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Il piacere di essere

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Nasce a Samo nel 341 a. C. da genitori ateniesi. È allievo del platonico Panfilo e del democriteo Nausifante. Nel 307-6 si trasferisce ad Atene dove compra una casa e un

giardino e lì fonda la sua scuola filosofica (che prenderà il nome di “giardino”).

Vive in modo frugale, in conformità con i principi filosofici da lui professati, ammirato e quasi venerato dai suoi allievi.

Scrive circa trecento opere di cui rimane a noi solo una minima parte: tre lettere (a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo); una doppia raccolta di massime e sentenze, e alcuni frammenti ritrovati ad Ercolano nella villa di un ricco epicureo.

Muore ad Atene nel 271.

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- “E’ vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche

male dell’uomo”.

Il filosofo per Epicuro è un medico dell’anima, impegnato

ad evitare la malattia che consiste nell’infelicità. In questo

senso egli mette a fuoco uno dei temi fondamentali che

caratterizzerà tutta la successiva speculazione ellenistica:

la filosofia come cura di sé.

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Al fine di curare l’interiorità umana, turbata dalle preoccupazioni, dal dolore e dalla morte, E. propone il suo rimedio, sintetizzabile in quattro precetti:

1) Non aver paura degli dei, poiché essi non si occupano delle faccende umane.

2) Non aver paura della morte perché “quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamo noi”.

3) Il piacere è facile a raggiungersi. 4) Il dolore è facile a evitarsi.

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L’interesse di Epicuro è quindi essenzialmente etico, cioè relativo

alla sfera dei COMPORTAMENTI che dobbiamo tenere per

raggiungere un preciso scopo nella nostra vita: la felicità.

Tuttavia, per meglio giustificare le sue convinzioni etiche, il

filosofo si impegna anche a darci una approfondita descrizione

della realtà e del modo attraverso cui noi ne veniamo a

conoscenza.

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La parte più importante della filosofia è l’etica, finalizzata a comprendere meglio il tipo di comportamento che noi dobbiamo avere nella vita per essere felici. Come introduzione all’etica, Epicuro prevede la CANONICA (una sorta di dottrina della conoscenza) e la FISICA (la dottrina che riguarda il modo in cui è fatto l’universo e le sue componenti fondamentali).

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Come noi conosciamo il mondo che ci circonda? Come facciamo ad avere del mondo nozioni vere e sicure? In sostanza come viene risolto da Epicuro il problema della conoscenza (il problema gnoseologico)?

La risposta del nostro filosofo è articolata.

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Innanzitutto bisogna dire che il mondo, come in Democrito, è, con tutti i corpi che vi sono contenuti, costituito da atomi che si muovono nel vuoto (questa è una anticipazione della fisica epicurea, necessaria per capire la canonica).

Gli atomi sono corporei e materiali, per quanto di una materia infinitamente piccola. Di qui il carattere materialistico dell’atomismo epicureo.

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Dagli oggetti, costituiti da atomi, si sprigionano, come in Democrito, degli EFFLUVI che colpiscono gli organi di senso producendo le sensazioni. La sensazioni, nota bene, non riguardano l’oggetto, ma un’immagine (éidolon) dell’oggetto costituita dall’effluvio. Le sensazioni riguardanti le immagini sono sempre vere.

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oggetto Effluvio-

immagine

Uomo - organi di senso - sensazione

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Le sensazione è sempre vera, cioè riproduce fedelmente l’IMMAGINE

scaturita dall’effluvio. Tuttavia il GIUDIZIO che noi formuliamo su di

essa può sbagliare. Il giudizio giudica circa l’evidenza della

rappresentazione. Quanto più l’oggetto di esperienza è vicino e, per così

dire, sottomano, tanto più la sua immagine che noi ci rappresentiamo nella

mente è evidente. Più gli oggetti si allontanano, più aumenta il rischio che

l’effluvio che procede da loro venga modificato dall’impatto con altri

sottilissimi atomi. Dunque di un oggetto lontano vi è il rischio che si

formi un’immagine non corrispondente alla sua conformazione reale. Di

tale oggetto lontano vi sarà però una rappresentazione meno evidente

nella nostra mente. Ebbene il giudizio può accontentarsi e ritenere vera

una rappresentazione meno evidente, data da un’immagine che si è nel

tragitto dall’oggetto ai nostri organi di senso corrotta e modificata. Qui sta

la possibilità dell’errore. 11 www.arete-consulenzafilosofica.it

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oggetto Immagine-effluvio

Nel tragitto l’immagine si modifica

Il nostro giudizio ritiene

evidente l’immagine

modificata e non corrispondente

all’oggetto

Come avviene l’errore

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Dopo varie volte che le immagini colpiscono i nostri sensi e dopo reiterati giudizi di evidenza, siamo in grado di formarci una rappresentazione fissa e un modello dell’oggetto nella nostra mente (prolessi o anticipazione), in grado di venir evocato anche senza la presenza dell’oggetto e di farci riconoscere l’oggetto quando si ripresenterà. Per esempio: ho visto Giuseppe una, due, tre volte e mi sono formato nella mente il modello di come è Giuseppe. Quando rivedrò Giuseppe, confrontando ciò che vedrò, con il modello, potrò dire “Sì, questo che sto vedendo è Giuseppe”. Il modello mentale che ho mi permette anche di descrivere Giuseppe in sua assenza, per esempio, raccontando ad un’amica che si tratta di un fotomodello bellissimo, muscoloso, affascinante e intelligentissimo.

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Dall’evidenza dei sensi posso INFERIRE altre verità non immediatamente percepibili. Cioè il ragionamento mi permette di dedurre da ciò che vedo altre cose che sono reali, pur non essendo da me direttamente percepite:

1) l’esistenza del vuoto: io vedo il movimento, ma senza uno spazio vuoto in cui le cose si muovano, esso non sarebbe possibile.

2) L’esistenza degli atomi: siccome non ho mai esperienza che dal nulla nasca qualcosa e che mai nulla ritorna al nulla, deve esserci qualcosa di corporeo e indivisibile, da cui tutto si forma e in cui tutto si risolve. Infatti se la materia fosse divisibile all’infinito le cose si dissolverebbero nel non-essere.

Questi sono i due principi basilari della fisica epicurea: l’universo si compone di un numero infinito di atomi indivisibili che si muovono in uno spazio vuoto infinito.

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Gli atomi sono, a differenza di Democrito, a loro volta divisibili in parti minime assolutamente indivisibili (chiamati appunto i minimi) e non si differenziano tra loro solo per forma e grandezza, ma anche per il loro PESO.

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Il peso degli atomi è importante perché, a differenza di Democrito, il loro movimento non è caotico o vorticoso, bensì dall’alto verso il basso. Le aggregazioni di atomi sono dovute a casuali deviazioni di alcuni atomi dalla loro caduta perpendicolare. La deviazione, essendo del tutto casuale, introduce nella fisica epicurea un elemento di INDETERMINAZIONE, in modo che il mondo meccanico degli atomi - in cui tutto deriva dalla loro forma corporea e in cui tutto si interpreta come la conseguenza dell’associazione e dissociazione delle sue parti più piccole - non appare interamente governato da LEGGI PREVEDIBILI. LA deviazione casuale degli atomi (clinamen) comporta che nel mondo vi sia anche una certa LIBERTÀ. Ciò è molto importante per l’etica.

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CLINAMEN

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Formazione

di un corpo

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E’ molto importante che nel mondo vi sia uno spazio di libertà, perché senza libertà non avrebbe senso indicare alcuni comportamenti da tenere e altri da scartare. Visto che tutto è composto di atomi – compresa la nostra anima, fatta di atomi sottilissimi e soggetta a disgregamento come tutti gli altri corpi – è essenziale che la libertà si ritrovi innanzitutto nel mondo fisico.

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Alle nostre sensazioni si accompagna sempre piacere e/o dolore. Vivere bene significa fuggire il dolore e cercare il piacere. Bene è il conseguimento del piacere, male è la caduta nel dolore. Questo è il senso dell’ EDONISMO epicureo (edoné = piacere; edonismo = dottrina etica che vede nel piacere il bene ultimo da perseguire).

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Ci sono due forme fondamentali di piacere.

La prima è relativa a quello istantaneo e intenso che subito passa e che chiede nuovamente di essere ripetuto (come quando si mangia un boccone di uno squisito arrosto di cinghiale: subito ne vuoi un altro, e poi un altro ancora fino a non poterne più, ma dopo avere digerito, ancora vorresti tornare nel ristorante che te lo ha cucinato e ricominciare). Epicuro lo classifica come piacere CINEMATICO (kìnesis = movimento), cioè dato dall’intensità del soddisfacimento di un desiderio che porta a ricercare l’oggetto e l’improvviso cambiamento di stato che esso provoca in noi (di qui l’idea di un movimento collegato al piacere).

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Il secondo tipo di piacere è invece detto CATASTEMATICO (kathìstemi = collocare in posizione ferma). Si tratta di un piacere meno intenso ma stabile, permanente e senza turbamento. Esso non è dato dalla ricerca di un cambiamento di stato improvviso e intenso, ma dalla totale assenza di turbamento, da una quiete continua e beata che si può raggiungere evitando ogni piacere il cui conseguimento comporti nuova passione, nuove preoccupazioni e l’ansia per il rischio di non possedere più l’oggetto del piacere stesso.

Dunque è un piacere “negativo” che comporta essenzialmente l’assenza di dolore.

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In base alla distinzione tra piacere cinematico e catastematico, Epicuro elabora una precisa gerarchia dei piaceri:

1)piaceri naturali e necessari: sono quelli legati alla conservazione dell’individuo: mangiare (moderatamente!), bere (non troppo!), riposare, soddisfare il corpo nelle sue esigenze elementari è la base per la serenità, la quale sarà tanto più garantita quanto più gli uomini sapranno essere amici l’uno dell’altro. L’amicizia è infatti quel rapporto umano che meglio garantisce di godere in pace dei beni semplici che offre la vita e di eliminare tutte le fonti del dolore.

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2) Piaceri naturali e non necessari: sono varianti «esagerate» dei primi piaceri, per esempio mangiare cibi raffinati, vestire in modo ricercato, e possono essere soddisfatti per lo più occasionalmente (per esempio il piacere dato da una relazione amorosa).

3) Piaceri non naturali e non necessari: sono desideri che non possono mai essere pienamente soddisfatti e perciò degenerano nella morbosa ricerca di qualcosa di ulteriore. Essi nascono dalle “vane opinioni degli uomini” e coincidono con la ricchezza, il potere, gli onori etc.

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I piaceri naturali e necessari vanno sempre soddisfatti e hanno il loro limite naturale nell’eliminazione del dolore. I piaceri naturali e non necessari vanno invece limitati. Non avendo infatti in se stessi un limite naturale possono generare un desiderio smisurato e arrecare così turbamento e dolore. Il terzo tipo di piacere va invece evitato perché fonte di grande turbamento.

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La principale virtù umana consiste nella saggezza, cioè in un rigoroso vaglio delle nostre azioni per conseguire i piaceri legittimi e per fuggire quelli dannosi. La saggezza è quello strumento razionale fondamentale che ci permette di raggiungere il fine della vita umana, sintetizzabile nel concetto di felicità, la quale a sua volta coincide con due particolari condizioni dell’anima:

l’atarassia = mancanza di turbamento;

l’aponia = mancanza di dolore.

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Ma la saggezza presuppone la conoscenza di ciò che è bene e male e della peculiare natura del mondo e dell’uomo. Non si può scegliere come comportarsi in questo mondo (cioè quali azioni mettere in atto per conseguire atarassia e aponia) se non si sa che cosa è il bene dell’uomo e perché esso è a disposizione dell’uomo.

Questo sapere è ciò che veramente cura le malattie dell’animo umano. Esso comporta la consapevolezza che la morte non è da temere, così come non lo sono gli dei, inoltre ci dice che la felicità è a portata di mano solo che si conoscano i principi etici ai quali conformarsi.

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Lo Stato nasce per un contratto che istituisce un rapporto fra gli uomini tale per cui essi decidono di non arrecarsi danno reciproco. Ciò per poter meglio perseguire i piaceri che rendono la vita degna di essere vissuta. Questa concezione contrattualistica e utilitaristica (l’origine dello Stato e in un accordo libero fra gli uomini – contratto – ed è finalizzata al raggiungimento di una condizione favorevole e utile all’uomo per perseguire i suoi fini) della politica è quanto di più lontano dall’idea dell’impresa politica come fonte di gloria e onore, e mezzo per perpetuare la propria fama oltre la propria vita, tipica del mondo romano. Così se nei confronti della politica in quanto tale, Epicuro ne riconosce l’utilità, nei confronti del modo in cui essa veniva intesa ai suoi tempi, egli mostra un atteggiamento di deciso ripudio. Di qui il motto: “Vivi appartato!” (làthe biòsas) cioè lontano dalle preoccupazioni e dai turbamenti della vita pubblica.

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