IL PUNTO Gli italiani scelgono il governo. · ti, in Olanda sono andate in tilt con l’uccisione...

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In questo numero: BAR, BORDIN, CALDAROLA, DE LEO, JADALLAH, JOZSEF , MANTOVANO, MARTINI, MOUAL, P ARSI, POLLI, T ASKIN, WILLEY Auguri a Pacifici Nuovo presidente della Comunità ebraica romana di Giuseppe Caldarola a pag. 2 È possibile ripartire dalla sconfitta del “luogo comune” di Alfredo Mantovano 14 marzo 2008 In Iran con cambia nulla di Francesco De Leo Il petrolio di Kirkuk cerca padrone di Paolo Martini a pag. 6 VITTORIO EMANUELE PARSI Docente di Relazioni Internazionali - Università Cattolica di Milano La forza degli eventi e la coerenza della politica estera IL PUNTO Dopo l’11 settembre, il Medio Oriente ha rappresentato la regione nella quale la politica estera italiana ha mostrato un incremento assoluto di impegno e di assunzione di responsabilità condiviso dagli ultimi due esecutivi: Iraq, Afghanistan e Libano hanno visto o vedo- no la presenza di contingenti italiani nume- rosi e attivi all’interno di missioni volte al ripristino di condizioni di pace in paesi sconvolti da guerre civili o conflitti interna- zionali. A seguito delle inattese considera- zioni dell’ex ministro della Difesa Martino, proprio il destino dei contingenti militari e dei caveat a cui devono sottostare hanno almeno per un attimo spostato i riflettori della campagna elettorale sulla politica estera. Insieme ai Balcani, il Medio Oriente è la regione verso la quale l’azione politico- militare del governo di Roma si è dimostra- ta più assidua. Ma con quali risultati e, soprattutto, in che misura il nuovo esecuti- vo e il suo “colore” potrebbero portare a un cambio di direzione? Per cercare di rispon- dere a un simile interrogativo occorre non trasformare la soddisfazione per il buon lavoro svolto in un eccesso di presunzione circa il nostro peso specifico. Il velleitari- smo, il credere di “contare” di più di quan- to non sia ragionevole è d’altra parte un difetto antico e ricorrente della politica estera italiana. In realtà, ben più che la polemica politica interna, o questo o quel risultato elettorale, saranno le evoluzioni del quadro operativo a spingerci a dover riconsiderare le forme e le modalità e, ancor di più, a mutare oggettivamente la natura della nostra presenza militare in Medio Oriente. Siamo arrivati in Libano nel settembre 2006 per consentire la tregua tra le milizie Hezbollah e l’esercito israelia- no, per favorire la ripresa del controllo del Libano meridionale da parte delle forza armate libanesi e per rendere possibile il superamento dello stallo nel braccio di ferro tra Hezbollah e il legittimo governo di segue in ultima» FORUM Gli italiani scelgono il governo. Cambierà la politica in Medio Oriente? La nostra rivista, in collaborazione con RadioRadicale, ha organizzato un forum sulla politica estera italiana in Medio Oriente. Massimo Bordin, Vittorio Emanuele Parsi e Stefano Polli, gli edito- rialisti de il Vicino Oriente hanno conver- sato con illustri esponenti della stampa estera in Italia. Ci si è confrontati, alla vigilia delle elezioni politiche italiane, più sulle diverse posizioni di centrosini- stra e centrodestra sulle questioni medio- rientali, che sui temi di una politica este- ra nazionale. Contrastanti le opinioni tra i partecipanti, comune l’idea che si sconti l’assenza di una forte e unitaria politica estera europea in grado di rivelarsi prota- gonista ed incidere sui destini dell’area. Yossi Bar, corrispondente israeliano di Yedioth Ahronot, Jamal Moh’d Jadallah dell’agenzia di stampa palestinese Wafa, Eric Jozsef di Liberation, Yasemin Taskin del quotidiano turco Sabah e della televi- sione ATV e David Willey della BBC, gli ospiti della tavola rotonda. All’interno il testo di alcuni interventi al forum, tra- smesso in diretta il 20 marzo scorso da RadioRadicale. Sul nostro sito ilvicinori - ente.it e su radioradicale.it è possibile ascoltare gli interventi completi. a pagina 3-4-5» mensile di politica, cultura e società Anno 1 - Numero 3 • €. 0 www.ilvicinoriente.it Marzo 2008 Afghanistan (per gentile concessione del Generale Giorgio Battisti) pagg. 6-7 a pag. 2

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In questo numero: BAR, BORDIN, CALDAROLA, DE LEO, JADALLAH, JOZSEF, MANTOVANO, MARTINI, MOUAL, PARSI, POLLI, TASKIN, WILLEY

Auguri a PacificiNuovo presidentedella Comunitàebraica romana

di Giuseppe Caldarola a pag. 2

È possibileripartiredalla sconfittadel “luogo comune”

di Alfredo Mantovano

14 marzo 2008In Irancon cambianulla

di Francesco De Leo

Il petroliodi Kirkukcercapadrone

di Paolo Martini a pag. 6

VITTORIO EMANUELE PARSI

Docente di Relazioni Internazionali- Università Cattolica di Milano

La forza degli eventi e la coerenza della politica estera

IL PUNTO

Dopo l’11 settembre, il Medio Orienteha rappresentato la regione nella quale lapolitica estera italiana ha mostrato unincremento assoluto di impegno e diassunzione di responsabilità condivisodagli ultimi due esecutivi: Iraq,Afghanistan e Libano hanno visto o vedo-no la presenza di contingenti italiani nume-rosi e attivi all’interno di missioni volte alripristino di condizioni di pace in paesisconvolti da guerre civili o conflitti interna-zionali. A seguito delle inattese considera-zioni dell’ex ministro della Difesa Martino,proprio il destino dei contingenti militari edei caveat a cui devono sottostare hannoalmeno per un attimo spostato i riflettoridella campagna elettorale sulla politicaestera.

Insieme ai Balcani, il Medio Oriente èla regione verso la quale l’azione politico-militare del governo di Roma si è dimostra-ta più assidua. Ma con quali risultati e,soprattutto, in che misura il nuovo esecuti-vo e il suo “colore” potrebbero portare a uncambio di direzione? Per cercare di rispon-dere a un simile interrogativo occorre nontrasformare la soddisfazione per il buonlavoro svolto in un eccesso di presunzionecirca il nostro peso specifico. Il velleitari-smo, il credere di “contare” di più di quan-to non sia ragionevole è d’altra parte undifetto antico e ricorrente della politicaestera italiana. In realtà, ben più che lapolemica politica interna, o questo o quelrisultato elettorale, saranno le evoluzionidel quadro operativo a spingerci a doverriconsiderare le forme e le modalità e,ancor di più, a mutare oggettivamente lanatura della nostra presenza militare inMedio Oriente. Siamo arrivati in Libanonel settembre 2006 per consentire la treguatra le milizie Hezbollah e l’esercito israelia-no, per favorire la ripresa del controllo delLibano meridionale da parte delle forzaarmate libanesi e per rendere possibile ilsuperamento dello stallo nel braccio diferro tra Hezbollah e il legittimo governo di

segue in ultima»

FORUM

Gli italiani scelgono il governo.Cambierà la politica in Medio Oriente?

La nostra rivista, in collaborazione conRadioRadicale, ha organizzato un forumsulla politica estera italiana in MedioOriente. Massimo Bordin, VittorioEmanuele Parsi e Stefano Polli, gli edito-rialisti de il Vicino Oriente hanno conver-sato con illustri esponenti della stampaestera in Italia. Ci si è confrontati, allavigilia delle elezioni politiche italiane,più sulle diverse posizioni di centrosini-

stra e centrodestra sulle questioni medio-rientali, che sui temi di una politica este-ra nazionale. Contrastanti le opinioni trai partecipanti, comune l’idea che si scontil’assenza di una forte e unitaria politicaestera europea in grado di rivelarsi prota-gonista ed incidere sui destini dell’area.Yossi Bar, corrispondente israeliano diYedioth Ahronot, Jamal Moh’d Jadallahdell’agenzia di stampa palestinese Wafa,

Eric Jozsef di Liberation, Yasemin Taskindel quotidiano turco Sabah e della televi-sione ATV e David Willey della BBC, gliospiti della tavola rotonda. All’interno iltesto di alcuni interventi al forum, tra-smesso in diretta il 20 marzo scorso daRadioRadicale. Sul nostro sito ilvicinori-ente.it e su radioradicale.it è possibileascoltare gli interventi completi.

a pagina 3-4-5»

mensile di politica, cultura e societàAnno 1 - Numero 3 • €. 0 www.ilvicinoriente.itMarzo 2008

Afghanistan (per gentile concessione del Generale Giorgio Battisti)

pagg. 6-7a pag. 2

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Proibirlo o non proibirlo? La discus-sione su Fitna, il film anti Islam del regi-sta e deputato di estrema destra olan-dese Geert Wilters, e l’intenzione mani-festata dal governo dei Paesi Bassi diinibirne la diffusione, ripropone unadialettica dejà vu a proposito di Submis -sion, il cortometraggio sulla condizionefemminile nelle società musulmane,costato la vita al suo autore, Theo VanGogh. La ripropone non soltanto inEuropa, e non soltanto con riferimentoalla voce “libertà di espressione artisti-ca”. È in gioco qualcosa di più: la nostracapacità di occidentali di essere ferminell’esigere da chi viene da noi il rispet-to di regole essenziali, fondate nella na -tura dell’uomo (in primis l’eguale di -gnità fra uomo e donna), ma al tempostesso rispettosi dell’altrui fede religio-sa e attenti ai diritti umani nei territoridegli Stati a maggioranza islamica, chericevono da noi collaborazione e aiutiper lo sviluppo.

La posta in gioco è emersa dramma-ticamente con la vicenda Van Gogh, erischia di ripetersi in modo ancora piùdevastante. Il 1° novembre 2004 adAmsterdam, una delle città europee incui la libertà è intesa e praticata dadecenni come assenza di qualsiasi limi-te, nella capitale dell’erba, dei sexy shope delle ragazze in vetrina, ci si è sveglia-ti di fronte all’assassinio rituale di unuomo di spettacolo (dalle cui idee laici-ste si poteva ovviamente dissentire) daparte di un ultrafondamentalista pro-fesso; di un soggetto, Mohammed Bou -yeri, che in precedenza su un sito avevadisegnato l’Olanda colorata di rossosangue e su di essa aveva fatto cam-peggiare una bandiera con la spada diMaometto e la scritta “la vittoria è no -stra”; di un personaggio già noto alleforze dell’ordine, poiché appena unmese prima – il 29 settembre 2004 – erastato fermato per un controllo e, con-dotto al commissariato, gli era stato tro-vato indosso uno scritto da lui compi-lato con l’elogio delle decapitazioni di

Riccardo Pacifici è il nuovo presi-dente della Comunità ebraica roma-na, la comunità più numerosa d’Ita -lia. Succede a Leone Paserman cheper due mandati ha accompagnatola comunità romana. Per tanti aspet-ti è una scelta di continuità. Pacificiha collaborato con Paserman ed èstato portavoce della comunità neglianni di Paserman. I due rappresen-tanti degli ebrei romani hanno ac -compagnato la comunità nel pas-saggio fra due rabbinati molto di -versi, da quello di Ariel Toaf all’at-tuale del dr Di Segni. Ma non c’è so -lo continuità.

Pacifici ha quasi due decennimeno di Paserman ed è, a differenzadel suo predecessore, uomo schivo esilenzioso, un esuberante protagoni-sta della vita pubblica non soloromana. Non si poteva scegliere me -glio. La coppia Paserman-Pacifi ci, eoggi il solo Pacifici, hanno interpre-tato un modo di essere dell’ebrai-smo romano assolutamente nuovo.

Sono stati due interventisti, per cosìdire. Negli anni più duri per l’ebrai-smo romano, quando la città erapercorsa da cortei dell’ultrasinistra,spesso non tanto ultra, che frequen-temente bruciavano le bandiereisraeliane e regolarmente insultava-no Israele ei suoi leader e inneggia-vano a tutti, proprio tutti, i leaderpalestinesi, Paserman e Pacifici han -no rappresentato la reazione orgo-gliosa rompendo uno schema. Loschema che si rompeva era quello diuna tale naturale alleanza fra sini-stra e ebraismo per cui poteva capi-tare che fosse quest’ultimo a doversigiustificare per l’appoggio a Israelee non la sinistra per la vena anti-israeliana che ne percorreva i filoniprincipali. Paserman e Pacifici, conPacifici indubbiamente protagoni-sta, hanno rappresentato la rotturadi questo schema, tenendo ancheconto degli umori che cominciavanoprevalere nella comunità romana,non intenzionata a chinare la testa.Hanno aperto alla Destra disponibi-le al dialogo, non si sono tirati indie-tro rispetto ai ripensamenti storici,come quello di Fini, hanno messo in

tensione la sinistra che ha dovutocapire che avrebbe dovuto lavoratemolto per ricostruire il rapporto conla Comunità. Pacifici è stato prota-gonista di questa stagione. È statosevero contro l’antisemitismo, anchequello più subdolo e strisciante, manon ha mai mancato di apprezzare isegni di amicizia dovunque si mani-festassero. Poco per volta Pacifici èstato protagonista della politicaromana e quindi nazionale dandoalla Comunità, che gli ha dato ieri eoggi tanti voti, una rappresentanzadi livello e vigorosa. La politica ita-liana sa che deve immaginarsi inmodo nuovo il rapporto con laComunità romana e con quella mila-nese che rappresenteranno in modoschietto ma non sottomesso lavolontà di apertura dell’ebraismoitaliano. Non va neppure sottovalu-tato, infatti, che gli stessi leaderdella Comunità romana siano statiprotagonisti dei tanti tentativi didialogo interreligioso a cui sono affi-dante così tante speranze. Ecco per-ché l’elezione di Pacifici è unabuona notizia.

2 Anno 1 - Numero 3

È possibile ripartiredalla sconfitta del “luogo comune”

ISLAM

occidentali operate in Iraq da Al Zar -kawi. Nonostante questo, era stato rila-sciato e non era stato sottoposto a con-trolli successivi.

La tolleranza e l’assenza di freni ini-bitori, esibite come modello per altripaesi europei ritenuti meno emancipa-ti, in Olanda sono andate in tilt con

l’uccisione di Van Gogh: dopo l’omici-dio decine di moschee e di luoghi fre-quentati da musulmani sono stati ag -grediti, incendiati, danneggiati. La xe -nofobia e la violenza si sono svelatecome l’altra faccia del melting pot, maalla radice si è manifestata una identicaincomprensione della realtà e un’a

identica mancanza di equilibrio. Si èpassati da un estremo all’altro: fino al1° novembre 2004 si prestava ossequioal dogma secondo cui il migliore deimondi possibile coincide con il multi-culturalismo e con la massima apertu-ra, rispetto a cui la semplice evocazione

segue a pag. 5»

ISRAELE

Auguri a Pacifici, nuovo presidentedella Comunità ebraica romana

GIUSEPPE CALDAROLA

Deputato - Membro CommissioneEsteri Camera dei Deputati

ALFREDO MANTOVANO

Senatore - Membro Comitato parl.per la sicurezza della Repubblica

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3Marzo 2008

FORUM

Quello che segue è il testo di alcuni inter-venti al forum della nostra rivista, organiz-zato in collaborazione con RadioRadicale etrasmesso in diretta il 20 marzo scorso. Sulnostro sito ilvicinoriente.it e su radioradi-cale.it è possibile ascoltare gli interventicompleti.

Massimo Bordin (direttore di Ra dioRa -dicale): “Questo forum radiofonico vuolemettere a fuoco qual’è la politica estera ita-liana in Medio Oriente, in questa fase, contruppe italiane dislocate nell’area. Recen -temente, a questo proposito, hanno datoadito a polemiche alcune dichiarazioni diun autorevole esponente del Popolo delleLibertà, l’ex ministro Antonio Martino, pro-prio sul contingente italiano in Libano. Neparliamo con autorevoli rappresentantidella stampa estera in Italia e con gli edito-rialisti della rivista il Vicino Oriente, il prof.Vittorio E. Parsi e il capo della redazione

affari internazionali dell’Ansa Stefano Polli.Comincerei proprio da Stefano Polli al qualevorrei chiedere di introdurre il tema di comein questa campagna elettorale si sta discu-tendo di politica estera italiana rispetto alMedio Oriente”.

Stefano Polli (capo redazione affariinternazionali Ansa): “Il modo in cui vienefatta e vissuta la politica estera in Italia èabbastanza originale rispetto a quella di altrigrandi paesi europei e occidentali, nel sensoche, fermo restando che non ci sono regole eogni paese ha le sue peculiarità, negli altripaesi c’è una certa continuità nella politicaestera. Cambiano i governi, ma certe linee dipolitica estera vengono solitamente conser-vate. È raro vedere dei cambiamenti radica-li, dal giorno alla notte, nella politica esteradei grandi paesi europei, in fondo anchedegli Stati Uniti, mentre si gioca molto ilduello elettorale sulla politica interna. In

Italia per lunghi decenni, nel dopoguerra,c’è stata una costante politica estera, daquando invece si sono alternati governi dicentrodestra e centrosinistra, registriamoquesto caso abbastanza anomalo di unapolitica estera che cambia abbastanza radi-calmente, da un governo all’altro, con dellesensibilità molto diverse. E tutto questo staavvenendo anche in questa campagna elet-torale, in maniera abbastanza evidente.Chiunque vinca avrà di fronte dei compitidi politica interna ed economica abbastanzaimportanti, ma paradossalmente su quelloche c’è da fare per questo paese ci sono deipunti di vicinanza tra centrodestra e centro-sinistra, mentre sulla politica estera c’èancora molta distanza e in particolar modosulla politica estera verso il Medio Oriente,tradizionalmente uno dei settori strategiciper la politica estera italiana. Le recentipolemiche che sono corse sulle dichiarazio-ni del ministro degli esteri Massimo

D’Alema su Hamas sono soltanto una spiadi un modo di vedere la politica in questoangolo di mondo molto diversa. Come ènoto, Massimo D’Alema ha detto che ènecessario avviare una qualche forma dicontatto con Hamas, perché è impossibilecercare di fare la guerra e fare la pace a pochichilometri di distanza. Fare la pace con AbuMazen in Cisgiordania e fare la guerra conHamas a Gaza. Ci sono state delle reazionimolto forti a queste dichiarazioni diD’Alema. Dobbiamo ricordare che nonsono dichiarazioni nuove, che molti polito-logi e importanti personaggi che si occupa-no di politica estera nel mondo avevano giàavanzato queste teorie, anche in America,anche durante la conferenza di Annapolis difine novembre. Le differenze ci sono un po’in tutti i paragrafi di questo grande capitolomediorientale, a cominciare dai rapporticon Israele. Sia il centrodestra, sia il centro-sinistra si dichiarano amici di Israele, sicura-mente lo sono, ma lo sono in modo diverso.Il centrosinistra è molto critico e parla inmaniera chiara con Israele, quando ritieneche sia giusto farlo, mentre il centrodestratradizionalmente è molto più vicino alleposizioni espresse dal governo israeliano.Ultimamente un paragrafo che si è aggiun-to è quello del Libano con l’ex ministro dellaDifesa dei due governi Berlusconi, AntonioMartino, che ha in qualche modo detto chesarebbe bene ritirare i soldati del contingen-te italiano schierato in questo momentonell’Unifil2. Silvio Berlusconi e l’ex ministrodegli esteri Gianfranco Fini sono intervenu-ti ed hanno corretto queste dichiarazioniricordando che l’Italia invece deve stareattenta ai sui impegni internazionali, ma èchiaro che anche qui ci sono delle differenzeabbastanza sostanziali tra i due schieramen-ti, così come sull’Afghanistan. Sull’Afgha -nistan l’Italia ha sempre difeso la sua posi-zione che è fondamentalmente quella ditenere i soldati a Kabul e a Herat, quindilontano da quella zona calda nel sud delPaese dove ci sono continuamente scontri,dove si muore, dove i soldati del contingen-te internazionale sono presi di mira dai tale-bani. La Nato, gli americani hanno chiestoun rinforzo da parte di alcuni alleati e l’Italia

La politica estera italianain Medio Oriente

Gli editorialisti de il Vicino Oriente conversano con i giornalisti della stampa estera negli studi di Radio Radicale

Forum“La politica estera italiana

in Medio Oriente”

Massimo BordinVittorio E. Parsi e Stefano Polli

conversano con

Yossi Bar (Yedioth Ahronot),Jamal Moh’d Jadallah (WAFA),Eric Jozsef (Liberation), YaseminTaskin (Sabah, ATV), DavidWilley (BBC)

L’audio e il video integrale delforum è presente sul sito di RadioRadicale al link: www.radioradicale.it/scheda/249865

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in questo momento, come del resto fa laGermania, fa la Francia, continua a tenere lasua posizione. Il centrodestra ha fatto capi-re, attraverso due esponenti importanti, chese dovesse vincere potrebbe rivedere laposizione dei soldati italiani e forse potreb-be anche prendere in considerazione la pos-sibilità di mandare soldati in settori e inzone dell’Afghanistan dove attualmentenon ci sono. Infine l’Iraq. Martino ha chiestoun rientro degli istruttori militari italiani inIraq, se dovesse vincere le elezioni il centro-destra e anche questo ha provocato polemi-che anche se forse, pochi sanno, che gliistruttori militari italiani in Iraq ci sono già”.

Massimo Bordin (direttore di RadioRa -dicale): “L’ultima cosa che dicevi è un pò ilsegno di come la politica estera in Italiaviene affrontata in modo un po’ dilettante-sco, perché alcune polemiche nascono unpo’ sul nulla. Tutti i capitoli che Polli hamesso sul terreno cercheremo di toccarli evoi ci aiuterete a capire una serie di aspetti eil loro contesto. Per cavalleria e anche peraggiungere un tema a quelli toccati, partireida un aspetto che riguarda anch’esso lapolitica estera italiana, ma che potremmorubricare nel capitolo la politica europea ita-liana, cioè il tema della Turchia. Qui la que-stione è complicata perché l’Italia ha avutofin ora un atteggiamento molto aperto neiconfronti dell’ingresso della Turchia inEuropa, questa è una politica abbastanzabipartisan, anche se sarebbe sbagliato tacereche nella componente di centrodestra cisono anche voci, non maggioritarie, Berlu -sconi non la pensa così, ma ci sono altre vocicome quella dell’ex Presidente del SenatoPera, o come quella di alcuni esponenti cat-tolici, che sono invece contrari all’ingressodella Turchia nella Unione Europea. Nel

frattempo però in Turchia si sono createnuove questioni; l’iniziativa della ProcuraGenerale, l’insoddisfazione dei militari, laquestione del velo. A che punto sono le que-stioni del rapporto dell’Europa con laTurchia, visto dalla Turchia. Su questo puòessere illuminante quello che ha da dirciYasemin Taskin”.

Yasemin Taskin (corrispondente in Italiadi Sabah e ATV): “I rapporti con l’UnioneEuropea sono fermi, completamente fermi,perché la Turchia in quest’ultimo anno haavuto altri grattacapi. Sono le questioni cheriguardano il velo, i militari, ma direi chel’opinione pubblica turca ha vissuto, dalleelezioni presidenziali a oggi, quasi in unalinea di alta tensione. Un paese sempre agi-tato con un braccio di ferro in atto, una lottatra islamici e laici. Islamici che fanno riferi-mento al partito del Primo MinistroErdogan AKP e laici, in gran parte capeg-giati oltre che da forze nazionali anche dal-l’esercito. Come abbiamo visto anche primadelle elezioni, le manifestazioni nelle piazzecontro il Partito di Erdogan sono statesoprattutto alimentate dall’esercito, oltreche dai partiti nazionalisti e da quellosocialdemocratico. Ora la Turchia vivendoin questo contesto ha messo da parte la que-stione dell’Unione Europea e in questo ulti-mo anno, della questione quasi non si è par-lato. Naturalmente nel suo secondo manda-to il partito di Erdogan è tornato ancora piùforte con il 47% dei voti e subito dopo le ele-zioni ha messo sul tavolo, come prima que-stione, il velo, come se fosse la questione piùimportante della Turchia. Qui c’è stata l’irri-tazione dei militari, dell’opinione pubblicache si definisce laica e fedele ai principi delfondatore della Repubblica Ataturk e la ten-sione si è alzata di parecchio. Bisogna poiaggiungere tutta la delusione dell’opinionepubblica turca riguardo l’Unione Europea,verso un progetto che va avanti da qua-rant’anni e anche con grandi difficoltà.Negli ultimi tre, quattro anni ci sono statedelle riforme, i turchi erano molto entusia-sti, i sondaggi erano favorevoli per l’80%,mentre ora il gradimento è calato sino al50%. D’altro canto io penso che questasituazione faccia comodo all’Unione Euro -pea, perché non sa cosa farne di questaTurchia, non sa come agganciarsi a essa manon vuole lasciarla al suo destino. Nellostesso tempo non è disponibile ad accettar-la come un membro a pieno titolo ed è perquesto che penso che anche l’Europa nonprenda in questo momento delle iniziativetali da portare avanti questo processo”.

Massimo Bordin (direttore di RadioRa -dicale): “Io vorrei proporre a David Willeydella BBC un tema che incrocia con quantodetto da Polli a proposito dell’Afghanistan.Perché proprio dall’Inghilterra sono venutecritiche all’operato di altri paesi europei,Italia in primis, rispetto al ruolo militare inAfghanistan. Italiani che avrebbero un ruoloabbastanza defilato, che pur avendo subitodegli attentati, certamente non sono inprima linea come gli inglesi e gli americani.Però c’è anche il problema di come la que-stione afghana sia diventata ulteriormentecritica per la forza multinazionale e di comevede lui la situazione dell’Afghanistan edelle forze occidentali presenti sul campo.Se vuole può anche dare un giudizio sucome, nell’opinione pubblica inglese, vienevista ancora la vicenda dell’alleanza moltostretta tra Bush e Blair al momento dell’ini-ziativa in Iraq e come questo ancora animi ildibattito”.

David Willey (corrispondente in Italiadella BBC): “Si discute molto nell’opinionepubblica britannica se sia saggio continuare

questa guerra in Afghanistan, che forse dalpunto di vista teorico della Nato è necessa-ria, ma che comincia a creare molte doman-de sull’opportunità di continuare questapresenza militare a lungo termine sia inAfghanistan che in Iraq. Credo ci siacoscienza che entrambe le guerre non stianoandando come previsto e bisognerebbecambiare qualcosa, forse atteggiamento. Lavera questione è come cambiare, che cosa sideve fare. Credo ci sia una grande incertez-za. Sulla questione della coalition of the wil-ling, sull’alleanza con gli americani in Iraq,c’è molto meno volontà, come in Italia, dicontinuare così. La si ritiene una guerrasempre più difficile da combattere. Bisognapoi aggiungere che ci sono state molte criti-che in Gran Bretagna sulla maniera in cui ilgoverno britannico assiste le forze militari,nel senso di dar loro quanto necessario percombattere. Ci sono molte critiche sulla

ste polemiche sulla necessità di avere untipo di dialogo con Hamas. Volevo chieder-gli da parte palestinese come sono stateviste queste polemiche, anche perché sidice, e qualcuno l’ha anche scritto, che inrealtà un dialogo sia già in fase avanzataattraverso la mediazione egiziana”.

Jamal Moh’d Jadallah (corrispondentein Italia agenzia di stampa palestineseWAFA): “C’è una politica portata avanti dalPresidente Abu Mazen per dialogare conHamas, a patto che vengano rispettate lerisoluzioni o gli accordi che sono stati firma-ti. Questo da parte palestinese. Sono tratta-tive che durano da mesi e oggi ancora, pur-troppo, non sono arrivati a un accordo. Perquanto concerne la politica italiana e quan-to dichiarato dal ministro D’Alema, credosappiate che D’Alema è un politico abile,che dice cose che hanno un peso politico

mancanza delle radio, di mancanze negliequipaggiamenti, i soldati si sentono in uncerto senso traditi dal governo britannico.Arrivano lì con buona volontà e si sentonoabbandonati. Da noi l’esercito non è di levaed esiste un dibattito di questo tipo: i solda-ti inglesi sono eroi o mercenari? Qual è esat-tamente il ruolo dell’esercito britannico nel2008? C’è stato l’altro giorno l’idea di cele-brare una giornata delle forze armate inGran Bretagna ed era interessante osservareche la proposta è stata accolta con favoredall’opinione pubblica, molti insomma pen-savano fosse un a buona idea, che l’esercitosi senta valorizzato e apprezzato”.

Stefano Polli (capo redazione affariinternazionali Ansa): “Massimo io volevoapprofittare della presenza del collegaJamal Moh’d Jadallah per tornare alla poli-tica estera italiana in Medio Oriente e a que-

internazionale. Noi la interpretiamo comeuna frase politica, non credo possa esserealtro, perché D’Alema e il governo italianohanno preso l’impegno di difendere eappoggiare il piano di pace, di appoggiareOlmert e Abu Mazen. Noi non possiamointerpretare la frase che in questo senso, chealtro potrebbe esserci sotto? Questi sono imisteri della politica estera italiana. Attirarel’attenzione da parte del ministro D’Alemaè basato su quanto pensa l’opinione pubbli-ca israeliana e quindi io vorrei, da giornali-sta, credere che questa maggioranza di per-sone ritenga opportuno lavorare per la pace.Nello stesso tempo però Israele non puòtrattare con Abu Mazen o con Hamas, nonlo può fare, nessuna legge nazionale lo per-mette. Ed è forse per questo che c’era biso-gno di attirare l’attenzione a livello politico.Forse è un richiamo all’Europa, c’è insitauna domanda, volete trattare forse con

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5Marzo 2008

Hamas? “

Vittorio Emanuele Parsi (docente di rela-zioni internazionali all’Università Cattolicadi Milano): “Stavo pensando alle ragionidella battuta di D’Alema. Innanzitutto dob-biamo ricordare che D’Alema ha detto quel-lo che ha sempre detto. All’inizio del suomandato da ministro degli esteri parlò dellanecessità di trattare con Hamas. È tornato suquesto punto ed è interessante perché l’ab-bia fatto all’inizio e perché alla fine. D’Ale -ma sa che comunque, anche qualora il cen-trosinistra dovesse vincere le elezioni, saràun centrosinistra diverso. Mentre nella coa-lizione precedente doveva cercare di fareattenzione a smarcarsi dalla sinistra radica-le, per cui certe cose non le poteva dire per-ché avrebbe aperto loro la porta, visto chenei confronti di Hamas era molto piùopportunista. Se anche il centrosinistra vin-

le. C’è però un elemento di continuità tra idue pezzi di schieramento politico italianoche è l’attivismo. Cioè, quello che è comunea centrodestra e centrosinistra oggi nelMedio Oriente è la volontà/capacità diprendersi più responsabilità rispetto al pas-sato, anche se poi il modo di declinare que-sta assunzione di responsabilità è abbastan-za diversa”.

Stefano Polli (capo redazione affariinternazionali Ansa): “Mi piaceva far inter-venire il collega francese Eric Jozsef perchéla Francia ha una posizione in qualchemodo simile a quella italiana. Hanno solda-ti in Libano, il ministro degli esteri Kou -chner ha collaborato con il ministro D’A -lema e sono andati spesso insieme inLibano. La Francia ha soldati in Afghanistane ha annunciato che al prossimo verticedella Nato di Bucarest confermerà formal-

forti, come per esempio si è visto sulla visi-ta di Gheddafi in Francia. Ci sono alcunielementi di divisione, discussione e dibatti-to, però la differenza senz’altro tra la Franciae l’Inghilterra da una parte e l’Italia dall’al-tra, è una forma di continuità nella politicaestera qualsiasi sia il colore del governo. InItalia no…si vede chiaramente che ci sonodue politiche estere. C’è un punto su cuivorrei fare una domanda ed essere un po’provocatore. Il ministro D’Alema ha dettoche noi dobbiamo cominciare a pensare didialogare con Hamas. È stato al governo perdue anni però e con quale risultato concre-to? Qual è, al di là delle dichiarazioni, l’effet-to concreto delle sue posizioni? Faccio que-sta domanda perché tutto il problema nonriguarda solo la politica estera italiana inMedio Oriente, ma la politica estera nellasua complessità. Il problema è capire qualesia l’influenza del Paese Italia sullo scenariopolitico internazionale. È vero d’altro cantoche dovremmo chiedercelo anche dal puntodi vista francese. E questo pone anche un’al-tra questione. Se cioè quando parliamo dipolitica estera italiana, non dovremo porci ilproblema su come superare questo quadronazionale. Ne parliamo oggi perché siamoalla vigilia delle elezioni italiane, madovremmo chiederci come lo superiamo inprospettiva europea. Voglio dire, è vero cheparliamo di politica estera italiana debole,ma nessun paese europeo oggi è capace diavere una vera politica che abbia un’in-fluenza sia sul Medio Oriente, sia su unpiano più largo”.

Massimo Bordin (direttore di RadioRa -dicale): “Abbiamo in collegamento un gior-nalista israeliano, Yossi Bar, della radionazionale israeliana e autorevole rappre-sentante anche lui della stampa estera aRoma”.

Yossi Bar (corrispondente in Italia YediothAhronot): “Vorrei sfatare una cosa che hosentito dal collega palestinese. A me nonrisulta che la maggioranza della popolazio-ne israeliana è per dialogare con Hamas.Forse ci sono alcuni esponenti culturaliisraeliani che lo sono, però la maggioranzanon è d’accordo di aver un dialogo con ungruppo che dichiara apertamente di volerdistruggere lo Stato d’Israele e non ne rico-nosce la sua esistenza. Se noi non riusciamoad avere un dialogo con il popolo palestine-se più che altro è perché i palestinesi nonriescono ad avere un dialogo tra loro. Comepotete chiederci di avere un dialogo con ipalestinesi, quando tra di loro si stannoammazzando? È difficile chiedere a Israele,apertamente come ha fatto il ministroD’Alema, di dialogare con Hamas, e poinon so a quale titolo visto che i paesi euro-pei non sono d’accordo su questo. Mi sem-bra veramente molto strana questa dichia-razione. Vedo che tutti i paesi europei alme-no sono uniti in questo punto, quello di nonaver a che fare con un’organizzazione terro-rista che non riconosce Israele, ma non rico-nosce neanche il governo di Abu Mazen.Questo è il punto centrale dal momento chenon c’è un unità palestinese, non c’è unacontroparte con cui avere un dialogo serio.Hamas non esiste solo a Gaza, esiste anchenei territori occupati e la paura è che in unodi questi giorni Hamas riuscirà a dominareanche quella parte moderata dell’Autoritàpalestinese che vorrebbe avere un dialogocon Israele e arrivare a due stati facendo unaccordo di pace. Dal momento che nonabbiamo un interlocutore serio e unito, ipalestinesi non danno una risposta moltochiara su cosa vorrebbero e c’è la paura diessere in continuazione bombardati da que-sti missili di Hamas… non vediamo solu-zione a questa situazione.”

cerà le elezioni sarà un centrosinistra senzasinistra radicale e questo paradossalmenteconsente a D’Alema di avere una posizionepiù vicina a quella che lui ha sempre pensa-to e di poterla esplicitare. Io penso che dauna parte il suo ragionamento provenga piùda una lettura del quadro politico italianoche dell’accordo politico internazionale equesto sia un po’ uno dei problemi tipicidella politica estera italiana, che ha questoatteggiamento sempre. Sul Libano peresempio, lasciamo perdere Martino, checredo abbia assunto una posizione moltopersonale, credo ci sia un obiettivo abba-stanza condiviso e che si sconti però un’ideadiversa, che ricordavate all’inizio, tra cen-trodestra e centrosinistra nell’atteggiamentorispetto a Israele e controparte araba, in cuiil centrodestra è decisamente più favorevo-le a Israele senza che il centrosinistra siacontrario, per un atteggiamento tradiziona-

mente l’invio di nuovi soldati in Afgha -nistan. La percezione francese che ha unaposizione sul terreno simile a quella italianaè molto interessante da sentire”.

Eric Jozsef (corrispondente in ItaliaLiberation): “Senz’altro dal punto di vistadell’impegno concreto dell’esercito sulcampo e delle missioni all’estero, c’è unaspetto comune tra Francia e Italia, però cisono anche delle divergenze abbastanzaforti, in particolar modo sul dialogo conHamas. Sarkozy chiaramente, e Kouchnerpure, hanno fatto la scelta di non dialogarecon loro appunto per non voler delegittima-re il governo di Abu Mazen. E dunque daquesto punto di vista, come Stefano Polliricordava all’inizio, c’è comunque anche unaspetto da sottolineare. In Francia c’è un’u-nità nella politica estera, anche se ogni tantoci sono delle divergenze anche abbastanza

continua dalla 2» Alfredo MantovanoÈ possibile ripartire dalla sconfittadel “luogo comune”

di identità culturali e/o politichesuona come discriminazione razziale.Dogma il cui primo corollario è cheproprio tale modello sociale garantireb-be l’immunità dal terrorismo di matriceislamica. Dopo l’assassinio, per contro,tutti gli islamici, senza distinzioni, sonostati visti come dei potenziali terroristi,e perciò oggetto di ritorsione, mentreper i luoghi da essi frequentati è parsaesistere una licenza di devastazione.

È emersa quindi, non soltanto in O -landa, una verità che si fa sempre piùfatica a ignorare o a tenere nascosta:quella religione che il libertarismo e iresidui del marxismo e del freudismoavevano messo da parte nei fatti moti-va scelte traumatiche, non solo indivi-duali. È emerso, ancora, che l’indiffe-renza nei confronti delle varie tipologiedi religione, senza operare le dovutedistinzioni e senza confrontarle con ildiritto naturale, genera delle sorprese.ÈE’ emerso, infine, che la scelta di acco-gliere soggetti di fede islamica, per iquali la religione ha un’a incidenzaimmediata nei comportamenti, disinte-ressandosi del loro reale inserimento,peraltro in un contesto culturale esociale di assoluto relativismo e di con-creta decomposizione, dopo aver ali-mentato illusioni, provoca pesantidelusioni. Nel 2001, al momento delcrollo delle Twin Towers, MohammedBouyeri era un cittadino olandese, fi -glio di immigrati, regolarmente fidan-zato, vestiva Nike e calzava Reebok.Dopo l’11 settembre è entrato in contat-to con siti di ultrafondamentalisti e hamutato rapidamente fede, idee e vita; aseguito dell’omicidio di Van Gogh, èdiventato l’idolo dei musulmani chevivono nelle periferie di Amsterdam edi Rotterdam.

L’errore di larga parte dei Paesi occi-dentali consiste nel non aver affrontatoper tempo la questione della presenzaultrafondamentalista islamica e nel nonavere in parallelo individuato percorsidi seria integrazione per i musulmaninon coinvolti in prospettive radical-mente ultrafondamentaliste, esigendoal tempo stesso da tutti e da per tutto(dalle moschee a internet) il rispetto diuna base etica e giuridica comune. È unerrore esito della deliberata rimozione,personale e comunitaria, di ogni ipote-si di incidenza sociale della religione: sela fede, e ciò che la fede è in grado diinnervare nella cultura e nella vita quo-tidiana (pur nella distinzione dei diver-si ambiti), viene vista come un fastidio,se non come un pericolo, e per questoviene marginalizzata, come affrontarechi fa coincidere, radicalmente e senzadifferenziazioni, fede, cultura, vita epolitica? La vittoria del luogo comune èeffimera e dolorosa: ci si può ancheconvincere, contro ogni dato obiettivo,che lo shaid di Hamas è un povero affa-mato che viene indotto al suicidio perdisperazione dall’oppressione capitali-stica e/o sionista, ma quella realtà checi si rifiuta di scandagliare e di com-prendere poi reagisce tragicamente e siprende carico di dimostrare il contra-rio.

Dalla sconfitta del luogo comune ènecessario prendere le mosse percostruire al tempo stesso una complica-ta integrazione in Europa e un ancorapiù complicato rapporto con i governidei Paesi a maggioranza musulmana.

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Nascerà presto in Turchia un canaletelevisivo di stato in lingua curda.Questione di pochi mesi, e il canale avràanche una versione in farsi e una inarabo. Pochi giorni fa il Primo MinistroErdogan ha annunciato un massicciopiano di investimenti – circa 12 miliardidi dollari – destinato al sud est del paese,quella zona curda nella quale il governodi Ankara vuole migliorare le condizionidi vita, creare posti di lavoro, e soprattut-to allontanare i giovani dal percorsoverso la militanza armata del PKK.Erdogan ha scelto un’intervista al NewYork Times per annunciarlo, e la promes-sa di una tv in lingua è suonata partico-larmente significativa, visto che Ankaraha da sempre imposto severe restrizioniai curdi nell’uso della loro lingua.

Le dichiarazioni del premier turcosono arrivate qualche tempo dopo unasettimana di pesante offensiva militareturca in Iraq, che aveva preoccupato nonpoco gli alleati Usa. “Siamo la porta piùimportante per il nord Iraq, il suo colle-gamento al mondo”, ha spiegato. E perquesto, ha aggiunto, la lotta al terrorismonon deve essere solo militare. Deve avere

anche “una componente socio-economi-ca, una componente culturale, una psico-logica”.

Per questo – la notizia è del quotidianosiriano Tishreen – la Turchia ha ancheannunciato altri massicci investimentidiretti in Iraq, concordati direttamentetra le autorità di Ankara e il presidenteiracheno, il curdo iracheno Talabani, chea metà marzo è andato in visita adAnkara.

Erdogan non ha rapporti brillanti conl’altro curdo iracheno importante, quelMassud Balzani, leader nazionalistacurdo che non ha mai abbandonato ilsogno di uno stato curdo tra Iraq,Turchia, Iran e Siria e che è il governato-re della KRG, la regione autonoma curdairachena. Ma anche Balzani sa che ilnemico principale per la gente che vivenella regione da lui governata è aTeheran, non certo ad Ankara.

Talabani, che è l’altro leader storico deicurdi iracheni, ha parlato di “obiettivocomune” tra Baghdad e Ankara, di “rela-zione strategica” tra i due paesi “a tutti ilivelli”, da quello economico a quellopolitico.

L’economia irachena fa progressi, haspiegato il Presidente: “Il nostro ministrodelle finanze Bayan Jabr Solagh gestiscecirca 16 miliardi di Euro per investimen-ti e progetti strategici”, ha detto. E haannunciato per maggio la firma di ulte-riori accordi di cooperazione. I terreni diinvestimento diretto turco sono prevedi-bili: soprattutto gas, per l’importazione eil transito verso l’Europa. E poi il petro-lio. Ma il problema a questo punto sichiama Kirkuk.

Ancora in questi giorni le principalicompagnie petrolifere mondiali stannosiglando quelli che in gergo si chiamanoTechnical Support Agreement, accordiponte di supporto e formazione, gli unicipossibili in una situazione legislativa nonchiara. Il petrolio di Kirkuk è infatti anco-ra senza padrone, conteso tra il governocentrale e l’autonomia curda, ed è al cen-tro di una complicata questione istituzio-nale che dalla fine di Saddam è aperta inIraq. Previsto inizialmente in dicembre, èstato rinviato a giugno un referendumsullo status della città, previsto dallaCostituzione irachena. Il problema è cheprima di fare un referendum si dovrà

decidere quali e quanti sono gli abitantidella città. Censimenti non ce ne sono. Enel frattempo la comunità turcomanna equella araba accusano i curdi di aver por-tato in città decine di migliaia di persone.

Il fatto è che però – che sia controllatodal governo regionale di Barzani o daquello centrale – il petrolio curdo puòuscire dal paese sostanzialmente per unavia: quella pipeline Kirkuk–Ceyhan che èl’unica che porta al Mediterraneo. E dun-que anche i curdi iracheni hanno moltoda sperare in un miglioramento dellacooperazione economica con Ankara.Non a caso – nel racconto che ne faceva ilquotidiano siriano – proprio di quelpetrolio ha parlato Talabani nel suo viag-gio in Turchia, riferendosi esplicitamentea un ampliamento, o addirittura al rad-doppio dell’altra importante pipeline, daalmeno dieci anni bersagliata da attenta-ti del PKK: quella che va dalla città diKirkuk verso Yumurtalik, nel sud dellaTurchia. I 115 milioni di barili di petrolioquotidiani, riserve certe dell’Iraq (e qual-che stima parla anche di cifre doppie)fanno gola, specie in tempi di petrolio a100 dollari al barile.

6 Anno 1 - Numero 3

PAOLO MARTINI

FRANCESCO DE LEO

ECONOMIA E MEDIORIENTE

Caporedattore di “Radio Radicale”

Giornalista

Il petrolio di Kirkukcerca padrone

14 marzo 2008. In Ira

TEHRAN - Ho assistito alle elezioni parlamentaridel 14 marzo in Iran, sette giorni prima del capodanno1387. Non mi era mai capitato di ascoltare comizi, vive-re le tensioni che precedono il voto, recarmi nei seggi,assistere a tutti i passaggi con i quali si esercita forse ilpiù importante dei diritti, conoscendone già l’esito. Ècome rivedere un cult, riassaporarne per l’ennesimavolta le emozioni, riascoltare i dialoghi e le musichedel film, ammirarne la fotografia conoscendone già latrama, o meglio, il finale. Questo non mi ha impedito

di gustare la bellezza e l’unicità del rito, di notare losguardo di chi imbucava la scheda nell’urna, l’orgo-glio di chi bagnava l’indice nel cuscinetto dell’inchio-stro. Il sapere però che tutto era parte di un copione giàscritto, rendeva quei momenti surreali. Niente trucchi,ben inteso, votazioni regolari, ma la scelta dei candi-dati decisa a monte con una precisa finalità: nondisturbare il manovratore. Legittimare i conservatori,il fondamentalismo religioso, quanto è buono e giustoper l’Iran secondo Khamenei, la Guida Suprema che

ha nelle mani la sorte di 70 milioni di iraniani. Questoil disegno pianificato dai Comitati Esecutivi e dalConsiglio dei Guardiani, che hanno fatto fuori, conuna semplice raccomandata postale, i più importantileader riformisti, i più conosciuti, i più capaci, i piùinfluenti. Hanno vinto i fedelissimi del PresidenteAhmadinejad, hanno vinto coloro che non apprezzanola sua politica nel metodo, approvandola nel merito.Hanno perso quanti la combattono in ogni forma el’hanno testimoniato con un voto inutile. Ha perso chi

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7Marzo 2008

Cosa è arrivato dal mondo arabo,o meglio cosa ci è arrivato dalmondo arabo, è un fatto oramaichiaro a tutto l’Occidente. Ma èanche interessante vedere cosaarriva veramente dell’Occi dentesugli schermi arabi.

Quale Occidente passa via satel-lite dentro le case arabe?

Chi segue i diversi canali arabi, sirenderà conto che l’immagine del -l’Occidente è talvolta quella di unluogo da invidiare e imitare, maqualche altra volta anche quella datemere, per via del potere attrattivoche esercita soprattutto sui giova-ni, animati dal nuovo e dal diverso.È così che vengono imitati realityshow, talk show di diverso tipo, daquelli di intrattenimento a quellipolitici; mentre gli spot pubblicita-ri molte volte sono proprio impor-tati tali e quali, senza alcuna modi-fica, tanto da dare la sensazione diessere quasi surreali nel contesto incui vengono calati.

L’esempio della pubblicità delloshampoo costituisce una prova di

KARIMA MOUAL

SOCIETA’

questa situazione: una donna occi-dentale con capelli lunghi che sfog-gia la luminosità della sua chiomama soprattutto la caratteristicaprincipale del suo capello, lisciocome la seta.

Questa è una caratteristica moltoambita dalle donne arabe che,invece, si caratterizzano per lo piùper avere capelli mossi se nonaddirittura ricci. Ecco che la donnaoccidentale diventa un modello daimitare, e quale modo migliore senon attraverso uno spot che arrivadirettamente dall’Occidente?

Altre volte, oltre a imitare, sicerca di rimodellare ciò che arrivada lontano, in modo di adattarloalla realtà degli spettatori.

Questo avviene soprattuttoquando si tratta di qualcosa cheattrae fortemente e che fa temere,in qualche modo, che a forza diimitare un modello si finisce poiper cambiare del tutto. Questo èl’esempio della nuova MTV A -rabia, il network americano piùcelebre al mondo che, esportato nei

paesi musulmani, rappresentasenz’altro una sfida per tutti masoprattutto per le nuove generazio-ni che stanno crescendo nell’epocadella globalizzazione dalla quale èdifficile non essere contaminati.

Ecco perché, la nascita di MTVArabia è stata accompagnata aDubai da uno sfarzoso ed esagera-to party a imitazione di quelli occi-dentali, con tanto di star interna-zionali e locali. L’evento, natural-mente, è stato accolto con entusia-smo ma anche con numerose criti-che sia da parte di coloro che nonne sentivano la necessità sia dicoloro che, invece, criticavano lemodalità con cui Mtv Arabia sisarebbe distinta dall’Mtv occiden-tale.

Nelle case della stragrande mag-gioranza di famiglie arabe c’era giàil satellite che permetteva di vede-re Mtv, ma con Mtv Arabia si èassistito all’adattamento di unmodello di successo alle proprieesigenze, cioè in conformità conl’Islam.

Nel nuovo canale musicale madein Arabia ci sono allora regole rigi-de da rispettare: niente sesso, nien-te violenza e niente croci. Regoleun po’ difficili da rispettare perquesto genere di programma, ed èfacile rendersene conto anche perchi non è un attento osservatore,guardando anche solo qualchevideo di quelli trasmessi da MTV.

L’MTV Generation araba cre-scerà perciò diversamente senza ivideo sexy di LL Cool J, senza laviolenza di Marilyn Manson, esenza le croci e la sensualità diMadonna, e proprio quest’ultimapare sia la più censurata dallanuova MTV.

Sarà quindi molto difficile vede-re Like a Virgin o Like a prayer, maalmeno la globalizzazione dellenuove generazioni, tanto odiata econtestata, potrebbe però favorirequello spirito di convivenza cheormai tutti devono imparare adaccettare tra “Oriente” e “Occi -dente”.

(2-fine)

Giornalista marocchinaesperta di immigrazione

Madonna non passeràsu Mtv made in Arabia

an non cambia nulla

non sopporta nulla, chi è esasperato, chi combatte ilsistema rimanendo a casa e li considera tutti uguali, gliosalgarayan e gli eslahtalaban, i conservatori e i rifor-misti, senza differenza alcuna. Ci sarà ancora da com-battere per il futuro dell’Iran, nessuno molla tra chiodia il regime. Ci si è divisi per l’ennesimo appunta-mento elettorale nei quasi trent’anni di RepubblicaIslamica. Non voterò…non ci penso neanche. Immagini,mi ha detto un mullah… <anche se votate scheda bian-ca, l’importante è che andiate a votare>. Loro del nostro

voto non sanno che farsene… siamo solo strumentaliz-zati, mi dice una fotografa free-lance al comitato elet-torale dei Riformisti. A questo punto dovremmodomandarci perché viviamo? Viviamo in Iran e dobbia-mo esprimerci in qualche modo, trovare un mezzo perfarlo. Il voto è l’unico strumento che abbiamo… glirisponde un’attivista del Partito dell’ex PresidenteKhatami. Se non ci presentiamo vorrà dire che nonsiamo interessati al nostro futuro. Il nostro essercivorrà dire essere partecipi al nostro destino.

Nonostante tutto l’astensione continua ad avere ilsopravvento in Iran. La motivazione è nei sogni e nellepassioni ancora ingabbiati e imprigionati dall’incubodi leggi remote. È solo tra le mura domestiche, protet-ti e sicuri nelle loro dimore, che ricominciano a vivere,costruendo in clandestinità quel senso del comunetotalmente diverso da quanto professato e propagan-dato dal regime. Sarà forse questa miscela, alimentatagiorno dopo giorno dal desiderio, che riuscirà a risuc-chiare tutto come un grande buco nero. Auguri… Iran.

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8 Anno 1 - Numero 3

• È di quasi cento morti il bilancio degliscontri di inizio mese nel nord di Gaza traHamas e l’esercito israeliano, penetrato nel-la Striscia nel tentativo di neutralizzare i lan-ci di razzi Qassam contro le città di Sderot edi Ashqelon. Il presidente palestinese AbuMazen annuncia il congelamento di tutti irapporti con Israele, inclusi i negoziati di pa-ce, “fino a quando non cesserà l'aggressionemilitare” contro Gaza.• Storica visita del presidente iranianoAhmadinejad in Iraq (2-3 marzo) dopo lasanguinosa guerra dell’‘80-‘88. • Giovedì 6: è strage nel più importante col-legio rabbinico di Gerusalemme ovest, do-ve un palestinese, travestito da religiosoebreo, fa irruzione aprendo il fuoco sugli stu-denti intenti nella lettura di libri sacri: 8 se-minaristi uccisi.• Mahmud Ahmadinejad supera con suc-cesso la prova delle elezioni legislative inIran (tenutesi il 14), nonostante il malconten-to per l'economia. I conservatori conferma-no il loro ampio controllo sul Parlamento: laloro era comunque una vittoria largamenteprevista, tenuto conto delle squalifiche nel-la fase pre-elettorale dei più importanti can-didati riformisti, come avvenuto nelle legi-slative del 2004.• Martedì 18: il cancelliere tedesco AngelaMerkel visita Israele: “La Shoah ci copre divergogna. La Germania – promette – non la-scerà mai più solo Israele”. • Nuovo messaggio di Bin Laden: accuse eminacce anche all’Ue e al Papa per le vignet-te su Maometto.

• Il 9 aprile cadrà il quinto anniversariodell’ingresso delle truppe Usa a Baghdad.A cinque anni dalla caduta di SaddamHussein la situazione in Iraq non è anco-ra stabilizzata. Anche se nel Paese c'è ungoverno democratico, le violenze conti-nuano e il futuro appare incerto.• La Nato potrebbe inviare in Afghanistanun altro migliaio di soldati a rinforzo del-le truppe che già operano sul territorio.Una proposta in tal senso dovrebbe esse-re avanzata da alcuni membri al prossimovertice dell’Alleanza, in programma aBucarest dal 2 al 4 aprile. A margine delvertice, il 3 aprile, si terrà una conferenzainternazionale sull'Afghanistan. Interver -ranno il segretario generale dell’Onu BanKi-Moon, il presidente afghano, HamidKarzai, e i leader dei Paesi della Nato coin-volti nelle operazioni militari nell'area.Presenti anche rappresentanti di altre or-ganizzazioni internazionali come la BancaMondiale e l'Unione europea.• Neanche un candidato su dieci deiFratelli musulmani ha potuto registrarsiper le elezioni municipali dell’8 aprile inEgitto, dopo una campagna di repressio-ne contro l'unico gruppo d'opposizioneegiziano. Dalla metà di febbraio, oltre 900membri del movimento, illegale in Egittodal 1954, sono stati arrestati. I Fratelli mu-sulmani, che vogliono creare uno Statoislamico fondato sulla sharia, hanno rinun-ciato alla violenza e occupano il 20% deiseggi in Parlamento, con deputati eletticome indipendenti.

COSA E’ ACCADUTO (MARZO 2008) COSA ACCADRA’ (APRILE 2008)

Direttore Responsabile: Francesco De LeoRedazione: Davide De Leo (da Londra), Annalisa Galardi, Donato VolpicellaEditorialisti: Massimo Bordin, Vittorio Emanuele Parsi, Stefano Polli

Collaboratori: Khaled Fuad Allam, Gianluca Ansalone, Dawood Azami, Nomi Bar-Yacoov, Elisabetta Brighi,Francesco Boccia, Massimo Campanini, Giuseppe Caldarola, Mimmo Candito, Seyda Canepa, Toni Capuozzo,Franco Chiarello, Michael Cox, Lorenzo Cremonesi, Rosita Damora, Paride De Masi, Gwen Griffith-Dickson,Renzo Guolo, Alfredo Mantovano, Paolo Martini, Gian Micalessin, Karima Moual, Samuela Pagani, GiovanniPellegrino, Alessandro Politi, Antonio Polito, Riccardo Redaelli, Monica Ruocco, Robert Springbord, FereshtehTaerpour, Yasemin TaskinProgetto grafico e impaginazione: Giuseppe LorussoStampa: Editrice Salentina Srl, Via Ippolito De Maria 37, 73013 Galatina (Lecce)[email protected] • www.ilvicinoriente.it

Editore: Fondazione il Vicino Oriente onlus - Via Delle Murge, 59/A - 70124 Bari

Registrazione testata: Tribunale di Bari n. 12 del 14/03/2005

Rivista stampata con il contributo de

continua dalla prima» Vittorio Emanuele ParsiLa forza degli eventi e la coerenza della politica estera

Beirut. A quasi due anni da allora, il quadro politico interno del Libano è cambia-to in peggio, generando una crisi istituzionale gravissima, che ha portato a infiniti rin-vii delle elezioni presidenziali, a un clima sempre più teso e, a un tempo, rassegnato.Hezbollah si è riorganizzato e non c’è la minima avvisaglia di un possibile accomoda-mento tra gli israeliani, i siriani e i loro alleati libanesi. Se la funzione del contingenteinternazionale doveva essere quella di fornire dall’esterno un “supplemento artificia-le” di fiducia per la sostituzione del conflitto con il dialogo, occorre prendere atto chel’obiettivo non è stato raggiunto. Dobbiamo quindi chiederci a quali condizioni, perfar che cosa e con quali regole le truppe italiane, francesi e spagnole possono restarenell’area, e farlo in maniera coordinata con i paesi europei nostri alleati, che condivi-dono i nostri medesimi rischi a sud del fiume Litani.

In maniera analoga, dipenderà dalle decisioni che verranno adottate in ambitoNATO se le condizioni di impiego delle truppe dovranno essere riviste, pena l’irrile-vanza della loro presenza, oltre che la loro stessa incolumità. Tutto ciò, evidentemen-te, nella piena consapevolezza che un fallimento in Afghanistan metterebbe probabil-mente a repentaglio la sopravvivenza della NATO come alleanza politico-militare. Inambedue i casi il nuovo governo italiano potrà decidere di limitarsi a prendere attodelle mutate circostanze e decidere se a queste nuove condizioni esso è disposto a con-tinuare le missioni militari. Oppure potrà assumere l’iniziativa di essere maggiormen-te attivo nelle sedi politiche in cui le decisioni vengono adottate (l’ONU nel caso liba-nese, la NATO in quello afgano) e mostrarsi anche pronto a mutare i propri caveat, aconcordare nuove regole d’ingaggio e persino a fornire truppe più numerose e piùpesantemente armate se, date le mutate circostanze, ciò fosse richiesto proprio per rag-giunge gli obiettivi e mantenere inalterato lo spirito originario delle missioni di pace.

mensile di politica, cultura e società

LA QUESTIONE

L’intricata faccendadei confini di Israele

Sullo status giuridico dei confini diIsraele non ci sono due esperti al mondoche la pensino allo stesso modo. Israeleoccupa circa 21.000 Kmq del territorio chele Nazioni Unite nel 1947 cercarono senzasuccesso di dividere tra israeliani e pale-stinesi, mentre la West Bank (più laStriscia di Gaza) meno di 6.000.

Dopo il ritiro di Israele da Gaza nel2007, i palestinesi chiedono il ritiro anchedalla Cisgiordania (Giudea e Samaria,occupate nel 1967), inclusa Gerusalemmeest. Israele appare disposto ad abbando-nare quasi tutta la Cisgiordania, ma riven-dica alcune aree dove si concentranomolte colonie ebraiche e vuole il controllodi una fascia di territorio lungo le prezio-se acque del fiume Giordano. Una situa-zione fluida, con i moderati di entrambele parti che non escludono limitate rettifi-che di confini, basate su uno scambio diterritori di uguale superficie. Ma come siè arrivati a questo punto?

Secondo gli atti ufficiali, non c’è dubbioche il punto di partenza sia la propostadella Commissione Reale (Earl Peel) del1937: è lì che per la prima volta venne ipo-tizzata dalla potenza mandataria in TerraSanta, il Regno Unito, la creazione di unoStato ebraico con confini definiti. Al futu-ro Israele era assegnato il Nord (laGalilea) e una striscia di 20 Km di larghez-za lungo il Mediterraneo, fino ad Ashdod.All’incirca il 20% dell’area della Palestinastorica. Nel 1947, la Gran Bretagna decisedi rimettere il mandato palestinese nellemani delle Nazioni Unite, che il 25novembre 1947 approvarono la risoluzio-ne 181: nell’ottica della creazione di dueStati, a Israele era assegnata circa il 55%dell’area totale (anche se più della metàdel territorio era il deserto del Negev,ancora oggi praticamente inutilizzabileper insediamenti intensivi). I confini sta-biliti dalla 181 non furono però mairispettati: lo Stato arabo di Palestina nonfu mai costituito e si scatenarono guerre eatti di forza che portarono Israele ad acca-parrarsi territori che la partizione Onuaveva assegnato agli arabi. Dopo la pro-clamazione dello stato ebraico (14 maggio1948) e la prima guerra arabo-israeliana,

gli armistizi del 1949 stabilirono unagreen-line che poneva sotto giurisdizioneisraeliana tutta la Galilea, il Negev occi-dentale, il 30% della Cisgiordania e ilresto: Israele ebbe così “di fatto” il control-lo di un altro 20% dell’area totale. Dopo iconflitti del 1956 (guerra di Suez), 1967(guerra dei Sei giorni) e 1973 (guerra delKippur), Israele occupava anche Sinai,alture del Golan, tutta la Cisgiordania(compresa Gerusa lemme est) e Gaza.

Di fronte allo strapotere militare israe-liano, alcuni paesi arabi si resero contoche una pace, seppure “armata”, conIsraele era di gran lunga preferibile a unaserie infinta di rovesci. Anche sul fronteterritoriale, i trattati di pace di Israele conEgitto (1979) e Giordania (1994) produsse-ro una parziale restituzione dei territorioccupati da Tsahal, riportando il Sinaisotto giurisdizione egiziana e Gaza e laCisgiordania (come uscite - entrambe ter-ritorialmente ridotte - dagli armistizi del1949) allo status di territori assegnati dalla181 dell’Onu al costituendo Stato arabopalestinese. Buona parte del Golan è inve-ce tuttora occupato da Israele, data l’indi-sponibilità della Siria a seguire Egitto eGiordania sulla strada del riconoscimentodello Stato ebraico.

Gli accordi di Oslo firmati a Washing -ton nel 1993 hanno sancito il riconosci-mento reciproco tra israeliani e palestine-si, ma non hanno fermato le violenze enemmeno fissato confini accettati. Dopola seconda Intifada, l’allora premierSharon diede il via per la prima voltanella storia di Israele a un doloroso ritirounilaterale dalla Striscia di Gaza.Sembrava l’inizio di un processo virtuoso,ma la guerra contro gli Hezbollah inLibano nell’estate del 2006 ebbe l’effettodi bloccare un piano analogo di evacua-zione degli insediamenti israeliani inCisgior dania, elaborato dal nuovo primoministro Olmert. Un piano rimesso nelcassetto, tanto più dopo il ‘golpe’ diHamas a Gaza nell’estate del 2007, che haspaccato i Territori palestinesi, facendodella Striscia il regno di estremisti cheinneggiano alla distruzione dello stato diIsraele.