Il Principato

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Il Principato. Nel 44 a.C. , nell’idi di marzo del 44, muore Cesare, cosa succede a Roma? Si apre la stagione della successione di questo personaggio così ingombrante. Cesare aveva scritto un testamento che viene letto da un certo Antonio (esecutore testamentario di Cesare), accanto a quest'ultimo vi era Ottaviano (il figlio adottivo di Cesare). Ottaviano nel corso di quel periodo (nell'età di Cesare) aveva già ingerito alcune funzioni pubbliche. Accanto a questi due soggetti un terzo, successivamente messo da parte, si chiama Lepido,si affiancò a questi due al momento dell'apertura di quella stagione detta lotta ai Cesaricidi. Si aprì una stagione di caccia al partito che avevano ucciso Cesare. Cesare era stato ucciso da una minoranza che non condivideva l'idea di un personaggio nuovo, che avrebbe da un lato ripristinato i valori repubblicani, ma dall’altra parte li avrebbe superati. Chi voleva un ripristino puro e semplice della Libera res pubblica non poteva accettare un comportamento del genere. I Cesaricidi subirono l'ultima loro sconfitta nell'anno 42 a.C. L'anno dopo la morte di Cesare questa lotta ai Cesaricidi, porta alla creazione di un secondo triumvirato. Quindi l'esperienza di Cesare viene rinnovata nel 43. Questa volta però questo triumvirato non ha natura privatistica, bensì pubblicistica. Una legge pubblica del popolo romano che si chiama LEX TITIA investe questi tre triumviri, cioè Ottaviano, Antonio e Lepido, del potere di Rempublicam constituere, ciò vuol dire ricostituire, ripristinare l'ordine repubblicano che era stato violato, mediante l'attribuzione di tutta una serie di poteri straordinari (tramite una legge pubblica del popolo romano), volti al ripristino della situazione costituzionale. Il primo aspetto di questa legge è quello dell’uccisione dei Cesaricidi, cosa che avvenne subito, perché nel 42 Bruto e Cassio trovano la morte. Quindi l'anno dopo la morte di Cesare, Roma viene governata da un triumvirato, cioè di tre soggetti titolari di un potere straordinario. In che posizione costituzionale stanno? Si tratta di una posizione per noi indecifrabile, nel senso che avendo dei poteri cosi ampi sono soggetti straripati dalle normali garanzie costituzionali. Quindi si è comunque nell'età repubblicana, ma con tre soggetti titolari a loro volta di un potere straordinario. Di questi tre il favorito da parte degli organi repubblicani, soprattutto dal senato, fu Ottaviano. A Ottaviano sempre nell'anno 43 gli venne attribuito un imperium pro-pretore, quindi è come se 1

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tratta del principato romano

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Il Principato.

Nel 44 a.C. , nell’idi di marzo del 44, muore Cesare, cosa succede a Roma?Si apre la stagione della successione di questo personaggio così ingombrante. Cesare aveva scritto un testamento che viene letto da un certo Antonio (esecutore testamentario di Cesare), accanto a quest'ultimo vi era Ottaviano (il figlio adottivo di Cesare). Ottaviano nel corso di quel periodo (nell'età di Cesare) aveva già ingerito alcune funzioni pubbliche. Accanto a questi due soggetti un terzo, successivamente messo da parte, si chiama Lepido,si affiancò a questi due al momento dell'apertura di quella stagione detta lotta ai Cesaricidi. Si aprì una stagione di caccia al partito che avevano ucciso Cesare. Cesare era stato ucciso da una minoranza che non condivideva l'idea di un personaggio nuovo, che avrebbe da un lato ripristinato i valori repubblicani, ma dall’altra parte li avrebbe superati. Chi voleva un ripristino puro e semplice della Libera res pubblica non poteva accettare un comportamento del genere. I Cesaricidi subirono l'ultima loro sconfitta nell'anno 42 a.C. L'anno dopo la morte di Cesare questa lotta ai Cesaricidi, porta alla creazione di un secondo triumvirato. Quindi l'esperienza di Cesare viene rinnovata nel 43. Questa volta però questo triumvirato non ha natura privatistica, bensì pubblicistica. Una legge pubblica del popolo romano che si chiama LEX TITIA investe questi tre triumviri, cioè Ottaviano, Antonio e Lepido, del potere di Rempublicam constituere, ciò vuol dire ricostituire, ripristinare l'ordine repubblicano che era stato violato, mediante l'attribuzione di tutta una serie di poteri straordinari (tramite una legge pubblica del popolo romano), volti al ripristino della situazione costituzionale. Il primo aspetto di questa legge è quello dell’uccisione dei Cesaricidi, cosa che avvenne subito, perché nel 42 Bruto e Cassio trovano la morte. Quindi l'anno dopo la morte di Cesare, Roma viene governata da un triumvirato, cioè di tre soggetti titolari di un potere straordinario. In che posizione costituzionale stanno? Si tratta di una posizione per noi indecifrabile, nel senso che avendo dei poteri cosi ampi sono soggetti straripati dalle normali garanzie costituzionali. Quindi si è comunque nell'età repubblicana, ma con tre soggetti titolari a loro volta di un potere straordinario. Di questi tre il favorito da parte degli organi repubblicani, soprattutto dal senato, fu Ottaviano. A Ottaviano sempre nell'anno 43 gli venne attribuito un imperium pro-pretore, quindi è come se fosse un pretore che lo pone, da questo momento, in una posizione costituzionalmente superiore rispetto a quella di Antonio. Il governo continua ad essere gestito dai tre fino al 38 a.C. , perchè la legge Titia che aveva creato il triumvirato aveva attribuito questi poteri di rempublicum constituere per cinque anni. Infatti nel 38 i tre triumviri si riuniscono di nuovo, perchè la legge titia prevedeva che dopo i cinque anni si dovesse fare una sorta di punto della situazione, quindi scegliere se rinnovare tali poteri oppure procedere con lo scioglimento del triumvirato e sciogliendosi sarebbero stati ripristinati i vecchi valori repubblicani. Nel 38 i tre triumviri si ritrovano a Taranto e stabiliscono un patto che si chiama foedus tarentinum (una sorta di trattato nel senso costituzionale del termine) di rinnovare questo triumvirato. Con questo rinnovo a differenza di quello previsto dalla legge Titia che dava un termine di 5 anni, non viene stabilito un termine ne di inizio ne di fine del nuovo triumvirato. Quindi si discute se questo foedus tarentinum sarebbe dovuto concludersi nel 33-32 secondo alcuni, oppure continuare ad esistere a prescindere. Dopo il 38 succede che Lepido è un personaggio che viene messo da parte, il potere viene condiviso tra Ottaviano e Antonio.Ad Ottaviano vengono attribuite le province occidentali, mentre ad Antonio vengono attribuite le province orientali tra le quali l'Egitto. Antonio perde la testa per Cleopatra e Ottaviano considera Antonio un nemico della patria, questo ci dicono le nostre fonti, e allora muove guerra contro Antonio e Cleopatra. La lotta tra Ottaviano e Antonio si conclude nell'anno 31, ad Azio, nel Mediterraneo, nella quale Ottaviano ha la meglio su Antonio. Dal punto di vista costituzionale il rapporto tra Antonio ed Ottaviano è un rapporto molto più stretto, infatti aveva dato ad Antonio in

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sposa sua sorella, erano cognati. Antonio si reca in Egitto ed è un personaggio che a differenza di altri governatori provinciali non spoglia l'Egitto e non lo riduce alla povertà. Il merito di questo è di un personaggio politico, Cleopatra, che lungi dall’essere semplicemente una donna speculatrice, ebbe il ruolo di difendere il proprio popolo, cioè di non permettere ai romani di spogliare l’Egitto. Poi la sua liason con Antonio si trattò di una manovra politica. Il bubbone scoppia a seguito di una mossa incostituzionale di Ottaviano. Antonio aveva scritto un testamento, conservato nel tempio delle Vestali. Ottaviano si reca in questo tempio,apre e legge il testamento di Antonio e scopre che quest'ultimo legittimava Cleopatra. In questo modo scopre il tradimento nei confronti della sorella e decide di rompere in maniera totale i rapporti con Antonio. Ottaviano però, che era un abile politico, mostra questo scontro con Antonio come se fosse uno scontro nei confronti di un nemico esterno, tanto è vero che incarica i Feziali di dichiarare un bellum iustum, siamo negli anni 32-31 a.C.,ottiene da parte dei provinciali delle sue province (occidentali) una coniuratio italiae et provinciarum, con la quale veniva legittimato a dichiarare guerra nei confronti di colui il quale fosse stato considerato nemico della patria, perché aveva tradito gli interessi di Roma addirittura mettendosi dalla parte del nemico. Alcuni dubitano che si trattasse di una guerra nei confronti di un nemico esterno e questo nasce dal fatto che nel 38 a.C. il foedus tarentinum non aveva dato limiti di tempo al triumvirato. Quindi se noi accettiamo l'idea che nel 31 a.C. Antonio era triumviro, come lo era Ottaviano, allora non fu una guerra contro un nemico esterno, ma contro un nemico interno. Allora tutta la dichiarazione del bellum iustum e l’intervento dei Feziali è stato posto per mostrare all'opinione pubblica una guerra come esterna, quando in realtà era una guerra contro un nemico interno e le ragioni del conflitto erano molto private, personali tra Ottaviano e Antonio. La povera Cleopatra ci va come capro espiatorio. A noi ciò che interessa è che nel 31 a.C. Ottaviano ottiene una coniuratio che si chiama italiae et provinciarum, che lo legittima a muovere guerra nei confronti di Antonio, la guerra termina nell'anno 31, Ottaviano ha la meglio, sconfigge Antonio e in questo stesso anno ritorna a Roma per decidere delle sorti della libera res publica. Nell'anno 29 a.C. Ottaviano viene nominato console. A Roma viene ripristinato l'ordine costituzionale da parte di un uomo il quale si trova ad essere innanzitutto console, titolare di un imperium pro-pretore, che aveva ottenuto una sorta di giuramento da parte della provincia dell’Italia che lo legittimava all’esercizio di poteri straordinari, e se si accetta l’idea del fatto che il foedus tarentinum non avrebbe avuto un termine di scadenza finale, sarebbe stato addirittura pure triunviro, l’ultimo triunviro rimasto titolare di poteri straordinari. Evidentemente non è una restaurazione dell’ordine repubblicano, ma è già qualcosa di nuovo. Ottaviano solo formalmente gode della carica di console, ma in realtà vantava di poteri più ampi tanto che nello stesso anno, nel 29 a.C., il senato, in maniera straordinaria, gli attribuisce la tribunicia potestas. Quindi è console, non è tribuno, ma ha la tribunicia potestas, non è pretore, ma ha l’imperium pro-pretore, è titolare di un potere straordinario derivante dalla coniuratio, non è più triunviro. Due anni dopo, Ottaviano, nel 27 a.C., si presenta in senato, in una celebre seduta senatoria, e compie un atto di TRASLATIO REPUBLICIAE, cioè trasferisce al senato tutti i suoi i poteri. Può convocare il senato perchè la tribunicia potestas gli consentiva di convocarlo. Quindi trasferisce al senato tutti i suoi poteri, il senato accoglie questa traslatio, di remissione dei poteri di Ottaviano, e gli attribuisce di nuovo la carica di console, ma insieme gli attribuisce l'appellativo di AUGUSTUS. Dal 27 a.C. in poi Ottaviano non sarà solo Ottaviano, ma si chiamerà Ottaviano Augusto. L’etimologia di questo termine ci aiuterà a capire il significato costituzionale della traslatio, Augusto può avere una triplice etimologia:

esso deriva dal verbo augere, che significa accrescere, cioè Ottaviano Augusto accresce i poteri repubblicani. Egli è nello stesso tempo console, quindi fa parte di un ordinamento vecchio (quello repubblicano), ma nello stesso tempo è Augustus, cioè accresce questi

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poteri, li aumenta; La seconda etimologia di Augusto, deriva da augur, cioè il potere di prendere auguria e

augur, nella sua etimologia originaria, significa anche colui che fonda, il fondatore. Quindi Augusto nello stesso tempo accresce e fonda un ordine nuovo;

Augustus si riconnette anche all'etimologia di auctor, nel diritto romano auctor è il garante, colui che garantisce il vecchio ordinamento repubblicano.

Quindi Ottaviano Augusto nel 27 a.C. è contemporaneamente parte di un vecchio ordinamento repubblicano (è console), ma è nello stesso tempo Augustus cioè fondatore di un ordine nuovo, garantisce il vecchio ordine, ma nello stesso tempo lo accresce. Questo è il Principato augusteo, un ordinamento nuovo che non cancella il vecchio, ma si affianca al vecchio cercando di sostenerlo su basi che quell’ordinamento non aveva più avuto. Quindi Augusto è quell'uomo nuovo che cerca di dare un fondamento, un sostegno, affinchè il vecchio ordinamento repubblicano potesse camminare. Solo pochi anni dopo, precisamente 4 anni dopo, nel 23 a.C., in virtù di un'altra celebre seduta senatoria, il senato attribuisce ad Augusto altri due poteri. Questi sono la Tribunicia Potestas e Imperium Proconsulare Maius Et Infinitum. Il senato in questo modo attribuisce ad Augusto sia un vecchio potere repubblicano sia un potere nuovo.Descriviamoli:

TRIBUNICIA POTESTAS : si spiega alla luce del fatto che se vi ricordate il tribuno della plebe aveva un potere trasversale, cioè si poteva rivolgere a tutti gli altri organi repubblicani. Il tribuno della plebe infatti era l'unico che poteva opporre l'intercessio a tutte le altre magistrature, a prescindere dal coursus honorum. Il tribuno della plebe stava al di fuori da quest'ordine. Augusto si pone in una posizione di controllo delle magistrature. I tribuni della plebe ancora avevano il potere di convocare i comizi, quindi Augusto si pone in una posizione di controllo o quanto meno di convocazione dei comizi. I tribuni della plebe potevano convocare il senato ed infatti Augusto convoca il senato. Ancora, i tribuni della plebe erano titolari della coercitio maxima, il potere di repressione criminale, Augusto si fa titolare, garante, anche della repressione criminale;

IMPERIUM PROCONSULARE MAIUS ET INFINITUM : ad Augusto viene attribuito un potere illimitato anche nei confronti dell'amministrazioni periferiche, l'imperium proconsulare. I proconsoli erano i governatori provinciali, le province sino a quel momento erano state senatorie o pretorie ed erano tutte province che facevano capo al popolo romano. Ottaviano nel 23 a.C. ottiene l'imperium su tutte le province, maius perchè superiore a tutti gli altri organi di governo locale (è il governatore dei governatori), infinitum perchè non trova limiti territoriali. Augusto ha un potere su tutte le province esistenti.

Quello che si viene a creare nel 23 a.C., che va sotto il nome di Principato, che tipo di forma di governo è? Sono state tentate varie definizioni e pertanto sono state avanzate diverse teorie. La teoria più antica è proposta da Teodoro Mommsen, che ha ritenuto di poter definire il Principato Augusteo come una diarchia, cioè il governo di due, questi due sarebbero stati nella ricostruzione di Mommsen da un lato Augusto, dall'altro il senato. Perchè? Perchè secondo Mommsen la gestione del potere a due teste si sarebbe potuta riscontrare nella distinzione delle province. Infatti nel corso dell'età del Principato le province erano distinte in province imperiali e province senatorie. Secondo Mommsen questa sarebbe una prova che il potere fosse diviso tra Augusto e il senato. In realtà questa tesi non ha trovato fortuna, perchè in realtà i poteri di Augusto a livello provinciale erano ben più estesi rispetto a quelli delle sole province imperiali, andavano anche nelle province senatorie. Questo in virtù dell'imperium proconsulare maius et infinitum, che non aveva limiti territoriali, ma soprattutto perchè ci sono pervenuti alcuni provvedimenti di Augusto che si rivolgono alle province senatorie. In particolare gli Editti di Cirene sono

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provvedimenti con il quale Augusto dà una regolamentazione alla provincia della Cirenaica, provincia esclusivamente senatoria. Quindi se Augusto con i suoi provvedimenti disciplina e detta regola ad una provincia senatoria, ci rendiamo conto come l'idea di dividere il potere tra senato ed Augusto non può reggere, perchè è un potere del Principe1 nettamente prevalente.Un'altra teoria è stata elaborata intorno agli anni 30 da uno studioso Napoletano, Arangio Ruiz, quest'ultimo aveva elaborato la tesi del protettorato . Per capire questa tesi bisogna allargare lo sguardo anche al contesto politico nel quale era stata elaborata. Siamo negli anni trenta, anni in cui gli Stati europei più importanti avevano conquistato delle colonie e anche l'Italia aveva le sue colonie (Libia, Etipoia). In quegli anni per dare una giustificazione giuridica al rapporto tra lo Stato e le sue colonie, i costituzionalisti li chiamavano rapporti di protettorato, perchè vi era uno Stato protettore e lo Stato protetto (si tratta dello Stato conquistato protetto dallo Stato conquistatore).Ma nel nostro caso si può parlare di protettorato? Le difficoltà ci sono, perchè mentre gli Stati protettori e protetti sono due Stati diversi territorialmente, nel caso del Principato Augusteo abbiamo due Stati che coesistono su uno stesso territorio, quindi per questa ragione e per il fatto che la tesi sul protettorato qualifica esperienze coloniali, che sono estranee nel periodo romano, la qualificazione del Principato Auguseto in termini di protettorato deve essere abbandonata.E allora come lo possiamo definire il Principato Augusteo? A parte le tesi su citate ce ne sono state altre, tra le quali quella più azzeccata è quella di Pietro Cerami, il quale ha definito il Principato Augusteo come un ordinamento nel quale un organo (il Principe) è titolare di una funzione d'interpretazione autentica degli interessi, dei bisogni e delle necessità della Libera res publica.Cosa significa che il Principe è titolare di una funzione d'interpretazione autentica dei bisogni dell'ordinamento repubblicano? L’interpretazione autentica è l’interpretazione che da lo stesso Legislatore, è una sorta d'interpretazione non discrezionale ma di stato (chiusa-ferma) non soggetta a discussione. Se traiamo quest'immagine della funzione di Augusto potremmo dire che storicamente è l'unico interprete. L'ordinamento repubblicano resta lo stesso, la novità è la presenza di un organo nuovo (Augusto) che interpreta autenticamente e si trova dentro e fuori l'ordinamento repubblicano. Questa interpretazione trova una corrispondenza nelle nostre fonti.Nelle fonti le funzioni di Augusto vengono chiamate vengono in due modi, vengono qualificate in termini di curatela, cioè la funzione di Augusto nell'ambito dell'ordinamento repubblicano è una funzione di cura. Infatti possiamo dire che la funzione di Augusto è una doppia cura:

cura et tutela rei publicae universa cura legum et morum

La funzione di Augusto, nelle nostre fonti, viene qualificata in un duplice modo, sotto forma di cura, Augusto è un curatore degli organi repubblicani, si prende cura degli organi repubblicani e lo fa sia sottoforma di cura et tutela rei publicae universa (cioè la cura e la tutela di tutto lo Stato) e sottoforma di cura legum et morum (le fonti più antiche del diritto romano sono leges et morum, quindi l'intervento di Augusto in questo caso è un intervento restauratore, cioè ripristinare-restaurare un vecchio ordinamento). Augusto lascia un testamento politico, che va sotto il nome di Res gestae divi Augusti (del divo2 Augusto). A pag 123 delle nostre fonti vi è l'esempio del vecchio testamento politico di Augusto. Augusto all'atto di morire,nel 14 d.C., lascia un testamento politico, si tratta di un racconto delle vicende più importanti che hanno portato alla nascita del Principato Augusteo (oggi lo chiameremo memoriale).Noi lo conosciamo grazie al successore di Augusto, Tiberio il secondo princeps. Augusto aveva stabilito che questo testamento politico fosse posto di fronte al suo sepolcro a Roma, i suoi 1 Si faceva chiamare principe perchè superiore rispetto agli altri organi, primo rispetto ad altri organi. Di imperatori

romani parleremo in un secondo momento, infatti il primo imperatore che si fa chiamare imperator è Aureliano , che vive nel 27° d.C. Fino al 270 gli imperatori romani si chiamano principi.

2 Perchè gli imperatori romani quando morivano venivano divinizzati o dannati, cioè cancellati dalla memoria.

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successori disposero una pubblicazione di queste res gestae in tutte le più importanti città dell'impero romano, affinché tutti i sudditi di Augusto conoscessero le gesta del loro primo princeps. Queste res gestae infatti le conosciamo attraverso alcuni monumenta (blocchi di pietra su cui sono state scritte queste res gestae, ovviamente secondo la lingua parlata dei luoghi in cui sono state poste queste monumenta).

Fonti: pag. 123Res Gestae 25.1-2 (parla in prima persona): “ liberai il mare dai pirati. In quella guerra feci prigionieri circa trentamila schiavi,che erano fuggiti dai loro padroni ed avevano preso le armi contro lo Stato, e li consegnai ai loro proprietari perchè fossero puniti. L'italia tutta giurò spontaneamente sulle mie parole e mi invocò come duce della guerra, che vinsi ad Azio (questa e la coniuratio italie e anche delle sue province). Giurarono sulle stesse parole le province della Gallia e della Spagna, l'Africa, la Sicilia e la Sardegna”(queste sono le province occidentali perchè quelle orientali erano di Antonio).Res Gestae 34.1-3 (in questo cap. 34 le res gestae ci narrano le vicende di quella celebre seduta senatoria inerente alla traslatio republicae): “ durante il sesto e il settimo consolato (era stato console nei 7 anni prima) poi che ebbi posto termine alle guerre civili, avendo riunito in me per consenso universale ogni supremo potere, traferii la res publicae dalla mia potestà alle libere decisioni del senato e del popolo romano (Augusto i poteri di comando supremo dello stato li rimette al popolo e al senato). Per questo mio merito venni denominato Augusto per senato consulto, le porte della mia casa furono ornate pubblicamente di alloro, una corona civica fu infissa sopra la mia porta e nella curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me l'offrivano per il mio valore, la mia clemenza, la mia giustizia e la mia pietà. Dopo d'allora io superai tutti per auctoritas , ma non ebbi alcuna potestas maggiore degli altri che mi furono anche colleghi nella magistratura .” Attenzione in queste poche parole c'è il concetto del Principato Augusteo: Augusto è console come tutti gli atri consoli, ha un potere uguale a tutti gli altri organi repubblicani, non ebbe potestas maggiore rispetto agli altri colleghi della magistratura,quindi era un organo repubblicano come tutti gli altri, solamente rispetto agli altri organi repubblicani superò tutti per auctoritas, quindi il potere di Augusto si chiama auctoritas, cioè accrescimento, in ricordo dell'auctoritas dei patres consiste nel promulgare le leggi.

Nel momento in cui Augusto si fa garante, accrescitore, di questi poteri repubblicani, si trova in una posizione sovraordinata rispetto agli altri organi. Posizione che viene attribuita nella seduta senatoria del 23 a.C., conosciuta grazie al racconto di uno storico dell’età augustea che si chiama Dione Cassio.

Fonti: pag 125 Cass. Dio 53.32.5 : “e perciò il senato votò che Augusto fosse perpetuamente tribuno (tribunicia potestas) e gli diede il privilegio di presentare ad ogni riunione del senato qualsiasi argomento, in qualunque momento volesse, anche se in quell'epoca egli non era console (quindi questa tribunicia potestas dava ad Augusto la possibilità di convocare il senato e di presentare al senato delle proposte che il senato votava. Queste proposte che il Principe presenta al senato si chiamano horationes in senatu habite ,quindi non sono senatoconsulti, ma sono testi approvati dal Principe e semplicemente ratificati dal senato. A partire da questo periodo si può iniziare a notare il superamento dei poteri repubblicani,ovviamente i senatoconsulti non vengono cancellati, ma comunque si viene a notare il carattere invasivo del Principe). Gli permisero altresì di essere titolare una volta per tutte e perpetuamente del proconsolato, cosicchè egli non doveva deporlo superando il pomerio né averlo rinnovato nuovamente. E gli diedero nei territori soggetti in ogni caso superiore a quella del governatore”.

Augusto nel 14 d.C. muore, cosa succede? Tutti quei poteri erano stati attribuiti ad Augusto personalmente, esiste una legge di successione al trono in diritto romano? Come funzionava la successione? Come viene scelto il successore di Augusto? La regola generale è che in diritto romano pubblico non esiste una regola alla successione, ma si applicano di volta in volta, vari criteri che regolano la successione al trono, ad esempio l'adozione in vita, cioè il Principe adotta colui il quale ritiene possa essere il suo successore, perché ne riconosce delle capacità di comando, ne fa suo figlio e lo affianca a sé mentre è ancora in vita, lasciandogli il potere dopo la morte. Cosi era avvenuto con Ottaviano figlio adottivo di Cesare,così avviene anche per Tiberio il quale viene

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adottato in vita da Augusto come successore al trono. A volte non si arrivava all'adozione, ma si affiancava soltanto al potere. Altre volte ancora si determinavano alcune dinastie, il potere si trasmetteva da padre in figli, questo ci fa capire come nella storia dell’impero romano abbiamo alcune casate, come ad esempio quella dei Flavi o quella degli Antonimi. Altro criterio di successione al trono è quello dell'acclamazione militare, il generale che aveva l'esercito più potente che consentiva l'acclamazione dell’imperatore, non si ci poteva ritorcere contro così acquisiva il potere e attua l'azione dell'esercito, così salì al trono Vespasiano. Nell'anno 64 c'erano 4 pretendenti al trono, tutti e 4 vengono nominati imperatori romani (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano) nell'anno 64 la carica suprema è vuota e 4 generali si fanno nominare imperatori. Vespasiano vince gli altri 3 e si fa nominare imperatore. Come viene distinto un imperatore usurpatore rispetto ad un imperatore legittimo? Vi è un provvedimento che legittima il potere degli imperatori romani e che si chiama lex de imperio, gli imperatori legittimi a prescindere dai criteri sulla base dei quali vengono scelti, erano solamente quelli destinatari di una legge che si chiama lex de imperio, con la quale il popolo (lex del popolo approvata dal senato) conferisce formalmente i poteri al Principe, allo steso modo in cui nel 27-23, soprattutto nel 23, il senato aveva attribuito i poteri ad Augusto. Quindi questa attribuzione di poteri fatta ad Augusto fu la prima, ma per i successori di Augusto, quelli legittimi, intervenne un provvedimento legislativo con cui venivano attribuiti questi poteri espressamente agli imperatori. Fortunatamente c’è pervenuta una di queste lex de imperio, in modo particolare quella con la quale venne attribuito l'imperium a Vespasiano, che fu quello che tra i 4 fu riconosciuto dal senato. Nelle nostre fonti troviamo questa legge, la lex quae dicitur de imperio Vespasiani, innanzitutto si tratta di una legge,da un punto di vista formale ciò che è importante sta nel fatto che si tratta di una legge pubblica del popolo romano. Come sappiamo la legge pubblica del popolo romano si distingueva in tre parti, praescriptio, rogatio, sanctio. Questa legge in realtà consisteva di due tavole, a noi è pervenuta soltanto la seconda tavola, la prima è andata persa, quindi non abbiamo la praescriptio della legge e manca anche la prima parte della rogatio, mentre la seconda tavola a noi pervenuta e contiene la maggior parte della rogatio e la sanctio. Questo testo è ha una sua importanza ed è stato scoperto nel 1347 da Cola di Rienzo, si scoprì che il Papa di quegli anni diceva messa a Roma su un altare di bronzo, questo sopra era liscio, mentre sotto era scritto, Cola legge il contenuto di questa scrittura e si accorge che si tratta del contenuto di una legge romana con la quale venivano attribuiti poteri agli imperatori romani. Il Papa dice messa su quella tavola per affermare la supremazia del potere della Chiesa nei confronti dell'impero. Questa tavola viene successivamente pubblicata. Con questa seconda tavola vengono attribuiti poteri eterogenei al principe. Nelle nostre fonti il testo inizia con metà della rogatio. Si tratta di una legge, ma non c'è scritto da nessuna parte che si tratta di una legge, la sua forma al congiuntivo ha fatto pensare ad alcuni che fosse un senato consulto, tuttavia la presenza della sanctio, che nei senatoconsulti manca, e il fatto che talune leggi del popolo romano siano anche loro redatte in questa forma (congiuntivo) fa credere che sia una legge pubblica del popolo romano. Bisogna capire però se questa legge pubblica del popolo romano fosse anche sanzionata o sdoppiata dall'intervento del senato. È evidente che il senato anche su questa legge sarebbe intervenuto, perché interveniva su ogni legge.

Fonti: pag 127Lex quae dicitur de imperio Vespasiani 1° clausola: “ che gli sia lecito concludere trattati con chi egli vorrà, come fu lecito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto ed a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico”

Con questa clausola si attribuisce al principe il potere di concludere trattati internazionali. Ciò che ci interessa è il fatto con cui questa legge attribuisce a Vespasiano quello stesso potere attribuito

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ad Augusto, a Tiberio Giulio Cesare, a Tiberio Claudio, quindi anche per questi 3 vi è stata una legge de imperio, il quarto è Vespasiano. Problema: da Augusto a Vespasiano non c'erano stati 4 imperatori romani, ma di più, perchè vengono elencati soltanto questi? A tal proposito bisogna tenere conto di quel processo di divinizzazione o dannazione della memoria degli imperatori romani, quindi se gli imperatori dopo la morte venivano divinizzati diventavano divinità e si manteneva il ricordo di tutti i loro atti, quelli che venivano dannati o cancellati dalla memoria, il nome non veniva richiamato negli atti. Ecco perchè ad esempio la lex de imperio Vespasiani non menziona l'imperatore Nerone (vissuto prima di Vespasiano), perchè era stato colpito da dannatio memoriae, perché il suo impero fu considerato il peggiore di tutti gli imperi, il suo nome è stato cancellato da tutti gli atti pubblici. Lo stesso discorso vale per Canicola, che fu un imperatore che ha lasciato un pessimo ricordo di sé, perché era malato di mente (fece senatore il suo cavallo) e il suo comportamento venne punito con la rescissio actorum, che era meno grave della dannatio memoriae, gli atti di Canicola li abbiamo, ma il suo nome è stato cancellato dagli atti pubblici.Perchè non è avvenuta la lex de imperio nell'anno dei quattro imperatori? Perchè la legge de imperio è quella legge che distingue gli imperatori legittimi dagli imperatori usurpatori. Galba, Otone, Vitellio per quanto siano ricordati come imperatori romani, non sono imperatori riconosciuti giuridicamente, l’unico riconosciuto dal popolo e dal senato fu Vespasiano.

2° clausola :“che gli sia lecito anche presiedere il senato, presentargli proposte, ritirarle, far approvare senatoconsulti per proposta (relatio) e spostamento in aula dei senatori (discessio), come fu lecito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico”

Questo discorso del presiedere il Senato si riconnette a quello che abbiamo detto prima, il Principe aveva una funzione duplice: sia quella di presiedere il senatoche emetteva i senatoconsulti, inoltre la sua orazione diventata horatio in senatu habite.

3° clausola :“ che quando il senato sia convocato per sua volontà, iniziativa, ordine o da un suo rappresentante o da lui personalmente, tutto quanto sia deciso e si consideri come valido, come se l’assemblea sia stata convocata e tenuta conformemente alla legge”

Conferisce il potere di convocare il senato irritualmente, quindi vi è un superamento dell’ordinamento repubblicano.

4° clausola: “che chiunque aspiri ad una magistratura, comportante la potestà o l'imperio, o ad una qualsiasi altra carica, e sia stato da lui raccomandato al senato ed al popolo romano, od abbia da lui ottenuto il suffragio o la promessa del suffragio, sia preso in considerazione da quei comizi al di fuori della procedura ordinaria”

Nella traduzione in latino bisogna segnare questi due termini “commendaverit quibusque suffragationem”. La quarta clausola della lex de imperio attribuisce al Pincipe questi due poteri: commendatio e suffragatio dei magistrati. Nel corso dell'età del Principato le magistrature continuano ad essere elette, però questa legge de imperio attribuisce al Pincipe una sorta d'intervento nella scelta dei candidati. Mentre nel corso dell'età repubblicana i candidati erano liberi, con il Principato questa libertà non viene più concessa, perchè i candidati possono essere scelti sulla base di due poteri che fanno capo al Principe e al senato, al Principe viene attribuito un doppio potere, cioè quello della suffragatio (semplice appoggio elettorale) e della commentatio (scelta materiale del candidato), questi poteri si accompagnano a quelli del senato, perchè metà dei candidati sono eletti dal principe sulla base di questi due poteri, l'altra metà viene scelta dal senato, mediante un altro potere che si chiama destinatio. Questo potere viene attribuito al senato con una legge pubblica del popolo romano, questa legge si chiama legge Valeria, fatta

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approvare da Augusto nell’anno 5 d.C., che stabiliva un meccanismo conosciuto come destinatio magistratus. Quest'ultima consiste nell'attribuzione al senato del potere di scelta dell'altra metà dei candidati magistrati rispetto a quelli già scelti dal Principe. Come fa il senato a scegliere questi altri candidati? Perchè questo potere si chiama destinatio? Viene così denominato perchè all'interno delle centurie del Comizio Censurato vengono sorteggiate 20 centurie di senatori. Quindi la legge Valeria attribuisce il potere di sorteggiare 20 centurie, 20 in ricordo dei figli di Augusto e degli altri imperatori. Quindi 20 centurie destinatrici formate dai senatori hanno il compito di destinare l'altra metà dei magistrati non scelti dal Principe, come vengono destinati?Vengono scelti e presentati al comizio. Il comizio nell'età del Principato continua ad eleggere i magistrati, ma chi sono questi magistrati? Quelli scelti dal Principe e dal senato,quindi il potere del comizio di scegliere i magistrati viene svuotato, perché si perde il principio della libera candidabilità. Questo è l’esempio più chiaro di come nell’età del Principato la forma è quella repubblicana, ma poi nella sostanza tutto muta.

5° clausola:“che sia lecito, secondo quanto egli riterrà utile allo Stato, far retrocedere e far avanzare i confini del pomerio, così come fu lecito a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico”

Augusto ha anche il potere di avanzare e limitare i confini del pomerio.

6 ° clausola : “che egli abbia il diritto ed il potere di fare tutto ciò che riterrà utile allo Stato ed alla solennità delle cose divine ed umane, pubbliche o private,come fu concesso al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico”

Questa clausola attribuisce i poteri più importanti ad Augusto. In questa sesta clausola si vuole fondare il potere dei principi romani di emettere costituzioni imperiali. Che cosa sono le costituzioni imperiali? Sono tutti quei provvedimenti con il quale il Principe richiede di riformare l'ordinamento nelle parti e nelle modalità che egli ritiene necessario. Il Principe ha un potere fondato sulla legge de imperio d'intervenire personalmente a riformare l'ordinamento nel senso che egli riterrà più utile. Come avviene la riforma? Per mezzo di provvedimenti provenienti dalla stessa sua volontà, chiamati appunto costituzioni imperiali.

7°clausola:” che l’imperatore Cesare Vespasiano sia dispensato dall’osservanza di quelle leggi e di quei plebisciti, dalla cui osservanza furono dispensati il divino Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico; e che tutto quello che fu lecito fare, in base ad una qualsiasi, al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, tutto ciò sa lecito fare anche all’imperatore Cesare Vespasiano Augusto”

È relativa alla solutio legibus

8° clausola:”che tutti gli atti, fatti, decreti, ordini,posti in essere dall’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, o dietro suo ordine o mandato da chiunque altro, prima di questa legge siano considerati come validi e ratificati, come se fossero stati posti in essere per ordine del popolo o della plebe”

È una clausola di ratifica degli atti precedenti alla lex de imperio vespasiani.

Clausola sanzionatoria (sanctio): “ se qualcuno, in conformità a questa legge, abbia fatto o farà qualcosa di contrario a leggi, plebisciti, senatoconsulti, oppure, sempre in conformità a questa legge, non farà ciò che avrebbe dovuto fare in forza di leggi, plebisciti, senatoconsulti, ciò non gli sia danno; né egli debba versare per questo motivo alcuna somma al popolo, né contro di lui per questo fatto ci sia una qualche azione o giudizio, né alcun (magistrato) consenta che si agisca davanti a lui sempre per questo fatto”.

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Questa sanctio non sanziona un comportamento, ma siccome le leggi pubbliche del popolo romano non venivano abrogate, ma cadevano in quiescenza, permette una sorta di salva condotto, cioè chi segue questa legge e viola le leggi precedenti, che in quanto ancora in vigore potrebbero sanzionare quel comportamento, non viene punito.

Fonti: pag 130Res gestae 6.1 (curator legum et morum): “nonostante il senato e il popolo romano fossero d’accordo che io, da solo e con la massima potestas, fossi nominato curatore delle leggi e dei costumi, io non volli ricoprire alcuna magistratura in contrasto con i mores maiorum.”Augusto da un lato non vuole turbare l’ordinamento, ma dall’altro lato lo fa.

Lo stesso tipo di atteggiamento lo ritroviamo in un altro passo.

Fonti: pag 131Res gestae 5.1,3: “non accettai la dittatura offertami, sia in mia assenza, sia in mia presenza, dal popolo e dal senato, durante il consolato di M.Marcello e L. Arrunzio. Non accettai neppure il consolato, che allora mi era stato offerto annuo ed a vita”.Cerca di evitare di porsi come un organo che contrasta con un ordinamento che già c’era, però allo stesso momento il suo potere determina un superamento della stessa realtà costituzionale romana.

Brevissimo excursus storico. Il Principato si distingue in 3 grandi periodi, fino ad ora abbiamo parlato del Primo Principato,quello di Augusto, Tiberio, Vespasiano (I sec d.C.). Ma di Principato ce ne sono almeno 3.Primo Principato (27 a.C.- 117 d.C.)viene chiamato Principato Augusteo, dal nome del primo Principe. In questo senso non si intende tanto il simbolo Augusto, quanto il fatto che pure i suoi successori hanno proseguito nella stessa ottica augustea, cioè quella di mantenere il potere e gli organi repubblicani salvi e di stare ai margini di questo ordinamento repubblicano, almeno sulla carta, mantenendolo vivo, anche se poi sarebbero intervenuti in maniera forte. Esempio di questo atteggiamento dei principi nel Primo Principato: il celebre panegirico di Plinio a Traiano. Traiano era un Principe romano, Plinio scrive un panegirico al suo amico Traiano, in cui dice a Traiano: “tu sei Principe, però tu stesso dichiari di essere sottoposto alle leggi del popolo” (rapporto di derivazione del Principe dal popolo, così come nella leges de imperio che delega al Principe dei poteri). Addirittura Traiano ritiene di essere sottoposto alle leggi dello Stato, poiché il Principe è un servitore dello Stato, ma con poteri molto forti, che nella sostanza superano gli organi costituzionali, ma almeno sulla carta cercano di rispettarli. Tanto è vero che è la legge che attribuisce potere ai principi ed essi si ritengono sottoposti alla legge. Ma questo atteggiamento durerà fino all’età degli Antonini.Secondo Principato ( 117-196 d.C.)Con gli Antonini inizia il Secondo Principato, in particolare nell’anno 117 d.C. con l’imperatore Adriano e dura fino agli inizi de 200 d.C. quando finisce la dinastia degli Antonini (intorno al 196), quando inizia una terza fase del Principato con i Severi nei primi anni 200 d.C. Il Principe interviene in maniera pesante nella riforma dell’ordinamento, vengono create strutture organizzative nuove, simili a quelle che erano state preventivate da Cesare e che determinano il tessuto connettivo del Principato.Terzo PrincipatoQuesto fino all’età dei Severi che dura fino al 235, anno della morte dell’ultimo imperatore romano severo. L’età dei Severi rappresenta l’apogeo romano, Roma ha la sua massima espansione, gli imperatori esautorano definitivamente l’ordinamento repubblicano. Non residua più alcuna traccia

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della libera res publica, gli imperatori sono titolari ormai di tutti i poteri, l’unico ordinamento presente è quello nuovo, quello del Principato. Sorte degli organi repubblicaniSenatoIl senato come organo repubblicano perde i suoi poteri più importanti: innanzitutto l’auctoritas.Le leggi pubbliche non vengono più votate, l’ultima risale al tempo di Nerva (96 d.C.), quindi il potere del senato di apporre la propria auctoritas agli atti finisce con Nerva. In età del Principato le leggi pubbliche che conosciamo sono risultate solo all’età augustea, fu solo Augusto e un po’ Tiberio che cercarono di rivitalizzare l’attività dei Comizi, ma dopo di loro abbiamo solo poche tracce di leggi a causa dell’impossibilità di funzionamento dei Comizi. Fu proprio Augusto perché ebbe il compito di rivitalizzare il più possibile gli organi costituzionali. Di Augusto ricorderemo almeno una legge, la legge giulia dei giudizi pubblici e privato (lex iulia iudiciorum publicorum et privatorum), cioè quella legge con al quale Augusto nel processo privato abolisce le legis actiones e rende come unico processo ordinario quello formulare, e con quella dei giudizi pubblici Augusto abroga la rovocatio ad populum e mantiene coem processo ordinario le quaestiones pubbliche. Fuori da questi ordini ci sarà una forma di processo nuovo che si chiama cognitio extra ordinem.Ancora dobbiamo ricordare le leggi augustee in materia di diritto di famiglia, fu un principe particolarmente sensibile alle ragioni della famglia, intervenne legittimando i matrimoni, legittimando i figli e pregiudicando la posizione dei nubili, celibi e di coloro che non facevano figli, istituisce la quaestio de adulteris.Il senato perde l’interregnum, ma mantiene la funzione dei senatoconsulti, perché fino a tutta l’età del Principato ce ne sono parecchi (senatoconsulto turpillianum). Tuttavia il senato tutte quelle volte in cui il Principe lo vuole si limita a ratificare la volontà del Principe, ratificando quelle orazioni che egli fa in senato che si chiamano horationes in senatu habite.MagistratiIn età repubblicana si candidavano liberamente, nel Principato sono scelti metà dal Principe e metà dal senato. I magistrati continuano ad essere eletti. Vediamoli singolarmente:

Censori: continuano a ad essere nominati fino all’età di Domiziano (96 d.C.), che si assume il titolo di censor perpetus;

Consoli: continuano ad essere eletti, durano fino all’età di Giustiniano, però vengono svuotati di ogni tipo di funzione amministrativa, resta la funzione dell’eponimia (dare il nome all’anno). Vengono moltiplicati come numero, non sono più solo 2, ma arriveranno fino a 10 consoli l’anno, riducendo il tempo di durata della carica, staranno in carica sempre meno tempo (2 mesi anche). Gli eponimi sono quelli che vengono nominati per primi. Mantengono una funzione di carattere giurisdizionale, nell’ambito del nuovo processo, quello fori dall’ordine dei giudizi pubblici e privati, cognitio extra ordinem. Per esempio il console sarà competente a giudicare dei riti di libertà in sede di cognitio extra ordinem;

Pretori: essi nel corso del Principato vengono esautorati di tutte quelle funzioni di carattere amministrativo, gli rimangono solo funzioni giurisdizionali. Continuano ad essere titolari di iurisdictio nei processi formulari, continuano a presiedere le quaestiones pubbliche e vengono creati nuovi pretori per giudicare extra ordinem, in relazione a nuovi istituti che nascono nel Principato. Per esempio viene creato il pretor fidei commissarius, che si occupa dei fede commessi, viene creato un pretor de liberatibus causis, che si occupa dei riti di libertà secondo un sistema di cognitio extra ordinem, viene creato un pretor fiscalis, che si occupa dei rapporti tra fisco e contribuenti;

Edili curuli: vengono svuotati delle funzioni di cura, mantengono solo le funzioni

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giurisdizionali, emettono editti in materia di vizi di merci.Questo ci fa capire perché oggi i magistrati si chiamano magistrati, cioè perché oggi il magistrato ha funzioni giurisdizionali. Mentre i ministros mantengono quelle funzioni amministrative e quindi per questo noi oggi chiamiamo ministri i titolari di funzioni amministrative. Tutte le funzioni perse dai magistrati vanno ai funzionari imperiali, che si affiancano ai magistrati che mantengono queste funzioni di carattere amministrativo.Comizi Non hanno più funzioni giurisdizionali, perché la provocatio viene abrogata da Augusto. Mantengono la funzione elettiva, ma solo sulla carte, perché eleggono magistrati scelti dal Principe e dal senato. Mantengono una limitata funzione legislativa, che era già limitata nel corso dell’età repubblicana quando iniziano a delegittimasi e a funzionare per acclamazione, ma nell’età del Principato l’ultima legge si ha nell’86 d.C. che segna la fine delle legislazione comiziale. Restano,ma svuotati di potere, non hanno nemmeno la funzione di leva dell’esercito, perché con Caio Mario verranno reclutati eserciti di mercenari.

A questo sistema di negazione di funzioni a questi organi, naturalmente, corrisponde un’altrettanta reazione di un sistema nuovo,che è quello di una burocrazia imperiale e di un sistema di funzionari imperiali. Quando parliamo dell'organizzazione burocratica del principato ci riferiamo quindi ad un sistema di funzionari imperiali. Questi sono dei soggetti che si trovano a gestire quell'attività di carattere politico e amministrativo che era gestita dai magistrati nel corso dell'età repubblicana e che proprio nel corso dell'età del principato è stata a loro tolta:infatti ai magistrati venne lasciata semplicemente una funzione giurisdizionale (questo giustifica il fatto in virtù del quale noi oggi chiamiamo magistrati organi giurisdizionali).I funzionari imperiali rispetto ai magistrati, in relazione ai quali ereditano le loro attività,si trovano in una posizione diametralmente opposta. Tutti quei caratteri generali che abbiamo individuato per le magistrature infatti possono essere riciclati anche per lo studio dei funzionari imperiali, sapendo che ad un preciso carattere della magistratura coincide un identico carattere contrario del funzionario imperiale.I caratteri delle magistrature sono:

Elettività : i magistrati sono organi eletti dal popolo,i funzionari imperiali invece sono organi non eletti dal popolo ma nominati direttamente da parte degli imperatori,quindi sono soggetti titolari di un potere delegato, a differenza dei magistrati che invece non avevano nessuno a cui rispondere nel corso del loro anno di carica,quest’ultimi erano titolati addirittura di un potere personale e autonomo che non aveva mandanti o rappresentati. Il funzionario imperiale invece non è altro che un delegato imperiale,che risponde direttamente al suo mandante,cioè chi questo potere glielo ha delegato(nel nostro caso l'imperatore3),e soprattutto(altra differenza tra funzionari imperiali e magistrati) al quale il principe attribuisce una determinata funzione,una sfera di competenza,un determinato settore dell'attività amministrativa. Infatti quando abbiamo studiato le magistrature abbiamo ricordato come il diritto amministrativo romano non conosce il concetto di ufficio,ma quello di potere. I magistrati romani non sono titolari di un ufficio,di una sfera di competenza,ma sono titolari di una sfera di poteri, tanto è vero

3 NOTA BENE: il prof. ogni tanto sbaglierà,ma dobbiamo sapere che in diritto romano si chiamano principi fino all’imperatore Aureliano,che è stato il primo,nel 270 d.C.,a farsi chiamare imperator, dopo il 270 si faranno chiamare imperatori. Quindi quando noi parliamo di Augusto come il primo imperatore romano è per capirci,ma non è esattamente corretto,è una terminologia non tecnico-giuridica.

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che in età repubblicana il rapporto tra i magistrati non era un rapporto di sfera di attribuzioni,ma era un rapporto di potere,l’ordo magistratum infatti mette tra di loro i magistrati in relazione ai poteri che hanno(ci sono magistrati che hanno poteri superiori e magistrati che hanno poteri inferiori). In generale i magistrati maggiori hanno più potere dei magistrati minori,ma anche all’interno della stessa categoria il cursus honorum pone dei gradini che mettono tra di loro i magistrati in posizione di subalternità o meno sulla base di una relazione di potere(il censore ha più potere del console,che a sua volta ha più potere del pretore,ecc.). Diversamente il rapporto tra i funzionari imperiali si regola sulla base di una diversa attribuzione di competenze. Quindi per la prima volta nel diritto romano (e da qui il nostro diritto amministrativo moderno)si parla e si attribuisce ad un determinato organo dell'amministrazione un ufficio, cioè una sfera di competenze,di funzioni. I funzionari imperiali sono quindi titolari, ciascuno per la propria area di competenza, di un coacervo di funzioni che comprendono tanto il lato amministrativo della questione (cioè occupando una determinata sfera di competenze), quanto il lato giuridico, giurisdizionale(cioè occupandosi di tutte quelle liti che possono sorgere in relazione a quella sfera determinata di competenze,quindi ognuno con la propria sfera di attribuzioni).

Un'altro carattere delle magistrature è l'onorarietà, cioè i magistrati esercitano il loro potere onorariamente. Caratteristica dei funzionari imperiali è invece la retribuzione,non solo venivano retribuiti da parte dello Stato,ma addirittura una loro classificazione gerarchica esiste sulla base delle classi stipendiarie(a quelle attribuzioni più complesse,di gestione,corrispondono classi stipendiarie più alte,a quelle attribuzioni invece più semplicemente esecutive corrispondono classi stipendiarie più basse).

Altro carattere delle magistrature è la temporaneità, cioè stanno in carica per un tempo limitato. Per quanto riguarda i funzionari imperiali invece,essendo titolari di un potere delegato,teoricamente dovrebbero stare in carica per lo stesso tempo nel quale gestisce il potere l'organo che gliel’ha a loro delegato. Il funzionario imperiale è chiamato dal principe e siccome il potere del principe è un potere a vita teoricamente il funzionario imperiale dovrebbe restare in carica per il tempo in cui il principe vive. Il principe successore è nella possibilità di nominare nuovi funzionari imperiali. Attenzione però! Questo solo nella teoria,perché nella pratica l’attività del funzionario imperiale è un’attività non temporanea,ma tendenzialmente a tempo indeterminato,cioè dura senza limiti di tempo. Lo possiamo dire perché per esperienza sappiamo che il sistema della burocrazia imperiale era un sistema che tendeva a mantenere le specialità acquisite nel corso degli anni. Un imperatore romano era sempre libero di nominare i propri funzionari,era sempre libero di esautorare quelli nominati dal predecessore,ma era più frequente che mantenesse al proprio posto quei funzionari che non solo avevano gestito bene la propria attività(avevano quindi dato prova di sé),ma avevano acquisito un’esperienza e questo consigliava il mantenimento del funzionario in quel settore,quindi spesso la burocrazia tende a mantenersi uguale.

Altro carattere delle magistrature è la responsabilità,cioè il magistrato è irresponsabile per le attività che compie nel corso del proprio anno di carica,può essere chiamato a rispondere della sua attività alla fine della sua funzione. Anche qua per i funzionari imperiali vale esattamente il contrario:il funzionario imperiale è un soggetto assolutamente responsabile per le attività compiute nel corso dell'anno in carica,come oggi sono responsabili tutti coloro che gestiscono una qualunque struttura organizzativa o una qualunque struttura amministrativa. Ciò si spiega alla luce della atemporaneità del

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potere,visto che il funzionario stà in servizio teoricamente a vita è evidente che occorre sottoporlo a giudizi anche nel corso del tempo in cui presta servizio.

Quindi questo sistema di burocrazia imperiale,per quanto addirittura per un certo tempo conviva con il sistema delle magistrature,è esattamente e si pone come opposto a quello dei magistrati.

ORGANIZZAZIONE BUROCRATICA DELL’ETÀ DEL I E DEL II PRINCIPATO (che prima si affianca e poi sostituisce il sistema repubblicano)

I FUNZIONARI

A libellis praetorioannonae

Ab epistulis urbivigilum

A cognitionibus A memoriae rationes

provinciae A rationibus

viaeaquaeaedesludorum

I funzionari nel corso dell’età del principato si raccolgono attorno a queste 3 grandi aree:praefecti(prefetti),procuratores(procuratori) e curatores(curatori).Tra di loro non c’è un ordine gerarchico,c’è tecnicamente una distinzione sulla base delle competenze che ciascuno ha,ognuno ha la sua sfera di potere,qui non abbiamo il cursus honorum,non c’è un funzionario che vale di più e uno che vale di meno. Successivamente i principi faranno una classificazione gerarchica sulla base degli stipendi(perché sono stipendiati).

Tra i PRAEFECTI,vi sono i praefecti del praetorio e il praefectus urbi,che sono collaboratori molto vicini alla persona del principe. In particolare il prefetto del praetorio è la carica militare che ha ereditato in parte delle competenze militari dei consoli,perché era a capo delle corti dei pretoriani4. I prefetti del pretorio infatti avevano competenze militari generali del principe e avevano dei propri accampamenti dentro Roma. I funzionari imperiali oltre a funzioni di carattere amministrativo ebbero funzioni giurisdizionali nella sfera delle proprie materie di competenza e li ebbero anche i prefetti del pretorio,costoro infatti giudicavano in grado di appello nei confronti delle sentenze emesse dai governatori provinciali in materie criminali. Si dice che il prefetto del pretorio giudicava vice sacra,cioè al posto del principe. Essendo una competenza di carattere criminale,la competenza del prefetto del pretorio(e di tutti i funzionari imperiali)si esplica in un sistema processuale nuovo che si chiama cognitio extra ordinem,di cui si occupava un angolo dell’amministrazione,che è lo scrinium a

4 I pretoriani sono i militari più vicini alla persona del principe.

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SCRINIA

PRAEFECTI

PROCURATORES

CURATORES

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cognitionibus5. L’ordine dei processi è quello che Augusto(con le leggi giudiziarie che tante volte abbiamo richiamato)aveva creato nel 17. Nel 17 Augusto emette 2 leggi,leggi Giulie giudiziarie dei processi pubblici e dei processi privati,con le quali:abolisce le legis actiones e rende il processo formulare il processo dell’ordo(dell’ordine);abolisce la provocatio ad populum e rende il processo delle quaestiones pubbliche come processo dell’ordo. Tutto quello che si esplica fuori da questo ordine si chiama cognitio extra ordinem,cioè processo (cognitio) fuori dall’ordine.Allora il prefetto del pretore è competente a conoscere in grado di appello le sentenze emesse dai governatori provinciali in tutti quei processi che si svolgono fuori dall’ordine dei giudizi pubblici e quindi fuori dal sistema delle quaestiones pubbliche,dunque è competente secondo il sistema nuovo delle cognitiones extra ordinem. Ciò vale anche per tutti gli altri funzionali imperiali,che sono competenti in via giuridica,giurisdizionale,per tutte le questioni che riguardano la loro sfera di attribuzione di competenza extra ordinem,cioè fuori dall’ordine dei giudizi creato da Augusto,giudizi pubblici e giudizi privati(perché le competenze giurisdizionali sono sia pubbliche che private,nel caso del prefetto del pretorio sono soprattutto di carattere pubblico). Il nostro libro poi ci dirà che questo prefetto del pretorio è una persona molto vicina all’imperatore,alcuni addirittura usurparono la carica e si fecero nominare imperatori essi stessi6. Discorso simile può essere fatto per il prefectus urbi. Ricorda il nome di una delle prime cariche dell’età del regnum,che fu proprio quella del prefectus urbi,competente,in età del regnum,a svolgere funzioni di ausilio al rex in tutte quelle circostanze in cui il rex era fuori da Roma. Anche nel corso dell’età del principato viene recuperato come carica e per certi versi recupera in parte le funzioni di carattere amministrativo che erano state proprio del pretore urbano,il quale ormai nel corso dell’età del principato ha solo funzioni di natura giurisdizionale. Quindi il prefectus urbi ha una funzione di controllo all’interno della città,controllo innanzitutto di natura criminale,egli è competente a conoscere per i crimini che si verificano dentro Roma ed entro 100 miglia dal pomerium,ha competenze quindi limitate sul territorio della città. Sono funzionari nuovi che sono competenti in relazione ad una sistema processuale a sua volta nuovo,quello delle cognitiones extra ordinem e svolgono tutta una serie di funzioni di controllo all’interno della città per tutto quello che riguarda attività di polizia,di controllo notturno,di controllo alla materia dei costumi,ecc. quindi è una sorta di organo amministrativo con competenze limitate all’interno dell’urbe. Questi si accompagnano ad altri 2 prefetti che sono quello dell’annona e quello vigilum. Il praefectus vigilum ha funzioni di controllo soprattutto sull’ordine pubblico e in particolare sullo stato degli incendi,i suoi antenati sono i tresviri capitales o notturni,i quali avevano la funzione di controllo,pure di notte, che Roma non prendesse fuoco. Ecco il prefectus vigilum ha pure la funzione di controllo delle corti dei vigili e appunto erano deputati,in quanto vigili del fuoco,in modo particolare ad assicurare un corretto andamento dell’ordine pubblico.Del tutto nuova è invece la carica del prefectus annonae. Erano degli organi che svolgevano delle funzioni di controllo dell’approvvigionamento alimentare di Roma,in particolar modo quello relativo al grano(che fossero pieni i granai della città,perché,fallite tutte le proposte di riforma agraria fu tipico della qualifica di cives romani quello di potere godere di una o più frumentationes annuali,cioè il potere di godere di una distribuzione gratuita di cibo che

5 Questo scrinium a cognitionibus si occupava di regolare i processi che si svolgevano secondo questo sistema processuale nuovo delle cognitiones extra ordinem.

6 Galbo,Otone e Vitello(di cui abbiamo parlato la scorsa lezione quando abbiamo trattato la lex de imperio Vespasiano)erano prefetti del pretorio generale dell’esercito,che erano proprio a capo di interi eserciti e si facevano nominare direttamente imperatori. A dirci che sono usurpatori e non imperatori legittimi è la lex de imperio,perché per loro quest’ultima non è intervenuta,è intervenuta solo per Vespasiano,unico principe,quell’anno(74 d.C.) e per gli anni successivi,riconosciuto dal senato.

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assicurava ai romani una sussistenza). Chi deve soprasiedere al controllo dell’effettiva consistenza dell’annona sono proprio questi prefetti annonae. I PROCURATORES. Innanzitutto il termine procurator (procuratore per noi oggi) fa riferimento ad un semplice rappresentante,quindi ha funzione di rappresentanza. La sua attività si esplica innanzitutto nel campo delle provincie.Noi le province le abbiamo lasciate in età repubblicana come distinte in province proconsolari e propretorie. Con l’avvento del principato che sorte ha il sistema delle provincie? Leggendo la lex de imperio Vespasiani ci siamo accorti come il potere del principe,titolare tra l’altro di un imperium proconsulare maius et infinitum che si estendeva nei confronti di tutte le province(abbiamo anche accennato agli editti di Cirene,gli editti con cui Augusto proprio disciplina la provincia della Cirenaica,che è una provincia che non è imperiale). Nell’età del principato non si parla più di province proconsolari e propretorie,ma più genericamente vennero distinte in 2 grandi categorie:senatorie e imperiali. Le province senatorie sono quelle ereditate dalla libera res publica,che vengono naturalmente gestite da un organo repubblicano che è il senato;diverse sono invece le province imperiali,quelle che vengono gestite da parte del principe,il quale(è normale che non può girare per le province)nomina dei governatori provinciali che si chiamano appunto procuratores. Quindi mentre le provincie senatorie corrispondono alle vecchie province repubblicane e vengono regolate ancora col sistema dei proconsoli e propretori,che non ha caso erano scelti dal senato;le province imperiali sono gestite da rappresentanti del principe che si chiamano procuratores(questi sono governatori provinciali imperiali). La distinzione tra province senatorie e province imperiali è di natura e carattere prevalentemente fiscale. Tanto è vero che non è un caso che il procurator oltre che a funzioni di carattere di amministrazione delle province aveva anche funzioni di natura fiscale(le questioni fiscali le abbiamo indicate nello schema quando abbiamo parlato di rationes o ratio,che significa tante cose ma in questo capo significa appunto “conto”,”fare i conti”,naturalmente dello Stato).Le provincie senatorie e imperiali pagavano infatti imposte di carattere diverso:le imposte pagate dalle province senatorie si chiamavano stipendium che confluiva nella vecchia cassa che esisteva già in età repubblicana e che si chiama aerarium Saturni;le provincie imperiali invece pagavano un tributum che andava ad alimentare una cassa diversa,che invece si chiama fiscus Caesaris(da cui il nostro moderno fisco),la quale fa capo direttamente alla persona del principe.Il procurator si pone a metà e ha quindi sia una funzione di governo della provincia,ma anche una funzione di gestione delle rationes,cioè dei conti. È una sorte di ministro del tesoro ante litteram,che ha il suo posto nello scrinium che è appunto quello a rationibus, in cui si fanno i conti.I CURATORES,invece, curano le vecchie competenze degli edili curuli e degli edili plebei. Abbiamo i curatores viarum,che curano il mantenimento della rete stradale;dei curatores aquarum,quindi degli acquedotti;dei curatores aedium sacrarum che si occupavano dei templi,il procuratore cura ludorum,che erano organizzati naturalmente appunto da questi funzionari imperiali.Questo sistema che abbiamo cercato di classificare il più possibile ,innanzitutto non è completo,perché ci sono altri funzionari che non abbiamo scritto qui,ma che esistono,per esempio sotto Augusto noi abbiamo,oltre a questi,dei legati Augusti pro praetore,quindi delegati di Augusto che erano competenti a una funzione di controllo nei confronti delle autonomie locali.La persona di questi funzionari imperiali è stata funzionale per almeno 100 anni,cioè non è che ci sono state delle riforme,che si sono avute con Augusto e poi con i sui successori,tali da avere determinato un nuovo sistema di amministrazione burocratica,venivano creati naturalmente questi funzionari imperiali a seconda del bisogno.

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Ecco quindi che poi si è creato un sistema più o meno alluvionale(se c’era bisogno di questo funzionario lo si creava)che poi si è regolamentato con Adriano,nel 117. Quindi noi abbiamo la possibilità di fare questo tipo di elenco,questo tipo d’identificazione,che però vale dall’età adrinianea,quando per la prima volta si mette ordine nella burocrazia imperiale e soprattutto si mette ordine a livello centrale.Con Adriano(quindi siamo nel II principato) viene infatti per la prima volta creata una sorta di vera e propria cancelleria di Stato che per la prima volta mette ordine a livello di gestione amministrativa. Adriano infatti istituisce 2 fondamentali organi:

il primo si chiama consilium principis; il secondo è un sistema di scrinia,che letteralmente significa sezioni di una più ampia

cancelleria imperiale,che si occupa a livello centrale delle funzioni più importanti dell’impero alle quali poi si collegano chiaramente le funzioni dei singoli funzionari.

Quindi la I RIFORMA DI ADRIANO è il CONSILIUM PRINCIPIS,che come dice lo stesso termine è un consiglio del principe. Questo esisteva già dai tempi di Augusto,il quale aveva infatti la consuetudine di confrontarsi, di consultarsi,con alcuni dei suoi collaboratori per le decisioni più importanti che doveva prendere,però questo consilium principis era sempre lasciato alla discrezione del principe(cioè di quando convocarlo,di come convocarlo,ecc.). Per la prima volta viene istituzionalizzato invece un organo proprio ufficiale solo sotto Adriano. Di questo consilium principis fanno parte i giuristi più importanti di quel tempo,che coadiuvano Adriano nella scelta di tutte le proprie decisioni in applicazione proprio di quella funzione del giurista romano che era non solo di studio e di attività scientifica,ma anche di attività politica.I più importanti giuristi del tempo di Adriano (Salvio Giuliano,Nerazio Prisco,Celso Figlio,ecc.) sono tutti dei giuristi i quali appunto stanno a fianco del principe per coadiuvarlo non solo nelle riforme di natura giuridica,ma anche di natura politica. I giuristi erano uomini di mondo,che vivevano il loro tempo tanto che i più importanti giuristi facevano parte di un consilium principis in cui si prendevano le decisioni più importanti dello Stato.La II RIFORMA DI ADRIANO è il SISTEMA DEGLI SCRINIA. Era un sistema molto semplice: una sezione era c.d. a rationibus e si occupava della gestione del fisco,perché nel principato Roma,per la prima volta,si dota di un sistema fiscale complesso e che rappresenterà forse una delle cause più importanti della sua stessa fine (l’impero romano implode proprio per la struttura elefantiaca del suo sistema fiscale).Il SISTEMA FISCALE ROMANO nasce nel corso dell’età del principato,ma viene regolamentato per la prima volta proprio in età adrinianea (quindi tutto il discorso che faremo qui di seguito sul fisco vale,nella sua sintesi,proprio perché Adriano lo regolamenta).Questo sistema viene gestito a livello centrale in uno scrinium che è quello c.d. a rationibus,cioè una sezione che si occupa dei conti,delle rationes.Scrinium a memoriae competente per l’archiviazione dei dati. Con Adriano(quindi solo dopo 100 anni dalla nascita del principato)per la prima volta si regolamenta l’archiviazione dei provvedimenti imperiali(figuriamoci la confusione che ci doveva essere prima,quindi attenzione a considerare i testi e i provvedimenti che escono dalla cancelleria imperiale come dei provvedimenti conosciuti da tutti e conservati nel tempo,perché spesso non si trovavano più,spesso non si ritrovava l’originale o si ritrovavano solo in parte. L’archiviazione dei provvedimenti imperiali viene iniziata solo sotto Adriano). Questo incide pesantemente sullo studio di almeno 2 tipi di costituzioni imperiali che sono i rescritti e gli editti.Lo scrinium a cognitionibus si occupa delle cognitiones extra ordinem,si occupa di tutte quelle questioni che abbracciano i processi fuori dall’ordo iudiciorum e privatorum,cioè si occupa di tutta l’attività quindi giurisdizionale dei funzionari,al quale confluiscono tutte le corti di appello,che si

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occupa della gestione dei ruoli dei processi e in generale dello svolgimento delle attività processuali pubbliche e private che si svolgono secondo il sistema della cognitio extra ordinem,che vedremo essere il nuovo processo che s’impianta per quanto riguarda il processo privato al processo formulare,per quanto riguarda il processo criminale alle quaestiones pubbliche(quest’ultime restano in un numero limitato di 9,non se ne creano delle nuove).Gli ultimi 2 sono lo scrinia a libellis e scrinia ab epistulis. Quest’ultimo aveva 2 sottosezioni a seconda che le epistole erano scritte in greco o in latino(quindi si parla di uno scrinium ab epistulis graecis e scrinium ab epistulis latinis). Stiamo parlando di uno scrinium che si occupava della corrispondenza imperiale,cioè di tutte le epistole che l’imperatore decideva di scrivere. Le epistole erano la corrispondenza statale,quella che Augusto e tutti i principi curavano nella gestione della propria attività. Quindi destinatari di queste epistole erano i funzionari imperiali (procuratores,curatores,prefecti),vecchi magistrati che ancora esistevano(i consoli per esempio,i censori fino a quando c’erano)tutti quei rami dell’amministrazione ai quali Augusto dava le proprie direttive(celebre l’epistolare tra Plinio e Traiano,che è un pozzo di informazioni per noi perché l’imperatore Traiano aveva una corrispondenza epistolare con un suo proconsole,che si chiamava Plinio il Giovane,e si scrivevano quotidianamente per tutte quelle questioni di Stato che questo nuovo sistema si trovava a dovere affrontare). Le epistole erano tutte le lettere che il principe quindi scriveva ai propri funzionari,queste assurgeranno al rango di fonte del diritto,divenendo delle vere e proprie costituzioni imperiali a carattere normativo,perché siccome erano volontà del principe quello che era il loro contenuto,quando era giuridico,aveva un valore per tutti i sudditi o quanto meno per i sudditi di quella determinata regione o per quella determinata fattispecie.Simile allo scrinium ab epistulis è lo scrinium a libellis. La differenza è data dal fatto che mentre nel primo il principe prende la penna e scrive ai suoi funzionari,nello scrinium a libellis invece il rapporto è al contrario,cioè è una sorta di casella postale nella quale arrivano tutte le richieste,che si chiamano appunto libellis,con cui qualunque suddito(quindi non un funzionario imperiale dell’amministrazione)poteva scrivere alla cancelleria imperiale per chiedere lumi,consigli,pareri giuridici su tutte quelle questioni di diritto che potevano sorgere nel corso della sua vita. È opportuno correggere un errore fatto dal nostro libro,il quale dice che lo scrinium a libellis era quello scrinium nel quale un qualunque privato cittadino poteva chiedere nel corso di un processo l’intervento del principe per risolvere una questione controversa di diritto. Questo è sbagliato perché lo scrinium a libellis era quello scrinium nel quale un qualunque privato cittadino poteva rivolgersi al principe in qualunque momento, sia che ci fosse o meno un processo, sia che ci fosse già stato un processo deciso con una sentenza passata in giudicato poteva chiedere un parere,quindi un responso a questioni di diritto,di qualunque tipo e genere fossero,quindi scriveva un libello,il quale era una vera e propria prece,una domanda,che veniva inviata a questa sezione dello scrinium a libellis,alla quale facevano parte naturalmente giuristi. Questo rispondeva in calce(dietro,nella parte bianca)a questo libello e anche questa risposta avrebbe avuto valore normativo e sarebbe stata chiamata,a partire da Adriano,rescritto(cioè scritto dietro,dietro anche nel senso di risposta,cioè dietro domanda non solo come dietro il libello) e quindi nello scrinium a libellis si concentra soprattutto la nostra attenzione perché è lì la cucina delle riforme di carattere giuridico dell’età del principato. Cioè quando il privato cittadino,anche il suddito della più remota provincia,non sa come risolvere una qualunque situazione di diritto scrive alla cancelleria imperiale, la quale in quella sezione dello scrinium,fatta da giuristi,risponde naturalmente sulla base del diritto,quindi è davvero il momento(nell’età di Adriano) in cui il diritto romano trova il motore più importante di evoluzione.

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IL SISTEMA FISCALE ROMANO

vicesima manumissionum AERARIUM

SATURNI stipendium

bona vacantia+caduca

AERARIUM centesima rérum venaliumMILITARE

vicesima hereditatum

patrimoniumPrincipis tributum

FISCUSCAESARIS dazi doganali

Res privataPrincipis

In età repubblicana la caratteristica principe dell’essere cittadini romani era quella di non pagare le tasse e solo straordinariamente i cittadini romani pagavano un tributum ex censu,ma questa situazione non esiste per tutta l’età repubblicana,perché nel momento in cui Roma si espande nel mediterraneo inizia anche un’evoluzione nel senso della creazione di casse,nelle quali fare confluire proventi che vanno direttamente allo Stato.La cassa più antica si chiama AERARIUM SATURNI. Si chiama così perché aveva sede nel tempio di Saturno a Roma,questa è una cassa che esiste già in età repubblicana matura,quindi non è una cassa nuova del principato,ed era alimentata soprattutto dallo stipendium,che è l'imposta fondiaria,il cui ammontare derivava dalla grandezza del suolo,che veniva pagata da parte dei provinciali.La differenza più importante tra i romani e i provinciali è che i primi non pagano tasse e ricevono frumentationes,i secondi pagano le tasse(la tassa che pagano i provinciali fin dall’età repubblicana si chiama stipendium,che è un’imposta fondiaria,ha un’aliquota che cambia a seconda della provincia e la cui unità di misura è appunto l’estensione fondiaria).Se facciamo caso al fatto che la prima provincia è la Sicilia e siamo intorno al 240 a.C.,ci renderemmo conto come questo stipendium è un’entrata che è iniziata a confluire nelle casse dello Stato romano intorno al 200 a.C.(siamo quindi alla fine dell’età repubblicana).L’aerarium saturni viene alimentata ancora dalla vecchissima vicesima manumissionum è un'imposta che grava e che consiste nel dovere di pagare allo stato della ventesima parte del valore di ogni schiavo manomesso. La manomissione è un atto di affrancazione con il quale ogni schiavo poteva acquistare la libertà. Già dalla media età repubblicana venne introdotta,per legge,una tassa che gravava su questa forma di manifestazione di ricchezza.Confluiscono nell’aerarium saturni anche bona vacantia e caduca,sono tutti quei beni che,per le più svariate ragioni,si trovano sprovvisti di un titolare e che vengono requisiti da parte dello

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Stato(per bona vacantia pensiamo ad es. a tutti quei beni che vengono lasciati durante le guerre e che non vengono più ripresi da parte dei soldati che non tornano più,non lasciano famiglie o che vengono gestiti da altri,in taluni casi lo Stato decide di requisirli e diventano beni dello Stato. I caduca sono legati alla legislazione caducaria,che era una legislazione successoria. In diritto romano infatti c’erano determinate leggi che disciplinavano la successione con determinate clausole,quando venivano violate queste leggi i beni di quella successione diventavano caduca e andavano a finire nella cassa dello Stato).Con la nascita del principato viene mantenuta la vecchia cassa repubblicana e viene mantenuta con questo tipo di sistema,cioè con il vecchio gettito,ma vengono create 2 casse nuove. Sotto Augusto viene creato un’AERARIUM MILITARE ed un FISCUS CAESARIS.Innanzitutto in età del principato si sente il bisogno di una riforma a livello fiscale perché lo Stato esce da un periodo di 50 anni di guerre e c’era la necessità di regolarizzare gli introiti delle casse e soprattutto di perequare la sproporzione,che era diventata intollerabile,tra cittadini romani e provinciali.Così come gli italici in età repubblicana avevano lamentato la loro situazione di assoggettamento fino a quando non avevano ottenuto la cittadinanza,qualcosa di molto simile succede per i provinciali. Quest’ultimi all’inizio del principato lamentano questa situazione di particolare favore nei confronti della quale vivono i cives romani e infatti proprio Augusto per cercare di equilibrare la situazione tra provinciali (che pagavano lo stipendium) e i romani (che non pagavano nulla,pagavano la vicesima manumissionum) crea la vicesima hereditatum,un’imposta nuova che grava sui romani (ecco quindi che cambia lo status del civis romano,non è più solo un privilegiato,è un suddito,tant’è che ad un certo punto inizia pure a pagare le tasse) e la pagano tutti. Mentre la vicesima manumissionum la pagavano solo coloro che avevano gli schiavi e che comunque decidevano di manometterli,la vicesima hereditatum la pagano tutti,perché tutti muoiono. Infatti la vicesima hereditatum è la c.d. tassa di successione che corrisponde alla ventesima parte dell’asse ereditario,del valore dell’eredità(cioè chiunque muore,a prescindere dalla sua successione testamentaria o ab intestato,deve allo Stato la ventesima parte del valore dei beni ereditari). Muta la concezione del cittadino,che non è più civis,cioè titolare attivo solamente,ma passivo,lo Stato inizia a diventare qualcosa di diverso da lui.L’aerarium militare viene alimentato anche da un’altra dorma di imposizione che si chiama centesima rèrum venalium. È una sorta d’imposta molto blanda per ora,poi diventerà la più importante del basso impero,(che possiamo considerare simile alla nostra iva) era la centesima parte del valore dei beni venali che gravava in talune ipotesi quando venivano contrattati era una sorta di tassa sulle transazioni commerciali. La gestione è naturalmente sempre,quando verrà creato,da parte dello scrinium a rationibus.Terza e ultima novità del principato è che accanto a queste 2 vecchie casse dello Stato(che infatti si chiamano erari appunto per rilevare la loro rilevanza statale) cosa diversa è il FISCUS CAESARIS,cioè una cassa dell’imperatore,che fa capo non allo Stato,non allo scrinium a rationibus(poi lo diventerà pure),ma originariamente bastava la persona del principe. In modo particolare nel fiscus Caesaris si distinguono il patrimonium principis dalla res privata principis. Il primo viene considerato proprio come una sorta di patrimonio della corona,cioè dei beni della corona,beni che fanno parte appunto del principe(la domus aurea per es.) e che si trasmettono al successore(la residenza,alcuni dei c.d. horti Sallustiani,che esistono ancora nella città del Vaticano,erano dei giardini imperiali che non erano proprio di un imperatore piuttosto che di un altro,erano di tutti gli imperatori,che si trasmettevano naturalmente ai successori e così per tutta una serie di monili,suppellettili,schiavi,ecc. che facevano parte della corona,quindi a prescindere dall’imperatore).

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Diversa poi dal patrimonium principis è la RES PRIVATA PRINCIPIS,cioè il patrimonio del singolo imperatore,che naturalmente era suo proprio e che se lo portava in dote quando diventava imperatore,quindi creava dei proventi i quali anche loro andavano a confluire nel fiscus Caesaris.Distinto in questo modo il fiscus Caesaris nel corso dell’età dell’impero viene alimentato da 2 imposte fondamentali,che sono:

1. quella pagata dalle province imperiali,che si chiama tributum e che è la stessa cosa dello stipendium,cioè un’imposta fondiaria la cui aliquota dipende dall’estensione di un fondo che viene pagata da parte dei sudditi questa volta non delle province senatorie ma delle province imperiali;

2. dai dazi doganali,cioè tutte quelle imposte sulle importazioni(i romani commerciavano con tutto il mondo allora conosciuto appunto perché venivano importati questi prodotti a Roma).

Questo sistema non dura nel corso dell’età del principato perché la tendenza è quella del fiscus Caesaris di appropriarsi e di comprendere le altre casse. Nel corso dell’età dei Severi il fiscus Caesaris infatti avrà già inglobato l’aerarium militare e l’aerarium saturni,perché è una manifestazione della propensione del principe ad appropriarsi dello Stato.Cambia anche il sistema della riscossione delle imposte(e questo è importante perché sarà una delle cause della caduta dell’impero romano). Nell’età repubblicana e nei primi tempi dell’età del principato funzionava secondo i racconti evangelici:c’erano i pubblicani che si occupavano della riscossione delle imposte,questi giravano per le varie province,dove i cittadini non pagavano, e prendevano appunto i soldi. In età repubblicana lo Stato decide di provvedere da sé alla riscossione,quindi non appalta più società di pubblicani per la riscossione e riscuote le imposte in prima persona,autonomamente a livello periferico(quindi lo scrinium a rationibus dirà al procurator delle rationes che bisogna riscuotere,una cifra pari ad x,il procurator naturalmente riscuoterà al livello periferico per la provincia,dentro di questo al livello di ogni distretto e poi dentro ogni città,fino ad arrivare al singolo cittadino. Quindi sono i funzionari che si occupano di questi vari passaggi). Ciò al fine di perequare il sistema delle spese con il sistema delle entrate,cioè per la prima volta,in età del principato,lo Stato sulla base del gettito fiscale che aveva ottenuto con la riscossione delle imposte decide quali sono le spese che può affrontare (strade,acquedotti,campagne militari). Mentre tutto questo in età repubblicana era appannaggio dei singoli cittadini,perché erano questi che prendevano lo scudo e la spada e andavano a combattere,nel corso dell’età del principato naturalmente era Appannaggio dello Stato,che per fare fronte a questo tipo di spese normalmente cerca di perequare,di stabilire le aliquote di queste varie imposte sulla base delle spese che deve compiere.Tra le tendenze di politica legislativa c'era quella legata alla perequazione del carico fiscale tra provinciali e romani perché c’era un parallelo con la questione degli italici,i quali lamentavano una situazione di sperequazione rispetto ai cittadini romani. Alla stessa maniera nel corso degli anni(nel principato) i provinciali lamentarono il fatto di essere sottoposti a tutta una serie di imposte molto gravose,soprattutto per quanto riguarda lo stipendium e il tributum,a fronte dei cittadini romani i quali avevano da parte loro imposte assolutamente non fisse,ordinarie,pagate sempre,ma appunto pagavate una tantum(per es. all’atto della morte la vicesima hereditatum). Nel quadro dell'età dei Severi7. È un periodo nel quale,non solo le varie casse dello Stato vengono inglobate dal fiscus Caesaris,ma si realizza definitivamente quel sistema di perequazione del carico fiscale tra cives e provinciali. C'è da sapere infatti che sotto uno di questi imperatori dell' età dei Severi,che si chiama Antonino Caracalla,nel 212 d.C. viene estesa la cittadinanza romana a tutti i 7 NOTA BENE: l' anno della salita al trono di Settimio Severo è il 193,quindi bisogna

correggere appunti iniziali dove si diceva che l’età dei Severi parte dal 196,in quanto parte dal 193.

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provinciali e secondo gli storici più accreditati questo provvedimento ebbe delle origini di natura proprio fiscale,cioè si voleva rendere cives e provinciali tutti uguali davanti allo Stato. Il risultato in ogni caso,a prescindere dalle ragioni,è stato quello di un’indebita estensione della cittadinanza a tutti i provinciali,che naturalmente stavano fuori dalla penisola italica,perché nella penisola italica alla fine del bellum sociale vivevano appunto gli italici. C’erano state anche altre piccole estensioni di cittadinanza di carattere frammentario,ma il grosso fù appunto con la constitutio antoniniana o anche conosciuta come editto di Caracalla. Uno storico greco,che si chiama Dione Cassio,giustifica questo provvedimento proprio per ragioni di natura fiscale,solamente che da greco che era,quindi da provinciale, non vede questo provvedimento a favore dei provinciali,perché dice che alla fine questo provvedimento di Antonino Caracalla dà come risultato quello di estendere la vicesima hereditatum e la vicesima manumissionum anche ai provinciali,cioè non solo i provinciali nel 212 avrebbero continuato a pagare il tributum e lo stipendium che i romani non pagavano,perché erano tributi che gravavano su fondi provinciali,ma furono estese ai provinciali anche la vicesima hereditatum e la vicesima manumissionum,quindi addirittura la situazione dei provinciali si sarebbe ancor di più aggravata rispetto a quello che era prima. Ora a prescindere da questa riflessione di natura fiscale la cosa certa è che nel 212 l’impero diventa globale,non si distingue più tra la posizione del civis o del provinciale,tutti diventano nuovi cives,cioè un anno dopo quel provvedimento si apre di nuovo un era nuova,anche se siamo quasi alla fine dell’età del principato e tutti sono cittadini romani. La constitutio antoniniana ci è pervenuta direttamente attraverso un papiro,che si chiama PAPIRO GIESSEN I 40 (dal nome della città in cui è conservato), il quale contiene il testo della c.d. constitutio antoniniana. Il testo è in greco e di difficile interpretazione,però alcuni casi sembrano sicuri,cioè nel 212d.C. viene estesa la cittadinanza romana a tutti i provinciali,esclusa una sola categoria che è quella dei peregrini dediticii,che erano quegli stranieri che si erano arresi ai romani senza combattere e per la mentalità nazionalista romana era più grave dell’infamie. Quello che dobbiamo sottolineare non è tanto il contenuto di questo provvedimento che è una storia strana perché i giuristi non lo ricordano,lo ricorda solo un giurista che si chiama Ulpiano,però questo sbaglia perché non lo attribuisce ad Antonino Caracalla,ma ad Antonio Pio,insomma c’è tutta una storia legata all’identificazione di questo provvedimento,molti dubitano che sia effettivamente di Antonino Caracalla,però negli ultimi 30/40 anni si è arrivati ad una sorta di visione comune sulla constitutio antoniniana. Il 212 d.C. segna un periodo di grave crisi dell' impero romano dal punto di vista giuridico,perché figuriamo ci quello che succede proprio nella materialità. Pensiamo per esempio all' egiziano(perché gli egiziani avevano un diritto totalmente diverso da quello dei romani) che il giorno dopo la constitutio antoniniana,si ritrova ad essere cittadino romano .Si deve comportare da romano o da egiziano? È uno scontro di diritto che viene nella dottrina moderna viene identificato come uno scontro tra una sorta di diritto ufficiale,che è quello che era il diritto ufficiale dello Stato e il cui nome tedesco è REICHSRECHT (cioè diritto ufficiale dell’impero) e i diritti locali,delle singole consuetudini che erano quelle del popolo e di cui tutti i sudditi si servivano fino al giorno prima dell’estensione della cittadinanza romana,e che si chiama VOLKSRECHT(cioè diritto del popolo),ma non è che diventano cittadini ROMANI solo formalmente,ci diventato anche con il nome. Per esempio ai nuovi nati verrà attribuito un prenomen nuovo,verranno chiamati aureli. Questo diritto del popolo era proprio quelli di cui si servivano i provinciali prima dell’anno 212 e che continuano ad utilizzare anche dopo. È valido? Non è valido? Che rapporto ha con il diritto fiscale?

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E qua ci sono una congerie di tesi e di teorie(di cui il prof. non vuole appesantirci basta che sappiamo dell’esistenza del problema,cioè dopo il 212 la concessione della cittadinanza crea quindi un confronto,che secondo alcuni autori fu uno scontro,tra il diritto ufficiale e il diritto locale,quindi alcuni autori ricostruiscono questo scontro come una vera e propria battaglia che il diritto ufficiale portò nei confronti dei diritti locali nel tentativo appunto di combattere parti illecite(per esempio sposare una sorella). Questa è una tesi sostenuta da Mitteis. Secondo altri autori invece questi nuovi cives e questo diritto locale venne inglobato nel diritto ufficiale di Roma,naturalmente vero è che c’erano degli istituti che il diritto romano rigettò,ma ci sono degli istituti di diritto locale,greci per esempio,che i romani recepirono(es. i beni parafernali,da parapherna,che altro non è che la dote greca che i romani dopo il 212 acquisiscono nel loro diritto,perché i greci non avevano l’idea della dote come l’avevano i romani,cioè un bene che il marito acquistava in proprietà dei beni della moglie ed entrava nei beni del marito,ma la dote restava di disponibilità della moglie durante il matrimonio e questo era greco,ma i romani lo recepirono).Allora ciò significa che il diritto ufficiale non combatte il diritto locale,ma lo recepisce. È quello che sostiene un altro filosofo tedesco che si chiama Schonbauer,il quale sostiene che non è vero che i vecchi cittadini hanno perso la loro cittadinanza,ma l’hanno sommata a quella romana,quindi restano vecchi e nuovi,mantengono il loro vecchio diritto e nei limiti in cui questo vecchio diritto locale ancora si può utilizzare continua ad essere utilizzato e addirittura in certi casi recepito dal diritto romano. Siamo alla fine dell’evoluzione della storia del diritto romano,quindi si trattò di un fenomeno sociale che riguarda la tarda età classica.

N.B.Si rinvia al libro per tutto quello che non è stato detto.

LO STUDIO DEL DIRITTO DI ETÀ CLASSICANoi studiamo il diritto romano perché ci sono stati dei giuristi classici che hanno scritto delle opere,le quali sono arrivate fino a noi attraverso Giustiniano.Noi imposteremo questo studio del diritto di età classica direttamente dallo studio delle fonti: Gai 1.2-7Si tratta di un testo di un giurista romano che ci informa del sistema delle fonti del diritto nel corso dell' età del principato,quindi noi affronteremo l’ordinamento giuridico dell’età del principato muovendo da questo sistema. D’altra parte la scelta di questo sistema non è casuale,se noi infatti scorriamo il nostro testo “Ab urbe condita”,a partire dal capitolo che stiamo studiando,ci renderemo conto che viene seguito un ordine:si parla prima delle leggi,poi dei senatoconsulti,poi degli atti del principe,poi si parla della giurisprudenza ecc. ecc. Ciò perché si segue lo schema di Gaio,che è alla base di tutti i sistemi che si seguono per lo studio del diritto romano.Gaio è per noi certamente il giurista più importante per lo studio del diritto romano,non tanto perché era più bravo degli altri(anzi forse era uno dei meno bravi),quanto perché a differenza di tutti gli altri giuristi romani c’è pervenuto fuori dal canale di Giustiniano.La fonte più importante di conoscenza delle opere dei giuristi romani per noi è il Digesto,cioè l’opera in cui Giustiniano raccoglie la maggior parte dei frammenti dei giuristi romani di età classica. Solo in un caso siamo riusciti a conoscere direttamente,quindi fuori dal canale di Giustiniano,l’opera di un giurista classico. Infatti nell’anno 1816 uno storico austriaco che si

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chiamava Guglielmo Niebuhr,si trovava in soggiorno a Verona,presso la biblioteca capitolare,e consultava un manoscritto delle lettere di San Girolamo. Leggendo questo testo si accorge che sotto la scrittura esteriore (cioè quella superiore) c'era una scrittura inferior (cioè sottostante). Era infatti abituale nel mondo antico riciclare materiali scrittori,quello che non serviva più si cancellava e si ci riscriveva sopra . Niebuhr si rende conto che la scrittura sottostante è quella dell’opera di un giurista romano e riesce a datare che quel palinsesto8 risaliva al V secolo.Inizia quindi un’età di studi su questo palinsesto veronese,si riesce a cancellare la scrittura superiore (cioè quella delle lettere di San Girolamo) e si rinviene sotto questa l’opera di un giurista classico,che grazie al confronto di quest’opera con certi frammenti che noi già conoscevamo attraverso Giustiniano,si è immediatamente identificato come il giurista Gaio.Il palinsesto veronese scoperto nel 1816 da parte di Niebuhr quindi è un testo scritto da un amanuense nel IV/V secolo d.C. (intorno all’anno 400 quindi prima di Giustiniano),che contiene l’originale di un’opera di un giurista classico,che si chiama Gaio,e che è vissuto nel II sec. d.C. sotto l' età degli Antonini.Quindi Gaio è un giurista di II secolo che noi abbiamo potuto conoscere in versione diretta,originale,attraverso la scoperta dell' opera che si chiama “Institutiones” da instituere,cioè insegnamento elementare. Cioè noi abbiamo tra le mani,a partire dal 1816,un’opera certamente classica,quindi non ritoccata da Giustiniano,che è una sorta di manuale di istituzioni di diritto romano scritto da uno stesso giurista romano,opera per noi preziosissima di conoscenza diretta del contenuto del diritto romano classico. Questo manuale che è stato scoperto,per altro,è un manuale per tanti versi misterioso,proprio perché è caratterizzato da alcune stranezze. Tra le varie le più importanti il fatto di avere una particolare propensione per lo studio del diritto romano antico,arcaico(quindi per noi ancora più prezioso,perché non solo ci fa conoscere il diritto romano dei tempi di Gaio,ma ci fa conoscere addirittura il sistema romano antico,per esempio quello delle leggi actiones) e invece per tanti istituti dei suoi tempi Gaio non ci dice niente. Sono state scritte biblioteche intere su questa questione,ma oggi tutti credono che questo è si un manuale dei II secolo,ma che prende le mosse da un precedente manuale(si parla in questi casi della questione dell’Ur9 Gaius),si rifà a modelli precedenti e questo spiega perché il manuale di Gaio non ci dice tante cose che avrebbe dovuto dirci dei sui tempi e invece ce ne dice tante altre dei tempi più antichi. Probabilmente è un manuale che si rifà ad un giurista di I secolo che aveva un nome simile e che si chiamava Gaio Cassio Longino(probabilmente autore di un modello rispetto al manuale di Gaio,che è di primaria importanza per la comprensione del diritto romano).Il manuale istituzionale di Gaio si distingue in 4 commentari,questi a loro volta sono divisi in 3 parti:

il 1° commentario si occupa delle persone,intendendosi per persone i rapporti di diritto familiare. I rapporti di diritto familiare in diritto romano si distinguono nei 3 status più importanti,che sono:1) lo status libertatis (quindi liberi e schiavi);2) lo status familiae (pater,filius,uxor,nepotem,ecc.) e 3) lo status civitatis (cittadini e peregrini).

2° e 3° commentario si occupano delle Res. Per res s’intendono i rapporti di natura patrimoniale,quindi:1) le obbligazioni; 2) le successioni;3) i diritti reali.

Il 4° commentario si occupa delle azioni e quindi il processo. Naturalmente essendo un manuale di diritto privato Gaio ci parla del processo privato romano e cioè le legis actiones e il processo formulare. Non ci parla delle cognitiones extra ordinem,pur essendo il processo vigente ai suoi tempi(ecco una dei tanti misteri del manuale gaiano).

A questa sistematica viene premesso una sorta di cappello iniziale in cui Gaio,prima di parlare dei

8 Palinsesto significa scritto 2 volte9 Ur è tedesco e significa originario.

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singoli istituti di diritto romano,ci parla del sistema delle fonti del diritto romano dei suoi tempi.Quando viene scoperto Gaio,nel 1816,siamo nell’età delle gradi codificazioni e il modello gaiano viene seguito in tutti i codici ottocenteschi,e da li passa ai codici moderni(infatti se noi oggi prendiamo la sistematica del codice civile ci rendiamo conto che viene seguita pedissequamente quella del manuale delle istituzioni di Gaio:persone,successioni;diritti reali;obbligazioni,poi c’è il 5° libro sul lavoro e il 6° libro della tutela dei diritti,cioè le azioni,perché fio a quando i codici di procedura penale e civile non vengono scorporati dal codice civile l’ultima parte era quella relativa al processo,cioè i legislatori della metà dell’800 e poi dell’inizio del 900 non fecero altro che seguire il modello istituzionale di Gaio). La sistematica del diritto civile data da Gaio non è l’unica,ma fu quella vincente perché venne appunto scoperta in originale.

Il commentario,questo si distingue in paragrafi:dal 2 al 7

2. Constant autem iura populi romani ex legibus, plebiscitis, senatus consultis, constitutionis principum, edictis eorum qui ius edicendi habent, responsis prudentium.

Traduzione:Il diritto del popolo romano è composto da leggi, plebisciti, senatoconsulti, costituzioni dei principi, editti di coloro che hanno il potere di emanarli, responsi dei giuristi.

Cioè Gaio nel presentare il suo manuale di istituzioni di diritto romano premette in cosa constino “ i iura populi romani “.Dobbiamo sottolineare 2 cose principali:innanzitutto il fatto che Gaio non parla di ius romanum,ma di iura populi romani,perché il diritto romano nel corso dell’età repubblicana e classica non è unico,ma sono tanti ordinamenti tra loro connessi:c’è un vecchio ordinamento che si chiama ius civile,che viene affiancato da un ordinamento volto a subirlo,che è il ius honorarium;c’è il ius gentium e a partire dall' età del principato c'è anche un ius novum o extraordinarium,cioè un diritto nuovo che nasce dalla pratica processuale extra ordinem,è tutto un complesso di diritto che viene fuori dalla pratica dei processi condotti extra ordinem,secondo regole che creano un sistema di diritto nuovo che è tipico dell’età del principato.Siamo ancora nel periodo del II principato nel quale la legittimazione o il riferimento del diritto è sempre fatto al popolo romano. Sarà solo nell’età dei Severi che il popolo non verrà più nemmeno preso in considerazione,ma ancora nel I e nel II principato l’idea è quella di un principato come forma di restaurazione della res publica,ecco quindi che subito il diritto è del popolo romano,non è ancora un sistema di sudditi come quello dei Severi e che si avrà dopo la constitutio antoniniana,è ancora un sistema ci cives e di provinciali,peregrini,che si avvalgono di un diritto,come vedremo in modo particolare per Gaio,che tende ad avvicinarsi al diritto di età repubblicana,cioè con tutte le caratteristiche di un sistema di partes iuris,cioè di parti tutte poste sullo stesso piano che concorrono alla formazione di un complesso più unitario,però questa prospettiva tipicamente repubblicana inizia gradualmente ad essere onerosa,infatti Gaio nell' introdurre la presentazione delle fonti del diritto romano(che sono fonti di cognizione) ci dice: <<Constant autem iura populi romani ex […]>>,questo “ex” evidentemente inizia a fare percepire un'alterità della fonte rispetto al diritto prodotto. Cioè noi abbiamo detto che di fonti di produzione si può parlare solo in un sistema normativo,in cui la fonte è qualcosa di diverso rispetto al diritto prodotto dalla fonte e questo rapporto di derivazione nel corso dell’età repubblicana non c’è,perché fonte e diritto sono

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Gai 1.2-7

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la stessa cosa e stanno tutte sullo stesso piano. Nel tempo di Gaio questo diritto di età classica(quello del I e II secolo) vale ancora,ma tende ad essere superato (lo vediamo già dal modo stesso in cui Gaio scrive,cioè non dice “iura populi romani constant in”,così si esprime Cicerone in età repubblicana,ma dice “constant ex” ,cioè “vengono da ”. Inizia nella mente dei giuristi romani a porsi quella prospettiva di derivazione,tant’è che di li a poco,un secolo dopo, un giurista che si chiama Papiniano parlerà espressamente di “venire ex”,cioè di venire da fuori e quindi appunto di vere fonti di produzione di diritto come le intendiamo noi oggi. Questo ponte di passaggio tra la pars iuris,tipicamente repubblicana(tessera di un mosaico)e la fonte del diritto “venire ex”(di cui parla Papiniano nell’età dei Severi)è rappresentato proprio dal manuale di Gaio,quindi siamo in un momento di snodo tra il superamento delle impostazioni repubblicane e un sistema invece normativo che sarà caratterizzato da una gerarchizzazione delle fonti. Gaio ci parla sia di fonti tipicamente repubblicane(legibus;plebiscitis;senatus consultis; edictis eorum qui ius edicendi habent,cioè gli editti giurisdizionali dei magistrati che hanno la iurisdictio,cioè ius honorarium,e infine responsis prudentium,cioè i responsi della giurisprudenza) che di fonti nuove (constitutionis principum,cioè i provvedimenti dei principi romani).Quindi il sistema delle fonti scritto da Gaio(che è il sistema delle fonti del diritto dell’età del principato,I,II e III secolo)si muove su un doppio binario:delle vecchie fonti repubblicane e appunto delle fonti nuove(in modo particolare le costituzioni imperiali e i responsi dei giuristi che sono diversi rispetto a quelli che erano stati nel corso dell’età repubblicana).Un elemento certamente un po’ paradossale è il fatto che un giurista di secondo secolo parli o comunque consideri una fonte del diritto la legge,dato che l’ultima legge repubblicana risale ai tempi di Nerva,nell’anno 86 circa d.C. Inoltre Gaio non solo le considera fonti vive,ma addirittura parametro di normatività delle altre. Cioè la legge pubblica del popolo romano,lungi dall' essere considerata ancora una fonte viva di diritto,viene ad essere considerata parametro di normatività delle altre fonti,che sono fonti che hanno valore di legge. Quindi la legge assume una sorta di ruolo centrale in questa elencazione,di quello che c’è e di quello che non c’è,perché questa non è un’elencazione completa(manca la consuetudine,forse perché non ha valore di legge nel modo in cui la intendiamo noi oggi). Es. prendiamo i numeri 4 e 5 del testo di Gaio:

4. Senatusconsultum est, quod senatus iubet atque constituit; idque legis vicem optinet10,[…].

5. Constitutio principis est […] ; quin id legis vicem optineat11,[…]

Traduzione:4. Il senatoconsulto è ciò che il Senato ordina e stabilisce, e che tiene, inquanto tale, luogo di legge,[…].

5. La costituzione del principe è […];né mai si dubitò che ciò tenga luogo di legge, […]

Gaio della legge pubblica del popolo romano ci dice:

10 Che ha valore di legge11 Cioè in tutta l’elencazione delle singole fonti del diritto che vedremo il valore della singola

fonte c’è ed è equiparato alla legge,ha valore come quello della legge. Quindi la legge pubblica del popolo romano è una sorta di perno di questa elencazione gaiana,perché è attorno alla legge che prendono forma le altre fonti.

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3. Lex est, quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est, quod plebs iubet atque constituit. Plebs autem a populo eo distat, quod populi appellatione universi cives significantur, connumeratis et patriciis; plebis autem appellatione sine patriciis ceteri cives significantur; unde olim patricii dicebant plebiscitis se non teneri, quia sine auctoritate eorum facta essent; sed postea lex Hortensia lata est, qua cautum est, ut plebiscita universum populum tenerent: Itaque eo modo legibus exaequata sunt.

Traduzione:3. La legge è ciò che il popolo ordina e stabilisce. Il plebiscito è ciò che la plebe ordina e stabilisce. La plebe in questo si differenzia dal popolo, che con il termine popolo si indicano tutti i cittadini, compresi i patrizi; con il termine plebe si indicano, invece, gli altri cittadini, esclusi i patrizi, ragione per cui un tempo i patrizi dicevano di non essere vincolati dai plebisciti, in quanto formatisi senza la loro approvazione; ma poi fu emanata una legge Ortensia, con la quale fu stabilito che i plebisciti vincolassero tutto il popolo; essi, pertanto i questo modo, furono equiparati alle leggi.

Quindi Gaio nel II secolo ancora fa una distinzione tra legge e plebiscito e infatti dice che la plebe si distingue dal popolo poiché quando noi parliamo dei cives facciamo riferimento a tutto il popolo tenendo conto di tutti,patrizi e plebei,quando invece parliamo della plebe facciamo riferimento solo ai plebei,senza i patrizi. Per questa ragione una volta si diceva che i patrizi non erano tenuti ad osservare i plebisciti,perché erano stati rogati senza la loro auctoritas,ma successivamente è stata rogata una legge,che si chiama Ortensia,sulla base della quale è stato stabilito che i plebisciti sono vincolanti per tutto il popolo,per questo sono stati equiparati alle leggi. Quindi questa storia dell’equiparazione delle leggi e dei plebisciti la dà Gaio,e la dà in un periodo,che è quello del II secolo,nel quale leggi e plebisciti non esistono più,la fa quindi sulla base di una ragione storica. (Quindi i plebisciti valgono per la plebe,le leggi valgono per tutto il popolo,ma dopo la legge Ortensia leggi e plebisciti valgono per tutti,la legge non ha caso viene considerata come la prima fonte di normatività nell’elencazione gaiana).Ma la legge di cui parla Gaio è la stessa della legge di età repubblicana? Oppure la legge nel corso dell’età del principato,sebbene ha avuto una vita breve,è cambiata?Certamente un cambiamento c’è stato. In Ab urbe condita,a pag 143,troveremo infatti una celebre definizione di legge fatta questa volta da un giurista di età classica,che si chiama Ateio Capitone, il quale definisce la legge in modo nuovo.Quindi durante l' età del principato si può continuare a parlare di legge pubblica del popolo romano,queste ci sono ancora soprattutto in età augustea,ma non sono la stessa cosa delle leggi di età repubblicana. Le leggi di età repubblicana infatti erano dei provvedimenti che non avevano una portata normativa;potevano non valere per tutti e poiché il caput tralaticium impunitate,cioè la sanctio,non valeva come sanzione in quanto tale e quindi le leggi non venivano mai abrogate espressamente,esse tendevano a valere come precedenti per comportamenti simili. Le leggi potevano rivolgersi a persone singole,come persone singole potevano essere sciolti dall’osservanza delle leggi(ricordiamo l’istituto della solutio legibus).Mentre la definizione di legge che ci dà Ateio Capitone,uno dei più importanti giuristi dell’età del principato,è la seguente:Gell. 10.20.2

Ateio Capitone, espertissimo di diritto pubblico e privato, così definisce la ‘legge’ : ‘legge – dice – è un comando generale del popolo o della plebe,su proposta del magistrato’.

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Egli dice:<<lex est generale iussum populi aut plebis12 rogante magistratu>>,quindi la legge in età del principato è un ordine del popolo che ha una valenza normativa,generale e astratta,quindi assume quel carattere di normatività,di generalità che in età repubblicana ancora non aveva avuto.Quindi la legge resta certamente nella memoria dei giuristi come una fonte viva di diritto,ma non più come in età repubblicana in cui la legge poteva valere anche per un caso singolo(ricordiamo le quaestiones non permanenti,che venivano create con una legge,ma per quel caso singolo),anche per una persona,non c’era l’idea della normatività.In età del principato sì che la legge diventa normativa,cioè vale per tutti e vale tendenzialmente per sempre. Ecco perché Gaio ha la possibilità di prendere la legge a parametro di normatività,perché la legge è il simbolo,l’emblema,alla luce di questa definizione di Capitone,della fonte del diritto(cioè è una fonte che vale per tutti e che vale tendenzialmente per sempre,come d’altra parte per noi oggi la legge. Ma in diritto romano non è sempre stato così,addirittura in origine c’era una pronuncia di uno solo – sacra – con un valore che non poteva essere predeterminato,ma che era appunto stabilito volta per volta).Questa è parte dell’evoluzione della legge pubblica del popolo romano,vediamo,partendo dall’età del regnum,quanto diversa sia la conclusione rispetto a quello che abbiamo detto alle origini:da pronuncia solenne unilaterale diventa generale iussum populi aut plebis sulla base della proposta del magistrato. Sempre a pag 143,il testo delle fonti fa alcuni esempi di leggi augustee. Si tratta di una legge augustea in materia familiare,che potremmo leggere,aldilà del contenuto,a titolo di esempio per capire qualcosa di nuovo. È tratta da un passo del Digesto.D. 23.2.44 pr.(Paul. 1 ad legem Iuliam et Papiam)

Principium È il commento di un giurista romano,che si chiama Paolo,a questa legge di Augusto: Iuliam et Papiam.

Da notare la novità dell’età del principato,in quanto un giurista dell' età repubblicana non si sarebbe sognato mai di commentare una legge,perché le leggi avevano un contenuto spesso talmente limitato,dal punto di vista tipologico,che il giurista non scriveva un’opera monografica su una legge. Totalmente diversa è la legge in età del principato:ha un contenuto generale e ha un senso di disciplina generale dell’ordinamento,i giuristi addirittura dedicano opere monografiche alle singole leggi di Roma. Quindi le leggi del principato vero è che sono poche,ma hanno un contenuto così ampio tanto da giustificare i commenti da parte dei giuristi.

Con la legge Giulia così si dispone: ‘A coloro che sono o diventeranno senatori, ai loro figli,ai loro nipoti e pronipoti nati dal figlio, è fatto divieto di promettersi in matrimonio o di sposarsi scientemente e fraudolentemente con una libertina o con colei che abbia esercitato, o il cui padre o la cui madre abbiano esercitato il mestiere di attore. Anche alla figlia di un senatore, alla nipote nata da un figlio, alla pronipote nata da un nipote, a sua volta nato da un figlio, è fatto divieto di promettersi in matrimonio o di sposarsi scientemente e fraudolentemente con un libertino o con colui che abbia esercitato, o il cui padre o la cui madre abbiano esercitato il mestiere di attore; così come è fatto divieto a costoro di promettersi in matrimonio o di sposarsi scientemente e fraudolentemente con la figlia di un senatore’.

È una legge augustea che impone un divieto matrimoniale tra senatori,libertini e attori. La tecnica legislativa è totalmente diversa da quella usata in età repubblicana (ricordiamo le XII Tavole:”Si in

12 Perché ormai non si distingue più tra la legge e il plebiscito.

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ius vocat,ito”,cioè “se ti chiamano vai”), qui è una tecnica di natura normativa, chiunque senatore non si può sposare con chiunque attore,con qualunque libertino. Quindi la prospettiva normativa,generale e astratta abbraccia tutta la materia. L' ultima legge invece comiziale è una legge del tempo di Nerva,che viene riportata da un frammento di Callistrato.D. 47.21.3 pr.-1 (Call. 5 de cogn.)

Con una legge proposta da Gaio Cesare13è stata istituita una pena pecuniaria contro coloro che dolosamente abbiano spostato i cippi di confine dalla loro posizione o i confini stessi [...]. Con un’altra legge agraria,proposta dal divino Nerva, è stato stabilito che se il fatto sia stato compiuto dolosamente ed all’insaputa del padrone da uno schiavo o da una schiava,la pena sia quella capitale, salvo che il padrone o la padrona preferiscano pagare una multa.

È una legge in materia di apposizione di cippi di confine e che,anche qua, con una tecnica legislativa nuova,appunto generale e astratta, disciplina questa materia. Siamo al tempo di Nerva,l’ultima legge è del I secolo d.C.,ma ciò non impedisce alla legge pubblica del popolo romano di essere ancora riprodotta il secolo dopo da un giurista come parametro di normatività per indicare quali sono iura populi romani.

LE ALTRE FONTI DEL DIRITTO

Gaio 1-4: i senatus consultum.Anche qua tutte le notizie che abbiamo sui senato consulta le abbiamo da Pomponio(giurista contemporaneo di Gaio),ma già quel poco che ci dice Gaio è significativo. Quest’ultimo ci dice:

Senatus consultum est, quod senatus iubet atque constituit14; idque legis vicem optinet,quamvis [de ea re] fuerit quaesitum

Traduzione:4. Il senatoconsulto è ciò che il Senato comanda e stabilisce e che tiene, inquanto tale, luogo di legge, quantunque la cosa sia stata discussa.

Gaio dice che anche il senatoconsulto ha valore di legge sebbene di questa questione in passato si fosse dibattuto,perché in origine il senatus consultum era il parere quindi la natura normativa del senatus consultum è da parte dei giuristi valutata in maniera critica,ed è per questo che in passato fuerit quaesitum,ai tempi di Gaio però è un dibattito chiuso che i giuristi romani si chiedevano se effettivamente i senatoconsulti avessero valore di legge,ma i senatoconsulti per tutti hanno certamente valore di legge.Nel nostro testo di Ab urbe condita(pag 145) sono riportati il senatoconsulto Calvisiano,che è contenuto negli editti di Cirene,e il senatoconsulto dell' età di Nerone,che è il senato consulto Neroniano.Il primo è l’editto di Augusto ai Cirenei V linea 72-82Di questo editto ai Cirenei ne abbiamo già parlato quando abbiamo studiato la teoria dualistica di Mommsen sulla natura giuridica del principato,dicendo che in realtà non si può accogliere quella tesi perché gli editti imperiali valevano per tutte le province,anche quelle senatorie. Uno di questi

13 Gli imperatori romani si chiamano tutti Cesare,in questo caso è Nerva.14 È un’espressione che ricorre sempre e allo stesso modo.

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editti imperiali che noi conosciamo è proprio l’editto ai Cirenei. Lo studiamo in materia di senatoconsulto perché appunto questo editto contiene un senatoconsulto importante,che è quello di cui parleremo.

- Un senatoconsulto dell’età di Augusto

L’imperatore Cesare Augusto,pontefice massimo, nel diciannovesimo anno della sua potestà tribunizia15, dispone: Affinché sia noto a tutti coloro dei quali ci prendiamo cura il senato consulto emanato,alla mia presenza e con la mia partecipazione,durante il consolato di Gaio Calvisio 16 e di Lucio Passieno,senatoconsulto che attiene alla sicurezza degli alleati del popolo romano,ho stabilito di inviarlo nelle province e di porlo in calce ad un mio editto,attraverso il quale sarà manifesto a tutti gli abitanti delle province quanta cura abbiamo,io ed il senato, a che nessuno dei nostri sudditi sopporti qualcosa di ingiusto o subisca qualche ingiusta pretesa.

Questa è solo una parte di un editto con cui Augusto informa gli abitanti di questa provincia,la Cirenaica, dell' esistenza di un senatus consultum emesso durante l’anno del consolato di un certo Gaio Calvisio. Questo senatoconsulto Calvisiano infatti, che si data nell' anno 4 a.C. è il senatoconsulto con il quale viene delegato al senato stesso tutta una serie di competenze di natura giurisdizionale,che vengono conosciute sottoforma di cognitio senatoria.La cognitio senatoria,cioè le competenze di natura giurisdizionale del senato,nascono nel 4 a.C. grazie al senatoconsulto Calvisiano,contenuto negli editti di Cirene.Il contenuto del senatoconsulto Calvisiano è l’origine della cognitio senatoria,cioè l’attribuzione al senato di competenze giurisdizionali,naturalmente anche qua extra ordinem.

- Un senatoconsulto dell’età di Nerone.Gai 2.253 (cioè secondo commentario,paragrafo 253)Nel secondo passo,il senatoconsulto Neroniano,è Gaio che c’informa di un altro senatoconsulto.

Ma in tempi successivi,essendo consoli Trebellio Massimo ed Anneo Seneca, fu fatto un senatoconsulto,con il quale si dispose che,se ad alcuno fosse attribuita l’eredità per effetto di un fedecommesso, le azioni,che secondo il diritto civile competono all’erede e contro l’erede, fossero date a colui al quale l’eredità era stata attribuita per fedecommesso […].Il pretore infatti cominciò a dare le azioni utili a colui e contro colui che riceverà l’eredità, come se fossero date all’erede e contro l’erede;e quelle azioni si propongono nell’editto.

Questo è uno stralcio del contenuto del manuale di Gaio,cioè un contenuto di diritto privato romano. Stà parlando di azioni che vengono contenute nell’editto,ex senatoconsulto Neroniano in materia successoria,perché questo senatoconsulto Neroniano aveva disposto delle nuove modalità di confezione dei testamenti(questa era la materia del senatoconsulto Neroniano). I testamenti fino ad allora(siamo intorno al 60/61d.C.) si confezionavano seconda delle doppie,triplici scritture:si prendeva una tavoletta,si scrivevano le disposizioni testamentarie e la si ricopriva attorno con una tavoletta più grande,che veniva detta esteriore,con cui si scrivevano queste stesse disposizioni all’esterno,talvolta c’era addirittura un terzo strato con cui si disponevano queste scritture esteriormente. Allora succedeva che si leggeva la scrittura superiore,se tutti erano d’accordo valeva quella,ma se c’erano disaccordi si scioglievano i lacci,si

15 Il suo potere viene identificato in ottica tipicamente repubblicana.16 Si chiama senatoconsulto Calvisiano perché quell’anno il console era questo Gaio Calvisio.

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prendeva la scrittura inferiore e la si confrontava con quella esteriore,per vedere se c’erano state attività di manomissione,perché si diceva che quella interiore è naturalmente la scrittura più sicura. Purtroppo però si verificano grandi modificazioni testamentarie,perché questi testi,anche se erano tra di loro allacciati,era facile farli scivolare,quindi per scivolamento si allargavano i legami,si tirava proprio la tavoletta interiore e si modificava proprio quello che era scritto dentro,e quindi con il confronto non c’era bisogno di falsificare l’esterno,ma bastava falsificare l’interno,perché era tanto quello che valeva. Allora Nerone nell' affrontare questa situazione dispose un nuovo modalità di confezione dei testamenti:cioè queste tavolette,piuttosto che essere tra di loro allacciate all’esterno,vengono bucate e tra di loro legate come se fossero un libro,in maniera tale che vengono attaccate da un lato,il dorso,e non possono più essere sfregate o non possono più essere prese per scivolamento,cioè si devono leggere così,si devono sfogliare. Questo naturalmente determinò un deterrente alla possibilità che venissero aperti i lacci e cambiate le modalità di scrittura.Il senatoconsulto Neroniano quindi si occupa di confezione di testamenti e di conseguenza di questioni di natura ereditaria delle quali parla Gaio,perché ci dice quali azioni spettano,in quale maniera,se occorre l’aiuto del pretore,cioè parla del diritto vivo. Sembrerebbe uno scritto di età repubblicana,se non fosse che siamo nell’anno 61 d.C.Detto delle leggi,dei plebisciti e dei senatoconsulti,Gaio,aldilà del paragrafo 5 ci parla per la prima volta di una fonte nuova,che è la constitutio principis e cioè appunto la costituzione imperiale.Gaio dice questo:

5. Constitutio principis est, quod imperator decreto vel edicto vel epistula constituit. Nec umquam dubitatum est, quin id legis vicem optineat, cum ipse imperator per legem imperium accipiat.

Traduzione:

5. La costituzione del principe è ciò che l’imperatore stabilisce con decreto,oppure editto, o lettera, né mai si dubitò che ciò tenga luogo di legge, dalmomento che lo stesso imperatore riceve il potere per mezzo di una legge.

L’ imperatore riceve il potere per mezzo di una legge,che è la lex de imperio,ecco la legittimazione popolare del potere dell’imperatore. Attenzione però perché questa è una giustificazione data Gaio nel II secolo. I giuristi di una generazione dopo,cioè quelli dell' età dei Severi,quando troveranno a dovere definirci che cos’è la constitutio principis alla loro età e ai loro tempi,quando ormai le leggi de imperio saranno un ricordo del passato ci diranno che le costituzioni del principe sono dei provvedimenti che hanno un valore normativo e che tutto ciò che il principe vuole ha valore di legge. Ulpiano,in una celebre descrizione parallela a quella di Gaio,dice che la costituzione del principe è tutto ciò che al principe piacque e tutto ciò che al principe piace ha valore di legge.Da notare la prospettiva totalmente diversa del fondamento del potere del principe:quindi Gaio,giurista di II secolo,ci dice che il principe può emettere costituzioni imperiali perché il suo potere viene preso per legge (emette leggi perché ha un potere per legge),tale legge è la lex de imperio,perché ancora ai tempi di Gaio(siamo nell’età degli Antonini) il principe è legittimo se viene emessa una lex de imperio sul modello della lex de imperio Vespasiani;la prospettiva muta nell’età dei Severi:le leggi de imperio non sono più fonte di legittimazione,i principi prendono il

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potere in base all’approvazione militare (i Severi,in modo particolare,sono tutti principi militari,generali dell’esercito). Nel III secolo il fondamento del potere normativo del principe è nella volontà stessa del principe. Ulpiano,autore del primo passo del Digesto, quando,un secolo dopo, scriverà sulle costituzioni imperiali ci dirà che il principe emette costituzioni imperiali perché tutto ciò che al principe piacque e tutto ciò che al principe piace ha valore di legge.Nel nostro libro di fonti troviamo le costituzioni imperiali secondo uno schema,infatti a pag. 146 ci troviamo di fronte un’elencazione:Gli atti del princeps:

a) edicta;b) decreta,c) mandata.

Poi a pag 154 troveremo “le costituzioni casistiche: epistulae e rescripta”.(Poi c’è una ripetizione perché il testo parla ancora una volta dei decreta).Questa elencazione corrisponde a quanto ci dice Gaio?Gaio ci dice che la costituzione del principe è ciò che l’imperatore stabilisce per decreto,per editto o lettera, cioè Gaio non menziona i mandata e i rescripta.Il motivo è che le costituzioni imperiali hanno vissuto una loro evoluzione storica,non sono nate tutte assieme,ma sono nate nel corso del tempo e hanno raggiunto un valore normativo nel corso del tempo diverso. Ecco perché uno stesso giurista romano addirittura 2 non le menziona.Quindi premesso il fondamento del potere normativo del principe nel corso dell’età degli Antonini e appunto la legge de imperio,Gaio menziona queste 3 costituzioni imperiali:editti,decreti,epistulae,perché sono le più antiche,cioè perché nascono col nascere del principato. Sono originarie queste costituzioni,sono presenti già ai tempi di Augusto(e una l’abbiamo vista:gli editti di Cirene).Gli edicta sono quindi una tipologia di costituzione imperiale e in modo particolare si segnalano perché sono una costituzione di carattere generale o tendenzialmente generale. Gli imperatori romani infatti nei loro editti rispondono in maniera tendenzialmente diffusa su tutto il territorio e nei confronti di alcuni sudditi tendenzialmente o particolarmente per situazioni ma quanto più possibile generali. Nell’esempio fatto,gli editti di Cirene,Augusto risponde per il singolo cireneo,ma per tutta la regione e quindi per tutta la provincia della Cirenaica.Gli edicta sono le c.d. leges generales,non è un errore chiamarle leges,perché nel corso dell’età del principato il termine lex,oltre che indicare la legge pubblica del popolo romano,tendenzialmente(siccome leggi non se ne fanno più) andarono ad indicare anche i provvedimenti imperiali,in modo particolare gli edicta sono considerati le leggi generali. (NOTA BENE: Nel nostro testo troveremo un confronto tra gli editti del principe e gli editti dei magistrati,il consiglio del prof. sarebbe quello di non leggerlo perché è solo fuorviante!!! Gli editti dei principe e gli editti dei pretori non hanno nulla a che fare,hanno solo questa coincidenza di nome,perché si chiamano tutti e 2 editti,ma sono cose totalmente diverse. La differenza tra i 2 e di contenuto:gli editti del principe hanno un contenuto normativo,cioè contengono norme di diritto sostanziale(possono avere un contenuto tendenzialmente infinito,perché un principe nel suo editto può scrivere tutto quello che vuole); gli editti dei pretori hanno un contenuto processuale,cioè contengono formule di azioni,non contengono norme,non sono rivolti a tutti,ma sono rivolti al pretore stesso,regolamentano il processo,si muovono in un settore che non ha nulla a che fare con le costituzioni imperiali,quindi qualunque tipo di confronto non può essere fatto in quanto sono 2 ordini totalmente diversi).Gli editti del principe sono le più antiche costituzioni imperiali,contengono norme generali (si chiamano infatti leges generales),risalgono ai tempi di Augusto,con gli editti i principi emanano

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norme vincolanti per tutti i loro sudditi.Ancora risalenti nel tempo,quindi risalgono ad Augusto ed è per questo che Gaio li menziona,sono le epistole e i decreta.Le epistole già le abbiamo viste,sono dei lettere che l'imperatore scrive in greco o latino ai propri funzionari imperiali. Sono delle vere e proprie lettere che naturalmente quando hanno un contenuto giuridico hanno valori di fonte di diritto. Es. in una epistola che Traiano scrive a Plinio il giovane,siamo intorno agli anni 70 d.C.,l’imperatore romano invita alla persecuzione dei cristiani e qualifica il crimine commesso dai cristiani come crimen maiestatis. Naturalmente questa è una costituzione di carattere generale;l’epistola vale solo per i destinatari,è una costituzione particolare. Il principio di diritto che espresso nell’epistola ha una potenziale generalità,perché nel momento in cui il cristiano professa il suo culto e non professa Traiano,nell’esempio fatto,commette maiestas dovunque sia! Ecco quindi l’opera dei giuristi che intervengono e dicono di fare attenzione perché in una epistola del divino Traiano si è detto che il Cristiano commette maiestas se professa il suo culto e allora possiamo pensare che il principio di diritto vada applicato non solo alla provincia per la quale è stato occasionato il provvedimento,ma anche per le altre province. I decreta sono delle sentenze,il principe emette sentenze nel processo extra ordinem. Tutti i nuovi organi dell’apparato del principato hanno funzioni giurisdizionali e tra loro ovviamente il principe. Fin dai tempi di augusto esiste un tribunale imperiale che giudica extra ordinem per tutti quei comportamenti sia pubblici che privati che non trovano tutela nelle vecchie forme processuali(il processo formulare per il processo privato,quaestiones pubbliche per il processo pubblico) e le sentenze emesse in questi processi si chiamano decreta. Sono costituzioni imperiali e,anche qua come per le epistole,certo la sentenza si rivolge al caso singolo e quindi ha un valore normativo direttamente nei confronti delle parti del processo,nei confronti delle quali fa stato,ma il principio di diritto contenuto nella sentenza può naturalmente avere un effetto come precedente per i casi successivi.Quindi le costituzioni statistiche fanno stato per i casi di specie in relazione ai quali sono stati emanati e valgono come exemplum,come precedente,per i casi diversi rispetto a quelli per i quali sono state emanate(questo vale sia le epistole che per i decreta).

La scorsa lezione abbiamo iniziato a studiare il tema delle costituzioni imperiali avvalendoci del riferimento al manuale delle Istituzioni di Gaio, in apertura del suo manuale infatti, questo giurista del II secolo, premette un sistema di fonti del diritto romano. Innanzitutto questa elencazione delle fonti del diritto si allontana da quella dell’età repubblicana perché inizia ad intravedersi la prospettiva di derivazione istiologica del ius dalle sue fonti, che si evince dal verbo “constare ex” che apre questo catalogo, tuttavia si tratta sempre di un sistema aperto, infatti le fonti non sono organizzate gerarchicamente. Addirittura la prima delle fonti elencate è una legge, cioè la legge dell’età repubblicana, la legge pubblica del popolo romano che è una fonte non più attiva, perché l’ultima legge risale al tempo di Nerva, circa 100 anni prima del tempo in cui vive Gaio. Quindi tutte le fonti di cui stiamo parlando sono ancora nella prospettiva di Gaio (giurista del II secolo d.C.) poste tutte sullo stesso piano, non c’è una classificazione gerarchica, una classificazione gerarchica si potrà fare solo in età post classica studiando il codice teodosiano. In questa elencazione della legge nulla di diverso da quello che abbiamo detto nelle scorse lezioni, semplicemente qualche osservazione sulle costituzioni imperiali.Le costituzioni imperiali vengono elencate da Gaio in un’ottica che è quella di un giurista di II secolo d.C., quest’ottica è caratterizzata dal fatto che il fondamento del potere normativo del Principe viene ancora individuato nella legge d’imperio. Infatti quando Gaio ci dice che le costituzioni imperiali hanno valore di legge poiché lo stesso imperatore prende il suo imperium per legge, non

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fa altro che fondare il potere normativo del Principe su una fonte esterna di legittimazione che è la lex de imperio vespasiani. Questa prospettiva antoniniana non è l’unica, esiste un’altra prospettiva che ritroviamo nelle nostre fonti, dove non a caso sono riportati 2 passi uno di Gaio (Gai 1.5) in cui si ricorda che le costituzioni imperiali hanno un fondamento nella legge de imperio e un passo tratto dal Digesto del giurista Ulpiano (D.1.4.1 Ulp.1 inst) che dice che il fondamento dei poteri del Principe cambia, non è più la legge de imperio, ma le costituzioni imperiali esistono poiché tutto ciò che piace al Principe ha valore di legge. Nel momento in cui il popolo gli conferisce il potere, si spoglia di questo potere che viene attribuito in toto al Principe, è il Principe quindi che pone in essere le costituzioni imperiali sulla base della sua volontà e senza doverne rispondere a nessuno. Nel corso di un secolo quindi cambia notevolmente la prospettiva, quella del II secolo è ancora quella di un Principe che è legato alla legge che gli conferisce un potere, la legge de imperio, nell’età dei severi invece il conferimento dei poteri viene emesso dal popolo che si spoglia di questi poteri e li attribuisce al Principe che non deve rispondere a nessuno del modo in cui gestisce il proprio potere, il suo è un potere che tende a diventare sovraordinato rispetto agli altri ed è proprio nell’età dei severi che inizia a porsi un rapporto di supremazia del Principe e delle fonti reali rispetto alle altre.

Fonti: pag 153-154Gai 1.5: “la costituzione del principe è ciò che l’imperatore stabilisce con decreto, oppure editto, oppure lettera. Né mai si dubitò che ciò tenga luogo di legge, dal momento che lo stesso imperatore riceve il potere per mezzo di una legge”.D. 1.4.1. (ulp. 1 inst): “quel che il principe ha deciso ha vigore di legge:ciò perché con la legge regia, che viene emanata per attribuirgli l’imperio, il popolo conferisce a lui ed in lui ogni suo imperium e potestas. Tutto ciò, quindi, che l’imperatore dispone con una lettera od in calce (al quesito), o decreta in sede giurisdizionale, od afferma in sede extragiudiziaria, o prescrive con un editto, risulta essere legge. Queste sono quelle che comunemente chiamiamo costituzioni imperiali. Alcune di queste hanno chiaramente carattere personale e non possono assurgere a precedente: ciò che infatti il principe ha concesso a qualcuno per i suoi meriti, o ha irrogato a titolo di pena, o ha elargito a qualcuno, senza precedenti per aiutarlo, non si applica che a quella persona.”Quindi Ulpiano oltre che darci una definizione delle costituzioni imperiali, ci offre pure lui un elenco di fonti, come aveva fatto Gaio. Se confrontiamo questi due elenchi ci rendiamo conto che essi non coincidono e la mancanza di coincidenza deriva dal fatto che il sistema delle costituzioni imperiali è un sistema che si evolve nel decorso del tempo e che quindi va studiato storicamente.

Vediamo di ripercorrere la storia delle costituzioni imperiali muovendo proprio dalla prospettiva dei giuristi romani, in particolare da quella di Gaio e Ulpiano.Gaio (1.5) ci riporta che le costituzioni imperiali sono le seguenti:

Edicta Decreta Epistulae

Ulpiano (D.1.4.1. – ulp 1 inst) ci riporta che le costituzioni imperiali sono le seguenti: Edicta Epistulae Subscriptiones (rescritti) Decreta ( cognitio extra ordinem) Interlocutiones de plano

Questa diversa elencazione è dovuta ad un problema di natura storica, innanzitutto entrambi giuristi non accennano ad una delle costituzioni imperiali che invece troviamo nelle nostre fonti: i mandata.Di questi mandata non parla nessuno dei 2, inoltre le 2 elencazioni in parte corrispondono, di edicta, epistulae e decreta parlano entrambi, in più Ulpiano parla di subscriptiones e

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interlocutiones de plano.

Edicta Gli editti sono le costituzioni imperiali più antiche, per questo le ritroviamo già nel catalogo di Gaio perché consistono in quei provvedimenti di carattere generale e nelle fonti sono conosciuti anche come leges generales, cioè leggi che si rivolgono nei confronti di tutti i sudditi. Iniziano con l’inizio del Principato, Augusto emette editti, uno suoi editti da ricordare con particolare attenzione sono gli Editti di Cirene, che abbiamo incontrato quando abbiamo studiato la natura giuridica del principato augusteo, era la tesi che aveva sostenuto Mommsen per dire che il Principato era un regno di 2: l’imperatore sulle province imperiali, il senato sulle province senatorie.Abbiamo ribattuto a questa tesi diatrica di Mommsen dicendo che non è vero che il Principe ha potere solo sulle sue province, ma ha potere anche sulle province senatorie, in virtù del potere pro consulare maius et infinitum e in virtù della potestà legislativa anche nei confronti dei territori delle province senatorie. L’esempio sono gli Editti di Cirene, di cui abbiamo uno stralcio nelle nostre fonti.

Fonti: pag 146Editti di Augusto ai Cirenei IV“L’imperatore Cesare Augusto, pontefice massimo, nel diciassettesimo anno della sua potestà tribunicia, dispose: Per qualunque controversia dovesse sorgere nella provincia cirenaica fra Greci, salvo che si tratti di cause capitali, delle quali il governatore in carica della provincia deve conoscere e giudicare personalmente o dare un collegio di giudici, ritengo opportuno che siano dati altri giudici greci, a meno che il convenuto o l’accusato vogliano avere come giudici dei cittadini romani. Fra coloro, invero, ai quali in forza di questo mio editto saranno dati giudici greci, ritengo inopportuno che venga dato un giudice di quella stessa città di cui sia l’attore o l’accusatore o della quale sia il convenuto o l’accusato.”Non ci interessa questo editto dal punto di vista del contenuto, esso si occupa di regolare la giurisdizione nella provincia della cirenaica. Inizia già Augusto ad emettere editti, che hanno valore generale, si rivolgono quindi a tutta quella provincia. Sono leges generaes che ritroviamo fin dall’età del Principato, ecco perché li troviamo già citati da Gaio, ecco perché anche Ulpiano li cita.

È importante ricordare che gli editti sono leges generales, perché poi studieremo che nel basso impero questo sistema delle costituzioni imperiali entrerà in crisi, e allora ci sarà la necessità di distinguere tra queste costituzioni che stiamo studiando quali sono quelle che hanno valore. Allora quali sceglieranno gli imperatori romani del basso impero? Si dirà che avranno valore le sole leges generales, cioè gli edicta.

Decreta Sono le sentenze emesse da parte dell’Imperatore o dai suoi funzionari in esito ai processi di cognitio extra ordinem. Quindi decretum=sentenza di un processo. Il decretum come forma di costituzione imperiale per essere compresa deve essere calata all’interno della riforma augustea del sistema processuale, sia di diritto pubblico sia di diritto privato, perché i decreta sono sentenze che fanno stato e possono contenere i principi di diritto tanto per processi privati, quanto nei processi criminali. La cognitio extra ordinem è una nuova forma di processo, cioè tutta una serie di procedimenti che si scrivono fuori dall’ordo iudiciorum privatorum e l’ordo iudiciorum publicorum. Questi ultimi sono gli ordini dei giudizi pubblici e privati dati da Augusto con la Legge Iulia del 17 a.C., cioè la legge di riforma del sistema processuale romano. Augusto nel 17 a.C. emette una legge o 2 leggi gemelle, leggi iuliae, con le quali riforma tanto il processo criminale, quanto il processo privato, ed è una riforma gemella. Nel campo del processo privato Augusto abolisce le legis actiones, stabilisce che il processo

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ordinario (ordo publicorum privatorum) coincide con il processo formulare, che era regolato dall’esistenza di una formula scritta ed era un processo che trovava il proprio contenuto di funzionamento nell’editto del pretore, che continua ad essere emanato nell’età del Principato, Gaio ne parla, e quindi continuerà a regolare il processo formulare, che verrà abolito solo nel 342 d.C. da uno dei figli dell’imperatore Costantino il Grande. Tutto ciò che il processo formulare non riusciva a superare, perché esistevano esigenze nuove, istituti giuridici nuovi, che non erano più contemplati dall’editto del pretore, vennero tutelati dalla cognitio extra ordinem, cioè una forma processuale nuova, nella quale i giudici competenti erano l’Imperatore e i suoi funzionari. Le sentenze emesse in seguito a questi processi si chiamavano decreta, potevano avere valore di costituzione imperiale, quando contenevano principi di diritto che a prescindere dal caso di specie nel quale facevano stato fra le parti perché era una sentenza di giudicato, potevano valere pure per casi simili o analoghi tutte quelle volte in cui quel determinato principio di diritto si riteneva potesse applicarsi. Un esempio si trova nelle nostre fonti.

Fonti: pag 146D.37.14.7 pr. (Mod. lib. sing. de manumissionibus): “l’imperatore Vespasiano decise con decreto che, se una schiava fosse stata venduta con la clausola che non venisse prostituita e che se prostituita sarebbe divenuta libera, qualora poi dal compratore sia stata venduta ad altri senza questa condizione, in base alla clausola della prima vendita sarebbe stata libera e liberta del primo venditore”.Questo decretum naturalmente fa stato tra le parti, ma questo principio di diritto, indicato dall’imperatore Vespasiano, si sarebbe esteso a tutti i casi di compravendita nelle quali ricorressero condizioni di questo genere. Tant’è vero che viene riportato dall’ultimo giurista romano classico, Modestino, che occupandosi della materia delle manomissioni, cioè del modo in cui gli schiavi diventano liberi, ricorda questo vecchio decreto di Vespasiano, addirittura risalente a 200 anni prima, appunto perché quella sentenza avrebbe avuto una vis espansiva tale da potersi applicare pure a tutti gli altri casi. Quindi il decretum ha valore e forza di legge tra le parti, negli altri casi vale come precedente, cioè come exemplum. Cioè quando dopo questo decreto di Vespasiano si fosse presentato un caso analogo, gli avvocati delle parti avrebbero detto al giudice che Vespasiano aveva risolto quel caso in quella maniera, quindi questa volontà imperiale doveva essere osservata pure nei casi simili. Ecco quindi il valore normativo dei decreta, che valevano come exempla, come precedenti. Non hanno valore di leges generales come gli editti, ma queste costituzioni per quanto casistiche sarebbero state seguite come exempla.

Epistulae Sono costituzioni di carattere casistica. Seguendo l’elencazione che c’è in Ab urbe condita subito dopo i decreta ci sono i mandata, ma dei mandata i giuristi non ne parlano. Subito dopo vengono menzionate le epistulae.Le epistulae sono delle lettere, non di corrispondenza privata del principe, ma di corrispondenza ufficiale. Esisteva infatti un’apposita sezione della cancelleria imperiale, che si chiama scrinium ab epistulis, che scriveva le lettere dell’Imperatore. La lettere dell’Imperatore erano normalmente delle lettere date in risposta ai quesiti posti dai funzionari imperiali. Lo scrinium ab epistulis in altri termini era competente a ricevere, come una casella postale, tutte le richieste che provenivano dai funzionari imperiali in qualunque parte dell’impero si trovassero, sia a Roma che in periferia. Quando un funzionario imperiale si trovava nel dubbio su una certa questione, quando doveva chiedere informazioni, notizie, suggerimenti, prendeva la penna e scriveva all’ Imperatore. Attenzione: il nostro libro ci dice che le epistulae esistono solo nel corso di un processo, cioè quando un funzionario imperiale impegnato in un processo di cognitio extra ordinem, chiede all’imperatore lumi su come comportarsi, perché magari non conosce bene quella materia di carattere giuridico. Questo è sbagliato, basterebbe per smentire ciò citare il celebre epistolario tra Plinio e Traiano, che si scambiavano epistulae sulle modalità su come Plinio avrebbe dovuto gestire la sua carica di funzionario imperiale, chiede all’imperatore come comportarsi. Da quelle epistuale

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noi ricaviamo, dal punto di vista giuridico, ad esempio il principio di diritto secondo il quale i Cristiani che non professano il culto dell’Imperatore commettono crimen maiestatis e quindi Traiano invita Plinio a punirli a questo titolo, ecco la natura normativa delle epistulae. L’epistula si rivolge ad uno specifico destinatario, ma nella misura in cui contiene un principio di diritto che può essere applicato per casi simili, può avere, al pari dei decreta, valore di exemplum, cioè si può applicare come precedente per casi simili.Nell’esempio fatto, nel caso dei Cristiani, fu proprio da questo tipo di impostazione che il culto cristiano che violava la maiestas dell’imperatore romano, che successivamente, anche in altre parti dell’Impero romano, i cristiani verranno perseguitati proprio a titolo di crimen maiestatis.Quindi l’epistula ha un contenuto normativo, che ha la propria efficacia per i casi simili come precedente. Attenzione: potevano le epistulae trovarsi nel corso di processi e forse statisticamente sono le più numerose nelle fonti giuridiche, perché naturalmente i processi erano il luogo deputato al sorgere di questioni controversie di diritto, ma ciò non esclude che le epistulae potessero nascere anche al di fuori dei processi, infatti si cita proprio l’epistolario tra Plinio e Traiano.

Fonti: pag 155 (epistola dell’imperatore Alessandro Severo)C.(Codice di Giustiniano) 8.1.1. (Imp Alexander A. Apro evocato): “ poiché sostieni che le radici degli alberi posti nella vicina area di Agatangelo crescendo arrecano pregiudizio alle fondamenta della tua casa, il governatore (praeses), ad esempio degli interdetti che ha proposti nell’albo: ‘se l’albero penderà sulla casa altrui’ , ed ancora:’nel campo altrui’, con i quali si dichiara di non dover nuocere al vicino neanche a causa degli alberi, deciderà la questione secondo equità.” Il caso è quello di un funzionario imperiale che chiede al Principe come comportarsi in relazione ad una questione di diritto, quella relativa al modo o allo strumento che doveva essere utilizzato per risolvere quella questione.

La costituzione imperiale è normativa nei confronti del destinatario, è lui che la deve osservare, ma dal punto di vista del principio di diritto che contiene è chiaro che può valere anche per i casi simili e per i casi analoghi. Tant’è vero che noi nel Codice di Giustiniano e in tutte le fonti giuridiche non vediamo raccolte le costituzioni contenenti gli elementi di fatto, che sicuramente ci saranno stati, ma troviamo il principio di diritto (quello che si legge nelle massime delle sentenze). Quindi decreta ed epistulae rilevano non per il fatto in sé, ma per il principio di diritto che esprimono.Edicta, decreta ed epistulae sono quindi costituzioni originarie, che nascono con il Principato e vengono citate da parte dei primi giuristi romani, in modo particolare Gaio.Iniziamo ad affrontare il problema legato ai mandata, cioè il perché né Gaio né Ulpiano le menzionino. Ci sono poi costituzioni che nascono dopo, nell’età dei Severi e Gaio non le cita perché non le conosce.

MandataSono un tipo di costituzioni imperiali che troviamo citate nella nostra raccolta di fonti (Ab urbe condita) e nel nostro libro, ma guardando le fonti direttamente non le troviamo.Il problema va risolto tenendo conto della specificità di questa costituzione imperiale.Il mandato era appunto un mandato, come dice lo stesso termine, cioè un incarico che l’Imperatore emetteva e dava ad un proprio collaboratore funzionario imperiale. A differenza delle epistulae, quindi, il mandato non era preceduto da una richiesta, era l’Imperatore che pigliava direttamente la penna in mano e mandava appunto un mandato ai suoi funzionari imperiali.Per capire il contenuto dei mandata, li potremmo paragonare a quelle che oggi vengono definite circolari (nel diritto amministrativo si discute sulla possibile efficacia normativa di fonti di 2°, subordinate ai regolamenti, e che si chiamano circolari. Sono tipiche del nostro sistema amministrativo, perché servono a comunicare tra le varie amministrazioni, a dare informazioni, a

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dare interpretazioni di determinate norme di legge).L’imperatore con i mandata dava indicazioni minute, spesso di natura esecutiva, nei confronti dei propri collaboratori, cioè indicava proprio i compiti che dovevano svolgere. Ecco perché i giuristi romani tendevano a non considerali fonte del diritto (come noi oggi non consideriamo le circolari fonti del diritto), perché i mandata avevano contenuto di carattere meramente esecutivo. È questa la ragione per la quale Gaio e Ulpiano non ne parlano, perché per loro i mandata sono qualcosa di residuale, sono delle fonti di 2°, non che le conoscessero, anzi è proprio Ulpiano che ci informa di questi mandata. Tuttavia è pur vero che queste fonti vengono considerate secondarie.Quindi i mandata sono o non sono costituzioni imperiali? A chi dobbiamo credere ai giuristi che non le elencano o ai libri che le elencano?La risposta sta a metà strada, cioè i mandata sono costituzioni imperiali e possono avere un contenuto normativo nella misura in cui contengano principi di diritto che vengono estrapolati all’interno di corpora mandatorum.Siccome i mandata avevano questo contenuto così minuto, esecutivo, spesso dispersivo, c’era l’abitudine di raccogliere tutti i mandata che un Principe emetteva nei confronti di un certo settore dell’amministrazione.I mandata sono antichi, già Augusto li emetteva, sull’esempio di Cesare, solamente che siccome erano dei mandata minuti, spesso andavano ad ingolfare gli archivi degli uffici centrali e periferici, allora per mettere ordine venivano raccolti in c.d. corpora mandatorum.Quindi i corpora mandatorum erano tutto l’insieme dei mandata che i vari principi, nel corso del tempo, emettevano con riguardo ad una certa amministrazione.Il nostro libro fa un esempio di un corpus mandatorum che è quello che si chiama Gnomon dell’idios logos. Il nostro libro dice che i mandata sono delle costituzioni imperiali, infatti, un esempio è il Gnomon dell’idios logos, senza aggiungere altro. È un esempio di corpus mandatorum, cioè una raccolta di tutti i mandata che, nel caso di specie, sono stati emessi dai vari imperatori romani in relazione all’amministrazione finanziaria dell’Egitto romano. Infatti il funzionario che si occupava dell’amministrazione finanziaria dell’Egitto romano, si chiama appunto idiologo. Questo idiologo, insieme ad un prefectus egipti e ad un iuridicus (erano 3: idiologo, il prefectus egipti era il governatore provinciale e il iuridicus si occupava delle questioni processuali). A noi è arrivato il gnomon dell’idiologo, cioè il testo sulla base del quale questo funzionario amministrava finanziariamente l’Egitto romano. Gnomom dell’idios logos è un corpus mandatorum, cioè un insieme di disposizioni che disciplinano l’amministrazione finanziaria dell’Egitto romano. Sono costituzioni imperiali? Si, perché nel complesso di questa opera noi troviamo varie disposizioni che coordinate tra di loro creano un corpus, una sorta di testo unico, che regolamenta la vita finanziaria dell’Egitto romano (quali sono le imposte, quando vanno pagate, come vanno riscosse). Ecco che in quest’ottica, di corpus, i mandata hanno un valore di costituzioni imperiali.Spiegata la ragione perché Gaio e Ulpiano non parlano di mandata, non ne parlano perché il singolo mandato non ha valore di costituzione imperiale, perché è questa l’ottica dei giuristi roani quando parlano di edicta, decreta, epistulae, perché queste hanno valore di costituzione imperiale singolarmente prese, una per una sono costituzioni imperiali. Il mandato no, ma per quanto costituzioni di minore importanza, comunque nel diritto romano hanno avuto la loro incidenza, certi istituti sono nati proprio grazie alla pratica dei mandata, il più importante di questi è il testamentum militis, cioè il testamento militare da cui sono nate poi le nostre forme di testamenti speciali. Proprio il passo che abbiamo in Ab urbe condita si occupa espressamente di questa questione, ed è proprio Ulpiano che ce ne parla, perché conosce i mandata, ma evidentemente la prospettiva dalla quale i giuristi romani guardano il mandato non è quello della costituzione

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singola, ma quello di un insieme di principi che si traggono da corpora mandatorum.

Fonti: pag 147D. 29.1.1 pr.(Ulp. 45 ad ed): “per il primo il divino Giulio Cesare concesse ai soldati di fare testamento liberamente; ma si trattò di una concessione temporanea. Poi, invero, analoga concessione fece per primo il divino Tito, e dopo di lui Domiziano; e poi ancora il divino Nerva accordò ai soldati una completa remissione (delle forme testamentarie); la stessa cosa fece Traiano, e dopo di allora cominciò ad essere inserito nei mandati il seguente capitolo (dalla parte latina”caput ex mandatis”, cioè che nel corpo dei mandati che disciplinavano l’attività dei soldati in battaglia, viene inserito un mandato nuovo). Capitolo tratto dai mandati:’Essendo stato portato a mia conoscenza che spesso vengono presentati testamenti fatti da commilitoni tali da poter provocare delle controversie, se vengono valutati secondo un metro di rigorosa osservanza delle leggi; seguendo la probità del mio animo nei confronti degli ottimi e fedelissimi commilitoni, ritenni di dover venire incontro alla loro sprovvedutezza, cosicché, in qualunque modo avessero fatto testamento, la loro volontà venisse confermata. Facciano dunque testamento come vogliono e come possono, e sia sufficiente, per dividere i loro beni, la nuda volontà del testatore’. Quindi uno di questi mandati, l’ultimo, venne inserito all’interno del corpus madatorum che disciplina l’attività dei soldati e questo ha valore di costituzione imperiale, questa volta sì di carattere generale e che vale per tutti.

Domanda: i mandata sono costituzioni imperiali? Risposta (di noi studenti del corso): Gaio e Ulpiano non ne parlano, quindi nella prospettiva del giurista romano i mandati non sono costituzioni imperiali, perché il singolo mandato non ha un valore normativo, ma ha un contenuto di suggerimento fatto nei confronti di un destinatario. Tuttavia i mandati possono assumere valore di costituzione imperiale se letti all’interno del contesto dei corpora mandatorum, essi sì che hanno valore normativo, e sono quel complesso di disposizioni date dagli imperatori mediante mandato con le quali gli imperatori disciplinano certi settori dell’amministrazione, all’interno di queste possono esserci delle costituzioni imperiali, perché disciplinano in maniera generale e astratta interi settori dell’ordinamento. Esempio di istituto nato grazie ai mandata: testamento dei militari.Chiarito il discorso dei mandata resta da vedere perché Ulpiano parla di subscriptiones e di interlocutiones de plano. Per Ulpiano epistulae e subscripitones vanno accanto, le cita vicine, poi decreta e interlocutiones de plano sono pure citate accanto, quindi sono qualcosa di simile.

Interlocutiones de planoAi tempi di Ulpiano, che vive nel III secolo d.C., età dei Severi (una delle cose da marchiare a fuoco sono i secoli di vita dei giuristi, sapere quando vive un giurista è fondamentale). Nascono 2 costituzioni imperiali nuove, che Gaio non conosce.Le interlocutiones de plano sono note anche con un nome greco, perché gli imperatori parlavano anche il greco, e molte raccolte di interlocutiones de plano sono scritte in greco. Il nome greco delle interlocutiones de plano è “apocrimata”. Sono delle risposte che il Principe dà in maniera informale, infatti nella traduzione latina del passo di Ulpiano lo troviamo tradotto come “tutto ciò che l’imperatore decreta in sede extragiudiziaria”, sono tutte quelle risposte che l’imperatore dava alle domande fatte dai richiedenti fuori dalla sede canonicamente deputata allo svolgersi dei processi, fuori dal tribunale, dovunque. Poiché la parola imperiale aveva un’efficacia normativa immediata, l’imperatore qualunque cosa diceva era legge, a prescindere dal dove, dal come e dal quando.Noi abbiamo una raccolta di apocrimata di Settimio Severo, contenuti nel Papiro Columbia 13 (raccoglie 13 apocrimata di Settimio Severo) che aveva emesso durante una sua visita in Egitto romano, durante il percorso che aveva seguito per raggiungere un determinato posto. L’imperatore romano camminava su una lettiga, mentre camminava gli si avvicinavano delle persone e gli chiedevano pareri, soluzioni di casi, questioni semplici e l’imperatore rispondeva con delle brevi

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incisive risposte ed erano costituzioni imperiali. Addirittura nel percorso fatto da Settimio Severo vengono annotate e ci sono arrivate con il Papiro Columbia 13, perché anch’esse avevano valore di costituzione imperiale. Quindi le interlocutiones de plano sono tutte quelle manifestazioni di volontà date da parte dell’imperatore “informalmente” e soprattutto senza che uscissero dai luoghi deputati alle altre costituzioni imperiali.

Subscriptiones (rescritti) Il discorso sui rescritti va collegato a doppio filo con la storia della giurisprudenza romana. Esisteva una sezione degli scrinia c.d. ab libellis, lo scrinium ab libellis che era il gemello dello scrinium ab epistulis, lo scrinium ab epistulis era quello deputato alle risposte che l’imperatore dava ai funzionari imperiali, lo scrinium ab libellis invece è quello deputato alle risposte che l’imperatore dava ai singoli privati cittadini che si rivolgevano all’imperatore per chiedergli soluzioni di casi controversi di diritto, pareri, suggerimenti, indicazioni di comportamenti. Quindi qualunque suddito dell’Impero poteva scrivere all’Imperatore, chiedendogli soluzioni di casi giuridici.L’idea che si potesse scrivere all’Imperatore teoricamente nasce con il Principato, ma era un’attività saltuaria e occasionale. Venne instituzionalizzato uno scrinium, cioè una sezione che in maniera organica e continua determinava una risposta alle domande dei sudditi, a partire da Adriano. Storicamente il rescritto nasce sotto Adriano, ecco perché Gaio non ne parla, perché non li conosceva, o meglio se li conosceva non avevano raggiunto quel livello di organicità e di non occasionalità che non avevano ai tempi di Gaio. Solo ai tempi di Ulpiano diventano costituzioni stabili, prima erano occasionali.Anche qua il nostro libro dice che erano delle domande fatte nel corso di un processo, ma non è così, perchè potevano essere fatte sia nel corso di un processo, sia in vista di un processo, sia dopo un processo, ma anche a prescindere da un processo.Gaio quindi non ne parla, ma egli vive proprio sotto Adriano, proprio quando gli scrinia vengono creati e la prassi dei rescritti inizia, allora Gaio tutto sommato queste cose le conosceva, poteva anche parlarcene, ma non lo fa. Si ripropone il problema dell’Urgaius, cioè del Gaio originario, del modello seguito da questo giurista che riporta indietro nel tempo nel tempo il contenuto del manuale gaiano e modelli di I secolo, perché avrebbe dovuto parlarci dei rescritti e invece non dice nulla, forse perché questo giurista ha seguito un modello precedente di un suo omonimo, un tale Gaio Cassio Longino, del I secolo, e che avrebbe scritto un manuale modello di Gaio. Questo riuscirebbe a spiegarci i numerosi silenzi di Gaio.I rescritti si chiamano così per 2 ragioni, rescritto può significare:

O scritto in risposta O retro-scritto, cioè scritto in calce al libello di domanda: arriva allo scrinium un libello e la

cancelleria imperiale legge la domanda e la studia, scrive la risposta dietro, lo chiude e lo rimanda di nuovo al destinatario, che leggerà la risposta e la volontà dell’Imperatore.

Questa è una costituzione casistica, come i decreta e le epistulae. Ma anche i rescritti si potevano estendere ai casi simili, più che mai, perché mentre i decreta e le epistulae erano occasionati da situazioni molto peculiari, i rescritti portavano a conoscenza delle cancellerie imperiali delle situazioni di diritto di carattere più generale, spesso principi giuridici (esempio: l’egiziano chiede se può sposare sua sorella, è un esempio di un rescritto dell’Imperatore Diocleziano, quella questione non riguardava un singolo egiziano, ma tutti, perché tutti si sposavano le sorelle). Vediamo adesso un esempio di rescritto.

Fonti: pag 154D. 22.5.3.1 (Call. 4 de cogn): “e perciò il divino Adriano rispose per rescritto a Vibio Varo, legato della provincia di

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Cilicia, che colui che giudica può sapere meglio quanta sia la fiducia che si deve dare ai testimoni. Le parole dell’epistola sono queste: ‘tu puoi meglio sapere quanta fiducia debba darsi ai testimoni,quali, e di quale credito, e di quale reputazione godano; e di quali sembra che abbiano parlato con franchezza, e se abbiano addotto un solo e meditato discorso, e se alle tue interrogazioni abbiano risposto secondo le circostanze cose verosimili’. Attenzione: questo è un esempio di epistola, ma è la stessa cosa, solo che nel rescritto il destinatario è un privato cittadino e non un funzionario imperiale. C’è un destinatario che viene indicato nella inscriptio della costituzione.

Il rescritto ha un efficacia normativa per il caso singolo per il quale è stato emanato, farà stato di legge per quella questione, a prescindere se sia stato instaurato un processo. Se c’è già un processo il giudice terrà conto della costituzione imperiale dell’imperatore, ma se il processo non c’è e il privato cittadino prima di instaurare una causa chiede il parere del Principe, potrà avvalersi di quel rescritto proprio per far presente al giudice che di quella questione di si era occupata la cancelleria imperiale risolvendola a suo favore. I rescritti furono oggetto di particolare attenzione, perché risolvevano questioni di diritto che spesso potevano essere utilizzati anche per casi simili. Le modalità di pubblicazione dei rescritti erano diverse rispetto a quelle delle altre costituzioni imperiali. In generale le costituzioni imperiali erano conservate in archivi per semestria, cioè per semestri. I rescritti invece, poiché erano delle costituzioni rivolte a destinatari che potevano essere collocati in qualunque parte dell’impero, avevano una modalità di pubblicazione diversa. Del rescritto restava traccia presso l’organo di governo del luogo in cui veniva inviato il rescritto, cioè dalla cancelleria imperiale al governatore provinciale (ha una conservazione locale), che ne conserva una copia e affigge in rescritto in pubblico, normalmente nei fori delle città. Il destinatario viene informato dell’arrivo del rescritto, può chiedere una copia originale di questo rescritto, che si chiama descriptum et recognitum (copia ufficiale). Questa ha un valore legale per il destinatario del rescritto, ma il rescritto resta affisso in pubblico, allora un altro cittadino, che non è destinatario, che passa per il foro può prendere visione dei rescritti che ci sono e quindi può farsene una copia (non ufficiale). Nella pratica forense i rescritti iniziano ad avere una eco notevole e iniziano ad essere raccolti. Il Papiro Giessen n.40 che conteneva la Constitutio Antoniniana, contiene anche 7 rescritti di Antonino Caracalla, che non c’entrano niente, ma sono primi passi di raccolte ufficiose di costituzioni imperiali. Quindi un avvocato con una copia non ufficiale del rescritto potrà dire al giudice che in un’altra causa la questione era stata risolta dal Principe con un rescritto in un certo modo, quindi il rescritto funge da precedente.Siccome la pratica del rescritto era molto frequentata, spesso succedeva che in maniera furba, le parti sottoponessero all’imperatore delle questioni di fatto, alle quali chiedevano una risposta, che non erano effettivamente coincidenti con quelle realmente accadute. Allora poteva accadere che i rescritti contenessero una sorta di clausola: “* si preces veritate nituntur” (clausola di verità). Significa che la cancelleria imperiale da la riposta chiesta, sempre che la domanda non abbia bisogno di essere accertata come vera, non sia assume la cancelleria la responsabilità della questione di fatto rappresentata dalla parte, se poi i fatti stanno diversamente è compito del giudice accertarli. Non sono rari i rescritti i quali, rendendosi conto che la questione non era stata chiarita nelle maniere dovute, danno spesso 2 o più soluzioni diverse e sono i più importanti, che cercano cioè di dare più risposte possibili alle lacune della domanda. Spesso si accorgono che la domanda potrebbe essere non posta nei termini esatti quindi appongono questa clausola. Il risultato è che il giudice che si trova il rescritto davanti che deve giudicare, dovrà verificare che siano delle risposte date esattamente.I materiali redattori dei rescritti erano i giuristi, i giuristi allora sono dipendenti dell’Imperatore?

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Nell’età repubblicana erano liberi professionisti, che esercitavano attività gratuitamente (agere, cavere, respondere). Il rescritto nasce con Adriano, perché proprio con lui si realizza la “burocratizzazione della giurisprudenza”, il giurista tende a diventare funzionario imperiale. Quando ci diventa definitivamente non emette più responsi, ma scrive rescritti.

Storia della giurisprudenza romanaQuindi i materiali estensori di questi rescritti erano i giuristi, i quali in età di Adriano si trovano ad essere burocratizzati, cioè assunti dall’imperatore come propri dipendenti.Ma che sorte hanno i giuristi alla fine dell’età repubblicana e all’inizio del Principato?Occorre percorrere tutta lo storia della giurisprudenza, fino ad arrivare all’età adrinianea e renderci conto del perché sono i redattori del rescritto e delle sorti che ebbe il responso del giurista. Il rescritto altro non svolge che la funzione del responso, cioè quella di risolvere caso controversi di diritto. Avviata la pratica del rescritto, che sorte ha il responso del giurista?Per rispondere a questa domanda dobbiamo prendere le mosse dal racconto di Gaio, in particolare Gaio 1.7. Innanzitutto Gaio individua tra le fonti del diritto i responsa prudentium, per lui sono costituzioni imperiali. Dice Gaio: “i responsi dei giuristi sono i pareri e le opinioni di coloro viene permesso fare diritto (iura condere: creare il sistema dei iura populi romani). La prospettiva gaiana è diversa rispetto a quella repubblicana, secondo Gaio il giurista è un soggetto al quale viene permesso di creare diritto. Questo vuol dire che il rapporto di sub alternità tra giuristi e Principe inizia a manifestarsi a chiare lettere, infatti se continuiamo a leggere ci renderemo conto di quanto problematico è stato il rapporto tra i giuristi e gli imperatori romani. Gaio dice: “quello che essi tutti pensano, se sono del medesimo parere, tiene luogo di legge, se invece sono pareri diversi, al giudice è consentito di seguire il parere che vuole; e ciò è espresso in un rescritto del divino Adriano”. Gaio quindi conosce il rescritto, ma non ne parla nelle fonti, ancora non è una pratica che è arrivata a regime, ecco un motivo in più per sostenere che questa catalogazione delle fonti segue uno schema precedente e che Gaio non lo aggiorna anche se ci da alcuni spunti per capire che conosce i rescritti. Adriano in questo rescritto aveva stabilito che se tutte le opinioni i giuristi sono d’accordo esse hanno valore normativo, come le altre fonti del diritto, se invece non sono d’accordo tra di loro, il giudice è libero di seguire l’opinione che ritiene prevalente. Questo è un punto finale della storia della giurisprudenza, nella quale interviene Adriano che con un suo provvedimento permette ai giuristi di iura condere tutte le volte in cui siano d’accordo. Ma cosa succede tutte quelle volte in cui i responsi non siano tra di loro d’accordo? Secondo Adriano ogni giudice può seguire l’opinione che ritiene prevalente.Questo è l’ultimo stadio, ma per capire bene dobbiamo iniziare la nostra storia dalle origini. Le origini coincidono con l’età del Principato, nell’età del Principato c’è un rapporto conflittuale tra giuristi e principi.I giuristi tendono a mantenere la propria autonomia e indipendenza, i principi che cercano di controllare i giuristi, infatti gli ultimi giuristi romani moriranno proprio per mano degli imperatori (Papiniano muore ucciso da Caracalla, Ulpiano muore ucciso da Settimio Severo).Iniziamo la nostra storia dalle origini, i giuristi li avevamo lasciati in età repubblicana laici, che avevano fondato un sistema di diritto nuovo (ius civile) e i munera dei giuristi repubblicani si chiamavano agere, cavere, respondere. Interviene Augusto, finisce la Libera res publica, nasce il Principato. L’evoluzione del diritto romano porta una immediata involuzione dell’agere e dell’attività del

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cavere. Involuzione per ragioni di natura tecnica, il suggerimento di schemi processuali che era tipico dell’agere era naturalmente legato alla pratica del processo formulare, i giuristi erano chiamati ad intervenire nei processi per suggerire le formule. Ma tutto questo nel Principato che sorte ha? L’attività della giurisprudenza in relazione al ius honorarium continua ad essere attiva? Naturalmente la risposta dipende da quello che succede al ius honorarium, esso nel corso del Principato subisce una involuzione, tale che sotto Adriano l’editto viene codificato, cioè viene reso immutabile, diventa un testo chiuso, in relazione al quale i giuristi non possono più intervenire. Gli editti venivano emessi all’inizio dell’anno di carica dei magistrati ì, si poteva intervenire su di essi integrandoli, il magistrato l’anno successivo poteva cambiarlo, ma questo testo era diventato già alla fine dell’età repubblicana, per opera della lex valeria de edicti, c.d. tralatizio, ciò non impediva l’inserimento di nuove rubriche edittali. Intervenuto il Principato nascono delle situazioni giuridiche nuove ed era una via più semplice quella di intervenire in sede di cognitio extra ordinem, innanzitutto perché il Principe aveva più interesse ad affidare ad un proprio funzionario la situazione di una certa situazione di diritto e poi perché si era più liberi di intervenire con una forma processuale (la cognitio extra ordinem) che non conosceva le difficoltà tipiche del processo formulare, in particolare la divisione in 2 fasi, in iure e apud iudicem. Esempio: nel corso dell’età del Principato, sotto Augusto, inizia a diventare particolarmente pressante la prassi dei fedecommessi, erano delle disposizioni di ultima volontà informali, in virtù delle quali un testatore rilasciava alla fede di un onerato l’adempimento di certe sue volontà, normalmente non legate al lato patrimoniale, ma di carattere familiare o personale. L’onerato non era obbligato a seguirle, i giuristi romani, raccolti attorno ad Augusto, in particolare Trebazio Testa, iniziano a cercare di escogitare dei rimedi sulla base dei quali obbligare l’onerato a seguire le volontà del testatore. Ma non lo faranno mediante l’integrazione dell’editto, creeranno un praetor fidei commisarius, cioè un organo della cognitio extra ordinem, titolare a conoscere appositamente di quelle fattispecie che hanno ad oggetto la materie dei fedecommessi. Il risultato è che l’editto tende a diventare sempre più chiuso, non viene rinnovato, tanto che dopo un secolo di vita del Principato Adriano da un compito al suo collaboratore giurista, che si chiama Salvio Giuliano, di codificare il testo dell’editto. Codificare l’editto significa prendere i 4 editti (pretore urbano, pretore peregrino, edili curuli, governatore provinciale) e farne un testo unico, che raccogliesse tutti gli editti tagliando le ripetizioni, sfrondandoli di quelle parti che non fossero più utili, quindi rendendo un testo unico, ecco perché i giuristi romani parlano sempre di editto al singolare, un testo chiuso sul quale non poteva più intervenire nessuno che non fosse l’imperatore. L’editto nell’età del Principato quindi finisce di essere una fonte attiva di ius honorarium, perché non viene più rinnovato, diventa un testo chiuso, codificato da parte di Salvio Giuliano sotto il regno di Adriano addirittura diventa un testo definitivo. L’evoluzione del sistema di diritto privato romano va per strade diverse, che non sono più quelle del processo formulare, ma quelle della cognitio extra ordinem. La conseguenza è che l’attività dell’agere dei giuristi implode, ce n’è sempre meno bisogno di chiedere l’intervento dei giuristi nel suggerimento degli schemi negoziali, sia perché sempre di più erano le questioni di diritto che si risolvevano extra ordinem, sia perché ancora per quelle che si risolvevano con il processo formulare ormai gli schemi edittali si erano stabilizzati, erano diventati sempre uguali, la casistica si era quasi esaurita, c’era sempre meno bisogno del giurista, gli schemi delle azioni erano conosciuti, i pretori li conoscevano da secoli ormai. Questa è una delle cause di chiusura del processo formulare. Anche nel caso del cavere gli schemi negoziali tendono a stabilizzarsi nel corso dell’età del Principato, come conseguenza della stabilizzazione dell’editto. Se nell’editto si sa quali sono i rimedi processuali a tutela della compravendita ad esempio, è evidente che il contratto di

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compravendita si modella su rimedi che sono ormai stabilizzati, si sa quali sono i fatti che si possono mettere nella compravendita, perché si sa quali sono i fatti tutelati dall’editto e siccome sono tutelati solo quelli, è inutile escogitarne degli altri, perché tanto l’editto non si può cambiare più, allora tanto vale escogitare negozi nuovi che saranno tutelati, eventualmente, extra ordinem. Ecco perché allora anche l’attività del cavere trova una sua involuzione, non c’è più bisogno di andare dal giurista per chiedergli di consigliargli schemi negoziali, essi si sono standardizzati.Resta al giurista solamente l’attività del respondere, cioè quella della risoluzione dei casi controversi di diritto.Questa attività sin fa subito, fin da Augusto, viene guardata con particolare attenzione da parte del potere politico, perché il controllo sulla giurisprudenza è un controllo fatto su una delle parti più importanti della sfera politica, infatti i giuristi non erano soltanto degli studiosi, ma erano uomini di stato e ingraziarseli significava anche poter orientare l’evoluzione del diritto.Di questa storia della giurisprudenza classica siamo informati da un giurista contemporaneo di Gaio, che si chiama Pomponio (II secolo), il quale scrive un’opera che è nota come Liber Singularis Enchiridis o anche Enchiridion. Enchiridion è un termine greco che significa manuale, è un manuale di diritto romano, che è conosciuto anche con l’altro nome “Liber Singularis Enchiridis”. Dobbiamo imparare ques’opera con questi 2 nomi, perché le opere della giurisprudenza romana nel corso dell’età post-classica vengono sottoposte ad un’attività di copiatura, di riedizione, tale per la quale vennero smembrate, vennero fatte edizioni diverse, raccolte nuove, scritture con edizioni in libri singoli, che talvolta ne alteravano il contenuto.Con l’Enchiridion Pomponio ci racconta 3 cose:

storia della giurisprudenza, ci fa conoscere i suoi stessi antenati; storia delle istituzioni politiche romane, in particolare delle magistrature; studio delle fonti del diritto sulla base della prospettiva delle legis actiones.

Questa tripartizione ci ricorda gli studia aeliana, di Sesto Elio, Pomponio segue un modello antico della giurisprudenza, quello della tripartizione degli studi elioni: XII tavole, commento alle XII tavole e interpretazione giuridica.

Fonti: pag 148D. 1.2.2.47- 49 (Pomp. lib. sing. enchir.):” Dopo di lui (Tuberone), i giuristi più autorevoli furono Ateio Capitone, che fu allievo di Ofilio, ed Antistio Labeone, che seguì tutti i predetti giuristi, ma che fu specificatamente discepolo di Trebazio. Tra essi, Ateio fu console; Labeone, benché Augusto gli offrisse di diventare console supplente, rifiutò di accettare la carica, e si dedicò densamente agli studi; era solito dividere l’anno in modo da trascorrere sei mesi a Roma con gli altri studiosi, e da allontanarsi poi per altri sei mesi, onde dedicarsi a scrivere i suoi libri. Lasciò pertanto quattrocento volumi, moltissimi dei quali sono ancora consultati. Questi due giuristi per primi produssero per così dire due diverse scuole: infatti Ateio Capitone continuava su una linea tradizionale, mentre Labeone, per le sue doti d’ingegno e fidando nella propria dottrina, visto che si era dedicato anche ad altre branche del sapere, introdusse moltissime novità. Ad Ateio Capitone seguì Massurio Sabino a Labeone Nerva, che accentuarono ancor di più tali contrasti. Anche Nerva fu amicissimo dell’imperatore. Massurio Sabino appartenne all’ordine equestre e per primo dette responsi a titolo pubblico: questo privilegio cominciò ad essere dato in seguito, tuttavia era stato a lui concesso dall’imperatore Tiberio. E sia detto per inciso che, prima dell’età di Augusto, il ius publice respondendi non veniva concesso dagli imperatori, ma quei giuristi che si fidavano della propria preparazione davano responsi a chi li consultava: e non davano in ogni caso responsi firmati, ma di solito li scrivevano ai giudici, oppure quelli che li consultavano attestavano (quale fosse il loro parere). Il divino Augusto fu il primo che, per accrescere l’autorità del diritto, stabilì che i giuristi dessero i responsi in base alla sua auctoritas , ed a partire da quel momento tale concessione cominciò ad essere richiesta come un privilegio. E perciò l’ottimo imperatore Adriano, ad alcune persone di rango pretorio che gli chiedevano l’autorizzazione a dare responsi, rispose con un rescritto che ciò non si poteva chiedere, ma si soleva soltanto elargire, e che pertanto egli si rallegrava se qualcuno, avendo fiducia nel proprio sapere, si predisponesse a rispondere alle consultazioni dei cittadini”.

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Ateio Capitone Massurio Sabino: ius publice respondendi (Tiberio), prima di lui Augusto: ius respondendi et auctoritate principis Antisio Labeone Nerva ProculoDice Pomponio che i giuristi sono divisi in secte o scuole di pensiero:

Sabiniani (filoimperiali), da Sabino primo giurista cavaliere e primo a cui viene dato ius publice respondendi

Proculiani (più rivoluzionari), giuridicamente più apprezzati (Labeone fu il primo ad elaborare lo schema del contratto atipico).

La teoria tradizionale è quella che vorrebbe una scuola più vicina all’imperatore (Sabiniani), l’altra più rivoluzionaria (Proculiani). Noi non sappiamo se questo contrasto si mantenne anche nei confronti dei successori, quindi questo discorso di filoimperiali/rivoluzionari, se vale vale solo per Capitone e Labeone, ma dopo le teorie che cercano di capire quali sono le regioni di queste due diverse scuole si affrontano tra di loro. Un dato è certo e cioè che si trattava di due modi diversi di approcciarsi al diritto. Secondo alcuni sono due scuole che avrebbero seguito diverse correnti filosofiche, secondo altri avrebbero seguito diverse correnti grammaticali, cioè del modo di scrivere le loro opere, i Sabiniani sarebbero stati analogisti, seguivano il linguaggio secondo le regole dell’analogia, mentre i Proculiani sarebbero stati anomalisti, cioè avrebbero seguito il linguaggio giuridico senza tener conto di questo tipo di regole. In generale c’è chi ritiene che i Sabiniani siano stati più conservatori nell’interpretazione del diritto, invece i Proculiani più sensibili alle evoluzioni del diritto ed alle aperture del sistema giuridico. Fino a che punto queste cose siano vere o non vere, per noi moderni è impossibile da stabilire, perché noi abbiamo solo dei frammenti di verità. Tuttavia la distinzione in scuole non deve essere considerata una questione superficiale, perché essa comportava una diversa risoluzione dei casi controversi di diritto, cioè andare da un Sabiniano o andare da un Proculiano significava avere risposte diverse, ciò non vuol dire che queste soluzioni non potessero poi trovare un accordo, spesso si trattava di situazioni di diritto che venivano trattate non dal singolo, ma da intere generazioni di giuristi. Gaio, per esempio, era un giurista che si professava Sabiniano e spesso ci racconta di questioni di diritto dibattute esponendoci il punto di vista dei Proculiani, quello dei Sabiniani e poi dicendoci qualche volta quale dei 2 punti di vista prevale. Questa distinzione di scuole comportò una sorta di sistemazione all’interno di un dibattito accademico, giurisprudenziale, che invece in età repubblicana si svolgeva in maniera libera.Queste scuole di pensiero durano fino a Salvio Giuliano, fu l’ultimo dei Sabiniani, dopo di lui la distinzione in scuole non ci sarà più. Perché Salvio Giuliano vive nell’età di Adriano, che è quell’età nella quale i giuristi perdono la loro autonomia di pensiero e vangono burocratizzati. Salvio Giuliano è l’ultimo esponente di una giurisprudenza “autonoma”, sganciata dal potere imperiale. Dopo Adriano il grande giurista è quello che è funzionario imperiale, che siede nella cancelleria imperiale, che fa parte del consilium principis, che scrive rescritti.Altra stranezza di Gaio: come fa che è contemporaneo di Salvio Giuliano a dirci che è sabiniano, se già le scuole non ci sono più?Anche qua si può sostenere che Gaio segue un modello precedente, forse di questo fantomatico Gaio Cassio Longino, che Pomponio ci dice in effetti essere Sabiniano. Ecco quindi spiegata la possibile ascendenza sabiniana di Gaio, più che un’appartenenza effettiva, visto che le scuole ormai non ci sono più.Ai giuristi resta solo l’attività del responsum, cioè la risoluzione di casi controversi di diritto (tutti). Qest’attività di responsum diventa oggetto dell’attenzione da parte del potere politico, sicuramente

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a partire da Tiberio, ma ci dice Pomponio, già sotto Augusto qualcosa era successo.Sappiamo che Augusto fin dall’inizio aveva concesso ad alcuni giuristi di dare dei responsi sulla base dell’auctoritas del Principe, il Principe poteva concedere un potere di questo tipo perché la sua auctoritas comprendeva anche la cura legum et morum, cioè la cura dell’evoluzione del sistema di diritto, naturalmente una fetta importante del diritto era rappresentata dalla giurisprudenza. Quindi un intervento del Principe in sede di cura legum et morum porta a regolamentare l’attività dei giuristi, mediante la concessione del ius resondendi ex auctoritate principis. Quest’ultimo è una sorta di autorizzazione che Augusto da ad alcuni giuristi di scrivere responsa signata, che sono i responsa scritti e sigillati, che ne attestassero la provenienza da un giurista dotato di questo potere e che quindi il giudice, che poi il responso avrebbe conosciuto,è avrebbe potuto capire che non era un responso qualunque quello che stava leggendo. Ma era un responso scritto e sigillato, dato da un giurista sulla base dell’auctoritas principis. Erano concessioni non generali, che Augusto dava a singoli casi, non solo a singole persone, Augusto concedeva, per le situazioni più importanti, che certi responsi venissero supportati dall’aictoritas del principe. Ma non si trattava di concessioni generali, ne tantomeno questa concessione avrebbe modificato la natura del responso, che sempre responso restava, certo è più forte, è dotato di un’approvazione del principe, però sempre responso era. Teoricamente il giudice di fronte ad un responso diverso avrebbe potuto convincersi in un’altra maniera, certo il responso dato con l’auctoritas principis spingeva in una certa direzione, però da un punto di vista strettamente teorico il responso dato ex auctoritate principi sempre responso resta.I responsi con auctoritate principis erano dati quando lo riteneva Augusto, si trattava di concessioni occasionali, fatte a chi il principe riteneva di doverle fare.Questa situazione trova una sua stabilizzazione con il successore di Augusto, Tiberio. Egli concede ad un giurista, Masurio Sabino, a dare responsi a titolo pubblico:ius publice respondendi. Quindi non è una concessione fatta per un caso singolo, per un singolo responso che andava scritto e sigillato, ma la concessione era fatta ad personam, cioè ad un persona, il primo fu Masurio Sabino, ma anche ad altri, cioè viene data una sorta di “patente” con la quale tutti i responsi dati da quel giurista saranno qualificati dall’essere dati a titolo pubblico, sulla base di una sorta di certificazione di qualità imperiale. Secondo il principe ci sono giuristi migliori e giuristi peggiori, i migliori sono quelli a cui concede la possibilità di dare responsi a titolo pubblico. Attenzione: i responsi sempre responsi restano, certo il giudice si fiderà di più di un responso pubblico, però teoricamente è sempre libero di seguire il responso che vuole. Ovviamente il responso ex auctoritate principis indirizza la decisione in un certo modo.È una forma di controllo della giurisprudenza debole, il Principe non si sostituisce ai giuristi, non è un intervento che, almeno in questa fase del Principato, esautora il valore dei responsi, il Principe non si mette sopra i giuristi, cerca di controllarli. Il responso del giurista resta una pars iuris, Gaio e Ulpiano non ci elencano le fonti del diritto gerarchicamente ordinate, i responsi restano una parte del diritto con efficacia uguale a quella delle costituzioni, se il giurista dice una cosa il Principe in un rescritto ne può dire un’altra, non è che il rescritto vale di più del responso del giurista, è un sistema che ancora è aperto.Ultima tappa, Adriano fa due cose:

abolisce il ius publice respondendi di Tiberio, secondo Adriano chiunque può dare responsi sulla base della sua fiducia, viene abolita questa distinzione tra giuristi “patentati” e giuristi “non patentati”. Adriano liberalizza di nuovo l’attività dei giuristi;

burocratizza e standardizza l’attività dei giuristi, stabilisce che hanno valore normativo solo i responsi dei giuristi che concordano, cioè hanno valore di legge (legis vicem optinent) i responsi che sono tra di loro concordi (in umun concurrunt). Prima di Adriano i responsi

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potevano essere o non essere seguiti, un giudice era libero di seguire il responso che riteneva più attinente, Adriano da per la prima volta efficacia normativa ai responsi che in umun concurrunt.

Questa riforma adrinianea ha in luce il superamento stesso del senso del diritto giurisprudenziale, che è quello di essere un sistema di diritto aperto, nel quale non conta la maggioranza, contano le idee. Questa riforma di Adriano incide pesantemente anche su un altro punto di vista, cioè sulla creazione di strutture pubbliche nelle quali i giuristi vengono assunti. Queste strutture pubbliche sono il Consiluim Principis e lo scrinium ab libellis et ab epistulis, i giuristi diventano dei veri e propri collaboratori del Principe.Nel Consilum Principis i giuristi lo coadiuvano nell’emissione dei decreta, perché in esso il Principe decide delle questioni controverse di diritto con i decreta, ma stabilisce anche gli editti, quindi i giuristi sono lì, dietro gli editti e dietro i decreta.Ma i giuristi sono assunti anche negli scrinia ab libellis et ab epistulis e sono i materiali redattori di rescritti ed epistulae, quindi stanno dietro anche alle costituzioni di natura casistica.L’attività dei giuristi in genere riporta poi quel compito di raccolta delle costituzioni casistiche, come interlocutiones de plano e mandata, quindi dietro la faccia imperiale delle costituzioni c’è un’anima giurisprudenziale. Questo ci permette di capire come ancora per tutta l’età classica le costituzioni imperiali siano costituzioni casistiche, perché chi le scriveva era un giurista, abituato all’ottica del diritto giurisprudenziale ed esso è un diritto casistico. Il sistema delle costituzioni imperiali è un sistema casistica, aperto, perché alle spalle delle costituzioni imperiali ci stanno i giuristi, questo spiega anche il perché il sistema delle costituzioni imperiali ed il sistema giurisprudenziale non entrano in conflitto tra di loro. Un passo di Ab urbe condita ci spiega l’ottica del rapporto tra giurisprudenza costituzioni imperiali.

Fonti: pag 157D. 37.14.17 pr. (Ulp. 11 ad legem Iuliam et Papiam): “I Divi Frates emanarono un rescritto in questi termini: ’Abbiamo saputo dai giuristi che talvolta si è dubitato se il nipote possa chiedere la bonorum possessio contra tabulas del liberto del nonno, qualora il padre del padre, essendo di venticinque anni, avesse accusato di delitto capitale quel liberto; e Proculo, certamente giurista non di poco valore, fu dell’opinione che in una causa di tal tipo non si dovesse dare la bonorum possessio. E questo parere che noi abbiamo seguito, quando abbiamo risposto al libello di Cesidia Longina. Ma anche Volusio Meciano, nostro amico e attento studioso del diritto civile anche oltre la sua antica e ben fondata perizia, seguì scrupolosamente il nostro rescritto, al punto che – come affermo davanti a noi – non ritenne opportuno di dover rispondere diversamente. Ma discutendo più approfonditamente la cosa con lo stesso Meciano e con altri amici nostri giurisperiti, ci sembrò piuttosto che il nipote non dovesse essere escluso dai beni del liberto del nonno sia per le parole e sia per il tenore della legge o dell’Editto del pretore, a casa di un fatto che riguardava la persona del padre: e tale fu il parere di molti giureconsulti, come anche di Salvio Giuliano nostro amico e uomo carissimo.” Gli imperatori tengono conto del parere dei giuristi e i giuristi tengono conto del parere dell’imperatore, ma fino ad un certo punto. Il sistema è aperto perché è caratterizzato dalla presenza di costituzioni casistiche, che risolvevano un determinato caso e in situazioni dissimili si potevano prendere decisioni diverse.

Questa situazione dura fino a quando ci sarà la giurisprudenza dietro le costituzioni imperiali, quando i giuristi non ci saranno più perché il sistema di evoluzione del diritto sarà lasciata alla volontà diretta del Principe, allora si che ci sarà una legislazione di carattere generale, astratto, in una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto alle altre fonti del diritto.Abbiamo fatto dei nomi di giuristi di I secolo: Sabino, Proculo, Labeone, Nerva, Trebazio Testa, Tuberone. Il I secolo è l’età di Augusto e di Tiberio, distinta da quella di Adriano. Per i responsi e i giuristi di I secolo valgono le regole di ius publice respondendi e di ius respondendi ex auctoritate principis, mentre per i giuristi di II secolo valgono regole diverse.I giuristi dei II secolo sono: Celso, Pomponio, Gaio, Aristone, Meciano. Per questi giuristi valgono

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le regole adriananee.La posizione del giurista cambia ancora con l’età dei Severi, perché il controllo dei principi sulla giurisprudenza è ancora più pesante, i principi entrano in conflitto con i giuristi, i giuristi muoiono per mano dei principi. I giuristi più importanti sono quelli del III secolo, perché li conosciamo meglio, perché sono più recenti, perché raèèresentano l’ultima generazione della giurisprudenza e perché hanno messo a punto l l’elaborazione dell’età precedente. I più importanti sono: Ulpiano, Paolo, tutti e 2 allievi di Papiniano, Modestino, Callistrato, Marcello, Africano. L’età dei Severi è quella più importante perché a quest’età risalgono le opere scientifiche più importanti dei giuristi romani.

Abbiamo la scorsa volta iniziato a parlare dell'attività della giurisprudenza,in particolar modo della giurisprudenza classica, abbiamo detto innanzitutto che nell'età classica la giurisprudenza come fattore di produzione del diritto resta un fattore vivo. La presenza delle costituzioni imperiali non contraddice il sistema delle fonti del diritto romano, perchè abbiamo visto come le opinioni dei giuristi e le costituzioni imperiali ancora nel II secollo e gli inizi del III concorrono alla formazione di un sistema pluralistico di fonti. Per questo la giurisprudenza è un fattore attivo di produzione del diritto. La storia della giurisprudenza dell'età classica si caratterizza in un primo momento dalla divisione in scuole, Sabiniani e Proculiani, i primi filo imperiali, mentre gli altri filo repubblicani e con le varie differenze di cui il prof aveva già parlato.Un'altra caratteristica della giurisprudenza classica è data dallo stretto rapporto nei confronti del potere imperiale, gli imperatori sono sensibili nei confronti dell'attività della giurisprudenza e cercano di controllarne l'andamento, come? Innanzitutto a partire da Augusto con la concezione di ius respondendi ex auctoritate principis, cioè con la concezione in alcuni casi di dare responsa scritti e sigillati solamente ad alcuni giuristi e per singoli casi.Questo tipo d'intervento viene esteso da parte di Tiberio, il quale introduce ius publice respondendi, che è la concezione di una vera e propria patente, solo ad alcuni giuristi, il primo è Masurio Sabino ( il primo giurista cavaliere) il quale potrà dare responsi a titolo pubblico, cioè dare responsi dotati di una sorta di marchio di qualità che se non vincolano il giudice, comunque lo indirizza verso un certo tipo di soluzione, piuttosto che il responso dato da parte di un giurista che non è beneficiario di questa ius publice respondendi.Il terzo momento di questo rapporto principi-giuristi si ha con Adriano,con esso succedono due cose: da una parte Adriano toglie questa patente e consente a tutti i giuristi di dare responsi sulla base delle proprie capacità, questo consiste in un ritorno al passato sino ad un certo punto, perchè dall'altra parte la riforma di Adriano determina una sorta di burocratizzazione della giurisprudenza.Da un lato il responso di Gaio 1.7, cioè quello che ci racconta che un rescritto di Adriano aveva stabilito che dopo nel caso in cui i pareri dei giuristi fossero tra di loro d'accordo avrebbero avuto forza di legge. Quindi vincolanti nei confronti del giudice, e questo contraddice nella sua essenza e la natura del sistema giurisprudenziale classico, perchè prima di Adriano anche se tutti i giuristi la pensavano in un modo e uno solo la pensava in maniera diversa, non avrebbe impedito al giudice di seguire il parere della minoranza.Invece con Adriano i sistema inizia a svilupparsi nel senso normativo del termine pechè difronte ad una concordia dei giuristi su un tema, questi pareri tra di loro concordi avrebbero avuto effetti normativi, cioè erano vincolanti nei confronti del giudice.Quindi solo con Adriano si ha questo effetto normativo, mentre prima i responsi avevano soltanto un valore di parere, quindi non vincolante.Questo rappresenta il primo lato della riforma Adrinianea.

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L'altro lato di questa riforma è l'istituzionalizzazione di una cancelleria imperiale formata da scrinia (sezioni).Queste sezioni, quelle competenti per le materie di diritto, cioè quelle ad epistulis e quelle a libellis sono create e formate da giuristi,i più importanti giuristi romani siedono accanto al principe, a partire da Adriano.Siedono questi giuristi, nel consilium principis, si tratta di un consultaorio formato da soggetti che consigliano il principe nelle questioni più importanti, anche quelle giuridiche, e nelle sezioni degli scrinia ab epistulis e a libellis, i giuristi sono i materiali redattori delle costituzioni imperiali casistiche, l'epistole e i rescritti.Questo ci spiega perchè ancora il sistema di diritto romano del II secolo è un sistema aperto e plurale, cioè caratterizzato da costituzioni casistiche (rescritti ed epistole) che rendono questo sistema di diritto molto vicino a quello repubblicano.Tutto questo discorso incide sullo status del giurista, se il giurista in età repubblicana aveva una funzione caratterizzata da quella triplice attività, agere, cavere ,respondere, ora nel corso dell'età imperiale, si trova a svolgere funzioni profondamente diverse.Agere e Cavere si erano notevolmente impoveriti, per la cristallizzazione degli schemi negoziali e formulari, perchè l'editto del pretore era diventato tralatizio, sotto Adriano viene codificato e quindi non ci sono formule nuove da suggerire, non ci sono schemi negoziali nuovi, questi si prendono dall'esperienza del passato, non occorre più rivolgersi al giurista,conseguenza, resta solamente l'attività respondente del giurista e su questa attività respondente bisogna concentrarsi, per dire come in realtà anche l'attività respondente conosce un periodo di crisi, a causa della concorrenza del rescritto.È naturale che un soggetto che avesse interesse ad ottenere una risposta su un punto controverso di diritto, piuttosto che chiederlo ad un giurista dal quale avrebbe avuto un parere che teoricamente poteva anche essere vincolante, ma comunque sempre un parere di un privato restava, aveva più interesse a chiedere un rescritto proveniente dalla volontà imperiale e che avrebbe avuto un valore normativo, cioè vincolante nei confronti del caso di specie e normativo, in termine di precedente, rispetto a casi simili.La concorrenza del rescritto quindi determina anche una “riduzione” dell'attività dei responsum.L'attività respondente del giurista non finisce, però si ritrova in una dimensione scientifica, non ci sarà più il solo responso del giurista per risolvere i casi, ci sono anche i rescritti, allora l'attività della giurisprudenza è sempre più volta, anzichè alla risoluzione di casi concreti, per questi si ricorreva di più al rescritto,a risoluzione di casi ideali, volti a mettere ordine all'interno del sistema e a ritrovare soluzioni che spesso erano soluzioni di scuola.I responsa, che nel corso dell'età repubblicana erano dati oralmente dal giurista, nel corso dell'età classica iniziano a diventare scritti, scritti in opere dela giurisprudenza e appunto avevano questo valore casistico, caratterizzato dall’essere rivolto alla soluzione di casi pratici, ma nella maggior parte dei casi forniva soluzioni a livello di sistema.Quello del responso è solo la punta di una situazione più generale, che vede il giurista, da un soggetto che opera nella società e quindi come operatore di diritto vivo, che invece sempre di più tende a ritrovarsi dietro ad una scrivania della cancelleria imperiale.La giurisprudenza dell'età classica si caratterizza per il fatto dell'attività di elaborazione scientifica di opere, che hanno consentito al diritto romano di assurgere a sistema complesso, tanto complesso che resterà anche dopo la fine della storia del diritto romano come fonte di regolamentazione della vita giuridica del mondo orientale ed occidentale per più di 1000 anni.Il diritto romano resta fonte viva di diritto, in oriente fino alla caduta dell'impero romano d'oriente 1453, in occidente fino all'emanazione del codice civile tedesco del 1900.

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Il diritto romano arriva ad assurgere questa completezza di sistema, grazie a questo sistema di opere giurisprudenziali rivolte a tutti gli ordinamenti che compongono il diritto romano.La giurisprudenza classiva per noi è fondamentale soprattutto per la redazione di opere scientifiche.Le opere scientifiche della giurisprudenza classica sono delle opere che possono essere catalogate in generi letterari.

Generi letterari delle giurisprudenza1) Opere di natura isagogico istituzionaleRientra in quell'attività che già in età repubblicana veniva qualificata come instituere.Isagogico significa d'introduzione al diritto, mentre istituzionale significa di formazione del discente, colui che studia, in base a principi generali di diritto che vengono forniti al lettore come criteri, strumenti, per la risoluzione di casi pratici.Quindi con queste opere di natura isagogico istituzionale si danno ai discenti delle informazioni di natura generale di diritto, che poi serviranno alla risoluzione di casi pratici.Questo genere di natura isagogico istituzionale è un genere molto frequentato dai giuristi romani.I giuristi romani più importanti hanno scritto tutti opere istituzionali (Ulpiano, Paolo, Fiorentino,Marciano, Gaio in modo particolare).Proprio le Istituzioni di Gaio sono un esempio del genere istituzionale, perchè le Istituzioni di Gaio è stato l'unico che c'è pervenuto direttamente.È stato scoperto un manoscritto nella biblioteca di Verona da parte di uno storico austriaco Niebhur, che ci ha riportato alla luce il testo del manuale delle Istituzioni di Gaio.Struttura di questo manuale istituzionale di GaioIl manuale istituzionale di Gaio contiene una premessa sulle fonti del diritto,cioè si occupa del sistema di produzione delle fonti del diritto nel tempo in cui Gaio scrive.Gaio è un giurista di II secolo,vive sotto l'imperatore Adriano.Il manuale istituzionale di Gaio è diviso in tre parti e queste tre parti corrispondono a 4 commentari.Le tre parti e i quattro commentari sono dedicati: la prima parte coincide con il primo libro, cioè si occupa delle persone, intendendosi per persone i tria status personarum, cioè lo status di libertatis vale a dire lo stato di libero o schiavo di qualcuno, lo status civitatis, cioè l'essere cittadino o peregrino, status familiae cioè l'essere pater, filius, cioè tutti i rapporti natura familiare.A questi tria status corrispondono le tre modalità con cui si può realizzare la capitis deminutio.Questa capitis deminutio può essere maxima se comporta la perdità dello stato di libertà, media secomporta la perdita dello stato di cittadinanza e minima se comporta la perdita dello status familiae.La seconda parte delle istituzioni di Gaio invece abbraccia due commentari, il secondo ed il terzo, si chiama res.Le res letteralmente indicano le cose, ma giuridicamente le res sono i rapporti di natura patrimoniale, quindi le successioni, i diritti reali e le obbligazioni.Di questo si occupano il secondo e il terzo commentario delle istituzioni di Gaio.Infine il quarto commentario si occupa delle actiones.Gaio ci consente di identificare actio con conceptio verborum, quindi per Gaio actio è uguale a conceptio verborum, intendendosi per conceptio verborum una concezione di parole.Nell'ottica Gaiana e del processo romano concezione di parole cosa significa?Le forme di processo e in particolare quelle di cui ci parla Gaio, il processo per legis actiones e il processo formulare si caratterizzavano per una specifica pronunzia di parole, le legis actiones erano

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dei riti sacri in cui le parti dovevano pronunziare delle parole precise e se erano diverse il rito non aveva effetti.Lo stesso per il processo formulare, anche nel processo formulare le parti dovevano pronuciare parole precise, quelle della formula che avevano concordato con il proprio avversario ed il pretore aveva dato.Le parti recitavano questa formula a voce alta e quindi avrebbero recitato una specifica conceptio verborum.Quindi actio = conceptio verborum, tecnicamente nel campo processuale, ma questo tipo di rapporto è anche nel campo negoziale.Questo perchè anche i negozi giuridici e soprattutto quelli più antichi di ius civile erano caratterizzati proprio da una precisa pronunzia di parole specifiche e solenni.Gaio ci parla di queste due forme di processo, le legis actiones, ed è l'unica fonte d''informazione sulle legis actiones, e il processo formularePremessa al manuale istituzionale di GaioGaio è un giurista che vive nel II secolo che conosciamo anche attraverso altre opere, non scrive solo le Istituzioni, scrive anche un commento alle XII tavole, scrive anche un commento all'editto provinciale.È un giurista conosciuto anche per altre opere.Tuttavia questo manuale istituzionale rappresenta per tanti aspetti alcuni tratti misteriosi, in particolae Gaio non ci racconta fatti dei suoi tempi e mira la sua attenzione sugli istituti dell'antichità, talmente antichi che ai suoi tempi non esistevano più.Esempio: Gaio vive nel II sec. sotto Adriano, non ci parla della forma di processo dei suoi tempi, le cognitiones extra ordinem, eppure esistono; non accenna alla codificazione dell'editto, eppure la codificazione dell'editto è avvenuta proprio sotto Adriano,il principe nel cui regno Gaio ha vissuto; ancora Gaio non parla dei rescritti come costituzioni imperiali dotati di efficacia normativa eppure li conosce17.Accanto a queste mancanze del manuale istituzionale, che poi coincidono con mancanze di contenuto, Gaio infatti no ci parla di tutta una serie di istituti che avrebbero potuto trovare spazio nel suo manuale, viceversa ci parla di istituti antichissimi che non esistono più ai suoi tempi, es: le legis actiones, il consortium ercto non cito (in relazione alla collegialità delle magistrature), di questo consorzio non diviso, nei quali tutti gli heredes sui avevano tutti i poteri sul patrimonio familiare, ci parla Gaio, ma nessuno di questi istituti ai suoi tempi è in vigore.Altre stranezze di Gaio, non è conosciuto da nessun altro giurista, mentre tutti i giuristi tra di loro si citano, come Pomponio cita Gaio Cassio Longino, Ulpiano e Paolo citano Papiniano, di Gaio non abbiamo mai una citazione o meglio ne abbiamo una sola sparita.Tutte queste stranezze concorrono tra di loro a formare un'immagine particolare di questo giurista.Sicuramente non fù un giurista molto conosciuto ai suoi tempi, perchè allora ebbe questa fortuna tanto che il suo manuale continuò ad essere copiato nell'età post-classica?Perchè era facile, era scritto semplice, si poteva capire anche in un periodo come quello dell'età post-classica, quando la cultura giuridica si era impoverita ed allora le opere dei giuristi più importanti (difficili da capire), allora era più facile rivolgersi ad un giurista semplice come Gaio.Ma Gaio è effettivamente un giurista del II sec. oppure tutte queste stranezze consentono di riportare l'opera ad un modello precedente?In generale si sostiene che Gaio realmente sia vissuto nel II sec, ma siccome lui professa ancora Sabiniano, e ai tempi di Giaio i Sabiniani non c'erano più perchè la scuola dei Sabiniani, come quella dei Proculiani era stata abolita da parte di Salvo Giuliano, questo tipo di professione di Gaio

17 Gaio 1.7 accenna un rescritto di Adriano, ma non ne parla in termini generali, cioè in termini di elaborazione dogmatica.

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e tutte queste stranezze, quanto meno fanno rimontare il manuale istituzionale di Gaio ad un periodo precedente, cioè al I sec. d.C., ad un modello di scuola sabiniana, perchè nel I sec i sabiniani c'erano, e molto probabilmente quella del giurista Gaio Cassio Longino.Questo spiegherebbe perchè ancora nel I sec si parla di legis actiones e di consortium ercto non cito e perchè ancora non si citono le condictiones extra ordinem e la codificazione degli editti, perchè ancora deve avvenire.Allora Gaio avrebbe semplicemente in parte rifatto ad un manuale di epoca precedente.Il manuale di Gaio ci è pervenuto attraverso un Palinsesto del V sec d.C.,però questo Palinsesto è attendibile, perchè abbiamo la possibilità di confrontare il testo delle Istituzioni di Gaio, quello del Palinsesto Veronese del V sec. e quello che ci è pervenuto attraverso il canale di Giustiniano, cioè attraverso il Digesto.Tutte le opere dei giuristi romani le conosciamo attraverso Giustiniano, perchè quest'ultimo nel Digesto ha raccolto i frammenti delle opere dei giuristi classici.Se noi confrontiamo i frammenti che ci sono pervenuti delle Istituzioni di Gaio nel Digesto e tutto il pezzo che noi conosciamo attraverso il Palinsesto Veronese e li mettiamo a confronto, ci rendiamo conto che il testo delle Istituzioni di Gaio e quello del Palinsesto si è tramandato in maniera esatta,perchè coincide e corrisponde con quello del Digesto,cioè con quello che ci ha trasferito Giustiniano.Però si tratta di un testo che presenta alcune lacune, ci sono delle parti che sono omesse, non sono state copiate.Queste parti non copiate sono alcune parti relative al consortium ercto non cito e ad alcune legis actiones,in modo particolare la legis actio per iudicis arbitrive postulationem. Nel Palinsesto Veronese dell'Istituzioni di Gaio noi abbiamo tutte le istituzioni,però ci sono le lacune su citate. Queste lacune sono state colmate grazie alla scoperta di alcuni frammenti papiracei,che risalgono a secoli precedenti il Palinsesto Veronese, in modo particolare sono dei papiri che risalgono al III e IV secolo,sono dei papiri della c.d. Società italiana. Questi papiri della società italiana che sono stati scoperti all'inizio del 900, colmano queste lacune del Palinsesto Veronese,perchè contengono frammenti che s'inseriscono nel discorso sul consortium ercto non cito e sulle legis actiones. Perchè il Palinsesto Veronese aveva queste lacune? Evidentemente perchè si preferiva di omettere di scrivere, di ricopiare, parti di un manuale istituzionale ormai obsolete, perchè non si applicavano più. Questa tendenza di Gaio allo studio del passato, che si può desumere anche dall'opera di commento alle XII tavole, è l'unico giurista classico che commenta le XII tavole, perchè fanno aprte della preistoria di Roma, quindi questa attenzione nei confronti del passato non interessava più a chi ricopiava l'opera del V sec. d.C., siamo intorno al 400 d.C., ometteva evidentemente quelle parti che non erano più insegnate, perchè essendo un manuale di natura isagogico istituzionale era destinato all'insegnamento. Il manuale di Gaio viene ricopiato,quest'opera e anche le altre sono oggetto di un'attività di copiatura e tradizione nel tempo. Per noi questa attività di copiatura, di trasmissione della memoria, è fondamentale per capire in quale maniera le opere dei giuristi classici sono pervenute a noi moderni. Alcune opere di altri giuristi classici sono state ricopiate,altre no. Tra questi generi di natura isagogico istituzionale, và inserito anche il manuale di Pomponio, "l'Enchiridion". Anche Pomponio, contemporaneo di Gaio,scrive un manuale, un'opera di natura isagogico istituzionale chiamata Enchiridion, che sulla base degli studia aeliana, cioè di Sesto Elio, tratta del diritto distinguendo tra l'origine delle magistrature,l a storia costituzionale di Roma e la storia della giurisprudenza. Anche il manuale di Pomponio era insegnato nelle scuole, naturalmente dando informazioni non di diritto privato, come quelle di Gaio, ma di diritto pubblico. Queste informazioni sono importantissime da conoscere perchè tutte le informazioni date sulla giurisprudenza provengono da Pomponio. Tanto importante che il Digesto si apre proprio, il 2°

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titolo del 1° libro del Digesto di Giustiniano, con un lunghissimo squarcio dell'Enchiridion di Pomponio, che presenta prolemi di traduzione,di trasmissione perchè anche l'Enchiridion di Pomponio è stato oggetto di copiatura. Pomponio scrive un manuale nel II sec., questo manuale molto utilizzato,viene copiato e tradito nel corso degli anni. Tutto ciò per quanto riguarda le opere di natura isagogico istituzionale, le due più importanti sono le Istituzioni di Gaio e l'Enchiridion di Pomponio, ma vi sono altre opere di altri giuristi come Ulpiano,Paolo, Fiorentino, tutti scrivono opere istituzionali e servivano a dare informazioni di carattere generale, principi generali di diritto,utilizzati nell'insegnamento scolastico, quindi nelle scuole di diritto per gli studenti di primo anno al fine di dare quelle informazioni generali sul diritto romano che servivano a dare la soluzione dei casi pratici. Questo per quanto riguarda l'instituere. L'instituere era soltanto mezzo cerchio, l'altra metà era l'instruere, le opere che entrano nell'instruere si chiamavano opere di natura casistica.2) Opere di natura casisticaLe opere casistiche sono conosciute soprattutto come opere responsorum, cioè opere di responsa.Anche queste erano oggetto di diversi giuristi romani la più importante opera di responsa è del giurista Papiniano che nella considerazione degli antichi era il più importante. Papiniano quindi autore di opere responsorum. In queste opere troviamo l'elaborazioe scritta di quell'attività pratica già studiata in età repubblicana (responsa,quaestiones e disputationes). Infatti queste opere contengono proprio questo: responsa cioè soluzioni di casi pratici,concreti,reali; quaestiones cioè risoluzione di casi immaginari,ideali; disputationes sono il controbattere di argomenti pro-contro a certe questioni di diritto, sii pone una questione di dirtto,il giurista elabora argomenti a favore di una soluzione o a favore dell'altra (disputationes).Quindi casi pratici responsa,casi ideali quaestiones, disputationes argomenti a favore o contrari ad una singola tesi (per capire l’importanza dei responsa di Papiniano, in particolare delle dipsutationes, dobbiamo sapere che qiando nasce l’università, a Bologna, introno all’anno 1000, l’esame dell’ultimo anno si faceva proprio prendendo una disputatio di Papiniano, si dava alla classe divisa in 2 parti, gli studendi dovevano elaborare gli argomenti a favore e contro delle 2 possibili tesi in relazione ad un caso pratico). Papiniano ebbe come suoi allievi due importanti giuristi Paolo (il teorico del diritto romano) e Ulpiano (è una sorta di riassunto delle posizioni degli altri giuristi, infatti era enciclopedico, quando egli scrive un tema, ci fa conoscere il pensiero di tutti gli altri giuristi). Questa è la ragione per la quale quasi un terzo dei frammenti della giurisprudenza classica contenuti nel Digesto sono di Ulpiano. Giustiniano attinge alle opere di Ulpiano perchè sono complete dal punto di vista dei contenuti dell'elaborazione scientifica, ci fa conoscere i pareri degli altri, pur se alla fine non dà soluzioni molto originali, in quanto compilativo. Questi due allievi Paolo e Ulpiano,tra le varie opere che hanno scritto, ne hanno scritta una, piccola, ma molto significativa che si chiama Notae di Paolo e Ulpiano ai responsa di Papiniano. Queste notae hanno una storia particolare,significativa per la sorte delle opere della giurisprudenza classica,dopo la fine di quest'ultima. Paolo e Ulpiano scrivono delle notae, cioè delle note di commento al lavoro di Papiniano. Queste notae saranno oggetto di ripetuti interventi imperiali, ora volte a negarne l'affidabilità, ora volte a vietarne l'uso nei processi. L’inizio del corso era l’instituere, la fine del corso era l’instruere, cioè allo studente viene dato il caso concreto, che risolverà sulla base di tutte le informazioni apprese nel corso dei precedenti anni di studio. Tra l'instituere e l 'instruere quale attività di apprendimento c'era da parte dei discenti sulle opere della giurisprudenza? C'era l'apprendimento di tutti quei sistemi di diritto, che nell'età del principato continuano ad esistere: ius civile,ius honorarium,ius gentium, ius novum. Come erano appresse le informazioni su questi sistemi di diritto, in quali opere erano contemplati i sistemi di diritto in questione? Erano contemplati in delle opere che vanno sotto il nome di opere sistematiche, sono opere di sistema.

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3) Opere di natura sistematicaErano opere scientifiche, di elaborazione scientifica, che si occupavano di interi sistemi di diritto e ricomprndono nel loro contenuto, interi settori del diritto romano.Al loro interno queste opere si dividevano in questo modo, possono essere:

ad edictum ,si occupano del ius honorarium; le opere che si occupano dello ius civile a loro volta possono essere di due specie, ad

Sabinum e ad Quintum Mucium; a metà strada vi erano le opere che si occupavano di entrambe le cose, ius honorarium

e ius civile, sono i Digesta, da non confonderli con i digesta di Giustiniano. I digesta dal verbo digenere(mettere ordine) sono delle opere che stavano a metà strada tra le opere sistematiche, perchè si occupavano sia di ius honorarium sia di ius civile, ma stavano a metà strada anche tra le opere casistiche e quelle sistematiche, perchè non solo contenevano riflessioni su principi generali di diritto,ma per spiegare questi principi generali di diritto facevano ricorso a casi pratici concreti e quindi erano opere sia sistematiche sia casistiche. Quindi opere di ius civile e ius honorarium.

Abbiamo detto che le opere sistematiche potevano essere ad edictum e ad Sabinum e ad Quintum Mucium, “ad” indica una sorta di commento all'editto oppure commenti che prendevano come punto di riferimento le opere di ius civile di Sabino o di Quinto Mucio.Quindi i commentari edittali sono commentari all'editto, quindi ius honorarium.I commentari al ius civile sono commentari che possono seguire due diverse possibili sistematiche, cioè o quella data da Sabino nell'opera di ius civile, opera di tre libri, come le tre parti del commentario di Gaio, ecco perchè Gaio è Sabiniano.Sabino scrive tre libri di ius civile con una sistematica identica a quella di Gaio.Infatti i commentari ad sabinum seguono questa sistematica, persone,res, actiones.Un altro possibile stutio dello ius civile poteva essere fatta da parte dei giuristi nei commentari ad Quintum Mucium (QUINTO MUCIO, cioè quel giurista il quale aveva scritto 18 libri di ius civile, il primo commentario di ius civile in età repubblicana).I commenti ad Quintum Mucium erano dei commenti fatti da altri giuristi sualla base della sistematica del ius civile data da Quinto Mucio nei 18 libri di ius civile della fine dell'età repubblicana e presenta un sistema diverso da quello Gaiano Sabiniano.Iniziava con le successioni, le persone venivano trattate succesivamente.Questi due modelli, nel corso dell'età del principato, erano concorrenti, solamente che la scoperta delle Istituzioni di Gaio nel 1816 ne vede uno vincente ed uno perdente, il modello di Gaio, di origine sabiniana, diventa quello vigente e viene accolto nele codificazioni moderne.Dopo i codici napoleonici, nei codici successivamente redatti compreso il nostro viene seguita proprio la sistematica gaiana (persone, rapporti contrattuali, tutela dei diritti,azioni).La sistematica di Quinto Mucio non venne più seguita.

I commentari ad edictumSi tratta di opere che commentavano il testo dell'editto, si rivolgevano al ius honorarium.Qual'è la sorte del ius honorarium nell'età del principato?Gaio 1.6(fotocopia) ci parla del ius honorarium, il fatto che ce ne parli significa che è ancora fattore di produzione del diritto romano e che i giuristi considerano fonte del diritto romano.

Gaio 1.6.:”Gli editti sono le disposizioni di coloro che il potere di emanare editti. Sono titolari del potere di emanare editti i magistrati del popolo romano; ma il potere più ampio si riscontra negli editti dei due pretori, quello urbano e quello peregrino. La cui giurisdizione spetta nelle province ai presidi delle ,medesime; egualmente negli editti degli edili curuli, la cui giurisdizione spetta nelle province del popolo romano (senatorie) ai questori; nelle province

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imperiali, infatti, non si invianoper nulla questori e, perciò, in tali province questo editto non viene emanato.

Gaio quindi ci dice che hai suoi tempi (II sec.) lo ius honorarium è una fonte di diritto attiva, ci dice che i magistrati che hanno iurisdictio, quindi emettono degli editti sono i pretori urbani e peregrino, gli edili curuli,i governatori provinciali e i questori nelle province senatorie.Problema: Gaio non ci dice che l'editto ai suoi tempi viene codificato. Questi 5 libri di cui ci parla Gaio che corrispondono al sistema repubblicano, in realtà già ai suoi tempi sono solo un ricordo, è una delle tante anticipazione storiche di Gaio,perchè ai tempi di Adriano gli editti giurisdizionali vengono codificati da parte di un giurista che si chiama Salvio Giuliano.Venogono ridotti ad unità,ecco perchè si chiamano ad edictum: l'editto è uno solo ormai,non ci sono tanti editti come dice Gaio, ma l'editto è uno, è stato codificato da Salvio Giuliano e comprende l'editto dei due pretori ,urbano e peregrino, in appendice contiene anche alcune parti dell'editto degli edili curuli (azioni redibitorie ed estimatorie) e di quell'editto emanato in provincia.Per questo motivo i commentari ad edictum sono al singolare, ad edictum.I commentari ad edictum sono importanti perchè sono la fonte primaria di conoscenza dell'editto, una volta codificato diventa un testo immutabile, i pretori non possono più aggiungere formule, l'unico che può intervenire sull'editto è il Principe, a partire da Adriano e i suoi successori, i principi preferivano la via più facile, che era quella di introdurre istituti della cognitio extra ordinem, che era tra l'altro di loro diretta competenza, piuttosto che intervenire su un testo edittale già codificato e stabile da decenni.Per questo motivo sull'editto s'inizia a formare un'attività di elaborazione di studio da parte dei giuristi, che di fronte ad un testo ormai chiuso,possono procedere non tanto ad un'interpretazione o un aiuto alla sua redazione, ma ad una sua elaborazione, anche con una possibile estensione di questi rimedi edittali a casi simili pepr la quale erano stati dati.Quest'opera di commento ad edictum è importante perchè è l'unica fonte che noi abbiamo per ricostruire l'editto.Il testo dell'editto non c'è pervenuto, non lo conosciamo, ma conosciamo il commentario ad edictum e siccome sono dei commentari lemmatici,cioè redatti lemma per lemma, cioè parola per parola.La ricostruzione dei singoli lemmi dei commentari ad edictum,ci consente di ricostruire il testo dell'editto.Quindi se mettiamo insieme questi testi ad edictum possiamo cercare di ricostruire il testo edittale. Questo è stato fatto da parte diuno studioso tedesco che si chiama Otto Lenel, romanista tedesco della seconda metà dell'800, ha ricostruito il testo dell'editto in un'opera che si chiama edictum perpetuum. Lenel ha preso tutti i testi dei commentari edittali dei giuristi, li ha sfrondati dei commenti dei giuristi stessi, cercando di desumere le formule di azioni contenute dentro l’editto, ricostruendone la sistematica. Poteeva far ciò sulla base del fatto che i commentari ad edictum erano distiti in libri e questa distinzione coincideva con la sistematica dell'editto.Il primo libro si sarebbe occupato delle prime rubriche edittali e cosi via.Confrontando i vari commentari ad edictum dei vari giuristi, soprattutto Ulpiano, è stato possibile ricostruire il testo dell'editto perpetuo con le formule che esso conteneva.Questa distinzione di opere in casistiche, sistematiche, e all’interno di esse in ad edictum e ad sabinum, non è una distinzione didattica, ma è stata presa in considerazioe da parte dei commissari di Giustiniano nella redazione del Digesto.Il Digesto è un'opera redatta sulla base di alcuni criteri di redazione,tra questi l'unico forse certo, è quello della distinzione del lavoro per gruppi di opere.Se prensiamo un titolo a caso del Digesto ci accorgrmo che i primi passi di quel titolo vengono da

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opere ad edictum, poi dopo che sono finite queste opere i commissari di Giustiniano hanno considerato le opere ad sabinum, poi le opere casistiche.Quindi il numero maggiore di fammenti provengono da questi tre tipi di opere e prese in considerazione da questi commissari, i quali hanno lavorato in sotto commissioni e si sono divisi il lavoro alla luce della provenienza delle opere dei giuristi romani,distinguendo tra opere ad edictum,ad sabinum e opere di carattere casistico.Queste non sono le uniche opere dei giuristi romani, sono le più importanti perchè prendono in considerazione i sistemi più importanti di diritto, ius civile e ius honorarium.4) Opere di natura monografica Ci sono anche altri tipi di opere che vengono conosciute sotto il nome di opere di natura monografica,cioè si occupano di un argomento specifico e lo trattano in tutte le sue parti.Erano rivolte ad istituti del ius gentium o del ius novum o extraordinarium .Quindi erano opere di commento a singoli istituiti o a singoli leggi o a singoli senato consulti, ad es vi sono opere di giuristi che commentano la legislazione augustea in tema di famiglie oppure opere di giuristi che si occupano delle cognitiones extra ordinem. Quindi opere che si occupano di settori specifici, di singole parti dell'ordinamento come il ius novum.

Questa sistematica delle opere della giurisprudenza classica ci consente di fare un passo avanti per capire la sorte di queste opere della giurisprudenza.I giuristi romani scrivono questi tipi di opere, quest'ultime le conosciamo tramite Giustiniano che li raccoglie nel Digesto.Quest'opere quando sono state scritte? Sono state scritte da parte dei giuristi classici di I-II-III sec. d.C.Giustiniano il Digesto lo scrive nel VI d.C., a queste opere che succede nei tre secoli che vanno dalla loro redazione effettiva alla loro redazione da parte di Giustiniano?Che cosa succede dopo che la giurisprudenza classica finisce?L'ultima grande stagione dei giuristi è quella dell'età dei Severi, morto Alessandro Severo 235 d.C. e morto Modestino, che è l'ultimo giurista romano, la giurisprudenza finisce, quindi non vi sono più persone che studiano il diritto ed elaborano opere scientifiche originali, la letteratura giuridica dopo l'età dei Severi è una letteratura giuridica di riferimento, cioè di studio delle vecchie opere.

La sorte delle opere della giurisprudenza nel corso dell’ètà post-classicaIl nostro problema qual è? Noi abbiamo delle opere scritte dai giuristi romani nel II-III sec. Cosa succede quando finisce la stagione della giurisprudenza classica?La letteratura giuridica finisce con la morte di Alessandro il Severo, l'ultimo giurista si chiama Modestino,vive sotto l'età di Gordiano (238 d.C.).Finita la fase dell'età dei Severi, inizia un periodo di decadenza della cultura giuridica e più in generale dell'impero romano, infatti dal 235 al 284 d.C. si apre una fase di anarchia militare fino a quando non sale al trono Diocleziano, che inagura una fase nuova della storia del diritto romano che si chiama Dominato (non parleremo più di principi, ma di imperatori).Si tratta di una fase di decadenza,i giuristi non ci sono più,non si scrivono più opere giuridiche,la cultura giuridica viene a decadere.Nel corso dell'età post-classica, quella che inizia con Diocleziano, s'inizia a perdere la distinzione tra proprietà e possesso. La proprietà è uno stato di diritto, mentre la proprietà uno stato di fatto.Che sorte hanno le opere dei giuristi inizialmente citate?Va concentrata la nostra attenzione su un fenomeno, esiste nel corso dell'età del basso impero, nell'età post classica, una novità epocale, cioè quella della copiatura delle opere della letteratura

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giuridica, infatti nel corso dell'età post classica cambia il materiale scrittorio, le opere della giurisprudenza venivano scritte su dei rotoli (di pergamena o di papiro) denominati volumen, i libri corrispondevano ai rotoli, 1 rotolo=1 libro.Nell'età post-classica la letteratura giuridica non fu più una letteretura originale, ma di riferimento, non si scrivevano più opere nuove ma si ci riferiva ad opere precedenti.E allora più facile ritrovare le opere dei precedenti giuristi era un formato edittario nuovo che in quegli anni si stava sviluppando, che era quello del codex, che corrisponde al nostro odierno libro.Era più facile perchè bastava prendere l'indice e trovare l'opera che si cercava.Quindi gli originali dei giuristi classici scritti in volumina, vennero copiati in massa nel corso dell'età post-classica, in un nuovo formato letterario che si chiama codex, il risultato, effetto di questa copiatura, due risultati fondamentali.Il primo, la nuova sessione di opere che avevano un formato librario in origine diverso, l'originale era scritto in volumen, ma al volumen naturalmente non sempre corrispondeva correttamente un codex, ecco perchè noi nel corso dell'età post-classica ci troviamo di fronte ad edizioni nuove o diverse di opere della giurisprudenza. Esempio:"l'Enchiridion di Pomponio", quest'ultimo lo conosciamo in due diverse versioni, quest'ultime sono state entrambe accolte da Giustiniano nel Digesto. Nel Digesto vi sono 4 frammenti di Pomponio, tutte e 4 vengono dall'Enchiridion di Pomponio solo che l'inscriptio talvolta porta l'espressione Pomp.libri duo enchiridi, altre volte riporta l'inscriptio Pomponio Liber Singularis Enchiridi.Ciò significa che l'opera di Pomponio, l'Enchiridion, nella fase di copiatura dal volumen al codex, è stata copiata secondo due diverse versioni: una in due libri "Pomponio libri duo enchiridi", un'altra in un'edizione unica cioè "Liber Singularis Enchiridi".Pomponio ha mai scritto il liber singularis enchiridi o libri duo enchiridi? No, ma ha scritto l'Enchiridion, solo che a noi è arrivato attraverso l'attività di copiatura fatta in età post-classica, attraverso queste diverse versioni, entrambe accolte nel Digesto.Nell'esempio fatto Libri duo enchiridi/Liber singularis enchiridi, quest'esempio fatto vale per tantissime opere giurisprudenziali le quali furono oggetto di copiatura.Quali opere vennero copiate?Quelle evidentemente che in quel momento di crisi del pensiero giuridico erano considerate le più utili, soprattutto nella pratica dei tribunali, e quindi furono oggetto di copiatura non tutte le opere della giurisprudenza classica, ma solamente alcune e sono quelle che ci sono pervenute nel corso dell'età post-classica sotto versioni diverse rispetto a quelle dell'originale, nell'esempio fatto Pomponio scrive l'Enchiridion che però viene tradito nell'età post-classica con due diverse versioni: Libri duo enchiridi/Liber singularis enchiridi.Questa attività di copiatura, fu un'attività esente da sviste?I libri antichi, questo fino al medioevo inoltrato, non è che si copiavano come oggi nella copiatura di un testo, ma l'attività di copiatura è un'attività a due a due, uno scriveva e l'altro dettava, quando si stancavano facevano cambio.Non sono rari i casi in cui quest'attività di copiatura venivano saltate delle lettere, frasi, righi,o c’erano involontarie alterazioni del senso di ciò che veniva letto.L'attività di copiatura quindi non rende esente le opere della giurisprudenza, oggetto di questo fenomeno, da quelle che i romanisti chiamano alterazioni pre-giustinianee.Le opere della giurisprudenza classica siccome sono state copiate, sono arrivate a Giustiniano, in taluni casi, alterate involontariamente.Queste alterazioni sono date come alterazioni pre-giustinianee, cioè che si sono verificate prima di Giustiniano, si sono inoltre verificate in quell'attività di copiatura e riedizione dei testi che ha caratterizzato il passaggio dal volumen al codex, l'esempio più evidente è l'Enchiridion di

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Pomponio.Quest'ultimo, tutti i romanisti lo sanno, è pieno di errori. È possibile mai che un giurista come Pomponio scrivesse delle castronerie che noi riscontriamo nel Liber singularis enchiridi?No, perchè è più probabile che tutto ciò di errato che noi troviamo nel Liber singularis enchiridi venga o da alterazioni pre-giustinianee, frutto di una diversa tradizione diplomatica di quest'opera, non solo ma queste alterazioni, probabilmente una volta arrivati questi testi a Giustiniano, sono stati ancora una volta alterati.Quindi attenzione quando si parla dei testi della giurisprudenza classica, a che cosa ci riferiamo? Al testo originale, al testo copiato in età post-classica, al testo che è pervenuto a Giustiniano? Qui sorge un altro problema, quale testo è pervenuto a Giustiniano? L'originale di Pomponio o quello copiato in età post-classica? (Questo vale per tutte le opere della giurisprudenza, anche questo pone un problema di comprensione del contenuto e della natura del Digesto).Non tutte le opere della giurisprudenza vennero copiate,ma solo alcune, quali?Quelle più utili alla pratica del diritto di quegli anni e sopratttutto quelli più facili da capire.Pomponio viene copiato, l'Enchiridion viene trasmesso con queste due versioni, Libri duo enchiridi e Liber singularis enchiridi. Viene copiato Gaio, le Istituzioni vengono ricopiate, tanto che sono state ritrovate nel Palinsesto Veronese del V sec., tre secoli dopo l'edizione delle Istituzioni di Gaio vi è un testo, il Palinsesto Veronese, che ricopia le Istituzioni di Gaio.Perchè vengono copiate le Istituzioni di Gaio e, per quello che noi sappiamo, quelle di Ulpiano no, quelle di Fiorentino no, quelle diPaolo no?Perchè evidentemente le Istituzioni di Gaio erano più facili, più semplici da capire.Nel corso dell'età post-classica delle Istituzioni di Gaio venne relizzata una sorta di breviario, di riassunto, chiamato Epitome Gai.L' Epitome Gai è un'operetta post-classica, che non ha nulla a che fare con Gaio, e si tratta di una riduzione delle Istituzioni ridotta in due soli commentari, quindi un riassunto delle Istituzioni di Gaio che circola nel corso dell'età post-classica.Chi l'ha scritto? È un autore anonimo post-classico, che si trova ad utilizzare le Istituzioni e ricopia solo quella parte che egli ritiene interessante, non copia invece tutte quelle parti che non gli servono nella sua attività pratica, di avvocato soprattutto, non copierà tutte le nozioni di natura storica, che non gli interessano più, infatti non sono presenti nel Palinsesto Veronese e non copierà tutte quelle disposizioni/regolamentazioni non più applicate e soprattutto non copierà tutte quelle parti in cui Gaio dà conto di dibattiti giusrisprudenziali, quelli che non servono più, perchè come vedremo il diritto romano in età post-classica cambia, non sarà più un sistema aperto in cui si confrontano tutti i punti di vista, ma c'è un solo punto di vista quello dell'imperatore.Allora non ha senso conservare il punto di vista dei giuristi, quindi di tutti questi elementi resta il principio di diritto,cioè la regola, l'Epitome Gai è una sorta di manuale istituzionale in pillole, in cui vi erano singoli principi di diritto,non ha nulla a che fare con Gaio, ma si tratta semplicemente di una sua riedizione.Quindi viene copiato Pomponio, viene soprattutto utilizzato Gaio.Altre opere più importanti che furono oggetto di attività di copiatura nel corso dell'età post-classica e quindi legate al doppio filo con l'attività dei giuristi.Queste opere sono:

le Paulie Sententiae l'Epitome Gai Tituli ex Corpore Ulpiani Scholia Sinaitica Notae di Paolo e Ulpiano a Papiniano

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Queste operette che cosa sono? Sono riedizioni post-classiche di opere della giurisprudenza classica.In età post classica non abbiamo le opere dei giuristi, ma queste opere finiscono quando l'attività della giurisprudenza si esaurisce, di conseguenza si esaurisce anche la circolazione delle opere di cui abbiamo parlato, commentari ad edictum,commentari ad sabinum, non servono più.Che cosa serve?Serve una parte delle opere della giurisprudenza ,quello che se ne può salvare, Ciò che si salva sono queste operette (pauli sententiae, epitome gai,tituli ex corpore ulpiani, scholia sinaitica, notae di paolo e ulpiano a papiniano).

PAULI SENTENTIAE (le sentenze di Paolo)Paolo è il teorico del diritto romano, scrive, ciò lo sappiamo attraverso il Digesto di Giustiniano, dei libri sentetiarum, si tratta di raccolte di sententiae, la sententia rivolta al giurista non è la sentenza, ma l'opinione.Questo libro di pareri in età post classica ebbe una gran fortuna, perchè scritto a modello di brocardo, cioè scritte come delle vere e proprie epigrafi, brevissime, in cui il giurista dice: “se succede questo si fa cosi”. Non è un'opera discorsiva complessa, in cui si confronta le idee.Quindi facile da studiare, facile da imparare e facile da applicare. Ecco perchè i libri sentetiarum di Paolo furono oggetto nel corso dell'età post-classica di un'attività di copiatura, ma anche di elaborazione e di rielaborazione.E allora queste sententie di Paolo di chi sono? Di Paolo?Probabilmente a Paolo risale il numero originario dell'opera, i libri sentetiarum, ma poi chi ha studiato quest'opera, in modo particolare uno studioso tedesco Ernesto Levy,(tipico cognome ebraico).Questo studioso ha scoperto nelle sentenze di Paolo 5 strati successivi, le sentenze di Paolo sono divisi in titoli, sono 5 titoli, ci sono 5 mani successive, ossia 5 strati d'intervento, cioè un nucleo originario copiato dalle sentenze di Paolo e poi interventi successivi.Ciò viene detto perchè le sentenze di Paolo contengono istituti che ai tempi di Paolo non c'erano, ci parlano di questioni che il giurista Paolo non si poteva porre, perchè evidentemente ancora non c'erano e allora operetta post-classica che prende spunto dalle sentenze di Paolo, in 5 titoli caratterizzata da questa forma della sentenza, cioè della breve frase, della breve preposizione.

TITULI EX CORPORE ULPIANIUlpiano ha mai scritto un'opera cosi intitolata? No. Quindi si tratta di capitoli che sono desunti dal Corpus Ulpianeo.Cosa è questo Corpus Ulpianeo?In età post classica girava il complesso delle opere di Ulpiano, il Corpus Ulpianeo, quest'ultimo è stato oggetto di un'attività di copiatura, di riedizione post classica, ma non tutto, solo la parte che interessava.Ecco perchè questi Tituli ex corpore ulpiani sono testi/frammenti dell'opera di Ulpiano presi ad uso del fine, cioè appunto nell'età post classica.Naturalmente, in età post-classica nella quella il ius honorarium non esiste più, non aveva senso ricopiare le pere ad edictum, perchè non servivano, non si applicavano. Nel 342 viene abolito il processo formulare, che senso ha ricopiare le opere edittali che funzionali al processo formulare? E allora cadono nel dimenticatoio, dei giuristi si ricopiano quelle parti di ius novum o ius extraordinarium che sono più attinenti ai tempi.Però nel momento in cui queste opere si copiano, non si ci limita alla copiatura vera, pura e

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semplice, ma siccome sono opere di oggetto di studio e applicazione pratica, quest'opere sono spesso oggetto di commenti, di integrazioni, di annotazioni, di riflessioni, sono opere private.

SCHOLIA SINAITICAUn esempio chiaro di questo tipo di lavoro va sotto il nome di Scholia Sinaitica.Gli Scholia Sinaitica sono una riedizione tarda, post-classica, dell'opera ad sabinum di Ulpiano, si tratta di un'opera di ius civile.È cosi denominata, perchè Scholia (la parola “scolio”indica il commento che chi ha scritto quest’operetta ha posto all’opera commentata) Quindi abbiamo il testo di Ulpiano ad sabinum, chi lo ha ricopiato però lo ha accompagnato a dei commenti, questi commenti si chiamano scholia.Gli scholia possono essere di due tipi: interlineari o marginali.Si dicono interlineari quando sono scritti tra le linee del testo, tra le righe c’è quindi il commento. Oppure marginali cioè al margine del testo, accanto a destra o a sinistra, in corrispondenza del testo il tardo annotatore/ricopiatore scrive il suo commento. Nell'esempio degli Scholia Sinaitica, si chiamano Sinaitica perchè sono state ritrovati nel monastero di Santa Caterina sul Sinai.In questo monastero vi erano dei rotoli di papiro tra i quali vi era il testo di Ulpiano ad sabinum, si tratta di un piccolo frammento, però è sufficiente a capire come accanto al testo di Ulpiano ad sabinum ci sono dei commenti. Per esempio in quella parte che si occupa della tutela, accanto al testo viene annotato il numero e il testo di una costituzione imperiale in materia di tutela, è un richiamo, un collegamento.Sono importanti questi scholia perchè sono la luce delle alterazioni pre giustinianee, perchè spesso capitava che quando questi testi venivano a loro volta ricopiati, questi scholi che in orgine non erano un testo,ma venivano scritti a parte, scivolassero dentro un testo integrandolo. Il successivo ricopiatore avrebbe avuto difficoltà a distinguere un testo dallo scholio interlineare e non è raro che testi delle opere di giurisprudenza classica, proprio a causa di quest'attività di copiatura, nel corso del tempo siamo stati caratterizzati dalla presenza di scholi, commenti che potevano cadere dentro il testo e confondersi con l'originale.Ecco le alterazioni pre giustinianee da dove vengono, cioè da alterazioni involontarie dell'attività di copiatura dei testi.

NOTAE DI PAOLO E ULPIANO A PAPINIANOAnche queste circolavano molto nell'età del basso impero, che cosa sono?Sono i commenti che gli allievi di Papiniano, Paolo e Ulpiano, scrivono all'opera del loro maestro.Nell'attività di copiatura è molto probabile che commenti marginali/interlineari si sono innescati dentro il testo rendendone quindi poco attendibile la tradizione.Conseguenza: quest'operetta, per quanto molto usata nella pratica, perchè di facile consultazione, piuttosto che andare a prendere i responsa di Papiniano, che sono complicatissimi, era più facile andarsi a prendere le Notae, che erano un’opera facilitata dei responsa di Papiniano, facilitata dalle spiegazioni di Paolo e Ulpiano. Ma cos’era di Papiniano? E cosa di Paolo ed Ulpiano? Ad un certo punto non si capì più, non si riuscì più a distinguere il testo originale dal commento, tanto che un imperatore romano Costantino ne vieta l'utilizzo, affermando che si trattava di opere apofriche. Non si riesce a distinguere tra l'originale e il falso.Dopo di lui un successore di Costantino,Costante, invece ne cosente l'utilizzo nella sola parte relativa al nucleo Papinianeo, quindi vieta il commento di Ulpiano e di Paolo.Questo per capire come la tradizione delle opere della giurisprudenza classica sia particolarmente difficile.

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Questo divieto viene posto, perchè gli imperatori si rendono conto che si tratta di opere apofriche, che non possono essere seguite perchè false.Se le opere della giurisprudenza classica circolano dopo l'età dei severi in questo modo, come ha fatto Giustiniano nel VI sec. A raccogliere gli originali delle opere classiche?Giustiniano nella sua opera non contiene le operette suddette,queste le conosciamo da canali extra giustinianee. Le Paulie Sententie ci sono pervenute dalle leggi romane dei Visigoti, anche l'epitome gai,i tituli ex corpore ulpiani ci sono pervenuti in un manoscritto che la regina di Svezia abbia dato al vativano.Gli scholia sinaitica sono stati ritrovati nel monastero di Santa Caterina, le notae di Paolo e Ulpiano ci sono pervenute attraverso una loro tradizione diplomatica.Sono tutte opere che sitrovano in un canale extra giustinianeo.Giustiniano siccome quest'opere non sono classiche non le ha prese in considerazione e allora come gli sono arrivati gli originali? È un punto di domanda al quale dovremmo rispondere dopo aver studiato il Digesto.Queste opere certamente non sono scomparse, ma non circolavano non erano utilizzate,come ha fatto Giustiniano tre secoli dopo la loro redazione a scrivere il Digesto che contiene gli originali? Cercheremo di rispondere.

PROCESSO DELL'ETA' DEL PRINCIPATO

Sappiamo che in età di Augusto vengono emesse due leggi gemelle che si chiamano IULIE.Queste leggi distinguono il processo pubblico ed il processo privato, si chiamano legge Iulia Iudiciorum Privatorum e Iudiciorum Publicorum cioè separano l'ordine dei giuristi pubblici dall'ordine dei giuristi privati.Qual'è l'ordine dei giuristi pubblici? Viene abolita la provocatio ad populum,il processo ordinario si chiama quaestiones pubbliche.Analogo discorso per l'ordine iudiciorum privatorum, vengono abolite le legis actiones, il processo ordinario si chiama formulare.Attorno a questi processi del lordo,quindi ordinari, si sviluppano nell'età del principato le c.d. Cognitiones extra ordinem (cognitio extra ordinem al singolare è una semplificazione didattica del prof).Le cognitiones extra ordinem sono tante quante sono i singoli processi che si sviluppano.Si tratta di forme processuali che si sviluppano attorno all'ordine dei giuristi pubblici e privati.Quindi è un discorso da fare separatamente per i giuristi pubblici e privati.Iniziamo dai Giuristi Privati:le nuove esigenze di tutela degli istituti giuridici nuovi determinarono piuttosto che un'integrazione del convenuto dell'editto nel corso dell'età del principato, l'istituzione di tribunali nuovi, di giudici nuovi competenti secondo una procedura nuova che si sviluppò al di fuori del processo formulare.Questo avviene già a partire da Augusto, ma è un fenomeno che ancora di più si sviluppa quando una volta codificato l'editto, il testo dell'editto resta stabile e il processo formulare si può esercitare solamente per quelle questioni di diritto che sono contemplate dall'editto.E per tutte le altre questioni nuove? Si sviluppa la cognitio extra ordinem.Quali sono queste nuove questioni di diritto che si determinano nel corso dell'età del basso impero? Pensiamo ad esempio a tutta la materia dei fedecommessi, cioè quell'istituto giuridico di diritto successorio con cui un testatore lasciava l'adempimento di un lascito testamentario alla fedeltà/fides di un operaio.

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È un istituto non contemplato nè nello ius civile nè nello ius honorarium, ma è un istituto di ius novum.Quest'istituto viene regolamentato con l'istituzione di un nuovo giudice che si chama praetor fides commissaris al quale viene deputato il compito di giudicare una materia dei fides commessi,secondo principi nuovi come quello della cognitio extra ordinem.Questo riguarda tanti altri settori ad es:in materia fiscale,nell'età del principato viene riformato l'ordinamento del fisco, vengono introdotte imposte nuove, separate le casse e tutti questi rapporti nuovi li conosce un pretor fiscalis, viene creato un giudice nuovo che conosce tutte quelle questioni che si possono creare tra il fisco e il cittadino, tutto ciò nelle forme della cognitio extra ordinem.Ai vecchi magistrati dell'età repubblicana vengono attribuite ancora funzioni di giurisdizione in materie concorrenti con quelle del processo formulare.La cognitio extra ordinem infatti spesso ricalca tipici istituti del processo formulare, es caratteristico:le liti di libertà, per stabilire se un soggetto era schiavo o cittadino veniva esposto in età repubblicana avvenivano con il sistema formulare, nell'età del principato il sistema formulare continua però viene creato anche un praetor de liberalibus causis e anche al console vengono attribuite corrispondenti funzioni in materia di cause liberalis cioè la lite di libertà si poteva impostare sia con il processo formulare sia con la cognitio extra ordinem, con procedure diverse.Questi esempi sono stati fatti per capire come si sviluppa la cognitio extra ordinem, quindi non si tratta di una forma processuale nuova che viene creata in maniera organica, con una legge di riforma, ma si tratta di interventi occasionali che di volta in volta integrano il processo formulare, o per situazioni nuove che lo ius honorarium e lo ius civile non tutelavano prima(es. fedecommessi o fisco) o anche per situazioni precedentemente tutelate dal processo formulare che però vengono considerate maggiormente più facile essere risolte extra ordinem, perchè presenta delle caratteristiche processuali più semplice.Proprio perchè la cognitiones extra ordinem si sviluppano in maniera occasionale, senza una legge organica che le regolamenta ab origine, sino a tutto il I-II sec. d.c. Si sviluppano secondo principi che non sono codificati, ma che spesso sono tra di loro diversi, per cui il pretor fiscalis seguirà una procedura, ne seguirà un'altra anche il pretor fides commissari.Quando viene messo un pò di ordine tra le regole che disciplinano l'attività delle cognitiones extra ordinem? Vengono messe in ordine dall'imperatore Marco Aurelio (Oratio Divi Marci), siamo alla fine del II sec. d.c. Questo Oratio Divi Marci mette ordine, detta i principi della procedura delle cognitiones extra ordinem. Che cos'è l'Oratio? È quell'orazione approvata dal senato,non più un senato consulto nell'età del principato, perchè il senato guarda bene ad andare contro la volontà del principe, quindi recessione della volontà che l'imperatore Marco Aurelio nel caso di specie ha espresso dinnanzi al senato.Questo Oratio Divi Mrci quindi contempla tutto una serie di principi che sono tipici, che si applicheranno a tutti i processi della cognitio extra ordinem di diritto privato.Quali sono questi principi, come si regola questa procedura?Premessa:chi è il giudice? Il giudice è un funzionario imperiale, creato da parte dell'imperatore o ad hoc o recuperando funzioni di organi già esistenti.Ad es il pretor fides commissaris era un pretore, ma solo di nome perchè non aveva niente a che fare con il pretore repubblicano, perchè si occupava espressamente della materia dei fedecommessi.Il pretore fiscale, anche lui si chiamava pretore perchè i pretori erano gli organi competenti a

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svolgere funzioni giurisdizionali, ma non avevano niente a che fare con il pretore del processo formulare infatti si occupava di processi fiscali.Alcuni magistrati successivamente ebbero funzioni extra ordinem, ad esempio i consoli mantennerò la funzione giurisdizionale pure nelle liti di libertà, concorrendo con il praetor de liberalbus causis e il giudice del vecchio processo formulare.Quindi i giudici di questo procedimento sono funzionari imperiali, spesso creati ad hoc e qualche volta allargando le loro funzioni.Quando infatti si è parlato dei funzionari imperiali è stato detto quali sono questi funzionari, procuratores, curatores,prefetti e hanno funzioni amministrative e sfere di competenza e si occupano di quelle funzioni giurisdizionali che ricadono nell'ambito delle loro attività.Le funzioni che ricadono nell'ambito delle loro attività sono quelle della cognitio extra ordinem.Quindi c'è un prefectus urbi che ha una competenza all'interno della città di Roma e ha funzioni giurisdizionali di tutte quelle questioni che si possono realizzare dentro i limiti di cento miglia dal pomerium, se ci sono appunto competenze giurisdizionali di diritto privato,saranno svolte secondo il sistema della cognitio extra ordinem.I principi comuni di questo processo quali sono?Sono principi che scardinano letteralmente il sistema del vecchio processo formulare.

Differenza fra processo formulare e cognitio extra ordinemAndiamo per ordine:inizio del processochiamata d'ufficio:il proceso formulare iniziava mediante un atto privato che si chiamava in ius vocatio, il privato chiamava il proprio avversario in ius(significa davanti al tribunale del pretore). Si tratta di un atto privato,il privato non poteva esercitare violenza nei confronti della controparte che non si voleva presentare in giudizio,se costui non lo seguiva c'erano tutta una serie di rimedi per costringerlo ad andare in ius, c'erano delle sanzioni, ma non era mai previsto un intervento dell'autorità, diversamente con la cognitio extra ordinem.Con la cognitio extra ordinem la chiamata in ius diventa di competenza dell'organo dell'ufficio pubblico, quindi non è più fatta dall'attore, ma l'organo pubblico che può quindi esercitare attività di pressione/coercizione nei confronti del ius vocatus recalcitrante. Quindi lo può costringere ad andare in giudizio, a differenza di quando avveniva nel processo formulare.Quindi in questo modo il convenuto viene chiamato in ius con la forza, cosa succede se questo convenuto è assente? Viene per la prima volta teorizzato dall'Oratio Divi Marci, il processo contumaciale, anche in assenza del convenuto o di una delle parti.Il processo formulare non era concepibile se una delle due parti non c'era,infatti nella fase della litis contestatio le parti dovevano recitare la formula, cioè l'attore,il convenuto e il pretore che dà la formula.Quindi era necessaria la presenza di tutte e tre.Nel caso della cognitio extra ordinem non essendoci più formule da recitare era possibile che il processo fosse non solo vincolato, ma anche portato avanti anche in assenza di una delle parti, processo contumaciale. Ovviamente ciò non comporta l'emanazione di una sentenza sfavorevole per la parte assente, perchè i giuristi romani teorizzarono un principio secondo cui esso stesso poteva finire a favore della parte assente.La contumacia era semplicemente una causa non impeditiva della prosecuzione del processo.Altra novità rilevante della cognitio extra ordinem è l'abolizione del processo bifasico.Il processo formulare come funzionava?Vi erano due fasi in iure e apud iudicem(davanti al giudice privato che giudicava sulla base del testo

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della formula).Tutto ciò non avveniva nel processo extra ordinem, la fase è unica, il giudice è unico, è lui che istruisce la lite ed emette la sentenza finale.La sentenza finale si chiama DECRETA, non sono sentenze emesse dal principe, ma dai singoli funzionari, quindi non sono costituzioni imperiali, ma il nome decreta cioè le sentenze emesse dal principe hanno la stessa origine,natura giuridica delle sentenze emesse dalla cognitio extra ordinem, sono tutte sentenze, solo che quelle emesse dal principe titolare della funzione di cognitio extra ordinem, sono quelle delle costituzioni imperiali.Quindi c'è un unico organo, non più un processo bifasico,non c'è più un pretore ed un giudice privato, ma un unico organo pubblico che competente per instaurare la lite e per emettere la sentenza.La sentenza può essere emessa in piena discrezionalità da parte del giudice. Se nel processo formulare il giudice era tenuto ai termini della formula,cioè se la formula diceva devi condannare a 100000 sesterzi o devi assolvere, il giudice o condannava a 100000 sesterzi o assolveva.La formula gli imponeva dei binari che il giudice doveva seguire.Tutto questo non rileva nella cognitio extra ordinem, dove il giudice aveva una possibilità di conoscenza della questione controversa di diritto molto più ampia(avrebbe potuto tener conto di questioni esterne, di precedenti rapporti tra le parti senza essere vincolati dai limiti della formula).Effetti giudiziali della sentenza: le sentenze (i decreta) nel processo per cognitio extra ordinem iniziano ad avere effetti pregiudizievoli anche nei confronti di soggetti successivi. Nel processo formulare le sentenze facevano stato per quello specifico processo che non si poteva più ripetere in virtù della c.d preclusione processuale.Es:instaurazione di un processo a prescindere dalla sua conclusione questo processo non si potrà più ripetere, la sentenza avrebbe fatto stato tra l'attore e il convenuto in futuro.Se nascevano altri processi futuri quella sentenza emessa in un primo processo non avrebbe potuto esplicare efficacia nei confronti di altri eventuali futuri processi.L'effeto pregiudizievole di una sentenza per la prima volta viene teorizzato in sede di cognitio extra ordinem, cioè in presenza di un processo nei confronti di una parte e vengono accertati una serie di fatti, i fatti accertati in questo processo valgono anche per i processi futuri.Ultmi due principi importanti della cognitio extra ordinem sono l'esecuzione in forma specifica e l'appello.Il processo formulare si concludeva con una sentenza di condanna pecuniaria.La sentenza di condanna era una somma di denaro.Nella cognitio extra ordinem s'instaura la possibilità di un'esecuzione della sentenza in forma specifica es: interesse ad ottenere la restituzione della cosa e non il valore pecuniario della cosa.Quindi la cognitio extra ordinem non si conclude con una sentenza di condanna pecuniaria, ma con una sentenza in forma specifica per la quale si richiede la restituzione della cosa.Ovviamente non essendoci il limite della formula sarà possibile l'esecuzione in forma specifica.L'esecuzione in forma specifica nel processo formulare era difficile da attuare per il fatto che la sentenza era un lodo arbitrale, cioè emesso da un arbitro, un privato cittadino.Nella cognitio extra ordinem la sentenza viene letta da un orgnao pubblico il quale si può avvalere della forza pubblica per la sua decisione.Appello: le sentenze del processo formulare sono dei lodi arbitrali i quali non possono appellarsi. Se ci riflettiamo il sistema giudiziario di età repubblicana romana non prevedeva un sistema di organi giudiziari posti a livello gerarchico fra di loro, ad es: i pretori avevano funzioni di iurisdctio mentre i giudici privati funzioni di iudicatio.Invece il sistema della cognitio extra ordinem prevedeva un sistema di funzionari imperiali che

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erano titolari di funzioni giurisdizionale e tra di loro posti in posizione gerarchicamente ordinata e questo già consentiva di prevedere la possibilità dell'appello ad un organo superiore.Infatti le sentenze della cognitio extra ordinem furono normalmente appellabili.Gli organi titolari dell'appello nel corso dell'età del principato erano in materia civile il senato(titolare di funzioni giurisdizionali private, cioè aveva la possibilità di emettere sentenze in grado d'appello nei confronti di sentenze emesse in primo grado da funzionari imperiali.)Inoltre titolare della funzione di appello era il principe, infatti era previsto un istituto straordinario dell'APPELLATIO AD PRINCIPEM. Chi riteneva di avere subito una sentenza sfavorevole poteva appellarsi direttamente al principe.Naturalmente il prinicipe avrebbe conosciuto di questa moltitudine di sentenze non in prima persona, ma grazie alla collaborazione dei suoi collaboratori giuristi che siedevano accanto a lui nel consilium principis.Quindi un'altra funzione del consilium principis è quella di emettere sentenze(decreta) proprio in relazione a sentenze emesse in grado di appello nei confronti di altre sentenze eventualmente riformate emesse in primo grado.Questo ovviamente è il processo privato che si affianca al processo formulare sino all'anno 342 d.c, perchè in quell'anno con una costituzione imperiale emessa dai figli di Costantino I Il Grande, Costante e Costanzo,viene abolito il processo formulare, non si applicherà più,l'unico processo che resterà in vigore sarà la cognitio extra ordinem.Questo rende ancora più misteriosa la tradizione di testi di opere ad edictum legate a doppio filo al processo formulare, ancora in età post-classica giustinianee perchè le opere ad edictum dopo il 342 non sono più utili.Le opere ad edictum regolano il processo formulare,quest'ultimo viene abolito quindi le opere ad edictum non sono più utili, infatti non esistono riedizioni di opere ad edictum.Tutto ciò per quanto riguarda il processo privato.

PROCESSO PUBBLICOil fenomeno è parallelo, cioè come nel caso del processo privato viene abolito il processo più antico provocatio ad populum, viene creato un processo del lordo,quaestiones pubblicae, cioè le novae quaestiones create da Augusto.Per tutti i crimini nuovi che si vengono a realizzare nel corso dell'età del principato, come si provvede? Mediante delle cognitionem extra ordinem.Anche qui vengono creati organi nuovi che sono titolari di conoscere crimini nuovi oppure di esercitare funzioni di repressione criminale in concorso con le vecchie quaestiones pubblicae.Esempi: in età del principato vengono creati crimini nuovi, tra cui il crimen stellionatus(erano una serie di frodi commerciali punite penalmente), viene data rilevanza penale al furto di eredità (crimen expilatae hereditatis).Si tratta di crimini nuovi non presenti in età repubblicana, non ci sono questiones che si occupano di questi crimini, come vengono repressi? Da parte di organi appositamente creati.Gli organi competenti a giudicare extra ordinem crimini nuovi o vecchi, anche alcuni crimini delle quaestiones pubblicae sono repressi da parte dei funzionari competenti extra ordinem, perchè come per il processo privato anche per il processo pubblico criminale supera molti dei limiti tipici delle quaestiones pubblicae, es: il crimen maiestatis è punita dalla quaestio dei magistrati istituita dalla lex iulia maiestatis.Nel corso dell'età del principato questo stesso crimine viene punito extra ordinem, da parte dei funzionari del principe. Le repetundae esiste la questio repetundarum, anche questa è una questione antica ed è un crimine da tanti secoli punito secondo i criteri del lordo, però nel corso

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dell'età del principato si sviluppa anche una concorrente procedura extra ordinem la cui competenza spetterà al senato.Quando si parla delle cognitiones extra ordinem di carattere criminale dobbiamo distinguere due grandi categorie:

Le cognitio imperiali Le cognitio senatorie

i giudice competenti a consocere i crimini puniti extra ordinem erano o l'imperatore e i suoi funzionari imperiali oppure il senato.Queste due categorie vengono separate perchè sono dei modelli processo diversi.Le cognitiones imperiali sono inquisitorie, quelle senatorie invece sono accusatorie.

Le cognitiones imperialiVi è un funzionario imperiale a partire dallo stesso principe, quest'ultimo era competente ad istruire e conoscere personalmente dei crimini di maiestas. Nel corso dell'età del principato la maiestas tutelava la persona del principe,il bene giuridico cambia in età repubblicana è la dignita del popolo romano,nell'età del principato è la dignità del principe che incarna il popolo romano.Quindi proprio perchè riguardava in prima persona il principe, i crimini di maiestas venivano istruiti dal principe. Oltre al principe erano competenti, che emettevano le sentenze denominate decreta,anche i funzionari da lui nominati. La procedura non può essere descritta perchè si tratta di un processo inquisitorio, cioè coincidono il giudice e l'accusatore, quindi sarà giudice e accusatore nei confronti dei crimini di cui è accusato un qualunque privato. Quindi è un processo che si muove secondo i tipici canoni del processo inquisitorio, caratterizzato da elementi di segretezza, principi volti alla confessione. Diverso è il discorso per la cognitio senatoria,si tratta di un processo accussatorio,paragonabile al vecchio processo delle quaestiones pubblicae. Il senato acquista funzioni giurisdizionali a partire da Augusto, con il senatoconsulto calvisiano dell'anno 4 a.c. Conosciuto perchè contenuto negli editti di Cirene, quei famosi editti della diarchia di Teodoro Mommsen, che ci informa del fatto che Augusto diede al senato competenze giurisdizionali in materia di crimen repetundarum e per tutti quei crimini che erano stati commessi da parte degli stessi senatori, quindi il senato divenne una sorta di corte di pari, i senatori avrebbero conosciuto extra ordinem di tutti crimini commessi dagli appartenenti al proprio rango senatorio.A questi crimini nel corso del tempo se ne aggiunsero altri,ma quello che più c'interessa notare è che questa cognitio senatoria si caratterizzava per una procedura che finalmente innovava la procedura delle quaestiones pubblicae. Questa procedura accusatoria davanti al senato come funzionava? Si trattava di un processo accusatorio, quindi il giudice e l'accusatore non coincidevano, l'accusatore erano i consoli i quali ricevevano le denunzie da parte dei privati e le proposte di accusa. I privati cittadini invece avevano soltanto una funzione di aiuto, quindi interevenire nel processo in qualità di delatori,testimoni, collaboratori di giustizia, mentre l'accusa era riservata ai consoli. La procedura proseguiva con il dibattito che si svolgeva tra l'accusatore e l'accusato davanti alla corte che era appunto il senato. La procedura delle quaestiones pubblicae veniva innovata nella parte relativa alla sentenza finale,perchè nelle quaestiones pubblicae la sentenza finale aveva un contenuto vincolato, a che cosa doveva condannare il giudice della quaestio pubblica, a quella pena prevista istitutiva della quaestio. Questo sistema viene scardinato nella cognitio senatoria,il giudice non è più vincolato a termini di nessuna legge e libero nella determinazione della condanna,cioè può tenere conto di tutti quelli che si chiamano elementi accidentali del reato( circostanze aggravanti e attenuanti, criminanti, capacità e incapacità d'intendere e di volere,circostanze di tempi e di luogo a seconda se il reato è avvenuto di giorno o di notte). Questi elementi consentivano di graduare la condanna che il processo per quaestiones

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pubblicae sconosceva, perchè o li codannava dalla pena prevista dalla quaestio o si assolveva.La sentenza emessa in sede di cognitio senatoria si chiamava decretum, il quale aveva una fonte particolare,siccome la cognitio senatoria nasce da una delega di giurisdizione da parte del principe, quest'ultimo delega il senato a svolgere funzioni giurisdizionali, nei confronti del decretum del senato il principe può intervenire, cioè il decretum senatoriale dopo che viene emesso sia che sia di assoluzione sia di condanna viene depositato presso l'aerarium saturni, resta depositato 10 giorni in questo periodo di 10 giorni il principe può intervenire eventualmente a riformare la sentenza perchè originariamente il potere giurisdizionale spetta al principe e quindi il principe può intervenire in un secondo momento anche in riforma della sentenza emessa da parte del senato.

Il sistema di diritto dell’età del principato è caratterizzato,ancora fino all’età dei Severi(siamo nel 235),da un sistema di fonti aperto(l’abbiamo detto ripercorrendo la strada indicata dalle istituzioni di Gaio). Il sistema di diritto classico(quindi quel periodo che và dalla nascita del principato augusteo fino alla morte di Alessandro Severo nel 235)ripercorrendo l’elenco gaiano era formato:dalle leggi e i plebisciti;le costituzioni imperiali(sulla base di quella evoluzione storica che abbiamo indicato confrontando il pensiero di Gaio e il pensiero di Ulpiano);il ius honorarium,cioè l’editto del pretore;l’opera della giurisprudenza e infine i senatoconsulti. Qui si ferma l’elencazione gaiana,questo però non vuol dire che non dobbiamo aggiungere a quest’elenco di fonti del diritto anche l’ultima fonte che è la consuetudo(cioè la consuetudine). In età repubblicana abbiamo parlato dei mores,i quali erano quegli antichi comportamenti degli antenati,i maiores (e infatti i mores si chiamano mores maiorum),che venivano recepiti da parte del popolo e che avevano una natura sacrale,religiosa,perché questi antenati erano effettivamente degli antenati divinizzati per i romani. Ciascuna famiglia aveva i propri antenati che venivano considerati come delle vere e proprie divinità,con il nome di Lares,Manes e Penates. A questi antichi mores maiorum a partire della fine dell’età repubblicana si affianca un fattore di produzione del diritto non scritto che è la consuetudo,ovvero la consuetudine. Della consuetudo noi abbiamo attestazioni a partire dall’età di Cicerone(quindi alla fine dell’età repubblicana) e il concetto di consuetudo viene elaborato,in maniera compiuta per la prima volta,all’interno di un celebre passo del giurista Giuliano(quello della codificazione dell’editto perpetuo,l’ultimo dei sabiniani,cioè quello che conclude il conflitto tra le scuole). Questo giurista,in un passo che è contenuto nel Digesto,ci lascia la prima e unica teorizzazione celebre,che sarà poi famosissima anche in età medievale,del concetto di consuetudine. Questo passo lo troviamo a pag 159 delle nostre fonti:D. 1.3.32 (Iul. 84 dig.)Per quei casi per i quali non utilizziamo leggi scritte si deve osservare ciò che è stato stabilito dal costume e dalla consuetudine18; se poi per qualche caso ciò mancasse,allora si deve osservare ciò che è più vicino e conseguente19; e se neanche questo si rinviene,allora dobbiamo osservare il diritto di cui si serve la città di Roma20. La inveterata consuetudine non senza ragione è osservata come legge ed è questo il diritto che si dice stabilito dal costume. Infatti,dal momento che le leggi non obbligano per nessuna altra ragione che per il fatto di essere state recepite per decisione del popolo,giustamente anche ciò che il popolo approvò senza scrittura obbligherà tutti: che cosa importa infatti se il popolo dichiara la sua volontà col voto oppure con il comportamento? Per la qual cosa è stato giustamente recepito anche il principio che le leggi possono essere abrogate non solo dalla volontà del legislatore, ma anche dal tacito consenso di tutti per desuetudine.

18 Si parla di “moribus et consuetudine”.19 L’analogia.20 Questa è la premessa,ma a noi interessa quello che viene dopo,cioè la definizione.

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Quindi la consuetudine nel pensiero di Giuliano,e per estensione nel pensiero dei giuristi romani,è una manifestazione di volontà tacita da parte del popolo,che in nulla si differenzia,quindi,dalla legge se non per il fatto appunto che nella legge abbiamo la manifestazione di volontà espressa,mentre nella consuetudine abbiamo la manifestazione di volontà tacita. Naturalmente la legge al tempo di Giuliano era morta e sepolta,quindi questo è un discorso che per la legge poteva valere solo nel passato,mentre per la consuetudine era un discorso ancora attuale,perché la consuetudine appunto era un fattore attivo di produzione del diritto. Quali sono i caratteri di questa consuetudine e in che cosa la consuetudo si differenzia dai mores?

laica

CONSUETUDO popolo/tempo(vetustas)

ratio

1. Innanzitutto il 1° carattere fondamentale è che la consuetudine è laica. I mores hanno un’attinenza religiosa(ricordiamo la definizione Festina di “mos”,definito come “institutum patrium, maxime pertinens ad caerimonias et religionem”,cioè è relativo proprio alla materia sacrale),sono comportamenti ancestrali perché il più antico diritto romano,ius civile,più si risale indietro nel tempo più assomiglia ad un rito,ecco perché questi antichi comportamenti avevano questa accezione sacrale. Naturalmente la consuetudo invece,essendo una fonte di produzione del diritto attestata solo a partire dal I sec a.C. (cioè dai tempi di Cicerone),evidentemente nasce in un momento in cui il diritto romano ha perso gran parte di questa sua attinenza sacrale ed è diventato laico,e infatti la consuetudo indica e si riferisce sempre a comportamenti laici,quindi non ha rilievi religiosi.

2. A differenza dei mores la consuetudo si caratterizza per una sorta di duplice elemento(che poi è quello che ancora noi oggi abbiamo):un elemento soggettivo,che è la volontà attuale del popolo,e un elemento oggettivo e cioè il decorso del tempo (Giuliano parla di inveterata consuetudo,quindi deve essere trascorso del tempo). Per i mores questi requisiti valevano fino ad un certo punto:se ci riflettiamo infatti la consuetudo deve essere un comportamento attribuibile direttamente a tutto il popolo che la deve seguire;per i mores non era esattamente la stessa cosa,infatti il popolo semmai recepiva questi antichi comportamenti,ma in origine i comportamenti oggetto dei mores maiorum erano i comportamenti solo dei più antichi antenati,gli antenati delle gentes maggiormente nobili,non di tutto il popolo. Anche il requisito del tempo è per noi importante,perché la consuetudine non solo deve essere seguita soggettivamente da tutto il popolo,ma oggettivamente nel corso di un lungo periodo di tempo(i giuristi medievali poi cercheranno di capire qual è questo lungo periodo di tempo,alcuni penseranno che la consuetudine si realizza in 10-20-30-50 anni)i giuristi romani non hanno mai dato termini di scadenza,però certamente tutti erano d’accordo nel dire che la consuetudine si doveva manifestare continuamente nel corso del tempo. Questo tipo di riflessione non vale per i mores maiorum,perché i mores,essendo dotati di questa efficacia sacrale,erano si riti antichissimi che probabilmente potevano anche cadere in desuetudine,ma nessuno si sarebbe mai sognato di dire che un mos scadeva, perché era un valore che prescindeva dal tempo,mentre per la consuetudine appunto occorreva l’osservanza del lungo periodo di tempo. Questo requisito viene chiamato nelle fonti anche vetustas.

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3. Terzo elemento differenziale,forse tra i più importanti,è l’elemento della c.d. ratio o ragionevolezza della consuetudo. Giuliano non ne parla espressamente, ma da altre fonti noi sappiamo che i romani seguivano solo quelle consuetudini per le quali fosse percepibile una ratio che le sostenesse,cioè una ragione di utilità che potesse giustificare il seguire quel determinato comportamento. Ora se ci riflettiamo questo è un requisito che si sposa bene con la struttura del sistema romano di età classica,cioè un sistema aperto nel quale tante fonti concorrono alla sua evoluzione. Naturalmente il dibattito tra queste varie fonti(il parere del giurista,il punto di vista dell’imperatore,la legge pubblica,il senato consulto)determinavano un’evoluzione del sistema armonicamente inteso. Erano seguite le consuetudini che si adattavano a questa evoluzione armonica del sistema,cioè per le quali fosse possibile individuare la ratio. Questo requisito,che può sembrare astratto,teorico,ha una pratica applicazione:se noi oggi apriamo il codice di diritto canonico tra i canoni,se noi andiamo a studiare la consuetudine nel diritto canonico,vediamo che questa vale se è ragionevole,cioè se è sostenuta da una ratio. Le radici di questa impostazione sono tipicamente romanistiche. Attenzione però! Stiamo parlando della consuetudo non dei mores maiorum:la ratio sostiene solo la consuetudine,i mores maiorum sono seguiti anche se sono incomprensibili per i giuristi romani,anche se sono irragionevoli,perché vengono da antenati divinizzati,il cui comportamento và seguito proprio per questa sua risalenza sacrale. Es. in diritto romano un istituto romano antichissimo che vale dall’inizio fino a Giustiniano è il divieto di donazione tra coniugi:i coniugi non si possono fare donazioni(questo è un istituto che in diritto romano è sempre esistito). Problema:i giuristi romani tutti d’accordo fondano questo istituto sui mores maiorum e lo seguono,tuttavia non riescono a comprendere,a capirne la ragione(la ratio). Ulpiano si chiede perché un marito non può fare una donazione alla moglie o una moglie al marito? E risponde: per non ridurre il matrimonio a un mercimonio,cioè ad uno scambio d’interessi patrimoniali. Paolo risponde in un altro modo e dice che il fondamento di questo istituto è per evitare di ridurre o di mettere in pericolo l’amore coniugale. I giuristi romani non lo capivano il perché di questo istituto,ma ciò non impediva loro di seguire(e fino a Giustiniano resta valido)questo principio del divieto di donazione tra coniugi,perché era fondato su antichissimi mores che andavano seguiti a prescindere dalla ratio che li sostenesse,anche se erano incomprensibili,però siccome erano stati dettati dagli antichi antenati delle genti più importanti continuavano ad essere seguiti a prescindere appunto dell’esistenza di una ragionevolezza o meno. La consuetudine invece doveva essere ragionevole e a stabilire se una consuetudine era o non era ragionevole erano quegli altri organi deputati ad assicurare un’organica ed armonica evoluzione del sistema: i giuristi innanzitutto e soprattutto i principi. Soprattutto quest’ultimi perché il problema delle consuetudini si affaccia alla cancelleria imperiale all’indomani della constitutio antoniniana(quando nel 212 i cives romani diventano tutti sudditi dell’impero,l’egiziano,ricordiamo l’es. fatto nelle precedenti lezioni, si sposava con la sorella in virtù di una sua antica consuetudine che ora,in quanto cittadino romano, diventa una consuetudine dell’impero romano e allora questa consuetudine va seguita o non và seguita?) Ecco l’importanza del criterio della ratio:quelle consuetudini che non si armonizzavano con il sistema romano venivano bocciate da parte della cancelleria imperiale innanzitutto,ma anche da parte dell’opera della giurisprudenza (per questo gli egiziani dopo la constitutio antoniniana non poterono più sposarsi con la sorella,perché il diritto romano,che ora era il loro diritto ufficiale e che si applicava anche nei loro confronti,glielo vietava,e la consuetudine che loro fino a poco tempo prima avevano

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seguito,bollata come irragionevole,non sarebbe più stata seguita. Questo è solo un esempio,ma nel codice di Giustiniano ci sono decine e decine di rescritti,soprattutto dell’imperatore Diocleziano,che si occupano proprio di questo tema,cioè di stabilire la natura ragionevole o irragionevole non tanto delle consuetudini romane,quanto delle consuetudini dei provinciali e molte di queste consuetudini avevano degli effetti potenzialmente devastanti per il sistema romano. Es. in tutti i popoli dell’oriente del mediterraneo la compravendita era un contratto reale,mentre in diritto romano la compravendita è consensuale,si perfeziona con il semplice consenso delle parti che si obbligano per il futuro uno a pagare un prezzo e un’altro a consegnare un bene. I greci,soprattutto,non conoscevano la compravendita consensuale,per loro la compravendita era reale,cioè si concludeva quando il compratore dava i soldi al venditore e quest’ultimo dava il bene venduto. I principi,gli imperatori,del basso impero doverono lottare contro forme di applicazioni distorte di principi romanistici,come per es. quello della natura consensuale della compravendita). Queste consuetudini locali sono rilevantissime per il diritto,perché rischiavano in taluni casi di creare un corto circuito nel sistema dei principi tipici del funzionamento del diritto romano.

La consuetudo è assente da tutti i cataloghi di fonti del diritto romano(noi ne abbiamo studiato uno,Gaio,ma ce ne sono tanti altri:Papiniano,Cicerone,ecc.). Ne Gaio ne Ulpiano accennano alla consuetudine. Essi la conoscevano(da altri passi noi sappiamo esattamente che tanto Gaio quanto Ulpiano fanno esempi di consuetudini singole,quindi naturalmente da giuristi che erano la conoscevano perfettamente),ma allora perché non ne parlano? Per loro non è una fonte di diritto?Molto probabilmente l’assenza della consuetudo non è un’implicita ammissione della sua mancanza di forza giuridica,perché noi abbiamo letto da Giuliano che la forza della consuetudo è una forza equiparata alla legge,quindi significa che la consuetudine nel sistema del diritto classico non è né sovraordinata,né subordinata alle altre fonti,ma in un sistema aperto è pariordinata alle altre partes iuris,è tassello come gli altri. Essa però manca nel manuale istituzionale di Gaio.Le ragioni sono state spiegate in maniera diversa,ma uno dei punti di vista forse più credibile è che molto probabilmente(è un’ipotesi) questa assenza dipende dalla prospettiva normativa seguita nella elencazione di Gaio. Come abbiamo detto,Gaio si occupa di fonti tutte caratterizzate da un elemento comune e cioè da una formulazione in termini precettivi,cioè tutte le fonti di cui parla Gaio sono caratterizzate dal fatto di essere proprio redatte terminologicamente in forma imperativa: la legge ha un contenuto imperativo,così come anche il senatoconsulto,ce l’hanno anche le costituzioni imperiali,ce l’hanno i responsi dei giuristi “si in unum concurrunt”,perché si in unum concurrunt sono normativi,quindi si devono applicare,e ce l’hanno pure gli editti dei pretori(certo non nei confronti dei cittadini,nei confronti del pretore stesso,ma sempre normativi sono nella misura in cui il pretore ritiene necessario). Ecco questa formulazione in termini precettivi manca nella consuetudo. La consuetudine non è mai formulata in termini imperativi(“si deve”),ma se noi andiamo a prendere anche oggi le raccolte di usi(perché gli usi oggi sono scritti: se andiamo alla camera di commercio c’è un librone con la raccolta degli usi e ogni provincia ha questo librone. Se noi leggiamo gli usi,anche se leggiamo le raccolte medievali,gli usi non sono mai formulati in maniera precettiva,cioè si dice:“si usa comportarsi così..”)questi non possono avere una formulazione precettiva,perché il loro contenuto giuridico è determinato da elementi variabili che sono:il consenso attuale del popolo, che dall’oggi al domani può cambiare,e il decorso del tempo,che dall’oggi al domani può anche non esserci più. Quindi l’assenza di una formulazione in termini precettivi della consuetudo doveva impedire a Gaio,come agli altri giuristi romani,di menzionarla tra le fonti del diritto del suo tempo e quindi appunto d’inserirla nel catalogo che noi

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abbiamo studiato. Ma ciò non vuol dire che la consuetudo non ha un’efficacia giuridica,tanto che Giuliano addirittura la equipara alla legge e legge per Gaio è parametro di normatività,però mentre la legge espressa(quella con cui il popolo vota)ha un’efficacia normativa,la consuetudo,essendo tacita,non ha questa formulazione precettiva,è semplicemente una formulazione di adesione possibile ad un comportamento che nel corso del tempo può sempre mutare.

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