Il principe che sposò una rana

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http://www.letturegiovani.it/Classiche.htm#AutoriVari Il principe che sposò una rana di Italo Calvino C'era una volta un Re che aveva tre figli in età da prender moglie. Perché non sorgessero rivalità sulla scelta delle tre spose, disse: - Tirate con la fionda più lontano che potete: dove cadrà la pietra là prenderete moglie. I tre figli presero le fionde e tirarono. Il più grande tirò e la pietra arrivo sul tetto di un Forno ed egli ebbe la fornaia. Il secondo tirò e la pietra arrivò alla casa di una tessitrice. Al più piccino la pietra cascò in un fosso. Appena tirato ognuno correva a portare l'anello alla fidanzata. Il più grande trovò una giovinotta bella soffice come una focaccia, il mezzano una pallidina, fina come un filo, e il più piccino, guarda guarda in quel fosso, non ci trovò che una rana. Tornarono dal Re a dire delle loro fidanzate. - Ora - disse il Re - chi ha la sposa migliore erediterà il regno. Facciamo le prove - e diede a ognuno della canapa perché gliela riportassero di lì a tre giorni filata dalle fidanzate, per vedere chi filava meglio. I figli andarono delle fidanzate e si raccomandarono che filassero a puntino; e il più piccolo tutto mortificato, con quella canapa in mano, se ne andò sul ciglio del fosso e si mise a chiamare: - Rana, rana! - Chi mi chiama? - L'amor tuo che poco t'ama. - Se non m'ama , m'amerà quando bella mi vedrà. E la rana salto fuori dall'acqua su una foglia.

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Il principe che sposò una rana

di Italo Calvino

C'era una volta un Re che aveva tre figli in età da prender moglie. Perché non sorgessero rivalità sulla scelta delle tre spose, disse: - Tirate con la fionda più lontano che potete: dove cadrà la pietra là prenderete moglie.I tre figli presero le fionde e tirarono. Il più grande tirò e la pietra arrivo sul tetto di un Forno ed egli ebbe la fornaia.Il secondo tirò e la pietra arrivò alla casa di una tessitrice. Al più piccino la pietra cascò in un fosso.Appena tirato ognuno correva a portare l'anello alla fidanzata.Il più grande trovò una giovinotta bella soffice come una focaccia, il mezzano una pallidina, fina come un filo, e il più piccino, guarda guarda in quel fosso, non ci trovò che una rana.Tornarono dal Re a dire delle loro fidanzate.- Ora - disse il Re - chi ha la sposa migliore erediterà il regno. Facciamo le prove - e diede a ognuno della canapa perché gliela riportassero di lì a tre giorni filata dalle fidanzate, per vedere chi filava meglio.I figli andarono delle fidanzate e si raccomandarono che filassero a puntino; e il più piccolo tutto mortificato, con quella canapa in mano, se ne andò sul ciglio del fosso e si mise a chiamare:

- Rana, rana! - Chi mi chiama? - L'amor tuo che poco t'ama.- Se non m'ama , m'amerà quando bella mi vedrà.

E la rana salto fuori dall'acqua su una foglia.Il figlio del Re le diede la canapa e disse che sarebbe ripassato a prenderla filata dopo tre giorni. Dopo tre giorni i fratelli maggiori corsero tutti ansiosi dalla fornaia e dalla tessitrice a ritirare la canapa. La fornaia aveva fatto un bel lavoro, ma la tessitrice - era il suo mestiere - l'aveva filata che pareva seta. E il più piccino? Andò al fosso:

- Rana, rana! - Chi mi chiama? - L'amor tuo che poco t'ama.- Se non m'ama , m'amerà quando bella mi vedrà.

Saltò su una foglia e aveva in bocca una noce.

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Lui si vergognava un po' di andare dal padre con una noce mentre i fratelli avevano portato la canapa filata; ma si fecero coraggio e andò.Il Re che aveva già guardato per dritto e per traverso il lavoro della fornaia e della tessitrice, aperse la noce del più piccino, e intanto i fratelli sghignazzavano.Aperta la noce ne venne fuori una tela così fina che pareva tela di ragno, e tira tira, spiega spiega, non finiva mai , e tutta la sala del trono ne era invasa."Ma questa tela non finisce mai!" disse il Re, e appena dette queste parole la tela finì.Il padre, a quest'idea che una rana diventasse regina, non voleva rassegnarsi.Erano nati tre cuccioli alla sua cagna da caccia preferita, e li diede ai tre figli: - Portateli alle vostre fidanzate e tornerete a prenderli tra un mese: chi l'avrà allevato meglio sarà regina.Dopo un mese si vide che il cane della fornaia era diventato un molosso grande e grosso, perché il pane non gli era mancato; quella della tessitrice, tenuto più a stecchetto, era venuto un famelico mastino. Il più piccino arrivò con una cassettina, il Re aperse la cassettina e ne uscì un barboncino infiocchettato, pettinato, profumato, che stava ritto sulle zampe di dietro e sapeva fare gli esercizi militari e far di conto.E il Re disse: - Non c'è dubbio; sarà re mio figlio minore e la rana sarà regina.Furono stabilite le nozze, tutti e tre i fratelli lo stesso giorno.I fratelli maggiori andarono a prendere le spose con carrozze infiorate tirate da quattro cavalli, e le spose salirono tutte cariche di piume e di gioielli.Il più piccino andò al fosso, e la rana l'aspettava in una carrozza fatta d'una foglia di fico tirata da quattro lumache.Presero ad andare: lui andava avanti, e le lumache lo seguivano tirando la foglia con la rana. Ogni tanto si fermava ad aspettare, e una volta si addormentò.Quando si svegliò, gli s'era fermata davanti una carrozza d'oro, imbottita di velluto, con due cavalli bianchi e dentro c'era una ragazza bella come il sole con un abito verde smeraldo.- Chi siete? - disse il figlio minore.- Sono la rana -, e siccome lui non ci voleva credere, la ragazza aperse uno scrigno dove c'era la foglia di fico, la pelle della rana e quattro gusci di lumaca.- Ero una Principessa trasformata in rana, solo se un figlio di Re acconsentiva a sposarmi senza sapere che ero bella avrei ripreso la forma umana.Il Re fu tutto contento e ai figli maggiori che si rodevano d'invidia disse che chi non era neanche capace di scegliere la moglie non meritava la Corona.Re e regina diventarono il più piccino e la sua sposa.

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Il re in ascoltodi Italo Calvino

Lo scettro va tenuto con la destra, diritto, guai se lo metti giù, e del resto non avresti dove posarlo, accanto al trono non ci sono tavolini o mensole o trespoli dove tenere, che so, un bicchiere, un posacenere un telefono; il trono è isolato, alto su gradini stretti e ripidi, tutto quello che fai cascare rotola e non si trova più.

Guai se lo scettro ti sfugge di mano, dovresti alzarti, scendere dal trono per raccoglierlo, nessuno lo può toccare tranne il re ; e non è bello che un re si allunghi al suolo, per raggiungere lo scettro finito sotto un mobile, o la corona, che è facile ti rotoli via dalla testa, se ti chini.

L'avambraccio puoi tenerlo appoggiato al bracciolo, così non si stanca: parlo sempre della destra che impugna lo scettro; quanto alla sinistra resta libera; puoi grattarti se vuoi; alle volte il manto di ermellino trasmette un prurito al collo che si propaga giù per la schiena, per tutto il corpo. 

Anche il velluto del cuscino, scaldandosi, provoca una sensazione irritante alle natiche, alle cosce. Non farti scrupolo di cacciare le dita dove ti prude, di slacciare il cinturone con la fibbia dorata, di scostare il collare, le medaglie, le spalline con le frange. Sei Re, nessuno può trovarci da ridire, ci mancherebbe anche questa. 

La testa devi tenerla immobile, non dimenticarti che la corona sta in bilico sul tuo cocuzzolo, non la puoi calzare sugli orecchi come un berretto in un giorno di vento; la corona culmina in una cupola più voluminosa della base che la regge, il che vuol dire che ha un equilibrio instabile: se ti capita d'appisolarti, di adagiare il mento sul petto, finirà per ruzzolare giù e andare in pezzi, perché è fragile, specie nelle parti di filigrana d'oro incastonate di brillanti.

Quando senti che sta per scivolare devi avere l'accortezza di correggere la sua posizione con piccole scosse del capo, ma devi stare attento a non tirarti su troppo vivamente per non farla urtare contro il baldacchino, che la sfiora coi suoi drappeggi.

Insomma, devi mantenere quella compostezza regale che si suppone connaturata alla tua persona. Del resto, che bisogno avresti di darti tanto da fare? Sei re, tutto quello che desideri è già tuo. Basta che alzi un dito e ti portano da mangiare, da bere, gomma da masticare, stuzzicadenti, sigarette di ogni marca, tutto su un vassoio d'argento; quando ti prende il sonno il trono è comodo, imbottito, ti basta socchiudere gli occhi e abbandonarti contro la spalliera, mantenendo in apparenza la posizione di sempre: che tu sia sveglio o addormentato non cambia nulla, nessuno se ne accorge...

Insomma tutto è stato predisposto per evitarti qualsiasi spostamento. non avresti nulla da guadagnare, a muoverti, e tutto da perdere. Se t'alzi, se t'allontani anche di pochi

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passi, se perdi di vista il trono anche per un attimo, chi ti garantisce che quando torni non ci trovi qualcun altro seduto sopra? Magari uno che ti somiglia, uguale identico. Va poi a dimostrare che il re sei tu e non lui! Un re si distingue dal fatto che siede sul trono, che porta la corona e lo scettro. 

Ora che questi attributi sono tuoi, meglio che non te ne stacchi nemmeno per un istante.

C'è il problema di sgranchirti le gambe, d'evitare il formicolio, l'irrigidirsi delle giunture: certo è un grave inconveniente. Ma puoi sempre scalciare, sollevare i ginocchi, rannicchiarti sul trono, sederti alla turca, naturalmente per brevi periodi, quando le questioni di Stato lo permettono.

Ogni sera vengono gli incaricati della lavatura dei piedi e ti tolgono gli stivali per un quarto d'ora; alla mattina quelli del servizio deodorante ti strofinano le ascelle con batuffoli di cotone profumato.

Insomma, il trono, una volta che sei stato incoronato, ti conviene starci seduto sopra senza muoverti, giorno e notte.

Tutta la tua vita di prima non è stata altro che l'attesa di diventare re; ora lo sei; non ti resta che regnare. E cos'è regnare se non quest'altra lunga attesa?L'attesa del momento in cui sarai deposto, in cui dovrai lasciare il trono, lo scettro, la corona, la testa.

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La gobba del cammellodi Rudyard Kipling

Narrerò ora, nel secondo racconto, come spuntò la gobba al Cammello.All'inizio del mondo, quando tutto era ancora nuovo, e gli Animali avevano appena incominciato a lavorare per l'Uomo, viveva, in mezzo al Deserto Ululante, un Cammello, che era proprio un gran fannullone, tanto che mangiava rametti e pruni, tamarischi e altre erbe, che poteva trovare nel deserto senza scomodarsi troppo; e quando Qualcuno gli rivolgeva la parola, rispondeva: - Bah! - solo: - Bah! - e nient'altro.Perciò, un lunedì mattina, il Cavallo andò da lui, con la sella sulla schiena e il morso in bocca, e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni fuori a trottare come tutti noi.- Bah! - fece il Cammello; e il Cavallo se ne andò e lo riferì all'Uomo.Poi andò da lui il Cane, con un pezzo di legno in bocca; e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni a stanare la selvaggina come tutti noi.- Bah! - fece il Cammello; e il Cane se ne andò e lo riferì all'Uomo.Poi andò da lui il Bue, con il giogo sul collo, e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni ad arare come tutti noi.- Bah! - fece il Cammello, e il Bue se ne andò e lo riferì all'Uomo.Sul finire del giorno l'Uomo chiamò a raccolta il Cavallo, il Cane e il Bue e tenne loro questo discorsetto: - O miei Tre, sono molto spiacente per voi (con il mondo ancora tutto nuovo); quel Fannullone nel deserto non vuol proprio lavorare, mentre ormai dovrebbe già essere qui come voi; per cui sono costretto lasciarlo solo, e voi dovrete lavorare il doppio per supplirlo.Ciò irritò molto i Tre (con il mondo ancora tutto nuovo); ed essi si riunirono al confine del Deserto a congiurare; e venne anche il Cammello, più indolente che mai, ruminando erba, e rise loro in faccia. Poi fece: - Bah! - e se ne andò.Allora arrivò il Genio che ha in custodia Tutti i Deserti, avvolto in una nube di polvere (i Geni viaggiano sempre in questo modo, perché è Magia), e si fermò a parlare coi Tre.- Genio di Tutti i Deserti, - disse il Cavallo, - è giusto che qualcuno se ne stia in ozio con il mondo tutto nuovo?- No di certo, - rispose il Genio.- Ebbene, - soggiunse il Cavallo, - c'è un animale in mezzo al tuo Deserto Ululante, con lungo collo e lunghe gambe che non ha fatto ancora niente da lunedì mattina. Non vuole trottare.- Ohibò! - esclamò il Genio; - per tutto l'oro dell'Arabia, ma questo è il mio Cammello! e che scusa trova?- Dice: "Bah!" - disse il Cane; - e non vuole andare a stanare la selvaggina.- Dice qualcos'altro?- Solo: "Bah!" e non vuole arare, - disse il Bue.- Benissimo, - fece il Genio; - se avete la pazienza di aspettare un minuto lo farò sgobbare io.Il Genio si avvolse nel suo mantello di polvere, andò nel deserto, e trovò il Cammello più indolente che mai, che rimirava la sua immagine riflessa in una pozza d'acqua.

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- Mio lungo e indolente amico, - disse il Genio, - ho sentito sul tuo conto cose che ti fanno poco onore. È vero che non vuoi lavorare?- Bah! - rispose il Cammello.Il Genio si sedette, col mento fra le mani, e si accinse ad escogitare qualche grande incantesimo, mentre il Cammello continuava a rimirare la sua immagine riflessa nell'acqua.- Tu hai costretto i Tre a lavorare il doppio da lunedì mattina, e tutto per colpa della tua insopportabile pigrizia - disse il Genio, e continuò a pensare incantesimi col mento fra le mani.- Bah! - fece il Cammello.- Non lo ripeterei più se fossi in te, - disse il Genio; - potresti dirlo una volta di troppo. Fannullone, voglio che tu lavori. E il Cammello ripeté ancora: - Bah! - ma non aveva ancora finito di dirlo, che vide il suo dorso, del quale era così orgoglioso, gonfiarsi e gonfiarsi finché si formò su di esso una grande, immensa, traballante gob-bah.- Vedi cosa ti è successo? - disse il Genio; - questa gobba te la sei voluta proprio tu, con la tua pigrizia. Oggi è giovedì, e tu non hai fatto ancora nulla, mentre il lavoro ha avuto inizio lunedì. Ora devi andare a lavorare.- Come è possibile, - protestò il Cammello, - con questa gobbah sulla schiena?- Anzi, è fatta apposta, - replicò il Genio, - perché hai perso quei tre giorni. Ora potrai lavorare per tre giorni senza mangiare, perché puoi vivere a spese della tua gobbah; e non ti venga in mente di dire che non ho fatto niente per te. Esci dal deserto, vai a raggiungere i Tre, e comportati bene. E sgobba!E il Cammello andò a raggiungere i Tre, e sgobbò, nonostante la gobba. E da quel giorno in poi il Cammello ebbe sempre la gobbah (noi, ora, la chiamiamo gobba per non offenderlo); ma non è ancora riuscito a recuperare i tre giorni che ha perso all'inizio del mondo, e non ha ancora imparato a comportarsi come si deve.

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Il gatto con gli stivalidi C. Perrault

Esistono numerose traduzioni e riduzioni di questa favola. Ve ne propongo due: la prima è più fedele al testo originario, la seconda ha il pregio di essere più sintetica.

Un mugnaio, morendo, non lasciò altra eredità ai suoi tre figliuoli che un mulino, un asino e un gatto.Le divisioni perciò furono presto fatte, e non ci fu bisogno di chiamare né il notaio, né il procuratore, i quali avrebbero finito col mangiarsi anche quel poco che c'era.Il maggiore si prese il mulino, il secondo l'asino e il più giovane dei fratelli dovette accontentarsi del gatto.Quest'ultimo però non poteva darsi pace di essere stato trattato cosi male e diceva tra sé :"I miei fratelli potranno guadagnarsi la vita onestamente mettendosi in società; io invece, quando avrò mangiato il mio gatto e mi sarò fatto un colletto col suo pelo, dovrò rassegnarmi a morire di fame".II Gatto, che aveva compreso ogni cosa, pur fingendo di non darsene per inteso, disse con aria seria e grave:"Non tormentatevi così, padrone ! Procuratemi invece un sacco e un paio di stivali, perché io possa camminare tra gli sterpi del bosco, e vedrete che non siete stato cosi sfortunato come credete nell'eredità".Sebbene il padrone del Gatto non facesse molto affidamento su quelle parole, tuttavia non disperò di ricevere da lui un po' d'aiuto nella sua miseria.Quante volte, infatti, lo aveva visto fare dei giochi di abilità per prendere i topi, ora lasciandosi penzolare e tenendosi per le zampe posteriori, ora nascondendosi nella farina e facendo il morto!Allorché il Gatto ebbe ottenuto ciò che aveva chiesto, infilò gli stivali alla brava, si pose il sacco sulle spalle, tenendone i cordoni con le due zampe davanti, e si diresse verso una riserva di caccia, dove si trovavano molti conigli selvatici.Giunto là, mise un po' di crusca e d'insalata nel sacco, e si stese a terra come se fosse morto, in attesa che qualche coniglietto giovane e poco esperto degli inganni di questo mondo venisse a cacciarsi in quella trappola, spinto dalla voglia di mangiare ciò che il Gatto vi aveva astutamente posto dentro.Si era appena sdraiato, che la sua trovata funzionò.Nel sacco, infatti, era entrato un coniglietto ! Quel furbacchione di un gatto tirò alla svelta i cordoncini, poi prese la bestiolina e la uccise senza misericordia.Tutto trionfante per la preda fatta, si recò dal Re e domandò di parlargli.Lo fecero salire agli appartamenti di Sua Maestà; e qui il Gatto, fatta una grande riverenza al sovrano, disse:"Sire, accettate questo coniglio di riserva, che vi manda ilmarchese di Carabas" (era questo un nome inventato li per li dalla fertile fantasia del nostro Gatto).

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"Di' al tuo padrone" rispose al Re "che lo ringrazio e che ho molto gradito il suo presente".Un'altra volta il Gatto andò a nascondersi in mezzo al grano, c dispose sempre il sacco in modo che stesse aperto. Appena vi entrarono due pernici, tirò i cordoncini e le prese tutte e due.Si recò nuovamente dal Re, come aveva fatto per il coniglio. Il sovrano gradi moltissimo anche questo regalo, e fece dare una mancia all'insolito servitore.Il Gatto continuò cosi per due o tre mesi a portare di quando in quando al Re la selvaggina che, diceva lui, aveva cacciato il suo padrone.Un giorno, avendo saputo che il Re doveva andare a fare una passeggiata in carrozza lungo la riva del fiume assieme alla figlia, che era la più bella Principessa del mondo, disse al padroncino:"Se badate al mio consiglio, la vostra fortuna é fatta: andate a fare il bagno nel fiume, nel punto che io vi indicherò, e poi lasciate fare a me".Il sedicente marchese di Carabas fece quello che il Gatto gli aveva consigliato, senza sapere quale fosse lo scopo di tutto ciò. Mentr'era nell'acqua, il Re si trovò a passare da quelle parti,c il Gatto si mise a urlare con quanto fiato aveva in gola :"Aiuto ! Aiuto ! Il marchese di Carabas sta annegando!"A quel grido il Re mise fuori la testa dal finestrino, e, riconoscendo il Gatto, che gli aveva portato tante volte la selvaggina, ordinò alle guardie di correre in aiuto del marchese di Carabas.Intanto che il povero marchese veniva ripescato dal fiume, il Gatto si avvicinò alla carrozza e raccontò al Re che, mentre il suo padrone era nell'acqua, erano sopraggiunti dei ladri, che gli avevano rubato i vestiti, sebbene il poveretto si fosse affannato a gridare "al ladro! al ladro!"Invece era stato quel furbacchione del Gatto a nascondere gli abiti del padrone sotto una grossa pietra!Il Re ordinò immediatamente agli ufficiali addetti al suo guardaroba di andare a prendere uno dei suoi vestiti più belli per il marchese di Carabas.Quando il giovane li ebbe indossati, si presentò al Re, e questi gli usò mille gentilezze.Quegli abiti gli stavano veramente bene e mettevano in risalto la naturale bellezza dei suoi tratti e 1'eleganza della persona, tanto che la figlia del Re se ne senti subito attratta.Bastarono due o tre occhiate, un poco tenere, per quanto molto rispettose, perché la fanciulla se ne innamorasse perdutamente.Il Re riprese la passeggiata interrotta e volle che il giovane salisse sulla carrozza e li accompagnasse.Il Gatto, felice di vedere che tutto procedeva secondo il suo disegno, andò avanti per conto suo.Lungo la strada incontrò alcuni contadini che falciavano un prato e disse loro:"Buona gente che falciate l'erba, se non dite al Re, quando passerà di qui, che questo prato appartiene al marchese di Carabas, finirete tagliati a pezzettini come carne da polpette".Tosto sopraggiunse il Re, che per l'appunto chiese ai contadini di chi fosse quel prato che stavano falciando. E quelli risposero in coro, spaventati dalle minacce del Gatto:"Del marchese di Carabas"."Avete una bella proprietà!" disse il Re al marchese."Come vedete, Sire" rispose il giovane, "é terra fertile, e tutti gli anni mi dà un ottimo raccolto".L'astuto Gatto, che li precedeva sempre, incontrò alcuni mietitori e disse loro:

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"Buona gente che tagliate il grano, se non dite che questemessi appartengono al marchese di Carabas, finirete tagliati a pezzettini come carne da polpette".Il Re, che passò di là subito dopo, volle sapere di chi fosse tutto quel grano che vedeva."È del marchese di Carabas" risposero i mietitori; e il Re se ne rallegrò col giovane.Il Gatto, che camminava sempre davanti alla carrozza, continuava a dire la stessa cosa a tutti quelli che incontrava lungo la strada; cosi il Re non finiva più di meravigliarsi delle grandi ricchezze del marchese di Carabas.Finalmente il nostro Gatto giunse a un bel castello di proprietà di un Orco, che era il più ricco che si fosse mai visto; infatti tutte le terre che il Re aveva percorso con la carrozza, erano di sua proprietà.Il Gatto, che aveva avuto l'accortezza di informarsi chi fosse quell'Orco e quali prodigi sapesse compiere, chiese di potergli parlare, dicendo che non aveva voluto passare così vicino al suo castello senza avere l'onore di venirgli a rendere omaggio.L'Orco lo ricevette con la buona grazia che può avere un Orco e lo fece accomodare perché si riposasse.Allora il Gatto prese a dire:"Mi hanno assicurato che avete la capacità di mutarvi in ogni sorta di animali; che potete, per esempio, trasformarvi in leone oppure in elefante"."È vero" rispose l'Orco con fare brusco, "e, per dimostrarvelo, diventerò un leone sotto i vostri occhi".Il povero Gatto si spaventò talmente nel vedersi davanti quella bestia feroce, che si rifugiò sulle grondaie, non senza qualche difficoltà e col rischio anche di cadere, a causa degli stivali, che non erano certo adatti per camminare sulle tegole.Dopo un po', avendo visto che l'Orco aveva ripreso le sue solite sembianze, si decise a scendere e ammise di avere avuto molta paura."Mi hanno anche assicurato" riprese a dire il Gatto, "ma io stento a crederci, che avete la facoltà di trasformarvi anche in un animale piccolissimo, come la talpa e il topo: vi confesso però che tutto ciò mi sembra davvero impossibile"."Impossibile?" disse l'Orco. "Ora vedrete!"Cosi dicendo si mutò in un topolino e prese a correre sul pavimento della stanza.Il Gatto, appena lo vide, si gettò come un lampo su di lui e ne fece un boccone.In quel mentre il Re, che nel passare di là aveva notato il magnifico castello dell'Orco, volle entrare per visitarlo.Il Gatto, udendo il rumore della carrozza, che attraversava il ponte levatoio, corse incontro al Re e gli disse:"Vostra Maestà sia la benvenuta nel castello del marchese di Carabas!""Ma come, marchese!" esclamò il Re; "questo castello é dunque vostro? Non ho mai visto niente di più bello: che eleganza ed armonia di linee, quale grandiosità e che splendidi giardini. Visitiamone l'interno, se non vi dispiace".Il marchese offrì la mano alla giovane Principessa, e assieme seguirono il Re, il quale si era avviato per primo.Entrarono in una grande sala, dove trovarono pronta una magnifica colazione, che l'Orco aveva fatto preparare per i suoi amici. Questi avrebbero dovuto venire a trovarlo proprio quel giorno, ma poi non osarono farlo, avendo saputo che era giunto il Re.Il Sovrano, conquistato dalle buone maniere del marchese di Carabas, - che dire poi della figlia, che ne era innamoratissima - e vedendo la vastità dei suoi possedimenti, gli disse, dopo aver bevuto cinque o sei bicchieri di vino:"Dipende soltanto da voi, marchese, se volete diventare mio genero".Il marchese si profuse in riverenze, accettò volentieri l'onore che il Re gli faceva, e il

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giorno stesso sposò la Principessa.Naturalmente il gatto rimase con gli sposi. Ebbe un bel cuscino di seta accanto al fuoco, nella sala del trono durante l'inverno, ed una bella cuccetta sotto il pergolato d'estate.Il figlio del mugnaio diventò dunque il marito della Principessa, ma, siccome era un giovane onesto e sincero, non volle continuare ad ingannare la moglie ed il Re.Raccontò come erano andate veramente le cose, spiegò per filo e per segno quello che aveva architettato il gatto, dalla prima fortunata caccia nel bosco al colpo maestro dell'uccisione dell'Orco e alla conquista del castello.Liberato da questo peso, visse felice con la sua sposa ed ebbe tanti figliuoli, che giocarono allegramente col gatto per nulla meravigliati di vedergli indosso gli stivali ed ascoltarono anch'essi, divertendosi un mondo, la storia del cattivo Orco, trasformato in topino e divorato dal gatto.

C'era una volta un vecchio mugnaio con tre figli, un asino, un gatto soriano e nemmeno un becco d'un quattrino.Vecchiaia e fatiche avevano logorato il corpo e la mente del mugnaio, tanto è vero che, giunto alla fine dei suoi giorni, divise i suoi averi tra i figlioli: - Al primo Arduino, lascio il mulino; al secondo, Alvaro, il somaro; e per te, Germano, non ho che il gatto.Arduino ed Alvaro erano felici: - Io con il mio mulino e tu con il tuo somaro faremo società con servizio di consegna del macinato al domicilio dei clienti. Ci arricchiremo in pochi anni! -Rimasto solo, Germano, diede un'occhiata al gatto e si grattò la testa: - Io - gli disse - lo so che sei un buon gatto e ti voglio bene. Ma se davvero sei furbo come dicono, taglia subito la corda e lasciami solo con la mia miseria. Con quel che so fare io posso garantirti soltanto tre cose: freddo d'inverno, caldo d'estate e fame tutto l'anno. -Il gatto che fino a quel momento non aveva mai detto una parola a nessuno, gli strizzò l'occhio e cominciò a parlare: - Tu caro mio, devi solo fare due cose, procurarmi un paio di stivali ed affidarti al mio ingegno; altro che fame! Fra tre mesi saremo a Corte! -Il giovanotto, tutt'altro che convinto, fece spallucce e gli diede una lisciatina sulla groppa: - E bravo gatto! - esclamò - Allora sai anche parlare!- Il bisogno aguzza l'ingegno e scioglie la lingua anche ai gatti - rispose la bestiola.Faceva abbastanza caldo e Germano, senza ribattere parola, portò il suo mantello di panno al monte di pietà e col ricavato comprò gli stivali al gatto e si sdraiò all'ombra, con le dita intrecciate dietro la nuca ad aspettare gli eventi.Il gatto, grande cacciatore, si mise subito al lavoro e meno di un'ora dopo stringeva tra le grinfie un bel leprone.Senza perdere tempo, con il suo leprone in sacco, andò alla Reggia e si presentò al Re.Si prosternò ai piedi del trono e tirò fuori la lepre gridando: - Ecco Maestà: mi invia il mio signore e padrone, il Marchese di Carabas, con questo piccolo omaggio destinato al reale salmì...-Al Re che era un buongustaio, non parve vero accettare il dono; ma chi era quel simpatico Marchese, mai sentito nominare? Boh! Anche sua figlia, la principessa Isabella era rimasta bene impressionata dalle parole del gatto.Il quale intanto, era già fuori a procurare un po' di cena per sé e per il padrone.E la mattina dopo, all'ora giusta, eccolo di nuovo a Corte, stavolta con quattro favolosi fagiani dorati: - Ti porto, o Sire, un modesto omaggio del mio signore e padrone, il Marchese di Carabas, per i reali arrosti.

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E il Re, a sfogliare il libro della Nobiltà nella vana ricerca di quello sconosciuto Marchese.E la bella Isabella, a sognare a occhi aperti un possibile matrimonio con un così generoso e sollecito suddito.Insomma, per farla corta, tutte le mattine per più di un mese, si ripeté a Corte la medesima scena del gatto con gli stivali latore di gustosissimi messaggi da parte del Marchese di Carabas, suo signore e padrone.Venne luglio, gran calura e grano maturo nei campi.Una mattina il gatto sapendo che il Re sarebbe uscito con la figlia per fare un giro rinfrescante sulla carrozza dorata, svegliò presto il padrone che dormiva sotto un pino e , tutto eccitato, gli gridò: - Presto, presto, padroncino, spogliatevi dei vostri stracci e immergetevi nel l'aghetto tra poco passerà di qui la carrozza reale!- Ma io non so nuotare!- ribatté Germano allibito.- E via! - rispose il Gatto - Sapete bene che nel laghetto non c'è più di mezzo metro di acqua. Anzi dovete starvene seduto tenendo fuori solo la testa, perché nella vettura c'è anche la principessa Isabella.Poi corse incontro alla carrozza Reale e cominciò a gemere, a sbracciarsi, a chiedere aiuto: - Vi prego, Maestà, fate soccorrere il Marchese di Carabas, mio signore e padrone!... Alcuni malviventi lo hanno spogliato dei preziosi abiti e lo hanno buttato ad annegare nel lago.Il Re figurarsi, mandò subito paggi, coppieri, maggiordomi, ciambellani, consiglieri e tutta la cianfrusaglia del suo seguito al soccorso del suddito più generoso e nobile del regno, mentre due corrieri a cavallo, partivano verso la Reggia per prendere dal guardaroba reale il più sontuoso abito che potessero trovare.Isabella stava per svenire; ma quando le portarono dinanzi il pseudo Marchese tutto in ghingheri negli abiti reali, vedendolo così giovane, ben fatto e bello, se ne innamorò in un battibaleno e giurò a se stessa che ne avrebbe fatto il suo sposo.Il giovane salvato dalle acque, ringraziò Sua Maestà, rese omaggio alla regale figlia e prese posto nella carrozza dorata che proseguì il viaggio.Ma il gatto con gli stivali già la precedeva da parecchio.E lungo la strada ogni volta che incontrava dei contadini al lavoro nei campi, gridava loro, con voce insinuante: - Ehi buona gente, tra poco passerà la carrozza del Re; se vi domanderanno di chi è questa terra rispondete che è del Marchese di Carabas ... Non avrete da pentirvene... -E infatti, arrivata la carrozza, il Re si affacciava a chiedere: - Ma di chi è questa bella terra! - e i contadini, con un inchino: - E' del Marchese di Carabas, Sire.E il gatto avanti. Finalmente la bestiola arrivò al castello dell'Orco Ezechiele che era anche il padrone delle terre intorno, e chiese d'essere ricevuto.Eccolo dunque dinanzi all'Orco.Gran riverenza, destinato a solleticare la vanità del mostro.Infine l'ingenua domanda: - Ma è proprio vero Signor Orco, che lei è capace di trasformarsi in qualsiasi animale vivente?... C'è chi dice di si e chi dice di no. -L'Orco sbottò in una gran risata: - Vorrei proprio vedere chi dice di no! Guarda! - e dinanzi al misero gatto, mezzo morto di paura, ecco ergersi al posto dell'Orco un enorme leone.- Ba... Ba... basta! - gemé il Gatto - Son più che convinto e vedo benissimo che un orco grosso come lei può trasformarsi in un leone altrettanto grosso. Ma non avrebbe, nel suo catalogo di trasformazioni, qualcosa su scala ridotta? Sarebbe, per esempio, capace di diventare un piccolo topo di campagna?..Altra sonora risata dell'Orcaccio ed ecco sulla gran poltrona saltellare un topino.

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Il gatto che non aspettava altro, gli fu addosso in un lampo e ... se lo divorò in due bocconi.Poi la nostra furbissima bestiola si volse a tutta la servitù con occhi dolci: - Tra poco - gridò - giungerà al castello la vettura dorata con il Re e il vostro nuovo padrone. Voglio che sian ricevuti con tutti gli onori e con un gran pranzo di gala.Insomma: quello stesso giorno furono anche decise le nozze tra Germano e Isabella.E il gatto? Oh, per sé non volle quasi niente! Si tolse per sempre gli scomodi stivaloni, non rivolse mai più la parola a nessuno e tornò al suo mestiere di gatto di buona famiglia.

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FRATELLINO E SORELLINA            di Jakob e Wilhelm Grimm

C'erano una volta due bambini, fratello e sorella, i quali avevano avuto la sventura di perdere la mamma. Si sentivano perciò molto soli, nella capanna in mezzo al bosco, e furono contenti quando il babbo si risposò; speravano di trovare nella matrigna quasi una seconda mamma, una donna buona, che li amasse e li consolasse quando si sentivano tristi. Ma purtroppo la matrigna era una strega astuta e cattiva, la quale si affezionò moltissimo al cane di casa, mentre non poteva sopportare i due poveri bambini. Se il fratellino e la sorellina si avvicinavano a lei sperando in una carezza, li mandava via e prendeva sulle ginocchia il cagnolino. Quando cucinava un buon manicaretto se lo mangiava tutto, porgendo al cane sotto la tavola qualche bocconcino, ma non permettendo ai due ragazzi nemmeno di leccare la pentola. Infine guardava Fratellino e Sorellina sempre con occhio maligno, li sgridava e picchiava per un nonnulla, e spesso li metteva in castigo senza ragione. Un giorno che la matrigna aveva sgridato più del solito i due bambini, Fratellino disse a Sorellina :- In questa casa stiamo peggio di prima. Se la nostra mamma lo sapesse, soffrirebbe e piangerebbe. Vieni, andiamocene di qua. Troveremo qualche posto dove si possa vivere in pace, senza nessuno che ci maltratti.La sorellina fu contenta di quella proposta:- Andiamo, Fratellino. Ci faremo compagnia e non ci lasceremo mai. Detto fatto, approfittando di un momento in cui la matrigna si era addormentata con il cagnolino sulle ginocchia, infilarono la porta di casa e se la diedero a gambe in mezzo al bosco. Corsero fino a sera per allontanarsi quando più potevano, e quando fu buio si rannicchiarono nel tronco vuoto e dormirono saporitamente, tanto erano stanche. Al mattino, quando si svegliarono, il sole era già alto. Il tronco di legno secco era diventato caldissimo e Fratellino si asciugò il sudore dicendo:- Sorellina, muoio di sete. Andiamo a cercare dell'acqua. - Andiamo - disse la sorellina. - Mi sembra di sentire il mormorio di un ruscello qui vicino - .Si presero per mano, e fatti pochi passi trovarono davvero un ruscello d'acqua fresca e limpida che scendeva da una piccola altura. Il fratellino si getto in ginocchio per bere, ma la sorellina lo fermò. Aveva udito la sorgente mormorare qualcosa, e le parole erano queste: - Chi mi beve diventa una tigre ! chi mi beve diventa una tigre ! - Fratellino, non bere ! - supplicò Sorellina impaurita - Altrimenti diventerai

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una tigre e mi sbranerai. Fratellino si passò la lingua sulle labbra secche.- Va bene - sospirò. - Andiamo a cercare un 'altra sorgente. Si inoltrarono ancora nel bosco, e trovarono poco dopo un ruscello che serpeggiava fra i sassi. Subito il fratellino si inginocchiò per bere; ma la sorellina udì che il ruscello mormorava qualcosa e le parole erano queste: - Chi mi beve diventa lupo ! Chi mi beve diventa lupo ! - Oh Fratellino mio, non bere ! - singhiozzo la bambina - Altrimenti diventerai un lupo e mi mangerai. Il fratellino guardò perplesso l'acqua limpida e borbottò.- Cerchiamo un'altra sorgente, ma ti avverto che berrò, perché muoio di sete Era accaduto questo: quando la matrigna si era svegliata con il cagnolino in grembo, si era accorta della sparizione dei due ragazzi, e timorosa del marito, aveva stregato tutte le fonti del bosco.Anche la terza fonte che incontrarono era stregata, e scorrendo mormorava: - Chi mi beve diventa capriolo! Chi mi beve diventa capriolo !- Fratellino mio, non bere ! - esclamò Sorellina. - Altrimenti diventerai un capriolo e fuggirai. Ma Fratellino non ascolto: si avvicinò le labbra alla sorgente e bevve a sazietà. Subito si trasformò in un grazioso capriolo dal pelo macchiato di bianco, ancora senza corna e con un codino dritto. - Oh, povero Fratellino mio ! - esclamò Sorellina con angoscia; e scoppiò in lacrime, mentre anche l'animale piangeva e le lacrime gli scorrevano lungo il musino. Poi Sorellina abbraccio Fratellino e gli disse: - Abbiamo giurato di non lasciarci mai, perciò ti legherò con la mia cintura e continueremo la strada insieme. La provvidenza non ci abbandonerà: Con la cintura fece una specie di guinzaglio, poi continuò la strada mentre il capriolo la seguiva docilmente, tutto mortificato. E infatti la provvidenza non li abbandonò, perché poco dopo trovarono una casetta solitaria che sembrava fatta apposta per loro.- Ci fermeremo qui - disse la sorellina - così saremo al riparo dalle intemperie. Ti preparerò un bel giaciglio di foglie e di erbe, e ogni giorno andrò a cercare da mangiare per me e per te. E da quel giorno uscì ogni mattino a raccogliere i frutti della foresta: bacche, noci, mirtilli, fasci di erba odorose per il suo caro fratellino. Gli scoiattoli, i conigli selvatici, gli uccellini avevano fatto amicizia con lei e spesso l'accompagnavano a casa, partecipavano al pranzo, e si addormentavano sulle sue ginocchia o sulle sue spalle, quando sorellina, recitava le preghiere della sera, chiudeva gli occhi con la testa appoggiata al dorso di fratellino. La vita scorreva così, abbastanza tranquilla, anche perché il capriolo aveva conservato l'uso della parola, e poteva fare lunghe chiacchierate con la sorellina. Ma un mattino presto tutto il bosco risuonò dell'abbaiare dei cani e dello squillare dei corni. Era il giovane re del paese che aveva organizzato una gran caccia alla quale aveva invitato tutti i suoi amici più cari, con le mute dei cani, battitori, cacciatori, e galoppava fra gli alberi inseguendo la selvaggina. Ma non appena

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il capriolo udì tutto quel rumore, incominciò a saltellare, preso dalla smania di uscire. - Oh, Sorellina mia ! - supplicò. - Aprimi la porta. Lasciami andare ad assistere alla caccia, o morirò.La Sorellina avrebbe voluto rifiutare, ma il capriolo la guardava con occhi tanto supplichevoli che la fanciulla non seppe resistere e aperse la porta. - Ritorna presto - raccomandò - E quando giungerai davanti alla nostra porta grida: " Sorellina fammi entrare " , così io potrò riconoscerti. Se non udrò queste parole, non aprirò a nessuno perché ho paura dei cacciatori.Fratellino promise e in un baleno scomparve fra i cespugli. Quel giorno si divertì moltissimo: appariva e spariva sotto il naso dei cani e dei cacciatori, e perfino dello stesso re, che era un bel giovane con una corona sulla testa. Tutti lo inseguivano: il re spronando il cavallo, i cacciatori tendendo l'arco, i cani latrando a perdifiato. Ma l'animale era agile e veloce più di qualsiasi capriolo e si sottraeva agli inseguitori. Verso sera ritornò alla casetta e gridò : - Sorellina, fammi entrare !La sorellina aperse subito, e accolse il suo caro fratellino con mille carezze. Ma il re, rientrando nella sua tenda, dichiarò:- Quel capriolo ci ha beffati per tutto il giorno: domani bisogna catturarlo a tutti i costi, ma vivo. I cacciatori promisero, e quando all'alba la caccia ricominciò, stettero pronti, con la freccia incoccata. Fratellino aveva ottenuto per la seconda volta il permesso do uscire, e per la seconda volta si fece beffe di tutti, cacciatori e cani , apparendo e sparendo come il lampo. Quando poi ritornò a casa verso sera, un cacciatore più ostinato degli altri riuscì a seguirlo fin là, e anche a scagliargli una freccia che lo ferì leggermente a una zampa. Ma rimase di stucco quando udì la bestiola che diceva:- Sorellina, fammi entrare ! - e vide una bella fanciulla che apriva la porta e accoglieva fra le braccia il capriolo. Il cacciatore ritornò dal re e gli narrò ogni cosa. Il re rimase perplesso: - Com'è' possibile che un capriolo sappia parlare ? - borbottò. - E come può avere per sorella una bellissima fanciulla e non una cerbiatta? e non una cerbiatta ? - Poi aggiunse rivolto al cacciatore : - Domani mi indicherai dove abita quella stana bestia. Daremo tutti la caccia al capriolo, ma non bisogna ucciderlo e nemmeno ferirlo.Intanto a casa Sorellina si era spaventata moltissimo vedendo il capriolo ferito. Lavò bene la piccola piaga, la fasciò con foglie freschissime e mise il fratellino a riposare sopra un bel fascio di erbe odorose. - Non devi uscire più, Fratellino - esclamò piangendo. - Altrimenti i cacciatori ti uccideranno, e io resterò sola in questo bosco ! Il capriolo voleva promettere, ma non poteva, perché il suo istinto di capriolo era così forte che già sognava le corse del giorno dopo, il latrato dei cani, lo squillo dei corni, i balzi agili alò di sopra dei cespugli e delle siepi che gli davano l'impressione di volare. 

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Al mattino dopo inizio a supplicare: - Sorellina, lasciami andare ! Sento che la caccia è già ricominciata, e se non potrò uscire, morirò. La sorellina rispose di no, di no: ma il capriolo la pregò tanto che infine non poté più resistere; socchiuse la porta e disse: - Va': ma torna presto, altrimenti morirò io! Il capriolo spiccò un balzo e dileguò fra i cespugli. Tutti i cacciatori e anche il re in persona stavano all'erta, e non appena lo scorsero, subito spronarono i cavalli e incominciarono a inseguirlo. Fu una battuta di caccia veramente inebriante per tutti: capriolo, cani e cavalli volavano al di sopra dei cespugli e dei corsi di acqua, e anche senza che il re lo avesse comandato, nessuno avrebbe voluto uccidere la bella bestiola per non interrompere quella corsa entusiasmante. Ma quando il sole volse al tramonto il re comandò che il capriolo fosse lasciato in pace, e chiese al suo cacciatore di condurlo alla casetta solitaria. Quando giunse davanti alla porta, bussò e disse:- Sorellina, fammi entrare! Subito la porta si schiuse, e una bella fanciulla protese le braccia, ma le ritrasse sbigottita quando vide che non si trattava del suo capriolo, ma di un bel giovane che aveva sulle spalle un manto di porpora e di ermellino e portava sulla testa una corona d'oro. - Dov'è il mio fratellino? E' morto? - chiese Sorellina scoppiando in un singhiozzo disperato. Il giovane re tentò di tranquillizzarla.- Il vostro fratellino ritornerà fra poco: ma spiegatemi come mai voi siete sorella di un capriolo! E per di più di un capriolo che parla! Certamente non può che trattarsi di un incantesimo!Sorellina non negò, e incominciò a raccontare le sue sventure e quelle di Fratellino. Il re ne fu tutto commosso e disse:- Non è giusto che voi viviate così sola in questo bosco, con l'unica compagnia di un capriolo che potrebbe ad ogni momento essere sbranato dai lupi o ucciso dai cacciatori. Venite con me: nella mia reggia sarete al sicuro da ogni pericolo, tanto più che io farò immediatamente arrestare la vostra matrigna e la obbligherò a togliere l'incantesimo, altrimenti morirà sul rogo, come capita a tutte le altre streghe.Proprio in quel momento il capriolo rientrava, ancora ansante per le corse fatte, ma confuso e mortificato perché sapeva di aver tenuto in ansia Sorellina. Andò ad accucciarsi ai suoi piedi e, come per chiederle perdono, le lambì la mano. Sorellina, ormai tranquilla, lo abbracciò. - Verrei volentieri con voi - disse la fanciulla sospirando - perché in questo bosco ho sempre tanta paura. Ma dovete promettere che mai sarà fatto qualcosa di male al mio fratellino!- Ve lo giuro! - esclamò il re con calore.Egli si era subito innamorato della bellissima creatura, e pensava che non appena giunti alla reggia l'avrebbe sposata. Così Sorellina sarebbe stata proprio al sicuro da ogni pericolo. Il giovane re balzò in sella e Sorellina salì

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in groppa dietro di lui; poi il cavallo spiccò la corsa, mentre il capriolo li seguiva saltando al di sopra dei cespugli e delle siepi. Giunti alla reggia, il re chiese la mano di Sorellina, la quale fu felicissima di acconsentire, perché già sentiva di voler tanto bene al re, che era bello e coraggioso. Le nozze furono celebrate con gran pompa, poi il re mandò un manipolo di guardie ad arrestare la matrigna. Vedendo che i due ragazzi da lei tanto odiati non solo erano ancora vivi ma felici e fortunati, la cattiva donna parve schiattare di rabbia: rifiutò di liberare Fratellino dall'incantesimo e promise molte altre stregonerie a danno di tutti. Allora il re non volle sentir altro, e la condannò al rogo. Ma non appena la megera fu ridotta in cenere, il capriolo si accasciò a terra, e dalla sua spoglia si levò Fratellino, che nel frattempo era diventato anche lui un bellissimo giovane. Fratello e sorella, promettendo in cuor loro che mai si sarebbero lasciati, si abbracciarono e abbracciarono anche il re; poi tutti vissero insieme fino al termine dei loro giorni, felici e contenti.

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L'albero che parla             di Luigi Capuana

C'era una volta un Re che credeva d'aver raccolto nel suo palazzo tutte le cose più rare del mondo.Un giorno venne un forestiere, e chiese di vederle. Osservò minutamente ogni cosa e poi disse:- Maestà, vi manca il meglio.- Che cosa mi manca?- L'albero che parla.Infatti, tra quelle rarità, l'albero che parlava non c'era.Con questa pulce nell'orecchio, il Re non dormì più. Mandò corrieri per tutto il mondo in cerca dell'albero che parlava. Ma i corrieri tornarono colle mani vuote.Il Re si credette canzonato da quel forestiere, e ordinò d'arrestarlo.- Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.- E tu l'hai veduto, coi tuoi occhi, l'albero che parla?- L'ho veduto con questi occhi e l'ho sentito con queste orecchie.- Dove?- Non me ne rammento più.- E che cosa diceva?- Diceva «aspettare e non venire è una cosa da morire».Era dunque vero! Il Re spedì di bel nuovo i suoi corrieri. Passa un anno, e questi ritornano da capo colle mani vuote.Allora, sdegnato, ordinò che al forestiere si tagliasse la testa.- Maestà, se i vostri corrieri han cercato male, che colpa ne ho io? Cerchino meglio.Questa insistenza lo colpì. Chiamati i suoi ministri, disse che voleva andar lui in persona alla ricerca dell'albero che parlava.Finché non lo avesse nel suo palazzo, non si terrebbe per Re.E partì, travestito.Cammina, cammina, dopo molti giorni la notte lo colse in una vallata dove non c'era anima viva. Sdraiossi per terra e stava per addormentarsi, quand'ecco una voce che pareva piangesse:- Aspettare e non venire è una cosa da morire!Si scosse e tese l'orecchio. Se l'era sognato?- Aspettare e non venire è una cosa da morire!Non se l'era sognato! E domandò subito:- Chi sei tu?Non rispondeva nessuno. Ma le parole erano, precise, quelle dell'albero che parlava.- Chi sei tu?Non rispondeva nessuno. La mattina, come aggiornò, vide lì vicino un bell'albero coi rami pendenti fino a terra:- Doveva esser quello.E per accertarsene, stese la mano e strappò due foglie.- Ahi! Perché mi strappi?

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Il Re, con tutto il suo gran coraggio, rimase atterrito.- Chi sei tu? Se sei anima battezzata, rispondi, in nome di Dio!- Son la figliuola del Re di Spagna.- E in che modo ti trovi lì?- Vidi una fontana limpida come il cristallo, e pensai di lavarmi. Tocca appena quell'acqua, rimasi incantata.- Che posso fare per liberarti?- Bisogna aver la fatatura e giurare di sposarmi.- Questo lo giuro subito, e la fatatura saprò procurarmela, dovessi andare in capo al mondo. Ma tu, perché non mi rispondevi la notte scorsa?- C'era la Strega... Sta' zitto, allontanati; sento la Strega che ritorna. Se per disgrazia ti trovasse, incanterebbe anche te.Il Re corse a nascondersi dietro un muricciolo, e vide arrivar la Strega a cavallo del manico di una granata.- Con chi hai tu parlato?- Col vento dell'aria.- Veggo qui delle pedate.- Son forse le vostre.- Ah! Son le mie?La strega afferrava una mazza di ferro e:- Di dove vieni? Vengo dal mulino.- Basta, per carità! Non lo farò più!- Ah! Son le mie?E:- Di dove vieni? Vengo dal mulino.Il Re, angustiato, si persuase che era inutile il seguitare a star lì; bisognava procurarsi la fatatura. E tornò addietro.Ma sbagliò strada. Quando s'accorse d'essersi smarrito in un gran bosco e non trovava più la via, pensò di montare in cima a un albero per passarvi la notte; altrimenti, le bestie feroci n'avrebbero fatto un boccone.Ed ecco, a mezzanotte, un rumore assordante per tutto il bosco. Era un Orco che tornava a casa coi suoi cento mastini, che gli latravano dietro.- Oh, che buon odore di carne cristiana!L'Orco si fermò a piè dell'albero, e cominciò ad annusar l'aria:- Oh, che buon odore!Il Re aveva i brividi mentre i mastini frugavano latrando, fra le macchie, e raspando il suolo dove fiutavan le pedate. Ma per sua buona sorte era buio fitto; e l'Orco, cercato inutilmente per un po' di tempo, andava via chiamandosi dietro i mastini.- Té! Té!Quando fu giorno, il Re, che tremava ancora dalla paura, scese da quell'albero e cominciò ad inoltrarsi cautamente. Incontrò una bella ragazza.- Bella ragazza, per carità, additatemi la via. Sono un viandante smarrito.- Ah, povero a te! Dove tu sei capitato! Fra poco ripasserà mio padre e ti mangerà vivo, poverino!Infatti si sentivano i latrati dei mastini dell'Orco e la voce di lui che se li chiamava dietro:- Té! Té!- Questa volta sono morto! - pensò il Re.- Vien qua, - disse la ragazza - bùttati carponi. Io mi sederò sulla tua schiena, e la mia gonna ti coprirà. Non fiatare!

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L'Orco, vista la figliuola, si fermò.- Che fai lì?- Mi riposo.- Oh, che buon odore di carne cristiana!- Passava un ragazzino, e ne feci un bocconcino.- Brava! E le ossa?- Se le rosicchiarono i cani.L'Orco non cessava d'annusar l'aria.- Oh, che buon odore!- Se volete arrivare alla marina, non indugiate per via.Partito che fu l'Orco, il Re raccontò alla ragazza, per filo e per segno, tutta la sua storia.Maestà, se volete sposarmi, la fatatura ve la darei io.La ragazza era una bellezza; il Re l'avrebbe sposata volentieri.- Ahimè, bella ragazza! Ho impegnato la parola.- È la mia cattiva sorte! Ma non importa.Lo condusse a casa, prese un barattolo e gli strofinò il petto con una pomata di suo padre. Il Re fu fatato.- Ed ora, bella ragazza, dovreste prestarmi una scure.- Eccola.- Che cosa è quest'unto?- È l'olio della cote dove è stata affilata.Colla fatatura, ci volle un batter d'occhi per tornare al luogo dove trovavasi l'albero che parlava.La Strega non c'era, e l'albero gli disse:- Bada! Dentro il tronco c'è nascosto il mio cuore. Quando dovrai abbattermi non dar retta alla Strega. Se ti dirà di dar i colpi in su, e tu dàlli in giù. Se ti dirà di darli in giù, e tu dàlli in su; altrimenti m'ammazzeresti. Alla Stregaccia poi bisognerà spiccarle la testa con un sol colpo, o saresti spacciato; neppure la fatatura ti salverebbe.Venne la Strega.- Che cerchi da queste parti?- Cerco un albero per far del carbone, e stavo osservando questo qui.- Ti farebbe comodo? Te lo regalo, a patto che per atterrarlo tu dia colpi dove ti dirò io.- Va bene.Il Re brandì la scure, che tagliava meglio d'un rasoio e domandò:- Dove?- Qui.E lui, invece, diè lì.- Ho sbagliato. Da capo. Dove?- Lì.E lui, invece, diè qui.- Ho sbagliato. Da capo.Intanto non trovava il verso di assestare il colpo alla Strega: essa stava guardinga. Il Re fece:- Oooh!- Che vedi?- Una stella.- Di giorno? E impossibile.- Lassù, diritto a quel ramo: guardate!E mentre la Strega gli voltava le spalle per guardare diritto a quel ramo, lui le menò il colpo e le staccò, di netto, la testa.

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Rotta così la malìa, dal tronco dell'albero uscì fuori una donzella, che non poteva esser guardata fissa, tanto era bella!Il Re, contentissimo, tornò insieme con lei al palazzo reale, e ordinò che si preparassero subito magnifiche feste per gli sponsali.Arrivato quel giorno, mentre le dame di corte abbigliavano da sposa la Regina, s'accorsero, con gran meraviglia, che avea le carni dure come il legno. Una di esse volò dal Re:- Maestà, la Regina ha le carni dure come il legno!- Possibile?Il Re e i ministri andarono ad osservare. La cosa era sorprendente. Alla vista parevano carni da ingannare chiunque; a toccarle, era legno! Lei intanto parlava e si muoveva. I ministri dissero che il Re non poteva sposare una bambola, quantunque essa parlasse e si muovesse; e contromandaron le feste.- Qui c'è un altro incanto! - pensò il Re, che si ricordò dell'unto della scure.Prese un pezzetto di carne e lo tagliuzzò con questa. Aveva indovinato! I pezzettini, alla vista, parevan carne da ingannare chiunque; a toccarli, eran legno. Il tradimento gliel'aveva fatto la figliuola dell'Orco, per gelosia.Il Re disse ai ministri:- Vado e torno.E si trovò nel bosco, dove aveva incontrato quella ragazza.- Maestà, da queste parti? Che buon vento vi mena?- Son venuto apposta per te.La figlia dell'Orco non volea credergli:- Parola di Re, che siete venuto apposta per me?- Parola di Re!Ed era vero; ma lei s'immaginava per le nozze.Si presero a braccetto ed entrarono in casa.- Questa è la scure che tu mi prestasti.Nel porgergliela, il Re fece in maniera di ferirla in una mano.- Ah, Maestà, che avete fatto! Son diventata di legno!Il Re si fingeva afflittissimo di quell'accidente:- E non si può rimediare?- Aprite quell'armadio, prendete quel barattolo, ungetemi tutta coll'olio che è lì dentro, e sarò subito guarita.Il Re prese il barattolo:- Aspetta che io torni!Lei capì e si messe a urlare:- Tradimento! Tradimento!E gli scatenò dietro i cento mastini di suo padre. Ma sì!... il Re era sparito. Con quell'olio le carni della Regina tornarono subito morbide, e si poterono celebrare le nozze.Furono fatte feste reali per otto giorni, e a noialtri non dettero neppure un corno.

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Il leone e il torodi Esopo

Un leone da lungo tempo meditava di uccidere un forte toro. Un giorno decise di riuscire nel suo intento con l'astuzia.

Gli fece sapere di aver catturato un montone e lo invitò al banchetto. Aveva preparato tutto per assalirlo, una volta seduto a tavola il toro andò all'appuntamento: vide molte pentole, lunghi spiedi, ma di montone nessuna traccia. Allora, senza dire neanche una parola, se ne andò.

Il leone lo richiamò e gli chiese il motivo del suo comportamento, visto che non gli era stato fatto nessun affronto. E il toro rispose: - Ho una buona ragione per andarmene: vedo tutto pronto per cucinare non un montone, ma un toro.

La scimmia e la tartaruga

da un racconto dell'India

Compare Tartaruga si annoiava da morire: i giorni passavano sempre uguali. Il mare si estendeva all'infinito, le onde succedevano alle onde. Nessuno veniva mai a rallegrare la sua vita monotona,

tranne qualche volta una balena o un gruppo di delfini, che passavano in lontananza, al largo dell'isola. Un giorno, scorse una scimmia che si rimpinzava di banane. "Perché cercare un amico nel mare?" pensò la tartaruga. "Compare Scimmia sembra un compagno ideale, certamente più simpatico di un granchio!". "Buongiorno Compare Scimmia! Vorresti essere mio amico?" "Buongiorno Compare Tartaruga! Certamente!". Da quel giorno trascorsero

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insieme tutto il loro tempo; la tartaruga non si era mai divertita tanto. Un giorno la scimmia la invitò ad assaggiare le banane. Un altro, le disse: "Vieni, ti insegnerò ad arrampicarti sugli alberi!". La sera, Compare Scimmia raccontò alla moglie: "Ah! Come mi sono divertito! Avresti dovuto vederlo mentre si arrampicava su un albero! Compare Tartaruga è il mio migliore amico!". Anche Compare Tartaruga disse alla moglie: "Che amico meraviglioso! Come mi annoiavo prima di conoscerlo!". Ma Comare Tartaruga non condivideva la sua gioia e pensava: "Mio marito sta sempre con il suo nuovo amico. Devo sbarazzarmi di questa maledetta scimmia!" Una sera, Compare Tartaruga trovò la moglie a letto. "Sei malata?". "Sì, molto malata; il dottore ha detto che sto per morire e che l'unico modo per salvarmi è mangiare il cuore di una scimmia!". "Il cuore di una scimmia! Ma dove potrò trovarlo? L'unica scimmia che conosco è il mio amico!". "Allora, non mi resta che morire!" disse Comare Tartaruga con voce fioca. Compare Tartaruga era disperato. Rifletté a lungo e infine decise che avrebbe sacrificato il suo amico. Lentamente, si diresse verso la casa di Compare Scimmia. "Buongiorno, Compare Tartaruga! Che piacere rivederti! Qual buon vento ti porta?". "Mia moglie vorrebbe invitarti a cena questa sera, verrai?". "Certo, volentieri!". La scimmia seguì allegramente il suo amico fino in riva al mare, ma non poteva continuare non sapendo nuotare. "Sali sul mio guscio! - gli disse la tartaruga - Ti porterò io!". La scimmia si aggrappò al guscio lasciandosi trasportare tra le onde. Avrebbe voluto chiacchierare ma l'altro non rispondeva: "Mi sembri molto triste e silenzioso! Cosa ti è successo? Racconta: farei qualsiasi cosa per te!". "Ah, amico mio - finì per confessare Compare Tartaruga - c'è solo un sistema per salvare mia moglie, e cioè che tu mi dia il tuo cuore!". "Ahi! - pensò la scimmia - "ho detto qualsiasi cosa, ma c'è un limite a tutto! Come faccio a risolvere la situazione? Compare Tartaruga può farmi annegare da un

omento all'altro!" D'improvviso, si colpì la fronte. "E' terribile! Ti darei volentieri il mio cuore, ma dobbiamo tornare indietro a prenderlo!". "Il tuo cuore non si trova nel tuo petto?". "Come? - esclamò la scimmia - Non sai che le scimmie lasciano il cuore in una

brocca, accanto alla loro casa, prima di intraprendere un viaggio?". La tartaruga si fermò e disse: "Ma come facciamo?". "È molto semplice! Riportami sull'isola e andrò a prendere il mio cuore!". La tartaruga tornò indietro, la scimmia saltò sulla riva e si arrampicò rapida su un albero. "Uff! Sono salvo! Mi hai spaventato!". "Ma - gridò la tartaruga - e il cuore che mi hai promesso?". "Il cuore? Non sei abbastanza furbo, Compare Tartaruga. Batte nel mio petto, naturalmente, e ci tengo molto! Addio!". Compare

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Tartaruga ritornò triste a casa: aveva perso un amico, ma ebbe almeno la consolazione di veder guarita la moglie.

  

IL LEONE E IL PICCOLO CANE(tratto da una storia vera)

           di Leone Tolstoj

C’era a Londra un serraglio che si poteva visitare sia comprando un biglietto,sia consegnando al controllo ,invece del denaro,cani o gatti randagi,che servivano da pasto agli animali.Un pover’uomo un giorno volle vedere le bestie feroci e non avendo monete,raccolse per strada un piccolo cane e lo portò al serraglio.Fu lasciato entrare.Il cucciolo fu gettato nella gabbia del leone,perché gli servisse da pasto.Una volta lì,si mise la coda fra le zampe e si rannicchiò in un angolo,mentre il leone si avvicinò a lui e lo fiutò in un istante.Il cagnolino si era steso sulla schiena e,con le zampe in aria, dimenava la coda.Il leone lo tastò con la zampa e lo rimise in piedi.Il cucciolo si alzò e gli fece le moine,mentre la belva lo seguiva con gli occhi ,portando la testa ora a destra,ora a sinistra,e non lo toccava. Quando il guardiano del serraglio gli ebbe lanciato la sua razione di carne,il leone ne lacerò un pezzetto,che lasciò per il cagnolino.Verso sera,quando il leone si coricò per dormire,il cucciolo si addormentò presso di lui e gli mise la testa sulla zampa.Da quel giorno il cagnolino rimase nella gabbia del leone,il quale lo lasciava tranquillo.Mangiavano e dormivano di buon accordo e qualche volta il leone giocava con lui.Un giorno un signore ,che era venuto a visitare il serraglio,dichiarò di essere il proprietario di quel cane e pretese che gli fosse consegnato.Il direttore del serraglio acconsentì,ma quando si tentò di far uscire il cucciolo dalla gabbia,il leone si inferocì e non ci fu modo di liberare il cucciolo. I due animali vissero un anno intero nella medesima gabbia,poi il cagnolino si ammalò e morì.Il leone,straziato,si rifiutò di mangiare,non smetteva di fiutare il suo compagno di giochi e lo carezzava con la zampa,quasi come se volesse svegliarlo.Quando però ebbe capito che era proprio morto,diede un balzo,arruffò il pelo,si battè i fianchi con la coda,si gettò contro le sbarre,si mise a rodere i catenacci della sua gabbia e il suo furore durò per tutto il giorno.Si precipitava da ogni parte,ruggendo per il dolore.Soltanto verso sera,calmatosi,si coricò accanto al cagnolino morto.Il guardiano voleva portar via il cadaverino,ma il leone non lasciava avvicinare nessuno.Il direttore pensò di calmare il dispiacere della belva mettendo nella

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gabbia un altro cagnetto e ciò fu presto fatto. Immediatamente il leone gli si avventò contro e lo divorò.Poi prese il suo caro compagno morto,lo pose fra le sue zampe e restò coricato cinque giorni,tenendolo così abbracciato.Il sesto giorno anche il leone fu trovato morto.