela di composti appartenenti alla famiglia degli idrocarburi.

cromatografica di ogni accelerante è suscettibile diti nella composizione in funzione del tempo trascorso dall’uso allla temperatura alla quale l’accelerante è stato sottoposto e dili da prendere in considerazione caso per caso. Le modificazioninte sono rappresentate da una perdita dei componenti più

ricchimento della frazione meno volatile.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1716 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Figura 5. Modificazione della risposta strumentale della benzina per effettodell’evaporazione.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1816 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

A titolo esemplificativo, per una verifica della possibile partecipazioneall’evento termico di un infiammabile “classico”, la benzina, può esserecondotta sui campioni una indagine GC/MS per evidenziare l’eventualepresenza delle sostanze caratteristiche di tale tipologia di combustibile. Gliioni selezionati in genere sono (in grassetto lo ione principale):

78 51 diagnostici del BENZENE91 diagnostico del TOLUENE106 104 91 diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C8

120 105 91 diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C9

134 119 105 91 diagnostici degli idrocarburi AROMATICI C10

128 diagnostico del NAFTALENE142 115 diagnostici dei METILNAFTALENI156 141 diagnostici di DIMETILNAFTALENI ed ETILNAFTALENI166 diagnostico del FLUORENE

Successivamente, gli andamenti generali del tracciato S.I.M. dei singolireperti vengono confrontati con quelli della benzina evaporata per rilevarneuna eventuale compatibilità.

Ad esempio, in una situazione come quella riportata di seguito, è dimostratoin maniera evidente come nei tre campioni siano presenti praticamente tuttii composti che costituiscono le componenti tipiche della benzina perautotrazione.

LEGENDA: + : presente --- : assente ? : presenza dubbia (profilo diverso)

Componente o Classe Reperto 1 Reperto 2 Reperto 3

Benzene + + +Toluene + + +Xileni e C8 + (*) + + (*)Aromatici C9 + (*) + +Aromatici C10 + (*) + +Naftalene + + +Metilnaftaleni + + +Etilnaftaleni e Dimetilnaftaleni + + +Fluorene + + +

(*) Componenti presenti in concentrazione modesta rispetto ad altri segnali interferenti

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

1916 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

L’identificazione di detti componenti è priva di interferenze nel tracciato delReperto 2, mentre nel caso del Reperto 1 e del Reperto 3 in alcuni casi larilevazione dei segnali tipici di alcuni componenti diagnostici della benzinaè resa difficoltosa dalla contemporanea presenza di altre sostanze. In ognicaso, comunque, non si osserva mai una “mancanza” di elementi diriconoscimento rispetto alla benzina; semmai nei residui della combustionesi ritrovano anche sostanze che non derivano dall’evaporazione dellabenzina. Secondo i criteri e gli standard utilizzati in ambito tecnico-forense,le risposte analitiche fornite dall’analisi dei campioni, confrontate con lacomposizione della benzina evaporata, definiscono una situazione di totalecompatibilità.

Ad ogni buon conto, anche in caso di totale compatibilità, prima di ritenereche tale situazione sia “anomala”, ovvero prima di attribuire la presenza ditali composti all’uso di benzina come mezzo per innescare e/o sostenerel’incendio, occorre doverosamente porsi il problema se la presenza di dettesostanze nei residui non possa essere altrimenti giustificata.

5.PROBLEMATICHE GENERALI

Nelle pagine che seguono verranno riportate le indagini relative ai casianalizzati nel corso della precedente lezione, con particolare attenzionerivolta all’analisi di laboratorio svolta sui campioni prelevati in seguito aglieventi termici in cui era stata sospettata l’origine dolosa.

Come sarà possibile osservare, tutte le situazione esaminate presentano ilcomune denominatore di fornire, in ogni caso, soluzioni estremamentecomplesse riguardo all’eventuale origine dolosa. La risposta al quesito deve,in ogni caso, scaturire da una valutazione globale dei risultati che, in caso diesito positivo, deve essere sempre basata sulla contemporanea presenza dipiù sostanze caratteristiche relative ad un certo tipo di accelerante oidrocarburo inteso in senso lato.

5.1.CASO A: incendio in un Calzaturificio

Indagini analiticheSulla base delle evidenze raccolte in seguito ai sopralluoghi furono prelevati,con criterio mirato, campioni residuati dall’incendio, con particolareattenzione rivolta:- alla polvere della “ruzzola” operativa;

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2016 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

- ai residui di combustione in prossimità della “ruzzola” dismessa;- alle sostanze infiammabili presenti nei locali al momento dell’incendio;- ai fusti contenenti i diluenti ed i solventi in uso nel Calzaturificio.

L’analisi dei campioni di polvere della “ruzzola” evidenziò un poterecalorifico di circa 6.000 kcal/kg. Considerando che i quantitativi massimi ditale polvere risultavano dell’ordine dei 25 – 30 kg, fu possibile ricavare chetale sorgente termica aveva un carico di incendio piuttosto modesto(inferiore a 200.000 kcal) in relazione agli effetti provocati dalle fiamme. Inaltre parole, le caratteristiche di combustione della polvere della ruzzola edi quantitativi verosimilmente presenti risultarono tali da far ritenere pocoplausibile una loro responsabilità diretta nell’innesco dell’incendio.

Fu presa quindi in esame, a livello di ipotesi di lavoro, la possibilità chel’incendio potesse essere stato innescato, accelerato e/o propagato inmodo doloso, facendo ricorso a sostanze infiammabili già presenti nei localidi lavoro in quanto facenti parte dei materiali utilizzati nel ciclo produttivo.

Infatti, risulterebbe conveniente, per un soggetto criminale che volesseprodurre danni consistenti all’attività senza destare sospetti, utilizzare inmodo opportuno le sostanze idonee allo scopo già presenti nei locali,anziché fare ricorso a sostanze estranee che avrebbero comunque dovutoessere trasportate nei locali stessi dall’esterno e che, se rilevate nei resti dellacombustione, avrebbero fornito prova certa del dolo.

A tale proposito, fu ritenuto opportuno svolgere indagini tendenti adeterminare la quantità e la composizione delle sostanze infiammabilipresenti nei locali al momento del sinistro, tentando anche una ricostruzionedella collocazione dei contenitori nell’area dello stabilimento.

Relativamente alla ricerca di S.O.V., l’analisi GC/MS dell’adesivonormalmente in uso nel locale danneggiato mise in evidenza, in accordocon i dati dichiarati dal fornitore, la presenza di:- acetone- metiletilchetone- toluene- acetato di etileoltre ad impurezze presenti comunemente in tali solventi commerciali.

I campioni prelevati durante il carico dei materiali sul piazzale, al fine diriportarli all’interno del capannone evidenziarono la presenza di quantità disolventi minime, mentre ben più consistente (anche se ancora a livello di

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2116 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

tracce) risultò la quantità di tali sostanze identificata nei campioni prelevatiall’interno del capannone.

Tale differenza riguardava principalmente i componenti altamente volatiliandati prevedibilmente perduti durante la permanenza dei materialiall’aperto (per evaporazione o per dilavamento da pioggia).

La polvere della “ruzzola operativa” e i reperti prelevati presso la ruzzola“fuori uso” mostrarono la presenza di tracce di residui di sostanze volatili tracui spiccavano l’acetone ed altri componenti ad elevato indice diossigeno, nonché componenti clorurati, probabilmente attribuibili adimpurezze di solventi industriali.

In ogni caso, l’analisi dei campioni residuati dall’incendio mise in evidenzala presenza di una grande varietà di S.O.V., presenti nei vari campioni inquantità diverse, ma comunque sempre riconducibili alle sostanzeinfiammabili pertinenti al processo produttivo.

In relazione alle risultanze delle indagini analitiche effettuate fu possibileconcludere circa la non rivelabilità di elementi indicativi della presenza sulluogo dell’incendio di sostanze infiammabili estranee al processo produttivo.

Tali esiti misero inoltre in luce notevoli differenze di composizione tra i residuiin parola e quelli prelevati in altre zone del calzaturificio. Il fatto furagionevolmente messo in relazione con l’eventuale presenza, nella zona diinnesco, di uno o più contenitori di sostanze chimiche aventi caratteristichecorrispondenti a quelle rilevate nei campioni e diverse da quelle di materialipresenti in altre zone.

Una attenta ricerca in tal senso dette però esito negativo, dato che non furilevato alcun contenitore metallico nelle immediate vicinanze della ruzzola“fuori uso”; inoltre l’eventuale presenza di un contenitore in PVC nella zonadi innesco avrebbe dovuto comunque dar luogo a residui di plasticabruciacchiata, data la difficile combustibilità di tale materiale.

In ultima analisi, prove di combustione effettuate utilizzando il campione diadesivo misero in evidenza una sua facilissima infiammabilità e lacaratteristica di bruciare con fiamma chiara, priva di residui carboniosi.

Fu pertanto possibile concludere che la combustione di tale tipo dimateriale poteva effettivamente creare condizioni termiche tali daprodurre gli effetti rilevati (sfiammatura incolore sulla parete, rottura dei vetridel lucernario, innesco di un incendio di vaste proporzioni,...).

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2216 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

ConclusioniSulla base delle evidenze raccolte fu possibile l’individuazione univoca delpunto di innesco primario dell’incendio che, in concomitanza con l’assenzacompleta di elementi che rendessero ragionevole supporre una attivazioneaccidentale dell’incendio stesso, condussero al convincimento che l’originedel fenomeno fosse di natura dolosa.

In questo tipo di scenario, l’ipotesi che il materiale infiammabile, o una fontedi innesco, fossero stati gettati nel locale dalle finestre lato uffici (le piùvicine alle zone di innesco) risultò immediatamente poco plausibile sullabase delle seguenti considerazioni:- mancanza nella zona di innesco di residui del contenitore della sostanza

infiammabile;- oggettiva difficoltà operativa nel raggiungere tale zona in modo mirato,

a causa dell’ostacolo offerto dalla “ruzzola” dismessa che si frapponevatra le finestre ed il punto di innesco.

Fu quindi possibile concludere, con ragionevole certezza, che l’incendiofosse stato opera di un soggetto che, dopo aver sparso al suolo unasostanza facilmente infiammabile (verosimilmente uno o più fusti di adesivo),aveva allontanato il relativo contenitore, appiccando successivamentel’incendio.

Anche la scelta della zona di innesco risultava corrispondere, in tale otticadolosa, a precisi requisiti:- essa era sufficientemente protetta rispetto all’esterno ed alle superfici

vetrate laterali si da consentire un significativo sviluppo delle fiammeprima che se ne evidenziasse l’esistenza;

- essa era sufficientemente vicina alle vie di fuga da consentire all’autoreun rapido e sicuro allontanamento dal luogo del pericolo;

- essa era collocata in prossimità di un’apparecchiatura dove potevano,almeno teoricamente, verificarsi fenomeni di autocombustione cuipoteva essere attribuita facilmente una origine “accidentale”dell’incendio.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2316 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

5.2.CASO B: incendio in un Maglificio

Indagini analiticheSulla base delle evidenze raccolte in seguito al sopralluogo furono prelevaticampioni corrispondenti sostanzialmente a due categorie di materiali:- tessuti più o meno interessati da fenomeni di combustione;- residui di combustione.

Questi ultimi risultavano i campioni più utili ai fini delle indagini, mentre glialtri potevano essere utilizzati in termini di verifica.

Un primo screening analitico sui residui di combustione fu indirizzato ad unaricerca di tipo puramente qualitativo della presenza di sostanze volatilirivelabili per via gas-cromatografica.

Per questa prima fase fu impiegata la tecnica di analisi dello “spazio ditesta”. I referti gas-cromatografici derivati da questa prima serie di analisipermisero di rilevare in tutti i campioni la presenza di numerose sostanzeorganiche volatili tra cui alcune tipiche della benzina per autotrazione.

Su detti campioni fu quindi dato corso ad analisi GC aventi lo scopo diesaltare la presenza di componenti diagnostici della benzina. In particolare,fu ritenuto utile ripetere le analisi dei campioni con l’utilizzo della tecnica diarricchimento delle S.O.V. basata sull’impiego del sistema S.P.M.E..

I tracciati ottenuti, messi a confronto con il tracciato di una benzinaevaporata, evidenziarono in prima analisi la presenza di picchi attribuibili abenzene, toluene e xileni in tutti i campioni.

Il confronto dimostrò come tutti i segnali tipici della benzina (dovuti agliidrocarburi aromatici C9-C11) si ritrovassero anche nei campioni di residuidella combustione, dove erano peraltro presenti altri segnali aggiuntividovuti ad altre sostanze prodottesi durante la combustione.

Sulla base dei dati raccolti in questa fase dell’indagine fu possibileconcludere in via preliminare circa la presenza nell’ambiente interessatodall’incendio di sostanze infiammabili naturalmente estranee all’attività.

I risultati ottenuti non presentavano, tuttavia, valore definitivo dal momentoche esiste una vasta letteratura scientifica che suggerisce di procedere congrande cautela nel campo delle attribuzioni gas-cromatografiche. Inaggiunta è stato scientificamente dimostrato che alcuni dei prodotti tipici

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2416 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

della benzina possono prodursi spontaneamente durante ladecomposizione termica di materiali combustibili diversi (legno, vernici,materie plastiche, tessuti,...).

Considerando che nelle benzine in commercio alla data del sinistro ilcontenuto in piombo risultava per legge inferiore allo 0.25 % in peso, peravvalorare l’ipotesi della presenza di benzina sul luogo del sinistro, l’indaginefu indirizzata verso la ricerca di piombo nei residui della combustione.

A dispetto di una distribuzione non omogenea del piombo nei reperti,essendo il piombo un contaminante dalle caratteristiche ubiquitarie, la suaprovenienza poteva anche essere non univoca, perciò noncompletamente utilizzabile ai fini probatori.

Per una risposta univoca si rese quindi necessaria una tecnica di analisi chepermettesse il confronto delle varie sostanze sulla base della loro strutturamolecolare, procedendo ad ulteriore supplemento di indagine basatosull’impiego della tecnica GC/MS per ottenere conferme definitive in meritoalle attribuzioni gas-cromatografiche.

ConclusioniDalle indagini effettuate fu possibile ricavare che i tracciati S.I.M. dellabenzina trovavano perfetta corrispondenza nei tracciati dei campioniprelevati sul luogo del sinistro.

Gli elementi raccolti attraverso le indagini GC/MS permisero quindi diconcludere univocamente circa la presenza di benzina per autotrazione sulluogo dell’incendio.

Alla luce dei risultati ottenuti dalla spettroscopia di assorbimento atomico fuinoltre possibile ritenere che la presenza di piombo nei residui dellacombustione fornisse un elemento ulteriore a supporto della presenza delcombustibile.

Data la notevole varietà dei tessuti e dei materiali presenti nelle diverseporzioni del locale, fu considerato che alcuni di essi avrebbero potutogenerare, per decomposizione o pirolisi, tracce di alcune di dette sostanzeidrocarburiche.

Di fatto fu proprio la riproducibilità della presenza delle sostanze ritrovate inzone diverse dal locale (dimostrata dalle analisi GC) in aggiunta allapresenza totale delle sostanze diagnostiche della benzina (dimostratadall’analisi GC/MS) a definire come unica possibile fonte di tali sostanze la

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2516 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

presenza sul luogo del sinistro di un prodotto che le contenesseoriginariamente.

5.3.CASO C: incendio in un Mobilificio

Indagini analiticheSulla base delle evidenze raccolte in seguito al sopralluogo fu adottata unametodologia “mirata” con campionamento statistico anche nelle zonelimitrofe.

L’analisi dei campioni residuati dall’incendio, effettuata mediante latecnica della gas-cromatografia dello spazio di testa, mise in evidenzasituazioni molto diverse da campione a campione, anche all’interno di unostesso settore.

Alcuni dei campioni, infatti, mostrarono la completa assenza di qualunquetipo di S.O.V., mentre in altri furono rilevati, anche se in minime tracce,numerosi composti, tra cui, sistematicamente, aldeide formica ed altricomposti ossigenati a basso peso molecolare tra cui tipicamente l’alcolmetilico, l’etere dietilico, l’alcol etilico, l’acetone,....

La presenza di tali componenti non mostrava tuttavia valenza diagnosticadal momento che gli stessi avrebbero potuto derivare, come d’altro cantodimostrato dalle analisi effettuate sui campioni di legno in lavorazione,anche dalla combustione di tali materiali in assenza di infiammabili (l’entitàdella combustione determina la quantità relativa dei vari compostiossigenati che si possono ritrovare nei residui).

Altre S.O.V. rilevate in tracce in alcuni campioni mostrarono invece unaprovenienza in linea di principio diversa rispetto a quella “naturale”; inparticolare furono evidenziate, in alcuni campioni, tracce di benzene etoluene la cui origine avrebbe dovuto essere ulteriormente approfondita.

La presenza nei campioni repertati di tracce di benzene e toluene fu messain relazione con la combustione di materiali di consumo normalmentepresenti in azienda per scopi produttivi.

In relazione alle risultanze delle indagini analitiche, interpretate anche allaluce delle testimonianze rese, fu possibile concludere circa il fatto che nonfurono rilevati elementi indicativi della presenza sul luogo dell’incendio disostanze infiammabili estranee al processo produttivo.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2616 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

ConclusioniDalle indagini effettuate non furono ravvisati elementi che potesseroragionevolmente far pensare ad una origine dolosa dell’incendio.

Altri elementi di sicuro interesse ai fini delle indagini furono costituiti dalladeterminazione di un unico punto come zona di innesco primario e dal fattoche la propagazione delle fiamme, seppure indubbiamente agevolatadalle sostanze infiammabili presenti in tale punto (seppur in quantitàmodeste), non era stata verosimilmente agevolata in maniera dolosa inaltre zone del locale.

Sulla base delle dichiarazioni rese dai dipendenti e dell’esito delle prove dicortocircuito fu possibile concludere che nella zona ove si eraverosimilmente creato l’innesco dell’incendio erano presenti sia linee sottotensione, che sostanze facilmente infiammabili, anche se presenti inmodeste quantità, per cui il verificarsi di condizioni di surriscaldamento diuna linea elettrica attiva avrebbe potuto produrre rapidamente condizionidi cortocircuito ed un principio di incendio.

5.4.CASO D: incendio in una ditta trasformatrice di carta

Indagini analitiche preliminariSulla base delle evidenze raccolte furono prelevati, con criterio mirato,campioni residuati dall’incendio, con particolare attenzione rivolta ai residuidi combustione provenienti dall’area stoccaggio bobine.

I tracciati GC/MS ottenuti dalle analisi condotte secondo la modalità T.I.C.evidenziarono:- la presenza di contaminanti siliconici che non derivavano dai campioni

bensì dalla linea analitica e che quindi non avevano alcun significato aifini della interpretazione dei risultati;

- una notevole differenza tra i tre campioni inizialmente esaminati, uno deiquali (campione 1) risultava di gran lunga più ricco di informazioni,mentre negli altri due erano presenti quantità decisamente minori disostanze volatili, a parte componenti identificabili come derivanti dalladecomposizione di polietilene;

- la presenza, nel campione 1, di un segnale di intensità significativaattribuito all’estere diottilico dell’acido adipico, sostanza largamenteutilizzata come plastificante in numerose formulazioni di prodotti plastici diampia diffusione commerciale;

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2716 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

- la presenza nel campione 1 ed in misura minore nel campione 2, di unpicco identificato come benzene e di altri prodotti idrocarburici aromaticiche non si ritrovano nel campione 3.

Relativamente all’ultima evidenza occorre ricordare che sostanzearomatiche quali benzene e derivati possono prodursi, seppure in minimaquantità, anche dalla degradazione termica di svariati materiali di usocomune e di conseguenza la solo loro presenza non costituisce elementoconclusivo a favore di una loro provenienza da fonte esterna.

Tuttavia, in considerazione del fatto che le suddette sostanze costituisconocomponenti tipici delle usuali benzine, furono condotte ulteriori verifiche perevidenziare l’eventuale presenza di altre sostanze specifiche di taletipologia di combustibile.

Fu quindi effettuata sul campione 1 una indagine GC/MS con lametodologia S.I.M., anch’essa preceduta da un arricchimento dei vaporidello spazio di testa e facendo uso della tecnica S.P.M.E.. Le analisi preseroin esame anche un campione di benzina evaporata, impiegato comeriferimento.

Da un confronto degli andamenti del tracciato del campione 1 con quellodella benzina evaporata fu possibile rilevare che il campione di residui dellacombustione presentava quantità significative dei componenti aromaticifacenti parte della frazione più leggera che compone anche la benzina,anche se il profilo ricostruito corrispondeva solo in parte a quello dellabenzina evaporata.

Secondo i criteri e gli standard utilizzati in ambito tecnico-forense, le carenzeo le lacune nella composizione della miscela rinvenuta nel campione 1,rispetto alla composizione della benzina evaporata, impongono diconsiderare quanto sopra come elemento di parziale compatibilità.

I casi in cui nei residui della combustione si ritrovano solo alcuni deicomponenti tipici della benzina sono mediamente piuttosto numerosituttavia, in genere, la compatibilità parziale è determinata da unasituazione diametralmente opposta a quella del caso in esame, ovverodalla assenza dei componenti volatili e dalla presenza dei componentialtobollenti.

Tale situazione trova razionale interpretazione nel fatto che le sostanze a piùalto peso molecolare (naftalene ed omologhi superiori) si formano neiprocessi di degradazione di sostanze organiche con una facilità

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2816 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

decisamente superiore a quella dei componenti più volatili. Semmai, infatti,si abbia formazione di xileni o aromatici C9-C10, questi non si formano neirapporti relativi dei componenti che si trovano nella benzina, dal momentoche la loro formazione segue percorsi e meccanismi del tutto diversi.

Se nel caso in esame fossero stati trovati nei residui del campione 1 solo icomponenti più altobollenti della benzina, sarebbe stato possibileconcludere che questo elemento di parziale compatibilità non potevaavere alcun significato di prova al fine di dimostrare la presenza dellabenzina stessa.

Nel caso in esame, invece, risultava rilevabile una presenza consistente dibenzene, mentre le componenti C9 e C10 non mostravano la stessadistribuzione che hanno normalmente nella benzina e, tra i pesanti, non sirilevava la presenza di antracene e fenantrene.

Rimaneva l’evidenza di una significativa differenza tra il campione 1 e glialtri due campioni, e la circostanza che, dalla composizione e dalladistribuzione dei componenti rilevati, si doveva ritenere maggiormenteprobabile una loro provenienza da una miscela commerciale piuttosto cheda processi di degradazione di composti a peso molecolare superiore. Pergiustificare questa ultima provenienza mancavano infatti tutte le famiglie ditipici prodotti che necessariamente accompagnano alcuni di detticomposti aromatici quando si formano per decomposizione di materieplastiche (ad esempio da resine contenenti gruppi ftalici o stirenici o altri).

Quindi l’ipotesi che una miscela di idrocarburi tipo benzina (o altra miscelacombustibile a taglio più leggero) avesse partecipato all’incendio, che nelcaso della benzina non si poteva affermare in maniera diretta per la nontotale sovrapponibilità dei componenti rinvenuti con quelli di una miscelagenuina di tale combustibile, risultava comunque l’unica valida risposta alleevidenze raccolte attraverso un processo logico “per esclusione”.

Conclusioni preliminariDalle indagini preliminari fu possibile ricavare che nell’area di stoccaggiodelle bobine, in corrispondenza del punto da cui i testimoni avevanoaffermato essersi per prime sviluppate le fiamme, erano presenti residui diidrocarburi aromatici volatili facenti parte di una miscela commerciale, noncompatibili con una formazione avvenuta in situ ad opera di processidegradativi di materiali combustibili.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

2916 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

Rispetto alla composizione della benzina, la miscela di tali sostanzepresentava solamente una parziale compatibilità, tanto da far ritenere piùprobabile una sua provenienza da un “taglio” più leggero.

La ricerca di componenti tipici e caratteristici della benzina, utilizzabili quindiper una identificazione univoca del prodotto stesso, condotta secondo iprotocolli utilizzati in ambito forense, aveva dato solo esito parzialmentepositivo per cui gli elementi raccolti attraverso le indagini svolte nonpermisero di concludere univocamente circa la presenza di benzina sulluogo dell’incendio.

Dal momento che l’ipotesi che le sostanze volatili rilevate provenissero dallanaturale combustione dei materiali presenti presso l’attività danneggiatarisultava comunque in aperto contrasto con le caratteristiche dei compostirilevati e con la loro distribuzione relativa, fu ritenuta ragionevole laricostruzione che individuava l’origine di dette sostanze in una miscela disolventi infiammabili (benzina o altro) presente in aree prossime a quelledove erano stati ritrovati i componenti più volatili della stessa, che si eranopropagati a seguito di parziale evaporazione.

La possibilità che tali sostanze derivassero da una contaminazione deimateriali combusti avvenuta dopo l’incendio per esposizione ad ariainquinata dai gas di scarico di motori a combustione interna contrastavacon l’evidenza che le sostanze idrocarburiche si ritrovassero in modopreponderante nel campione 1 ed in quantità solo minime negli altri. Inoltre,i campioni prelevati erano stati quelli a più diretto contatto con ilpavimento, raggiunti eliminando gli strati più superficiali esposti ad eventualicontaminazioni esterne.

Sebbene per le caratteristiche dell’attività e dell’impiantistica l’ipotesi diuna origine accidentale dell’incendio apparisse difficilmenterazionalizzabile, i risultati analitici non furono considerati sufficienti perconcludere circa l’ipotesi dolosa dell’incendio stesso.

Ulteriori indagini analiticheNell’ampliamento delle indagini furono acquisiti campioni da areediversamente interessate dall’incendio, tra cui un campione prelevato nellazona magazzino prodotto finito, coinvolta nell’incendio in maniera menodistruttiva rispetto alle altre parti dell’attività.

In tale campione furono rilevate componenti idrocarburiche aromatichecorrispondenti a quelle rilevabili in una normale benzina, o comunque in undistillato del petrolio.

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

3016 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

L’ipotesi che le sostanze volatili rilevate provenissero dalla naturalecombustione dei materiali presenti presso l’attività fu inizialmenteconsiderata come non supportata dalle caratteristiche dei composti rilevatie dalla loro distribuzione relativa, oltre che dalle diverse caratteristichemerceologiche dei residui in cui erano state rinvenute.

Ad ogni buon conto apparve quanto mai opportuno effettuare specificheverifiche in tal senso, sfruttando l’opportunità di eseguire prove dicombustione sui materiali corrispondenti (per fornitore e per caratteristichemerceologiche) a quelli che si trovavano nei locali danneggiati almomento in cui si erano sviluppate le fiamme.

Le prove di combustione eseguite permisero di raccogliere residui dicombustione nei quali non fu riscontrata la presenza di residui di benzina perautotrazione, ad esclusione di tracce minime di alcuni componenti,evidentemente generati nella combustione, prevalentemente a basso pesomolecolare e costituenti un quadro analitico tale da risultare decisamentediverso da quello riscontrato negli altri campioni.

ConclusioniIn seguito alle ulteriori indagini effettuate non furono formulati ulterioriobiezioni o dubbi circa la partecipazione attiva di una sostanzainfiammabile all’innesco e alla propagazione dell’incendio, in totalecoerenza con le ipotesi formulate a seguito delle prime indagini.

6.CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nel presente lavoro è stata riportata una breve panoramica dei metodiadottati in ambito forense per la ricerca, nei residuati di un incendio, disostanze estranee eventualmente riconducibili ad una origine dolosadell’evento termico.

Il grado di adesione alle metodologie applicate e già largamenteconvalidate potrà variare nei casi pratici, ma di questo si dovrà tenereconto nella valutazione finale dei risultati.

In ogni situazione reale l’interpretazione suggerita per i risultati dovrà in ognicaso essere coerente e conseguente alla filosofia adottata per ilcampionamento: non contano i risultati, ma l’uso che ne viene fatto!

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

3116 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini

ORDINE DEI CHIMICI DELLA TOSCANACORSO ANTINCENDIO – D.M. 25 marzo 1985 - Pisa, 7 febbraio – 30 maggio 2003

116 maggio 2003 Prof. Giorgio Valentini