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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Febbraio 2009 Paper numero 90 Roberto RUOZI - Pierpaolo FERRARI IL RISCHIO DI LIQUIDITÀ NELLE BANCHE: ASPETTI ECONOMICI E PROFILI REGOLAMENTARI

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Febbraio 2009

Paper numero 90

Roberto RUOZI - Pierpaolo FERRARI

IL RISCHIO DI LIQUIDITÀ NELLE BANCHE:ASPETTI ECONOMICI

E PROFILI REGOLAMENTARI

Università degli Studi di Brescia

Dipartimento di Economia Aziendale

Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia

tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814

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IL RISCHIO DI LIQUIDITÀ NELLE BANCHE:

ASPETTI ECONOMICI E PROFILI REGOLAMENTARI

di Roberto RUOZI

Professore Emerito di Economia delle aziende di credito Università Commerciale “L. Bocconi” di Milano

e Pierpaolo FERRARI

Professore Associato di Economia degli intermediari finanziari Università degli Studi di Brescia

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Indice

1. Introduzione........................................................................................... 1

2. Il rischio di liquidità e le interrelazioni con gli altri rischi bancari ....... 1

3. Il rischio di liquidità: aspetti economici ................................................ 4

3.1. L’area di impatto ........................................................................... 4

3.2. L’orizzonte temporale di analisi .................................................... 6

3.3. L’origine del rischio ...................................................................... 8

3.4. Lo scenario economico di riferimento........................................... 9

3.5. Gli aspetti tecnici ........................................................................... 9 3.5.1. Il funding liquidity risk....................................................... 10 3.5.2. Il market liquidity risk........................................................ 12

3.6. Gli aspetti organizzativi............................................................... 13

4. Il rischio di liquidità: profili regolamentari ......................................... 16

4.1. La regolamentazione internazionale............................................ 16

4.2. La regolamentazione nazionale ................................................... 19

5. Conclusioni.......................................................................................... 24

Bibliografia.............................................................................................. 28

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

1. Introduzione

Tornare a parlare di liquidità e di rischio di liquidità nelle banche è un po’ tornare all’antico. Erano anni infatti che l’argomento non era più di attualità, dopo essere stato a lungo al centro dell’attenzione delle singole banche e delle autorità di vigilanza e dopo aver ricevuto ampia attenzione da parte della letteratura economico-aziendale italiana, con largo anticipo rispetto a quella internazionale.1

Come è noto, la gestione della banca è sottoposta ad un vincolo irrinunciabile di liquidità, analogamente a qualsiasi altro tipo di azienda. E’ tuttavia tipico della banca che tale vincolo assuma un carattere più stringente e severo, in ragione della peculiarità delle funzioni svolte e delle particolari operazioni poste in essere. Invero, l’operatività di una banca è strettamente dipendente dalla sistematica accettazione delle sue passività e dall’aspettativa dei creditori che gli impegni assunti trovino sempre una puntuale conferma. Da ciò deriva l’esigenza di una permanente condizione di liquidità: la ricerca di un’ordinata successione dei movimenti monetari rappresenta un vincolo imprescindibile che qualsiasi banca deve rispettare per non pregiudicare la propria permanenza sul mercato. Sotto questo profilo, la liquidità assume per la banca un significato essenzialmente protettivo in grado di assicurare una condizione di solvibilità tecnica.

2. Il rischio di liquidità e le interrelazioni con gli altri rischi bancari

Per rischio di liquidità si intende l’incapacità della banca di far fronte tempestivamente e in modo economico agli obblighi di pagamento nei tempi contrattualmente previsti.

Gli obiettivi della gestione del rischio di liquidità sono:

1 “Taluni studiosi concepiscono la liquidità delle banche in funzione esclusiva dei

depositi, definendola come la capacità a fronteggiare prontamente le richieste di rimborso dei depositanti. Questa concezione non considera un aspetto, sia pure importante, della liquidità, poiché trascura gli altri impegni finanziari che ogni istituto ha in corso (…). Più correttamente quindi la liquidità di una banca può essere definita come l’attitudine a mantenere costantemente in equilibrio le entrate e le uscite monetarie in soddisfacenti condizioni di redditività. Il riferimento alla redditività di impresa è essenziale (…). Non sarebbe liquida una banca che riuscisse a conservare il proprio equilibrio finanziario a prezzo di provvedimenti suscettibili di compromettere l’attuale o il futuro andamento lucrativo della gestione: tali sarebbero, ad esempio, le drastiche richieste di rimborso dei fidi in corso, il rigido rispetto dei termini di preavviso dei depositi, la conclusione di operazioni di tesoreria a tassi esorbitanti.”, G. Dell’Amore: I depositi nell’economia delle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1951, pag. 500.

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- assicurare in ogni istante un’adeguata corrispondenza fra flussi di cassa in entrata e flussi di cassa in uscita, garantendo per tale via la solvibilità tecnica della banca;

- coordinare l’emissione da parte della banca di strumenti di finanziamento a breve, media e lunga scadenza;

- ottimizzare il costo del rifinanziamento, bilanciando il trade-off fra liquidità e redditività;

- per le banche strutturate come gruppi bancari, ottimizzare la gestione dei flussi di cassa infragruppo, allo scopo di ridurre la dipendenza dal fabbisogno finanziario esterno, attraverso tecniche di cash pooling o altri strumenti di ottimizzazione.

La gestione del rischio di liquidità è diretta a conseguire un tendenziale equilibrio finanziario e si sostanzia nell’orientare gli interventi operativi destinati a incidere sull’ordine temporale dei flussi. Attraverso la gestione della liquidità il management della banca delinea i confini e i criteri gestionali delle componenti discrezionali dell’attivo, del passivo e delle poste fuori bilancio nel medio-lungo termine e il margine di manovra degli interventi da compiersi nel breve periodo.2

La definizione degli indirizzi di gestione delle componenti discrezionali nel medio-lungo periodo riguarda in particolare:

- il grado di trasformazione delle scadenze ritenuto accettabile; - la politica di raccolta tradizionale della banca e l’analisi della

posizione della banca in relazione al grado di chiusura del circuito finanziario depositi-impieghi;

- il possibile ricorso a forme innovative di funding basate sulla cessione di parte degli attivi di cui la banca è titolare;

- la politica di composizione quali-quantitativa dell’attivo e la valutazione dell’impatto delle poste fuori bilancio;

- il controllo delle politiche commerciali che provocano assorbimento di liquidità;

- il grado di propensione al rischio e le modalità di controllo del rischio di liquidità.

La fissazione del margine di manovra operativa nel breve e nel brevissimo periodo è diretta principalmente all’assorbimento rapido ed economico degli sfasamenti temporali fra entrate e uscite e implica l’individuazione delle componenti discrezionali su tali orizzonti temporali. Essa riguarda in modo specifico:

2 A. Ferrari: Gestione finanziaria e liquidità nelle banche, Giuffrè, Milano, 1988; P.L.

Fabrizi: Le politiche di coordinamento dei flussi finanziari, in P.L. Fabrizi (a cura di): La gestione dei flussi finanziari nelle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1990.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

- la determinazione dei volumi e della qualità degli asset prontamente liquidabili o utilizzabili come collateral in caso di rifinanziamento;

- l’individuazione della gamma degli strumenti di tesoreria da attivare; - la fissazione del grado di inserimento e di intensità di presenza sul

mercato interbancario.

La situazione di equilibrio finanziario è strettamente interconnessa alle condizioni di equilibrio economico e di equilibrio patrimoniale mediante relazioni reciproche che, pur essendo comuni a qualsiasi azienda, assumono nella banca una particolare rilevanza, a causa della peculiarità della struttura finanziaria, contraddistinta congiuntamente da un elevato grado di sfruttamento della leva finanziaria, dalla presenza di passività a vista e da un presupposto fiduciario intrinseco nell’operatività bancaria.

La condizione di equilibrio finanziario influisce innanzi tutto sull’equilibrio economico: il mantenimento di un grado di liquidità superiore alla condizione minimale di vincolo ipotizzabile genera un effetto limitativo della redditività poiché presuppone il mantenimento di riserve in eccesso e, più in generale, una struttura dell’attivo che privilegia obiettivi di liquidità a obiettivi di redditività. In questo senso si identifica una relazione di trade-off fra equilibrio finanziario e equilibrio economico. L’obiettivo della gestione del rischio di liquidità deve quindi essere perseguito ottimizzando il profilo rischio-rendimento, attraverso un opportuno bilanciamento fra queste due variabili.

La situazione di equilibrio economico influisce, a sua volta, sulla condizione di liquidità sia direttamente, tramite la generazione di cash flow, sia indirettamente, attraverso la percezione di sicurezza e di stabilità della banca.

Infine, la situazione di equilibrio patrimoniale migliora la gestione della liquidità in quanto aumenta la scadenza media del passivo e riduce eventuali situazioni di disallineamento fra flussi di cassa in entrata e in uscita. L’eventuale sottopatrimonializzazione della banca e il conseguente allontanamento dall’equilibrio patrimoniale possono determinare il peggioramento del merito creditizio della banca, che può incontrare difficoltà nel reperire i fondi necessari per coprire temporanei squilibri fra flussi di cassa in entrata e flussi in uscita.3 Benché l’aumento della patrimonializzazione possa temporaneamente allentare problemi di liquidità di una banca, è però essenziale osservare come non sia con l’aumento del patrimonio che si risolvono problemi di liquidità. Il rischio di non far fronte ai propri impegni di cassa nei tempi richiesti e a condizioni economicamente accettabili dipende da così tanti fattori - struttura per scadenza dell’attivo,

3 R. Ruozi: Economia e gestione della banca, quarta edizione, Egea, Milano, 2006.

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struttura per scadenze del passivo, caratteristiche degli impieghi, caratteristiche della raccolta, dinamica delle poste fuori bilancio, andamento dei costi e dei ricavi monetari, valutazione di affidabilità della banca, evoluzione dei mercati monetari e dei capitali - da rendere un presidio patrimoniale poco adatto alla sua attenuazione, richiedendo invece efficaci sistemi di monitoraggio di tutti questi fattori e l’adozione di scelte gestionali coerenti.4

3. Il rischio di liquidità: aspetti economici

L’analisi economica del rischio di liquidità può essere condotta lungo sei diverse dimensioni:

1. l’area di impatto del rischio di liquidità; 2. l’orizzonte temporale su cui si analizza il rischio; 3. l’origine del rischio; 4. lo scenario economico in cui manifesta il rischio; 5. i modelli di misurazione del rischio; 6. i processi e le strutture organizzative.

3.1. L’area di impatto Il rischio di liquidità è originato da diverse componenti che nelle singole

banche, a seconda della rispettiva organizzazione interna e della relativa sensibilità al problema, sono trattati diversamente.

In funzione della possibile area di impatto, tuttavia, il rischio di liquidità sopportato da una banca è distinto in due macrocategorie intrinsecamente collegate: il funding liquidity risk e il market liquidity risk.5

Per funding liquidity risk si intende il rischio che la banca non sia in grado di far fronte puntualmente e in modo economico ai deflussi di cassa attesi e inattesi, legati al rimborso di passività, al rispetto di impegni a erogare fondi o alla richiesta di accrescere le garanzie fornite.

4 Sulla relazione esistente fra liquidità e equilibrio patrimoniale si rinvia a T. Adrian e

H.S. Shin: Leverage and Liquidity, Federal Reserve Bank of New York, Staff Report n. 238, May 2008. Sulla relazione fra rischio di liquidità e le varie sottocategorie specifiche di rischio definite da Basilea 2 si veda: Committee of European Banking Supervisors: Second Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, September, 2008, pag. 12 e seguenti.

5 The Joint Forum - Basel Committee on Banking Supervision, International Organization of Securities Commissions e International Association of Insurance Supervisors: The Management of Liquidity Risk in Financial Groups, Bank for International Settlements, Basel, 2006.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

Per market liquidity risk si intende invece il rischio che una banca si trovi nell’impossibilità di convertire in denaro una posizione su una data attività finanziaria o riesca a liquidarla subendo una decurtazione del prezzo, a causa dell’insufficiente liquidità del mercato su cui tale attività è negoziata o a causa di un temporaneo malfunzionamento del mercato stesso.6

Benché siano distinte sul piano logico, le due nozioni di rischio appena enunciate sono strettamente legate fra di loro. L’esigenza di far fronte a deflussi di cassa inattesi potrebbe infatti costringere la banca a convertire in denaro posizioni più o meno consistenti su attività finanziarie e se per farlo essa è costretta a subire potenziali perdite, il danno causato dal rischio di liquidità sarà evidentemente più marcato.7

Le recenti trasformazioni nel sistema bancario internazionale hanno reso più labile la distinzione fra le due accezioni di rischio. Il passaggio da un modello di erogazione del credito originate-to-hold, in cui il prestito concesso dalla singola banca viene mantenuto sino all’estinzione, ad un modello originate-to-distribute, in cui la banca che eroga il prestito provvede a trasferire ad altri il rischio attraverso operazioni di loan sale o, più frequentemente, di securitisation, ha aumentato le soluzione tecniche per la gestione del rischio di liquidità, permettendo la conversione in denaro di poste in precedenza illiquide e non smobilizzabili. Al tempo stesso, però, tali trasformazioni hanno esposto maggiormente le banche a contingenti situazioni avverse dei mercati che non rendano più liquidabile ciò che in precedenza poteva essere trasferito ad un apposito veicolo, incorporato in strumenti finanziari e ceduto a terzi sul mercato. Ne è così derivata una più stretta interrelazione fra le due nozioni di rischio di liquidità definite sopra.8

6 Benché la presenza di questo rischio fosse nota da oltre mezzo secolo, esso non è stato

adeguatamente contemplato né dalle unità organizzative preposte alla gestione del rischio di liquidità né da quelle preposte alla gestione dei rischi di mercato. “La liquidità di una qualunque azienda di credito è collegata da rapporti di reciproca soggezione con la liquidità del mercato. La possibilità di conservare l’equilibrio delle entrate e delle uscite monetarie si riannoda infatti al volgere delle congiunture economiche e queste a loro volta risentono degli effetti delle condizioni di liquidità di tutti gli istituti che compongono il sistema bancario”, G. Dell’Amore: I depositi nell’economia delle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1951, pag. 501.

7 E. Banks: Liquidity risk. Managing Asset and Funding Risk, Palgrave Macmillan, Houndmills, 2005.

8 Sull’operare delle così dette “liquidity spirals” che comportano una sempre più stretta interrelazione fra funding liquidity risk e market liquidity risk si vedano: M.K. Brunnermeier e L.H. Pedersen: Market Liquidity and Funding Liquidity, NBER working papers, n. 12939, 2007; Committee of European Banking Supervisors: Second Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, September, 2008, pag. 22 e seguenti.

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La configurazione del rischio di liquidità più studiata nel settore finanziario e sulla quale si concentra maggiore attenzione è quella del funding liquidity risk: esso ha carattere idiosincratico e può innescare molto velocemente reazioni da parte delle controparti di mercato, che si rendono indisponibili per le usuali transazioni ovvero chiedono in contropartita una remunerazione maggiore: entrambe le circostanze, congiuntamente, possono riverberare i loro effetti sulla situazione di solvibilità della banca che sperimenta tensioni di liquidità.

Il market liquidity risk, a causa della stretta interrelazione con i rischi di mercato, viene spesso misurato e gestito dall’unità di risk management deputata alla valutazione dei market risks, invece che dall’unità preposta alla misurazione e gestione del rischio di liquidità.9 E’ da rilevare come sino a poco tempo fa questo rischio fosse completamente trascurato dai sistemi di risk management delle banche dei principali paesi industrializzati.10

3.2. L’orizzonte temporale di analisi

I processi di gestione e i metodi di misurazione del rischio di liquidità variano in funzione della dimensione della banca, del tipo di attività prevalente, del grado di internazionalizzazione e della relativa complessità organizzativa.

In tutti i casi, però, tali processi prevedono di misurare e controllare disgiuntamente:

- la gestione della liquidità di breve termine, il cui obiettivo è quello di garantire la capacità di far fronte nell’immediato a qualsiasi impegno di pagamento, previsto e imprevisto, emergente da contratti che pongano la banca nella condizione di dover eseguire una prestazione monetaria. Tale capacità dipende evidentemente dalla disponibilità di adeguate riserve liquide, di attività prontamente liquidabili o stanziabili per il rifinanziamento – i così detti unencumbered assets – e dal complesso degli strumenti attivabili per sistemare temporanei squilibri fra movimenti in entrata e in uscita;11

- la gestione della liquidità strutturale, il cui obiettivo è il mantenimento, nel medio-lungo andare, di un’adeguata

9 Deutsche Bundesbank e Bafin: Liquidity Risk Management Practices at Selected

German Credit Institutions, 2008. 10 A. Bangia, F. Diebold, T. Schuermann, J. Stroughair: Modeling Liquidity Risk, with

Implications for Traditional Market Risk Measurement and Management, Wharton Financial Institutions Center, Paper n. 6, 1999. A. Bervas: Market liquidity and its incorporation into risk management, Banque de France, Financial Stability Review, n. 8, May 2006.

11 L. Matz e P. Neu (a cura di): Liquidity Risk Management, Singapore, Wiley, 2007.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

corrispondenza fra entrate e uscite monetarie sui diversi orizzonti temporali. E’ evidente che questa capacità strutturale diviene in linea di principio tanto più impegnativa quanto maggiore è la trasformazione delle scadenze attuata dalla banca. Se la scadenza media ponderata dell’attivo è superiore a quella del passivo, i flussi di cassa generati dall’estinzione di attività in un dato periodo sono inferiori ai flussi di cassa necessari al rimborso delle passività che scadono nel medesimo arco temporale. Tale situazione accentua il potenziale rischio di liquidità sopportato dalla banca in quanto richiede di mantenere una costante capacità di credito sul mercato ovvero la capacità di rinnovare le passività scadute - senza pregiudizio per l’equilibrio economico - per raccordare la scadenza del passivo con quella dell’attivo.

Mentre i problemi di gestione della liquidità a breve termine (short term liquidity risk) nascono dall’esigenza di sistemare prontamente ed economicamente gli squilibri fra entrate e uscite, riequilibrando nell’immediato la dinamica monetaria, i problemi di gestione della liquidità strutturale (structural liquidity risk) possono essere ricondotti alla convenienza e all’opportunità di modificare la composizione quali-quantitativa dell’attivo, del passivo e delle poste fuori bilancio, agendo sulla dinamica prospettica dei flussi finanziari.

In realtà, i due aspetti della gestione della liquidità sono strettamente collegati e si condizionano vicendevolmente. Nel medio-lungo periodo ci si può attendere un equilibrio istantaneo e continuo fra entrate e uscite monetarie solo in presenza di un equilibrio fra struttura per scadenze dell’attivo e struttura per scadenze del passivo.

La più convincente ed esauriente spiegazione di quest’ultima affermazione si può ritrovare nei recentissimi casi di crisi bancarie che hanno caratterizzato vari contesti nazionali ed internazionali: esse sono sfociate in crisi di liquidità derivanti da problematiche strutturali che si sono riversate sulla gestione di breve periodo, rendendola di fatto ingestibile. La crisi di liquidità è quasi sempre il risultato e non la causa delle recenti crisi bancarie. All’origine di tali problemi vi sono invece l’allontanamento dai corretti principi di sana e prudente gestione che la tecnica bancaria internazionale ha da tempo individuato e l’eccessivo orientamento al conseguimento di profitti di breve periodo, uniti all’inefficacia dei sistemi di controllo interno delle banche e, in alcuni Paesi, all’inadeguatezza delle politiche di supervisione delle autorità di vigilanza. Ne è derivata un’impostazione della gestione a monte della liquidità caratterizzata da un fortissimo squilibrio fra flussi in entrata e in uscita, che non è stato più possibile mantenere entro limiti fisiologici.

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In sintesi, la gestione della liquidità strutturale si deve imperniare sulla più generale gestione della banca e, in particolare, su tutte le operazioni attive e passive nonché sugli elementi di costo e ricavo che danno vita a flussi monetari.

3.3. L’origine del rischio Il rischio di liquidità è in qualche misura intrinseco all’attività bancaria.

Esistono tuttavia alcuni elementi che possono accentuare l’assoggettamento di una banca al rischio di liquidità: fattori tecnici, fattori specifici relativi alla singola banca e fattori di natura sistemica.

Lo sviluppo di strumenti finanziari con strutture temporali dei flussi di cassa complesse, l’ampia presenza di discrezionalità in molti strumenti sia di raccolta sia di impiego, il vasto ricorso a forme di liquidity enhancement nelle operazioni di cartolarizzazione,12 lo sviluppo di sistemi di pagamento che operano in tempo reale e su base multilaterale hanno determinato un incremento del rischio di liquidità, specialmente per le banche più grandi, più esposte al rischio a causa dell’operatività multivalutaria, cross-country e su più fusi orari che generalmente le caratterizza.

Oltre a questi elementi tecnici, ci possono poi essere fattori specifici della banca che, indebolendo la fiducia del pubblico e degli operatori, possono acuire il rischio di liquidità determinando una difficoltà di funding. Ne sono esempi: fenomeni di downgrade o altri eventi, anche di tipo reputazionale, riconducibili a danni di immagine o a perdite di fiducia del pubblico; fenomeni connessi alla specificità di alcuni strumenti finanziari con meccanismi di marginazione e gestione delle garanzie, che potrebbero dar vita a un fabbisogno di liquidità imprevisto in presenza di mercati particolarmente volatili; fenomeni legati ai così detti “impegni a erogare fondi” e alle altre posizioni fuori bilancio, che in determinate situazioni di mercato possono generare un fabbisogno di liquidità straordinario.

Infine, la presenza di fattori sistemici può causare problemi generalizzati di funding per le diverse banche e potenziali difficoltà di smobilizzo di attività finanziarie: si tratta di eventi indipendenti dalla situazione della singola banca e legati a crisi dei mercati finanziari, crisi economico-politiche, catastrofi naturali, eventi terroristici, ecc.13

12 Per l’impatto sul rischio di liquidità di forme di liquidity enhancement in operazioni

di cartolarizzazione, si veda ancora una volta: Committee of European Banking Supervisors: Second Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, September, 2008, pag. 38.

13 P. Testi: Liquidity contingency plan, Atti del convegno Paradigma “Il rischio di liquidità”, Milano, 18 e 19 giugno 2008.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

L’operare, singolo o congiunto, di tutti questi elementi genera un rischio di liquidità legato a fattori interni alla banca (corporate liquidity risk) e un rischio legato a fattori di mercato o congiunturali fuori dal controllo della banca (systemic liquidity risk).

3.4. Lo scenario economico di riferimento A seconda dello scenario economico in cui si trova la banca, è possibile

distinguere il rischio di liquidità affrontato in condizioni di normale operatività (going concern liquidity risk) e il rischio affrontato in situazioni di stress (contingency liquidity risk), entrambi legati a fattori individuali o sistemici.

Nel primo caso, il rischio è connesso a situazioni in cui la banca è in grado di far fronte al proprio fabbisogno di liquidità utilizzando la propria capacità di funding. In uno scenario di operatività normale, la gestione della liquidità e la corretta misurazione dei rischi ad essa collegati presuppongono di simulare l’evoluzione delle entrate e delle uscite monetarie, adottando le ipotesi più neutrali possibili in merito all’evoluzione delle grandezze aziendali.

Nel secondo caso, il rischio viene affrontato in condizioni di stress che derivano da fattori individuali o da fattori sistemici. Poiché tali situazioni di crisi non sono affrontabili attraverso la normale capacità di funding della banca, si rende necessario far ricorso a misure straordinarie formalizzate ex ante attraverso la stesura di un apposito piano di emergenza o contingency funding plan. Tale documento formalizza la strategia di intervento, classifica le possibili tipologie di tensione di liquidità, individuandone la natura sistemica o specifica e le poste di bilancio maggiormente interessate, identifica le azioni di emergenza da parte del management e contiene le stime di back-up liquidity a disposizione della banca per fronteggiare una crisi di liquidità.14

3.5. Gli aspetti tecnici

Nell’aspetto tecnico, la misurazione del rischio di liquidità esige di distinguere le due macro-categorie di funding liquidity risk e di market liquidity risk.15

14 Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare

n. 263 del 27 dicembre 2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008. 15 The Joint Forum - Basel Committee on Banking Supervision, International

Organization of Securities Commissions e International Association of Insurance Supervisors: The Management of Liquidity Risk in Financial Groups, Bank for International Settlements, Basel, 2006.

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3.5.1. Il funding liquidity risk

Nel caso del funding liquidity risk, non si sono ancora affermate metodologie robuste e condivise di gestione e la materia è affrontata in modo piuttosto diversificato nei vari Paesi.16 I modelli più diffusi per la misurazione di tale rischio sono comunque riconducibili a una di queste tre categorie:

- modelli basati sugli stock; - modelli basati sui flussi di cassa; - modelli di tipo ibrido.

I modelli basati sugli stock misurano il volume di attività finanziarie

prontamente liquidabili o stanziabili di cui la banca può disporre per fronteggiare un’eventuale crisi di liquidità. In sostanza, attraverso questi modelli si quantifica la vulnerabilità di una banca al rischio di liquidità mediante semplici indicatori basati su grandezze di stato patrimoniale.17 Essi forniscono quindi una rappresentazione del rischio di liquidità di tipo statico, in quanto trascurano la dinamica dei flussi finanziari in entrata e in uscita connessi con l’intera gestione e il loro preciso momento di manifestazione.

Una più soddisfacente approssimazione alla realtà richiede di passare da un’analisi di tipo statico, basata sul confronto di stock di stato patrimoniale, ad un’analisi di tipo dinamico, in cui la situazione di liquidità viene valutata sulla base dei flussi finanziari generati o assorbiti dalla gestione in un dato orizzonte temporale. A tale finalità rispondono i modelli basati sui flussi di cassa, che confrontano i flussi di cassa futuri in entrata e in uscita, raggruppandoli in fasce di scadenza omogenee, e verificano la presenza di un’adeguata corrispondenza fra i primi e i secondi. L’applicazione di tali modelli presuppone di suddividere, lungo una matrice per scadenze, i diversi flussi di cassa futuri allo scopo di verificare la corrispondenza fra

16 Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare

n. 263 del 27 dicembre 2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008. 17 I due indicatori principali sono la cash capital position e i medium-long term funding

ratios. La cash capital position è ottenuta sottraendo alle attività liquide o facilmente liquidabili le passività a vista o a brevissimo termine il cui rinnovo non può essere considerato ragionevolmente certo e gli impegni a erogare fondi che comportano un impegno irrevocabile della banca a concedere somme di denaro alla clientela. I medium-long term funding ratios sono misurati attraverso il rapporto fra le passività con scadenza medio-lunga e le attività finanziarie con un vincolo di durata almeno analogo: in virtù della trasformazione delle scadenze è naturale attendersi che tali rapporti siano sovente inferiori al 100%, ma la caduta di uno o più rapporti al di sotto di certi limiti può essere interpretato come un indice di vulnerabilità della banca al rischio di liquidità. A. Resti e A. Sironi: Comprendere e misurare il rischio di liquidità, Bancaria, n. 11, 2007.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

entrate e uscite monetarie sui diversi orizzonti temporali presi a riferimento.18 Un flusso netto positivo, in un dato periodo, misura la quantità di risorse finanziarie che vanno ad aggiungersi alle disponibilità già esistenti e che possono essere reimpiegate in nuove attività. Un flusso netto negativo indica il fabbisogno di risorse da reperire per fronteggiare, nell’arco temporale considerato, le esigenze della gestione.

I modelli ibridi integrano le due categorie precedenti: ai flussi di cassa futuri effettivi si sommano infatti i flussi che potrebbero essere ottenuti attraverso l’utilizzo degli stock di attività finanziarie prontamente liquidabili o utilizzabili come collateral in caso di rifinanziamento.19 Ad un primo livello, la gestione della liquidità basata su modelli ibridi presuppone di simulare l’evoluzione del saldo fra flussi finanziari in entrata e in uscita su orizzonti temporali successivi. Ad un secondo livello, il monitoraggio della posizione di liquidità a breve termine prevede di misurare lo stock di attività finanziarie prontamente liquidabili o impegnabili in operazioni di rifinanziamento, includendo tutte le posizioni rifinanziabili presso la banca centrale o comunque utilizzabili come collateral in operazioni di secured finance, valorizzandole a prezzo di mercato e applicando il margine di deduzione (haircut) previsto dall’autorità di vigilanza o dalla policy di rischio interna. 20 La somma cumulata dei flussi di cassa netti e dello stock di attività finanziarie identifica il rischio di liquidità che in condizioni normali la banca dovrà affrontare. A un terzo livello, è necessario definire dei limiti operativi basati sulla definizione del massimo deficit di liquidità tollerabile con riferimento alle diverse valute di operatività e all’interno di ciascuna unità del gruppo bancario. Il costante monitoraggio di tali limiti operativi consente di individuare preventivamente l’insorgere di potenziali crisi di liquidità implicite nel profilo atteso dei flussi di cassa.21

18 Di regola si provvede all’elaborazione di due diverse matrici per scadenze, note anche

come maturity ladder: una matrice tattica, orientata al breve periodo; una matrice strategica orientata al medio lungo periodo. La distinzione non si basa sul solo momento di manifestazione dei flussi, ma sulle ipotesi che portano a definire il volume e il timing dei flussi nelle due matrici. Per i flussi relativi a componenti discrezionali si impone infatti una misurazione basata su modelli “comportamentali”, che differiscono a seconda dell’orizzonte temporale considerato. L. Matz e P. Neu (a cura di): Liquidity Risk Management, Singapore, Wiley, 2007.

19 European Central Bank: Liquidity Risk Management of Cross-border Banking Groups in the EU, EU Banking Structure, October 2007.

20 A. Partesotti: Funding liquidity risk. Misurazione e gestione, Atti del convegno Paradigma “Il rischio di liquidità”, Milano, 18 e 19 giugno 2008.

21 Fra questi limiti operativi, sta assumendo una certa diffusione il concetto di time-to-survival, inteso come l’orizzonte temporale entro il quale la banca è in grado di fare fronte ai propri fabbisogni di liquidità senza ricorrere a nuovi interventi di unsecured funding. In altri termini, esso rappresenta il punto di pareggio fra il gap cumulato originato dalle

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L’applicazione di tutte e tre le categorie di modelli presuppone di non considerare i flussi di cassa contrattuali bensì quelli effettivi, corretti per tener conto di possibili scenari alternativi. Tali correzioni sono diverse a seconda che si prenda a riferimento uno scenario di operatività normale oppure uno scenario di stress, legato a fattori individuali o sistemici.

In uno scenario di operatività normale, l’identificazione dei flussi di cassa sui diversi orizzonti temporali riflette le aspettative della banca basate sull’esperienza passata ed è relativa ad una situazione di mercato normale e stabile.

In uno scenario di stress, si realizzano esercizi di simulazione volti a stimare gli effetti sul rischio di liquidità di situazioni particolarmente avverse. Gli input per lo svolgimento di tali simulazioni possono essere tratti da eventi storici che hanno coinvolto la banca stessa o altre banche concorrenti (approccio storico), da simulazioni statistiche derivanti da ipotesi sulla distribuzione dei fattori di rischio (approccio statistico) oppure da stime soggettive formulate dal management della banca (approccio judgement-based).22 Tali approcci possono essere utilizzati per simulare disgiuntamente l’effetto di singoli fattori di rischio oppure per costruire scenari worst-case in cui più fattori di rischio agiscono congiuntamente, creando una forte tensione di liquidità sulla banca o sull’intero sistema bancario.23 Pur con limiti legati all’arbitrarietà dei dati utilizzati, tali simulazioni risultano utili in quanto permettono alla banca di predisporre un piano di emergenza da attivare nel caso si dovessero effettivamente manifestare gli scenari ipotizzati.

3.5.2. Il market liquidity risk Nel caso del market liquidity risk, la misurazione del rischio esige di

considerare la liquidità del mercato su cui un dato prodotto finanziario è negoziabile. In generale, la liquidità di un qualsiasi mercato di strumenti finanziari dipende da molteplici fattori: la rapidità di esecuzione di una proposta di negoziazione; il costo di transazione implicito in termini di differenziale denaro-lettera; la capacità di assorbire immediatamente o rapidamente eventuali squilibri fra proposte di acquisto e di vendita senza generare sensibili variazioni di prezzo. Teoricamente, in un mercato perfettamente liquido è possibile smobilizzare con certezza, in tempi

posizioni cash e lo stock netto di attività finanziarie utilizzabili come collateral in operazioni di secured finance. A. Partesotti: Funding liquidity risk. Misurazione e gestione, Atti del convegno Paradigma “Il rischio di liquidità”, Milano, 18 e 19 giugno 2008.

22 L. Matz: Scenario Analysis and Stress Testing, in L. Matz e P. Neu (a cura di): Liquidity Risk Management, Singapore, Wiley, 2007.

23 A. Resti e A. Sironi: Comprendere e misurare il rischio di liquidità, Bancaria, n. 11, 2007.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

brevissimi e ad un prezzo unico una posizione su un qualsiasi quantitativo. In concreto, i tempi e i costi di smobilizzo di una posizione sono correlati sia a fattori esogeni sia a fattori endogeni.24

I fattori esogeni sono il risultato delle caratteristiche di liquidità del mercato e coinvolgono tutti i potenziali partecipanti. Essi sono riassumibili nella profondità, nel differenziale fra prezzo lettera e prezzo denaro, nell’elasticità e nell’immediatezza del mercato.25 L’operare congiunto di questi fattori determina i tempi e i costi di smobilizzo di una data posizione per un qualsiasi partecipante al mercato.26

I fattori endogeni, al contrario, sono specifici a talune posizioni: essi sono correlati all’ammontare dell’esposizione e crescono con l’aumentare della posizione detenuta, coinvolgendo solo alcuni dei partecipanti al mercato.

Entrambe le tipologie di fattori devono essere integrati nelle classiche metriche di valutazione dei rischi per evitare che l’esposizione al rischio della banca venga sottovalutata a causa della componente market liquidity e dei possibili rischi connessi allo smobilizzo di posizioni più o meno consistenti, necessario per fronteggiare un disallineamento fra entrate e uscite monetarie.27

3.6. Gli aspetti organizzativi Dal punto di vista organizzativo, le unità preposte alla gestione del

rischio di liquidità provvedono in genere ad assolvere le seguenti funzioni:

- misurazione del rischio di liquidità; - sviluppo e adozione di modelli di gestione;

24 A. Bangia, F. Diebold, T. Schuermann, J. Stroughair: Modeling Liquidity Risk, with

Implications for Traditional Market Risk Measurement and Management, Wharton Financial Institutions Center, Paper n. 6, 1999.

25 La profondità (depth) di un mercato si riferisce alla capacità dello stesso di assorbire proposte di negoziazione di importo consistente senza un impatto significativo sul prezzo. I differenziali fra prezzi di acquisto e prezzi di vendita (tightness) rispecchiano le differenze fra i costi impliciti di negoziazione dei vari strumenti finanziari e sono legati prevalentemente, anche se non esclusivamente, all’ampiezza del mercato. L’elasticità (resilience) è la capacità del mercato di far affluire nuove proposte di negoziazione di acquisto o di vendita in corrispondenza di un temporaneo squilibrio fra domanda e offerta. Infine, l’immediatezza (immediacy) indica il tempo intercorrente fra l’invio della proposta di negoziazione e il completamente della transazione. International Monetary Fund: Financial Soundness Indicators, Washington, 2006, pag. 90; A. Bervas: Market liquidity and its incorporation into risk management, Banque de France, Financial Stability Review, n. 8, May 2006.

26 C. Borio: Market Liquidity and Stress: Selected Issues and Policy Implications, BIS Quarterly Review, November 2000.

27 A. Bervas: Market Liquidity and Its Incorporation into Risk Management, Banque de France, Financial Stability Review, n. 8, May 2006.

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- realizzazione di analisi di stress; - verifica del rispetto dei vari indicatori eventualmente soggetti a

limiti; - fornitura di informazioni giornaliere al top management; - sviluppo di piani di emergenza nell’ipotesi di crisi di liquidità.28

Talvolta, le stesse unità organizzative provvedono poi ad assolvere alcune funzioni aggiuntive quali:

- la fissazione dei prezzi interni per il trasferimento di liquidità; - la definizione di piani finanziari di copertura del fabbisogno

finanziario, individuando le scadenze più opportune delle varie forme di raccolta tradizionali e innovative;

- l’approvazione dei trasferimenti di liquidità fra le varie società del gruppo.

Una recente verifica condotta sul sistema bancario europeo mostra le

modalità di gestione del rischio di liquidità all’interno dei principali gruppi bancari.29 Da tale indagine emerge che le regole di misurazione del rischio di liquidità, i limiti operativi, gli indirizzi di gestione nel medio-lungo periodo, il piano di emergenza in caso di crisi, sono nella generalità dei casi fissati a livello centrale da parte della capogruppo. I margini di manovra operativa nel breve e nel brevissimo periodo sono invece definiti, in alcuni casi, sulla base di modelli basati sulla completa centralizzazione nella capogruppo e, in altri casi, sulla base di modelli di completa decentralizzazione, in cui la capogruppo si limita a fissare i principi di misurazione e controllo del rischio di liquidità, ma la gestione operativa di breve periodo è completamente rimessa alle singole società facenti parte del gruppo.30

I modelli centralizzati di gestione dello short term liquidity risk sono tipicamente adottati in gruppi bancari che operano a livello nazionale con un modello di business piuttosto omogeneo. Essi presuppongono:

- il pooling dei flussi di liquidità presso un’unica entità del gruppo, tipicamente la capogruppo;

28 Committee of European Banking Supervisors: First Part of CEBS’S Technical Advice

to the European Commission on Liquidity Risk Management, August, 2007. 29 European Central Bank: Liquidity Risk Management of Cross-border Banking

Groups in the EU, EU Banking Structure, Frankfurt am Main, October 2007. 30 Si parla specificamente di “gruppi bancari” in quanto la presenza all’estero basata su

filiali dirette, anziché sulla presenza di società locali, si associa sempre ad un modello di tipo centralizzato. Committee of European Banking Supervisors: First Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, August, 2007.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

- un unico accesso al mercato monetario; - un unico accesso al canale di rifinanziamento presso la banca

centrale.

I principali vantaggi del modello centralizzato sono: l’ottimizzazione del costo del funding, grazie a logiche di cash pooling; il controllo della posizione di liquidità delle singole controllate; una maggiore attenzione verso il rischio di controparte sul mercato monetario e un più stretto monitoraggio del rischio di liquidità complessivamente sopportato a livello di gruppo. Per contro, attraverso tale modello si crea una maggiore complessità gestionale, dovuta alla logica di pooling, e aumentano i rischi di “contagio” in caso di crisi.

I modelli decentralizzati di gestione dello short term liquidity risk sono maggiormente diffusi presso banche globali, caratterizzate da un’operatività multi-country, multy-currency e su più fusi orari. In questo caso, il modello presuppone:

- la gestione individuale e autonoma della liquidità da parte di ciascuna società appartenente al gruppo bancario, nel rispetto delle linee guida fissate dalla capogruppo;

- l’accesso delle singole società controllate sia al mercato monetario sia al canale di rifinanziamento presso la banca centrale.

Se, da un lato, tale modello reca il pregio della minor complessità gestionale e della riduzione dei rischi di “contagio” in caso di crisi, dall’altro lato, esso subottimizza il costo del funding, a causa della possibile non compensazione interna di flussi di segno opposto, e riduce la profondità dell’analisi del rischio di liquidità sopportato da ogni singola unità del gruppo bancario. Tuttavia, tale modello ha il pregio di responsabilizzare le singole società facenti parti del gruppo, evitando che queste finiscano per considerare la capogruppo una sorta di lender of last resort interno in caso di politiche gestionali errate da cui derivino disallineamenti fra entrate e uscite monetarie.31

I due modelli descritti sopra rappresentano gli estremi di un continuum all’interno del quale ogni singolo gruppo bancario può adottare configurazioni intermedie, basate su un modello semicentralizzato di tipo multi-hub, in cui la centralizzazione della gestione della liquidità avviene a livello di due o più società del gruppo che operano come “punti di accesso” al mercato monetario e ai canali di rifinanziamento e realizzano una

31 A livello europeo, più dei due terzi dei gruppi bancari di grandi dimensioni con

operatività transnazionale, oggetto di una recente analisi della Banca Centrale Europea, risulta aver adottato questo modello. European Central Bank: Liquidity Risk Management of Cross-border Banking Groups in the EU, EU Banking Structure, October 2007.

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compensazione delle eccedenze e dei deficit di liquidità su una certa area geografica e, spesso, su una data valuta. Tali modelli intermedi sono impiegati soprattutto da banche che operano su più mercati, su diversi business, con elevati volumi e il loro impiego ha l’obiettivo di combinare i pregi dei due modelli precedenti.32

4. Il rischio di liquidità: profili regolamentari

4.1. La regolamentazione internazionale Le recenti turbolenze sui mercati monetari e dei capitali hanno reso

evidente l’importanza di un’efficiente gestione del rischio di liquidità per la stabilità delle singole banche e dell’intero sistema finanziario.

Ancor prima della crisi scoppiata nell’estate del 2007, i vari organismi internazionali si sono occupati di analizzare la cause e le modalità di gestione del rischio di liquidità, pur non prevedendo la fissazione di una disciplina comune, che sinora è stata rimessa alla discrezionalità delle singole autorità di vigilanza nazionali.

Il primo Accordo internazionale sul capitale delle banche del 1988 non menzionava minimamente il rischio di liquidità sopportato dalle banche e solo nel 1992 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha posto il problema di assicurare degli standard minimi di gestione di tale rischio nelle principali banche internazionali, limitandosi tuttavia a divulgare un rapporto contenente i più appropriati princìpi di misurazione e di gestione.33 Tale documento è stato in seguito aggiornato nel 2000, allineando i princìpi di gestione del rischio di liquidità all’evoluzione nel frattempo intervenuta nell’operatività delle principali banche internazionali.34 Anche questo documento, pur enunciando 14 princìpi di corretta gestione del rischio di liquidità, aveva un valore puramente divulgativo e non costituiva un emendamento all’Accordo internazionale sul capitale del 1988.

Nel 2006, un gruppo di studio congiunto - composto da Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, IAIS e IOSCO - ha pubblicato un rapporto dal titolo “La gestione del rischio di liquidità nei gruppi finanziari”, in cui il problema della gestione del rischio di liquidità è stato analizzato a livello di gruppi finanziari con prevalente attività bancaria, assicurativa o di

32 M. Piccitto: La gestione della liquidità. Aspetti organizzativi, Atti del convegno

Paradigma “Il rischio di liquidità”, Milano, 18 e 19 giugno 2008. 33 Basel Committee on Banking Supervision: A Framework for Measuring and

Managing Bank Liquidity, Bank for International Settlements, Basel, 1992. 34 Basel Committee on Banking Supervision: Sound Practices for Managing Liquidity in

Banking Organisations, Bank for International Settlements, Basel, 2000.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

intermediazione in titoli. Anche in questo caso, il documento aveva un valore di pura condivisione delle best practices internazionali, senza dettare linee guida destinate ad essere recepite negli ordinamenti nazionali dei principali Paesi industrializzati.35

Sino alla recente crisi finanziaria, si è manifestato a livello internazionale un ampio consenso sul fatto che il rischio di liquidità non debba essere coperto da specifici requisiti patrimoniali, non attenendo direttamente alla sfera dell’equilibrio economico e dell’equilibrio patrimoniale, ma impattando su tali equilibri solo in via indiretta.

Una peculiarità del rischio di liquidità, almeno nell’accezione di funding liquidity risk, che lo distingue dalle altre tipologie di rischio, è che esso si manifesta attraverso squilibri temporanei fra entrate e uscite monetarie, non determinando necessariamente perdite. Una banca in grado di fronteggiare un fabbisogno di cassa inatteso, può superarlo senza particolari oneri economici straordinari. Proprio per questo, i disallineamenti fra flussi di cassa in entrata e flussi in uscita e il conseguente rischio di liquidità non richiedono di essere coperti attraverso capitale versato dagli azionisti – a differenza dei rischi di credito, di mercato e operativo – bensì attraverso il mantenimento di un adeguato volume di poste liquide e prontamente liquidabili e attraverso l’attivazione di processi di monitoraggio e sistemi operativi che permettano di far fronte a un improvviso deficit di liquidità.

Coerentemente con tale visione:

- il nuovo accordo internazionale sul capitale delle banche non ha contemplato il rischio di liquidità nell’ambito nelle metodologie di calcolo dei requisiti patrimoniali, che costituiscono il “primo pilastro” di Basilea 2.36 Per esso ci si è limitati a prevedere, nell’ambito del processo di controllo prudenziale noto come “secondo pilastro”, che ogni banca adotti adeguati sistemi per misurare, monitorare e controllare il rischio di liquidità. Essendo la liquidità una condizione essenziale per la continuità operativa di qualsiasi banca, Basilea 2 richiede di valutare l’adeguatezza del capitale alla luce del profilo di liquidità della banca e della liquidità dei mercati nei quali essa opera. Nell’ambito del “terzo pilastro”, basato sulla disciplina di mercato e sulla trasparenza informativa,

35 The Joint Forum - Basel Committee on Banking Supervision, International

Organization of Securities Commissions e International Association of Insurance Supervisors: The Management of Liquidity Risk in Financial Groups, Bank for International Settlements, Basel, 2006.

36 Basel Committee on Banking Supervision: Basel II: International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards: A Revised Framework - Comprehensive Version, Bank for International Settlements, Basel, June, 2006.

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Basilea 2 prevede che, per ciascuna area di rischio, le banche debbano descrivere gli obiettivi perseguiti nella loro gestione, indicando strategie e processi, struttura e organizzazione, sistemi di segnalazione e/o misurazione del rischio, politiche di copertura e/o di attenuazione del rischio, pur senza richiedere specifiche informazioni in relazione al rischio di liquidità e lasciando alle autorità di vigilanza nazionali il compito di decidere se obbligare o meno le banche a divulgare al mercato informazioni su tale tipologia di rischio;37

- la direttiva europea 2006/48/CE sui requisiti patrimoniali delle banche, in sintonia con le linee guida di Basilea 2, ha introdotto l’obbligo di definire strategie e processi per la gestione del rischio di liquidità, con particolare attenzione al monitoraggio della posizione finanziaria netta della banca, e l’obbligo di predisporre piani di emergenza, senza prevedere specifici requisiti patrimoniali. Non è stato previsto nessun obbligo di trasparenza informativa in relazione al rischio di liquidità sopportato.

Nel 2007, tuttavia, la Commissione Europea ha incaricato il CEBS di elaborare un parere tecnico volto a promuovere la convergenza delle regole di vigilanza in tema di rischio di liquidità nei vari Paesi nell’Unione europea.38 A tal fine, è stato chiesto al CEBS di condurre un’indagine sui vari Paesi membri dell’Unione e di realizzare un approfondimento su alcune tematiche di carattere metodologico riguardanti: le variabili che possono influenzare in modo significativo la gestione del rischio di liquidità; l’interazione esistente tra funding liquidity risk e market liquidity risk; l’impatto dei sistemi di pagamento e di regolamento in tempo reale; l’uso di modelli di misurazione di tipo interno da parte di banche dotate di più sofisticati sistemi di risk management; le modalità di valutazione del rischio di liquidità da parte delle agenzie di rating. Tale indagine, oltre ai descritti approfondimenti metodologici, presenta l’attuale quadro normativo-regolamentare in tema di rischio di liquidità nei diversi Paesi UE ed evidenzia come non vi sia affatto uno standard comune fra i diversi Paesi membri. Le maggiori differenze e i sistemi meno esigenti in termini di controllo del rischio di liquidità riguardano soprattutto i Paesi di più recente ingresso nell’Unione europea. Negli altri Paesi, alcune autorità di vigilanza

37 European Central Bank: Liquidity Risk Management of Cross-border Banking

Groups in the EU, EU Banking Structure, October 2007. 38 Committee of European Banking Supervisors: First Part of CEBS’S Technical Advice

to the European Commission on Liquidity Risk Management, August, 2007. Committee of European Banking Supervisors: Second Part of CEBS’S Technical Advice to the European Commission on Liquidity Risk Management, September, 2008.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

fissano limiti quantitativi all’esposizione al rischio di liquidità. Altre autorità fanno invece maggiormente affidamento su presidi di natura qualitativa, basati su sistemi interni di gestione, controllo e reporting. La recente crisi ha fatto emergere alcune vulnerabilità delle regolamentazioni basate su criteri quantitativi, i cui parametri non si sono sempre dimostrati idonei a mitigare il rischio di liquidità.39

Nel 2008 anche il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha condotto una verifica sugli approcci adottati dalle singole autorità di vigilanza nazionali in tema di gestione del rischio di liquidità e ha aggiornato il precedente documento del 2000. In tale rapporto si ribadisce come la gestione del rischio di liquidità non esiga una dotazione patrimoniale, ma debba essere affrontata attraverso adeguate politiche di misurazione e controllo e l’adozione di efficaci sistemi operativi.40 La recente crisi internazionale ha infatti mostrato come anche banche ben patrimonializzate possano affrontare temporanee crisi di liquidità, non rappresentando né la dotazione patrimoniale né gli incrementi della stessa una soluzione efficace per la gestione del rischio di liquidità.41

4.2. La regolamentazione nazionale Nel caso italiano, le “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale sulle

banche”, coerentemente con la direttiva europea 2006/48/CE, collocano il rischio di liquidità nell’ambito del “secondo pilastro” di Basilea 2, mentre non è previsto uno specifico requisito patrimoniale a fronte di tale rischio.42

Il secondo pilastro, noto come processo di controllo prudenziale, si articola in due fasi fra di loro integrate:

- la valutazione aziendale dell’adeguatezza patrimoniale (Internal Capital Adequacy Assessment Process o ICAAP), con cui le banche debbono effettuare una autonoma valutazione della propria adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, in relazione ai rischi assunti e alla strategia aziendale. Il calcolo del capitale interno complessivo richiede una compiuta valutazione di tutti i rischi cui le

39 A.M. Tarantola: Crisi di liquidità e futuro dei mercati. Aspetti operativi e

regolamentari, Congresso Aiaf, Assiom, Atic Forex, Bari, 18 gennaio 2008. 40 Basel Committee on Banking Supervision: Liquidity Risk. Management and

Supervisory Challenges, Bank for International Settlements, Basel, 2008. 41 Tra gli ulteriori studi sul tema della gestione del rischio di liquidità si segnalano in

particolare: A. Persaud (a cura di): Liquidity Black Holes. Understanding, Quantifying and Managing Financial Liquidity Risk, Risk Books, London, 2003; Institute of International Finance (IIF): Principles of Liquidity Risk Management, March 2007; Banque de France: Financial Stability Review. Special Issue on Liquidity, n. 11, February 2008.

42 Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008.

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banche sono o potrebbero essere esposte, sia di quelli considerati ai fini del calcolo del requisito patrimoniale sia di quelli in esso non contemplati, quale appunto il rischio di liquidità;43

- il processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process o SREP), con cui l’autorità di vigilanza analizza il processo di controllo interno, valuta la coerenza dei risultati, formula un giudizio complessivo e adotta, ove necessario, misure correttive.

Nell’ambito di tali regole, le banche sono divise in tre classi, in attuazione di un principio di proporzionalità che gradua la regolamentazione in funzione delle diverse caratteristiche degli intermediari in termini di dimensioni e di complessità operativa:

- la “classe 1” comprende le banche e i gruppi bancari autorizzati all’utilizzo di sistemi basati sui rating interni ai fini del calcolo del requisito patrimoniale sul rischio di credito o di modelli interni per la quantificazione dei requisiti patrimoniali sui rischi di mercato o dell’approccio di misurazione avanzato per il calcolo del requisito patrimoniale sul rischio operativo;

- la “classe 2” comprende banche e gruppi bancari che utilizzano metodologie standardizzate con un totale dell’attivo, rispettivamente, individuale o consolidato superiore a 3,5 miliardi di euro;

- la “classe 3” comprende banche e gruppi bancari che utilizzano metodologie standardizzate con un totale dell’attivo individuale o consolidato pari o inferiore a 3,5 miliardi di euro.

Per quanto concerne il rischio di liquidità, la Banca d’Italia si limita a fornire, per tutte e tre le “classi”, linee guida di cui le banche devono tener conto nel definire i propri sistemi e le proprie procedure di misurazione e controllo.44 In funzione della classe di appartenenza, ciò che varia riguarda: il livello di approfondimento delle metodologie impiegate per la misurazione dei rischi, la tipologia e le caratteristiche degli stress test utilizzati, l’articolazione organizzativa dei sistemi di controllo e il tipo di rendicontazione richiesta.

43 Il processo ICAAP può essere scomposto nelle seguenti fasi: 1) individuazione dei

rischi da sottoporre a valutazione; 2) misurazione e valutazione dei singoli rischi e del relativo capitale interno necessario per farvi fronte; 3) misurazione del capitale interno complessivo in funzione della totalità dei rischi sopportati; 4) determinazione del capitale complessivo e riconciliazione con il patrimonio di vigilanza.

44 Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008, allegato D.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

Alle banche e ai gruppi bancari di “classe 1” è richiesto infatti di adottare adeguati strumenti di controllo e di attenuazione del rischio di liquidità, che vadano oltre le linee guida fornite dalla Banca d’Italia, valutando l’opportunità di elaborare metodologie, anche di tipo sperimentale e da affinare nel tempo, per la valutazione dell’esposizione a tale rischio.

Nel caso delle banche e dei gruppi bancari di “classe 2”, è richiesto di adattare le linee guida fornite per la gestione del rischio di liquidità alla propria realtà operativa.

Per le banche e i gruppi bancari di “classe 3”, è richiesto il solo rispetto delle linee guida fornite.

Dette linee guida obbligano le banche a predisporre un sistema di sorveglianza della posizione finanziaria netta semplificato, ma al tempo stesso più affidabile rispetto all’utilizzo di semplici modelli basati sugli stock di stato patrimoniale. Il sistema di sorveglianza del rischio di liquidità che ogni banca deve adottare prevede:

- la costruzione di una matrice per scadenze, nota in gergo tecnico come “maturity ladder”, necessaria per valutare l’equilibrio dei flussi di cassa attesi attraverso la contrapposizione fra entrate e uscite monetarie all’interno di diverse fasce temporali. Tale matrice consente di misurare il saldo atteso fra flussi di cassa in entrata e flussi di cassa in uscita in ciascuna fascia temporale e di giungere, attraverso la costruzione di saldi cumulati, alla posizione finanziaria netta su orizzonti temporali successivi. Al riguardo, ogni banca dovrà affrontare scelte metodologiche relative: alla definizione dell’orizzonte temporale di riferimento; all’individuazione delle poste altamente liquide che possono essere utilizzate in caso di saldo negativo; alla modellizzazione dei flussi di cassa relativi alle poste fuori bilancio e a quelle caratterizzate da discrezionalità nell’utilizzo o nel rimborso da parte della clientela;

- il ricorso ad un’analisi di scenario, che ipotizza il verificarsi di variazioni di talune delle poste nelle diverse varie fasce temporali definite sopra. L’analisi dell’impatto di tali scenari sulla situazione di liquidità della banca consente di avviare transazioni compensative degli eventuali sbilanci e la definizione in via preventiva di limiti operativi in funzione delle dimensioni e della complessità di ciascuna banca;

- l’esame delle problematiche specifiche di gestione del rischio di liquidità in un contesto multivalutario, tenendo conto della necessità di gestire pool di riserve liquide denominate in valute diverse per il

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rifinanziamento con banche centrali che utilizzano garanzie finanziarie denominate in valute differenti.45

Al sistema di sorveglianza della posizione finanziaria netta, le linee guida fornite dalla Banca d’Italia affiancano l’esigenza di adottare un “piano di emergenza”, noto come contingency funding plan. Esso ha come finalità la protezione della banca in situazioni di crisi di liquidità, attraverso la preventiva predisposizione e la successiva attuazione di strategie di gestione della crisi e di procedure per il reperimento di fonti di finanziamento in caso di emergenza, definendo le responsabilità dei vari organi aziendali in tali situazioni.

Il contingency funding plan considera le proiezioni future dei flussi di cassa in entrata e in uscita in corrispondenza di vari scenari, caratterizzati da aumenti degli impegni e degli esborsi di cassa e da situazioni di pressione sulle attività prontamente liquidabili. Tali scenari sono suddivisibili in tre categorie:

- uno scenario di ordinaria operatività, nel quale le tensioni di liquidità sperimentate dalla banca non sono acute e sono regolate da contromisure che rientrano nell’ambito dell’ordinaria gestione;

- uno scenario di tensione acuta di liquidità a livello di singola banca, che comporta spesso il ricorso a contromisure straordinarie e un intervento esterno alla banca;

- uno scenario di crisi per l’intero mercato.

In sostanza, il contingency funding plan identifica le diverse fonti cui una banca può attingere risorse in caso di crisi di liquidità, l’ordine di priorità con cui tali fonti devono essere attivate, gli organi aziendali e le strutture responsabili di attuare le politiche di funding straordinarie in caso di necessità. Il contingency funding plan non è solo la risposta a una crisi di liquidità, ma in qualche modo ne determina a sua volta l’ampiezza e l’esito finale.46

La regolamentazione relativa al “secondo pilastro”, oltre ad una valutazione aziendale dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP), comprende un processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP) con cui l’autorità di vigilanza analizza il sistema di controllo interno. Durante tale fase, l’esame della liquidità da parte dell’autorità di vigilanza è volto a verificare l’equilibrio dei flussi di cassa attesi su un arco temporale annuale, attraverso la contrapposizione delle attività e delle passività con scadenze che vanno

45 Banca d’Italia: Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, Circolare

n. 263 del 27 dicembre 2006, 2° aggiornamento del 17 marzo 2008, Roma, 2008. 46 Deutsche Bundesbank: Liquidity Risk Management at Credit Institutions, Deutsche

Bundesbank, Monthly Report, September 2008.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

da quella a vista e fino a 7 giorni a quella a dodici mesi, con particolare attenzione all'analisi degli sbilanci relativi al primo trimestre. Anche in questo caso, la Banca d’Italia valuta la capacità di far fronte a deflussi di liquidità che si manifestano sia nel corso della normale operatività sia al verificarsi di scenari di tensione di liquidità specificamente individuati.

In aggiunta a quanto previsto dalla direttiva europea sui requisiti

patrimoniali delle banche, la disciplina italiana prevede anche degli obblighi di disclosure sul rischio di liquidità, estendendo in sostanza la disciplina di mercato del così detto “terzo pilastro” a tale fattispecie di rischio. In tale ambito, la Banca d’Italia ha previsto specifici obblighi di informativa al pubblico volti a favorire una più accurata valutazione della solidità patrimoniale e dell’esposizione ai rischi delle banche da parte degli operatori di mercato, attraverso la predisposizione di appositi schemi riassuntivi in cui sono classificate numerose informazioni di carattere quali-quantitativo. La nuova disciplina della Banca d’Italia relativa ai bilanci bancari ha previsto che la nota integrativa del bilancio delle banche, individuale o consolidato, contenga una “parte E” dedicata alle “informazioni sui rischi e sulle relative politiche di copertura”, la cui “sezione 3” è specificamente dedicata al rischio di liquidità e alla presentazione di dettagliate informazioni di natura qualitativa e quantitativa relative a tale rischio.

Le informazioni qualitative devono illustrare le principali fonti di manifestazione del rischio di liquidità, le politiche di gestione, la struttura organizzativa preposta al controllo di tale rischio e i sistemi interni di misurazione e di controllo.

Le informazioni di natura quantitativa devono evidenziare:

- la distribuzione temporale per durata residua contrattuale delle attività e passività finanziarie, basata sulla ripartizione delle attività per cassa, delle passività per cassa e delle operazioni “fuori bilancio” in funzione della valuta di denominazione;47

- la distribuzione settoriale delle passività finanziarie, che individua il comparto economico di provenienza dei creditori della banca;48

47 Le fasce temporali previste dalla Circolare della Banca d’Italia sono: a vista; da oltre

1 giorno a 7 giorni; da oltre 7 giorni a 15 giorni; da oltre 15 giorni a un mese; da oltre un mese a tre mesi; da oltre tre mesi a 6 mesi; da oltre 6 mesi a 1 anno; da oltre 1 anno a 5 anni; oltre 5 anni.

48 Le passività finanziarie (debiti verso clientela, titoli in circolazione, passività finanziarie di negoziazione e passività finanziarie al fair value) sono distinte sulla base dei seguenti settori: governi e banche centrali; altri enti pubblici; società finanziarie; imprese di assicurazione; imprese non finanziarie; altri soggetti.

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Roberto Ruozi e Pierpaolo Ferrari

- la distribuzione territoriale delle passività finanziarie, che indica la provenienza geografica delle fonti di finanziamento.49

Attraverso tali informazioni il mercato è messo nella condizione di valutare, almeno parzialmente, il grado di esposizione al rischio di liquidità e i relativi sistemi di misurazione e controllo adottati da ciascuna banca.

5. Conclusioni

Le recenti turbolenze sui mercati finanziari hanno dimostrato il ruolo centrale che efficaci processi di gestione del rischio di liquidità hanno nel preservare la stabilità di singole banche e la solidità dell’intero sistema bancario in caso di improvvise crisi di natura sistemica.

Il rischio di liquidità è difficile da misurare e dipende da così tanti fattori da rendere un presidio di tipo patrimoniale poco adatto alla sua attenuazione.

Negli ultimi decenni, i mercati sono stati caratterizzati da elevati livelli di liquidità e dalla crescente diffusione di strumenti finanziari innovativi. Un tempo i prestiti erano illiquidi, i titoli liquidi e i depositi stabili. Ora i prestiti sono diventati più liquidi, i titoli sono diventati più complessi e meno liquidi, i depositi sono divenuti meno stabili.

Se, da un lato, le recenti trasformazioni del sistema bancario internazionale hanno aumentato le soluzione tecniche a disposizione delle banche per la gestione del rischio di liquidità, dall’altro lato, esse hanno condotto a una sottovalutazione dell’effettiva esposizione a tale rischio.

Una corretta politica di gestione impone di esaminare il rischio di liquidità in funzione dell’area di impatto, dell’orizzonte temporale di analisi, dell’origine e dello scenario economico in cui si manifesta. Analizzati questi quattro aspetti, è necessario definire i modelli di misurazione del rischio, individuando le grandezze aziendali da monitorare e fissando gli opportuni limiti operativi che consentano di individuare preventivamente l’insorgere di potenziali crisi di liquidità. Nel breve periodo è necessario realizzare uno stretto monitoraggio della posizione finanziaria netta della banca, intesa come il saldo cumulato netto fra flussi di cassa in entrata e flussi di cassa in uscita, oltre a identificare l’orizzonte temporale entro il quale la banca è in grado di fare fronte ai propri fabbisogni di liquidità senza ricorrere a nuovi interventi di finanziamento non garantito.50 Nel medio-lungo periodo,

49 Banca d’Italia: Il bilancio bancario. Schemi e regole di composizione, Circolare n.

262 del 22 dicembre 2005, Roma 2005. 50 Tale orizzonte temporale, noto come time-to-survival, rappresenta il punto di

pareggio fra la somma cumulata dei flussi di cassa netti e lo stock di attività finanziarie utilizzabili come garanzia in operazioni di rifinanziamento, al netto dei relativi scarti di

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

assumono particolare importanza, oltre al monitoraggio della posizione finanziaria netta, i così detti medium-long term funding ratios, misurati attraverso il rapporto fra le passività con scadenza medio-lunga e le attività finanziarie con un vincolo di durata almeno analogo: in virtù della trasformazione delle scadenze è naturale attendersi che tali rapporti siano sovente inferiori al 100%, ma la caduta di uno o più rapporti al di sotto di certi limiti può essere interpretato come un indice di vulnerabilità della banca al rischio di liquidità.

Sia nel breve sia nel medio-lungo periodo, ogni banca dovrà affrontare scelte metodologiche relative alla modellizzazione dei flussi di cassa relativi alle poste fuori bilancio e a quelle caratterizzate da discrezionalità nell’utilizzo o nel rimborso da parte della clientela.

Le diverse metodologie devono ipotizzare sia uno scenario di normale operatività, caratterizzato da una situazione di mercato stabile, sia scenari di stress, contraddistinti da tensioni di liquidità a livello aziendale o sistemico.

Le prove di stress rappresentano una componente rilevante nella misurazione del rischio di liquidità, benché il loro sviluppo sia ancora in una fase sperimentale. Le metodologie risultano ancora assai eterogenee e spesso basate su approcci judgemental sia con riferimento alle tecniche sia in relazione agli scenari. Pur con limiti legati all’arbitrarietà dei dati utilizzati, tali simulazioni risultano utili in quanto permettono alla banca di predisporre un piano di emergenza da attivare nel caso si presentassero gli scenari avversi ipotizzati.

Anche i connessi aspetti organizzativi sono complessi e variano a seconda dei modelli adottati dalle singole banche e, soprattutto, dai gruppi bancari di cui esse fanno parte.

A prescindere dalla metodologia utilizzata e dai modelli organizzativi adottati, le scelte riguardanti la gestione del rischio di liquidità risentono della propensione al rischio di ciascuna banca. In una fase di crescente internazionalizzazione dei sistemi bancari e di aumento delle pressioni competitive, ogni banca ha dovuto ricercare un delicato equilibrio fra una prudente e equilibrata struttura per scadenze dell’attivo e del passivo e il perseguimento di crescenti livelli di redditività. Ne sono derivate esposizioni al rischio di liquidità assai differenziate nei diversi Paesi e all’interno di ciascun Paese fra le varie banche.51

La definizione dei meccanismi regolamentari più efficaci per gestire il rischio di liquidità non è semplice. Le recenti indagini condotte a livello di

garanzia. A. Partesotti: Funding liquidity risk. Misurazione e gestione, Atti del convegno Paradigma “Il rischio di liquidità”, Milano, 18 e 19 giugno 2008.

51 A.M. Tarantola: Crisi di liquidità e futuro dei mercati. Aspetti operativi e regolamentari, Congresso Aiaf, Assiom, Atic Forex, Bari, 18 gennaio 2008.

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Roberto Ruozi e Pierpaolo Ferrari

Comitato di Basilea e di CEBS evidenziano un’ampia condivisione sull’importanza della supervisione della liquidità, sulla necessità di mitigare il rischio a essa connesso allo scopo di assicurare la stabilità del sistema finanziario, nonché sull’opportunità di tenere conto, anche a fini di vigilanza, delle pratiche di gestione del rischio di liquidità da parte delle banche. In tale senso si muove la disciplina del “secondo pilastro” di Basilea 2. Esistono tuttavia molte differenze nelle modalità con cui tale principio è trasposto in regole o linee guida. A livello europeo, alcune autorità di vigilanza fissano limiti quantitativi all’esposizione al rischio di liquidità. Altre autorità fanno invece maggiormente affidamento su presidi di natura qualitativa, basati su sistemi interni di gestione, controllo e reporting. La recente crisi ha fatto emergere alcune vulnerabilità delle regolamentazioni basate su criteri quantitativi i cui parametri non si sono sempre dimostrati idonei a mitigare il rischio di liquidità.

Il sistema bancario italiano ha risentito sinora meno di altri della crisi di liquidità a livello internazionale per diversi motivi fra cui i principali sono la minore diffusione del modello originate-to-distribute e il prevalente ricorso ai depositi della clientela quale fonte di raccolta. 52

Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale hanno recentemente introdotto per tutte le banche italiane i princìpi e le regole stabiliti a livello internazionale da Basilea 2 attraverso la direttiva comunitaria sui requisiti patrimoniali. La normativa di vigilanza italiana prevede che al crescere delle dimensioni e della complessità operativa della banca i sistemi di misurazione e controllo siano adeguati per tenere conto della diversa articolazione del rischio di liquidità, senza imporre il rispetto di parametri di natura quantitativa.

Oltre a quanto previsto dalla direttiva europea sui requisiti patrimoniali, la disciplina italiana impone alle banche degli obblighi di disclosure sul rischio di liquidità, estendendo in sostanza la disciplina di mercato del così detto “terzo pilastro” a tale fattispecie di rischio. Attraverso tali informazioni il mercato è messo nella condizione di valutare il grado di esposizione al rischio di liquidità e i sistemi di misurazione e controllo adottati da ciascuna banca.

La gestione del rischio di liquidità dipende contemporaneamente da alcuni elementi tecnici in senso stretto e da alcuni elementi comportamentali.

Gli elementi tecnici, come visto sopra, sono complessi e si basano sul rispetto dei principi di sana e prudente gestione che la tecnica bancaria internazionale ha da tempo individuato. L’antico e consolidato principio per

52 A.M. Tarantola: Crisi di liquidità e futuro dei mercati. Aspetti operativi e

regolamentari, Congresso Aiaf, Assiom, Atic Forex, Bari, 18 gennaio 2008.

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Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari

il quale nel medio-lungo periodo ci si può attendere un equilibrio istantaneo e continuo fra entrate e uscite monetarie solo in presenza di un equilibrio fra struttura per scadenze dell’attivo e struttura per scadenze del passivo permane senz’altro il criterio guida: l’equilibrio finanziario della banca dipende sostanzialmente dalle scelte strutturali che stanno a monte rispetto alla pura gestione tecnica della liquidità. Gli aspetti tecnici di gestione della liquidità sono poi guidati da regole che, in base alle best practices internazionali di supervisione, fanno maggiormente affidamento su sistemi interni di gestione, di controllo e di reporting, più che sul rispetto di parametri di natura quantitativa. La letteratura economico-aziendale italiana già da tempo ha individuato la difficoltà di ricondurre a una qualunque rilevazione quantitativa di carattere sintetico l’esauriente valutazione del livello di liquidità delle banche, definendo “vano il tentativo di individuare ‘giusti’ ed ‘ottimi’ gradi di liquidità, tanto più se si intenda considerarli tali nella continuità del tempo e per tutti gli istituti”.53

Sugli elementi comportamentali, le regole di cui si è parlato in questo lavoro possono avere un’influenza minima. Ciò non deve in alcun modo ridurre l’importanza di nuove e precise regole in materia, ma deve far capire che esse, di base, non possono risolvere tutti i problemi. Anche da questo punto di vista le banche, come del resto tutte le altre aziende, dipendono essenzialmente dal comportamento degli uomini che le gestiscono e tale comportamento non è condizionabile oltre determinati limiti da regole come quelle di cui si sta parlando. Il discorso dovrebbe quindi allargarsi ad una serie di altri elementi (governance, strumenti di incentivazione del management, controlli interni e, non ultimo, etica) che non è possibile trattare nel presente saggio.

53 G. Dell’Amore: I depositi nell’economia delle aziende di credito, Giuffrè, Milano,

1951, pag. 500.

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Roberto Ruozi e Pierpaolo Ferrari

Bibliografia

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2005 AL 2009∗:

41- Monica VENEZIANI, Effects of the IFRS on Financial Communication in Italy: Impact on the Consolidated Financial Statement, gennaio 2005.

42- Anna Maria TARANTOLA RONCHI, Domenico CERVADORO, L’industria vitivinicola di Franciacorta: un caso di successo, marzo 2005.

43- Paolo BOGARELLI, Strumenti economico aziendali per il governo delle aziende familiari, marzo 2005.

44- Anna CODINI, I codici etici nelle cooperative sociali, luglio 2005. 45- Francesca GENNARI, Corporate Governance e controllo della Brand Equity

nell’attuale scenario competitivo, luglio 2005. 46- Yuri BIONDI, The Firm as an Entity: Management, Organisation, Accounting, agosto

2005. 47- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Luca MOLTENI, Consumatore, marca ed

“effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti, novembre 2005. 48- Pier-Luca BUBBI, I metodi basati sui flussi: condizioni e limiti di applicazione ai fini

della valutazione delle imprese aeroportuali, novembre 2005. 49- Simona FRANZONI, Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa,

dicembre 2005. 50- Francesco BOLDIZZONI, Arnaldo CANZIANI, Mathematics and Economics: Use,

Misuse, or Abuse?, dicembre 2005. 51- Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, Web Orientation and Value Chain Evolution

in the Tourism Industry, dicembre 2005. 52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo

2006. 53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension &

Brand Loyalty, aprile 2006. 54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti

locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

dicembre 2006 59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nel-

l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

∗ Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

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75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

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80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

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84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

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89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Febbraio 2009

Paper numero 90

Roberto RUOZI - Pierpaolo FERRARI

IL RISCHIO DI LIQUIDITÀ NELLE BANCHE:ASPETTI ECONOMICI

E PROFILI REGOLAMENTARI

Università degli Studi di Brescia

Dipartimento di Economia Aziendale

Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia

tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814

e-mail: [email protected]

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