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IL RINASCIMENTO Nascita degli stati moderni, in particolare con le monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna, caratterizzate da un forte accentramento del potere.

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IL RINASCIMENTO

• Nascita degli stati moderni, in particolare con le monarchie nazionali di Francia, Inghilterra e Spagna, caratterizzate da un forte accentramento del potere.

• Ritorno alle Humanae litterae, con una riscoperta degli studi dell’Antichità classica, da cui sorse un movimento, indicato con il nome di Umanesimo, caratterizzato dall’affermazione della centralità dell’uomo, contro i dogmatismi e l’unità enciclopedica medievale.

• Dall’Umanesimo si sviluppò il “Rinascimento”, un periodo storico caratterizzato da un rinnovamento culturale e scientifico improntato sul rifiuto del sapere rinchiuso nei dogmi medievali.

• E’ in questo periodo che ebbero grande sviluppo le scienze esatte ed applicate, il cui maggior rappresentante fu Leonardo da Vinci.

• Un grande ruolo nella diffusione della cultura e nell’avanzamento delle scienze si deve all’invenzione della stampa, avvenuta alla metà del XV secolo ad opera di Johann Gutenberg, e poi diffusasi rapidamente in diverse città europee, permettendo la circolazione capillare di testi ed opere.

La riforma protestante, avviata da Martin Lutero, portò alla rottura con la Chiesa di Roma e alla nascita del protestantesimo, che attecchì in particolare in Germania, in Inghilterra e nell’Europa settentrionale.

• Ritorno agli antichi, con un lavoro di lettura filologica degli autori classici, in primis di Galeno.

• Spirito di revisione critica e di rinnovamento che riguardò innanzitutto l’anatomia, con un’opera di correzione costante della tradizione galenica attraverso la diffusione della pratica settoria e lo studio diretto del corpo umano.

• Spostamento dell’attenzione degli anatomisti dall’organismo sano a quello malato, con la nascita dell’anatomia patologica.

• Progressi meno eclatanti nel campo della chirurgia, disciplina che venne accorpata, almeno nelle università, alla cattedra di anatomia, con la nascita della figura del chirurgo anatomico.

• Patologia ancora sostanzialmente legata all’umoralismo.

• Medicina magica e astrologica attraversa trasversalmente tutto il periodo.

LA MEDICINA RINASCIMENTALE

• Fine del XV: processo di rinnovamento negli studi anatomici, anche dal punto di vista iconografico.

• Gli artisti dell’epoca mostrano di avere buone conoscenze di anatomia.

• Leonardo da Vinci, tra i suoi molteplici interessi, coltivò anche lo studio approfondito del corpo umano e del suo funzionamento, eseguendo egli stesso dissezioni di cadaveri e rappresentando ciò che vedeva in una serie di disegni di straordinaria bellezza. L’opera di Leonardo non ebbe riflessi sulla medicina del tempo, in quanto i suoi disegni furono conservati negli archivi senza essere divulgati tra i contemporanei, e vennero riscoperti solo intorno alla metà del XVII secolo.

• All’inizio del XVI secolo l’anatomia nelle Università si insegnava ancora basandosi sul testo di Galeno, oppure i lettori più all’avanguardia seguivano l’Anatomia di Mondino.

• Tra l’opera di Mondino de’ Liuzzi e la grande rivoluzione dell’anatomia operata da Andrea Vesalio alla metà del secolo si collocano alcune figure che ne hanno preparato la strada, facendo piccoli, ma fondamentali, passi verso la comprensione del corpo umano.

L’ANATOMIA NEL RINASCIMENTO

Jacopo Barigazzi, detto Berengario da Carpi (ca.1460-1530), diede avvio al lavoro di critica dell’autorità galenica.

Studiò all’Università di Bologna, dove ottenne la cattedra di chirurgia.

In questi primi anni di insegnamento Berengario usava probabilmente il testo di Mondino, ma presto si fece sostenitore della necessità di apprendere l’anatomia non solo dalla lettura dei testi, ma soprattutto dalla pratica diretta e dall’esperienza personale.

Nelle sue principali opere, il Commentaria super anatomia Mundini del 1521 e le Isagogae breves del 1522, espose osservazioni in contrasto con la tradizione galenica, che furono poi riprese e confermate qualche decennio più tardi da Vesalio.

Berengario mise in dubbio l’esistenza della rete mirabile arteriosa alla base del cervello, punto fondamentale nella fisiologia di Galeno. Infatti, nelle sue dissezioni, non era riuscito a riscontrare la presenza di questa struttura.

Fece poi importanti scoperte, descrivendo l’utero come un’unica cavità, non suddivisa in più camere, come fino ad allora si era creduto, e descrisse l’appendice vermiforme, la ghiandola pineale, il timo e i rapporti tra vena cava e vena porta.

Un’altra innovazione introdotta da Berengario furono le numerose incisioni su legno che arricchivano i suoi testi; nonostante queste illustrazioni mantengano una certa grossolanità, dimostrano che egli fu il primo a comprendere il valore didattico della documentazione grafica nei testi a stampa.

Illustrazione tratta dalle Isagoge di Berengario da Carpi (Bononiae: Benedictum Hectoris, 1523) che mostra lo scheletro e i muscoli dell’addome. Courtesy of the National Library of Medicine

osservazione anatomica ma, non applicabile a strutture insensibili!

autorità galenica ma, non pienamente valida in anatomia!

ampio spazio all’osservazione

dissezioni private >> dissezioni pubbliche

nega l’esistenza della rete mirabile (spirito vitale spirito animale)

alla base del cervello, sostenuta da Galeno

realizza numerose tavole: con lo “scheletro articolato”

(tramite osservazione con riproduzione piani muscolari

diretta del modello reale!) inseriti nell’ambiente di vita

anatomia animata

Un antesignano dell’anatomia patologica è considerato il fiorentino Antonio Benivieni (1443-1502).

Durante la sua pratica autoptica, che per la prima volta veniva condotta al fine di stabilire le cause della morte, prendeva nota di ciò che osservava, descrivendo anche l’evoluzione della patologia precedente al decesso.

L’insieme di queste annotazioni, riguardanti una ventina di casi clinici, corredati dal reperto dell’esame autoptico, a cui vennero aggiunti oltre un centinaio di casi riguardanti solo la descrizione clinica, è stato raccolto nel De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis, pubblicato postumo nel 1507.

Casi autoptici “mirabili”

corporee nascoste all’interno del corpo cause delle malattie miracoli di Dio

soprannaturali

intervento di demoni malvagi

Con quest’opera fu dimostrata l’utilità di confrontare le osservazioni della clinica con l’anatomia patologica, per una piena comprensione dei fenomeni morbosi.

Antonio Beniveni “De Peste”

(Biblioteca Mediceo-Laurenziana, Firenze)

Si deve al francese Jean Fernel (1497?-1558) la nascita della fisiologia, termine da lui coniato, con il quale intendeva la conoscenza dell’organismo sano e delle sue funzioni, che non può prescindere dallo studio dell’anatomia.

Nella sua Medicina del 1554, suddivisa in tre sezioni, Phisiologia, Pathologia e Therapeutica, Fernel mostra di aderire ancora alla teoria umorale e al galenismo, dando però grande importanza anche all’osservazione diretta.

Egli suddivise le malattie in due categorie principali, quelle che colpiscono l’intero organismo, senza una localizzazione precisa, individuabili sulla base di un criterio clinico ed eziologico, come ad esempio le febbri, e quelle che colpiscono un organo o una parte del corpo, individuabili sulla base di un criterio anatomico.

Il vero riformatore dell’anatomia nel XVI secolo è considerato Andrea Vesalio (1514-1564), nome italianizzato di Andreas van Wesel, che per primo osò mettere in discussione l’autorità galenica, fino ad allora accettata come dogma.

Nato a Bruxelles da una famiglia legata da generazioni alla tradizione medica, studiò discipline classiche a Lovanio, per poi trasferirsi nel 1533 alla Facoltà di medicina dell’Università di Parigi.

Nel 1536, a causa dell’invasione della Francia da parte di Carlo V, fu costretto a tornare a Lovanio, dove continuò la pratica settoria; infine si trasferì a Padova, dove ottenne la cattedra di Anatomia e Chirurgia a soli 23 anni. Qui iniziarono gli anni della più intensa attività anatomica di Vesalio.

Nel 1538 pubblicò a Venezia le Tabulae anatomicae sex, create a scopo didattico per gli studenti, nelle quali sono ancora contenuti alcuni errori di Galeno, come la suddivisione del fegato in cinque lobi, la presenza della rete mirabile arteriosa alla base del cervello, e la suddivisione dello sterno in sette segmenti.

L’esperienza maturata con la pratica dissettoria portò tuttavia Vesalio ad un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’anatomia galenica, che si palesò nella sua opera fondamentale De umani corporis fabrica (noto anche come Fabrica), pubblicato a Basilea nel 1543.

Il frontespizio dell’opera di Vesalio mostra le novità rispetto alla pratica settoria in uso fino a quel momento:

• il maestro è sceso dalla cattedra per stare in mezzo agli studenti

• opera di propria mano, senza demandare l’apertura del cadavere al demonstrator

• gli animali, simbolizzati dal cane a destra e dalla scimmia a sinistra, vengono esclusi dalla dissezione

• i due assistenti medievali, l’incisore e l’ostensore, sono stati relegati sotto il tavolo settorio

La rottura proposta da Vesalio era dunque prima di tutto metodologica, poiché egli unificò in un’unica figura ciò che prima era svolto da tre persone distinte, il lettore, il dimostratore e l’ostensore.

Vesalio condusse un’opera di rivisitazione sistematica dell’anatomia galenica, che venne esposta nella Fabrica, anche attraverso l’utilizzo di raffigurazioni estremamente realistiche che arricchivano il testo, mostrando le diverse parti del corpo umano sezionato.

Vesalio conduceva autopsie quotidianamente, mostrando la corrispondenza dei disegni anatomici con quanto verificava tramite la dissezione, e questa esperienza diretta lo portò a comprendere che Galeno aveva sezionato solo animali e che quindi molte sue osservazioni non potevano essere valide per il corpo umano.

1537-1546 lettore in chirurgia ed anatomia a Padova

(nel clima di libertà intellettuale della Repubblica di Venezia!)

diventa medico di corte degli imperatori Carlo V e Filippo II

muore a Zante, di ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme

Tabulae anatomicae sex, 1538

inizia come galenista: fegato con 5 lobi, rete mirabile alla base del cervello!

De humani corporis fabrica libri septem, 1543 (Basilea)

con tavole di John Stephen von Kalkar

De humani corporis fabrica librorum epitome, 1543

esegue le dissezioni direttamente, in prima persona

prende avvio dall’opera di Galeno

la confronta con i reperti anatomici ottenuti

rileva gli errori di Galeno (dovuti alla pratica della dissezione animale!)

confuta gli errori di Galeno

Vesalio corresse diversi errori del galenismo:

• riconobbe che la mandibola era costituita da un solo osso

• lo sterno era suddiviso in tre segmenti

• mise in dubbio la pervietà del setto intervetricolare del cuore, dal momento che non era riuscito a vedere “pori”, anche se non si sentì di negare il passaggio del sangue da un ventricolo all’altro, sostenendo che questo avveniva grazie alla potenza divina (tuttavia nella seconda edizione del testo, risalente al 1555, la convinzione dell’inesistenza di perforazioni nel setto divenne più ferma

• un elemento fondamentale della fisiologia galenica, che venne riconosciuto come un errore da Vesalio, fu la rete mirabile arteriosa, posta alla base del cervello, la cui esistenza nell’uomo fu decisamente negata nella Fabrica e riconosciuta come struttura caratteristica degli ungulati

• respinse il concetto che i nervi fossero cavi

La pubblicazione della sua opera, che rivoluzionava l’anatomia mettendo in discussione l’autorità galenica fino ad allora unanimemente accettata, lo espose a violente critiche da parte dei colleghi.

Fu probabilmente questa ostilità a spingere Vesalio, l’anno successivo alla pubblicazione della Fabrica, il 1544, ad abbandonare la ricerca scientifica e a trasferirsi in Spagna come medico personale di Carlo V (1500-1558) e poi di suo figlio Filippo II (1527-1598).

Morì sull’isola di Zante, durante il ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, nel 1564.

Un esempio del processo di progressivo affrancamento di Vesalio, durante il periodo padovano, dall'accettazione acritica delle teorie galeniche è costituito dal problema del "rete mirabile".

Vesalio ammette l'esistenza della "rete mirabile" nelle Tabulae anatomicae sex (1538) - una sorta di sintesi iconografica dell'anatomia a uso degli studenti che egli pubblica poco dopo l'inizio del suo magistero padovano - e pertanto quando ancora non ha maturato il successivo atteggiamento critico nei confronti della tradizione.

Ma nella Fabrica del 1543 riconosce l'errore compiuto:

"Quante, spesso assurde cose sono state accettate in nome di Galeno [...]. Tra queste è quel mirabile plesso reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti [...] e di cui i medici parlano continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta dell'insegnamento di Galeno. Io stesso sono ora realmente meravigliato per la mia stupidità [...]. Causa la mia devozione a Galeno non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bove per mostrare ciò che non riuscivo a riscontrare in alcun modo nell'uomo [...] e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di essere incapace di trovare quel plesso a tutti loro così ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso reticolare descritto da Galeno".

Questa citazione mette in evidenza come anche un uomo di ingegno non comune, come Vesalio, giunga con grande difficoltà a mettere in discussione l’ipse dixit.

Nella Fabrica Vesalio respinge altri importanti aspetti della neurologia di Galeno, per esempio il concetto che i nervi siano cavi. Leggiamo quanto egli stesso asserisce a proposito del nervo ottico:

"Posso affermare di non aver mai trovato passaggio di alcuna sorta, nonostante a questo scopo abbia esaminato i nervi ottici durante la vivisezione di cani e di altre specie animali di dimensioni maggiori, e il capo di un uomo ancora caldo, meno di un'ora dopo la decapitazione".

Tali affermazioni hanno implicanze che vanno molto al dì là del loro contenuto informativo sulla realtà di queste strutture anatomiche: privando l'edificio fisiologico di Galeno di fondamenti essenziali, aprono una strada che avrebbe portato lontano, riproponendo implicitamente una completa revisione non solo degli aspetti anatomo-morfologici, ma anche fisiologico-funzionali del sistema nervoso.

Con questo non si intende affermare che il distacco da Galene sia completo, nella maggior parte dei casi, le osservazioni neuroanatomiche di Vesalio non si traducono in una diversa interpretazione della funzione e pertanto gran parte della fisiologia tradizionale continua a essere da lui accettata.

Per esempio, se da un lato nega l'esistenza dei passaggi immaginari attraverso cui il flegma dovrebbe scendere nel naso e nel faringe:

"Non vi è alcun forame nell'osso [sfenoide] per la discesa del flegma [...]. Quanto Galeno immagina sulla presenza di forellini come quelli di una spugna o di un setaccio è ridicolo, perché questi forellini sotto la ghiandola [pituitaria] non esistono",

egli continua ad ammettere la concezione fisiologica galenica:

"[La ghiandola pituitaria] riceve il flegma e lo lascia fluire giù da ogni suo lato senza formazioni di gocce. Esso scorre via attraverso i numerosi fori presenti nella base del cranio ove decorrono vene, arterie o nervi".

Tra i contemporanei di Vesalio, che diedero un contributo agli studi di anatomia, ricordiamo Gabriele Falloppio o Falloppia (1523 ca.- 1562), che fece nuove e importanti scoperte sull’occhio, sul sistema nervoso, e sull’apparato genitale femminile, riconoscendo l’analogia strutturale tra clitoride e pene, coniando il termine vagina e scoprendo le tube uterine, che da lui presero il nome di “tube di Falloppio”;

e Bartolomeo Eustachi o Eustachio (ca. 1510-1574), a cui va il merito di aver compiuto studi sullo sviluppo e l’anatomia dei denti, sulla struttura del rene, sullo scheletro umano e sull’orecchio, di cui scoprì il condotto uditivo esterno, conosciuto infatti come “tromba di Eustachio”.

Uno dei più importanti progressi, avvenuti negli studi anatomici durante il XVI, secolo riguarda la scoperta della circolazione sanguigna, cui si giunse attraverso il contributo di numerosi studiosi, e che trovò la sua spiegazione più completa con l’opera di William Harvey.

Lo spagnolo Miguel Servet (Serveto) (1511-1553), tentò di scardinare definitivamente la tradizione galenica, andando oltre le posizioni di Vesalio.

Teologo e riformatore religioso, giudicato eretico e poi condannato a morte a Ginevra, Serveto aveva studiato medicina all’Università di Parigi. Egli fu uno strenuo sostenitore dell’inesistenza di comunicazione interventricolare, arrivando a scoprire il circolo polmonare, sebbene non avesse ancora un’idea chiara del concetto di circolazione sistemica. Egli espose questa teoria nell’opera teologica Christianismi restituito, pubblicata nel 1553, nella quale, oltre a negare la Trinità, demoliva la dottrina galenica dei tre spiriti.

La sua scoperta tuttavia non ebbe vasta circolazione perché contenuta in un testo di teologia e non di medicina, molte copie delle quali vennero bruciate a seguito della persecuzione religiosa di cui fu vittima.

L’intuizione del piccolo circolo fu ripresa e approfondita da un anatomista italiano, Realdo Colombo (1516-1559), che era allievo di Vesalio e gli succedette nella cattedra di Padova, anche se solo per un anno, per poi insegnare a Pisa nel 1545 e passare infine a Roma nel 1548.

Anatomico di grande rilievo, acquisì una notevole esperienza dedicandosi alla dissezione, che illustrò nel De re anatomica, pubblicata nel 1559.

Attraverso la vivisezione sui cani Colombo arrivò a descrivere il piccolo circolo: tagliando la vena polmonare di un cane nel punto più lontano dal cuore osservò che non conteneva aria, ma bensì sangue di tipo arterioso, che definì “sottile e brillante”;

inoltre confermò che non vi erano fori nel setto del cuore, sostenendo quindi che il sangue andava dalla parte destra del cuore a quella sinistra passando attraverso i polmoni.

Colombo non giunse ancora al concetto di circolo polmonare, poiché rimase ancorato alla teoria galenica secondo la quale il sangue venoso era attratto e utilizzato dalle diverse parti del corpo.

Nonostante la scoperta, quasi contemporanea, di Serveto e di Colombo a proposito del piccolo circolo, è solo con l’opera di Andrea Cesalpino (1519-1603) che, per la prima volta, venne introdotto in medicina il termine di “circolazione”, seppur ancora limitato al piccolo circolo e non alla circolazione sanguigna in generale. Infatti Cesalpino definì con l’espressione “circulatio sanguinis” il movimento del sangue che, partendo dal cuore, passa attraverso i polmoni, per ritornare al cuore.

Cesalpino, che fu un allievo di Colombo e tenne la cattedra di farmacologia e quella di medicina pratica all’Università di Pisa, ebbe il merito di comprendere che era il cuore, e non il fegato, come si riteneva nella visione galenica allora imperante, ad essere al centro del movimento del sangue, oltre che il punto di partenza delle arterie e di arrivo delle vene.

Mentre secondo Galeno il sangue, diffuso attraverso il sistema di vene ed arterie a tutto il corpo, si andrebbe consumando nell’operazione continua di nutrimento degli organi, Cesalpino per primo scoprì che il sangue non fuoriesce mai dai vasi sanguigni per versarsi negli organi.

Andrea Cisalpino in un’incisione di F. Allegrini. Courtesy of the National Library of Medicine

Nel 1592 fu chiamato a Roma da Clemente VIII, di cui divenne medico personale, insegnando medicina nello studio romano.

Fu in quegli anni che, osservando durante la pratica del salasso che le vene sotto il laccio stretto intorno al braccio si inturgidiscono, mentre sopra il laccio si svuotano, dedusse che la circolazione venosa è centripeta, e quindi opposta rispetto a quella arteriosa che porta il sangue dal cuore alla periferia.

Dunque, scoprì che nel sistema vascolare esistono due correnti opposte.

Cesalpino espose queste scoperte in diverse opere mediche, Quaestionum peripatecarum libri V del 1571, Questionum medicarum libri II del 1593 e Praxis universale artis medicae pubblicata postuma nel 1606.

Fra gli studiosi che, in età rinascimentale, si occuparono di circolazione sanguigna vi fu anche Girolamo Fabrici d’Acquapendente (ca 1537-1619), il quale studiò all’Università di Padova, diventando poi professore di anatomia e chirurgia e facendo costruire il celebre teatro anatomico dell’ateneo, inaugurato nel 1594.

Egli fu un esperto anatomista, fisiologo ed un abile chirurgo anche ortopedico, ed ebbe molti pazienti illustri del tempo, come il Cardinale Carlo de’ Medici, il duca di Urbino, il duca di Mantova e Galileo Galilei.

Il teatro anatomico di Padova (1594)

Fabrici diede originali contributi in molti campi della medicina, ma il suo contributo fondamentale concerne la circolazione sanguigna, poiché nel De venarum ostiolis (1603) descrisse per la prima volta le valvole venose.

Fabrici, non essendo ancora a conoscenza delle scoperte di Cesalpino, non ne comprese la funzione, come fece poi il suo allievo William Harvey, ritenendo che queste valvole rallentassero semplicemente il flusso del sangue venoso, per farlo ristagnare negli organi e consentirne il nutrimento.

Furono le scoperte di Colombo, di Cesalpino e infine di Girolamo Fabrici di Acquapendente che permisero a William Harvey, nel secolo successivo, di arrivare a descrivere la circolazione sanguigna sistemica, dimostrata su basi scientifiche con esperimenti ripetuti.

La chirurgia nel Rinascimento rimase legata al galenismo, e fu ostacolata anche da non indifferenti difficoltà pratiche, come la suppurazione delle ferite, le emorragie e il dolore connesso agli interventi.

La formazione di pus a seguito dell’intervento chirurgico continuò ad essere ritenuta inevitabile ed utile (pus bonum et laudabile); perciò la diffusione stessa della chirurgia comportò un aumento delle infezioni post-operatorie.

Le emorragie erano un altro problema connesso soprattutto all’amputazione degli arti, che venne risolto da Ambroise Parè, il quale reintrodusse la tecnica della legatura dei vasi, già conosciuta nell’Antichità. Tuttavia questa tecnica non venne adottata stabilmente prima della fine del XVIII secolo, in quanto richiedeva conoscenze anatomiche precise, e anche perché i fili di sutura utilizzati per questa operazione erano infetti e quindi responsabili di frequenti infezioni e cancrene. Quanto al dolore, l’uso della spongia somnifera (oppio, succo di mandragora, succo di giusquiamo; una spugna assorbiva il tutto, la si faceva asciugare, la si immergeva in acqua e, infine, il malato doveva annusarla). fu presto abbandonato per le sue controindicazioni, e l’effetto analgesico venne affidato all’utilizzo di sostanze alcoliche da parte dei chirurghi empirici, mentre i professionisti consideravano il dolore un problema secondario rispetto alla salute del paziente.

Infine, la piccola chirurgia, basata sull’umoralismo, consisteva essenzialmente nella pratica del salasso, nell’incisione degli ascessi, in diversi interventi “purgativi”, ma si opponeva all’asportazione e alla ricostruzione delle parti solide del corpo.

Tuttavia la riscoperta e la diffusione dell’opera di Celso, stampata nel 1478, e dei trattati chirurgici di Ippocrate e Galeno, permise di conoscere tecniche ormai andate perdute.

Motivi di addestramento per la chirurgia rimasero, anche durante il Rinascimento, i campi di battaglia delle numerose guerre che costellarono il periodo; l’introduzione di nuove armi da fuoco, come l’archibugio, rese necessario adottare nuovi metodi di cura.

Inoltre, i progressi dell’anatomia, che si verificarono grazie ad una sempre più diffusa pratica della dissezione, ebbero un riflesso anche nella chirurgia, con la comparsa di alcune figure di rilievo.

Intervento di trapanazione del cranio

Il più notevole rappresentante della disciplina del tempo è il francese Ambroise Parè (ca. 1510-1592), considerato il padre della chirurgia moderna. Nato da una famiglia molto modesta, apprese i primi rudimenti della materia dai chirurghi-barbieri.

A Parigi lavorò all’Hôtel-Dieu, dove acquisì una notevole esperienza, e divenne Maestro Chirurgo-Barbiere, entrando a far parte della Corporazione dei Chirurghi nel 1536.

Terminata l’esperienza all’Hôtel-Dieu, mise in pratica ciò che aveva appreso al seguito dell’esercito, sperimentando nuove tecniche di cura, come la legatura dei vasi a seguito di amputazione.

Questa tecnica si rivelò più efficace rispetto alla cauterizzazione in voga in quel periodo, ma fu accolta con diffidenza dai colleghi .

Parè introdusse la sostituzione dell’olio bollente, largamente utilizzato per curare le ferite da arma da fuoco, con un unguento più efficace a base di ingredienti molto semplici e meno dannosi, come l’acqua, il tuorlo d’uovo, le essenze di rosa e la trementina.

Inoltre propose nuovi tipi di fasciature e bendaggi, che entrarono nell’uso corrente.

Ritornato a Parigi, entrò nella Confraternita di San Cosma e divenne chirurgo personale di quattro re, Enrico II, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III.

Per le novità che apportava rispetto alle tecniche tradizionali e per la sua formazione non accademica, Parè si attirò le gelosie e le critiche dei professori dell’Università di Parigi.

Lasciò una quindicina di opere, tra cui Dix livres de la chirurgie, La maniere de traicter le playe e Les oeuvres de M. Ambrosie Parè.

Strumenti chirurgici ed arti artificiali da La methode curative des playes, et fractures de la teste humaine di Parè.

L’elvetico Theophrastus Philippus Aureolus Bombastus von Hohenheim, noto con lo pseudonimo di Paracelso (1493-1541), è una delle figure più notevoli del Rinascimento, fondatore di una nuova disciplina, la iatrochimica, che interpretava i processi biologici in termini chimici e proponeva la cura delle malattie attraverso l’uso di sostanze minerali .

Paracelso era anche un alchimista e un astrologo; autore prolifico, ha lasciato un’ottantina di opere, che spaziano dalla filosofia, alla medicina, all’alchimia, all’occultismo, alcune delle quali appartengono però ai suoi allievi.

Questi testi appaiono piuttosto complessi e furono di difficile comprensione anche per i suoi contemporanei; vi si trova un complesso di geniali intuizioni e di strambe affermazioni di tipo astrologico o magico, che rivelano la fusione operata da Paracelso tra scienza e magia.

Egli ruppe nettamente con la tradizione, rifiutando il dogmatismo e le concezioni scolastiche e proponendo una concezione nuova, secondo la quale la medicina doveva essere basata sull’esperienza e non sull’autorità dei medici antichi.

La più grande innovazione introdotta da Paracelso fu l’interpretazione chimica dei processi fisiologici e biologici.

Egli aggiunse ai quattro elementi aristotelici, aria, acqua, fuoco e terra, una triade di principi (tria prima) che sarebbe alla base della formazione e dei cambiamenti della materia, ossia sale, zolfo e mercurio.

Lo stato di salute o di malattia del corpo umano, definito una “fornace anatomica”, sarebbe determinato dall’interazione di tali sostanze.

Paracelso si distanziò dunque dalla teoria umorale tradizionale, sostituendo ai quattro umori classici tre nuovi elementi, e sostenendo che sono gli umori a derivare dalle malattie e non viceversa.

Gli organi avrebbero in sé delle forze, chiamate archei, che separano le sostanze utili dai prodotti superflui, in una visione del corpo come una fornace alchemica.

La malattia sarebbe prodotta dal cattivo funzionamento dell’archeus di un dato organo, che provocherebbe un accumulo di sostanze dannose invece della loro espulsione.

Intriso di concezioni astrologiche, Paracelso era convinto che l’uomo avesse, oltre all’essenza materiale, anche un’essenza astrale, sulla quale si poteva agire per mezzo dell’astrologia. Vi sarebbe infatti una stretta correlazione tra la natura, intesa come macrocosmo, e il corpo umano, inteso come microcosmo, poiché entrambi sarebbero costituiti delle stesse sostanze e sottoposti alle stesse leggi.

Ideò la medicina spagirica, basata sulla convinzione che ogni pianta e minerale ha delle corrispondenze con i pianeti e gli organi dell’uomo, e possiede delle proprietà terapeutiche particolari; la scelta delle sostanze medicamentose è dunque fondamentale per riequilibrare l’organismo.

In opposizione a Galeno, che adottava rimedi contrari rispetto alla condizione da curare, con Paracelso si ritorna al concetto del similia similibus curantur, secondo il quale una malattia può essere curata con la stessa sostanza da cui è causata.

Le teorie di Paracelso cominciarono a circolare in Europa, suscitando un acceso dibattito, tra chi aderì alle nuove idee e all’interpretazione in chiave chimica della medicina, con l’introduzione di nuove sostanze in farmacologia, e chi invece rimase ancorato alla concezione galenica e considerava Paracelso come un ciarlatano.

In generale, tuttavia, il suo tentativo di conciliare la medicina con la chimica rappresentò un contributo riformatore di notevole importanza per la disciplina, e la iatrochimica, grazie alla quale iniziò il processo di affermazione della chimica come disciplina scientifica autonoma, trovò molti seguaci.

importanza di Paracelso:

in terapia usò le sostanze minerali, prima ritenute veleni

l’etere come anestetico

utilizzò il laudano (tintura d’oppio) come antidolorifico

l’antimonio come emetico, purgativo

In psicologia sogni naturali (legati all’attività quotidiana)

sovrannaturali (comunicazioni degli spiriti)

in medicina sostenne l’importanza dell’alchimia

in astrologia dal girare delle costellazioni (simili agli uomini)

si ricava la volontà delle stelle

che si riporta agli uomini

preparò amuleti e sigilli per la cura delle malattie

la gotta

l’epilessia

in clinica descrisse la calcolosi

il gozzo

la sifilide

Con il finire del Medioevo l’ospedale era rimasto ancora appannaggio della Chiesa, almeno per quanto concerneva il personale di assistenza ma, nella sua gestione, erano cominciate a subentrare anche le autorità laiche.

A partire dal XV secolo, si verificò un progressivo fenomeno di razionalizzazione, secondo il quale la struttura ospedaliera non era più rifugio indiscriminato per diverse categorie di bisognosi, ma piuttosto luogo di cura per gli infirmi.

Questo fenomeno si esplicò con la creazione degli Ospedali maggiori, grandi istituti che sorsero nel corso del XV secolo, con la volontà di rispondere in modo razionale alle esigenze sanitarie.

Perciò il medico, che in età medievale era assente dall’ospedale, vi fece il suo ingresso, con la funzione di accettazione e smistamento dei malati all’interno dell’istituto.

L’Ospedale del Ceppo di Pistoia

Il grande ospedale rinascimentale era riservato a coloro che, grazie alle competenze di medici preparati nelle università, potevano guarire e rientrare nella una vita attiva.

I pauperes e i malati incurabili, soggetti che non potevano essere riabilitati e non potevano rientrare nella società produttiva, vennero ora esclusi dagli ospedali maggiori, e destinati a strutture minori, più decentrate.

Queste strutture divennero luogo di cura, in cui l’assistenza spirituale, che aveva dominato durante il Medioevo, ebbe un ruolo minore e rappresentarono un campo di esperienza e di approfondimento clinico formidabile per il medico, che aveva l’occasione di verificare la teoria con la pratica al letto del malato.

Oltre ad un preciso intento di recuperare la salute, queste strutture mostrano una prima volontà di specializzazione, essendo destinate alcune ai casi acuti, altre a diverse e specifiche patologie, che venivano curate non più da personale generico, con scarsa preparazione medica, ma da medici e chirurghi con una solida preparazione.

Accanto ai lebbrosari, luoghi in cui i malati erano destinati ad entrare senza più uscirvi, organizzati come piccoli villaggi negli spazi extraurbani, e ai lazzaretti, anch’essi isolati dal tessuto urbano e a cui erano destinati i casi acuti o considerati terminali, sorsero anche gli ospedali degli Incurabili, che vennero costruiti in diverse città italiane originariamente per accogliere i malati di sifilide, considerata inguaribile, e i brefotrofi, luoghi di accoglienza per gli orfani.

Lebbrosario di Sherburn, Durham (fondato nel 1146).

Evoluzione dell’Ospedale

Nel pieno medioevo: Ospedali totalmente religiosi

Stato cittadino

amministrazione laica

Nel basso-medioevo +

assistenza in mano ai religiosi

(i medici sono esterni!)

attività manifatturiera

attività mercantile

mercantile

nuove classi sociali

subalterna (>emarginazione!)

Nel Rinascimento:

necessità di controllo la medicina

(anche sociale!) rientra fra

le forze produttive

della città sistema Milano: Ca’ Granda degli Ospedali Maggiori Ferrara: Ospedale S. Anna (1440) Pavia: Ospedale d. Pietà (1449)

Il Rinascimento ereditò dal Medioevo una serie di malattie a carattere epidemico, che comparivano periodicamente falcidiando la popolazione, favorite dagli spostamenti degli eserciti coinvolti nelle frequenti guerre, dalle cattive condizioni igieniche e dal sovraffollamento delle abitazioni.

Tra queste vi era principalmente la peste, che colpì sempre con una serie ininterrotta di epidemie, con alti tassi di mortalità, fino alla fine del XVII secolo.

Ma la patologia rinascimentale fu dominata anche da altre malattie infettive, come la lebbra, la quale tuttavia conobbe una regressione nel corso del XV secolo, il vaiolo e la tubercolosi, attestata anche attraverso la pratica della “toccatura della scrofola”, con la quale i re di Francia e di Inghilterra, ritenuti depositari di poteri taumaturgici, toccavano i malati con la forma linfoghiandolare del collo .

Carlo II d’Inghilterra tocca gli scrofolosi in un’incisione di R. White. Wellcome Library, London

Altrettanto diffusi il tifo, infezione portata dai pidocchi e associato in particolare alle guerre rinascimentali, la dissenteria e la malaria, diffusa in particolare nelle zone paludose dell’Italia centro-meridionale.

Vennero individuate anche nuove malattie, come la varicella, il morbillo e la scarlattina, sebbene queste venissero spesso confuse con il vaiolo.

Sono inoltre presenti malattie dovute a carenze nella dieta, certamente favorite dalle periodiche carestie che colpirono l’Europa in questo periodo.

L’ergotismo continuò a colpire con un aspetto epidemico e comparve lo scorbuto, dovuto ad un deficit di vitamina C, che colpiva soprattutto gli equipaggi delle navi che affrontavano lunghe navigazioni.

Tuttavia la scoperta del Nuovo Mondo e le nuove rotte commerciali, che si svilupparono a partire dalla fine del XV secolo, comportarono l’importazione e l’esportazione di malattie che fino ad allora erano rimaste circoscritte a determinate aree geografiche e che, invece, si propagarono colpendo una popolazione “vergine” e perciò particolarmente esposta in quanto priva di difese immunitarie.

Infatti il Rinascimento vide la comparsa di due nuove malattie, la sifilide e il sudore anglico.

Una delle prime descrizioni della sifilide risale al 1495, in occasione dell’assedio di Napoli da parte degli Spagnoli, quando tra i francesi comparve un’epidemia caratterizzata da nauseanti pustole sui genitali, che si diffondevano e si ulceravano, dalla comparsa di bubboni cutanei e da un interessamento degli organi interni e dell’apparato scheletrico con forti dolori ossei. La malattia si risolveva con un’invalidità permanente o con la morte del soggetto colpito.

Le truppe francesi e spagnole, di ritorno in patria dopo la capitolazione della città, diffusero la malattia in Italia, Francia e Germania, cosicché dal 1500 in poi tutta l’Europa ne fu affetta, arrivando fino in estremo oriente attraverso la rete commerciale.

La natura venerea della sifilide fu riconosciuta molto presto, tanto che questa malattia divenne un segno di condotta immorale e si approntarono delle misure volte ad evitare il contagio, come l’astensione dai rapporti con le prostitute.

Il sudore anglico apparve in Inghilterra nel 1485, colpì con epidemie successive succedutesi a breve distanza di tempo, per poi scomparire nel 1551; dopo un lungo intervallo si ripresentò agli inizi del XVIII secolo.

Chiamata anche pestis britannica, questa nuova malattia era caratterizzata da una abbondante sudorazione con un altissimo tasso di mortalità.

Dall’Inghilterra si propagò successivamente all’Europa continentale, suscitando lo stesso terrore della peste, poiché si presentava in maniera imprevedibile, portando in breve tempo ad una morte improvvisa.

Questa malattia resta tuttora un mistero, in quanto l’agente eziologico non è stato ancora individuato, sebbene si pensi ad un collegamento con la rickettsiosi.

Fu proprio durante il XVI secolo che la trasmissibilità di alcune malattie, fra cui la tubercolosi, venne riconosciuta, e cominciarono ad essere approntate misure opportune per evitare il contagio.

Fu Girolamo Fracastoro a intuire il concetto di contagio, parlando nel suo De contagione et contagiosis morbis del 1546 di piccolissime particelle, che egli denomina seminaria, le quali passando da un individuo ad un altro trasmetterebbero la malattia.

Ma siamo ancora molto lontani dalla consapevolezza dell’esistenza di un agente patogeno, dimostrato dalle scoperte microbiologiche dell’800 e, sebbene ormai la gente comune avesse accettato il concetto di contagiosità come un’evidenza, i medici ancora lo negavano.

Perciò venivano costruiti ospedali, si istituivano confraternite di carità, ma non si disponeva di alcun trattamento efficace per affrontare le malattie infettive.

Le misure a cui si ricorreva erano diverse, e andavano dalla fuga dalle zone colpite dall’epidemia, come nel caso della peste, all’isolamento dei malati in luoghi appositamente predisposti, come i lazzaretti per quanto riguarda la peste e la lebbra, e alla quarantena, misura che si rivelò assai efficace nei porti di mare.

Molte malattie erano considerate una punizione divina e perciò era frequente il ricorso a processioni, preghiere, invocazioni di santi protettori.

guerre

carestie

deficit immunitario

malattie infettive

Vecchio Mondo

Scoperta dell’America circuito epidemico

Nuovo Mondo

Rotte commerciali portoghesi inserimento dell’Africa

(periplo dell’Africa) nuove malattie

La patocenosi del Rinascimento

Tubercolosi (si riconosce la contagiosità)

Lebbra malattie medievali

Vaiolo

Morbillo

Scarlattina confuse con il vaiolo

Varicella

Malaria

(zone paludose litoranee)

Pertosse

Influenza malattie riscoperte

Parotite