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1 Il Profeta Kahlil Gibran

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Il Profeta

Kahlil Gibran

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Nato come parte di una trilogia sui rapporti dell’uomo

con sé stesso, con la natura e con Dio. Il Profeta

rappresenta il capolavoro di Kahlil Gibran.

Attraverso la figura del profeta Almustafa (l’eletto),

lo scrittore libanese scandaglia l’animo umano con

sensibilità poetica e forza visionaria, affrontando

i grandi temi dell’esistenza umana e dei suoi enigmi:

la vita e la morte, la gioia e il dolore, la natura, il tempo

e l’imperscrutabile mistero di Dio, svelando l’uomo

all’uomo, con le sue perle di saggezza.

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L’arrivo della nave

Almustafa, l’eletto e il beneamato, alba del suo giorno, aveva aspettato dodici anni nella città di Orphalese

che la sua nave tornasse e lo riconducesse all’isola nativa. E nel dodicesimo anno, nel settimo giorno di

Ielool, il mese del raccolto, salì la collina fuori dalle mura della città e guardò il mare; e scorse la sua nave

avanzare nella nebbia.

Allora le dighe del suo cuore si spalancarono, e la sua gioia fluì fino al mare. E chiuse gli occhi e pregò nei

silenzi della sua anima.

Ma come discese la collina, la tristezza lo assalì e pensò nel suo cuore:

Come potrò andarmene in pace e senza rimpianti?

Davvero, non senza una ferita nell’animo potrò andarmene da questa città.

Lunghi furono i giorni del dolore che ho passato tra le sue mura, e lunghe le notti di solitudine; e chi può

partire da suo dolore e dalla sua solitudine senza rimpianti?

Troppi frammenti dello spirito ho sparso in queste strade, e troppi sono i figli del mio desiderio che

camminano nudi su queste colline, e non posso staccarmi da loro senza una pena e un dolore.

Non è un abito che dismetto oggi, ma una pelle che mi strappo con le mie stesse mani. E non è un pensiero

che lascio dietro di me, ma un cuore addolcito dalla fame e dalla sete.

Ma non posso indugiare.

Il mare chiama ogni cosa chiama me, e debbo partire. Benché le ore brucino nella notte, restare è gelarsi e

indurirsi ed essere versato in una forma immobile.

Come vorrei portarmi tutto quel che è qui! Ma come potrò?

Una voce non può portare la lingua e le labbra che diedero ali. Deve cercare da sola il cielo. E sola senza il

nido l’aquila volerà nel sole.

Ora, quando raggiunse i piedi della collina, di nuovo si voltò verso il mare, e vide la nave avvicinarsi al porto,

e sulla prua i marinai, gli uomini della sua terra.

E la sua anima gridò verso di loro, e disse:

Figli della mia antica madre, cavalieri delle maree, quante volte avete navigato nei miei sogni!

Ed ora giungete nel mio risveglio, che è il mio sogno più profondo.

Sono pronto a partire, e la mia brama a vele spiegate attende il vento. Solo un altro respiro respirerò in

quest’aria ferma, solo un altro sguardo d’amore rivolgerò indietro, e poi starò in mezzo a voi, navigante tra i

naviganti.

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E tu, vasto mare, madre dormiente, che sei pace e libertà per il fiume e per la corrente, solo un altro vortice

farà questa corrente, solo un altro mormorio in questo chiarore, e poi verrò a te, goccia infinita in un

infinito oceano.

E mentre camminava vide da lontano uomini e donne lasciare i campi e le vigne ed assieparsi alle porte

della città. E sentì le loro voci chiamare il suo nome, e gridare di campo in campo dicendo l’un l’altro

dell’arrivo della nave.

E disse a sé stesso:

Sarà, il giorno della separazione, giorno di comunione?

E si dirà che la mia vigilia era in realtà la mia alba?

E cosa darò a chi ha lasciato l’aratro in mezzo al solco, o a chi ha fermato la ruota del torchio?

Diventerà il mio cuore un albero colmo di frutti così che possa raccoglierli ed offrirli?

Sprizzeranno i miei desideri come una fontana che possa riempire le loro coppe?

Sono forse un’arpa che la mano del possente possa toccarmi, o un flauto che il suo fiato possa

attraversarmi?

Un cercatore di silenzi sono io, e quale tesoro ho trovato nei miei silenzi che possa dispensare con

sicurezza?

Se questo è giorno del mio raccolto, in quali campi ho seminato, e in quali scordate le stagioni?

E se questa è l’ora in cui accendo la lanterna, non è la mia fiamma che vi brucerà dentro. Vuota e scura

alzerò la mia lanterna, e il guardiano della notte la riempirà di olio e la accenderà.

Queste cose disse a parole. Ma molto nel suo cuore rimase non detto. Poiché egli stesso non poteva dire il

suo segreto più profondo.

E quando entrò nella città la gente andò a incontrarlo, e gridavano come da una sola bocca.

E gli anziani della città lo affrontarono e gli dissero: Non andartene da noi. Sei stato un mezzogiorno nel

nostro crepuscolo, e la tua giovinezza ci ha dato sogni da sognare. Non sei straniero tra noi, non sei ospite,

ma il nostro figlio e il beneamato. Non sopportare che i nostri occhi abbiano fame del tuo volto.

E i sacerdoti e le sacerdotesse dissero: Non lasciare che le onde del mare ci separino, e che gli anni spesi tra

noi diventino ricordo. Hai camminato tra noi in spirito, e la tua ombra è stata luce sui nostri volti. Molto ti

abbiamo amato. Ma senza parole era il nostro amore, e con veli è stato velato. Ora grida verso di te, e

vorrebbe a te rivelarsi.

E sempre è avvenuto che l’amore non conosce la propria profondità, se non nell’ora della separazione.

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E altri giunsero e lo supplicarono.

Ma lui non rispondeva.

Solo chinò la testa, e quelli che gli erano vicini videro le lacrime cadergli sul petto. E lui e la folla avanzavano

verso la grande piazza davanti al tempio.

Allora uscì dal santuario una donna il cui nome era Almitra. Ed era una veggente. E lui la guardò con infinita

tenerezza, perché lei aveva per prima creduto in lui quando non era nella città che da un giorno.

E lei lo salutò dicendo: Profeta di Dio, in cerca del sublime, a lungo hai scrutato l’orizzonte per la tua nave.

ed ora la nave è giunta, e tu devi andare.

Profonda è la nostalgia per la terra delle tue memorie e la dimora dei tuoi desideri; e il nostro amore non

può legarti, né i nostri bisogni possono tenerti.

Eppure questo ti chiediamo ora che ci lasci, che tu ci parli e ci offra della tua verità. E noi la daremo ai nostri

figli, e loro ai loro figli, e non perirà.

Nella tua solitudine hai vegliato sui nostri giorni, e nella tua veglia hai ascoltato il pianto e il riso dei nostri

sonni.

Ora dunque rivelaci a noi stessi, e dicci tutto quello che ti è stato svelato che sta tra la nascita e la morte.

E lui rispose: Popolo di Orphalese, di cosa posso parlarvi se non di ciò che si agita nelle vostre anime?

Dell’amore

Allora disse Almitra: “Parlaci dell’amore”.

E lui alzò la testa e guardò il popolo e una grande calma scese su di loro.

E a gran voce disse: Quando l’amore vi chiama, seguitelo, anche se la via è dura e scomoda. E quando le sue

ali vi avvolgono abbandonatevi in lui, anche se la spada nascosta tra le sue piume può ferirvi. E quando vi

parla credetegli, anche se la sua voce può spezzare i vostri sogni, come il vento del nord devasta il giardino.

Perché come l’amore vi incorona, così vi crocifigge. E come è per la vostra crescita, così è per il vostro

sfiorire. Anche se sale alla vostra altezza e carezza i rami più teneri che tremano al sole, così scenderà alle

radici e le scuoterà nel loro aggrapparsi alla terra.

Come covoni di grano vi unisce a sé. Vi scuote per ripulirvi. Vi staccia per liberarvi dalle reste. Vi macina fino

alla bianchezza. Vi impasta fino a che siate cedevoli. E poi vi assegna al fuoco sacro, per rendervi sacro pane

per la mensa di Dio.

Tutto questo farà l’amore per voi, perché conosciate i segreti del vostro cuore, e nella conoscenza diveniate

un frammento del cuore della Vita.

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Ma se presi dal timore cercaste solo la pace e il piacere dell’amore, meglio sarebbe che copriste le vostre

nudità e usciste dalla sua aia, nel mondo senza stagioni dove riderete, ma non tutte le vostre risate, e

piangerete, ma non tutte le vostre lacrime.

L’amore non dà che se stesso e non toglie che se stesso.

L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto.

Poiché l’amore basta all’amore.

Quando amate, non dovreste dire “Dio è nel mio cuore” ma “Io sono il cuore di Dio”. E non pensate di poter

dirigere il corso dell’amore, perché è lui che, se vi trova degni, dirige il vostro corso.

Amore non ha altro desiderio che riempirsi. Ma se amate e avete bisogno di desideri, siano questi:

Mescolarsi ed essere come un uccello rapido che canta la sua melodia nella notte.

Conoscere la pena di così tanta tenerezza. Essere feriti dalla vostra conoscenza dell’amore;

E sanguinare volentieri e con gioia. Svegliarsi all’alba con un cuore alato e ringraziare per un altro giorno

d’amore;

Fermarsi al mezzogiorno e riflettere sull’estasi d’amore;

Ritornare a casa a sera con gratitudine;

E poi dormire con una preghiera per l’amato nel vostro cuore e un canto di lode sulle labbra.

Matrimonio

Allora Almitra parlò ancora e disse: “Cos’è il matrimonio, maestro?”

Ed egli rispose dicendo:

Voi siete nati insieme, e insieme sarete per sempre.

Sarete insieme quando le bianche ali della morte divideranno i vostri giorni. Sarete insieme anche nella

silente memoria di Dio. Ma lasciate spazi tra la vostra vicinanza. E che i venti del paradiso danzino tra voi.

Amatevi l’un l’altro, ma non fate dell’amore un laccio. Lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento

tra le sponde delle vostre anime.

Riempite ognuno la coppa dell’altro ma non bevete da una coppa sola.

Porgetevi il pane ma non mangiate dalla stessa forma. Cantate e danzate e siate gioiosi, ma lasciate che

ognuno di voi sia solo.

Benché le corde del liuto siano singole, esse vibrano dalla stessa musica.

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Datevi i cuori, ma non in custodia l’uno dell’altro. Perché solo la mano della vita può contenerli. E state

insieme ma non troppo insieme. Perché le colonne del tempio mantengono la distanza, e la quercia e il

cipresso non crescono nella reciproca ombra.

Dei figli

E una donna che portava un bimbo al seno disse: “Parlaci dei figli.”

Ed egli disse:

I vostri figli non sono vostri.

Sono i figli e le figlie del desiderio della Vita per se stessa. Vengono attraverso di voi ma non sono da voi. E

benché siano con voi non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore, ma non il vostro pensiero, perché hanno pensieri propri.

Potete vestire i loro corpi ma non le loro anime, perché esse dimorano nella casa del domani, che non

potete visitare nemmeno in sogno.

Potete tentare di essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi. Perché la vita non torna

indietro né indugia nell’ieri.

Voi siete gli archi da cui i vostri figli sono scoccati come frecce della vita. L’arciere vede il bersaglio sul

sentiero dell’infinito, e con forza vi tende per far giungere le sue frecce lontano e veloci.

Lasciate che questo piegarsi nella mano dell’Arciere sia di gioia, perché pur amando la freccia che vola,

Egli ugualmente ama l’arco che è saldo.

Del dare

E un uomo ricco disse: “Parlaci del dare”.

E lui rispose:

Date ben poco quando date del vostro. È quando date di voi stessi che date sinceramente.

Perché cosa sono i vostri averi se non cose che tenete e custodite per paura di averne bisogno domani?

E domani, cosa porterà il domani al cane troppo prudente che seppellisce ossa nella sabbia immemore,

mentre segue i pellegrini alla città santa?

E cos’è la paura di un bisogno, se non un bisogno stesso?

Non è terrore della sete quando il pozzo è pieno, la sete insaziabile?

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Ci sono quelli che danno poco del molto che hanno, e lo danno per riconoscimento e i loro desideri nascosti

rendono i loro doni inaccettabili.

E ci sono quelli che hanno poco e lo danno tutto. Sono i credenti della vita e della sua ricchezza, e il loro

forziere non è mai vuoto.

Ci sono quelli che danno con gioia, e la gioia è la loro ricompensa. Ci sono quelli che danno con sofferenza,

e la sofferenza è il loro battesimo. E ci sono quelli che danno e non conoscono pena nel dare, né cercano

gioia, né danno per la preoccupazione del merito;

Essi danno come nella valle lontana il mirto sparge il suo profumo nell’aria. Attraverso le loro mani parla

Dio, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.

È bene dare quando ti chiedono, ma è meglio dare senza domanda, solo comprendendo;

E per chi ha le mani aperte la ricerca di chi vuole ricevere è fonte di gioia maggiore che il dare.

E c’è forse qualcosa che potresti trattenere?

Tutto quel che hai sarà un giorno dato.

Perciò date ora, che la stagione del dare sia vostra e non dei vostri eredi.

Spesso dite: “darei, ma solo a chi merita.”

Gli alberi del vostro orto non dicono così, né le greggi nel pascolo. Danno per poter vivere, perché

trattenere è morire.

Certo chi ha meritato di ricevere i suoi giorni e le sue notti merita da te ogni cosa. E chi ha meritato di bere

dall’oceano della vita merita di riempire la coppa del tuo piccolo fiume.

E quale merito più grande vi può essere, di quello del coraggio e della confidenza, o meglio della carità, di

ricevere?

E chi siete voi cui gli uomini mostrino il cuore e svelino l’orgoglio, da poter vedere il valore nudo e l’orgoglio

imperturbato?

Guardate di essere voi per primi meritevoli di essere donatori, e strumento del dare. Perché in verità è la

vita che dà alla vita, mentre voi, che vi credete donatori, siete solo testimoni.

E voi che ricevete – e tutti ricevete – non prendete il peso della gratitudine, perché non sia giogo a voi stessi

e a chi dà. Piuttosto insieme al donatore alzatevi in volo sulle ali dei suoi doni;

Perché essere preoccupati del proprio debito è dubitare della sua generosità, che ha per madre la generosa

terra e per padre Dio.

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Del mangiare e del bere

Allora un vecchio, che aveva una taverna, disse: “Parlaci del mangiare e del bere.”

Ed egli disse:

Vorrei poteste vivere nella fragranza della terra, e come un’aerea pianta foste nutriti dalla luce.

Ma poiché dovete uccidere per mangiare, e rubare al nuovo nato il latte materno per asciugare la vostra

sete, che almeno sia un atto di adorazione, e sia la vostra tavola un altare sul quale i puri e gli innocenti

delle foreste e delle pianure siano sacrificati per quel che è più puro ed innocente all’uomo.

Quando uccidete un animale dite al suo cuore:

“Per la stessa forza che ti abbatte, io sono destinato ad essere abbattuto; io pure devo essere consumato.

Poiché la legge che ti ha consegnato nelle mie mani mi consegnerà in mani più potenti. Il tuo sangue e il

mio sangue non sono che linfa che nutre l’albero del cielo.”

E quando morderete una mela dite al suo cuore:

“I tuoi semi vivranno nel mio corpo, e i germogli del tuo domani fioriranno in me, e il tuo profumo sarà il

mio respiro, e insieme rifioriremo in ogni stagione.”

E nell’autunno, quando accumulate i grappoli delle vostre vigne per la vendemmia, dite al vostro cuore:

“Anch’io sono una vigna, e il mio succo sarà raccolto per il torchio, e come vino nuovo sarò conservato in

vasi eterni.”

E nell’inverno, quando spillerete il vino, fate che vi sia in cuore una canzone per ogni coppa;

E nella canzone un ricordo dell’autunno, e della vigna, e del torchio.

Del lavoro

Allora un contadino disse: “Parlaci del lavoro.”

Ed egli rispose dicendo:

Voi lavorate per tenere il passo con la terra e la sua anima.

Perché essere oziosi è come essere stranieri alle stagioni, e uscire dalla processione della vita che procede

in maestà ed orgogliosa sottomissione verso l’infinito.

Quando lavorate siete un flauto il cui cuore trasforma in musica il sussurro delle ore. Chi vorrebbe essere

una canna, muta e silenziosa, quando tutto intorno canta in sintonia?

Sempre vi è stato detto che il lavoro è dovere e la fatica una maledizione.

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Ma io vi dico che quando lavorate completate una parte del più lontano sogno della terra, assegnato a voi

quando nacque, e nel sostenervi col lavoro siete nella verità che ama la vita, e amare la vita attraverso il

lavoro è essere intimi con il più intimo segreto della vita.

Ma se nel vostro penare chiamate la nascita una sofferenza e il peso della carne un dovere scritto sulla

vostra fronte, io vi rispondo che solo il sudore di quella fronte laverà via quel che vi è scritto.

Vi è stato detto che la vita è tenebra, e nella vostra debolezza sentite l’eco di ciò che fu detto da deboli.

Davvero la vita è tenebra se non vi è slancio, e ogni slancio è cieco se non c’è conoscenza, e tutta la

conoscenza è vana se non c’è lavoro, e ogni lavoro è vuoto se non c’è amore;

E quando lavorate con amore legate voi stessi a voi stessi, e uno all’altro, e a Dio.

E cos’è lavorare con amore?

È tessere un abito con fili presi dal vostro cuore, come se il vostro amato dovesse indossare quell’abito.

È costruire una casa con affetto, come se il vostro amato dovesse dimorare in quella casa.

È seminare semi con tenerezza e raccogliere il raccolto con gioia, come se il vostro amato dovesse cibarsi di

quei frutti.

È dare a ogni cosa che formate il soffio del vostro spirito, e sapere che tutti i beati morti sono intorno a voi

e vi guardano.

Spesso vi ho sentito dire, come nel sonno:

“Chi lavora il marmo, e trova la forma della sua anima nella pietra, è più nobile di chi ara la terra. E chi

misura l’arcobaleno per metterlo su una tela in forma di uomo, è più degno di chi fa sandali per i nostri

piedi.”

Ma io dico, e non nel sonno, ma nella lucidità del meriggio, che il vento non spira più gentilmente sulle

grandi querce che sulle ultime biade del prato; Ed è grande solo chi trasforma la voce del vento in canzone

resa più dolce dal suo amore.

Il lavoro è amore reso visibile.

E se non potete lavorare con amore, ma solo con disgusto, sarebbe meglio lasciare il lavoro e sedere alle

porte del tempio e ricevere l’elemosina da chi lavora con gioia.

Se cuocete il pane con indifferenza, cuocete un pane amaro che sfama a metà la fame dell’uomo.

E se disprezzate la torchiatura dell’uva, il vostro disprezzo distillerà veleno nel vino.

E se cantate come angeli, ma non amate cantare, rendete le orecchie umane sorde alle voci del giorno e

della notte.

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Della gioia e della sofferenza

E una donna disse: “Parlaci della gioia e della sofferenza.”

E lui rispose:

La vostra gioia è la vostra sofferenza mascherata. E il pozzo da cui sale la vostra risata fu spesso riempito

dalle vostre lacrime.

E come potrebbe altrimenti?

Più profondamente il dolore scava nel vostro essere, e più gioia può contenere.

La coppa che contiene il vostro vino non è la stessa coppa che fu cotta nel forno del vasaio?

E il liuto che rallegra il vostro spirito non viene dal legno che fu tagliato dai coltelli?

Quando siete gioiosi, guardate bene nel vostro cuore e troverete quel che vi ha dato dolore ora vi sta

dando gioia.

Quando siete addolorati, guardate ancora nel vostro cuore, e vedrete che in verità state piangendo per

quel che era stata la vostra gioia.

Alcuni dicono “La gioia è più grande del dolore”, e altri dicono “No, il dolore è più grande.”

Ma io vi dico che sono inseparabili. Vengono insieme, e quando uno siede alla vostra tavola, l’altro dorme

nel vostro letto.

Realmente siete sospesi come bilance tra dolore e gioia. Solo quando siete vuoti, siete in equilibrio.

Quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, debbono gioia o dolore alzarsi o cadere.

Delle case

Allora un muratore avanzò e disse: “Parlaci delle case.”

Ed egli rispose e disse:

Costruite con l’immaginazione una capanna nel deserto, prima di costruire una casa dentro le mura di una

città. Perché come per voi c’è il ritorno a casa nel crepuscolo, così è per il viandante, il solitario sempre

straniero.

La casa è il vostro corpo allargato. Cresce nel sole e dorme nella quiete della notte; e non è senza sogni.

Forse la vostra casa non sogna? E nel sogno, non lascia la città per i boschi e le colline?

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Vorrei poter riunire le vostre case nella mia mano, e come un seminatore spargerle nei boschi e nei campi.

Vorrei che le valli fossero le strade, e i sentieri verdi i viali, da potervi cercare tra le vigne, e tornare con il

profumo della terra negli abiti.

Queste cose sono ancora da venire.

Nella loro paura i vostri padri vi radunano troppo vicini. E la paura durerà ancora un po’. Ancora un po’ le

mura delle vostre città separeranno i cuori dai campi.

E ditemi. Popolo di Orphalese, cosa avete nelle vostre case? Cosa custodite dietro porte sbarrate? Avete la

pace, il quieto slancio che rivela il potere? Avete memorie, archi brillanti che uniscono le vette delle menti?

Avete bellezza, che porta i cuori dalle cose fatte di legno e pietra alle sacre montagne? Ditemi, avete tutto

questo nelle vostre case?

O avete solo comodità, e desiderio di comodità, questa cosa furtiva che entra come ospite e diventa

nemico e poi padrone?

Sì, poi diventa dominatore, e con uncino e frusta fa marionette dei vostri migliori desideri. Le sue mani sono

di seta, ma il suo cuore di acciaio. Vi culla fino al sonno per stare accanto al letto e burlarsi della dignità

della carne.

Si fa beffe dei vostri sensi e li mette in bambagia come vasi fragili. Il desiderio della comodità davvero

uccide la passione dell’anima e poi presenzia ghignando al funerale.

Ma voi, figli dell’aria, inquieti nella quiete, non sarete ingannati o domati.

La vostra casa non sarà un’ancora ma un albero maestro. Non sarà una lucida pellicola che copre una ferita,

ma una palpebra che protegge l’occhio.

Non ripiegherete le ali per passare dalle porte, né fascerete il capo per non sbattere nel soffitto, né

tratterrete il respiro per non rompere e far cadere le pareti.

Non dimorerete in tombe costruite dai morti per i vivi.

E pur in magnificenza e splendore, la vostra casa non custodirà il vostro segreto né riparerà il vostro

desiderio.

Perché ciò che è senza limiti in voi abita la casa del cielo, la cui porta è la nebbia del mattino, le cui finestre

sono i canti e i silenzi della notte.

Degli abiti

E il tessitore disse: “parlaci degli abiti.”

E lui rispose:

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I vostri abiti nascondono molto della vostra bellezza, ma non nascondono ciò che non è bello.

E benché cerchiate nelle vesti la libertà del privato, potete trovarvi invece una corazza e una catena.

Vorrei poteste incontrare il sole e il vento con più pelle e meno con l’abbigliamento. Poiché il respiro della

vita è nella luce del sole e la mano della vita è nel vento.

Alcuni di voi dicono: “È il vento del nord che ha tessuto gli abiti che indossiamo.”

E io dico, sì, è il vento del nord, ma vergogna era il telaio, e arrendevolezza il suo filo.

E quando il lavoro fu compiuto egli rise nella foresta.

Non dimenticate che la modestia è come scudo contro l’occhio dell’impuro. E quando l’impuro non ci sarà

più, la modestia non sarà che catena e follia della mente.

E non dimenticate che la terra ama sentire i vostri piedi nudi e i venti desiderano giocare con i vostri capelli.

Del comprare e del vendere

E un mercante disse: “Parlaci del comprare e del vendere.”

Ed egli rispose e disse:

A voi la terra offre i suoi frutti, e non avrete mancanze se saprete riempire le vostre mani.

È nello scambiare i doni della terra che troverete abbondanza e sarete soddisfatti. Purché lo scambio sia in

amore e cortese giustizia e non porti alcuni all’ingordigia e altri alla fame.

Quando nella piazza del mercato voi lavoratori del mare e dei campi e delle vigne incontrate i creatori di

vasellame e i raccoglitori di spezie, Invocate lo spirito della terra che venga in mezzo a voi e santifichi le

bilance e il calcolo che pesa valore contro valore.

E non lasciate che partecipino ai vostri scambi le mani sterili di chi venderebbe le sue parole in cambio del

vostro lavoro.

A questi uomini dite: “Venite con noi ai campi, o andate coi fratelli in mare e gettate la rete, e la terra e il

mare saranno generosi con voi come con noi.”

E se giungono dei cantanti e dei danzatori e dei suonatori di flauto, comprate anche i loro doni.

Poiché anche loro sono raccoglitori di frutti e di incenso, e ciò che porgono, benché in forma di sogni, è

ornamento e cibo per la vostra anima.

E prima di lasciare il mercato, guardate che nessuno abbia preso la sua strada con le mani vuote.

Perché lo spirito della terra non dormirebbe in pace sul vento finché i bisogni dell’ultimo di voi non siano

soddisfatti.

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Della colpa e del castigo

Allora uno dei giudici della città si fece avanti e disse: “Parlaci della colpa e del castigo.”

Ed egli rispose dicendo:

È quando il vostro spirito vaga nel vento, che voi, soli e senza controllo, fate un torto contro gli altri e quindi

contro voi stessi. E per il torto commesso dovete bussare e aspettare a lungo alla porta dei beati.

Come l’oceano è la vostra essenza divina; Essa rimane per sempre incontaminata.

E come l’etere, solleva solo chi è alato.

Anche come il sole è la vostra essenza divina; Non sa le gallerie della talpa e non cerca le tane del serpente,

ma la vostra divinità non dimora da sola nel vostro essere.

Molto di voi è ancora umano, e molto di voi non lo è ancora, è piuttosto un informe pigmeo che cammina

addormentato nella nebbia cercando di svegliarsi.

E dell’uomo che è in voi che vorrei parlarvi. Perché è lui e non il vostro io divino né il pigmeo nella nebbia

che sa la colpa e il castigo della colpa.

Spesso vi ho sentito parlare di chi commette un torto come non fosse uno di voi, ma uno straniero per voi e

un intruso nel vostro mondo.

Ma io vi dico che come il santo e il giusto non possono alzarsi al di sopra di quanto è più alto in voi, così il

debole e il malvagio non possono cadere più in basso dell’infimo che vi dimora.

E come la singola foglia non ingiallisce se non con la silente conoscenza di tutto l’albero, così chi erra non

può far torto senza la nascosta volontà di tutti.

Come una processione camminate insieme verso la vostra essenza divina.

Siete la via e i viandanti.

E quando uno di voi cade, cade per quelli dietro di lui, un avvertimento contro la pietra d’intralcio. E cade

per quelli davanti a lui, che pur essendo più veloci e saldi non rimossero la pietra d’intralcio.

E questo ancora, benché la parola cada pesante sui vostri cuori: L’assassinato non è irresponsabile del

proprio assassinio, e il derubato non è incolpevole della rapina, il giusto non è innocente delle azioni del

malvagio, e chi ha le mani pure non è pulito dei crimini dell’empio.

Sì, spesso il colpevole è vittima dell’offeso, e ancor più spesso il condannato porta il peso per il giusto e il

non biasimato.

Non potete separare il giusto dall’ingiusto e il buono dal cattivo;

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Perché stanno insieme davanti al sole come insieme il filo bianco e quello nero sono tessuti. E quando il filo

nero si rompe, il tessitore controllerà l’intera stoffa, ed anche il telaio.

Se qualcuno porta in giudizio la moglie infedele, pesi sulla bilancia anche il cuore del marito, e misuri la sua

anima.

E chi voglia frustare l’offensore guardi nell’animo dell’offeso;

E chi voglia punire in nome della giustizia e gettare le scure sull’albero del male, controlli prima le radici, e

troverà le radici del bene e del male, le feconde e le sterili, intrecciate tra loro nel cuore della terra.

E voi giudici che volete essere giusti, quale giudizio pronunciate verso chi è giusto nella carne ma ladro nello

spirito?

Quale pena imponete a chi uccide nella carne ma è lui stesso ucciso nello spirito?

E come perseguite chi nelle azioni è un ingannatore ed oppressore, ma è afflitto e oltraggiato?

E come punirete coloro il cui rimorso è più grande dei loro misfatti?

Non è il rimorso la giustizia che è amministrata da quella legge che vorreste servire?

Ma non potete imporre il rimorso all’innocente o strapparlo dal cuore del colpevole. Non invitato chiamerà

nella notte, che gli uomini si sveglino e guardino in se stessi.

E voi che vorreste comprendere la giustizia, come potete farlo se non guardando tutte le azioni nella

pienezza della luce?

Solo allora saprete che gli eretti e i caduti non sono che un uomo solo che sta nel crepuscolo tra la notte del

suo pigmeo e il giorno della sua essenza divina, e che la pietra angolare del tempio non è più alta della

pietra più bassa delle sue fondamenta.

Delle leggi

E un legislatore disse: “Cosa dici delle nostre leggi, maestro?”

Ed egli rispose:

A voi piace emanare leggi, ma vi piace di più trasgredirle.

Come bambini che giocano sulla riva dell’oceano e costruiscono castelli di sabbia con serietà e poi li

distruggono con una risata. Ma mentre costruite i vostri castelli di sabbia l’oceano porta altra sabbia alla

riva, e quando li distruggete è l’oceano che ride con voi.

L’oceano in realtà ride sempre con l’innocente.

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Ma che dire di coloro la cui vita non è un oceano, e le leggi umane non sono castelli di sabbia, coloro la cui

vita è una roccia, e la legge uno scalpello in cui inciderla a propria somiglianza?

Che dire dello storpio che odia i danzatori? O del bue che ama il suo giogo e giudica l’alce e il cervo della

foresta esseri smarriti e vagabondi? O del vecchio serpente che non può cambiare la sua pelle e chiama gli

altri nudi e senza vergogna?

E di chi giunge presto alla festa di nozze, e quando è stanco e sazio se ne va dicendo che ogni festa è

profanazione e tutti i convitati sono trasgressori? Cosa dirò di questi se non che essi pure stanno nella luce

del sole, ma rivolgendole la schiena?

Vedono solo le loro ombre, ed esse sono le leggi.

E cosa è per loro il sole se non un seminatore di ombre? Cosa è la conoscenza delle leggi se non chinarsi e

tracciare le loro ombre sulla terra?

Ma voi che camminate col viso al sole, quali immagini tracciate sulla terra potranno trattenervi?

E voi che viaggiate nel vento, quale banderuola dirigerà la vostra corsa?

Quale legge umana potrà legarvi se spezzerete il vostro giogo, senza giungere alla soglia di una prigione

umana? Quali leggi vi spaventeranno se danzerete senza inciampare contro le ferree catene umane?

Chi vi porterà in giudizio se toglierete le vostre vesti senza lasciarle su di un sentiero umano?

Popolo di Orphalese, potrai soffocare il tamburo, e allentare le corse della lira, ma chi comanderà

all’allodola di non cantare?

Della libertà

E un oratore disse: “Parlaci della libertà”.

Ed egli rispose:

Alle porte della città e al vostro focolare vi ho visti prostrarvi ad adorare la vostra libertà, come schiavi che

si umiliano davanti a un tiranno e lo esaltano benché li uccida.

Sì, nel chiuso del tempio e nell’ombra della fortezza ho visto i più liberi di voi indossare la libertà come

giogo e catena.

E il mio cuore sanguinò; poiché voi potete essere liberi solo quando l’agognata ricerca di libertà diventerà in

voi una briglia, e cesserete di parlare di libertà come fine e soddisfazione.

Sarete liberi davvero non quando i vostri giorni saranno senza preoccupazioni e le vostre notti senza

desideri e rimpianti, ma quando queste cose cingeranno la vostra vita, eppure vi solleverete su di esse nudi

e slegati.

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E come potrete sollevarvi al di sopra dei vostri giorni e delle vostre notti se non spezzate le catene che

all’alba della vostra conoscenza vi hanno legato intorno al meriggio?

In verità ciò che chiamate libertà è la più forte di queste catene, anche se i cuoi anelli brillano nel sole e

abbagliano i vostri occhi.

E cos’è se non frammento della vostra essenza quel che vorreste respingere per divenire liberi?

Se è una legge ingiusta che volete abolire, quella legge fu scritta dalle vostre mani sulla vostra fronte. Non

potete eliminarla bruciando i libri di legge né lavare le fronti dei giudici, anche se vi versate sopra il mare.

E se è un despota che volete rovesciare, guardate che prima sia distrutto il trono eretto dentro di voi.

Come può un tiranno reggere i liberi e fieri, se non per una tirannia che sta nella loro stessa libertà e una

vergogna nella loro fierezza?

E se è una preoccupazione che volete scacciare, quell’affanno è stato da voi scelto più che imposto.

E se è una paura che volete sradicare, il luogo di quella paura è il vostro cuore e non la mano di chi temete.

In verità, tutte le cose si muovono nel vostro essere in un incompiuto abbraccio, il desiderato e il temuto, il

ripugnante e il ricercato, il voluto e quel che rifuggite. Queste cose si muovono in voi come luci e ombre in

coppie che stringono.

E quando l’ombra sbiadisce e manca, la luce che indugia diventa ombra di un’altra luce. Perciò la vostra

libertà, quando perde i suoi vincoli, diventa essa stessa vincolo di una più grande libertà.

Della ragione e della passione

E la sacerdotessa parlò ancora e disse: “Parlaci di Ragione e Sentimento.”

Ed egli rispose dicendo:

Spesso la vostra anima è un campo di battaglia, sul quale la vostra ragione e il vostro giudizio fanno guerra

contro la passione e l’avidità.

Vorrei essere portatore di pace nella vostra anima, e mutare la discordia e la rivalità dei vostri elementi in

unità e melodia. Ma come potrò, se voi stessi non porterete pace amando le vostre componenti?

Ragione e sentimento sono timone e vele della vostra anima navigante.

Se le vele o il timone si spezzano, non potete che beccheggiare o andare alla deriva, o tenervi fermi in

mezzo al mare.

La ragione, se governa da sola, è una forza che arresta; e la passione, incustodita, è fiamma che brucia fino

a distruggersi.

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Dunque lasciate che l’anima esalti la ragione fino alle vette della passione, così che possa cantare;

E dirigete il sentimento con ragionevolezza, in modo che possa vivere attraverso la sua giornaliera

resurrezione, e come la fenice rinasca dalle sue ceneri.

Dovreste considerare il vostro giudizio e la vostra avidità come due amati ospiti di casa.

Certo non dovete onorare un ospite più dell’altro; perché chi è più attento ad uno perde l’amore e la fiducia

di entrambi.

Tra le colline, quando sedete sotto la fresca ombra dei bianchi pioppi, condividendo la pace e la serenità dei

campi lontani e dei prati, lasciate che il vostro cuore dica in silenzio: “Dio riposa nella ragione.”

E quando la tempesta arriva e il vento potente scuote la foresta, e fulmine e tuono proclamano la maestà

del cielo, lasciate che il vostro cuore dica nel timore: “Dio si muove nella passione.”

E poiché siete un respiro nella sfera di Dio, e una foglia nella sua foresta, voi pure dovreste riposare nella

ragione e muovervi nella passione.

Del dolore

E una donna parlò dicendo: “Parlaci del Dolore.”

Ed egli disse:

Il vostro dolore è lo sbriciolarsi della conchiglia che racchiude la vostra comprensione.

Come il nocciolo del frutto deve rompersi perché il suo cuore possa stare nel sole, voi pure dovete

conoscere il dolore.

E se voi poteste mantenere nel vostro cuore la meraviglia ai quotidiani miracoli della vita, il dolore non

sembrerebbe meno meraviglioso della gioia;

E accettereste le stagioni del cuore, come avete sempre accolto le stagioni che passano sopra i campi.

E guardereste con serenità attraverso gli inverni della vostra sofferenza.

Molto del vostro dolore è scelto da voi.

È la pozione amara con la quale il medico che è dentro di voi cura la vostra parte malata.

Dunque fidatevi del medico, e bevete la sua medicina in silenzio e fiducia;

Poiché la sua mano, benché dura e pesante, è guidata dalla mano amorosa dell’Invisibile.

E la coppa che porge, anche se brucia le labbra, è stata forgiata nella creta che il Creatore ha mescolato con

le Sue sacre lacrime.

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Della conoscenza di sé

E un uomo disse: “Parlaci della Conoscenza di noi stessi.”

Ed egli rispose dicendo:

I cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti. Ma le orecchie anelano al suono della

conoscenza del vostro cuore.

Vorreste sapere, in parole, ciò che avete sempre saputo in pensieri. Vorreste toccare con le dita il corpo

nudo dei vostri sogni.

Ed è bene che sia così.

La sorgente della vostra anima deve scaturire e correre mormorando verso il mare; E il tesoro delle vostre

infinite profondità sarebbe rivelato ai vostri occhi.

Ma fate che non ci siano bilance per pesare i vostri tesori sconosciuti;

E non cercate le profondità della vostra conoscenza con l’asta e lo scandaglio. Perché l’io è un mare infinito

e incommensurabile.

Non dite “Ho trovato la verità” ma “Ho trovato una verità.”

Non dite “Ho trovato il sentiero dell’anima” ma “Ho incontrato l’anima camminando sul mio sentiero.”

Poiché l’anima cammina su tutti i sentieri.

L’anima non cammina lungo una linea, né cresce come una canna.

L’anima si svolge come un loto di innumerevoli petali.

Dell’insegnare

Allora disse un maestro: “Parlaci dell’Insegnare.”

Ed egli disse:

Nessun uomo può rivelarvi nulla che non stia già in dormiveglia nell’alba della vostra conoscenza.

Il maestro che cammina all’ombra del tempio tra i suoi seguaci, non trasmette la sua saggezza ma la sua

fede e la sua passione.

Se è saggio non vi costringe a entrare nella casa della sua saggezza, ma vi conduce alla soglia della vostra

mente.

L’astronomo può parlarvi della sua comprensione dello spazio, ma non può darvi la sua comprensione.

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Il musicista può cantarvi il ritmo che è in ogni dove, ma non può donarvi l’orecchio che fissa il ritmo o la

voce che ne fa eco.

E chi è versato nella scienza dei numeri può parlare delle regioni del peso e della misura, ma non può

condurvi all’interno.

Poiché la visione di un uomo non dà le ali a un altro uomo.

E come ognuno di voi sta solo nella conoscenza divina, così ognuno deve star solo nella propria conoscenza

di Dio e nella propria comprensione della terra.

Dell’amicizia

E un giovane disse: “Parlaci dell’amicizia.”

Ed egli rispose dicendo:

Il vostro amico è la risposta al vostro bisogno.

È il campo in cui seminate con amore e raccogliete con gratitudine. È il vostro desco e il vostro focolare.

Perché giungete a lui con fame, e cercate in lui pace.

Quando l’amico apre la sua mente non temete di dire “no” nella vostra, né trattenete il “si”.

E quando è silente, il vostro cuore non cessi di ascoltare il suo;

Poiché senza parole, in amicizia, tutti i pensieri, i desideri, le attese nascono e si condividono, con gioia e

senza fanfara.

Quando vi allontanate dall’amico, non soffrite;

Poiché ciò che più amate in lui può rivelarsi meglio in assenza, come la montagna si rivela allo scalatore più

limpida dal piano.

E non abbiate altro proposito nell’amicizia che la profondità dello spirito.

Perché l’amore che cerca altro dallo svelarsi del proprio mistero non è amore ma una rete buttata avanti:

solo l’evanescente è catturato.

E lasciate il meglio di voi per l’amico.

Se deve conoscere l’abbassarsi della marea, che conosca anche l’alzarsi.

Perché cosa è l’amico, da cercarlo con ore di morte?

Cercatelo sempre con ore di vita.

Perché riempia il vostro bisogno, non il vostro vuoto.

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E nella dolcezza dell’amicizia vi siano risate e condivisione di piaceri.

Perché nella rugiada delle piccole cosa il cuore trova il suo mattino e ne è ristorato.

Del discorrere

E un dotto disse: “Parlaci del discorrere.”

Ed egli rispose dicendo:

Voi discorrete quando non siete più in pace coi vostri pensieri;

E quando non potete più dimorare nella solitudine del cuore, vivete sulle vostre labbra, e il suono è

diversivo e passatempo.

E in molto del vostro discorrere il pensiero è quasi ucciso.

Poiché il pensiero è un uccello dell’aria, che in una gabbia di parole può anche spiegare le ali, ma non può

volare.

Alcuni tra voi cercano il discorrere per paura di essere soli.

Il silenzio della solitudine li rivela nudi ai loro occhi e vorrebbero scappare.

E alcuni parlano, e senza conoscenza o ponderatezza rivelano una verità che essi stessi non comprendono.

E alcuni hanno la verità in sé, ma non la dicono a parole.

Nel bocciolo di questi, lo spirito dimora in ritmico silenzio.

Quando incontrate l’amico in strada o al mercato, lasciate che lo spirito muova le labbra e guidi la lingua.

Lasciate che la voce dentro la voce parli all’orecchio del suo orecchio;

Poiché la sua anima conserverà la verità del vostro cuore come si ricorda il gusto del vino, quando il colore

è dimenticato e la coppa non c’è più.

Del tempo

E un astronomo disse: “Maestro, che dici del tempo?”

Ed egli rispose:

Voi vorreste misurare il tempo senza misura e incommensurabile.

Vorreste regolare la vostra condotta e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.

Del tempo fareste un fiume sulle cui rive sedere e guardare il flusso.

Ma quel che in voi è senza tempo è consapevole del non-tempo della vita.

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E sa che ieri è solo la memoria di oggi e domani è di oggi il sogno.

E ciò che canta e contempla in voi dimora ancora nei bordi di quel primo momento che disseminò le stelle

nello spazio.

Chi tra voi non sente che la sua potenza è senza confini?

E chi non sente che il vero amore, benché infinito, è incastonato nel centro del suo essere, e non si muove

da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da azioni d’amore ad azioni d’amore?

E non è il tempo, come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero dovete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione cinga le altre.

E che l’oggi circondi il passato col ricordo e il futuro col desiderio.

Del bene e del male

E uno dei più anziani in città disse: “Parlaci del Bene e del Male.”

Ed egli rispose:

Del bene in voi posso parlare, ma non del male.

Poiché cos’è il male se non bene torturato dalla sua stessa fame e sete?

Veramente quando il bene ha fame cerca cibo anche nelle buie caverne, e quando ha sete beve perfino

acque stagnanti.

Voi siete buoni quando siete tutt’uno con voi stessi. Eppure quando non c’è questa unità ancora non siete

malvagi. Una casa divisa non è un covo di ladri; è solo una casa divisa.

E una nave senza timone può vagare senza meta tra isole pericolose e tuttavia non andare a fondo.

Voi siete buoni quando vi sforzate di dare qualcosa di voi, ma non siete cattivi quando cercate il vostro

guadagno;

Perché quando cercate il guadagno non siete che radici che s’avvinghiano alla terra e succhiano dal suo

seno.

Certo il frutto non può dire alla radice: “Sii come me, maturo e pieno e sempre generoso della sua

abbondanza.”

Poiché il dare del frutto è un bisogno, come il ricevere è un bisogno della radice.

Voi siete buoni quando siete pienamente consci nel vostro parlare. Ma non siete cattivi quando dormite

mentre la lingua vacilla senza senso. Ed anche un discorso contorto può rafforzare una lingua debole.

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Voi siete buoni quando camminate verso la meta saldi e con passi sicuri.

Ma non siete cattivi quando avanzate zoppicando. Anche chi zoppica non va indietro. Ma voi che siete forti

e veloci, non zoppicate davanti allo zoppo, credendo sia cortesia.

Voi siete buoni in innumerevoli modi, e non siete cattivi quando non siete buoni, siete solo svogliati e

indolenti, peccato che i cervi non possano insegnare velocità alle tartarughe.

Nel desiderare di essere il gigante che è in voi sta la vostra bontà: e quel desiderio è in ognuno.

Ma in alcuni quel desiderio è torrente che si precipita al mare, trascinando i segreti delle colline e le canzoni

della foresta.

E in altri è placida corrente che si perde in angoli e curve e indugia prima di arrivare alla riva.

Ma chi molto arde non dica a chi è poco ardente “Perché sei così lento ed esitante?”

Perché il vero buono non chiede al nudo “Dov’è il tuo abito?” né a chi è senza dimora “Che è successo della

tua casa?”

Della preghiera

Allora una sacerdotessa disse: “Parlaci della Preghiera.”

Ed egli rispose dicendo:

Voi pregate nella sofferenza e nel bisogno; ma dovreste pregare anche nella pienezza della gioia e nei giorni

dell’abbondanza.

Poiché cos’è la preghiera se non l’espansione di voi stessi nell’etere vivente?

E se è per voi conforto versare il vostro buio nell’aria, è anche vostra delizia versare fuori l’alba del vostro

cuore.

E se non potete fare a meno di piangere quando l’anima vi chiama a pregare, essa dovrebbe spingervi

ancora e ancora attraverso le lacrime, fino al giungere del sorriso.

Quando pregate vi sollevate per incontrare nell’aria tutti coloro che pregano in quel momento, e coloro che

non potete incontrare se non in preghiera.

Perciò fate che la vostra visita a quel tempio invisibile non sia che estasi e dolce comunione. Perché se

entrate nel tempio con nessun altro proposito che chiedere, non riceverete, e se entrate per umiliarvi non

sarete innalzati;

E se entrate per chiedere il bene di altri, non sarete ascoltati.

È sufficiente che entriate nel tempio invisibile.

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Non posso insegnarvi come pregare in parole. Dio non ascolta le parole se non quando le pronuncia egli

stesso attraverso le vostre labbra. E non posso insegnarvi la preghiera dei mari e delle foreste e delle

montagne.

Ma voi che siete nati dalle montagne e dalle foreste e dai mari potete trovare la loro preghiera nei vostri

cuori.

E se solo ascoltate nell’aria ferma della notte udrete dire in silenzio: “Padre nostro, che sei il nostro essere

alato, è il tuo volere che in noi vuole, è il tuo desiderio che in noi desidera. È il tuo impeto che trasforma le

nostre notti, che sono tue, in giorni, ugualmente tuoi. Nulla possiamo chiederti, perché conosci i nostri

bisogni prima che sorgano. Tu sei il nostro bisogno; e nel darci più di te stesso tu ci dai tutto.”

Del piacere

Allora un eremita, che visitava la città una volta all’anno, avanzò e disse: “Parlaci del Piacere.”

Ed egli rispose dicendo:

Il piacere è un canto di libertà, ma non è libertà.

È il fiorire dei vostri desideri, ma non ne è il frutto.

È una profondità che chiama da un’altezza, ma non è il profondo o l’alto.

È uccello in gabbia che prende il volo, ma non è spazio conquistato.

Veramente il piacere è un canto di libertà. E io vorrei voi lo cantaste con pienezza di cuore; ma non vorrei

che perdeste i cuori nel cantarlo.

Alcuni dei giovani cercano il piacere come fosse tutto, e sono giudicati e respinti.

Io non li giudicherei né biasimerei, ma vorrei che cercassero. Poiché troveranno piacere, ma non solo

quello.

Sette sono i suoi fratelli, e l’ultimo è meno bello del piacere.

Non avete sentito dell’uomo che scavava nella terra in cerca di radici e trovò un tesoro?

E alcuni dei più anziani ricordano i piaceri con rimpianto, come errori commessi in stato di ubriachezza. Ma

il rimpianto è la nebbia della mente e non il suo castigo.

Dovrebbero ricordare i piaceri con gratitudine, come il raccolto di un’estate.

Ma se li consola il rammarico, lasciateli confortarsi.

E ci sono tra voi coloro che non sono né giovani da cercare né vecchi da ricordare:

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E nella loro paura di cercare o ricordare rifiutano tutti i piaceri per timore di trascurare lo spirito o di

offenderlo. Ma anche nella loro rinuncia c’è un piacere.

E così anch’essi trovano un tesoro anche se scavano per le radici con le mani esitanti.

Ma ditemi, chi può offendere lo spirito?

L’allodola offende la quiete della notte, o la lucciola offende le stelle?

E la vostra fiamma o il vostro fuoco appesantiscono il vento?

Pensate che lo spirito sia una palude ferma che possiate turbare con un bastone?

Spesso nel negarvi piacere non fate altro che stivare il desiderio nelle profondità del cuore.

Chi sa se ciò che sembra perso oggi non vi aspetti domani?

Perfino il vostro corpo conosce la sua eredità e il suo giusto bisogno e non si farà ingannare. E il corpo è

l’arpa dell’anima, ed è vostro compito ricavarne dolce musica o confusi suoni.

Ed ora vi chiedete in cuore: “Come distingueremo ciò che è buono nel piacere da ciò che non è buono?”

Andate nei campi e nei giardini, e imparerete che il piacere dell’ape è raccogliere il miele dal fiore, ma è

anche piacere del fiore offrire il suo miele all’ape.

Perché per l’ape il fiore è fontana di vita, e per il fiore l’ape è messaggera di amore, e per entrambi, ape e

fiore, il dare e il ricevere piacere è un bisogno e un’estasi.

Popolo di Orphalese, sii nei tuoi piaceri come i fiori e le api.

Della bellezza

E un poeta disse: “Parlaci della Bellezza.”

Ed egli rispose:

Dove cercherete la bellezza, e dove la troverete se essa stessa non vi sarà sentiero e guida?

E come ne parlerete se non sarà essa la tessitrice del vostro discorso?

L’afflitto e l’offeso dicono: “La bellezza è dolce e gentile. Come una giovane madre intimidita della sua

gloria cammina tra noi.”

E i passionali dicono: “No, la bellezza è cosa possente e paurosa. Come la tempesta scuote la terra sotto di

noi e il cielo sopra di noi.”

Gli stanchi e i deboli dicono: “La bellezza è di delicati sospiri. Parla nel nostro spirito. La sua voce giunge ai

nostri silenzi come una tremula luce che fa capolino per paura dell’ombra.”

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Ma gli irrequieti dicono: “L’abbiamo sentita gridare tra le montagne. E con le sue urla vennero il suono di

zoccoli, il battito d’ali e il ruggito di leoni.”

A notte le guardie della città dicono: “La bellezza sorgerà con l’alba dell’est.”

E al meriggio i lavoranti e i viandanti dicono: “L’abbiamo vista sporgersi sulla terra dalle finestre del

tramonto.”

In inverno dicono coloro che affondano nella neve: “Verrà con la primavera balzando sulle colline.”

E nella calura estiva i mietitori dicono: “L’abbiamo vista danzare con le foglie dell’autunno, e aveva una

folata di neve nei capelli.”

Tutto ciò avete detto della bellezza, ma in verità non parlaste di lei ma di bisogni insoddisfatti.

E la bellezza non è un bisogno ma un’estasi.

Non è una bocca che ha sete né una mano vuota protesa, ma un cuore infiammato e un’anima incantata.

Non è l’immagine che vorreste vedere, né il canto che vorreste udire, ma piuttosto l’immagine che vedete

in voi se chiudete gli occhi e il canto che sentite se serrate le orecchie.

Non è la linfa nel solco della corteccia, non è un’ala unita a un artiglio, ma un giardino sempre in boccio e

una schiera di angeli sempre in volo.

Popolo di Orphalese, la bellezza è la vita quando svela il suo volto santo, ma voi siete la vita e siete il velo.

La bellezza è l’eternità che si guarda in uno specchio, ma voi siete l’eternità e siete lo specchio.

Della religione

E un vecchio prete disse: “Parlaci della religione.”

Ed egli disse:

Ho parlato oggi di null’altro? Non è la religione tutte le azioni e tutte le riflessioni, ed anche ciò che non è

né l’una né l’altra, ma una meraviglia e una sorpresa che sgorga nell’anima, anche quando le mani spaccano

la pietra o tendono il telaio?

Chi può separare la sua fede dalle sue azioni, o il suo credo dalle sue occupazioni?

Chi può suddividere le sue ore dinanzi a sé, dicendo: “Questo è per Dio e questo è per me, questo è per la

mia anima, e questo per il mio corpo?”

Tutte le vostre ore sono ali che portano nell’aria da un essere all’altro.

Chi indossa la sua moralità come il miglior abito sarebbe migliore nudo. Il vento e il sole non faranno solchi

sulla sua pelle.

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E chi definisce etica la sua condotta imprigiona il suo uccello canterino in gabbia. Il canto libero non passa

tra sbarre e fili.

E chi sente l’adorare come una finestra da aprire e chiudere non ha ancora visitato la casa della sua anima,

le cui finestre sono da alba ad alba.

La vostra vita quotidiana è il vostro tempio e la vostra religione.

Ogni volta che vi entrate portate tutto di voi. Portate l’aratro e la forgia e il martello e il liuto, le cose che

avete modellato per necessità o piacere.

Poiché nella fantasia non potrete alzarvi al di sopra dei vostri successi né cadere al di sotto dei vostri

fallimenti.

E prendete con voi tutti gli uomini:

Perché nell’adorazione non potete volare più in alto delle loro speranze né scendere più in basso della loro

disperazione.

E se volete conoscere Dio, non siate solutori di enigmi. Piuttosto guardate intorno a voi e lo vedrete giocare

con i vostri bambini.

E guardate nel cielo: lo vedrete camminare nelle nuvole, tendendo le braccia nella luce e scendendo nella

pioggia.

Lo vedrete sorridere nei fiori, poi salire ed agitare le mani negli alberi.

Della morte

Infine Almitra parlò dicendo: “Vorremmo chiederti ora della Morte.”

Ed egli disse:

Dovreste conoscere il segreto della morte.

Ma come trovarlo se non cercando nel cuore della vita?

Il gufo i cui occhi notturni sono ciechi nel giorno non può rivelare il mistero della luce.

Se davvero volete contemplare lo spirito della morte, spalancate il cuore nel corpo della vita.

Poiché vita e morte sono una, come uniti sono il fiume e il mare.

Nella profondità delle vostre speranze e desideri giace la silente conoscenza dell’aldilà;

E come semi che sognano sotto la neve il vostro cuore sogna la primavera.

Credete ai sogni, perché in essi è nascosta la porta per l’eternità.

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La vostra paura della morte è solo il tremore del pastore quando sta davanti al re la cui mano sta per

posarsi su di lui in segno d’onore.

Non è il pastore felice, nel suo tremore, di indossare l’insegna del re?

Eppure, non è ancor più preoccupato del suo tremore?

Poiché, cos’è morire se non stare nudi nel vento e sciogliersi nel sole?

E cos’è cessare di respirare se non liberare il respiro dal suo incessante fluire, così che possa sollevarsi ed

espandersi e cercare senza limiti Dio?

Solo quando berrete dal fiume del silenzio davvero canterete.

E quando avrete raggiunto la cima del monte, comincerete davvero a salire.

E quando la terra reclamerà le vostre membra, voi davvero danzerete.

Il congedo

Ed ora era sera.

E Almitra la veggente disse: “Benedetto questo giorno e questo luogo e il tuo spirito che ha parlato.”

Ed egli rispose: Ero io a parlare? Non sono stato anch’io un ascoltatore?

Poi discese i gradini del Tempio e tutta la folla lo seguì. E raggiunse la nave e si fermò sul molo. E guardando

ancora la gente, alzò la voce e disse:

Popolo di Orphalese, i venti mi forzano di lasciarvi.

Meno impaziente del vento, ma debbo andare.

Noi viandanti, sempre in cerca della strada più solitaria, non cominciamo un giorno dove abbiamo

terminato l’altro; e nessun tramonto ci trova dove il tramonto ci ha lasciato.

Anche quando la terra dorme viaggiamo.

Siamo i semi della pianura tenace, ed è nella nostra maturità e pienezza di cuore che siamo dati al vento e

disseminati.

Brevi furono i miei giorni tra di voi, e più brevi le parole che vi ho detto. Ma se la mia voce sbiadirà nelle

vostre orecchie, e il mio amore svanirà nella memoria, io tornerò, e con un cuore più ricco e labbra più

docili allo spirito parlerò.

Sì, tornerò con la marea, e anche se la morte potrà nascondermi, e il più grande silenzio avvolgermi, ancora

cercherò la vostra comprensione. E non invano cercherò. Se quel che ho detto è verità, quella verità si

rivelerà in voce più chiara, e in parole più vicine ai vostri pensieri.

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Vado col vento, popolo di Orphalese, ma non nel vuoto;

E se questo giorno non è un riempimento dei vostri bisogni e del mio amore, lasciamo che sia una promessa

fino al prossimo giorno. I bisogni dell’uomo cambiano, ma non il suo amore, o il desiderio che l’amore

soddisfi i suoi bisogni.

Sappiate dunque che dal più grande silenzio ritornerò.

La nebbia che scende all’alba, lasciando rugiada nei campi, salirà e si unirà in una nuvola e poi scenderà in

pioggia.

Non diverso nella nebbia io sono stato. Nella quiete della notte ho camminato nelle vostre strade, e il mio

spirito è entrato nelle case, e i battiti dei vostri cuori erano nel mio cuore, e i vostri respiri sul mio viso, ed

ho saputo tutto.

Sì, ho saputo la gioia e il dolore, e nel sonno i vostri sogni erano i miei. E spesso ero tra voi come un lago tra

le montagne.

Ho specchiato le cime in voi e i morbidi pendii ed anche le mandrie di passaggio dei vostri pensieri e

desideri.

E al mio silenzio giunse la risata dei bambini nei torrenti, e i desideri dei giovani nei fiumi. E quando

raggiunsero la mia profondità torrenti e fiumi non smisero di cantare. Ma più dolci delle risate e più grandi

dei desideri giunsero a me.

Era l’infinito in voi;

L’immenso uomo in cui tutti voi non siete che cellule e tendini;

Colui nel cui canto tutto il vostro cantare è solo muto singhiozzo.

E nell’immenso uomo che voi siete immensi, e nel guardare a lui ho guardato voi e vi ho amato.

Perché quali distanze può raggiungere l’amore che non sono in quell’immensa sfera?

Quali visioni, quali attese e quali presunzioni possono oltrepassare quel volo?

Come un’enorme quercia coperta di boccioli è l’immenso uomo che in voi. La sua potenza vi lega alla terra,

la sua fragranza vi innalza al cielo, e nella sua eternità voi siete perenni.

Vi è stato detto che, come in una catena, siete deboli come l’anello più debole. Ma è solo una mezza verità.

Siete anche forti come l’anello più forte.

Misurarvi dalla vostra azione più piccola è come calcolare il potere dall’oceano dalla fragilità della sua

schiuma. Giudicarvi dai vostri fallimenti è come maledire le stagioni per la loro incostanza.

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Sì, siete come un oceano, e benché pesanti navi aspettino la marea sulle vostre rive, pure, come un oceano,

non potete affrettare le vostre maree.

E siete come le stagioni, e benché nell’inverno rinneghiate la primavera, ugualmente essa, riposando in voi,

sorride nel suo riposo e non ne è offesa.

Non pensate che dica questo perché possiate dirvi l’un l’altro “Ci ha esaltato: Ha visto solo il buono in noi.”

Dico solo a parole quel che voi stessi sapete nei pensieri.

E cos’è la conoscenza delle parole se non un’ombra della conoscenza silenziosa?

I vostri pensieri e le mie parole sono onde da una memoria sigillata che conserva le tracce dei nostri ieri, e

dei giorni antichi quando la terra non conosceva né noi né se stessa, e di notti in cui la terra era preda del

caos.

Uomini saggi sono venuti da voi a darvi la loro saggezza. Io sono venuto a prendere la vostra saggezza:

Ed ho trovato qualcosa di più grande.

È uno spirito di fiamma in voi che si raccoglie di sé, mentre voi, incuranti del suo espandersi, piangete

l’inaridire dei vostri giorni.

È vita in cerca di vita in corpi che temono la tomba.

Non ci sono tombe qui.

Queste montagne e pianure sono una culla e una pietra per il passaggio. Ogni volta che passate nel campo

dove avete sepolto i vostri avi guardate bene in alto, e vedrete voi stessi e i vostri bambin danzare mano

nella mano.

Veramente voi spesso fate festa senza saperlo.

Altri sono venuti a voi e a loro non avete dato, per le dorate promesse fatte sotto la vostra fiducia, che

ricchezze e potere e gloria.

Meno di una promessa vi ho dato io, e più generosi siete stati con me. Mi avete donato la mia più profonda

sete per la vita.

Certo non c’è dono più grande per un uomo che trasformare i suoi obbiettivi in labbra anelanti e tutta la

vita in una fonte.

E in questo giace il mio onore e la mia stima, poiché ogni volta che vengo a bere alla fontana trovo l’acqua

viva essa stessa assetata.

E mi beve mentre io la bevo.

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Alcuni di voi mi hanno giudicato fiero o troppo schivo per ricevere doni. Troppo fiero sono in verità per

ricevere compensi, ma non doni.

E benché abbia mangiato bacche tra le colline mentre voi mi avreste voluto alla vostra tavola, ed abbia

dormito sotto il portico del tempio mentre voi mi avreste volentieri ospitato, non è stata l’amorosa

preoccupazione dei miei giorni e delle mie notti che resero dolce il cibo alla bocca e cinsero il mio sonno di

visioni?

Per questo vi benedico:

Voi date molto e non sapete di dare tutto. In verità la cortesia che si guarda nello specchio si muta in pietra,

e una buona azione che si chiama con teneri nomi diventa parente di una maledizione.

E alcuni di voi mi hanno chiamato solitario, ed ebbro nella mia solitudine.

E avete detto: “Fa conferenze con gli alberi della foresta, ma non con gli uomini. Siede solo sulle colline e

guarda verso la città.”

È vero che ho salito le colline e camminato in luoghi solitari.

Come potevo vedervi e non da una grande altezza o una grande distanza?

Come si può essere vicini se non si è lontani?

Ed altri tra voi mi chiamarono, senza parole e dissero:

“Straniero, straniero, amante delle irraggiungibili altezze, perché dimori sulle cime dove le aquile fanno il

nido? Perché cerchi l’inottenibile? Quali tempeste catturi nella tua rete, e quali uccelli vaporoso cacci nel

cielo? Vieni e sii uno di noi. Scendi e soddisfa la fame con il nostro pane e asciuga la sete col nostro vino.”

Nella solitudine delle loro anime dissero queste cose;

Ma fosse stata la loro solitudine più profonda, avrebbero capito che io cercavo solo il segreto della vostra

gioia e del vostro dolore, e cacciavo solo il vostro più ampio essere che cammina nel cielo.

Ma il cacciatore era anche il cacciato; poiché molte delle mie frecce lasciarono l’arco solo per cercare il mio

petto.

E chi volava era anche chi strisciava, perché quando le mie ali erano aperte nel sole la loro ombra sulla terra

era una tartaruga.

E chi credeva era anche il dubbioso.

Poiché spesso ho messo il dito nella mia ferita per avere più grande confidenza e conoscenza di voi.

E con questa confidenza e conoscenza che dico, non siete racchiusi nel corpo, confinati in case e campi.

Quel che voi siete dimora sulle montagne e corre col vento.

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Non è cosa che striscia nel sole per il calore o scava buche nel buio per sicurezza, ma una cosa libera, uno

spirito che avviluppa la terra e si muove nell’etere.

Se queste parole sono vaghe, non cercate di chiarirle. Vago e nebuloso è l’inizio di ogni cosa, ma non la sua

fine, ed io vorrei mi ricordaste come un inizio.

La vita, e tutto quel che vive, è concepito nella nebbia e non nel cristallo.

E chi sa che il cristallo non sia nebbia in disfacimento?

Questo vorrei ricordaste per ricordarmi: Ciò che ora sembra più flebile e informe in voi è il più forte e

determinato.

Non è il vostro respiro che ha eretto e rinforzato la struttura delle ossa?

E non è un sogno che nessuno ricorda di aver sognato, che costruì la vostra città e modellò tutto in essa?

Poteste vedere il flusso di quel respiro, cessereste di vedere altro, e se poteste sentire il bisbiglio del sogno

non potreste sentire altro suono.

Ma non vedete, non sentite ed è bene.

Il velo che copre i vostri occhi sarà sollevato dalle mani che l’hanno tessuto, e la creta che chiude le vostre

orecchie sarà forata dalle dita che l’hanno impastata.

E vedrete, e udirete.

Non deplorerete di aver conosciuto la cecità, non rimpiangerete di essere stati sordi. Perché in quel giorno

saprete i segreti propositi in ogni cosa, e benedirete l’oscurità come la luce.

Dopo aver detto queste cose si guardò intorno, e vide il timoniere della sua nave in piedi accanto alla barra

che scrutava le vele gonfie e l’orizzonte.

Ed egli disse:

Paziente, troppo paziente è il capitano della mia nave.

Il vento soffia, e inquiete sono le vele; Perfino il timone chiede la rotta;

Ma quietamente il capitano attende il mio silenzio. E questi marinai, che hanno udito il coro del più grande

mare, hanno ascoltato essi pure pazientemente.

Non aspetteranno ancora.

Sono pronto.

Il fiume ha raggiunto il mare, e ancora una volta la grande madre conduce suo figlio verso il suo seno.

Addio, popolo di Orphalese.

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Questo giorno è finito.

Si chiude su di noi come il giglio d’acqua sul suo domani.

Conserveremo quel che ci fu dato qui. E se non basterà, ancora dovremo tornare insieme e insieme tendere

le mani al donatore.

Non dimenticate che tornerò da voi.

Ancora un poco e il mio desiderio raccoglierà schiuma e polvere per un altro corpo.

Ancora un poco, un momento di riposo nel vento, e un’altra donna mi porterà in grembo.

Addio a voi e alla giovinezza che ho passato con voi.

Solo ieri ci incontrammo in un sogno. Avete cantato per me nella mia solitudine, ed io con i vostri desideri

ho costruito una torre nel cielo.

Ma ora il nostro sonno è svanito e il sogno è finito, e non è più l’alba.

La marea del meriggio è su di noi e il nostro dormiveglia si è mutato in giorno pieno, e dobbiamo separarci.

Se nel crepuscolo della memoria ci incontreremo ancora, parleremo insieme e mi canterete un canto più

profondo. E se le nostre mani si uniranno in un altro sogno costruiremo un’altra torre nel cielo.

Così dicendo fece un segnale ai marinai, e subito essi levarono l’ancora e liberarono la nave dagli ormeggi e

salparono verso est.

E un grido venne dal popolo come un cuore solo, e crebbe nel tramonto e fu portato sul mare come squillo

di tromba.

Solo Almitra era silenziosa, e seguiva con lo sguardo la nave finché svanì nella nebbia. E quando tutta la

folla fu dispersa rimase sola sul molo, ricordando nel suo cuore il suo dire:

“Ancora un poco, un momento di riposo nel vento, e un’altra donna mi porterà in grembo.”

Fine

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Sommario

2 Introduzione

3 L’arrivo della nave

5 Dell’amore

6 Matrimonio

7 Dei figli

7 Del dare

9 Del mangiare e del bere

9 Del lavoro

11 Della gioia e della sofferenza

11 Delle case

12 Degli abiti

13 Del comprare e del vendere

14 Della colpa e del castigo

15 Delle leggi

16 Della libertà

17 Della ragione e della passione

18 Del dolore

19 Della conoscenza di sé

19 Dell’insegnare

20 Dell’amicizia

21 Del discorrere

21 Del tempo

22 Del bene e del male

23 Della preghiera

24 Del piacere

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25 Della bellezza

26 Della religione

27 Della morte

28 Il congedo