Il poema del Servo Is 53) in Cirillo d’Alessandria · 2013. 6. 2. · 1. Il Commento a Isaia Nel...

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Il poema del Servo (Is 53) in Cirillo d’Alessandria Donato Bono In sintonia con la letteratura patristica 1 anche Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto dal 412 fino all’anno della morte (†444) 2 , ha particolarmente utilizzato il poema del Servo sofferente (Is 52,13-53,12) negli scritti antiariani e, in seguito, nella sua difesa dell’ortodossia contro l’eresia nestoriana. Oltre al Commento al Libro di Isaia, dove il vescovo alessandrino presenta ad locum una minuziosa riflessione sul quarto canto del Servo del Signore, il testo deutero-isaiano risulta ampiamente citato in gran parte delle opere di Cirillo, sia direttamente da Is 53 e sia dall’inno cristologico di 1Pt 2,21-25, improntato sulla figura del Servo sofferente, o da altre citazioni del poema presenti nel Nuovo Testamento. Dopo aver analizzato il commento in Isaia, ci proponiamo di presentare le numerose citazioni del quarto canto del Servo, per evidenziare l’importanza del poema deutero-isaiano nella cristologia di Cirillo e la sua valenza nella soluzione delle problematiche teologiche, cristologiche e trinitarie, affrontate dal santo vescovo di Alessandria 3 . 1. Il Commento a Isaia Nel commento al libro del profeta Isaia (PG 70, 1163-1192) Cirillo elabora una dettagliata esegesi del quarto canto del Servo sofferente, citando i versetti e analizzandoli con una specifica propria riflessione. Il quarto canto di Isaia risulta così suddiviso: Is 52,13-15; 53,1-2a 4 ; 53,2b-3a; 53,3b; 53,4-6; 53,7-8; 53,9; 53,10-12 5 . 1 Da Clemente Romano in poi [cfr D. BONO, «La citazione di Is 53 nella Prima Clementis», in Orientalia Christiana Periodica 76 (2010) 103-120], il poema del Servo sofferente di Is 53 sembra rilevante negli scritti dei Padri. Esso è abbondantemente citato da Giustino [cfr ID., «Il canto del Servo (Is. 53) nell’opera di San Giustino», in Augustinianum 51/2 (2011) 315-330] ed è presente nell’Epistula Barnabae, nella lettera Ad Diognetum, in Gregorio Nazianzeno, Ireneo, Basilio, Giovanni Crisostomo. Per uno sguardo complessivo dell’utilizzo del quarto canto di Isaia nella letteratura cristiana delle origini cfr J. ALLENBACH, Biblia Patristica. Index des citations et allusions bibliques dans la littérature patristique, I-VI, Paris 1975-1995. 2 Sulla figura di Cirillo cfr J. QUASTEN, Patrologia, II, Casale Monferrato, 1980, 118-143; M. SIMONETTI, «Cirillo di Alessandria», in A. DI BERARDINO (diretto da), Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I, Milano 2006, 1044-1049. 3 Per l’elenco completo e dettagliato delle opere di Cirillo cfr O. BARDENHEWER, Geschichte der Altkirchlichen Literatur, IV, Darmstadt 1962, 28-74; anche G. JOUASSARD, L’activité littéraire de S. Cyrille d’Alexandrie jusqu’en 428, in Mélanges Podechard, Lyon 1945, 159-174; G. LO CASTRO, Cirillo di Alessandria. Epistole cristologiche, Roma 1999, 59-62. Sull’utilizzo della Scrittura da parte di Cirillo cfr F.M. ABEL, «Parallélisme exégétique entre St. Jérôme et St. Cyrille d’Alexandrie», in Vivre et Penser (1941) 94-119.212-230; J. GUILLET, «Les exégèses d’Alexandrie et d’Antioque. Conflit ou malentendu?», in Recherches de Sciences Religieuse 34 (1947) 253-302; A. KERRIGAN, St. Cyril of Alexxandria Interpreter of the Old Testament, Rome 1952; L.M. ARMENDARIZ, El nuevo Moisés. Dinámica cristocéntrica en la tipología de Cirilo Alejandrino, Madrid 1962; B. DE MARGERIE, «L’exégèse christologique de Saint Cyrille d’Alexandrie», in Nouvelle Revue Théologique 102 (1980) 400-425; A. CATALDO, (a cura di), Cirillo di Alessandria. Commento ai Profeti minori, Roma 1986, 10-19, V. UGENTI, (a cura di), Cirillo di Alessandria. Commento alla Lettera ai Romani, Roma 1991, 18-24. 4 Cfr anche la citazione di Is 53,1 nel commento a Is 9,3 (PG 70,256). 5 Di ciascuna di queste parti riportiamo in nota il testo della LXX, le varianti proprie di Cirillo e il TM, evidenziando in particolare le differenze.

Transcript of Il poema del Servo Is 53) in Cirillo d’Alessandria · 2013. 6. 2. · 1. Il Commento a Isaia Nel...

  • Il poema del Servo (Is 53) in Cirillo d’Alessandria Donato Bono

    In sintonia con la letteratura patristica1 anche Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto dal 412 fino all’anno della morte (†444)2, ha particolarmente utilizzato il poema del Servo sofferente (Is 52,13-53,12) negli scritti antiariani e, in seguito, nella sua difesa dell’ortodossia contro l’eresia nestoriana. Oltre al Commento al Libro di Isaia, dove il vescovo alessandrino presenta ad locum una minuziosa riflessione sul quarto canto del Servo del Signore, il testo deutero-isaiano risulta ampiamente citato in gran parte delle opere di Cirillo, sia direttamente da Is 53 e sia dall’inno cristologico di 1Pt 2,21-25, improntato sulla figura del Servo sofferente, o da altre citazioni del poema presenti nel Nuovo Testamento. Dopo aver analizzato il commento in Isaia, ci proponiamo di presentare le numerose citazioni del quarto canto del Servo, per evidenziare l’importanza del poema deutero-isaiano nella cristologia di Cirillo e la sua valenza nella soluzione delle problematiche teologiche, cristologiche e trinitarie, affrontate dal santo vescovo di Alessandria3.

    1. Il Commento a Isaia

    Nel commento al libro del profeta Isaia (PG 70, 1163-1192) Cirillo elabora una dettagliata esegesi del quarto canto del Servo sofferente, citando i versetti e analizzandoli con una specifica propria riflessione. Il quarto canto di Isaia risulta così suddiviso: Is 52,13-15; 53,1-2a4; 53,2b-3a; 53,3b; 53,4-6; 53,7-8; 53,9; 53,10-125.

    1 Da Clemente Romano in poi [cfr D. BONO, «La citazione di Is 53 nella Prima Clementis», in Orientalia

    Christiana Periodica 76 (2010) 103-120], il poema del Servo sofferente di Is 53 sembra rilevante negli scritti dei Padri. Esso è abbondantemente citato da Giustino [cfr ID., «Il canto del Servo (Is. 53) nell’opera di San Giustino», in Augustinianum 51/2 (2011) 315-330] ed è presente nell’Epistula Barnabae, nella lettera Ad Diognetum, in Gregorio Nazianzeno, Ireneo, Basilio, Giovanni Crisostomo. Per uno sguardo complessivo dell’utilizzo del quarto canto di Isaia nella letteratura cristiana delle origini cfr J. ALLENBACH, Biblia Patristica. Index des citations et allusions bibliques dans la littérature patristique, I-VI, Paris 1975-1995.

    2 Sulla figura di Cirillo cfr J. QUASTEN, Patrologia, II, Casale Monferrato, 1980, 118-143; M. SIMONETTI, «Cirillo di Alessandria», in A. DI BERARDINO (diretto da), Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I, Milano 2006, 1044-1049.

    3 Per l’elenco completo e dettagliato delle opere di Cirillo cfr O. BARDENHEWER, Geschichte der Altkirchlichen Literatur, IV, Darmstadt 1962, 28-74; anche G. JOUASSARD, L’activité littéraire de S. Cyrille d’Alexandrie jusqu’en 428, in Mélanges Podechard, Lyon 1945, 159-174; G. LO CASTRO, Cirillo di Alessandria. Epistole cristologiche, Roma 1999, 59-62. Sull’utilizzo della Scrittura da parte di Cirillo cfr F.M. ABEL, «Parallélisme exégétique entre St. Jérôme et St. Cyrille d’Alexandrie», in Vivre et Penser (1941) 94-119.212-230; J. GUILLET, «Les exégèses d’Alexandrie et d’Antioque. Conflit ou malentendu?», in Recherches de Sciences Religieuse 34 (1947) 253-302; A. KERRIGAN, St. Cyril of Alexxandria Interpreter of the Old Testament, Rome 1952; L.M. ARMENDARIZ, El nuevo Moisés. Dinámica cristocéntrica en la tipología de Cirilo Alejandrino, Madrid 1962; B. DE MARGERIE, «L’exégèse christologique de Saint Cyrille d’Alexandrie», in Nouvelle Revue Théologique 102 (1980) 400-425; A. CATALDO, (a cura di), Cirillo di Alessandria. Commento ai Profeti minori, Roma 1986, 10-19, V. UGENTI, (a cura di), Cirillo di Alessandria. Commento alla Lettera ai Romani, Roma 1991, 18-24.

    4 Cfr anche la citazione di Is 53,1 nel commento a Is 9,3 (PG 70,256). 5 Di ciascuna di queste parti riportiamo in nota il testo della LXX, le varianti proprie di Cirillo e il TM,

    evidenziando in particolare le differenze.

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    Commentando, innanzitutto, Is 52,13-15 (PG 70,1163-1167)6, Cirillo esordisce con il riferire le affermazioni iniziali del poema a Dio: è Dio e Padre, che pronuncia queste parole (poieìtai lovgouç QeoVVç kaiV PathVr) e ciò – nota Cirillo – “è evidente” (ajnafandovn). Esse riguardano la persona di Cristo (periV...Cristou)̀, il Salvatore di tutti noi. Con questa introduzione l’autore, riferendo a Dio l’esordio del canto, lo legge all’interno della classica e tradizionale suddivisione, secondo cui il soggetto parlante all’inizio è distinto da quello del corpo del poema. Affermando, poi, che Dio parla di Cristo, Cirillo fornisce la chiara identificazione cristologica dell’enigmatica e misteriosa figura del Servo del Signore. Quindi egli passa all’ermeneutica del termine paìç, e afferma che esso è da intendersi sia nel senso di uiJJovç e sia nel senso di dou`loç, giustificando tale interpretazione con l’apporto del testo paolino di Fil 2,5-11. Il vescovo di Alessandria può, così, soffermarsi sul significato del verbo sunhvsei (ajllaV, Sunhvsei, fhsivn) e spiega che da comprendere è il fatto che il Verbo si è fatto carne, concludendo che tale opera, ossia l’incarnazione del Figlio, è stata realizzata con intelligenza, poiché tutto è stato fatto con sapienza. A motivo di ciò (tauvthç e{neka th̀ç aijtivaç) – continua Cirillo – il Servo sarà elevato (uJywqhvsetai) e glorificato molto (doxasqhvsetai sfovdra), spiegando che il Cristo-Dio è celebrato da noi come Signore, è chiamato Salvatore e Redentore e ciò crediamo che sia vero. Ma – aggiunge il vescovo alessandrino – poiché si tratta di un discorso divino, ecco che Dio predice che riguardo al Servo molti proveranno stupore, citando a conferma il testo di Ab 3,2, e ugualmente molte genti lo ammireranno e i re chiuderanno la loro bocca, a differenza dei Giudei, che lo derideranno e lo bestemmieranno, e ciò – commenta Cirillo - proprio in sintonia con la profezia, che dice: “…a coloro ai quali non si parlò di lui, questi vedranno; e coloro che non udirono, questi comprenderanno (oi|ç oujk ajnhggevlh periV aujtou` o[yontai, kaiV oiV oujk ajkhkovasi sunhvsousin; cfr Rm 15,21). A differenza dei Giudei, infatti, ai quali fu annunziato Cristo attraverso la Legge e i Profeti, le genti, che non hanno udito questi misteri, vedranno la sua salvezza e li comprenderanno: esse infatti hanno creduto, così come afferma la profezia di Is 6,9. Passando a Is 53,1-2a (PG 74,1167-1169)7, Cirillo sottolinea la difficoltà della predicazione cristiana riguardo all’evento così paradossale riguardante il Servo del

    6 È la LXX il testo di Cirillo. L’unica variante qui è kaiV ou{tw (come nel codice Vaticano B) al posto di ou{twç. C’è da dire, inoltre, che in questi primi tre versetti non c’è una sostanziale differenza tra il TM e la versione alessandrina, ad eccezione del fatto che la LXX elimina il verbo mWrõy", rendendo l’endiadiadi aIðF'›nIw> mWrõy" con il solo uJywqhvsetai: TM: `dao)m. Hb›;Þg"w> aIðF'›nIw> mWrõy" yDI_b.[; lyK,Xoy: hNEïhiIs 52,13 `~d")a' ynïEB.mi wr{Ua›]tow> Wha_er>m; vyâaime tx;îv.mi-!Ke myBiêr: ‘$ 'yl,’[' WmÜm.v' rv’,a]K;14 ~h,_yPi ~ykÞil'm. WcïP.q.yI wyIðlï'[' myBiêr ~yIåAG ‘hZ‹

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    Signore. Come lo è stato per i profeti (cfr Is 7,9; 30,10; Ger 15,10; 5,19), così anche la comunità cristiana stenta ad essere creduta. “Questo significato – insiste Cirillo – ha questo verso (tou`ton e[cei toV nou`n): accusa infatti Israele (aijtiàtai gaVr...toVn jIsrahvl) per la sua disobbedienza”. Al contrario, “noi, iniziati ai misteri e costituiti in essi, abbiamo accolto l’annuncio…ma nessuno ha creduto a noi e a nessuno il braccio di Dio Padre nel suo Figlio Gesù e nello Spirito Santo è stato manifestato (tauvthn ejschvkamen thVn ajkohVn: ajll’ oujdeiVç pepivsteuke)”. Seguendo, pertanto, il testo della LXX, Cirillo può espressamente sottolineare la difficoltà della predicazione cristiana, che annuncia il Cristo, senza però essere creduta, dal momento che si era come di fronte ad un campo arido, come ad una radice in terra assetata, ma resa feconda dal Cristo-Servo. Al posto, infatti, di paidivon, il testo utilizzato da Cirillo ha l’interessante variante pedivon, così come riportato da alcuni codici della LXX8. Collegando il termine pedivon con il successivo rJivza, Cirillo ricava una lettura propriamente personale del poema, sottolineando l’aridità dell’annuncio per non essere accolto e accettato (ejsovmeqa ejnantivon wJç pedivon, toutevstin, wJç ajgroVç eujanqhVç kaiV karpofovgoç). Tale interpretazione è facilitata dall’utilizzo della LXX, che all’ebraico l[:Y“:w: ha sostituito il verbo alla prima persona plurale ajnhggeivlamen, rendendo così protagonista il noi corale, il cui annuncio sulla sorte del Servo del Signore non è accolto. Ciò contribuisce nel testo alessandrino a delineare la difficoltà della predicazione da parte del suddetto gruppo corale, tematica totalmente assente, in questo punto, nel TM, che al contrario sembra insistere sulla situazione drammatica dell’esistenza del Servo sin dall’infanzia e adolescenza. La lettura di Cirillo non ha difficoltà a vedere in ciò la situazione della comunità cristiana, contrapposta a Israele, colpevole di rifiutare l’annuncio del Cristo9. In riferimento a Is 53,2b-3a (PG 70,1169-1171)10, Cirillo non può non soffermarsi sulla venuta del Verbo divino, che non si è realizzata nella gloria e nel terrore, come avveniva nell’Antico Testamento (cfr Es 20,19), ma secondo la profezia deutero- ajnhggeivlamen alla prima persona plurale, avente come soggetto il noi narrativo, al posto dell’ebraico l[:Y“:w: (e salì), che ha come soggetto il Servo, e il sostantivo paidivon (fanciullino), laddove il TM ha qnE÷wOY (germoglio). Ecco, comunque, il testo nelle sue fondamentali differenze:

    TM: `ht'hl'(g>nI ymiî-l[; hàw"hy> [;wroîz>W Wnte_['›muv.li !ymÞia/h,< ymiîIs 53,1 hY"ëci #r

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    isaiana. Il Verbo, infatti, non aveva bellezza né gloria; al contrario, come afferma Fil 2,7, egli ha umiliato se stesso, facendosi simile agli uomini (kekevnwke gaVr eJautoVn, ejn oJmoiwvmati ajnqrwvpwn genovmenoç), in modo tale da non avere alcun decoro divino (kavlloç deV toV qeoprepevç). Egli – commenta Cirillo – pur essendo il più bello in splendore tra i figli degli uomini (cfr Sal 44,3), si è manifestato in umiltà, come l’Emmanuele nato dalla Vergine. Passando a Is 53,3b (PG 70,1171-117311, l’interpretazione cristologica è supportata dall’accostamento della prima parte del verso (a[nqropoç ejn plhgh/` w]n kaiV eijdwç fevrein malakivan) con testi evangelici della passione (Gv 12,27; Mc 14,34; Mt 26,37), sottolineando così l’abbassamento al livello umano (a[nqropoç ejn plhgh/` w]n), voluto dal Verbo divino. La seconda parte del testo profetico, e soprattutto l’espressione ajpevstraptai toV provswpon aujtou,̀ letta insieme con Is 50,6, permette a Cirillo di collegare la profezia deutero-isaiana con la scena lucana degli insulti fatti a Gesù da parte di Erode (Lc 23,11) e dei soldati di Pilato (Lc 22,64; cfr anche Mc 15,19-20; Mt 26,67), per concludere, infine, che il profeta divino, illuminato dallo Spirito Santo, ha visto il Figlio, la cui sofferenza è stata necessaria per abolire la morte ed eliminare il peccato del mondo. Anche in riferimento ai versetti che seguono (Is 53,4-6; PG 70,1173-1176)12, Cirillo non ha alcuna difficoltà a riproporre la sua propria lettura cristologica dei tratti del Servo deutero-isaiano, precisando che ciò che il Cristo ha sostenuto è stata l’empietà dei Giudei (th̀ç jIoudaivwn hjnevsceto dussebeivaç), al fine di eliminare il peccato del mondo. Infatti – insiste Cirillo – non era possibile distruggere il peccato con il sangue di capri e tori, ma con il sangue del Figlio, come provato da vari testi scritturistici (Ebr 13,22; Rm 8,32; Sal 39,7-9; 2Cor 5,14-15; Gv 3,16). Collegando, inoltre, questi versetti con il precedente v. 3, Cirillo, rivelandosi un interprete eccezionale della dinamica interna del poema, sottolinea da una parte l’ignoranza degli spettatori, che non comprendevano il senso di quanto accadeva, e dall’altra il

    11 Cirillo qui segue passo passo la LXX, che nella sostanza è fedele al TM. L’unica variante degna di nota ci sembra l’espressione a[nqrwpoç ejn plagh/` (LXX), laddove il TM ha “uomo dei dolori” (twâboaok.m; vyâai). Ecco, ad ogni modo, i testi:

    TM: `Wh¥nUb.V;t] alî{w> hzß

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    valore salvifico della sofferenza e morte del Cristo-Servo, che ha procurato pace (paideiva eijrhvnhç hJmẁn ejp* aujtovn) e guarigione (tw/` mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijjavqhmen) a tutti coloro che erano sbandati, come pecore, per la propria strada (pavnteç wJç provbata ejplanhvqhmen, a[nqrwpoç th/` oJdẁ/ aujtou)̀. Anche in Is 53,7-8 (PG 70,1177-1181)13 Cirillo vede alternarsi le vicende della passione del Cristo, in particolare il silenzio davanti alle autorità giudaiche e romane, ma anche la risposta di Gesù al momento opportuno. Il Signore, infatti, ha taciuto presso i capi dei Giudei (paraV toìç tẁn jIudaivwn kaqhghtaìç), ma ha risposto a Caifa, che lo interrogava riguardo alla sua divinità (Mt 26,63-64), e a Pilato, che gli chiedeva circa la sua regalità (Mt 27,11). Tuttavia, mentre subiva oltraggi, insulti e sputi, egli non ha aperto bocca, come appunto profetizza il testo biblico (ajpoV dhV tou` kekakẁsqai, fhsiVn, oujk ajnoivgei toV stovma· ajll j wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh) e come conferma 1Pt 2,23 (ou{tw kaiV oJ CristoVç, loidorouvmenoç oujk ajnteloidovrei, pavscwn oujk hjpivlei, paredivdou deV tw/` krivnonti dikaivwç). Passando, poi, al v. 8, Cirillo sottolinea come veramente nel suo atteggiamento umile il Cristo-Servo sia stato elevato (ejn th/` tapeinwvsei hJ krivsiç aujtou` h[rqh). Tale interpretazione è possibile grazie all’utilizzo della LXX, esattamente come sembra faccia anche Luca in At 8,32-33a = Is 53,7-8a14, a motivo della presenza del verbo ai[rw nella forma passiva, che fa pensare a un passivo teologico. Per cui – sembra concludere Cirillo - all’atteggiamento ingiusto dei Giudei, che giudicavano la persona e non i fatti, è stata contrapposta l’elevazione da parte di Dio: nell’atteggiamento umile del Servo, il giudizio è stato elevato (h[rqh toivnun hJ krivsiç aujtou` ejn th/` tapeinwvsei auJtou`, fhsivn), dove l’avverbio rafforzativo toivnun sembra evidenziare di fatto il ribaltamento del giudizio. Passando, poi, a Is 53,8b (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai;), anche Cirillo interpreta l’enigmatica espressione del testo profetico sulla scia della tradizione cristiana15, specificando che il Verbo divino è nato da Dio e dal Padre (gegevnnhtai meVn gaVr ejk Qeou` PatroVç w]n oJ Lovgoç), come la luce risplende dalla luce e la vita nasce dalla vita (fẁç gaVr ejxevlamyen ejk fwtoVç, ajnevfu

    13 Rispetto alla LXX Cirillo aggiunge all’inizio del v. 7 la congiunzione avversativa dev e, dopo il primo stovma,

    il pronome dimostrativo aujtoù. A differenza del TM, la LXX rende l’endiadi h«n

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    deV kaiV zwhV ejk zwh̀ç). Cirillo presenta anzi una vera e propria professione di fede, dichiarando che ciò è da credere senza alcun dubbio (kaiV o{ti meVn ejgennhvqh kataV ajlhvqeian ejk th̀ç oujsivaç tou` Qeou` kaiV PatroVç, ajnendoiavstwç pisteuvomen). Oltre alla generazione eterna dal Padre, Cirillo vede anche l’inenarrabilità del mistero dell’incarnazione divina nel grembo verginale della madre, senza concorso umano, citando Lc 1,35. E lo spiega, facendo notare che il profeta ha usato il verbo ai[retai al posto di ejpaivretai, ad indicare che la vita umana del Verbo è più sublime di quella degli altri uomini, dal momento che Egli si è fatto simile a noi, restando il Verbo di Dio e pur tuttavia subendo l’ingiuria di essere condannato come peccatore e condotto alla morte per le iniquità del suo popolo. Egli – conclude Cirillo – è stato ucciso dai Giudei, che agivano contro di lui, pur sapendo che egli era l’erede (cfr Mt 21,38). Il versetto seguente di Is 53,9 (PG 70,1181-1184)16, che sembra riferito alla morte e sepoltura del Servo, è applicato da Cirillo agli eventi relativi alla morte e sepoltura del Cristo. Nel termine ponerouVç egli vede la malvagità dei Giudei, che empiamente hanno fatto morire il Cristo: egli li considera doppiamente malvagi, sia per aver ucciso il Signore e sia per la calunnia riguardo alla sua tomba vuota (cfr Mt 28,12.13)17. È Dio Padre che li chiama malvagi (ponerouVç) e ricchi (plousivouç): malvagi per aver voluto e permesso la morte del Cristo e per la calunnia sulla tomba; ricchi per aver persuaso con il denaro i soldati di Pilato ad affermare il falso sul sepolcro, rimasto vuoto del cadavere, ma anche per aver preferito la ricchezza al timore di Dio (cfr Is 1,23; Mt 23,23). Per questo – conclude Cirillo – giustamente Dio li giudica malvagi e ricchi per la morte e la sepoltura del Cristo (o{ti deV qeiva/ yhvfw/ devdwken oJ QeoVç touVç ponhrouVç kaiV touVç plousivouç ajntiV tou` qanavtou kaiV th̀ç tafh̀ç tou` Cristou`) e a maggior ragione perché Egli non fece peccato né ci fu inganno sulla sua bocca (ajnomivan oujk ejpoivhsen, oujdeV euJrevqh dovloç ejn tw/` stovmati aujtou)̀, come dimostra espressamente subito dopo il testo profetico, attraverso il quale il Padre riconosce chiaramente (ejnargẁç) che il Figlio è senza colpa (QeoVç kaiV PathVr memartuvrhken ejnargẁç toV ajnamavrthton tẁ/ Uiw/`), non essendoci in Lui inganno, ossia falsità (yeu`sma). Egli, infatti – continua Cirillo – non ha mai trasgredito la Legge né coi fatti né con le parole e ha raggiunto il culmine di ogni purezza, contrariamente a quanto affermato dai suoi nemici (cfr Lc 23,2; Gv 18,30), contraddetti da Dio stesso, che ha voluto purificarlo con la sofferenza (cfr Is 53,10aLXX)18.

    16 L’unica differenza qui è la sostituzione di aJmartiva al posto di ajnomiva della LXX. Rispetto al TM, la variante più significativa è il verbo dwvsw alla prima persona singolare, il cui soggetto sembra essere Io-il Signore, in sintonia con il laoù moù del versetto precedente, laddove nel TM è sempre il gruppo corale noi o il profeta stesso, parte del coro, a parlare. Ciò fa sì che l’intervento di Dio nei LXX venga anticipato qui, mentre nel TM è in Is 53,11b:

    TM: wyt_'m{B. rviÞ['-ta,w> wrê{b.qi ‘~y[iv'w>-ta, !TeÛYIw:9 `wypi(B. hàm'w>mi alî{w> hf'ê[' sm'äx'-al{ l[;Ý LXX: 9kaiV dwvsw touVç ponerouVç ajntiV th`ç tafh`ç aujtoù kaiV touVç plousivouç ajntiV toù qanavtou aujtoù : o{ti

    ajnomivan (aJmartivan in Cirillo) oujk ejpoivhsen, oujdeV euJrevqh dovloç ejn tw/` stovmati aujtoù. 17 Cfr anche la citazione di Is 53,9 nel commento a Is 50,7 (PG 70,1093), dove Cirillo ribadisce

    sostanzialmente lo stesso concetto. 18 Qui Cirillo, unica eccezione in tutto il presente commento a Is 53, inserisce all’interno della sua catechesi e

    riflessione biblica il testo di Is 53,10a, non citato all’inizio e riportato sostanzialmente secondo la LXX, con le seguenti differenze:

    LXX: 10akaiV Kuvrioç bouvletai kaqarivsai aujtoVn th`ç plhgh̀ç;

  • 7

    Passando finalmente a Is 53,10b-12 (PG 70,1185-119219, Cirillo nota che, dopo aver nei versetti precedenti accusato gli Israeliti, l’autore del poema si rivolge ora direttamente (uJpeVr uJmẁn) alla totalità delle genti. In tal senso egli intende l’espressione del v. 10b (ejaVn dẁte periV aJmartivaç, hJ yuchV uJmẁn o[yetai spevrma makrovbion), affermando anzi che Cristo ha dato la propria vita per le nazioni (tevqeiken uJpeVr uJmẁn thVn eJautou` yuchVn oJ Cristovç), dal momento che Egli le ha redente con il proprio sangue…, al fine di procurare la salvezza. Cirillo spiega, quindi, che la vostra anima vedrà una lunga discendenza (hJ yuchV uJmẁn o[yetai spevrma makrovbion), nel senso che coloro, i quali sono stati redenti da Cristo, saranno compagni e fratelli nella vita loro riservata, ossia nella vita eterna dei Santi; questo è per Cirillo il seme longevo (spevrma makrovbion), che Cristo si è procurato, avendo voluto patire per il peccato delle genti (cfr 2Cor 5,15; Mt 16,24; Gal 2,18-21). Anche l’espressione seguente (bouvletai Kuvrioç ajfeleìn ajpoV tou` povnou th̀ç yuch̀ç aujtou`) senza alcuna difficoltà è applicata da Cirillo alla tristezza del Cristo davanti alla preziosa croce, fino alla morte, come attestato dai santi Evangelisti. Ma Dio ha trasformato tale tristezza in luce (deìxai aujtw/` fẁç) e ha voluto plasmare il santo suo Servo Gesù nella sapienza e conoscenza (bouvletai plavsai th/` sunevsei), cioè quella divina. Inoltre, Iddio e Padre vuole giustificare il giusto, che ha servito bene i molti, e ha portato i loro peccati (bouvletai oJ QeoVç kaiV PathVr dikaiẁsai divkaion eu\ douleuvonta polloìç, kaiV taVç aJmartivaç aujtẁn aujtoVç ajnhvsei). Dunque, il Cristo giusto e irreprensibile ha ben servito i molti, portando il loro peccato, e i molti – spiega Cirillo – sono le genti (toV Polloìç deV levgwn, taV e[qnh dhloì), dal momento che una sola gente era Israele (e{n gaVr h|n e[qnoç jIsrahvl). Combinando forse insieme Is 53,4a e Is 53,11d.12e, come lo si evince dall’uso del verbo ajnhvnegke al posto di ajnhvsei, e collegandoli con il successivo diaV tou`to, Cirillo può spiegare che a motivo di ciò il Cristo-Servo possederà i molti e dividerà il bottino dei forti (aujtoVç klhronomhvsei pollouVç kaiV tẁn ijscurẁn merieì sku`la), illuminandoli e rendendoli intelligenti dalle genti (cfr 1Cor 12,10). In tal modo Egli ha riservato per sé una moltitudine immensa di santi, ossia il bottino del suo combattimento e la sua preda,

    Cirillo: ejpeidhV bouvletai Kuvrioç kaqarivsai aujtoVn ajpoV th`ç plhgh̀ç.

    Rispetto alla LXX, il TM non spiritualizza (kaqarivsai) l’azione di Dio, avendo al contrario il verbo a{K.D;; inoltre, al posto del sostantivo th`ç plhgh̀ç, il testo ebraico ha il verbo yliêx/h:

    TM: yliêx/h(, ‘wa{K.D; #peÛx' hw"húyw:10a. 19 Anche qui il testo è la LXX, con l’unica differenza dell’aoristo ajnhvsei al posto del futuro ajnoivsei. Notevoli

    sono le differenze con il TM, anche se il senso sembra rimanere sostanzialmente lo stesso: TM: ~yj_iy" %yrIäa]y: [r;zyI wv{êp.n: ~v'a' ~yfiÛT'-~ai10b `xl'(c.yI wd{îy"B. hw"Þhy> #p,xeîw> wT{̃[.d;B. [B'êf.yI ha,är>yI w’v{p.n: lm;Û[]Me11

    `lB{(s.yI aWhî ~t'ÞnOwO[]w: ~yBi_r;l'( yDIÞb.[; qyR±Ic; qyDIîc.y: lOl'v' qLeäx;y> ¬~ymiWc[]-ta,w> ~yBĩr:b' wlä{-qL,x;a] !keeùl'12

    hn"_m.nI ~y[iÞv.P-ta,w> wvê{p.n: ‘tw‘M'l; hr"Û[/h, rv,’a] tx;T;̃ `[;yGI)p.y: ~[iÞv.Pl;w> af'n" ~yBiär:-aj.xe a’Whw> LXX: 10bejaVn dẁte periV aJmartivaç, hJ yuchV uJmẁn o[yetai spevrma makrovbion : kaiV bouvletai Kuvrioç ajfeleìn

    11ajpoV toù povnou th`ç yuch̀ç aujtoù, deìxai aujtw/` fẁç kaiV plavsai th/` sunevsei, dikaiẁsai divkaion eu\ douleuvonta polloìç, kaiV taVç aJmartivaç aujtẁn aujtoVç ajnoivsei (ajnhvsei in Cirillo). 12diaV toùto aujtoVç klhronomhvsei pollouVç kaiV tẁn ijscurẁn merieì skùla, anq j w\n paredovqh eijç qavnaton hJ yuchV aujtoù, kaiV ejn toìç ajnovmoiç (metaV ajnovmwn in Lc 22,37) ejlogivsqh : kaiV aujtoVç aJmartivaç pollẁn ajnhvnegken kaiV diaV taVç aJmartivaç aujtẁn paredovqh.

  • 8

    dal momento che proprio per questo la sua anima è stata consegnata alla morte ed è stato reputato tra gli iniqui, Lui che al contrario ha portato il peccato dei molti ed è stato consegnato per le loro iniquità. In conclusione, la lettura di Cirillo dell’intero poema del Servo sofferente è cristologica: il Servo del Signore senza aspetto né bellezza, ferito a causa dei nostri peccati, maltrattato e condotto al macello, altri non è che il Cristo Signore. A condannarlo a morte è stato Israele, accecato e incapace di riconoscerlo come il suo Messia. Ma, portando il peccato della moltitutine, Egli ci ha guariti con la sua piaga, procurando per sé, come suo bottino, l’immensa moltitudine dei riscattati e redenti20.

    2. Is 53 nelle opere esegetiche

    Numerosi sono gli scritti esegetici pervenutici sia sull’Antico che sul Nuovo Testamento, compresi anche quelli di dubbia autenticità. Pur facendo propria l’esegesi allegorica della scuola alessandrina, Cirillo si distacca non poco, considerando le vicende storiche d’Israele in quanto tali, e non sempre e necessariamente come anticipazione simbolica o profetica di Cristo21. In riferimento a Is 53, l’esegesi di Cirillo supporta la propria cristologia nella polemica sia contro l’arianesimo e sia contro Nestorio.

    2.1. Il De adoratione et cultu in spiritu et veritate Suddiviso in 17 libri in forma dialogica, l’Adorazione e il culto nello spirito e

    nella verità è un commento a passi scelti del libro del Pentateuco, al fine di dimostrare il compimento in Cristo della Legge mosaica non nella lettera, bensì nello spirito. Nel Libro III,98 (PG 68,289) Cirillo utilizza il poema deutero-isaiano, per dimostrare che il Cristo ha fatto proprie le iniquità degli uomini, non perché Egli abbia commesso il peccato (oujc o{ti pepoivhke thVn aJmartivan), ma nel senso datoci dalle Scritture (all j o{ti kataV taVç grafaVç), e precisamente secondo la profezia di Is 53,4ab.12d. Il vescovo di Alessandria può così concludere che, sebbene non conoscesse peccato, Cristo si è fatto maledizione per noi, secondo Gal 3,13. Quanto citato qui diverge leggermente dal testo greco alessandrino:

    Cirillo: 4aujtoVç taVç aJmartivaç hJmw`n ai[rei, kaiV periV hJmw`n ojduna`tai, 12kaiV ejn toi`ç ajnovmoiç ejlogivsqh;

    LXX: 4ou|toç taVç aJmartivaç hJmw`n fevrei kaiV periV hJmw`n ojduna`tai, 12kaiV ejn toi`ç ajnovmoiç ejlogivsqh.

    Attraverso il pronome aujtoVç al posto di ou|toç, Cirillo collega l’azione del Servo con il soggetto, che è il Cristo; l’inserimento del verbo ai[rei al posto del sinonimo fevrei è dovuto forse a fattori mnemonici, o più probabilmente per un facile collegamento con Gv 1,29.

    20 Per uno sguardo completo alla presenza di Is 53 nel Commento di Cirillo al libro di Isaia, oltre ai testi già

    richiamati (PG 70,256; 1093), cfr anche le citazioni di 1Pt 2,22.24 (PG 70,1096; 1248). 21 Cfr A. CATALDO, (a cura di), Cirillo di Alessandria…, cit., 12.

  • 9

    La profezia di Is 53,12ad, esplicitamente applicata alla persona del Cristo (periV Cristou`) ed interpretata nella linea già data nel commento a Isaia, ritorna nel Libro IV,127 (PG 68,336), nel contesto in cui Cirillo presenta la venuta trionfale del Cristo nella gloria insieme con gli angeli. Essa è introdotta da una solenne espressione (toigavtoi kaiV sofoVç hJmìn JHsai

  • 10

    Anche rispetto alla precedente citazione (Libro III,98: aujtoVç taVç aJmartivaç hJmẁn ai[rei, kaiV periV hJmẁn ojdunàtai), Cirillo ha apportato qui delle leggere differenze, soprattutto modificando l’ordine dei termini, forse per motivi mnemonici. Nel Libro XI,409 (PG 68,780), sempre in conformità con le Scritture (kataV taVç grafavç) e direttamente applicata al Cristo, ritorna Is 53,5LXX (tẁ/ gaVr mwvlwpi aujtou` ijavqhmen), inserita nel testo a conferma di quanto si sta affermando, come rileva la presenza della congiunzione gavr. Parlando nel Libro XII,442 (PG 68,829) dell’immolazione del Figlio, come di un agnello dato in olacausto, Cirillo sottolinea la sua santità e innocenza, inserendo Is 53,9 (= 1Pt 2,22: ouj gaVVr ejpoivhsen aJmartivan) e Is 53,12dLXX (kaiV ejn toìç ajnovmoiç ejlogivsqh), e insistendo sul fatto che il Figlio di Dio è stato reputato tra i dannati (kaiV toi=ç katakekrimevnoiç ejnarivqmioç gevgonen oijkonomikw=ç). Poco più Avanti, nel Libro XII,448 (PG 68,840), reminiscenze di Is 53,5.7 (cfr anche Ger 11,19) troviamo nell’espressione tevqutai gaVr uJpeVr tw=n aJmartiw=n hJmw=n...wJç ajrnivon a[kakon, che Cirillo legge in conformità con le Scritture (kataV taVç grafavç). Numerosi sono i riferimenti a Is 53 nel Libro XV,520; 527; 529; 530; 542. Oltre ai chiari testi di 1Pt 2,22.24 (PG 68,951; 985)22, vanno senz’altro segnalati il riferimento a Is 53,4 nell’espressione aujtoVç oJ taVç aJmartivaç hJmẁn ai[rwn (PG 68,964), presentata come conforme alla voce del profeta, che può essere il Battista (cfr anche Gv 1,29), ma anche Isaia (kataV thVn tou` profhvtou fwnhvn); e soprattutto le due citazioni di Is 53,12d.7 (PG 68,968). Nell’annotare che Cristo avrebbe separato i malvagi dai buoni (cfr Mt 25,33), Cirillo sottolinea che Egli ha voluto essere annoverato fra gli iniqui [kaiV ejn toìç ajnovmoiç lelogivsqai (LXX: ejlogivsqh)] in sintonia con le Scritture (kataV taVç grafavç); e subito dopo, parlando della sua immolazione e mansuetudine, inserisce la citazione Is 53,7 [wJç provbaton gaVr h[cqh (LXX: ejpiV sfaghVn h[cqh) kaiV wjç aJmnoVç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwnoç ou{twç oujk ajnoivgei toV stovma aujtou)̀, introdotta dal verbo fhsiv, il cui soggetto sembra essere lo stesso Cristo. Nel Libro XVII,594; 608; 610, sempre in riferimento alla sofferenza e morte del Salvatore troviamo citazioni o reminiscenze di Is 53,7.12.4.5. La citazione di Is 53,7 (PG 68,1068) segue letteralmente la LXX (wJç provbaton gaVr ejpiV sfaghVn h[cqh kaiV wjç aJmnoVç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwnoç) e ribadisce che grazie all’immolazione del Cristo, come di un agnello, noi tutti siamo covenuti in unità; nell’espressione diaV toVn uJpeVr hJmẁn ejn ajnovmoiç (PG 68,1089) è facile scorgere il riferimento a Is 53,12d; infine (PG 68,1093) Cirillo riferisce al Cristo espressioni chiaramente attinte da Is 53,4 (aujtoVç taVç aJmartivaç hJmẁn ai[rei, kaiV periV hJmẁn ojdunàtai) e Is 53,5 (kaiV mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijavqhmen).

    2.2. I Glaphyra

    22 Cfr anche le citazioni di 1Pt 2,21.24 in Libro XVI,559; 561; 567 (PG 68,1012; 1016; 1025) .

  • 11

    I Glaphyra sono dei commenti eleganti a passi scelti del Pentateuco, dove il vescovo alessandrino in una forma letteraria piuttosto raffinata utilizza i testi biblici per scopi cristologici e trinitari.

    Nel Libro II del Commento alla Genesi (II,33; PG 69,60) troviamo il primo riferimento a Is 53, che Cirillo presenta come conforme alla voce del Profeta (kataV thVn tou= profhvtou fwnhvn):

    wjç 5bmemalavkistai meVn aujtoVç diaV taVç ajnomivaç (LXX: aJmartivaç) hJmw`n 12fkaiV diaV taVç

    aJmartivaç hJmw=n (LXX: aujtẁn) paredovqh 5dkaiV tw/` mwvlwpi aujtou` hJmei`ç ijjavqhmen. 6kaiV Kuvrioç parevdwken aujtoVn taìç aJmartivaiç hJmw`n.

    Poco più avanti (II,43; PG 69,76), sempre secondo la voce del Profeta (kataV

    thVn tou= profhvtou fwnhvn), è citato il testo di Is 53,2c, riportato sostanzialmente secondo la LXX, con la semplice aggiunta di oujdeV gaVr al posto di kaiV oujk, probabilmente per inserire la citazione nel contesto:

    LXX: kaiV oujk ei\cen ei\doç, oujdeV kavlloç; Cirillo: oujdeV gaVr ei\cen ei\doç, oujdeV kavlloç.

    Nel Libro III,77 (PG 69,129) la citazione di Is 53,12LXX (ejn toìç ajnovmoiç ejlogivsqh) fa la sua comparsa nel contesto, in cui Cirillo afferma che il Cristo ha patito sotto la legge come uno di noi e sopra la legge, in quanto Dio. Un vago riferimento a Is 53,7b.12d troviamo nel Libro VI,185 (PG 69,296) nell’espressione wJç provbaton lelovgistai meq jhJmẁn, con una lettura piuttosto libera della profezia deutero-isaiana. Il testo di Is 53,1LXX (Kuvrie, tivç ejpivsteuse th/` ajkoh̀/ hJmẁn;), introdotto dall’espressione e[faskon gaVr, il cui soggetto sottinteso sono I Profeti (hJ tẁn aJgivwn profhtẁn...plhquvç), troviamo nel Libro VII,216 (PG 69,314); e ancora la citazione di Is 53,9c, riferita al Figlio (ouj pepoivhken aJmartivan; LXX: ajnomivan oujk ejpoivhsen; cfr 1Pt 2,22), è presente poco più avanti nel Libro VII,219 (PG 69,348); e infine nel Libro VII,250 (PG 69,396) Cirillo inserisce in chiave esplicitamente cristologica (periV aujtou`), introdotta dall’espressione gravfei dev pou kaiV oJ profhvthç jHsai

  • 12

    Nel contesto dell’incredulità dei Giudei (Libro II,301; PG 69,474), definiti tavlaneç jIoudaìoi, Cirillo, come in Rm 10,16 e Gv 12,38, inserisce la citazione di Is 53,1LXX (Kuvrie, tivç ejpivsteusen th/` ajkoh̀/ hJmẁn; kaiV oJ bracivwn Kurivou tivni ajpekaluvfqh;), introdotta dall’espressione oJ qespevsioç jHsai

  • 13

    In Sophoniam prophetam Commentarius (Tomus II, cap. II,44), commentando Zc 16,17, Cirillo applica alla persona del Cristo il testo di Is 53,4 (PG 71,1017), a conferma che Questi ha congregato e sanato i malati, come sottolinea la formula kataV toV gegrammevnon. La citazione è riportata con delle varianti interessanti rispetto alla LXX, che la avvicinano assai al TM, in sintonia con Mt 8,17:

    LXX: ou|toç taVç aJmartivaç hJmwǹ fevrei; Cirillo: aujtoVç taVç ajsqeneivaç hJmw`n fevrei; Mt 8,17: aujtoVç taVç ajsqeneivaç hJmw`n e[[laben; TM: af'n" aWhä W’nyE’l'x\.

    Il testo di 1Pt 2,24 (cfr Is 53,4ab), all’interno del tema relativo all’esaltazione del Cristo sulla croce, compare In Zachariam prophetam Commentarius XXX,698 (PG 72,84)

    2.4. Il Commento al Vangelo di Giovanni Scritto probabilmente prima della controversia nestoriana, ossia

    precedentemente all’anno 429, il Commento al Vangelo di Giovanni è sostanzialmente un’esegesi dottrinale e pastorale, intenta a dimostrare, in polemica soprattutto con la posizione ariana, che il Figlio è della stessa sostanza divina del Padre e che entrambi possiedono la propria sussistenza personale25. Commentando Gv 21,1-6 (Libro XII), Cirillo si sofferma sulla durezza di cuore del popolo d’Israele, che lo ha portato a rifiutare il vangelo di Gesù, e ciò – egli afferma - in sintonia con le profezie. E a supporto di ciò, insieme con Ger 15,10, egli riporta il testo di Is 53,1LXX (PG 74, 741; cfr anche Rm 10,16 e Gv 12,37). E conclude: “Come, dunque, non ammetterai che quel duro e inflessibile popolo d’Israele è simile a quelli che non sono stati presi, dal momento che ha calpestato anche la stessa Legge datagli da Mose?”26. Nel Libro XI,10 (PG 74, 548), commentando Gv 17,18-19, e soffermandosi sul significato dell’espressione “E per essi io consacro me stesso”, Cirillo insiste sul valore soteriologico dell’operato di Gesù, al punto che Egli si è fatto peccato per noi (cfr 2Cor 5,21) e “secondo la parola del Profeta, egli porta i nostri peccati, e fu stimato con noi un iniquo per giustificarci mediante se stesso”27. Il testo, introdotto dall’avverbio gavr e dall’espressione kataV thVn tou` profhvtou fwnhvn, sembra un agglomerato di temi attinti dalla profezia del Servo. Fra essi spicca la citazione di Is 53,4a (aujtoVç taVç aJmartivaç hJmẁ̀n ai[rei; LXX: ou|toç taVç aJmartivaç hJmẁ̀n fevrei); il rimando a Is 53,12d (kaiVV ejlogivsqh meq* hJmw``n ejn ajnovmoiç; LXX: kaiVV ejn toi`ç ajnovmoiç ejlogivsqh); e, infine, l’allusione a Is 53,11c nell’espressione i{na hJmàç dikaiwvsh/ di* eJautoVn (LXX: dikaiw``sai divkaion eu\ douleuvonta polloìç).

    25 Cfr L. LEONE, Cirillo di Alessandria. Commento al Vangelo di Giovanni, I-III, Roma 1994; soprattutto I, 16-

    22. 26 Traduzione di L. LEONE, in ibid., III, 510. 27 Ibid., III, 358.

  • 14

    Poco più avanti (PG 74,604), commentando Gv 18,22, al fine di giustificare l’ignominia sostenuta dal Cristo, nuovo Adamo, Cirillo inserisce il medesimo testo di Is 53,4ab (aujtoVç taVç aJmartivaç hJmẁ̀n ai[rei...kaiV periV hJmẁn ojdunàtai), introdotto dall’avverbio ejpeivter, e presentandolo come conferma della Scrittura (kataV thVn tou` profhvtou fwnhvn). Nel Libro V,1 (PG 73,719-720), commentando Gv 7,30, Cirillo evidenzia la libera volontà del Cristo nell’accettare la morte: “Non perché fu costretto dai Giudei, ma perché lo volle, salì sulla croce per noi a nostro vantaggio”. Ci interessa qui l’espressione, ripetuta due volte (…se non avesse voluto; …perché lo volle), che forse rimanda a Is 53,7aVulgata (Quia ipse voluit)28. Va notato, però, che tale espressione, assente dal TM e dalla LXX, è stata aggiunta liberamente da Girolamo nel testo della Vulgata, probabilmente perché interpreta il senso della libera donazione di sé compiuta dal Servo del Signore, idea che Cirillo sembra voler richiamare qui: Vulgata: oblatus est quia ipse voluit; Cirillo:…toV paqei``n ejqevlein...ajll’ ejqelonthVç...uJpeVr hJmw``n di’ hJma`ç ajnevsqh staurovn. Oltre alla duplice presenza del verbo qevlw, va detto che l’intera espressione uJpeVr hJmẁ̀n di’ hJmàç ajnevsqh staurovn rimanda probabilmente alla vicenda del Servo sofferente, riferita al dramma della croce, soprattutto per l’utilizzo delle formule uJpeVr hJmẁ̀n e di’ hJmàç, che danno il significato salvifico alla sofferenza e morte del Cristo, sulla scia di Is 53,4.5.12LXX. Nel commento a Gv 6,52 (Libro IV,2; PG 73,565)29 è spontaneo il ricorso, introdotto dall’espressione wJç oJ profhvthç fhsiv, a Is 53,5LXX (tẁ/ gaVr mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijavthmen), in riferimento all’oblazione del Cristo a favore di tutti (…offre se stesso per soffrire, in qualche modo, le pene di tutti…), con a seguire la citazione di 1Pt 2,24 (kaiV taVç aJmartivaç hJmẁn aujtoVç ajnhnevgken ejn tẁ/ swvmati aujtou` eijç toV xuvlon), che ricalca Is 53,4. Commentando l’atroce scena della flagellazione (Gv 19,1-3; Libro XII; PG 74,629), Cirillo crea quasi un parallelismo tra la scena evangelica e Is 53,5-6. L’affermazione “Il Signore soffrì quelle cose per noi” è giustificata scritturisticamente dal richiamo, introdotto dall’espressione kataV toV gegrammevnon, di Is 53,5d (tẁ/ mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijavthmen); e dal prosieguo della citazione (Is 53,6.4b.5b), rafforzata dall’avverbio gavr, e dalla formula katav fhsin oJ makavrioç profhvthç JHsai

  • 15

    dalla formula kataV toV gegrammevnon, ritorna nel commento a Gv 19,19 (Libro XII; PG 74,656)32. Commentando Gv 1,29 (Libro II; PG 73,192) non poteva mancare il riferimento a Is 53,7LXX (wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh, kaiV wJç ajmnoVç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwmoç). Infatti - afferma Cirillo – l’agnello “prefigurato dalla Legge di Mosè…salvava solo in parte, non effondendo verso tutti la sua misericordia”. “Ora, invece, il vero agnello, che una volta fu prefigurato, è condotto ad essere ucciso come ostia immacolata per tutti”. Con queste affermazioni Cirillo sottolinea la perfetta identità tra l’agnello deutero-isaiano e la persona del Cristo, condotto al macello “per abolire, morendo, la morte per tutti”33. Spiegando il silenzio di Gesù davanti a Pilato (Gv 19,10; Libro XII; PG 74,640)34, Cirillo inserisce la citazione di Is 53,7b-8aLXX (= At 8,32-33a) e afferma che il procuratore romano lo considerava un’offesa inopportuna al suo potere e non capiva, invece, “il mistero del suo silenzio” come compimento di “ciò che fu predetto dalla voce del Profeta. L’autore sembra sottolineare l’autorevolezza del profeta Isaia, attraverso una particolare espressione, posta prima della citazione (Con questo silenzio vedrai esattamente adempiuto ciò che fu predetto dalla voce del Profeta), con l’inserimento del verbo fhsivn, all’interno, e con una solenne espressione conclusiva (E questo ce lo disse il beato Isaia). La citazione di Is 53,8b anche qui è inserita all’interno della problematica teologica relativa alla generazione eterna del Verbo. Commentando l’espressione di Gv 1,1 del Prologo (PG 73,25), Cirillo afferma che “il profeta Isaia, incantato, dice: «Chi potrà narrare la sua generazione? Perché la sua vita è tolta dalla terra» (= Is 53,8LXX), e conclude dicendo che “il discorso sulla generazione dell’Unigenito…supera l’intelligenza di quelli che vivono sulla terra sì da essere impossibile parlarne”. Inoltre, in riferimento alle espressioni Nessuno saprà donde sia di Gv 7,27 e Voi non sapete donde sia di Gv 9,30, entrambe riferite alla persona del Cristo, Cirillo può inserire la medesima citazione di Is 53,8bLXX (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai; o{ti ai[retai ajpoV tĥç gĥç hJ zwhV aujtou`): nel commento a Gv 7,27 essa è citata due volte (PG 70,711 e 713) ed è esplicitamente riferita al mistero dell’origine del Messia: “Presso Isaia leggiamo così di Cristo”; “il beato Profeta, parlando di Dio Verbo, ha usato la parola generazione, invece di parlare di sostanza”; nel commento a Gv 9,30 (PG 73,1000) Cirillo nota che essa è stata erroneamente compresa dai Giudei del tempo di Gesù, nel senso cioè che “il Cristo sarebbe stato completamente sconosciuto, giacché nessuno conosceva la sua origine”; la citazione è introdotta dall’espressione “Giacché il profeta Isaia aveva detto che l’ineffabile Figlio di Dio Padre era assolutamente sconosciuto”. E, infine, in riferimento alla veracità della testimonianza del Cristo Cirillo può inserire Is 53,9 nel commento a Gv 8,14 e Gv 7,9-10: nel primo caso (PG 73,781) la citazione serve per condannare la falsità dei Farisei, che accusano Gesù di menzogna,

    32 Ibid., III, 443. 33 Ibid., 183-184. 34 Ibid., III, 430.

  • 16

    “sebbene «non sia stato trovato inganno sulla sua bocca», come è scritto”35; nel secondo caso (PG 73,645) la citazione (giacché è scritto che l’inganno, ossia la menzogna, non sarebbe stato trovato nella sua bocca) è inserita nel contesto della decisione di Gesù di recarsi alla festa di Pasqua di nascosto, al fine di ammonire ed esporre ciò che conduce alla vita eterna36.

    2.5. Il Commento al Vangelo di Luca Giuntoci largamento incompleto, il commento di Cirillo al Vangelo di Luca

    presenta un abbondante riferimento all’inno petrino di 1Pt 2,21-25, modellato su Is 53. Innanzitutto l’idea che Cristo con la sua umiliazione ha lasciato un esempio, affinché noi seguiamo le sue orme (1Pt 2,21) ritorna nei capitoli VI,V.12 (PG 72,582) e XXII,V.27 (PG 72,913). Il riferimento all’innocenza del Cristo (1Pt 2,22 = Is 53,9) troviamo nel capitolo I,V.22 (PG 72,497). Ed, infine, la citazione di 1Pt 2,23 (o}ç loidorouvmenoç oujk ajnteloidovrei, pavscwn oujk hjpeivlei, paredivdou deV tẁ/ krivnonti dikaivwç), che riassume l’atteggiamento di mansuetudine e di fiducia del Cristo di fronte all’ingiustizia subita, è presente nei capitoli VI,V.27 (PG 72,596) e XVII,V.20 (PG 72,840).

    2.6. Il Commento a Romani e Prima Corinzi Giuntoci anch’esso frammentario, il commento di Cirillo alla Lettera ai

    Romani è una riflessione teologica sul tema della salvezza37. Commentando Rm 5,16 (PG 74,788), Cirillo cita 1Pt 2,22 = Is 53,9, per spiegare il significato della giustificazione, realizzata da Cristo. Questi – afferma Cirillo – è stato giustificato e la giustificazione giungerà senza fallo fino a noi, perché Egli è il primo e il solo uomo in terra che non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca (movnoç a[nqrwpoç aujtoVç ejpiV gh̀ç oujk ejpoivhsen aJmartivan, oujdeV euJrevqh dovloç ejn tẁ/ stovmati aujtou)̀. Subito dopo, nel commento a Rm 5,18-19 (PG 74,789), Cirillo ribadisce che in Cristo la natura umana è stata nuovamente liberata, dal momento che questi non commise peccato (oujk ejpoivhsen aJmartivan). Il Commento alla Prima lettera ai Corinzi (PG 74,948) presenta una citazione di 1Pt 2,23 (o}ç loidorouvmenoç oujk ajnteloidovrei, pavscwn oujk hjpeivlei, paredivdou deV tẁ/ krivnonti dikaivwç), che in sintonia con il testo biblico Cirillo comprende nel contesto proprio dell’inno petrino, che ricalca anche in questo punto l’atteggiamento del Servo deutero-isaiano, che fu proprio del Verbo incarnato, di non opporsi alla violenza con la forza, ma con la bontà e mansuetudine.

    2.7. Scritti esegetici di dubbia autenticità

    35 Ibid., II, 68. 36 Per uno sguardo completo sui temi del Servo sofferente nel Commento al Vangelo di Giovanni, cfr anche le

    citazioni di 1Pt 2,22.23 (PG 73,819; 901; 911; PG 74,241; 328; 412; 432; 480; 553), dove Cirillo applica al Cristo gli atteggiamenti descritti nell’inno petrino (1Pt 2,21-25).

    37 V. UGENTI, Cirillo di Alessandria. Commento…, cit., 25-37.

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    Ci è giunto un abbondante materiale frammentario, attribuito a Cirillo, ma di dubbia autenticità, dove è presente un notevole ricorso a Is 53. Nel Commento ai Salmi numerosi sono i riferimenti all’inno petrino modellato su Is 53: 1Pt 2,22 = Is 53,9 In Psalmum IX,27 (PG 69,781); XVI,1 (PG 69,816); C,2 (PG 69,1261); 1Pt 2,23 In Psalmum XXXVIII,2 (PG 69,969-971). Inoltre, Is 53,1LXX è citato In Psalmum XLIII,3 (PG 69,1020), introdotto dall’espressione JHsai?aç gou`n fhsi; ed una vaga allusione a Is 53,12d è possibile scorgere In Psalmum LVIII,45 (PG 69,1216) nell’espressione uJpenohvqh gaVr ei\nai ponhroVç, kaiV wJç aJmartwloVç katekrivqh (etenim improbus reputatus est, ac tamquam peccator punitus). Ci è pervenuta, ancora, una raccolta di detti dell’Antico Testamento (Collectio Dictorum Veteris Testamenti), dove in riferimento alla figura di Zorobabele, applicata al Cristo (Zorobavbel nevoç), si scorgono riferimenti nascosti e citazioni esplicite a Is 53,9 (= 1Pt 2,22) e Is 53,12 (PG 77,1281). Nel Commento al Vangelo di Matteo, giuntoci pure frammentario, in riferimento al testo di Mt 27,38, è citato Is 53,12d (= Lc 22,37) e Is 53,5d (tw/` mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijjavqhmen). Nei Fragmenta in Acta Apostolorum, commentando At 8,32 = Is 53,7bcd (wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh kaiV wjç aJmnoVç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwnoç ou{twç oujk ajnoivgei toV stovma aujtou`) e riconducendo il testo profetico interamente alla persona del Cristo, l’autore inserisce anche Is 53,8 (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai; o{ti ai[retai ajpoV th̀ç gh̀ç hJ zwhV aujtou`), a conferma che il mistero dell’incarnazione del Verbo debba essere creduto perfetto (PG 74,768)38.

    3. Opere cristologiche e trinitarie In campo dottrinale, la produzione di Cirillo va sostanzialmente suddivisa in due

    momenti: il periodo prima dell’anno 429, in cui l’attenzione del Vescovo alessandrino è totalmente concentrata a combattere l’arianesimo; e il tempo seguente, in cui egli è impegnato a contrastare l’eresia nestoriana.

    3.1. Opere contro l’arianesimo In prospettiva anti-ariana è importante, innanzitutto, il Thesaurus de sancta et

    consubstantiali Trinitate, composto intorno al 412 o 413 secondo J. Liébaert e N. Charlier, o tra il 423 e il 425 secondo G. Jouassard. Ribadendo la formula trinitaria dell’unica ousia divina articolata in tre ipostasi, Cirillo trova utile la profezia di Is 53 soprattutto in riferimento alle problematiche cristologiche.

    In Thesaurus 162 (PG 75,273) è presente in’interessante citazione di Is 53,4a, letta in chiave esplicitamente cristologica, come conferma l’espressione introduttiva gevgraptai pou periv tou` Swth̀roç hJmẁn Cristou.̀ La differenza del testo rispetto alla LXX e il confronto con Mt 8,17 ci permettono di rilevare la distanza dal testo alessandrino e la vicinanza alla versione matteana, soprattutto per la presenza del

    38 Cfr anche la citazione di Ger 11,19, probabilmente dipendente da Is 53,7, nel Commento sui Libri dei Re, attribuito a Cirillo (PG 69,680): ejgwV deV wJç ajrnivon a[kakon ajgovmenon toù quvesqai oujk e[gnwn (ego tamquam agniculus innocuus qui ad sacrificium ducitur, non cognovi).

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    termine ajsqeneivaç, che accomuna Cirillo e Matteo; Cirillo si distanzia soltanto per l’utilizzo di ai[rei (LXX: fevrei) al posto di e[laben (Mt 8,17)39: Cirillo: o{tiper aujtoVç taVç ajsqeneivaç hJmẁn ai[rei;

    Mt 8,17: aujtoVç taVç ajsqeneivaç hJmw`n e[laben; LXX: ou|toç taVç aJmartivaç hJmw`n fevrei; TM: af'n" aWhä W’nyE’l'x\.

    Sembra sufficiente affermare qui la dipendenza di Cirillo da Matteo, per spiegare la variante rispetto al testo alessandrino, da cui normalmente egli dipende. È, infatti, possibile che egli citi la profezia con reminiscenze mnemoniche, rifacendosi sostanzialmente al testo matteano, molto più vicino all’ebraico che alla traduzione greca dei LXX. In Thesaurus 244 (PG 75,416), sempre in riferimento alla persona del Cristo (periV tou` Swth̀roç) e – come ritiene Cirillo - con un’affermazione esplicita da parte del profeta Isaia (fesiv pou safẁç), la citazione di Is 53,12 spiega la consustanziale unità del Padre e del Figlio nell’atto di dare doni e onori ai santi, che Gli appartengono, essendo divenuti bottino del Figlio. Il testo si differenzia dalla LXX per l’utilizzo del verbo con significato sinonimo kurieuvsei pollẁn, al posto di klhronomhvsei pollouVç, dovuto probabilmente anche qui a fattori mnemonici: Cirillo: diaV tou`to aujtoVç kurieuvsei pollw `n kaiV tw`n ijscurw`n merieì sku`la, anq j w\n paredovqh eijç qavnaton hJ yuchV aujtou. LXX: diaV tou`to aujtoVç klhronomhvsei pollouVç kaiV tẁn ijscurw`n merieì sku`la, anq j w\n paredovqh eijç qavnaton hJ yuchV aujtou. Parlando dei tesori di sapienza e di scienza nascosti nel mistero della persona di Cristo (Thesaurus 287; PG 75,488), Cirillo cita a sostegno, come dimostra l’espressione kaqaV fhsin oJ profhvthç, la profezia di Is 53,8LXX (thVn geneaVn gaVr aujtou ̀tivç dihghvsatai;). Ed, infine, numerosi sono i riferimenti all’inno cristologico di 1Pt 2,22.24 = Is 53,9.5, con cui Cirillo rilegge la sofferenza salvifica del Cristo all’interno della cristologia del Logos incarnato o Logos-Sarx (Thesaurus 163.180.214.254.303; PG 75,273; 305; 361; 432; 516).

    Nel De sancta et consubstantiali Trinitate, in forma dialogica, di data incerta40, Cirillo dialogando con un fittizio interlocutore ariano, espone i punti cardini della sua cristologia, con un utilizzo abbondante di testi veterotestamentari, tra cui non mancano riferimenti a Is 53.

    39 La versione matteana, più vicina al TM che alla LXX, permetteva al primo evangelista di collocare la

    citazione nel suo contesto È probabile che questi “non abbia tradotto l’ebraico”, ma sia dipeso da “una traduzione greca esistente”. Circa la fonte della citazione e il suo valore nel vangelo matteano cfr M.J.J. MENKEN, «The Source of the Quotation from Isaiah 53:4 in Mathew 8:17», in Novum Testamentum 39 (1997) 313-327; J. MILER, Les citations d’accomplissement dans l’évangile de Matthieu. Quand Dieu se rend présent en toute humanité (AnBibl 140), Roma 1999, 103-123

    40 G.M. DE DURAND, Dialogues sur la Trinité, I, Paris 1976, 38-43, è convinto che l’opera vada collocata qualche tempo prima del 420.

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    Nel Dialogo II,444 (PG 75,757), affermando che il Figlio è nato da un Padre senza principio e che Egli ha un modo di generazione del tutto ineffabile e incomprensibile, Cirillo porta come prova scritturistica Is 53,8, introdotta dalla solenne espressione introduttiva: Perciò anche l’illustre Isaia ci dice, e rafforzata all’interno dalla presenza del verbo fesivn. Riportata secondo la LXX (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai; fhsiVn, o{ti ai[retai ajpoV tĥç gĥç hJ zwhV aujtou)̀, la citazione deutero-isaiana permette a Cirillo una riflessione, che esula del tutto sia dal testo e sia dal contesto. Innanzitutto, egli interpreta il termine generazione (geneaVn) nel senso di genesi (gevnnhsain) e soprattutto grazie alla parola vita, che si leva dalla terra, egli può affermare che l’esistenza del Cristo si è levata dalla terra, perché si innalza e supera ogni intelligenza terrena, ponendosi al di sopra dei concetti umani, impraticabile e inaccessibile ai limiti dell’umanità. Anche qui l’interpretazione di Is 53,8 è posta nel contesto della problematica, relativa alla generazione eterna del Verbo41. Nel Dialogo IV,535 (PG 75,913) Cirillo afferma che la natura divina del Verbo non è stata sopraffatta né vinta dalla condizione e dall’oscurità della carne, per cui il Figlio di Dio, nonostante abbia assunto la qualità di servo, è di nuovo risalito alla dignità di Signore che gli è innata e indefettibile. Perciò, Egli è stato chiamato Signore ed è stato simile a noi a causa dell’elemento umano. Tra le caratteristiche che lo hanno reso veramente uomo, oltre alla nascita sotto la Legge, all’essere visibile, tangibile e di poco inferiore agli angeli, Cirillo aggiunge anche che il Signore fu annoverato fra gli empi (= Is 53,12LXX: kaiV ejn toìç ajnovmoiç ejlogivsqh) e come un agnello fu condotto al macello (= Is 53,7LXX: kaiV wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh), subendo quella morte…deplorevole, così come descritto nella vicenda del Servo sofferente42. Nel Dialogo V,557 (PG 75,949), per affermare che il Figlio è immagine della sostanza e della ipostasi del Padre, e non del suo consiglio o della sua volizione, Cirillo ricorre al dialogo giovanneo tra Gesù e il discepolo Filippo (cfr Gv 14,8-9) e conclude che non si può non credere a Colui che ha scelto di non mentire o piuttosto di non avere inganno sulla bocca (màllon deV oujk e[conta dovlon ejn tẁ/ stovmati aujtou`; cfr Is 53,9)43. Infine nel Dialogo VI,596 (PG 75,1017), per affermare che la persona del Cristo non è stata nemmeno sfiorata dall’idea della falsità, Cirillo come prova scritturistica (kataV gevgraptai) fornisce 1Pt 2,22, che ricalca Is 53,9 (ouj gaVr ejpoivsen aJmartivan, oujdeV euJrevqh dovloç ejn tẁ/ stovmati aujtou)̀44.

    3.2. Opere contro Nestorio Contro la dottrina nestoriana, emergono innanzitutto i cinque libri Adversus

    Nestorium, pubblicati nel 430. Si tratta di una dettagliata confutazione della dottrina

    41 SC 231, 304-305. La traduzione italiana è di A. CATALDO (a cura di), Cirillo di Alessandria. Dialoghi sulla

    Trinità, Roma 1992, 103; 222-223; 252; 304. 42 SC 237, 232-233. 43 SC 237, 298-299. 44 SC 246, 38-39.

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    nestoriana, rispondendo in particolare alle critiche rivolte da parte dei vescovi orientali agli anatematismi cirilliani. In Libro I,1 (PG 76,17) Cirillo afferma che la salvezza è stata resa possibile dal fatto che il Cristo ha preso la nostra morte per mezzo del suo corpo (diaV tou` ijdivou swvmatoç), attraverso il quale egli ha sofferto, in sintonia con la profezia di Is 53,5db(LXX), che Cirillo cita a conferma della sua cristologia, come sottolinea la formula kataV toV gegrammevnon e la congiunzione gavr: Is 53,5dtw/` mwvlwpi aujtou` hJmei`ç ijjavqhmen Is 53,5bkaiV memalavkistai (meVn aujtoVç) diaV taVç aJmartivaç hJmw`n. In Libro I,9 (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai;) e in Libro III,3 (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai; o{ti ai[retai ajpoV th̀ç gh̀ç hJ zwhV aujtou `) l’utilizzo di Is 53,8 pemette a Cirillo di fondare scritturisticamente la dottrina ortodossa della generazione eterna del Verbo dal Padre (PG 76,56.140). Nel primo riferimento il Vescovo alessandrino applica direttamente il testo di Isaia al Cristo attraverso l’espressione periV autou`; nel secondo caso l’oracolo profetico è citato accanto ad altri ed è introdotto dall’espressione kaiV pavlin, per poi poco più avanti essere di nuovo ripreso nel medesimo contesto dell’origine divina del Cristo (cfr Gv 7,25-27) e introdotto dall’espressione h[kouon tou` profhvtou levgontoç ejnargẁç, il cui soggetto – come nel brano giovanneo - sono i Giudei. La citazione di Is 53,9 (= 1Pt 2,22: oujdeV euJrevqh dovloç ejn tw/` stovmati aujtou`), seguita dall’espressione kaqaV gevgraptai, troviamo in Libro III,4 (PG 76,154-156) nel contesto del tema relativo alla perfetta umanità del Cristo. E così in Libro III,6 (PG 76,164), tra i testi scritturistici relativi alla donazione della propria vita da parte del Cristo (Gv 10,15; 17,19; Eb 2,9; Rm 4,25), per dimostrare che questi ha sofferto con la propria stessa carne, non mancano Is 53,5cdLXX (paideiva eijrhvnhç hJmẁn ejp* aujtovn, tw/` mwvlwpi aujtou` hJmeìç ijjavqhmen), introdotto dall’espressione kaqaV fhsin oJ profhvthç JHsai?aç; e Is 53,6cLXX (Kuvrioç parevdwken aujtoVn taìç aJmartivaiç hJmẁn), introdotto da kataV thVn tou` JHsai?ou fwnhvn. Posteriori al 431 sono gli Scholia de incarnatione Unigeniti, giuntici integralmente nella sola traduzione latina, in cui Cirillo affronta il problema dell’unione in Cristo delle due nature, senza confusione, ma anche senza divisione. Del poema deutero-isaiano abbiamo qui la sola citazione di Is 53,5da (PG 75, 1412), che Cirillo utilizza in riferimento alla sofferenza e morte del Cristo nella sua natura umana (pro nobis…carne passus est), essendo impassibile in quanto Dio. Il testo scritturistico, introdotto dall’espressione secundum Scripturas, è così riportato: Is 53,5dVibice (Vetus Italica e Vulgata: livore) enim eius nos sanati sumus

    Is 53,5aet ipse infirmatus (Vulgata: vulneratus) est propter peccata nostra (Vulgata: iniquitates nostras)45.

    45 Nella Vetus Italica, in Is 53,5d, è assente sia la congiunzione enim e sia il pronome nos; il verbo infirmatus

    di Is 53,5a, nella Vetus, è subito dopo, nel verso parallelo.

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    L’avverbio enim, assente dal testo, contribuisce a collegare il concetto cristologico di Cirillo con la profezia deutero-isaiana. Essa è riportata sostanzialmente secondo la LXX. Anche se su questo punto il testo alessandrino non si distacca dal TM, tuttavia la scelta nella traduzione del termine peccata rimanda più alla LXX che all’originale ebraico. Già celebre nei tempi antichi, il dialogo cristologico Quod unus sit Christus, composto probabilmente tra il 434 e il 437, è una profonda riflessione cristologica sull’unità della persona del Cristo46, all’interno della quale Cirillo utilizza in due occasioni 1Pt 2,22 = Is 53,9 (PG 75,1308; 1325; cfr anche 1Pt 2,20.21 in PG 75,1321). Il testo biblico serve anche qui a confermare la visione cristologica, secondo cui nel Cristo è totalmente assente la realtà del peccato, come conferma l’espressione kataV gevgraptai (SC 97, 406)47. Il De incarnatione Domini contra Nestorium presenta un citazione di Is 53,9LXX (cfr 1Pt 2,22), introdotta dall’espressione wJç oJ profhvthç boà/, o{ti (PG 75,1428). Inoltre, è presente un lungo ricorso a Is 53 allo scopo di dimostrare che il Cristo crocifisso, in quanto Salvatore, ha procurato i farmaci (favrmaka) della salvezza:

    4aujtoç (LXX: ou|toç) taVç aJmartivaç hJmw`n fevrei kaiV uJpeVr (LXX: periV) hJmw`n ojduna`tai hJmei`ç deV ejlogisavmeqa aujtoVn ei\nai ejn poVnw/ kaiV ejn plhgh/` kaiV ejn kakwvsei. 5AujtoVç deV ejtraumativsqh diaV taVç aJmartivaç hJmw`n kaiV memalavkistai diaV taVç ajnomivaç hJmw`n paideiva eijrhvnhç hJmw`n ejp* aujtovn, tw/` mwvlwpi aujtou` hJmei`ç ijjavqhmen. 6pavnteç wJç provbata ejplanhvqhmen, 7dioV (avverbio assente nella LXX) wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh kaiV wjç aJmnoVç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwnoç.

    Avendo capito l’importanza di avere dalla sua parte nella disputa teologica contro Nestorio lo stesso imperatore o comunque qualche membro della famiglia imperiale o della coorte, già a partire dal 430 Cirillo compone tre testi De recta fide, indirizzati il primo a Teodosio, il secondo e il terzo ad reginas, ossia alla moglie e alle sorelle dell’imperatore. Ed è così che il testo 1Pt 2,22 (= Is 53,9), attribuito direttamente al Cristo, compare in De recta fide ad Theodosium imperatorem 18 (PG 76,1161) e ad reginas oratio altera 146 (PG 76,1365; cfr anche 1Pt 2,20 in PG 76,1389). Sullo stesso argomento Cirillo compone in prigione nel 430/431 i dodici Anatematismi. In Anathematismus I,161 (PG 76,324) troviamo, sempre riferita al Cristo, la citazione di Is 53,12d(LXX), introdotta dall’avversativa ajllav: ejn toìç ajnovmoiç ejlogivsqh.

    46 Cfr L. LEONE (a cura di), Cirillo di Alessandria. Perché Cristo è uno, Roma 1983, 14-20. 47 Cfr anche la medesima citazione nel De incarnatione Unigeniti (PG 75,1213; SC 97,320-322) e nel Dialogus

    cum Nestorio (PG 76,252).

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    Nell’apologia Contro Teodeoreto, composta verso il 438, troviamo il riferimento alla prima parte di 1Pt 2,22 (PG 76,443-445).

    Lo stesso riferimento, infine, è presente in Adversus anthropomorphistas XXIV,394 (PG 76,1120).

    4. Il Contra Iulianum Isolata nel suo genere è l’opera, scritta tra il 433 e l’anno della morte, contro l’imperatore Giuliano Adversos libros athei Iuliani. Si tratta di una dettagliata confutazione dei tre libri Contro i Galilei, scritti da Giuliano più di 70 anni prima. Dei 30 libri di Cirillo ci sono pervenuti soltanto i primi 10, attraverso i quali è possibile ricostruire, nella quasi totalità, il primo libro di Giuliano, utilizzando le citazioni dello stesso Cirillo. In Contra Iulianum IX,301 (PG 76,964) fa la comparsa la profezia di Is 53,6LXX, introdotta dall’espressione wJç gavr fesin oJ profhvthç JHsai?aç:

    6pavnteç wJç provbata ejplanhvqhmen, a[nqrwpoç th/` oJdẁ/ aujtou` ejplanhvqh kaiV Kuvrioç parevdwken aujtoVn taìç aJmartivaiç hJmw`n.

    Cirillo inserisce la citazione deutero-isaiana all’interno della problematica relativa alla due nature di Cristo, il quale ha veramente sofferto, avendo assunto totalmente l’umanità, e ciò in sintonia con la profezia del Servo sofferente, condotto al macello come un agnello.

    5. L’epistolario di Cirillo Attraverso il robusto e ponderoso epistolario cirilliano è possibile seguire

    l’evolversi delle posizioni teologiche e soprattutto cristologiche del vescovo alessandrino.

    5.1. Le Epistulae in generale Nell’Epistola I ai monaci d’Egitto (PG 77,32), scritta nella prima metà del 429 e ritenuta a buon diritto il primo momento della controversia tra Cirillo e Nestorio, il santo vescovo alessandrino ribadisce la cristologia del credo niceno, confermando i fondamenti cristologici dei titoli attribuibili alla Vergine (I,3). E così (I,15), egli conclude che è uno Colui che è nato dalla Vergine e che è il Figlio proprio di Dio, citando contemporaneamente Rm 4,25a (paredovqh gaVr diaV taV paraptwvmata hJmẁn) e 1Pt 2,24/cfr Is 53,9 (kaiV aujtoVç ajnomivaç pollẁn ajnhvnegken ejn tẁ/ swvmati aujtou` ejpiV toV xuvlon) e attribuendoli al Profeta (kataV thVn tou` profhvtou fwnhvn). Con un procedimento assai usuale presso i Padri antichi, anche Cirillo qui unifica in un’unica citazione i due testi biblici, molto probabilmente perché entrambi hanno il loro riscontro in Is 53 (soprattutto Is 53,4-5.12)48. Poco più avanti (I,17; PG 77,37), affermando che il Verbo, essendo nel proprio corpo, è morto realmente, il vescovo alessandrino cita come prova l’intero testo di Is 53,12, riportato secondo la LXX,

    48 Ibid., 93-94.

  • 23

    eccetto ajnomivaç al posto di aJmartivaç in Is 53,12f. Introdotta dalla solenne espressione kaiV tou`to wJç ajlhqeVç oJ makavrioç jHsai?aç diakhruvssei levgwn ejn pneuvmati, la suddetta citazione sembra presentata da Cirillo come testo scritturistico alquanto rilevante.

    Nell’Epistola XLIV,9 a Valeriano (PG 77,264), vescovo dell’importante città commerciale di Iconio, scritta dopo l’accordo con gli Orientali, siglato nel 433, e certamente non oltre il 435, non riscontrandosi nella lettera problematiche cristologiche sviluppatesi poi in seguito, Cirillo nell’esporre la propria cristologia in riferimento alla passione del Cristo nel suo corpo, tra i testi biblici citati ricorre anche a Is 53,5d. Afferma, infatti, il santo vescovo che il Cristo, offrendo per noi il suo corpo, ha sanato tutti con il suo livido (tw/` ijdivw/ mwvlwpi pavntaç hJmàç qerapeuvsh), riferendosi esattamente alla profezia deutero-isaiana (kataV thVn tou` profhvtou fwnhvn). Poco più avanti, Epistola XLIV,10 (PG 77,265), per dimostrare che Cristo, pur essendo il Verbo divino, ha tuttavia sofferto e patito nella carne, Cirillo porta come sostegno scritturistico la testimonanza di Pietro, citando espressamente 1Pt 2,24, che ricalca Is 53,949.

    Nell’Epistola LV,187 sul Simbolo di Nicea (PG 77,313) il lungo testo di Is 53,7-8 è utilizzato da Cirillo per affermare che il profeta Isaia ha riconosciuto il Cristo-Dio umanato (ejnanqrwphvsanta) e sofferente nella carne (sarkiV paqovnta). La citazione è riportata secondo la LXX, con la sola aggiunta dell’aggettivo a[kakoç (cfr Ger 11,19), riferito all’agnello innocente:

    7cwJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh kaiV wjç aJmnoVç a[kakoç ejnantivon tou` keivrontoç aujtoVn a[fwnoç ou{twç oujk ajnoivgei toV stovma aujtou`. 8ejn th/` tapeinwvsei hJ krivsiç auJtou` h[rqh· thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai; o{ti ai[retai ajpoV th̀ç gh`ç hJ zwhV aujtou.

    Cirillo può, così, utilizzare l’espressione relativa alla narrazione della generazione del Verbo o al modo della sua generazione (thVn geneaVn aujtou` tivç dihghvsetai;) e alla sua elevazione dalla terra (ai[retai ajpoV th̀ç gh̀ç hJ zwhV aujtoù), per affermare la natura ineffabile, incomprensibile e inafferrabile dalle menti umane del Figlio di Dio. Poco prima (LV,184; PG 77,308) il vescovo alessandrino, per affermare che il Cristo ha fatto proprie le caratteristiche dell’uomo santo, ribadisce che il nostro Signore Gesù Cristo non commise peccato (ouj gaVr ejpoivhsen aJmartivan oJ Kuvrioç jIhsou`ç Cristovç), sulla scia di 1Pt 2,22 (cfr Is 53,9).

    Infine, nelle risposte al diacono Tiberio e ai suoi compagni, scritte tra la fine del 431 e il 43450, il ricorso a 1Pt 2,22 (cfr Is 53,9), testo considerato Scrittura ispirata da Dio, permette al vescovo Cirillo di ribadire che in Cristo la natura umana è stata incoronata dalla lode dell’impeccabilità.

    49 Cfr G. LO CASTRO (a cura di), Cirillo di Alessandria. Epistole cristologiche, cit., 165; 166; 98. 50 Sulle problematiche in genere relative a questo scritto, cfr ibid., 226-227, nota 1.

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    5.2. Le Lettere Pasquali o Festali Scritte secondo la tradizione alessandrina per annunciare la data della Pasqua51,

    le Lettere Festali di Cirillo sono di fatto delle vere e proprie lettere pastorali con un alto valore dogmatico52.

    In Homilia Paschalis I,5,64-66 (PG 77,408; SC 372,152) la citazione di Is 53,8LXX (thVn genevan aujtou` tivç dihghvsetai;) è chiaramente utilizzata da Cirillo nella riflessione cristologica relativa alla generazione eterna del Verbo dal Padre, come dimostra l’espressione introduttiva periV deV th̀ç tou` Monogenou`ç uJpavrxewç oJ profhvthç JHsai?aç levgei (de Unigeniti vero substantia Isaias propheta…inquit…).

    In Homilia Paschalis V,7,73-76, parlando del Cristo che viene caricato dai Giudei della croce (ejpevqhkan oiJ jIoudaìoi tw/` Swth̀ri toVn staurovn), il vescovo alessandrino porta come esempio veterotestamentario la figura di Isacco, per affermare la conformità al decreto prestabilito dal Padre. Ma ancora più evidente è per Cirillo la prova scritturistica fornita da Is 53,5c-6 (PG 77,496; SC 372,322-324), introdotta a questo punto dall’espressione solenne: Testimone del fatto e alieno da ogni sospetto di menzogna, troveremo il profeta Isaia, che così aveva detto di lui (kaiV mavrtuç hJmìn ejpiV touvvtw/ ajyeudhVç oJ profhvthç JHsai

  • 25

    angeli, Cirillo inserisce Is 53,8LXX, introdotta dalla solenne espressione ajnapeivqei levgwn oJ makavrioç JHsai

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    Is 52,15aou{twç LXX; ou{tw (cfr codice B) In Isaiam

    Is 53,2awJç paidivon LXX wJç pedivon

    In Isaiam

    Is 53,2boudeV dovxa LXX ou[te dovxa In Isaiam

    Is 53,2dkaiV ei[domen aujtoVn... kaiV oi[domen aujtoVn... Homilia diversa XIII,400

    Is 53,3aei\doç aujtoù LXX ei\doç aujtw `/

    In Isaiam Glaphira in Genesim VII,250;

    Is 53,3aejkleìpon paraV pavntaç ajnqrwvpouç LXX ejklei`pon paraV pavntaç touVç uiJouVç twǹ

    ajnqrwvpwn Glaphira in Genesim VII,250;

    Is 53,4aou|toç taVç aJmartivaç hJmw`n fevrei LXX aujtoç taVç aJmartivaç hJmẁn ai[rei (ai[rwn)

    De adoratione III,98; X,350; XV,527; XVII,608; In Iohannem XI,10; Cfr De incarnatione Domini

    aujtoç taVç ajsqeneivaç hJmw`n fevrei In Sophoniam II,II,44;

    aujtoç taVç ajsqeneivaç hJmwǹ ai[rei Thesaurus 162;

    Is 53,4bkaiV periV hJmw`n ojduna`tai LXX kaiV uJpeVr hJmw`n ojduna`tai

    Glaphira in Numeri 400 In Iohannem XI,10 De incarnation Domini

    Is 53,5bdiaV taVç ajnomivaç hJmw`n LXX diaV taVç aJmartivaç hJmw`n (cfr 1Clem 16)

    In Isaiam; Glaphira, II,33;

    …diaV taVç aJmartivaç LXX ...diaV taVç ajnomivaç (cfr 1Clem 16)

    In Isaiam …diaV taV paraptwvmata

    In Iohannem XII Is 53,5dtw/` mwvlwpi aujtou` hJmei `ç ijjavqhmen tw/` ijdivw / mwvlwpi pavntaç hJma `ç

    qerapeuvsh

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    Epistula Ad Valerianum XLIV,9 Homilia diversa XXII

    Is 53,6apavnteç wJç provbata ejplanhvqhmen pavnteç ejplanhvqhmen

    In Iohannem XII;

    Is 53,6ba[nqrwpoç th/ ̀oJdw`/ aujtou` ejplanhvqh e{kastoç th/` oJdw`/ In Iohannem XII a[nqrwpoç oJdẁ/ aujtou` ejplanhvqh Homilia Paschalis V,7,73-76

    Is 53,7akaiV aujtoVç LXX kaiV aujtoVç deV

    In Isaiam Is 53,7bwJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh LXX dioV wJç provbaton ejpiV sfaghVn h[cqh De incarnatione Domini Is 53,7c kaiV wJç aJmnoVç... kaiV wJç aJmnoVç a[kakoç Epistula LV,187 Cfr Homilia diversa XIII,393

    Is 53,7eoujk ajnoivgei toV stovma LXX oujk ajnoivgei toV stovma aujtoù

    In Isaiam

    Is 53,9ajnomivan oujk ejpoivhsen LXX aJmartivan oujk ejpoivhsen In Isaiam De adoratione, X,335; 350 Glaphira in Genesim VII,219

    Is 53,11aujtoVç ajnoivsei LXX aujtoVç ajnhvsei

    In Isaiam; Is 53,12adiaV tou`to aujtoVç klhronomhvsei pollouVç LXX diaV tou`to aujtoVç kurieuvsei pollw`n

    De adoratione, IV,127; Thesaurus 244;

    Is 53,12dkaiV ejn toi=ç ajnovmoiç ejlogivsqh LXX kaiV ejlogivsqh meq’ hJmw =n ejn ajnovmoiç

    In Iohannem XI,10;

    Is 53,12fkaiV diaV taVç aJmartivaç aujtw `n paredovqh LXX kaiV diaV taVç aJmartivaç hJmw `n paredovqh Glaphira in Genesim II,33 kaiV diaV taVç aJmartivaç hJmẁn paredovqh Epistula ad monacos Egiptianos I,17

    La variante pedivon al posto di paidivon permette a Cirillo di armonizzare il termine con il suo contesto: collegandolo direttamente con il successivo rJivza, egli rende senza dubbio più coerente il senso, proprio in sintonia con alcuni codici della LXX in suo possesso.

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    È, dunque, quello alessandrino il testo sostanziale di Cirillo: le varianti non sembrano avere un peso particolare nel tentativo di determinare più specificamente la fonte biblica del vescovo di Alessandria. Certamente egli non si è servito della Recensio Lucianea o antiochena, una particolare edizione, attribuita a Luciano di Antiochia († 312), che conserva un testo molto antico dei LXX, molto vicino, tra l’altro, alla Vetus Latina. Il confronto tra le principali varianti di Cirillo e il testo della Vetus Latina, dipendente dalla Recensio Lucianea, dimostrano sufficientemente che non è possibile affermare una qualche dipendenza: Principali varianti di Cirillo Vetus Latina Is 53,3aejkleìpon paraV pavntaç touVç uiJouVç tẁn ajnqrwvpwn deficiens prae filiis hominum Is 53,4aaujtoç taVç ajsqeneivaç hJmẁn fevrei iste peccata nostra portat Is 53,5dtw/` ijdivw/ mwvlwpi pavntaç hJma`ç qerapeuvsh livore eius sanati sumus Is 53,12adiaV tou`to aujtoVç kurieuvsei pollw`n propterea ipse possidebit multos Is 53,12fkaiV diaV taVç aJmartivaç hJmw`n paredovqh et propter iniquitates eorum traditus est Il testo di Cirillo è certamente quello dei codici alessandrini: le differenze e le varianti sembrano dovute più a fattori mnemonici o alla volontà propria del vescovo di Alessandria, piuttosto che ad un particolare testo o versione della LXX. Essa rimane l’unica fonte biblica in possesso di Cirillo, anche se non va escluso che in alcuni casi egli abbia elaborato il senso del testo, servendosi probabilmente delle citazioni di Is 53, presenti nel Nuovo Testamento (cfr in particolare Mt 8,17 = Is 53,4a; anche Lc 22,37 = Is 53,12d; At 8,32-33 = Is 53,7-8aLXX; 1Pt 2,21-25 = Is 53,9.12.6), più che direttamente di TM. In conclusione, l’interpretazione cristologica del poema deutero-isaiano da parte di Cirillo, vescovo di Alessandria d’Egitto, conferma la peculiarità di Is 53 nell’esegesi patristica e il suo fondamentale contributo nello sviluppo della teologia cristiana, essendo Cirillo uno dei maggiori esponenti della cristologia, che ha contrastato le due principali eresie del proprio tempo.

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    Summary L’interpretazione cristologica del poema deutero-isaiano da parte di Cirillo

    conferma la peculiarità di Is 53 nell’esegesi patristica e il suo fondamentale contributo nello sviluppo della teologia cristiana, essendo il vescovo alessandrino uno dei maggiori esponenti della cristologia, che ha contrastato le due principali eresie del proprio tempo, l’eresia ariana e in seguito quella nestoriana. Per Cirillo il poema del Servo sofferente è la conferma della vera umanità del Verbo di Dio, che si rivela soprattutto nell’atto del suo patire: Cristo è realmente uomo, perché ha sofferto come il Servo di Is 53, in perfetta sintonia con la profezia del beato Isaia. Le sofferenze del Servo sono la prova del Verbo di Dio umanato. Profetizzate dal profeta Isaia, esse si sono pienamente compiute nel martirio sulla croce. Testimone del testo sacro della LXX, Cirillo vede nel poema del Servo sofferente il drammatico rifiuto del popolo eletto, che non ha saputo riconoscere il suo Messia (cfr Rm 10,16 e Gv 12,37-38), e sintetizza il dogma cristiano in perfetta sintonia con le profezie veterotestamentarie, il cui fulcro e fondamento è Is 53.

    Cyril’s christological haermenetics of the Deutero-Isaian Poem confirms the peculiarity of Isaiah 53 in patristic exegesis and his own contribution in the development of christian Theology, being himself one of the exponents of Christology, opposing the two haereses of his time, namely Arianism and Nestorianism. Accordimg to Cyrill, the Poem of the Suffering Servant is the confirmation of the true humanity of God’s Word, which showed herself in the act of suffering: Christ is perfectly human, as he suffered exactly like the Servant of Isaiah 53, as stated by the blessed prophet. The sufferings of the Servant are the proof of the becoming flesh of God’s Word. Predicted by the prophet Isaiah, were fully fulfilled in the Martyrdom on the Cross. Witness of the holy text of the LXX, Cyrill saw in the Poem of the Suffering Servant, the dramatic refusal of the Chosen People, who did not receive his Messiah (see Rm 10,16 and Joh 12,37-38), and he synthetizes the Christian dogma, according to the prophecies of the OT, the essence and the fulcrum of which is found in the text of Isaiah 53.