Il Cardinale CARLO SALOTTI · Giovanni, all'altare della miracolosa Madonna del Suffragio. Grande...

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Il Cardinale CARLO SALOTTI grande in tutt (PIO XII) A cura di Möns. Antonio Patrizi.

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Il Cardinale CARLO SALOTTI

grande in tutto. (PIO XII)

A cura di Möns. Antonio Patrizi.

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Il Card. Carlo Salotti nel giorno della sua vestizione

1935

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SPIRITO BATTAGLIERO Nacque il 25 luglio 1870, 56 giorni prima della breccia di

Porta Pia. Fu chiamato Carlo dai suoi genitori, Giuseppe e Orsolina

Capozzi, in ricordo del tenente Carlo Cacchi, che, in una batta-glia fra Garibaldini e Gendarmi Pontifici, nel 1860, a Grotte di Castro, presso la Chiesa di S. Giovanni B., rimase ferito e, di nascosto, fu amorevolmente curato dalla famiglia Capozzi.

Così le due famiglie: Cacchi di Viterbo e Capozzi di Grotte di Castro intrecciarono una cordiale amicizia.

In seguito il Cacchi, promosso poi Capitano, morì a Viterbo e venne sepolto nella Chiesa di S. Faustino, dove una lapide mar-morea ancora ricorda le sue virtù cristiane e militari. Durante la sua malattia era stata a visitarlo anche Orsolina Capozzi alla quale, sapendo che era in stato interessante, disse: "Se avrete un figlio maschio, chiamatelo col mio nome: CARLO". E così fu.

Il Cardinale si compiacque sempre della data della sua nasci-ta in precedenza della presa di Roma, e del nome di Battesimo, CARLO, ereditato da un combattente, e pensava che da queste circostanze si fosse trasfuso in lui quello spirito battagliero, che fu la dote caratteristica di tutta la sua vita. LA SUA FANCIULLEZZA

Era di costituzione piuttosto gracile, ma fu di precoce sviluppo fisico, e si distinse subito per ingegno fin dalle scuole elementari, tanto che fu scelto, fra tutta la scolaresca, all'età di 9 anni, a reci-tare il sermoncino in onore di S. Nicola di Bari, preparatogli dal maestro Don Eugenio Socciarelli, dal pulpito della Chiesa di S. Giovanni Battista; e lo avevano vestito con sottana, cotta e berret-ta.

Da quel giorno fu promosso tra i chierichetti della Chiesa Parrocchiale di S. Pietro, della quale era "curato" suo zio, Don Bernardino Capozzi, fratello della sua mamma Orsolina.

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Meravigliava tutti i presenti specialmente quando, nei funera-li, leggeva le "lezioni" in latino, senza sbagliare neanche un accento.

La madre, vedendolo portato per gli studi, terminate le ele-mentari, lo affidò al proprio fratello, il canonico Bartolomeo Capozzi, ottimo latinista, coetaneo del famoso Alessandro Volpini, estensore, in classico latino, della RERUM NOVA-RUM di Leone XIII.

E il futuro Don Carlo Salotti prenderà la Rerum Novarum come bandiera del suo primo apostolato, prima a Grotte di Castro, dove fondò il "CIRCOLO LEONINO" in onore di Papa Leone, e poi a Roma mentre frequentava le Università sta-tali ed ecclesiastiche, ed animava cortei di centinaia di giovani, sfidando l'ira della Massoneria allora imperante.

IL SEMINARISTA All'età di 14 anni aveva già superata l'altezza di metri 1,80,

e, sembrando che non avesse forze sufficienti per lavorare col padre nella bottega, come apprendista falegname, i suoi genitori. pensarono di collocarlo a studiare in Seminario, e così staccarlo dall'ambiente paesano. "Dopo tutto, dicevano, non è cattivo, ingegno ne ha e potrà riuscire. Poi il Signore farà di lui quello che vorrà ".

Interrogato se sarebbe andato volentieri in Seminario, e se avesse potuto riparare anche il tempo perduto, dedicandosi allo studio con alacrità ed ardore, rispose di sì all'una e all'altra domanda; e la sua promessa fu così sincera e risoluta da domi-narlo completamente nello spirito, lasciandovi un'impronta incancellabile. 2

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E così il primo novembre 1884, a 14 anni, entrò in Seminario, ma non a Montefiascone, "poco adatto a lui per il clima della sua debole costituzione ", (diceva il medico Petrucci medico di casa), ma ad Orvieto, dove alla fine di ogni anno scolastico, c'era pronta una bella casa per la villeggiatura, che permetteva un meritato riposo per l'anno seguente.

In Seminario lo giudicarono adatto per la II classe, ma, per la sua altezza straordinaria, lo ammisero alla III; poi, mancando altri alunni di terza, venne ammesso alla IV ginnasiale.

Sofferente di trovarsi tanto al disotto dei suoi compagni, man-candogli i necessari fondamenti, fu preso da smarrimento, tanto da pensare di ritornare a casa sua, lasciando scuola e seminario. Ma poi pensò: "Che figura faccio ritornando a Grotte? Che dirà la gente? Quale dolore per i miei genitori!... E la promessa che feci a loro?" E concluse come Vittorio Alfieri: "Voglio riuscire, ardentissimamente lo voglio"...

"Facendo delle rinunce alla ricreazione e al passeggio, verso aprile aveva uguagliato gli altri, e, dopo poco, superato tutti".

Alla fine dell'anno scolastico meritò anche dei primi premi su 14 concorrenti della stessa classe.Vinte le difficoltà del primo anno di seminario, ed incoraggiato dal successo finale, potè, con maggior calma e serenità, continuare gli studi ginnasiali e licea-li, conseguendo a Siena le relative licenze al primo scrutinio.Nel luglio 1890 (sono sue parole) conquistai la licenza liceale al liceo Tolomei di Siena, nonostante le difficoltà che specialmente un seminarista incontrava, ed anche per l'anticlericalismo che infie-riva soprattutto nel Ministero della Pubblica Istruzione. Lo esa-minò una commissione di professori, (di cui faceva parte anche il poeta Marradi), i quali, ad un certo punto, dopo averlo attenta-mente ascoltato, lo applaudirono. Il Marradi, rivolto al Preside, disse: "dobbiamo confessare che i preti insegnano meglio di noi"; e, stringendogli la mano, lo autorizzò a telegrafare la buona notizia alla sua famiglia ed al suo seminario.

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UN INCONTRO PROVVIDENZIALE Era l'anno 1890: Salotti aveva 20 anni, ed era quindi in obbli-

go di fare il soldato. Parti da Orvieto, ma, avendo perduta la cor-riera per Grotte di Castro, percorse a piedi i 30 chilometri verso il suo paese, quasi di corsa, rifocillandosi in un casale di Castel Giorgio con una fetta di polenta offertagli da quei contadini.

Nel dicembre prossimo, dovette subire la visita militare a Viterbo, fu dichiarato idoneo ed inviato a Roma a fare il soldato, nell'ospedale militare del Celio, che si trova a poca distanza dalla Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, ufficiata dai Padri Passionisti.

Tra quei buoni Padri c'era un certo Padre Angelo, religioso integerrimo, che era chiamato il confessore dei soldati. Anche Salotti vi si recava settimanalmente, ed il buon Padre, alla domanda: "pensa che io mi faccia sacerdote? - gli rispose: Sì, figlio mio, lo credo bene, e da bravo avvocato difenderai la Chiesa... Io sono convinto che tu ne hai la vocazione... Pensaci bene, rifletti, e poi ritorna da me ".

Intanto il triennio del militare stava scadendo, e il futuro car-dinale desiderava dare gli esami non facili al Pontificio Ateneo di Sant'Apollinare... ma non sapeva nulla di teologia. Allora disse a sé stesso: "Ecco il segno: se sono ammesso agli esami, e riesco a cavarmela bene, è segno che Dio mi vuole sacerdote ".

Era quasi un tentare Dio, superare un esame di cose non anco-ra studiate!... Ma, pieno di fede, vestito da soldato, si presentò all'Ateneo di Sant'Apollinare... E l'esame andò bene, e conseguì il Baccellierato in Sacra Teologia. Era il segno chiaro della mia vocazione, conclusi. Sarei stato Sacerdote.

Il 23 settembre di quell'anno 1893 fu congedato, e, al distret-to di Orvieto, depose la sua divisa militare. 4

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SACERDOTE E STUDENTE UNIVERSITARIO

Tornato a Grotte di Castro, manifestò subito ai suoi genitori la decisione di abbracciare la vita ecclesiastica, e avutone il con-senso partì per Montefiascone al convento dei Padri Cappuccini, dove stava di posto il Padre Giuseppe Orsini, nipote di sua madre Orsolina. Questo convento era stato fondato nel 1579, con una chiesa dedicata a Santa Felicita, compatrona di Montefiascone: sorge in posizione amena ed elevata. Domina la pianura viterbe-se e il lago di Bolsena.

Sta solitario rifugio dei poverelli di S. Francesco, come vigi-le sentinella tra il monte Cimino e l'Amiata.

Compiuto, nel silenzio della cella, il suo ritiro, e riconferma-ta la sua decisione, si presentò al Vescovo della Città, Monsignor Gentilucci, al quale narrò tutte le fasi della sua vita anteriore, dei suoi studi, della vita militare, del desiderio di essere sacerdote.

Il Vescovo rimase bene impressionato di lui, per la franchez-za con cui gli aveva aperto il suo animo e non esitò a consacrar-lo sacerdote a Montefiascone, il 22 settembre 1894: un anno esatto dalla sua decisione di farsi sacerdote. Celebrò poi la sua prima Messa Solenne a Grotte di Castro, nella Chiesa di S. Giovanni, all'altare della miracolosa Madonna del Suffragio.

Grande fu il concorso del popolo, che lo considerava già un figlio eccezionale, che avrebbe fatto parlare di sé . E le predizio-ni non sbagliarono, come non aveva sbagliato il buon Padre Passionista di Roma. Tornato a Roma volle anche laurearsi in Sacra Teologia all'Università dell'Apollinare, e, come aveva incominciato ad Orvieto, si fece largo tra i primi, ed ebbe un'ot-tima riuscita in ogni interrogazione e disputa che si teneva den-tro e fuori le aule universitarie. Mons. Agostino Bartolini, custo-de dell'Arcadia, lo stimolò allo studio dei Padri e dei Dottori della Chiesa, ed in un concorso ebbe il primo premio.

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Tenne una disputa solenne all'Ateneo di S. Apollinare, alla presenza del Cardinale Parocchi, Vicario generale del Papa Leone XIII, e di tutto il corpo insegnante.

Il famoso Cardinale lo chiamò a sé, domandò notizie sulla sua persona, lo benedisse e gli disse : "Bravo Figliolo! Ammiro la tua franchezza. Sii sempre sincero ed umile, ed avrai fortuna nella Chiesa ".

Il futuro Cardinale Salotti conclude: "Non avrei mai immagi-nato che l'espressione del Cardinale Parocchi contenesse un valore profetico ".

Terminò in due anni i Corsi Teologici, e s'iscrisse poi al corso di Belle Lettere alla Regia Università della Sapienza.

La massoneria allora dominava nei Municipi, nei Consigli provinciali, nei Ministeri: dappertutto !...

Ebbe dei celebri battibecchi col prof. Labriola, ed in un gior-no, in cui durante la lezione lanciò parole irriverenti contro il Sacramento dell'Eucarestia, mettendo in ridicolo il pane e il vino consacrato dal sacerdote, Don Carlo con voce alta protestò con-tro il professore, abbandonando poi rumorosamente l'aula, aggiungendo che non avrebbe più frequentato lezioni che insul-tavano la sua coscienza di cittadino e di sacerdote. Quasi tutti gli studenti disertarono l'aula.

Agli esami il Labriola lo riconobbe: lo scontro durò un'ora, ma alla fine il professore gli strinse la mano e disse: "Volevo vendicarmi, ma non ci sono riuscito!...".

Il Labriola morì nel 1904: Salotti celebrò 2 Sante Messe per la sua anima.

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IL PRIMO COMBATTIMENTO Gesù nel Vangelo aveva detto: "Vi mando in mezzo ai lupi". Don Carlo Salotti, fin dai primi anni della sua vita sacerdota-

le, s'impegnò lealmente e coraggiosamente al combattimento contro il Liberalismo, l'anticlericalismo, il socialismo, il comu-nismo e la massoneria, ma con le armi spirituali della parola e dell'azione.

Ed iniziò nel suo stesso paese nativo, Grotte di Castro, (dove soleva recarsi durante i mesi estivi), con un lavoro di propagan-da, per impedire l'inquinamento della vita di quella tanto labo-riosa popolazione.

Il partito dei Liberali, formato dalla maggior parte delle fami-glie signorili e benestanti del paese, era forte, compatto e rumo-roso. Individualmente presi quei signori, erano persone rispetta-bili, ma, influenzati in quella lotta dalla Massoneria imperante, nel 25° della presa di Roma (1895), fecero una dimostrazione che offese le coscienze della maggioranza della popolazione, che era fedele al Papa. All'indomani di quella dimostrazione antipa-pale, Don Carlo fece notare il contegno scorretto da parte dei Liberali, contro la Chiesa ed il Papa, e disse risolutamente che avrebbe dato loro filo da torcere.

Gli risposero con una risata. Don Carlo rispose con una frase storica: "Ci rivedremo a

Filippi! ". Nell'anno successivo, il 20 settembre 1896, si rinnovò la con-

sueta dimostrazione: Abbasso il Papa, Abbasso i Preti!... Il mattino seguente radunò i due Parroci di Grotte, l'Arciprete

Franciosi e il Curato Sperapani, e una decina di uomini di sicura fede, ed insieme decisero di fondare un Circolo, che, dal nome del Papa, fu chiamato CIRCOLO LEONINO.

La prima domenica di ottobre, festa della vittoria dei Cristiani sui Turchi, il Circolo fu inaugurato.

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In mattinata la Messa a S. Giovanni, nel pomeriggio un cor-teo di oltre 200 giovani, che cantavano inni religiosi.

I Liberali, soltanto allora si accorsero che Don Carlo, prete da appena due anni, diceva sul serio, ed era diventato l'anima del Circolo Leonino.

Nelle prossime Elezioni la maggioranza della popolazione si schierò col Circolo, e la vittoria fu totalitaria.

Fondò una Cassa Rurale per favorire le classi lavoratrici, ed il Circolo Leonino ebbe la risonanza nell'Alto Lazio, fino a Roma.

Nell'Anno Santo 1900 da Grotte partì un Pellegrinaggio di fedeli, guidati dal concittadino Giuseppe Cordelli Scossa. Don Carlo stava al suo fianco quando furono ricevuti dal Papa Leone XIII, il quale, sentito dire che erano di Grotte di Castro, gli domandò: "Come va il Circolo Leonino?" Poi continuò "Il Circolo che porta il nostro nome, e spesso ci ha dato prove della sua fedeltà alla Cattedra Apostolica, continui il suo lavoro e sempre più fiorisca a gloria di Dio".

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA Dal piccolo centro di Grotte di Castro la sua attività si estese

anche nella Regione Cimina. Nel 1901 Don Carlo, a Viterbo, preparò la celebrazione del Congresso della Democrazia Cristiana.

Alcune frasi di un suo articolo. "All'alba di questo secolo nuovo l'Italia si è scossa. Da un capo ali 'altro della penisola il movimento democratico cristiano si va diffondendo con mirabi-le rapidità...

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I nostri giovani si stringono baldi e fidenti attorno alla larga bandiera della Democrazia Cristiana... Noi vogliamo cristianiz-zare il popolo, richiamandolo alla pratica del Vangelo, che, come potè trasformare il vecchio mondo pagano, così potrà ancora far rifiorire lo spirito di carità e di solidarietà in questa epoca di egoismo e di viltà senza nome... Noi intendiamo porta-re Cristo nelle officine e sui campi, e farlo rivivere nelle varie istituzioni nazionali...

Chiediamo che sia protetto il lavoro di fronte agli arbìtri del capitale... che venga determinato il numero massimo delle ore di lavoro, stabilito un minimo di salario proporzionato ai bisogni individuali e domestici, limitato il lavoro notturno e quello delle donne e delle adolescenti, facilitata l'assicurazione contro gli infortuni in caso di malattìa e di vecchiaia, e riconosciuta la necessità del riposo festivo obbligatorio".

Don Carlo era un figlio del popolo, e quindi si volle dedica-re alla causa delle classi operaie, le cui condizioni economiche e morali, erano allora talmente deplorevoli, da obbligare tante famiglie ad attraversare l'Oceano ed emigrare nella lontana America.

Mi permetto di ricordare qualche fatto personale. Quando anche i miei nonni (stretti parenti del Cardinale Carlo Salotti) decisero di attraversare l'Oceano per il Brasile, da Grotte di Castro partirono 17 famiglie: molte ritornarono dopo circa 15 anni, ma alcuni decisero di rimanere, ed oggi i nipoti e pronipo-ti di quegli emigrati vengono spesso a Grotte, a vedere il Paese dove sono nati i loro nonni e bisnonni.

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Contro il socialismo marxista, Don Carlo combatté a viso aperto: con la penna, con l'azione, e soprattutto con le Conferenze, per le quali veniva invitato in tutti i quartieri di Roma, e di moltissime città Italiane. È rimasta famosa una sua conferenza di quando era ancora studente universitario, durante le ferie estive, a Valentano, su invito dell'Arciprete di quel gran-de comune, che aveva sotto il suo mandamento più di dieci paesi.

Parlò per un'ora, illustrando l'apostolato sociale della Chiesa di fronte al Socialismo che promette... l'avvenire. Nel pomerig-gio parlò un socialista, fatto venire appositamente da Viterbo, il quale, invece di parlare a braccio, leggeva alcuni appunti, lenta-mente e senza calore, tanto che provocò uno scompiglio genera-le, e dovette terminare tra le fischiate di tutti.

Si trovò spesso a contatto con le forme più sfacciate della Massoneria, che spadroneggiava in tutte le sfere della vita poli-tica italiana, e si sfogava nelle maniere più volgari.

I circoli cattolici non potevano uscire per le vie con i loro ves-silli. Le processioni religiose erano vietate, per soddisfare l'odio delle Sette, che strappavano perfino la Croce dalle carrozze fune-bri per gettarla nel Tevere.

L'AZIONE CATTOLICA GLI INIZI: Il futuro Cardinal Salotti non esplicò la sua atti-

vità sacerdotale unicamente nelle piazze e nelle strade, quasi come un oratore di comizio, ma in seguito passò dalla guerriglia avventurosa all'Azione Cattolica. Infatti ogni domenica, in una chiesetta in Piazza Rusticucci, era tutto intento alla formazione religiosa dei giovanetti della Congregazione Mariana di S. Giovanni Berghmans: Messa, Sacramenti, istruzione catechistica e ricreazione all'aperto. Questo era il suo impegno in ogni gior-no festivo. 10

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Seguiva l'esempio di Mons. Radini Tedeschi nella chiesa di S. Rocco, e del Commendatore Filippo Tolli nella Chiesa del Gesù, alla testa delle grandi e complesse organizzazioni cattoliche. Di ambedue questi santi educatori fu lui a tenere l'elogio funebre nel trigesimo della loro morte.

ASSISTENTE ECCLESIASTICO DIOCESANO DI ROMA

Il 4 marzo 1904, promosso Mons. Radini Tedeschi a vescovo di Bergamo, fu Salotti a succedergli quale Assistente Ecclesiastico nell'Opera dei Congressi, ed anche quale collabo-ratore del Presidente, Prof. Augusto Persichetti. Ogni settimana si recava in qualche parrocchia di Roma per formare, tra i catto-lici della Città, una grande forza contro le correnti del male.

Nel 1912 fu nominato Assistente Ecclesiastico del-l'Associazione Popolare Flaminia, dove c'era da ricominciare tutto da capo, ed anche l'Associazione Didattica Italiana, assi-stendo particolarmente gli insegnanti cattolici privati, le cui scuole erano combattute dal governo. In seguito fu nominato anche Assistente Ecclesiastico per l'Associazione di Cultura Francescana, e l'accettò con gioia, essendo anche Terziario Francescano.

Nel 1924 il Cardinal Gasparri, a nome del Papa Pio XI, gli comunicò la nomina ad Assistente Ecclesiastico Generale della Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane, per-ché la Federazione stessa, " affidata alle sue sagge ed amorose cure, si potesse sviluppare e progredire con grande benefìcio della gioventù, immettendovi tutto l'ardore del suo animo arden-te".

Purtroppo quel lavoro delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane venne, pochi anni dopo, stroncato dal Fascismo.

il

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Ma il Campo prediletto della sua attività fu la Primaria Associazione Cattolica Artistica ed Operaia, dove fu accolto con tanta simpatia dai dirigenti e dai soci. Fondò subito una sezione di giovani, che volle presiedere personalmente, riformandone poi lo Statuto, che fu elaborato da una Commissione presieduta dall'Avvocato Filippo Pacelli, padre del futuro Papa Pio XII.

Fondò anche l'ufficio del lavoro, che divenne il centro del Movimento Democratico Cristiano di Roma. Tutti riconobbero che quello fu il periodo più fiorente di quell'Associazione.

Con l'Ufficio del lavoro, sotto tale guida, si risolvettero molte e importantissime questioni, e divenne un perfetto modello di organizzazione attiva e fattiva, tanto che il famoso sociologo belga, il Pottier, dovette riconoscere, ammirato, che "nulla di nuovo c'era da insegnare a Roma in questo campo, ma forse molto da apprendere ".

Nel Luglio 1920 la Sezione Romana del Partito Popolare aveva prescelto, come sede, l'Artistica Operaia, e volle che l'o-ratore ufficiale fosse proprio Mons. Salotti, che, nell'elogio fune-bre di Danielo O' Connell, affermò che la Chiesa si sarebbe volta alla Democrazia, perché quei valori spirituali scaturiscono pro-prio dal Vangelo.

PARTECIPAZIONE AI CONGRESSI CATTOLICI

8 settembre 1911. Fu scelta la città di Orte per i cattolici del Lazio Superiore, ed era la festa di Maria Santissima.

Mons. Salotti, come figlio di questa terra Laziale, fu designa-to quale "oratore" insieme agli amici: Mario Cingolani, Egilberto Martire e Francesco Aquilanti. Il convegno superò ogni aspettativa, e i giornali riportarono alcuni brani del suo discorso. "Questo Convegno", diceva, "rappresenta l'Italia autentica e tradizionale, quasi di nuovi crociati, che vogliono difendere la fede ereditata dai nostri padri". 12

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Volgari romanzieri scagliano il fango contro la Vergine Santa, che seppe ispirare la penna di Dante, il pennello di Raffaello e il valore dei soldati di Lepanto. Salviamo la Patria, difendiamo la Famiglia e la Scuola!... Andiamo incontro al popolo, promoven-do i principi eterni del Vangelo, che Leone XIII ha sancito nella RERUM NOVARUM nel 1891, che è nel cuore di tutti, e rima-ne la "Magna Charta " del nostro movimento sociale.

Dopo la prima guerra mondiale 1914 - 1918, l'Unione Popolare indisse a Roma, nei giorni 27-28-29 aprile 1922 il X° Congresso di Studi Sociali con questo tema: "I concetti e i compiti di uno Stato Moderno, secondo la morale cattolica ". Per volere del Papa Pio XI fu incaricato Mons. Carlo Salotti, il quale tra l'altro disse: "Questo Congresso si ricollega alle Settimane Sociali dell'anteguerra, presiedute dall'indimenticabile Giuseppe Toniolo, ammirato e venerato dai Cattolici Italiani ".

Oggi la crisi che tormenta l'Italia è crisi dello Stato, che si vergogna di nominare Dio. Dotti e brillanti furono gli oratori, tra i quali Padre Rosa (gesuista), Padre Cordovani (domenicano), Padre Chiocchetti (francescano)...

Il Presidente Salotti seppe mantenere, in quella autorevole assemblea, quell'equilibrio e quello spirito cristiano, che dette un'impronta elevata a tutte le sedute, ricordando in particolare l'illustre pensatore Contardo Ferrini. Il discorso di Mons. Salotti fu accolto con un lungo prolungato applauso.

Nel settembre 1923 si celebrò il 7° Congresso Eucaristico Nazionale a Genova, che si concluse con lo spettacolo incompa-rabile della Processione svoltasi nel mare, sulle cui onde avan-zava maestoso il BUCINTORO, che portava la Sacra Ostia.

Mons. Salotti fu invitato a parlare nella magnifica Chiesa della SS.ma Annunziata, dov'erano decine di migliaia di fedeli, dal Presidente del Congresso Monsignor Bartolomasi, e fu accol-to dal grido: VIVA ROMA.

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Roma, disse Salotti, è terra di sangue e di martirio, ma desti-nata dalla Provvidenza a compiere un'alta missione nella storia...

Proseguendo, svolse un tema magnifico...Ma poi concluse con un fatto ancora recente: l'uccisione dell'Arciprete di Argenta, Don Giovanni Minzoni, da parte dei fascisti, pochi mesi prima... Non potè più proseguire. La folla scattò in piedi e, presa da commozione, non cessava più di applaudire. Alla fine Salotti gridò: "CESSINO LE LOTTE INTESTINE E NON SI SPARGA PIÙ' IL SANGUE DEI FRATELLI".

Il giornale "Il popolo di Roma " scrisse: "Mons. Salotti fu una delle figure predominanti del Congresso".

IL PREDICATORE Il comando di Gesù ai suoi Apostoli fu precisato con le paro-

le: Predicate il Vangelo a tutte le creature. Il Cardinal Salotti lo prese alla lettera, ma dovette aspettare un anno prima di poterlo iniziare, perché doveva ancora concludere i suoi studi universi-tari.

Il 22 settembre 1895, celebrando a Montefiascone la Prima Messa Don Augusto Giubilei, suo carissimo amico, preparò il discorso di circostanza e lo mandò tutto a memoria. Salì per la prima volta il pulpito di quella grandiosa Cattedrale, ed inco-minciò a parlare.

La parola non gli fece difetto, ma a lui sembrò di aver fatto una cattiva figura, tanto che rimase profondamente turbato, e si scoraggiò, pensando di non essere adatto al ministero della pre-dicazione.

Gli sembrò di aver fatto un fiasco nella Cattedrale di Montefiascone.

In seguito la cosa si aggravò ancora, festeggiandosi il 25° della presa di Roma (1895), che venne solennizzato in tutta l'Italia con un significato apertamente antipapale e massonico. 14

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La città di Montefiascone, nelle sue vicende storiche, era stata sempre strettamente legata ai Pontefici Romani, che avevano fabbricata la Rocca come luogo di abitazione stabile e sicura. Il papa, Beato Urbano V°, prima di ritornare ad Avignone, la volle veder terminata.

Eppure, in quell'anno 1895, ci fu un cittadino di Montefiascone, che scelse dal discorso di Don Carlo qualche frase che lui non condivideva, e lo denunciò al Procuratore del Re come antipatriota e antitaliano. La denuncia venne accolta, e s'istituì il processo contro il giovanissimo Don Carlo Salotti.

Il Pretore di Acquapendente, al cui Mandamento apparteneva Grotte di Castro, lo convocò immediatamente, ma poi, venuto a sapere che Don Carlo risiedeva a Roma per ragioni di studio, delegò la causa al Pretore di Trastevere, il quale si fece conse-gnare dall'oratore il manoscritto del suo discorso.

L'intera posizione degli Atti fu inviata al Procuratore del Re a Viterbo, il quale giudicò che non vi era luogo a procedere.

Trent'anni dopo, il denunziatore, venne a rendere visita al Cardinale nella sua Villa di Montefiascone e gli chiese perdono del disturbo che gli aveva arrecato, attribuendo la sua denunzia allo spirito antipapale di quel tempo ormai lontano.

Dopo questo fatto, Don Carlo pensò di cambiare sistema: invece di scrivere ed imparare a memoria i suoi discorsi, pensò che fosse più conveniente abituarsi alle improvvisazioni. Però non volle iniziare a Roma, ma in un piccolo paese, Nazzano Romano, che dipendeva dall'Abbazia di S. Paolo alle Tre Fontane.

Non portò con sé alcun libro, ma solo pochi fogli di carta bianca, scrivendo soltanto qualche pensiero, che gli veniva in mente, mentre passeggiava nella sua stanza.

"Questo fu il mio piano, scrive Don Carlo, e Dio lo benedisse ". 15

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Il Parroco era raggiante di gioia nel vedere la Chiesa sempre affollata: il popolo contentissimo, il numero delle Confessioni e Comunioni mai salito così in alto: l'entusiasmo del paese era al colmo.

Terminata la "Missione", Don Carlo fu accompagnato in canonica con ceri e fiaccole, e dal balcone dovette ringraziare la folla.

Tornò poi altre volte a predicarvi, e sempre con grande suc-cesso; ma, scrive, non come a Montefiascone.

Era quindi superato il problema se dovesse dedicarsi alla pre-dicazione, e, poco dopo, la Provvidenza gli preparò un'occasio-ne solenne proprio a Roma. E questo avvenne nell'Anno Santo, indetto dal Papa Leone XIII, a 50 anni dall'ultimo, che era stato presieduto da Pio IX nel 1850.

Vennero pellegrini da tutte le parti del mondo. Il lunedì dopo Pasqua le organizzazioni cattoliche decisero

di compiere nel pomeriggio la Visita Giubilare nella Basilica di S. Paolo. Vi andò anche Don Carlo, e c'erano già circa cinquan-tamila persone. Fu invitato il Padre Abate a spiegare con una pre-dichetta il significato dell'indulgenza dell'Anno Santo.

L'Abate rispose: "Noi monaci Benedettini non siamo oratori. Però abbiamo la persona adatta, eccola qui, Don Carlo Salotti ".

Ma questi, rivolgendosi all'Abate, disse: "Che cosa devo dire?"

"CIVIS ROMANUS SUM", gli sussurrò l'Abate. Parole famose pronunciate dall'Apostolo Paolo, che lo salva-

rono dalla condanna del tribunale dell'imperatore. "Quello che dissi non mi ricordo ", dice don Carlo; il quale, con parole quasi ispirate, mise in evidenza la figura ieratica del novantenne PAPA LEONE XIII, che dalla Rocca del Vaticano fronteggiava la tem-pesta anticlericale del tempo. 16

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Gli applausi interminabili resero memoranda quell'ora di discorso improvvisato, che guadagnò al trentenne Don Carlo le simpatie dell'ambiente romano.

E vollero, a forza di braccia, che concludesse lui, poco dopo, nella Basilica di S. Maria in Trastevere, il ciclo delle visite del Giubileo.

In seguito si dedicò ad ogni ramo dell'oratoria sacra. Incominciò con le spiegazioni del Vangelo, per diversi anni,

nella Chiesa dei Padri Maristi in Via Cernaia. Spesso era invitato a predicare Esercizi Spirituali agli uomini

in vari centri di Roma; tridui e novene in preparazione alle feste di tante Chiese e Basiliche. Intere quaresime, mesi di Maggio in onore della Madonna, mesi di giugno in onore del Sacro Cuore, mesi di novembre in suffragio dei morti.

Con grande fede predicava "Ore Eucaristiche", davanti al Sacramento solennemente esposto.

Pronunziò elogi funebri per un centinaio di morti, tra cui Pontefici, Cardinali, Vescovi, Prelati, Fondatori e Superiori di Ordini Religiosi, Parroci, semplici Sacerdoti e laici rispettabili: romani, italiani, stranieri.

Panegirici a più di 300 Santi o sulla via della Santità. In più di mezzo secolo di vita sacerdotale, tra orazioni sacre e

conferenze di carattere apologetico e discorsi di occasione tenu-ti in Roma, in Italia, in Palestina, in Siria, in Sardegna, in Francia: si contano più di settemila...

Confesso candidamente, dice, di aver trovato molto conforto nell'esercizio del ministero sacerdotale, specie in quello della predicazione.

Parlare alle anime, illuminarle intorno alle verità eterne, pre-munirle contro gli errori del secolo, rinfrancarle nella fede di Cristo, rafforzandone le immortali speranze, è questo senza dub-bio l'apostolato più bello, nel quale io abbia sperimentato le più dolci e spirituali soddisfazioni...

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IL CONFERENZIERE E L'APOLOGETA Nelle sue conferenze Mons. Salotti preferì il ramo culturale,

essendovici già esercitato da quando era socio dell'Arcadia, (la famosa associazione che ebbe il massimo della sua importanza nel Settecento col Metastasio, poeta Cesareo alla Corte di Vienna, e col Montefiasconese G.B. Casti, fino alla Rivoluzione Francese).

In questa Accademia, nel triennio 1889-90-91 aveva svilup-pato numerosi temi d'importanza letteraria e storica.

Nel campo letterario aveva lumeggiato l'Umanesimo del secolo XVI, e tratteggiato la figura di molti illustri personaggi, tra cui il Machiavelli.

Nel campo storico aveva illustrato alcuni periodi della storia della Chiesa: Gregorio VII, il Papato, i Comuni, Urbano VI...

Egli però, tra quegli Arcadi, si sentiva quasi fuori posto, per-ché non si confacevano al suo temperamento, né ai bisogni del nuovo tempo.

Per le vie di Roma s'inneggiava al libero pensiero e a Giordano Bruno, e si insultavano il Papa e la Chiesa.

Di qui nacque in lui l'idea delle "Conferenze in difesa della Religione ".

All'inizio del secolo ventesimo erano in auge Kant e Hegel, Lombroso e Marx... S'imponeva quindi una polemica continua contro i loro sostenitori, che però non si poteva fare nelle Chiese, per non trasformare il pulpito in una tribuna: bisognava usare un metodo nuovo per non offendere la maestà sacra del tempio.

Questi discorsi, che illustrano le verità cristiane, e confutano i tanti errori che invece bisogna combattere, devono avere una sede nelle "sale ", dove può accorrere tanta gente che non ama frequentare le chiese. 18

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Ed ecco che, fin dai primi anni di questo nuovo lavoro, istituì "Corsi di Conferenze " che vennero frequentati da uomini di ogni fede e anche di nessuna fede, perché soddisfacevano le loro aspi-razioni.

CORSI ANNUALI DI CULTURA RELIGIOSA

Con le prime conferenze apologetiche, si mise a contatto col pubblico, e conobbe la scarsa cultura religiosa, che da essi si sarebbe dovuta esigere.

Allora Don Carlo pensò di cominciare in Trastevere dei "Corsi annuali di conferenze apologetiche per uomini", d'ac-cordo col parroco Padre Pietro dell'Immacolata, il quale mise a sua disposizione una sala, che presto risultò insufficiente, perché gli uditori venivano anche da altre zone.

"Per cinque anni di seguito, (dice), vi tenni nei giorni di domenica i miei Corsi Apologetici: dall'ottobre 1909 al giugno 1914.

S'iniziava la prima domenica di ottobre e si terminava con l'ultima domenica di giugno. La Conferenza aveva luogo alle ore undici e durava tre quarti d'ora. L'altro quarto d'ora si riservava agli uditori per eventuali difficoltà ed obiezioni, che immediata-mente risolvevo.

Gli argomenti erano i Trattati di Religione: Dio e l'uomo - Il Cristianesimo secondo i Vangeli - La Chiesa e il Papato - Misteri e Dogmi -1 Sacramenti - Problemi e questioni morali.

Al termine del terzo anno avrei desiderato di trasportare le mie tende in un altro rione, ma i Trasteverini e Padre Pietro non me lo permisero.

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Così dovetti proseguire in Trastevere per altri due anni... Ma il Cardinal Vicario, Basilio Pompili, mi sollecitò a trasferire il Corso delle Conferenze in Prati di Castello, dove lavoravano i Protestanti...Ubbidii e passai alla parrocchia di S. Gioacchino dove, per l'aumentato concorso, dovetti scendere nella Cripta sottostante la Chiesa.

Ma contemporaneamente, nelle sere di giovedì, svolgevo la mia missione apologetica presso una associazione diretta dal Dott. Lorenzo Cochetti, formata in massima parte dai funzionari dello Stato.

Negli anni successivi alla grande guerra 1914-1918 tenni, nella magnifica ala dell'Associazione Artistica - Operaia, altri cinque lunghi Corsi di conferenze domenicali.

Vi accorreva gente da ogni parte di Roma, ed era un pubblico scelto, formato dalle classi migliori: magistrati, avvocati, profes-sori, artisti, medici, pubblicisti che, spinti dal desiderio di cono-scere ed approfondire i problemi religiosi, ascoltavano religiosa-mente, e poi prendevano viva parte alle discussioni...

In questo ambiente intellettuale si levò su un Protestante che, a nome di tutti, mi porse un deferente e caldo saluto, che com-mosse l'intera assemblea... Due Documenti Pontifici, uno di Benedetto XV e l'altro di Pio XI, sanzionavano, con parole assai lusinghiere, l'utilità e i frutti salutari del mio modesto apostola-to.

Della mia attività apostolica, conservo un caro ricordo. Il Padre Agostino Garagnani, Gesuita, si presentò nel mio stu-

dio in Via Palestra, e mi disse che i suoi Superiori lo avevano incaricato di fare un Corso di Conferenze all'Università Gregoriana, ed era venuto da me, per lumi e consigli, data la mia esperienza pluriennale.

Padre, gli risposi, Roma è tanto grande, e tanto è il bisogno delle anime, che io vorrei vedere istituiti, nei singoli rioni della città, simili Corsi di Apologia Religiosa. 20

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La esorto a dar principio al suo Corso alla Gregoriana, il prima possibile, perché urge questo lavoro.

Tra noi due si strinse una cordiale amicizia, tanto che il Padre Garagnani mi invitò a inaugurare i suoi Corsi alla Gregoriana. Ed anche il Padre Rosa, in occasione della mia elevazione alla Porpora Cardinalizia, sottolineò, sulla "Civiltà Cattolica", que-ste mie doti: di oratore, conferenziere polemico, panegirista sacro, ed anche di fecondo scrittore.

CONTRADDITTORI Le mie conferenze apologetiche furono caratterizzate da tanto

interesse del pubblico, perché tutti i presenti avevano facoltà di chiedere spiegazioni su qualsiasi punto, o proporre obiezioni contro quanto io avevo illustrato o difeso, ed anche perché pro-misi che mi si potesse contraddire, ma sempre conformemente alle norme di educazione civile... e non mi sono mai pentito di avere accettato il contraddittorio.

Lo feci proponendomi due scopi: quello di poter persuadere gli avversari e guadagnarli alla Fede, e quello di irrobustire la fede nei veri credenti.

Una volta un giovane, appena ventenne, si levò in piedi, e, con fare spavaldo, mi disse: "Prenda lei il Crocifisso, me lo porti davanti, vedremo se io m'inchino a quel Cristo, al quale non credo e non crederò mai".

Risposi: "Verrà un giorno, forse non lontano, nel quale vedrai la morte appressarsi al tuo letto, per strapparti alla vita terrena... Ti auguro che, in quell'ora suprema, quel Dio crocifis-so si avvicini al tuo capezzale, ti perdoni e salvi la tua anima"...

Venne la guerra del 1914, e quel giovane venne chiamato alle armi, e fu ferito: potè tornare in famiglia, dove lo attendeva la morte. Alcuni suoi compagni lo vanno a trovare, e gli presenta-no il Crocifisso. Egli lo bacia, e muore in pace con Dio.

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Un giorno feci una conferenza intorno al Papato. L'aula era gremita all'inverosimile... Si alza un Protestante e chiede la paro-la, e dice che il Papa va contro i decreti del Concilio di Trento, che stabilisce di nominare i Cardinali da tutte le nazioni del mondo, ed invece li assume massimamente dall'Italia, che è una piccola espressione geografica, trascurando le altre nazioni cri-stiane. Questa è una ingiustizia, grida, contro la quale elevo la protesta.

Salotti rispose subito: ho tre risposte da dare : 1) Voi protestanti vi siete separati da Roma, non riconoscete il

Papa Vicario di Cristo, avete negato e travisato dogmi e sacra-menti, dei quali il Papa è legittimo custode; perciò vi nego il diritto di protestare contro il procedere dei Papi nella elezio-ne dei membri del Sacro Collegio.

2) Un esempio dall'Inghilterra protestante. Nel 1850 Pio IX pro-mosse Cardinale il Wiseman, celebre autore del libro "Fabiola", perché figura molto degna di stima. Leone XIII donò all'Inghilterra come Cardinale il Newman.

3) L'Italia conta un numero maggiore di Cardinali, perché il Papa risiede a Roma, che è il centro naturale dell'organizza-zione della Chiesa Cattolica... Questi anticlericali, per questa mia altissima attività, cospiraro-

no di gettarmi nel Tevere. Ma i giovani cattolici di Trastevere si organizzarono per la difesa della mia persona. Gli anticlericali, sor-presi di trovarsi davanti a duecento giovani, che si erano radunati per difendermi, non osarono avvicinarsi, e si dispersero.

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NELLE CARCERI TRA I GALEOTTI Natale 1921: al carcere Regina Coeli, il Cardinal Salotti affa-

scinò 700 detenuti, parlando del Natale per circa un'ora. Terminarono con un inno a Cristo Redentore. 22 Aprile 1934: si commemorò la grande figura di S.

Giovanni Bosco, santificato pochi giorni prima da Pio XI. L'Avvenire d'Italia scrisse: Mons. Salotti lasciò una profon-

da traccia nei detenuti, che gli improvvisarono una manifesta-zione imponente...

Aprile 1923: Al Reclusorio di Civitavecchia, quei galeotti, dopo il discorso, piansero, e, con loro, anche i Superiori.

POLEMICA COL SINDACO DI ROMA Nell'ottobre 1910 polemizzò contro il Sindaco di Roma,

Ernesto Nathan, che era un ebreo massone. Su invito dei cattoli-ci romani, Salotti stigmatizzò il discorso del Sindaco, con paro-le forti, che gli guadagnarono molte simpatie da parte di tutti.

Nelle successive elezioni, la cittadinanza fece precipitare dalla rupe Tarpea il massone straniero, che aveva contaminato la dignità del Campidoglio.

INCARICHI DI CURIA PROFESSORE DI FILOSOFIA.

Il primo novembre 1902 fui chiamato alla Pontificia Università di S. Apollinare per l'insegnamento di Filosofia e Storia della Filosofia.

Tenni le due Cattedre per undici anni, fino al 1913. 23

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Più tardi un suo caro alunno, Mons. Giuseppe Stanghetti, ce lo descrive dal vivo. "Ci sembra ancora di vedere il professore Salotti nella sua Cattedra, di sentire ancora la sua voce calda e vibrante, che sapeva animare e rendere attraenti gli oscuri pro-blemi studiati sul testo... ". Contro le lezioni di Enrico Ferri, che difendeva l'evoluzionismo integrale, il Prof. Salotti sceglieva gli argomenti dalla Filosofia, dalla Geologia, dalla Paleontologia e dalla zoologia, scendendo cioè sullo stesso terreno del Professor Ferri, e lo faceva con ardore Apologetico, che era proprio la sua caratteristica.

AVVOCATO DEI SANTI Il 2 aprile 1901, (sono sue parole), fui nominato Procuratore

alla Congregazione dei Riti, e, poco dopo, iscritto all'albo degli Avvocati. Per 15 anni lavorai come avvocato per le cause di Beatificazione e di Santificazione, illustrandone le virtù, il mar-tirio e i miracoli: cause che raggiunsero il numero di 120 (cento-venti), e che nessun avvocato della Sacra Congregazione dei Riti ha mai raggiunto.

AVVOCATO DEL DIAVOLO Dopo 15 anni di avvocato dei santi, passai all'opposto:

Avvocato del Diavolo, per contrastare i loro meriti e in qualche modo nuocere alla loro causa. Ma il 9 luglio 1915 il Papa Benedetto XV mi nominò Assessore della Congregazione dei Riti e Sotto - Promotore della Fede.

Nel 1925 Pio XI mi elesse Promotore Generale della Fede. In questi compiti ho la coscienza di aver lavorato per la verità

e per la giustizia. Le cause dei Santi sono quanto di più delicato e di più nobile si tratti nelle Sacre Congregazioni Romane. 24

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UNA MISSIONE SPECIALE IN ORIENTE Durante il mio ufficio di Promotore generale della Fede, Pio

XI mi affidò una missione straordinaria in Oriente, riguardante la causa' dei Martiri Francescani di Damasco, trucidati il 9 luglio 1860. La Data per la loro Beatificazione era stata già fis-sata per il 10 ottobre, nella Basilica di S. Pietro in Roma.

L'Arcivescovo di Damasco e il Patriarca d'Antiochia, insie-me ad altri vescovi Orientali, si lamentavano perché nel Processo erano stati dimenticati due Cattolici Maroniti, i fratelli Francesco e Mooti, anch'essi martirizzati insieme ai frati.

Pio XI mi ingiunse di recarmi in Oriente ed imbastire sul posto il processo del martirio dei due fratelli con le forme dovu-te: processo che doveva essere definitivo, perché il 10 ottobre era stata fissata la solenne Beatificazione in S. Pietro; ed era già il 27 agosto: neanche un mese e mezzo di tempo!...

Coi mezzi di allora era possibile arrivare a Beirut con circa 10 giorni. Difatti il 6 settembre, nel pomeriggio, il processo potè ini-ziare, e, data la presenza del teste Selim Hascio, che in quegli anni lontani aveva 14 anni, e ricordava benissimo quel processo, si potè concludere che i fratelli martirizzati non erano due, ma tre: Francesco, Mooti e Raffaele, che lui chiamava Raffaellino, e indicò perfino il posto dove vide e riconobbe, nella Sala Francescana del martirio, il corpo straziato del terzo fratello.

Mons. Salotti, prontissimo a comprendere tutto e bene, per la sua prodigiosa memoria, i 12 Documenti contemporanei al mar-tirio del 1860, potè ripartire la mattina del 13 settembre da Damasco, e il 20 dello stesso mese riferì il risultato della sua missione, che il Papa ascoltò con indicibile gioia, e, dopo 3 gior-ni, gliene consegnò la Relazione scritta.

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Così Pio XI, il 7 ottobre, emanò il Decreto di approvazione del Martirio dei tre fratelli, e della loro Beatificazione; ed in quei giorni, a quanti riceveva in Udienza, parlava di questa rapida Missione, di Mons. Salotti, che avrebbe richiesto moltissimi anni di studio e di lavoro, che il Salotti invece aveva saputo conclu-dere con rapidità straordinaria, ed insieme con calma; dignità e perizia.

SEGRETARIO DI PROPAGANDA FIDE La mattina del 25 giugno 1930 a Mons. Salotti giunse dal

Vaticano una telefonata, con la quale Pio XI in persona lo chia-mava in udienza privata, per annunciargli che, per premiare il suo lungo e intenso lavoro per le molte Beatificazioni e Santificazioni di quell'anno, lo promoveva "Segretario di Propaganda Fide", al quale sarebbe andato con tutti gli onori, perché, nel Concistoro di lunedì prossimo, il Papa l'avrebbe pro-mosso Arcivescovo, per confermargli anche la stima per i tanti servizi da lui resi alla Chiesa.

Il 6 luglio, nella basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio, ricevette la Consacrazione Vescovile dal Cardinale Van Rossum, Prefetto di Propaganda Fide, e subito il giorno dopo prese pos-sesso del nuovo Ufficio.

Mons. Salotti, in questa nuova attività, ricorda in modo parti-colare tre cose : 1) Il Congresso Missionario a Padova nel 1932, al quale presero

parte tremila sacerdoti, tutti accesi dall'amore alle Missioni Cattoliche.

2) Corsi di conferenze Missionarie in varie parti della penisola, di cui ne enumera 18 fra le più importanti: da Roma, Napoli, Venezia... a Vicenza, Milano, Genova...

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3) I MESSAGGI lanciati dalla Radio Vaticana nella vigilia della Giornata Missionaria Mondiale. La sua parola non superava il quarto d'ora, ma commoveva tutto il mondo, per quel calo-re con cui sapeva comunicare a tutti l'amore e la carità verso le Missioni e i Missionari. Il Cardinal Salotti, dirà a suo tempo Mons. Beretta, fu l'uomo

dell'ora: combattè, stimolò a combattere, vinse. Si era consacra-to alle Opere Missionarie con la più generosa dedizione; se le fece sue; il compito che il Papa gli aveva assegnato, trovò in lui un assertore fedele, coraggioso, entusiasta. Basterebbe ricordare l'impulso che egli diede alla Giornata Missionaria.

Ma chi non si è commosso ai suoi famosi appelli che la Radio Vaticana lanciava ogni anno in tutto il mondo per la Giornata Missionaria?

Fino a 35, tra lingue e dialetti, ripetevano l'appello in tutto il mondo!

Si deve a lui la fondazione del laboratorio di psicologia speri-mentale, l'impianto della Biblioteca, l'istituzione di parecchie nuove cattedre secondo le esigenze della riforma.

Il Cardinal Fumasoni Biondi, quale prefetto di Propaganda, e quindi suo Superiore, così aveva scritto di Lui: "Lo ritrovai accanto a me già gigante nella cognizione delle Missioni, e tutto assorbito da zelo ardente per favorirne il progresso.

Fin dal primo giorno mi prestò aiuto spontaneo, franco, leale, efficace.

Studiammo insieme i gravi problemi missionari dell'ora pre-sente e cercammo di superare le inevitabili difficoltà, e sospin-gere l'opera missionaria, dal lato spirituale e dal lato materia-le, verso i suoi alti destini.

Oggi, mentre esulto di gioia nel vedere che i suoi meriti sono stati riconosciuti ed esaltati da tempo, sento pure viva l'amarez-za per la sua dipartita da Propaganda ".

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COLLOQUI CON PIO X COME CONOBBI IL PAPA

La mia vita di lavoro e di apostolato si è svolta quasi tutta sotto il pontificato di 4 Papi: Pio X - Benedetto XV - Pio XI - Pio XII.

Il primo, Pio X, lo conobbi da vicino, e ne apprezzai l'opera in favore della cristianità. Di lui leggevo soprattutto, con rive-renza, le memorande Encicliche, con le quali ammaestrava e illu-minava l'umanità. Però lo potei avvicinare soltanto nel suo ulti-mo anno di Pontificato, nel 1914, quando venni aggregato con MOTU PROPRIO, al nobile Collegio degli Avvocati Concistoriali.

La mattina del 20 luglio, mi convocò nel suo studio privato, e mi tenne a colloquio per una lunga ora. Mi fece accomodare su una poltrona, ed incominciò a parlarmi sul Curato d'Ars e su Giovanna D'Arco. Questo curatino, diceva, vorrei santificarlo presto per la sua santità sacerdotale; Giovanna D'Arco soprattut-to per il suo grande amore per la Francia, sua patria cristiana.

Poi, rendendosi sempre più amabile nella conversazione, portò il discorso su alcuni Servi di Dio, la cui fama di santità era già largamente diffusa in Italia.

CONTARDO FERRINI, illustre professore di Diritto Romano alle Università di Messina, di Modena e di Pavia; uomo di fede, che rese ancora più bella con la purezza dei suoi costu-mi e col profumo della sua pietà. Il Ferrini, nel 1894, aveva pre-detto per la Chiesa un Papa che la riconducesse alle virtù evan-geliche, e si augurava che la scelta dei Cardinali in Conclave cadesse sul Cardinale Sarto: Pio X.

Parlò poi di Don Giuseppe Cafasso, del quale era somma-mente entusiasta, e proprio da questo entusiasmo del Papa, Mons. Salotti ne scriverà la vita nel 1925, quando Pio XI lo pro-clamerà Beato. 28

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Fu poi Mons. Salotti a parlare al Papa di Don Bosco, che con-siderava il più grande apostolo del secolo XIX: grande per la esteriorità della sua opera colossale, ma soprattutto per la sua vita interiore, che aveva perfezionato nella sua vita personale giorno per giorno, con l'esercizio di ogni virtù, da cui nacque poi e si alimentò il suo prodigioso apostolato. E così l'opera dei Salesiani penetrò in quasi tutte le parti del mondo.

Da Don Bosco Mons. Salotti pensò subito al suo primo disce-polo santo, DOMENICO SAVIO, che, disse subito Pio X, è da considerarsi il vero modello della gioventù dei nostri tempi. "Un adolescente, continuò il Papa, che porta nella tomba l'innocen-za battesimale, è certamente un SANTO. La figura e l'opera di Don Bosco invece è troppo vasta e complessa, e richiederà molto studio e molto tempo ".

Mons. Salotti poi si permise di dire al Papa che di Domenico Savio aveva già cominciato a scrivere la vita, nella quale andava raccogliendo non solo quanto ne aveva scritto Don Bosco, ma anche quanto i compagni e i condiscepoli del Savio narrarono di lui, e attestarono nel processo canonico di Torino.

Trascorsi appena 30 giorni da quel colloquio, nel giorno 20 agosto 1914, le campane di S. Pietro annunciavano al mondo la morte di Pio X, che era nato povero, vissuto povero, e morto povero.

Il popolo romano piangeva accorato per la perdita dell'in-comparabile Pastore. Tutti dicevano: "È morto il Santo! E'morto il Santo!" Anche Mons. Salotti andò a visitare la salma del Papa defunto, e si ricordò che Pio X gli aveva espresso il desiderio di avere e di leggere la vita di Domenico Savio, che stava scrivendo.

"Nell'anno seguente, 1915, terminata e pubblicata la Vita di Domenico Savio, discesi nella Cripta di S. Pietro e ne deposi per un istante una copia sulla tomba di Pio X, PERCHE BENEDI-CESSE QUEL MIO MODESTO LAVORO. Poi salii subito al Vaticano, per consegnare quella copia al nuovo Papa Benedetto XV, degno successore di Pio X".

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I RAPPORTI CON BENEDETTO XV IL PRIMO INCONTRO

Mons. Giacomo Delia Chiesa fu promosso alla Sede Arcivescovile di Bologna nel 1907 da Pio X, che il 25 maggio 1914 lo decorò anche della porpora Cardinalizia.

Dopo la morte di Pio X fu elevato al Supremo Pontificato, ed assunze il nome di Benedetto XV, in omaggio al famoso Cardinale Prospero Lambertini, Arcivescovo di Bologna, il quale, elevato al Sommo Pontificato nel 1740, aveva assunto il nome di Benedetto XIV.

Mons. Salotti conobbe il futuro Papa nel 1909, quando que-st'ultimo aveva fatto il panegirico di S. Giuseppe Oriol, del quale 10 stesso Salotti aveva scritto e pubblicato la vita, "lo non ho fatto che saccheggiare il suo libro, disse il Cardinale Della Chiesa ".

"E' stato un felice saccheggio, del quale vado orgoglioso, rispose il Salotti ".

Verso la fine dell'anno 1914, anno in cui il Della Chiesa fu eletto Papa, due piccole nepoti di Mons. Salotti che abitavano con lui a Roma per ragioni di studio, furono ammesse all'Udienza Pontificia: la donna che le accompagnava si permise di dire: "Santità, queste sono le nepoti di Mons. Salotti". "Vi benedico volentieri, disse loro il Papa, ma dite al vostro zio che sono un pò inquieto con lui, perché non si è ancora fatto vedere da me ".

Naturalmente Mons. Salotti chiese l'udienza, che gli venne immediatamente accordata, e trovò il Pontefice assai cortese e amabile, che però si lamentò che le cause di Beatificazione anda-vano troppo a rilento. "Di chi è la colpa?" sembrava volesse dire 11 Papa. 30

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E Salotti parlò chiaro, conforme al suo carattere. "La colpa è di Monsignor la Fontaine, che è un vero apostolo, ricco di virtù sacerdotali, e pieno di zelo per la salvezza delle anime, ma è por-tato più al Ministero Episcopale, che allo studio delle virtù e dei miracoli dei servi di Dio. Ogni uomo sta bene nella sua nicchia: La Fontaine può fare un gran bene altrove, anche come Vescovo di una grande diocesi, perchè ha un bel parlare e molta unzione evangelica: potrebbe operare miracoli di bene ".

Una settimana dopo l'Osservatore Romano pubblicava la nomina del nuovo Patriarca di Venezia nella persona di Mons. La Fontaine.

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MANDATI DI FIDUCIA Dopo la partenza di La Fontaine, nella Congregazione dei Riti

si effettuarono dei cambiamenti. Mons. Salotti venne nominato Sottopromotore, ma continuò a proseguire il suo apostolato, e seppe conciliarlo col nuovo incarico. Il mio scopo, gli disse il Papa, è quello di metterla in carriera. Lei oggi è fuori binario, e potrebbe ricoprire cariche anche più importanti: Io, concluse il Papa, ho qualche disegno sulla sua persona. "Santità, disse Salotti, non si comincia una carriera a 45 anni... " Ma poi Salotti chinò la fronte, e ubbidì.

Nel 1917 stava per uscire il nuovo Codice di Diritto Canonico, e Papa Benedetto incaricò Salotti di rivedere i 143 canoni che riguardavano le cause di Beatificazione e Canonizzazione.

Lavorai una settimana intera, dice, e proposi una quarantina di emendamenti al testo, che mi era stato consegnato. Stesi la mia Relazione, della quale inviai una copia al Papa ed un'altra al Cardinal Gasparri, Presidente della Commissione... e, in una ventina di giorni, si condusse a termine il lavoro di revisione. Papa Benedetto rimase soddisfatto della mia collaborazione, e mi nominò Consultore della Commissione Pontificia per l'inter-pretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico.

Nello stesso anno 1917 si discussero, presso la Congregazione dei Riti, i miracoli operate per l'intercessione della Beata Margherita Maria Alacoque. Nacque un aspro con-trasto per l'attribuzione di un miracolo, avvenuto nel Santuario di Pompei, ma dopo lunghe preghiere rivolte a Margherita Maria Alacoque. Vari contrasti fra Cardinali e consultori: Mons. Salotti ci pregò a lungo, nel silenzio e nel nascondimento; ristudiò la causa sotto ogni punto di vista,e, dopo un lavoro di 15 giorni, e 15 notti, stese 57 pagine stampate in fogli di protocollo, che tra-smise al Papa. All'indomani Benedetto XV abbracciò Salotti, approvando la sua opera. 32

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Il 4 dicembre 1917 il miracolo tanto contrastato riportò 34 voti favorevoli e due soli contrari.

Il 13 maggio 1920 la Beata Margherita Maria Alacoque venne Santificata.

IL BEATO ROBERTO BELLARMINO Nell'agosto 1918 fu ripresa la causa di Beatificazione del

Cardinale Gesuita Roberto Bellarmino. Il Papa ne parlò a Mons. Salotti, al quale poi diede l'incarico di farne subito uno studio fondato su documenti storici, e di pubblicarlo.

Il titolo fu: "Per la Causa di Beatificazione del Venerabile Roberto Bellarmino, Cardinale ".

Le virtù del Bellarmino erano già state discusse, sempre con giu-dizio favorevole, da Clemente X, Innocenzo XI, e Benedetto XIV.

Ma non uscì il Decreto della eroicità delle sue virtù, per l'op-posizione violenta dei Gallicani e dei Giansenisti. Il Decreto fu rimandato ad altro tempo, quando si sarebbero calmate le pas-sioni di parte.

Mons. Salotti propose al Papa che poteva oggi con sicura coscienza emanare il Decreto, (come certamente lo avrebbe ema-nato il Papa Lambertini verso la metà del settecento), perché oggi si erano scoperti molti altri documenti. Infatti, interrogati, i Cardinali e i Consultori dettero un voto unanime: e Benedetto XV potè emanare il Decreto, che proclamava le virtù eroiche del Cardinale Roberto Bellarmino.

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UNA PROTESTA DIPLOMATICA Nel gennaio 1920, nella Chiesa di Sant'Agata dei Goti, lette-

ralmente gremita, Mons. Salotti, con parola commossa, ed in forma elettissima, tratteggiò la vita di Mons. O'Riordan, defun-to Rettore del Pontificio Collegio Irlandese, il suo grande amore per la gioventù, per l'Irlanda e per il Papa. Quando Mons. Salotti parlò dei Martiri della Chiesa Irlandese, l'uditorio ebbe un fre-mito di commozione per la cara e sventurata isola dei santi.

Ma il rappresentante dell'Inghilterra, che era presente, prote-stò ufficialmente. Benedetto XV, incontrando Salotti, gli domandò che cosa avesse detto in quel discorso, e, ascoltatone il contenuto, esclamò: Ora comprendo!... VERITAS PARIT ODIUM.

QUALITA' EMINENTI DI PAPA BENEDETTO Anzitutto mi colpiva la sua signorilità, semplice, naturale,

cordiale. Era signore nella parola pronta e schietta, che gli usciva dal

labbro con un sorriso, il quale gli conciliava simpatia e riveren-za.

Signore nel tratto acquisito, alieno da ogni affettazione. Signore nel compatire chi avesse errato. Signore nel perdona-

re chi, prima o durante il suo Pontificato, lo avesse offeso o ne avesse criticato gli atti.

Quando veniva a sapere che qualcuno si trovava in miseria, gli inviava subito un largo aiuto con amorosa delicatezza.

Donava con una generosità che sorprendeva. Soleva dire, con vera soddisfazione, che più dava e più la Divina Provvidenza gii veniva incontro.

Altro pregio eminente,fu il candore della sua anima... 34

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Nei miei riguardi seguitò a volermi bene, ed a mantenermi costantemente la sua stima. Di me soleva dire: Salotti aborre dalla cortigianeria; mi parla chiaro e forte; il suo linguaggio è sempre espressione della sua schiettezza e del suo carattere.

Ci teneva alla reputazione di oratore: in una Beatificazione pronunciò uno dei suoi discorsi, del quale lui stesso rimase assai soddisfatto. Disceso dal Trono, mentre i Prelati gli si affollavano attorno, congratulandosi della sua magnifica allocuzione, agitan-do la testa, disse: "Sentiamo il critico: dov'è Salotti?". Venni avanti, e risposi: "E stato uno dei suoi migliori discorsi: robusto, efficace, e soprattutto commovente. Non così quello di domenica scorsa intorno ai giovani martiri dell'Uganda, la cui immola-zione sul rogo si prestava assai bene per un discorso di maggior calore ".

11 Papa se ne andò, esclamando: Già, già: tra noi due c'è gelo-sia di mestiere.

Mons. Migone Giuseppe, allora suo segretario particolare, mi riferì poi che il Pontefice gli disse: Salotti ha ragione: è proprio così.

Nella scorsa domenica, pur trattando un tema bello e attraen-te, come era quello dei Martiri dell'Uganda, non fui soddisfatto.

Conviene tener conto dei giudizi di Salotti, sempre compe-tente in materia, e sempre sincero.

A CONTATTO DI PIO XI UNA SORPRESA ED UNA UDIENZA

Il 6 febbraio 1922 Achille Ratti, Cardinale e arcivescovo di Milano, veniva elevato al soglio di S. Pietro, prendendo il nome di Pio XI.

Sapevo solo che era un grande erudito, che era stato Prefetto della Biblioteca Ambrosiana e poi della Vaticana, e che per alcu-ni anni aveva retto la Cattedra di S. Ambrogio e di S. Carlo a Milano.

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Dopo la sua Incoronazione, dette udienza anche alla Congregazione dei Riti, di cui anch'io facevo parte, quale Sottopromotore ed Assessore. Gli venni presentato dal Prefetto con le parole: "Questi è Mons. Salotti". Pio XI mi fissò bene in volto, ed esclamò: "Noi ci conosciamo. Ci siamo veduti a Roma nel 1914, durante i processi di Beatificazione di Contardo Ferrini. Parlammo per più di tre ore, ed io la lasciai sempre par-lare... Riportai ottima impressione di lei, Monsignore, intorno alla Curia Romana e al mondo ecclesiastico. Durante la mia permanenza in Polonia, leggevo con interesse sui giornali i sunti delle sue Conferenze. Lessi avidamente il suo libro "Le crisi della Società contemporanea". "Tutto questo dimostra che lo conosco bene ".

Dopo neanche tre mesi, mi diede l'incarico di presiedere il Congresso di studi sociali in Roma... Acquistai così una certa confidenza col nuovo Papa, e mi azzardai di dedicargli il libro che stavo scrivendo: "La vita della Beata Anna Maria Taigi secondo la storia e la critica". Ma, ricevuto in udienza, gli dissi: "ho saputo che Vostra Santità non accetta dediche se prima non conosce il libro ".

Certamente, disse il Papa, ma per Mons. Salotti si può fare un 'eccezione ".

"Grazie, Santità" rispose Salotti. "I suoi periodici, Monsignore, sono chiari, dignitosi, armoni-

ci: si leggono con gusto e soddisfazione. Lei ha uno stile che io le invidio".

Questa prima udienza lasciò nel mio animo una impressione incalcolabile... Alla prima occasione mi nominò Promotore Generale della Fede.

IL CARATTERE DEL PONTEFICE Il migliore elogio che possa farsi di un uomo, è quello di poter

dire: "E un uomo di carattere ". 36

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Attraverso le molte udienze, mi accorsi che si poteva entrare in qualsiasi argomento, purché si trovasse la maniera di farlo con discrezione.

Un giorno, a colloquio col Papa, che opponeva sempre nuove riflessioni al mio punto di vista, dissi: "Padre Santo, parlerò come il Manzoni scriveva nell'ultima pagina del suo romanzo: Se non vi abbiamo contentato, credete pure che non l'abbiamo fatto apposta ".

Il Papa sorrise, e mi fece osservare che quella frase, il Manzoni, l'aveva scritta nell'ultima pagina della introduzione, e non nell'ultima del romanzo.

Ma io risposi: "Ho l'impressione che quella frase si trovi pro-prio nella conclusione del romanzo ".

Il Papa afferrò il volume del Manzoni, e si mise a leggere a voce alta nella pagina da me citata... ma poi si arrestò, e disse con amarezza: "Questa volta ha ragione Lei". E i rapporti tra me e il Pontefice non cessarono di essere cordiali. LA GRANDEZZA DEL SUO CUORE

Un Prelato mio amico, un giorno mi disse: "Tu fai l'apologia del Papa, ed è giusto, perché è un uomo di vasta dottrina, ma gli manca qualche cosa!... ". Che cosa, gli domandai? "Gli manca il cuore, " rispose.

Infatti riversa milioni e milioni per i Seminari, le Chiese, le Case Parrocchiali... ed è restio a fare quelle piccole elemosine che potrebbero confortare tante famiglie povere... Gli risposi: Il Papa provvede ai bisogni innumerevoli della Religione, del Clero e della Gioventù: per le piccole e talvolta anche vistose elemosine, il Papa provvede per mezzo della Elemosineria Apostolica, la quale elargisce a nome suo; e proprio a me il Papa ha confidato più volte che, nelle ore serali di ogni domenica, con i suoi segretari, legge ad una ad una le diverse suppliche, e per ciascuna assegna la cifra che ritiene più conveniente.

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Fu chiamato anche "Il Papa delle Missioni", verso le quali si prodigò generosamente, e senza limiti.

Pio XI ebbe cuore anche per me, sebbene non sempre l'aves-si meritato. Si interessava amorevolmente della mia salute, e, più di una volta, scorgendomi pallido e dimagrito, mi disse: "Lei lavora troppo: non le bastano i lavori di Congregazione, ma si profonde anche in discorsi e conferenze ".

Gli risposi: Lei spesso mi ripete che il mezzo per vincere la stanchezza è quello di cambiar lavoro. Ed io faccio così.

Il 4 novembre 1927 il Papa mi attendeva in Vaticano con urgenza: mi disse alcune informazioni, e mi congedò. Ed io osai dirgli: "Mi dia una benedizione speciale, perché oggi è la mia festa: il 4 novembre è S. Carlo, ed io mi chiamo Carlo ".

È vero, fece il Papa; ma, avendo sempre in bocca: Salotti -Salotti - non pensavo al nome di Carlo. Oggi le dò una doppia benedizione: una come Vicario di Cristo, e l'altra come succes-sore a Milano di S. Carlo Borromeo. OGNI UDIENZA ERA UNA SCUOLA

Nei continui contatti con Pio XI, durante i suoi diciassette anni di Pontificato, ebbi molto da imparare. Era una mente enci-clopedica, che possedeva tesori di erudizione. Nei vari generi di letteratura, nella storia, nella filosofia, nel diritto era talmente versato da portare sempre una nota nuova e geniale.

Non si pubblicavano libri di qualche valore che non passasse-ro per le sue mani.

Un giorno, discorrendo su Antonino Anile, mi chiese se io ne avessi letto il libro "Bellezza e verità delle cose ": volle sapere il mio giudizio; e poi Lui ne fece un tale commento che dimostra-va di conoscerlo a fondo. 38

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Su l'opera di Idelfonso Schuster mi interrogò se la conosces-si: io risposi che era venuto alla luce il 5° volume, e mi chiese di quale materia trattava, non perché non la conoscesse, ma perché voleva scoprire se io, quale membro della Congregazione dei Riti, tenessi dietro a quegli studi liturgici.

Con grande diletto ragionava con me anche di alcuni eminen-ti uomini del secolo scorso, tra i quali l'Abate Antonio Rosmini.

Lo stimava un degnissimo sacerdote e scrittore, e ne esaltava l'ingegno, la dottrina, la soda pietà, l'amore alla Chiesa.

Avendogli io detto che si stava per costruire un processo canonico per promuovere la Beatificazione di Rosmini, il Papa, dopo di essersi raccolto un poco in silenzio, mi dette ordine di provvedere perché quel processo fosse sospeso. Il Papa era un sincero ammiratore di Rosmini, ma, come pontefice, sentiva il dovere di doverne parlare con molta prudenza.

Verso Alessandro Manzoni nutrì una grande ammirazione: era il suo autore prediletto. Consultava ancora spesso, da Papa, "I Promessi sposi", le Poesie Manzoniane, specialmente gli Inni Sacri: "Veri capolavori, diceva, che ogni italiano colto dovrebbe sapere a memoria ".

Un'altra figura, sulla quale godeva intrattenersi, era quella di Don Bosco. Lo aveva conosciuto personalmente nel 1883, e ne aveva concepito una altissima stima, che poi maturò attraverso le indagini dei processi canonici del Fondatore dei Salesiani. E fu proprio Lui a Beatificarlo e Santificarlo.

Pio XI morì la mattina del 9 febbraio 1939, alle ore 5,30. Io, la sera stessa, tenni una conferenza intitolata : "La cate-

chesi cristologica di Pio XI". Era come il tributo di affetto e della gratitudine, che mi lega-

va a quel grande Pontefice, il quale, oltre ad avermi onorato della sua stima e benevolenza, mi aveva elevato, al di sopra di ogni mio merito, agli splendori della "Porpora Cardinalizia ".

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DI FRONTE AL FASCISMO DOPO LA MARCIA SU ROMA

Il 28 ottobre 1922 il fascismo, inalberando la bandiera della rivoluzione, entrava in Roma, ed assumeva i pieni poteri dello Stato. Quella marcia fu preceduta, accompagnata e poi seguita per dividersi anni da continui atti di violenza: manganello, olio di ricino, aggressioni quotidiane e notturne per le vie e nelle case, che spaventavano e disorientavano tutti.

"Potevo sprangare il parlamento, dirà Mussolini, e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho volu-to".

Venne però il secondo tempo, e coloro che non piegavano il capo al fascio erano esclusi dai pubblici uffici, perseguitati ed anche oppressi.

Le vendette più atroci si facevano in ogni lembo di terra, ed anche la stampa esaltava la violenza.

Don Minzoni e Matteotti vennero immolati dall'odio fascista; e la stampa esaltava la violenza.

Si incendiavano le Sedi dei Circoli cattolici, si sfregiavano i Crocifissi, e i ritratti dei Papi. Ma la mia anima di cittadino e di sacerdote non si piegò mai di fronte alla dittatura.

UN CURIOSO EPISODIO INALBANO In occasione del settimo centenario della morte di S.

Francesco (1226 - 1926), a me fu riservato l'onore della prima Conferenza, ad Albano Laziale.

Era stato inviato un telegramma al santo Padre, fra una gene-rale indifferenza ed appena qualche applauso. Ma quando si lesse il telegramma per il Duce, il pubblico si alzò in piedi, agitando i gagliardetti, ed acclamando. 40

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Io solo, che ero sul palco della Presidenza, mi rifiutai di alzar-mi in piedi, ma poi, dovendo parlare su S. Francesco, mi alzai, e mi intesi spinto a mandare un saluto alla grande madre Italia, che, col suo genio, e la sua fede, ha sempre dominato spiritual-mente il mondo.

Quell'esordio, in un periodo che non finiva mai, con la foga giovanile di quel tempo, in sostanza diceva: Italia, Italia, tu che hai conosciuto la forza e il segreto del dominio del mondo, e mandasti le tue Aquile alla conquista di tutte le regioni, e diffon-desti quella sapienza giuridica, che fu base e fondamento di tutte le leggi, e che, con Pietro, spandesti dappertutto i tesori della verità fra tutte le genti, e col sangue dei martiri, rinsaldasti il carattere degli Italiani; Tu che spingesti sui mari le navi mercan-tili di Genova, Pisa e Venezia; tu che ispirasti l'epopea di Dante, e con Tommaso di Aquino scrivesti la Somma, e con Raffaello e Michelangelo creasti i più grandi capolavori dell'arte; con Galileo svelasti i segreti del cielo, e con Cristoforo Colombo sco-pristi l'America... Tu che mandasti, al di là delle Alpi e dei mari, legioni di artisti, maestri e scienziati...

Tu che hai donato all'umanità i nostri Santi, e hai plasmato lo spirito del Poverello di Assisi, che ha affascinato i secoli con la potenza dell'amore e con il linguaggio della fraternità umana... Tu, o Italia, sei la nostra vita, il nostro vanto, la nostra gloria... O Italia, madre di un grande popolo, inchinandomi davanti a te, come l'ultimo dei tuoi figli: ti amo, ti venero, ti acclamo.

L'uditorio, visibilmente commosso, proruppe nel grido una-nume:

Viva l'Italia!... 41

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Era quello che desideravo. E nel mio appassionato discorso dimostrai che questa Italia tanto acclamata è l'Italia di Cristo e di S. Francesco. Perciò tutto quello che si fa oggi in opposizione a Cristo ed alla sua Chiesa, costituisce un attentato alla grandezza e all'avvenire della patria stessa. "Molti di quei fascisti si guar-darono in faccia, e mostrarono di aver capito la lezione". PADRE SANTO, DIFFIDI DI QUELL'UOMO!

Passo ora ad un fatto che si collega coi Patti Lateranensi. Era il novembre 1928. Pio XI si era chiuso in un rispettoso

silenzio. Mi venne il sospetto che qualche cosa si preparasse segretamente.

Ricevuto in udienza, prima di congedarmi, volli parlare al Papa con sincerità. "Padre Santo, non si fidi di Benito Mussolini, malgrado le sue affermazioni di ossequio alla Religione: è ben capace di ogni tradimento e di ogni persecuzione ". Il Papa mi rispose: CARO SALOTTI: Preghiamo.

L' 11 febbraio 1929 furono sanciti i Patti Lateranensi. Il 13 maggio successivo un discorso di Mussolini, violento e

anticattolico. Due sere dopo, in presenza di Pio XI, accennai a quel discor-

so di Mussolini, e mi rispose: "Non avrei mai immaginato che un uomo di governo fosse trasceso a tanta bassezza. Poi aggiunse: Lei questa sera parte per Torino, per assistere alla esumazione della salma di Don Bosco, la cui beatificazione è ormai vicina. Monsignore, nel celebrare la S. Messa, abbia questa intenzione, che Don Bosco, che tanto amò l'Italia, mi aiuti dal cielo in que-st'ora, per la responsabilità che ho assunto davanti a Dio e agli uomini ".

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I MORTI PESANO ! Il 15 febbraio 1930, nella Chiesa del Gesù a Roma, affollatis-

sima di popolo, tessevo il penegirico dei martiri inglesi trucidati sotto Enrico Vili e la regina Elisabetta, la quale, in 40 anni di regno, aveva cercato di sterminare tutti i suoi sudditi di fede cat-tolica.

Negli ultimi anni del suo regno, visioni spaventose le appari-vano di giorno e di notte: erano i rimorsi di tanti delitti e di tante carneficine da lei compiute.

Nel descrivere al mio uditorio lo stato d'animo della Regina morente, mi venne in mente la frase che in Parlamento aveva pronunziato il Capo del Governo italiano, dopo l'assassinio di Matteotti : I MORTI PESANO!...

Nella folla che mi ascoltava quella frase suscitò una profonda emozione. Disceso dal pulpito, fui circondato da molti uditori, che temevano per me.

Ma non accadde nulla. LE PRETESE DI UN GIORNALISTA

Nel luglio 1934, nell'Istituto Salesiano di Roma, intitolato a Pio XI, si faceva la premiazione degli alunni migliori.

Non mancarono discorsi, ma ogni discorso di quei signori ter-minava con la consueta esaltazione del Duce, che con quell'Istituto non aveva nulla a che vedere.

Parlai anche io a quei cari giovani, e li esortai a portare nelle loro case il ricordo del grande educatore Don Bosco.

Terminato il pranzo, in una saletta vicina, mi si fece avanti un giornalista, che mi rivolse un rimprovero: "Eccellenza, mai dalla vostra bocca è uscita una parola di plauso all'uomo che guida le sorti della nostra Patria. Riempite, Monsignore, questa lacuna, e i vostri dicorsi raggiungeranno la perfezione ".

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Mi alzai di scatto e, con accento vibrato, risposi: Caro signo-re, sarebbe ora di finirla con questa idolatria verso Mussolini, del quale avete fatto un Dio. Con questo vociare: Duce... Duce...Duce...voi provocate, più che l'ammirazione, il disgusto del popolo italiano. Oggi, durante il pranzo, non avete fatto altro che bruciare incenso al Duce. Forse egli ignora questo Istituto, e certamente non ha dato alcun contributo per erigerlo o per costruirlo. Siete qui in un Istituto che prende il nome di Pio XI, che ha dato impulso alla sua fondazione, e ha elargito i primi milioni per costruirlo, insieme alle scuole professionali e alla vasta e magnifica Chiesa a favore di questo quartiere popolare.

Nessuno di voi ha mandato un saluto riverente a Pio XI, e pre-tendevate che io avessi inneggiato al vostro duce.

Per la verità quei signori, levatisi in piedi, vennero tutti a stringermi la mano, mentre il giornalista, che aveva provocato l'incidente, ebbe il buon senso di dileguarsi.

LA STAMPA ITALIANA TACE 1938 - 1 legami tra Fascismo e Nazismo si stavano stringendo

e, a Roma, si celebravano le feste di un Martire Polacco del Seicento, che si chiamava Andrea Bobola, e fu un vero apostolo di carità e fraternità. I carnefici gli gridavano: Rinnega la tua Fede Romana.

Il Cardinal Salotti ne fu l'oratore ufficiale a Roma, e si sof-fermò alquanto proprio su quella frase. È questo, disse, il solito motto di tutti i nemici di Cristo, che, nella fede di Roma, vedo-no un ostacolo alle loro mire. Così si è gridato in Russia dai "Senza Dio", così nelle recenti persecuzioni del Messico e della Spagna, e così oggi anche in Germania. Si stava allora intrec-ciando l'Asse Roma-Berlino, il "Patto d'acciaio", che prepara-va la guerra, che ci ha travolto, e stava per incominciare quella persecuzione subdola, raffinata, studiata, e attuata giorno per giorno, per strappare la Fede Romana a 30 milioni di cattolici tedeschi.

Tutti gli uomini liberi apprezzarono il coraggio del Cardinal Salotti, che difendeva con forza le trame dei nemici della Chiesa, che erano anche i nemici della nostra Patria. 44

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LE ULTIME TRAGICHE VICENDE RESPINTA UNA PREGHIERA ALLA MADONNA

Il 30 maggio 1943, nella Chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma, chiudevo un mio discorso con una preghiera a Maria per-ché, quale Castellana d'Italia, salvasse la nostra Patria. Quella preghiera fu presentata al Duce dal Segretario politico Carlo Scorza, perché la leggesse e autorizzasse a farne una larga diffu-sione.

"È una bellissima composizione del Cardinale Salotti. Può giovare a tener viva la speranza nella vittoria ".

Il Duce la respinse sdegnosamente. Fu stampata e riprodotta a milioni di copie, e diffusa per

mezzo dei nostri aeroplani in ogni angolo della penisola. Venne recitata in tutte le Chiese e nelle singole case: ogni ceto di per-sone ne trovavano tanto conforto in quelle ore di angoscia. Ascoltiamola.

"O Maria, madre di quel Cristo che agonizzò sulla Croce, per stabilire fra gli uomini il patto di una fraternità pacifica, ricor-riamo a Te in questa ora tragica, la più orrenda e la più terrifi-cante che abbiano visto i secoli; e, fiduciosi nel tuo patrocinio possente, Ti scongiuriamo perché l'umanità contaminata da tanto sangue e scovolta da tanta barbarie distruggitrice, rinsa-visca e ritrovi la sua salvezza.

Tu che fosti sempre venerata dai nostri padri, che consacra-rono al tuo nome superbe e gigantesche Cattedrali, che sulle mura torrite delle cento città Ti dedicarono statue, ricordi impe-rituri di devozione profonda; che impressero la tua immagine benedetta nelle loro monete; che ti cantarono un cantico sublime nel poema di Dante, e sulle tele e sul marmo immortalarono la tua effigie col genio dei nostri sommi artisti; salva la Patria.

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Tu che prestasti una predilezione singolare per l'Italia, dove volesti che fosse trasportata sulle ali degli Angeli la tua Casa di Nazareth, non permettere che piede straniero venga a conculta-re questa terra di Santi e di Eroi, la quale già versò tante lacri-me, conobbe immense sventure, e subì perfino l'onta del fiero servaggio. Tu che acclamata dagli avi nostri Patrona e castella-na d'Italia, ne rivendicasti le libertà comunali sui campi insan-guinati di Legnano, ne difendesti la fede e la civiltà nelle acque di Lepanto, e nell 'ultima guerra ti erigesti sul monte Grappa a baluardo delle italiche milizie; ascolta la preghiera dei nostri soldati, marinai ed avieri, che dalla terra, dal mare e dal cielo ti levano supplicanti le mani, perché il loro eroismo sia degna-mente premiato.

Proteggi in quest'ora di angoscia la Patria, dove tutto un popolo da ogni focolare, da ogni tugurio, da ogni paese, da ogni città, da ogni tempio innalza a Te un grido accorato ma vibran-te di viva speranza. È il grido dei vecchi che ignorano le sorti dei figli, il grido delle spose piangenti, il grido degli orfani che non hanno più padre, il grido dei morti che offrono il loro sacrificio per la salvezza d'Italia.

Levati ancora una volta, o Vergine Santa, nel cielo azzurro della Patria, e contemplando le rovine fumanti delle nostre glo-riose città, contro le quali si scagliarono strumenti efferati di sterminio e di morte, distendi il tuo candido manto dalle Alpi rocciose alle Isole appassionate, e, allargando le tue braccia materne dall'una all'altra marina, stringi al tuo petto l'Italia -La benedici - La conforta - La salva. COME VIVEMMO NEI MESI DEL TERRORE

Caduto Mussolini, il 25 luglio 1943, per il Voto del Gran Consiglio, avemmo il governo Badoglio. Doveva essere la fine della guerra. 46

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Invece, dopo la liberazione del Duce dalla prigionia del Gran Sasso, la guerra continuò, anzi peggiorò. Avemmo la guerra civi-le: fascisti contro partigiani: i fratelli contro i fratelli. Tutte le sere la mia abitazione era affollata di gente, sul cui viso era dipinto lo strazio dell'anima.

Oltre duemila persone passarono dinanzi al mio tavolo da stu-dio, per significarmi il loro tormento e i loro bisogni.

La mattina del 19 dicembre 1943, nella mia Cappella privata, battezzai, cresimai, comunicai, e benedissi in matrimonio una famiglia Ebrea, alla presenza dell'Abate Ricciotti, che ne era stato precedentemente l'istruttore della dottrina cattolica.

Il padre di quella famiglia mi disse: Eminenza, non ci siamo convertiti per liberarci dalla persecuzione: la verità è che solo nelle braccia della Chiesa Cattolica abbiamo trovato aiuto e conforto, e abbiamo sperimentato la carità del Papa.

Vogliate Voi, Eminenza, esprimere al Santo Padre tutta la nostra riconoscenza, e devozione.

MIO ATTEGGIAMENTO DURANTE I MISFATTI Nell'esercizio del mio ministero sacerdotale e nei miei discor-

si, ho levata sempre alta la voce per stigmatizzare le infamie commesse a danno dell'umanità, e in modo particolare della nostra Italia.

La mia 5a Lettera Pastorale, dal titolo: "L'ora della tribola-zione e l'ora della speranza", fu pubblicata nella dolorosa qua-resima del 1944: se ne fecero 4 edizioni, che in migliaia di copie circolarono ovunque.

L'11 aprile 1944, in un discorso all'Ospedale del Celio, mi rallegrai con gli ufficiali e i soldati presenti, per il sangue che avevano sparso per la Patria.

Sei giorni dopo, nella Chiesa delle Stimmate, dove si era rac-colto un migliaio di profughi della mia Diocesi di Palestrina, potei consolarli di quel che avevano dovuto provare, di più orrendo, sotto il regime tedesco.

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Voi tedeschi, dissi, siete i discendenti degli Unni e dei Vandali: le vostre carneficine gridano al cospetto di Dio; e i nostri più lontani nepoti, rievocando le vostre gesta infami, non potranno che maledirvi.

Il 21 maggio, nella Basilica di S. Antonio in Via Merulana, dopo il panegirico di S. Bernardino da Siena, terminai con una perorazione a quel gran Santo.

"O Bernardino, sorgi dal tuo sepolcro, e percorri di nuovo le cento città della nostra penisola, e impugna di nuovo la spada della tua parola tagliente a favore delle nostre tradizioni di gen-tilezza e di civiltà ".

Il 24 maggio, nella Chiesa dei Salesiani in Via Tuscolana, sul pulpito mi ricordai di quella festa di Maria Ausiliatrice istituita da Pio VII... e mi tornò a mente il doloroso calvario che Napoleone I fece soffrire a quel santo Pontefice, e dissi che il tiranno finì poi relegato nella lontana isola di S. Elena, e conclu-si: "Quello scoglio rimane là ritto sulle acque dell'Atlantico, in attesa di quei due tiranni che proseguono a martirizzare l'anima e la carne della nostra Italia ".

INCONTRI CON PERSONAGGI DEL SUO TEMPO ROBERTO FARINACCI

Nel mese di novembre del 1940 gli si presentò una donna che, da giovane, avendo seguito le sue Conferenze nella Sala dell'Artistico-Operaia, si era convertita dal Protestantesimo: e voleva ora essere unita in matrimonio secondo la Chiesa cattoli-ca, nella Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, dal cardinal Salotti.

L'ambiente era impregnato di fascismo: gerarchi, gregari e camice nere brillavano nella folla. 48

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In sacrestia fu firmato l'atto matrimoniale: ed uno dei testi-moni che firmarono l'atto era Roberto Farinacci, il despota di Cremona, del quale il Cardinale conosceva bene gli attacchi velenosi, che ripetutamente lanciava sul suo giornale contro la Chiesa, la Segreteria di Stato e l'Osservatore Romano.

"Ma io, Eminenza, sono un buon cattolico, disse Farinacci. Un buon cattolico, disse il Cardinale, che attacca villana-

mente la Santa Sede e le Sacre Congregazioni Romane!"... Farinacci non rispose, e il Cardinale, vedendolo imbarazzato,

cambiò discorso; poi, nel congedarlo, gli stese la mano. Allora Farinacci si fece più coraggioso, ed invitò il Cardinale

a partecipare al banchetto nuziale. "Giacché insiste tanto, rispo-se Salotti, vi autorizzo a rappresentarmi al convito, nel senso che possiate divorare anche la porzione a me destinata". I suoi amici gerarchi si burlarono di lui e gli dissero: "Anche il Cardinale Salotti sa che sei un grand magnone ". Ma egli si con-solava, rispondendo che il Cardinale aveva parlato in quel modo perché noi fascisti godiamo la fama di magnoni...

Più tardi, durante la repubblichetta di Salò, Farinacci si fece forte a screditarmi, da lontano, attraverso la radio, con scioc-chezze che gli meritarono il disprezzo degli Italiani, e una rispo-sta tagliente dalla Radio Britannica.

Fu poi condannato a morte dal popolo di Vimercate, ed ebbe il buon senso di chiamare un sacerdote, a cui affidò la sua coscienza pochi minuti prima di comparire davanti al tribunale di Dio.

Saputa la notizia, io gli perdonai sinceramente tutto il male fatto all'Italia e ai suoi connazionali, perché "oltre il rogo non vive ira nemica ".

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GALEAZZO CIANO Appena fu nominato ambasciatore d'Italia presso il Vaticano,

si accinse a far visita agli eminentissimi Cardinali. Al Cardinale Salotti fece sapere che lunedì alle ore 12 sareb-

be stato da lui, ma Salotti, che teneva il telefono a portata di mano, rispose prontamente: "Il Cardinale Salotti, lunedì alle ore dodici, ha i suoi impegni, e perciò non può riceverlo ".

All'indomani la stessa voce, in tono alquanto dimesso, chie-deva: "Sua Eccellenza Ciano desidera sapere in quale giorno ed ora il Cardinale può concedergli udienza". Il Cardinale gli fece sapere: "Adesso ci siamo. Potrà venire giovedì prossimo alle ore 11 ".

E in quel giorno, che fu il 25 marzo, si incontrarono nello stu-dio del Cardinale, il quale iniziò subito la conversazione, doman-dando se era vera la voce che lui, Ciano, era contrario alla unio-ne con la Germania, ed alla guerra a fianco della medesima...

Ciano cominciò a parlare, e parlò a lungo. Il suo discorso fu una violenta diatriba contro la Germania, che ci tradiva subdola-mente prima e dopo il patto d'acciaio. "Mussolini, disse, era ed è rimasto uno schiavo di Hitler, e un fantoccio nelle sue mani ".

Il colloquio durò più di un'ora, durante la quale potei cono-scere l'animo di Ciano. Me lo avevano descritto come privo di cultura.

Dovetti ricredermi. Citava, secondo l'opportunità, versi di Dante, e sentenze di autori appropriati a quanto si discuteva. Delle vicende secolari d'Italia, della sua missione nel mondo, dei suoi rapporti con la civiltà universale, aveva idee larghe e preci-se. Notai in lui una sincerità, che mi dette l'impressione che il fondo della sua anima non era cattivo. Dopo circa'30 giorni, un Principe romano mi disse che il Conte Ciano desiderava un nuovo contatto con me, in un giorno a colazione: era il 2 giugno 1943. 50

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"Mi rallegro con Vostra Eccellenza, dissi; perché ho appreso che Lei ha compiuto, insieme agli altri ambasciatori cattolici, il Precetto pasquale, e con molta compunzione ed edificazione... E so anche che Lei, educato da sua madre a principi cristiani, educa agli stessi princìpi i suoi figlioli".

Sì, rispose: i figli sono miei, ed io mi interesso personalmen-te della loro educazione religiosa.

Sò che il più grandicello è iscritto all'Azione Cattolica, e sò anche che Lei, Eccellenza, ha dato in scritto il suo assenso.I miei figli sono buoni: glieli farò conoscere, e sono sicuro che li pren-derà sotto la sua protezione. Dopo la colazione, passammo in una sala, dove rimanemmo soli per circa due ore, discorrendo delle vicende del momento politico - militare. L'Italia, dissi và verso la catastrofe: è giunta l'ora in cui il Fascismo sta per essere rove-sciato. "La pera è matura, e, quando è matura, cade da sé". "Il regime cadrà per volontà del popolo perché il popolo soffre e freme. Io penso che il Gran Consiglio potrebbe essere convoca-to. Lei, che ne fa parte, quale atteggiamento prenderebbe? -

Non rispose. Ci separammo cordialmente. Ma il 25 luglio cadde il Regime

fascista: e il nuovo Governo Badoglio concluse l'armistizio. Mussolini, tornato alla ribalta del comando dopo la liberazio-

ne del Gran Sasso, proclamò la Repubblica Sociale. Ma infuriò la guerra civile.

Il Conte Ciano venne arrestato e condannato a morte. Fu munito dei conforti religiosi, ma non gli fu concesso di rivedere i suoi figli. Ripensai allora, con l'anima addolorata, a quelle sue parole: "Sono sicuro che li prenderà sotto la sua protezione".

A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che il cardinale Salotti sia stato un uomo terribile, un aggressore capace anche di brandire un spada e colpire l'avversario... No! Tutto il contra-rio...

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Egli ebbe un temperamento di estrema sensibilità; ma non poteva rimanere indifferente tra la verità e l'errore: prendeva subito fuoco e si lanciava nella lotta, quando per difendere, quando per assalire. Era sempre in trincea, cioè in zona di com-battimento, sempre senza timore di alcuno, e senza preoccupa-zione della sua salute o dei suoi interessi, pur essendo come uomo molto mite. Quando le squadriglie di aeroplani nemici apparivano nel nostro cielo, egli impallidiva come un bambino. Quando si verificavano scosse anche leggère di terremoto, non sapeva mantenersi calmo.

Quando vedeva un infelice, sofferente di malattia o di fame, non riusciva più a prendere sonno. GIOVANNI GENTILE

Il 25 luglio 1939 venne beatificato Giustino De Jacobis, Apostolo della terra Africana, la cui figura sfolgorava nella glo-ria del Bernini, nella Basilica di S. Pietro: fu chiamato il model-lo dei Missionari, perché, sui campi dell'Etiopia, unica nazione cristiana in tutta l'Africa, aveva arditamente alzata la bandiera della civiltà cristiana... Io, dice il cardinal Salotti, fui invitato a commemorare il De Jacobis nell'Università di Pisa, la sera del 14 marzo 1940, dinanzi a tutte le autorità civili ed ecclesiastiche, e a una folla di studenti, di professori e di popolo.

Fin dal principio del mio discorso avevo notato un personag-gio, che ascoltava con grande attenzione, assentiva frequente-mente col capo, e spesso prendeva l'iniziativa degli applausi. Ma chi fosse costui lo ignoravo. Era una figura imponente e dignito-sa: alto, pingue, dalla capigliatura folta e candida: era GIO-VANNI GENTILE.

Terminata la conferenza, desiderò di essere a me presentato: e questo lo fece lo stesso rettore. E il Senatore Giovanni gentile, con molta cortesia, mi disse: Eminenza, ma Lei si è spaventata al mio nome! 52

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E Salotti: sì, ho sempre ammirato il suo ingegno e la sua vasta cultura, ma ho combattuto in ogni occasione le sue dottrine filo-sofiche . Mi ha combattuto non solo nei suoi discorsi, ma anche nelle sue pubblicazioni, che ho letto sempre con interesse...

Giovanni Gentile mi parve commosso, ed io continuai: pro-fessore, ora comprendo perché tutte quelle migliaia di giovani dei suoi 40 anni d'insegnamento hanno conservato per lei una grande venerazione: perché l'uomo è migliore del filosofo.

Rimase soddisfatto di questa mia affermazione, "perché l'uo-mo è migliore del filosofo", e rispose: "Vede dunque, Eminenza, che il diavolo non è poi così brutto come si dipinge ".

Due anni dopo mi invitò a Forte dei Marmi, per l'inaugura-zione di quella Chiesa, sorta per sua iniziativa e con l'appoggio di alcuni suoi amici, fra i quali il Barone Aloisi. Mi recai a Forte dei Marmi, per l'inaugurazione di quella Chiesa, che era dedica-ta a S. Francesco d'Assisi. Mentre parlavo, intravidi al mio fian-co Giovanni Gentile, che da pochi mesi aveva perduto il suo figlio anch'esso di nome Giovanni, e ne aveva l'anima ancora straziata. Notando quel dolore paterno, spiegai che le opere com-piute in onore del culto dovuto a Dio, hanno valore e merito, e l'erezione di quel tempio, voluto per sua iniziativa, avrebbe suf-fragato l'anima del defunto figliolo.

Curvò il capo, e lo vidi piangere, il che provava che i suoi sen-timenti religiosi non erano affatto spenti.

All'indomani ebbi un colloquio con la sua consorte, che mi raccomandò tanto la conversione del marito e che ne conservas-si l'amicizia.

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Il suo Giovanni le era stato sempre fedele, aveva il culto della famiglia; e la sera, quando si recitavano le orazioni, si trovava sempre in mezzo a loro, felice di assistere alle preghiere comu-ni. Infatti, prima di partire, invitato al loro villino, rimasi edifi-cato del contegno di quella famiglia, e specialmente di quei pic-coli nepoti, che, interrogati da me intorno al catechismo, rispon-devano con una precisione che mi sorprese.

Il 10 agosto mi accomiatai. Ma il prof. Gentile mi chiese se gli permettevo di accompagnarmi a Roma. Così, per più di 5 ore, nello scompartimento a me riservato, io e lui soli, l'uno di fron-te all'altro, parlammo e discutemmo liberamente a cuore aperto. La conversazione si svolse in buona parte intorno alla figura di Benito Mussolini, l'uomo del giorno, ma la cui fama andava declinando sensibilmente nella pubblica opinione.

Chiesi al Gentile quale reputazione, negli ambienti culturali, accademici e universitari, godesse il Duce. "Dieci su mille " mi rispose. E perché? La ragione va trovata nelle delusioni subite da tutti gli intellettuali.

Riguardo alle opinioni religiose del Duce, parlai io, raccon-tandogli quanto avevo appreso da S. E. Mons. Facchinetti vesco-vo di Tripoli.

Questi, invitato dal Duce per amministrare la Cresima ai suoi ultimi figli, non vi trovò in casa nessun simbolo religioso, non una croce, nessuna immagine della Madonna. Dovette provvede-re a tutto, e si servì di un pianoforte che attrezzò ad altare.

Il Vescovo, terminata la cerimonia, salutò i presenti col salu-to cristiano: Sia lodato Gesù Cristo! Mussolini, che, durante la cerimonia, era restato sempre in piedi, in fondo alla sala con le braccia conserte, rispose prontamente e forte: "Sempre sia loda-to".

Il Prof. Gentile rimase stupito e interdetto, ed esclamò: "Che commediante!... ".

Alla stazione di Roma, col prof. Gentile ci separammo da buoni amici... La sua morte avvenuta misteriosamente a Firenze, non meritava di essere realizzata per mano di un sicario!... 54

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CARDINALE E VESCOVO DI PALESTRINA Il Cardinale Salotti venne creato cardinale, insieme al

Cardinal Tedeschini, il 13 marzo 1933; ma il suo nome non fu pubblicato che 33 mesi dopo, nel Concistoro del 16/XII/l 935.

Toccò a Lui l'onore di ringraziare il Santo Padre, a nome di tutti i suoi colleghi!

Ci piace trascriverne almeno alcune frasi. "Commossi dall'alto attestato di benevolenza, datoci dalla

Santità Vostra coli 'elevarci alla dignità della Porpora, ponendo-ci sul candelabro dinanzi al mondo, sarà nostra cura di onorar-la con la dignità del carattere, con la generosità delle opere, e di irradiarne lo splendore della santità della Chiesa.

Vi assicuriamo, Padre Santo, che per noi la Porpora non sarà il riposo dovuto alle fatiche di ieri, ma stimolo e sprone ad altre attività a servizio della Chiesa. Noi vogliamo essere i vostri più fervidi collaboratori nelle incombenze che ci verranno affidate, in questo Vostro Pontificato così ricco e fecondo d'iniziative geniali e di opere grandiose.

La porpora è simbolo di sangue; e di sangue fiammeggia la storia della Chiesa. Vi assicuro, Padre Santo, che per noi la por-pora non sarà il riposo dovuto alle fatiche di ieri, ma stimolo e sprone ad altre attività a servizio della Chiesa. Noi vogliamo essere i vostri più fervidi collaboratori delle incombenze che ci verranno affidate, in questo vostro Pontificato così ricco e fecon-do di iniziative geniali e di opere grandiose. La porpora è sim-bolo di sangue; e di sangue fiammeggia la Storia della Chiesa.

E se scoccasse un 'ora torbida, il colore fiammante della por-pora starebbe ad indicarci la via da percorrere: la via luminosa per la difesa del Papa, per i diritti della Chiesa, per la libertà della FEDE".

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LE ONORANZE AL NUOVO CARDINALE Le onoranze più grandiose al novello Cardinale gli vennero

apprestate dalla città di Montefiascone sua Diocesi, da Grotte di Castro suo paese nativo, e da Orvieto per gli studi della sua prima età.

MONTEFIASCONE: È la patria dell'EST, EST, EST!!! Ma ha altri più nobili titoli. Fu detta "La perla dell'Alto Lazio"; pos-siede un panorama tra i più belli d'Italia; vanta un antico Tempio, S. Flaviano, che è meta di visitatori in ogni stagione dell'anno; ed una Basilica Cattedrale con una cupola che per grandezza è la terza d'Italia, dopo quella di Michelangelo a Roma, e quella del Brunelleschi a Firenze. Vanta una Sede Vescovile, che, nel pas-sato, fu residenza di Cardinali famosi, come MARCO ANTO-NIO BARBARIGO, un Vescovo della statura di S. Carlo Borromeo.

Vanta una Fondatrice di Scuole Pie e Maestra di maestre, che presero il nome da Lei, Santa Lucia Filippini, per la cui Beatificazione e Canonizzazione cooperò direttamente il Cardinale Salotti, con grande passione di figlio di questa terra.

Fece il suo ingresso solenne a Montefiascone il lunedi di Pasqua di quell'anno 1936, in mezzo a festoni di verde, alti pennoni, selve di tricolori, e grandi iscrizioni latine dettate dal-l'aurea penna di Mons. Bresciani, che, qualche anno dopo, verrà premiato anche ad Amsterdam...

Alle ore 17 precise l'arrivo, in mezzo ad uno scroscio di applausi: "Viva il nostro Cardinale"! La sua maestosa figura incedeva benedicendo, lungo il Corso Cavour, fra un trionfo di popolo e le Bande musicali di Montefiascone, Marta e Capodimonte. Il Vescovo Giovanni Rosi gli rivolse il saluto della Diocesi, il Podestà Filippo Sciuga quello della cittadinanza. Il Prefetto di Viterbo, Canovai, quello di tutta la Provincia.

L'Eminentissimo risponde a tutti con nobili parole, beneaugu-rando e benedicendo. 56

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Il giorno appresso, nel Salone del Seminario Barbarigo, si svolse alla sua presenza, una riuscitissima Accademia musico-letteraria, durante la quale gli fu offerto un Numero Unico come ricordo, ed un opuscolo latino del Prof. Bresciani.

Nella mattinata successiva, durante il solenne Pontificale, nella vasta Cattedrale, il novello Cardinale saliva sul pulpito, dove, 40 anni prima, aveva pronunciato il suo primo discorso.

La festa terminava con la Benedizione Papale per tutto il popolo di Montefiascone e Diocesi.

Nell'ultima domenica di aprile fece il suo ingresso a Grotte di Castro, suo paese nativo; i Grottani lo accolsero trionfalmente.

Erano a riceverlo tutte le autorità paesane, diocesane e pro-vinciali. Le musiche di Grotte e di Gallese prestarono il servizio d'onore; dalle finestre gettiti di fiori a profusione, grida intermi-nabili di "Viva il nostro Concittadino".

Ai suoi lati: il Vescovo Mons. Rosi e il Podestà Goffredo Di Giovancarlo. Celebrò la Messa nella Chiesa di S. Pietro, e parlò al popolo ricordando la sua prima giovinezza. La gente vorrebbe portarlo in trionfo. Nel pomeriggio: grande corteo alla Chiesa della Madonna del Suffragio per il Te Deum di ringraziamento, e poi si abbandonò ad uno dei suoi discorsi che strappano i con-sensi.

La giornata si chiude in Piazza Fontana Grande, davanti alla casa dov'era nato 66 anni prima.

Il 15 agosto è ad Orvieto, nel cui Seminario Vescovile aveva iniziato e compiuto i suoi studi ginnasiali e liceali. Qui le sue prime amicizie, la sua passione per la letteratura, i primi slanci della sua poesia. Nel vasto salone del Municipio una folla di invitati e tutte le autorità lo attendevano. Il Vescovo, Monsignor Fratocchi, lo accompagnò nell'aula municipale, dove tutte le Autorità acclamavano il novello Cardinale, ex-alunno di quel Seminario.

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Gli fu offerto, a nome della Città, il pregevole volume dell'il-lustre storico Orvietano Luigi Fumi, opera di alto interesse arti-stico e bibliografico, finemente rilegato in cuoio. Sua Eminenza, visibilmente commosso, rievocò il tempo trascorso nel Seminario Diocesano, il suo affetto per gli antichi condiscepoli, la sua simpatia e l'affetto per gli insegnanti, fermandosi poi a lungo sui fatti più salienti della gloriosa storia del Comune di Orvieto.

Nel tardo pomeriggio, ebbe luogo al Vescovado un ricevi-mento di commiato con la partecipazione delle Autorità, del Clero, e degli amici, durante il quale l'Eminentissimo Porporato fu ammirato per la sua conversazione, fiorita e ricca di aneddoti istruttivi, che suggellarono felicemente la giornata.

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VESCOVO DI PALESTRINA Si dovrebbe giustamente pensare che, una volta creato

Cardinale sia giunta l'ora del meritato riposo. Ma il Cardinal Salotti, oltre la Prefettura di Propaganda Fide, (che lo impegna-va abbastanza), continuava a tener conferenze in Roma, a viag-giare ed a scrivere prefazioni di libri, e trasmettere messaggi radiofonici. L'undici dicembre 1939 optò per la Diocesi di Palestrina, dove spesso, nel Convento dei Trinitari, aveva passa-to periodi di meritato riposo. Ma il Cardinal Salotti continuava anche a tener conferenze in Roma e nelle città dov'era spesso invitato.

Eletto Vescovo di quella Diocesi Suburbicaria, ne prese pos-sesso il 6 gennaio 1940, e il 25 aprile ne faceva l'ingresso, al quale non solo la città ma la Diocesi tutta volle partecipare, con le più elette rappresentanze religiose e civili. Nella vasta Cattedrale fu cantato un solenne Te Deum di ringraziamento, e poi, imposto il silenzio, cominciò a parlare quasi ispirato e affa-scinante. Qualche frase. "Tra me e voi è corsa già una corrente di simpatia reciproca e di affetto...Voi avete già conquistato il mio cuore, ed io ho la sicurezza di aver conquistato il vostro ".

Il Capitolo della Cattedrale e il Podestà, secondo un antico costume, gli offrirono due vitelle, che Egli destinò ai poveri.

C'era tanto da rifare in quella Diocesi. Riaprì il Seminario, che era chiuso da sette anni, provvedendo Lui stesso alle spese.

Durante la guerra, che fece dànno alla città ed al Seminario, provvide subito ai necessari restauri. Visitò personalmente, a dorso di mulo, tutte le parrocchie, situate spesso sul culmine delle colline e delle montagne. Quei montanari non avevano mai veduto una porpora Cardinalizia.

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Egli voleva conoscere i suoi preti e il suo popolo, per cono-scere i loro bisogni. Fece con loro i pellegrinaggi ai cimiteri, consacrò i paesi al Sacro Cuore. Partecipava alle VIA CRUCIS all'aperto, facendo commentare le singole stazioni dagli stessi giovani. Nei primi tre anni completò la Visita Pastorale di tutte le parrocchie della Diocesi. Da Roma, pur affaticato dai suoi doveri Cardinalizi, scriveva annualmente le Lettere Pastorali, che, per la loro importanza, andavano oltre i confini diocesani, e spesso si giunse a farne la terza e la quarta edizione.

Nel suo Testamento dispose tutto per opere di beneficenza, lasciando al fratello Mons. Latino, suo esecutore testamentario, l'onere dei funerali.

VERSO IL TRAMONTO Da più di un anno la sua fibra era silenziosamente attaccata da

una malattia, che sembrava seria. I medici non ci sapevano leg-gere chiaro. "Sto male ", disse ad un caro amico che era andato a trovarlo. "Ho male alla testa, un male strano, come un ronzìo di zanzara". Eppure dimostrava ancora voglia ed energia a lavora-re, scrivere, predicare.

A metà luglio 1947 si celebrava in Roma il XXV degli Uomini Cattolici. Nella Basilica dei SS. Apostoli si tenne un solenne Convegno. Volle essere presente anche Lui, con la sua parola.

All'uscita dalla Basilica, prima di salire in macchina, fu pre-gato di rivolgere qualche parola ai presenti. Questo, in Roma, fu il suo ultimo discorso.

Il 15 agosto fu a S.Vito Romano: amministrò la Cresima a tre-cento bambini, e parlò nella sede dell'Azione Cattolica. Il 16, festa di S. Rocco, amministrò la Cresima a Castel S. Pietro. Il 17 volle partecipare alla processione in onore di S. Agapito, Patrono di Palestrina. Il giorno appresso tenne l'omelia con il suo con-sueto slancio apostolico. Fu l'ultimo discorso ai suoi cari dioce-sani. 60

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Il 24 agosto, a Grotte di Castro, suo paese natale, si celebrava il Cinquantesimo dell'Opera Pia Cordelli. Fu accolto solenne-mente dal Vescovo Rosi, dal Vice-Prefetto Tosaroni e dal Sindaco Ivo Di Biagi.

Fu accompagnato dalla folla dei suoi concittadini nella Chiesa di S.Pietro, dove pronunciò un fervoroso discorso, ed accennò con commozione al suo ritorno nella sua terra natale. Nel pome-riggio si portò al Cimitero, seguito da tutto il popolo, e sostò sulla tomba di famiglia, dove erano sepolti i suoi genitori Giuseppe ed Orsola, ed il fratello Pietro, rivolgendo a tutti un opportuno discorso sulla brevità della vita presente, che è una preparazione alla vita futura. Qui nel suo paese nativo fu l'ulti-mo suo discorso.

Qui cominciò la sua attività sacerdotale, e qui la finì. Alla sera di quel giorno tanto impegnativo ritornò alla sua

villa di Montefiascone, per godersi un pò di riposo. Si fece poi portare a Roma.

La mattina del 24 ottobre, al suono dell'Ave Maria del matti-no, recitò con chiara voce l'Angelus Domini. Dopo pochi istan-ti; sorridendo a tutti, disse.

"Parto per l'altro mondo". "Per il Paradiso", dissero i pre-senti. "Per il Paradiso", ripetè anche lui... E si spense così, con le braccia incrociate sul petto.

Il 27 ottobre fu fatto un imponente Funerale nella Chiesa di S. Andrea della Valle. Vi parteciparono una moltitudine di sacerdo-ti, religiosi, professionisti, operai, studenti, autorità e rappresen-tanze: attestato della pubblica stima al più popolare dei Cardinali del Sacro Collegio. Il 6 novembre, SUA SANTITÀ PIO XII, ricevendo a Castel Gandolfo il fratello Mons. Latino e i nepoti, manifestò il suo grande dolore per l'amico scomparso pronun-ziando le parole che poi sono state scritte nella tomba monu-mentale a Grotte di Castro, disegnata dall'ingegnere Fracassini, ed eseguita sotto la direzione dell'ingegner Romeo Cordelli.

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Sono le parole di Pio XII ai familiari: FU GRANDE E GRANDE IN TUTTO

COME SACERDOTE, COME VESCOVO, COME CARDINALE, COME APOLOGISTA,

COME ORATORE, COME SCRITTORE; GRANDE PER LA SUA

MOLTEPLICE INSTANCABILE OPEROSITÀ

Cardinale CARLO SALOTTI

Pio XII

Vescovo di Palestrina Prefetto della S. C. dei Riti

Grotte di Castro 25 - VII - 1870

Roma 24 - X - 1947

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INDICE

Spirito battagliero Pag. 1 La sua fanciullezza " 1 Il seminarista " 2 Un incontro provvidenziale " 4 Sacerdote e studente universitario " 5 Il primo combattimento " 7 La democrazia cristiana " 8 L'Azione Cattolica "10 Assistente Ecclesiastico Diocesano di Roma . . . . " 11 Partecipazione ai congressi cattolici "12 Il Predicatore "14 Il conferenziere e l'apologeta "18 Corsi annuali di cultura religiosa "19 Contraddittori "21 Nelle carceri tra galeotti "23 Polemica col sindaco di Roma "23 Incarichi di Curia "23 Professore di filosofia "23 Avvocato dei Santi "24 Avvocato del Diavolo "24 Una Missione speciale in Oriente "25 Segretario di Propaganda Fide "26 Colloqui con Pio X "28 Come conobbi il Papa "28 I rapporti con Benedetto XV "30 II primo incontro "30 Mandati di fiducia "32 Il Beato Roberto Bellarmino "33

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Page 68: Il Cardinale CARLO SALOTTI · Giovanni, all'altare della miracolosa Madonna del Suffragio. Grande fu il concorso del popolo, ... bili, ma, influenzati in quella lotta dalla Massoneria

Una protesta diplomatica Pag. 34 Qualità eminenti di Papa Benedetto "34 A contatto di Pio XI "35 Una sorpresa ed una udienza "35 Il carattere del Pontefice "36 La grandezza del suo cuore "37 Ogni udienza era una scuola "38 Di fronte al Fascismo "40 Dopo la marcia su Roma "40 Un curioso episodio in Albano "40 Padre Santo, diffidi di quell'uomo! "42 I morti pesano! "43 Le pretese di un giornalista "43 La stampa italiana tace "44 Le ultime tragiche vicende "45 Respinta una preghiera alla Madonna "45 Come vivemmo nei mesi del terrore "46 Mio atteggiamento durante i misfatti "47 Incontri con personaggi del suo tempo "48 Roberto Farinacci "48 Galeazzo Ciano "50 Giovanni Gentile "52 Cardinale e Vescovo di Palestrina "55 Le onoranze del nuovo Cardinale "56 Vescovo di Palestrina "59 Verso il tramonto "60 L'Elogio di Pio XII "62 64

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Stampato presso la Tipolitografia GIGLI - Grotte di Castro (Vt) Ottobre 1997

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