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Il pediatra e l’educazione sanitaria ASL Napoli 1 Centro ASL Napoli 1 Centro Educazione Sanitaria Educazione Sanitaria La comunicazione con il paziente per promuovere stili di vita sani Realizzato con il contributo della Regione Campania - Assessorato alla Sanità 2012

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Il pediatra e

l’educazione sanitaria

ASL Napoli 1 CentroASL Napoli 1 Centro Educazione SanitariaEducazione Sanitaria

La comunicazione con il paziente per

promuovere stili di vita sani

Realizzato con il contributo

della Regione Campania - Assessorato alla Sanità

2012

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ASL Napoli 1 Centro

IL PEDIATRA E L’EDUCAZIONE SANITARIA

a cura di Pio Russo Krauss e Ilaria Cione

Realizzato con il contributo

della Regione Campania - Assessorato alla Sanità

2012

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Prefazione

Tra le contraddizioni più evidenti del nostro tempo vi è quella del-

la scarsa o, talvolta nulla, attenzione alle “buone cure”, ai comportamen-ti corretti e coerenti ad un buon vivere presente e futuro, in una parola alla buona educazione nelle piccole azioni della quotidianità. E tutto ciò a fronte di una vita sociale e familiare tutta dedita all’edonismo, al per-seguimento del dichiarato benessere. Ma, come in altri settori importanti della nostra vita, anche in quel-lo della salute, i nostri comportamenti sono stati orientati e condizionati più da scelte consumistiche e dal raggiungimento di effimero benessere che dalle semplici e non sempre necessariamente rigorose regole del buon vivere. E viene allora da considerare che, malgrado i considerevoli pro-gressi della ricerca scientifica ed i sempre migliori risultati conseguiti dalla scienza medica, la qualità della nostra vita, dal punto di vista igie-nico sanitario, non è migliorata. Infatti aumentano sempre più, e fin dai primi anni – infanzia, ado-lescenza - i problemi connessi alla scorretta e disordinata alimentazio-ne, alla scarsa igiene – orale e talvolta anche della persona -, alla non corretta postura. Tutti questi comportamenti creano i presupposti per l’insorgenza di alterazioni che poi, spesso, degenerano in malattie, che si cronicizzano in età adulta e determinano una cattiva qualità della vita e situazioni di disagio, talvolta anche gravi. E gli effetti del disagio non si fermano alla sfera personale e fami-liare, ma hanno, per la loro estensione e la loro consistenza numerica, anche una rilevanza sociale per i costi elevati che la società deve soste-nere per i sempre più estesi casi di patologie croniche. Vi sono già, quindi, sufficienti argomenti per riflettere sulla oppor-tunità di adottare, e non solo di dichiararli, stili di vita più salutari e di farne, anche con l’esempio familiare, proselitismo perché con le piccole e semplici abitudini quotidiane si possa gradualmente dare vita a com-portamenti virtuosi che renderanno migliore la nostra esistenza e assi-cureranno a noi e ai nostri figli un futuro più lungo e più sano. I Il Commissario Straordinario Gen. Maurizio Scoppa

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I consigli dei medici sono efficaci per promuovere comportamenti salutari?

Dare consigli è tra le principali attività del pediatra di base. Ma tali consigli riescono a modificare i comportamenti dei genitori e del bambino? Esistono studi scientifici in proposito? L’efficacia del consiglio del medico a soggetti sani per migliorare il loro stile di vita è stata oggetto di numerosi studi. Fumo. Una metanalisi su 16 trial randomizzati controllati ha evidenziato che il semplice consiglio breve (3-5 minuti) di smettere di fumare è statisticamente efficace (Odds ratio 1,7 rispetto al gruppo controllo con I.C. 1,45-2,0)1. Se il medico dedica più tempo a tale attività e, soprattutto, se utilizza i principi e le tecniche della comunicazione efficace e del counselling breve2 l’efficacia aumenta consistentemente (Odds ratio 1,55 rispetto al consiglio breve, con I.C. 1,3-1,9)3. Alimentazione. Gli studi sull’efficacia della prescrizione di diete corrette nel soggetto sano hanno dato risultati contraddittori. L’analisi di tali studi evidenzia che semplici consigli dietetici riescono a migliorare le abitudini alimentari nei pazienti che presentano fattori di rischio (ipercolesterolemia anche lieve, familiarità per malattie cardiovascolari ecc.), nelle donne in gravidanza e nella prima infanzia4. I risultati sono comunque migliori se contemporaneamente viene consegnato materiale informativo (la sola distribuzione di materiale informativo è invece poco utile)5.

1. Silagy C: Physician advice for smoking cessation (Cochrane review), in The Cochrane li-

brary issue 2, Oxford, 2001

2. Il counselling è l’intervento del professionista mediante l’uso consapevole di abilità comu-

nicative. Il counselling del pediatra rende possibile il dialogo con il suo assistito e costruisce

la collaborazione necessaria per il raggiungimento di un obiettivo condiviso. Il counselling

non è una psicoterapia e non è nemmeno dare consigli e/o informazioni.

3. Lancaster T, Stead LF: Individual behavioural counselling for smoking cessation, in The

Cochrane library issue 2, Oxford, 2001 Lancaster T, Stead LF: Individual behavioural coun-

selling for smoking cessation, in The Cochrane library issue 2, Oxford, 2001

4. Glanz K. Nutrition education for risk factor reduction and patient education: a review. Prev

Med 1985; 14:721-752.

Knutsen SF, Knutsen R. The Tromso Survey: The Family Intervention Study_the effect of

intervention on some coronary risk factors and dietary habits, a 6-year follow-up. Prev Med

1991; 20:197-212.

Kafatos AG, Vlachonikolis IG, Codrington CA. Nutrition during pregnancy: the effects

of an educational intervention program in Greece. Am J Clin Nutr 1989;50:970-979.

Klesges RC, Stein RJ, Eck LH, et al. Parental influence on food selection in young children

and its relationships to childhood obesity. Am J Clin Nutr 1991; 53:859-864.

5. Campbell MK, De Vellis BM, Strecher VJ, et al. Improving dietary behaviour:

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Gli studi evidenziano che per ottenere dei risultati in questo campo è molto importante che il medico abbia buone competenze comunicative e utilizzi tecniche di counselling o modelli di intervento come il “modello degli stadi di cambiamento”6. Anche stabilire controlli periodici rafforzando i consigli o un breve follow-up per via telefonica sono elementi che migliorano i risultati7. Attività fisica. Si sono avuti risultati contraddittori anche per la promozione dell’attività fisica. Come per le corrette abitudini alimentari, alcuni studi dimostrano che il semplice consiglio è efficace altri no8. I dati diventano più omogenei e significativi se non ci si limita al semplice consiglio ma si utilizzano tecniche di counselling o modelli di intervento come il “modello degli stadi di cambiamento”, si consegna materiale informativo, si fissano visite di controllo, si attua un breve follow up telefonico9. Incidenti domestici e stradali: anche per la prevenzione degli incidenti i risultati sull’efficacia del consiglio medico sono contraddittori, ma diventano più significativi se si utilizzano tecniche comunicative definite e soprattutto se il consiglio del medico è parte di una strategia più ampia (es. consigli del pediatra + campagna comunicativa di massa + interventi in ambito scolastico oppure consigli del pediatra + sconti nell’acquisto di seggiolini di sicurezza ecc.). In conclusione - Il consiglio breve (3 – 5 minuti) da parte del medico è efficace per

promuovere la cessazione del fumo di tabacco; - non è dimostrato che la distribuzione di materiale informativo sia

efficace, ma se accompagna il consiglio del medico o un counselling breve i risultati positivi aumentano;

6. Berg-Smith SM et Al: A brief motivational intervention to improve dietary adherence in

adolescentes, Health Education Research, 1999, 14: 399-410

7. Milkereit J, Graves JS. Follow-up dietary counseling benefits attainment of intake goals for

total fat, saturated fat, and fiber. J Am Diet Assoc 1992;92:603-605

8. Harris SS, Caspersen CJ, et al. Physical activity counseling for healthy adults as a primary

preventive intervention in the clinical setting. JAMA 1989;261:3590-3598.

9. Calfas KJ, Long BJ, Sallis JF, et al. A controlled trial of physician counseling to promote

the adoption of physical activity. Prev Med 1996 (in press).

Logsdon DN, Lazaro CM, Meier RV. The feasibility of behavioral risk reduction

in primary medical care. Am J Prev Med 1989;5:249-256.

Bertozzi N, Bakken E, Bolognesi M, Promoting physical activity in overweight and obese

patients: counselling in primary care from Italy. Annali di igiene, 2004, 16(6); 741-51.

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- interventi di “counselling breve” (10 minuti) da parte del medico sono efficaci per promuovere la cessazione del fumo, per indurre corrette abitudini alimentari e una maggiore attività fisica;

- il consiglio del pediatra è efficace per prevenire gli incidenti se tale azione è parte di una strategia più vasta;

- la formazione dei medici sui principi della comunicazione e su modelli e tecniche per favorire la scelta di comportamenti salutari migliora l’efficacia degli interventi educativi del medico.

Il consiglio breve Per consiglio breve si intende un breve dialogo tra medico e paziente (3-5 minuti) condotto dal medico al fine di modificare o indurre un determinato comportamento. Presupposti per l’efficacia di questo intervento, come di un qualsiasi altro intervento educativo, sono guadagnarsi la fiducia dell’assistito e instaurare una buona relazione di cura. In pediatria, dove il rapporto con il bambino è mediato, più o meno fortemente, dal/dai genitori, la situazione è più complessa, perché il pediatra deve guadagnarsi la fiducia sia dei genitori che del bambino e avere una relazione di cura con tutti loro. Numerosi studi hanno evidenziato che la fiducia dipende dall’autorevolezza che il paziente attribuisce al medico, autorevolezza che deriva dalla sua fama, dalla sua competenza, dalle precedenti esperienze che il paziente ha avuto con lui, dalla sicurezza e chiarezza espositiva, dal look ecc., ma ancor più dall’interesse e dall’attenzione che il medico mostra nei confronti del paziente (bambino e genitori), dalla capacità di ascolto, dalla comprensione degli stati d’animo del suo assistito, insomma dal suo prendersi cura10. La fiducia non è data una volta per sempre, deve essere continuamente guadagnata, così come una buona relazione di cura deve essere continuamente costruita. Un altro presupposto perché i consigli del medico siano efficaci è l’importanza che viene loro attribuita dal medico stesso, la fiducia che il medico ripone nel fatto che essi siano messi in pratica e, quindi, la convinzione con la quale vengono dati. Se il medico non

10. Petty RE, Cacioppo JT: Comunication and persuasion, Springer verlag, 1986

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reputa molto importante che i genitori smettano di fumare, che il bambino faccia più attività fisica o mangi più verdure non riuscirà certo a convincere i genitori dell’importanza di tutto ciò. Se il medico dà i consigli senza convinzione, come un atto burocratico, senza avere fiducia che tali consigli possano essere effettivamente seguiti dai suoi assistiti, certamente non avrà successo e ciò lo confermerà ancor più nella sua convinzione che essi sono solo un obbligo burocratico. Essere convinti (mostrandolo) che quello che consigliamo, quello che diciamo è importante per la salute dei nostri assistiti e ritenere che i genitori saranno in grado di mettere in pratica i nostri consigli (cioè dimostrare fiducia in loro e dare loro responsabilità) è di estrema importanza per l’efficacia della nostra azione11. Il consiglio breve inizia con una o più domande, tipo: “Signora lei fuma?”, “Mi descrive cosa mangia in una giornata suo figlio?”, “Mi racconta cosa succede quando gli propone le verdure?”. Tali domande hanno lo scopo non solo di indirizzare il consiglio sui reali bisogni del paziente, ma anche di formularlo in base alle sue conoscenze, alle sue opinioni, ai suoi valori, ai suoi problemi. Quindi il pediatra, in base alle risposte avute, dà alcune informazioni. Per esempio: “Signora, chi fuma anche solo 10 sigarette al giorno ha 8 volte più probabilità di avere un cancro al polmone e i figli di un genitore fumatore hanno con più frequenza mal di gola, tosse, asma. Inoltre chi ha un genitore che fuma ha più probabilità di diventare anche lui un fumatore quando diventa grande”, oppure “Sì, è vero che c’è l’inquinamento, ma le ricerche hanno dimostrato che il fumo di sigaretta è molto dannoso ed agli effetti dell’inquinamento si sommerebbero quelli del fumo”, oppure “Signora, numerosi studi hanno dimostrato che un’alimentazione ricca di verdure protegge dai tumori e dall’infarto, riduce il colesterolo, non fa diventare stitici e diminuisce la probabilità di avere i calcoli alla cistifellea. Abituare i piccoli a mangiare molta verdura serve a proteggerli da molte malattie”. Le informazioni devono essere veritiere, chiare (attenzione ai termini tecnici e alle frasi ambigue), sintetiche (1-3 minuti), centrate sugli interessi e i bisogni dell’assistito (informazioni che il soggetto è disponibile a ricevere e che sono rilevanti per lui). Quindi il momento informativo viene chiuso con la prescrizione e/o il consiglio. Per esempio “Signora, per la salute sua e di suo figlio deve smettere di fumare” oppure “Se suo figlio non gradisce le verdure, provi preparando dei risotti con le verdure o a dargli delle carote o dei

11. Butler CQ, Rollnick S, Stott NCH: The practitioner, the patient and resistance to change:

recent ideas on compliance, Canadian, Medical Association Journal, 1992, 304, 294-296

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finocchi crudi. Deve dirgli inoltre di assaggiarle – basta un cucchiaino – perché si è visto che in questa maniera piano piano ci si abitua al gusto”. Al termine del momento informativo va chiesto: “Vuole pormi qualche domanda?”, “C’è qualcosa che vorrebbe sapere?”, quindi si ascoltano con attenzione e in silenzio le eventuali domande del paziente e si risponde brevemente. Le ricerche hanno dimostrato che l’efficacia del consiglio breve del medico aumenta se: - si scrive la prescrizione sulla ricetta o si dà un volantino o depliant,

invitando il paziente a leggerlo con attenzione12; - si danno indicazioni precise e realisticamente praticabili13: non

bisogna dire quindi “Gli faccia fare più attività fisica” ma “Potrebbe iniziare rinunciando a prendere l’ascensore o accompagnandolo a scuola a piedi a passo svelto”; non è opportuno dire “Non gli dia le merendine”, ma “Riesce a dargli non più di 3 merendine alla settimana?”;

- se si chiede all’assistito come pensa di mettere in pratica i consigli avuti. Per esempio: “Quindi fare movimento ad un buon ritmo ogni giorno è importante. Come pensa di poter realizzare ciò con suo figlio?” Se il bambino è in grado già di comprendere rivolgersi anche a lui;

- se si programma un follow up14. Per esempio: “Allora ci rivediamo fra tre settimane per vedere come stanno andando le cose”. Ancora più utile si è dimostrato il follow up telefonico da parte del medico o di

12. Kottke TE, Battista RN, DeFriese GH, et al. Attributes of successful smoking cessation

interventions in clinical practice: a meta- analysis of 42 controlled trials. JAMA

1988;259:2882-2889.

Bernier MJ. Developing and evaluating printed education materials: a prescriptive model

for quality. Orthop Nurs 1993;12:39-46.

13. Bandura A. Social foundations of thoughts and action: a social cognitive theory. Engle-

wood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1986.

Daltroy LH, Katz JN, Liang MH. Doctor-patient communications and adherence to arthritis

treatments. Arthritis Care Res 1992;5:S19.

14. van Elderen-van Kemenade T, Maes S, van den Broek Y. Effects of a health education pro-

gramme with telephone follow-up during cardiac rehabilitation. Br J Clin Psychol

1994;33:367-378.

Ahring KK, Ahring JP, Joyce C, et al. Telephone modem access improves diabetes control

in those with insulin-requiring diabetes. Diabetes Care 1992;15:971-975.

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scopy among lower-income minority women. J Clin Oncol 1992;10:330-333.

Wasson J, Gaudette C, Whaley F, et al. Telephone care as a substitute for routine clinic

follow-up. JAMA 1992;267: 1788-1793

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personale dello studio. Basta una brevissima telefonata per chiedere se si stanno seguendo i consigli e quali difficoltà si stanno trovando.

In conclusione Il consiglio breve consiste in un breve dialogo tra medico e paziente (3-5 minuti) finalizzato a cambiare un comportamento. Esso è strutturato così: 1. si pongono alcune domande 2. si informa 3. si prescrive il comportamento e/o si consiglia come metterlo in

pratica e quali difficoltà bisogna affrontare 4. si chiede se si hanno domande da fare 5. si risponde alle eventuali domande. Presupposti per l’efficacia dell’intervento sono: • avere interesse e attenzione per il paziente, ascoltarlo con calma,

sapersi mettere nei suoi panni, avere fiducia in lui; • attribuire importanza ai consigli che diamo e darli con convinzione. Le informazioni devono essere chiare, sintetiche, veritiere e centrate sugli interessi e i bisogni dell’assistito. L’efficacia del consiglio breve del medico aumenta se: a) si scrive la prescrizione sulla ricetta o si dà un volantino b) si danno indicazioni precise e realisticamente praticabili c) se si chiede all’assistito come pensa di mettere in pratica i consigli

avuti d) se si programma un follow up.

La comunicazione medico paziente per la promozione di stili di vita sani

La comunicazione è una negoziazione complessa per mettere in comune, in un processo circolare, significati tra chi emette il messaggio e chi lo riceve. Il ricevente colloca il messaggio nel proprio sistema di valori, credenze, capacità, motivazioni dai quali dipenderà il messaggio di risposta all’emittente, trasformatosi in ricevente in un processo appunto circolare. Il medico per esempio, può supporre che basti la sua competenza tecnica per far sì che ciò che lui dice (il messaggio) venga recepito e attuato da colui che lo riceve. Ma spesso ciò non avviene. Non basta dire al paziente quello che deve fare e sostenere ciò con inoppugnabili ragioni scientifiche, ma è necessario

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ascoltare quello che il paziente si sente di fare in base ad altrettanto indiscutibili motivazioni personali. In realtà ciò che è alla base di una buona relazione comunicativa con il paziente è l’esplorazione rispettosa della sua storia, dei suoi sistemi di riferimento, delle sue convinzioni, delle sue emozioni, delle sue aspettative. Per introdurre modelli comunicativi che sono di sostegno alla relazione terapeutica illustreremo sinteticamente il “modello degli stadi di cambiamento”, utile per guidare l’azione educativa nel campo della promozione della salute (studi clinici hanno dimostrato la sua efficacia in vari campi)15. Per promuovere abitudini di vita sane solitamente il pediatra dà consigli (“Cerchi di fargli mangiare più verdure”, “Provi a dargli delle carote crude da sgranocchiare” ecc.) o prescrizioni (“Gli dia due porzioni di verdure al giorno” ecc.), accompagnandole eventualmente con argomentazioni più o meno dettagliate (“Le verdure sono un alimento importante”, “Le verdure contengono fibre, sali e vitamine”) ecc. Per il 60% dei pediatri da noi intervistati l’attività educativa consiste prevalentemente in questo: dare prescrizioni/consigli argomentati16 I consigli possono essere utili (soprattutto se il soggetto non aveva pensato a comportarsi nel modo indicato) e lo sono sicuramente di più se accompagnati con argomentazioni valide, ma spesso non raggiungono alcun risultato. Come mai? E, soprattutto, cosa fare in tali casi? I consigli sono poco efficaci perché i comportamenti dipendono da molti fattori e non solo dalle conoscenze: non basta sapere che un comportamento è dannoso alla salute per non metterlo in atto. Inoltre il medico è solito dare lo stesso consiglio a tutte le persone che hanno un determinato comportamento (es. tutti quelli che mangiano poche verdure), come se fossero tutte uguali, mentre così non è. Infatti le persone (oltre agli adulti anche i bambini ) hanno differenti disponibilità a cambiare quel determinato comportamento. Alcuni non sono disponibili a cambiare, altri sono incerti e altri ancora sono pronti. Trattarli tutti nella stessa maniera non è utile. I consigli, per

15. Prochaska J, Di Clemente C: Stages and processes of self-change of smoking: towards an

integrated model of change, Journal of consulting and clinical psychology, 51, 390-395,

1983

Prochaska J, Di Clemente C: Towards a comprehensive model of change, in Miller WR:

Treating addictive behaviours, New York, 1985

Davidson R: The transteoretical model: a critical overview, in Miller WR: Treating addic-

tive behaviours, New York, 1985

Horwath CC: Applying the transtheoretical model to eating behaviour change: challenges

and opportunities. Nutrition Research Reviews 12: 281-317, 1999.

16. Cione I, De Cenzo M, Maione L, Smaldone M, Russo Krauss P: Indagine preliminare sull’-

attività di educazione sanitaria dei pediatri di libera scelta, Educazione Sanitaria e Promo-

zione della Salute, vol 33, 2, 2010

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esempio, possono essere utili in chi è pronto al cambiamento (stadio 3), ma non in chi si trova negli stadi 1 e 2 (cioè circa il 70-80% dei nostri pazienti). Questi hanno bisogno di un altro approccio. Non ha senso infatti consigliare cose da fare ad una persona che in quel momento non è disponibile a cambiare. Il “modello degli stadi di cambiamento” colloca i soggetti in uno di questi 5 stadi: 1° stadio: non pronto al cambiamento (stadio di precontemplazione) 2° stadio: incerto se cambiare o no (stadio di contemplazione) 3° stadio: pronto a cambiare (stadio di determinazione) 4° stadio: che sta sperimentando il cambiamento (stadio dell’azione) 5° stadio: che sta acquisendo il cambiamento (stadio di mantenimento). Le persone, rispetto al cambiamento di un determinato comportamento, non sono statiche, ma si pongono su un continuo che va dal non essere per nulla pronti al cambiamento all’avere acquisito una nuova abitudine. Essi si muovono lungo questo continuo, passando da uno stadio all’altro (possono anche ritornare indietro). Compito del medico è aiutare le persone a progredire di grado e nei successivi capitoletti daremo alcune indicazioni su cosa fare. Il presupposto per l’efficacia dei nostri interventi è guadagnarsi la fiducia dei nostri assistiti e riuscire ad instaurare una buona relazione di cura. Come abbiamo detto ciò dipende dall’autorevolezza che il paziente attribuisce al medico, ma ancor più dall’interesse e dall’attenzione che il medico mostra nei confronti del paziente, dalla capacità di ascolto, dal comprendere gli stati d’animo del suo assistito, dall’empatia, dalla fiducia che ha in lui, dal suo prendersi cura. In conclusione - I consigli sono spesso poco efficaci perché i comportamenti dipendono da molti fattori e non solo dalle conoscenze; - rispetto a cambiare un determinato comportamento le persone non sono tutte uguali, esse infatti hanno differenti disponibilità a cambiare quel determinato comportamento: non pronto (stadio 1), incerto (stadio 2), pronto (stadio 3) . Trattarli tutti nella stessa maniera non è utile; - il “modello degli stadi di cambiamento” è un modello utile per approcciare i pazienti; - fondamentale è guadagnare la fiducia dei pazienti e riuscire ad instaurare una buona relazione di cura (avere interesse e attenzione per il paziente, ascoltarlo con calma, sapersi mettere nei suoi panni, avere fiducia in lui).

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Come condurre un colloquio applicando il modello degli stadi di cambiamento

Il colloquio clinico è indispensabile non solo per formulare una diagnosi (tramite l’anamnesi) e per informare i pazienti sul loro stato di salute e su quanto è opportuno fare per migliorare tale stato, ma anche per costruire un’efficace relazione di cura tra medico e assistito. Il colloquio permette al medico di esplorare il mondo del paziente, il suo vissuto, le sue priorità, le sue speranze, le sue convinzioni, le sue paure ed emozioni. È possibile così comprendere meglio il paziente e prendersene cura in maniera più efficace, garantendo in tal modo anche una maggiore aderenza ai consigli e alle prescrizioni. Numerose ricerche hanno dimostrato che è preferibile che un colloquio inizi con una o più “domande aperte”, del genere: “Come va?”, “Oggi che mi dice?”, “Di cosa mi vuole parlare?”, domande cioè che lasciano l’assistito libero di scegliere il tema di cui parlare. Ciò è fondamentale per instaurare o rafforzare una buona relazione medico-paziente e per conoscere quali sono le priorità dell’assistito e le sue preoccupazioni al fine di contestualizzare meglio l’intervento. Ciò non significa che il medico affida la guida del colloquio al paziente, al contrario utilizza tale tecnica proprio per svolgere meglio il suo ruolo di professionista della salute, perché solo dall’intreccio della narrazione del paziente con le conoscenze del medico si costruisce una corretta relazione di cura medico-paziente. Avere un interesse autentico per l’assistito e mostrarlo con alcune domande aperte e con un ascolto attento è già in sé un atto terapeutico, perché riduce l’ansia, migliora lo stato d’animo del paziente e anche la sintomatologia accusata17. I medici spesso temono che un tale comportamento richieda un tempo che loro non hanno. In realtà tale approccio può fare durare la visita un poco di più, ma tende a ridurre la frequenza con cui si ricorre al medico. Infatti si è visto che una parte delle visite è determinata proprio dall’ansia oppure dal desiderio di dire qualcosa che non si è riusciti a dire nella visita precedente18. L’ascolto attento inoltre riduce le situazioni conflittuali medico-paziente, così frustranti per entrambi, e promuove una maggiore autonomia dei genitori.

17. Kaplan SH, Greenfield S, Ware JE: Assessing the effects of physician-patient interaction

on the outcomes of chronic disease, Medical Care, 27, 110-127, 1989

Stewart M, Belle Brown J: Patient-centered medicine: transforming the clinical method,

Thousand Oaks, 1995

18. Roter DL: Patient participation in the patient provider interaction: the effects question ask-

ing on the quality of interaction, satisfaction, compliance. Health Education Monograph, 5,

281-305, 1977

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Dopo questo primo approccio si possono porre delle “domande quasi aperte”, tipo “Come va con l’alimentazione?”, “Come mangia questo bambino?”, “Come passa la giornata questo bambino?”, “Mi descrive una giornata tipo di suo figlio?”, “Secondo lei, suo figlio ha qualche abitudine che dovrebbe essere cambiata?”, “Allora, per fare in modo che questo bambino cresca forte e sano, di cosa vogliamo parlare?”. In questo modo possiamo avere un’idea non solo di quali sono le abitudini del bambino ma anche quali sono le opinioni del genitore sui comportamenti corretti e scorretti e quali sono le sue opinioni su possibili cambiamenti. Inoltre in questa maniera è il genitore che pone l’argomento all’ordine del giorno e non il medico e ciò determina una maggiore disponibilità all’ascolto e allontana la possibilità che l’assistito si chiuda all’intervento del medico. Arrivati a questo punto è bene valutare la disponibilità al cambiamento (valutare cioè in quale stadio l’assistito si trova, rispetto al comportamento messo all’ordine del giorno). Il metodo più semplice è chiedere: “Se dovesse dare un punteggio da 0 (non pronto) a 10 (pronto) alla sua disponibilità a impegnarsi in questo cambiamento, che punteggio darebbe?”. Ciò può essere fatto in maniera ancora più chiara e semplice utilizzando il “regolo della disponibilità al cambiamento” (vedi pag. 57). Se il soggetto dà un punteggio alto (cioè se è pronto a cambiare) si possono dare consigli su cosa fare, perché saranno accolti e potranno determinare un effettivo cambiamento. Se dà un punteggio basso è preferibile utilizzare un’altra strategia (di cui parleremo in seguito). In conclusione - E’ il medico che deve guidare il colloquio instaurando un’efficace relazione terapeutica e per fare ciò domanda, ascolta, riformula quello che l’assistito dice, dà informazioni ecc.; - è preferibile che un colloquio inizi con una o più “domande aperte” (ad es. “Come va?”), a cui seguono delle domande quasi aperte (es. “Come passa la giornata questo bambino?”); - l’interesse per l’assistito e l’ascolto attento sono già in sé un atto terapeutico; - per valutare la disponibilità al cambiamento il metodo più semplice è chiedere: “Se dovesse dare un punteggio da 0 (non pronto) a 10 (pronto) alla sua disponibilità a impegnarsi in questo cambiamento, che punteggio darebbe?”.

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Il colloquio con i pazienti poco disponibili a cambiare un comportamento poco salutare

La disponibilità a cambiare un determinato comportamento dipende soprattutto da due elementi: • quanto si ritiene importante per sé cambiare quel comportamento

(la motivazione)19 • quanta fiducia si ha di riuscire realmente a cambiare quel

comportamento (l’autoefficacia)20. Per aiutare un paziente ad adottare un nuovo comportamento è importante non solo riuscire a capire quanto è disposto a cambiare ma anche indagare la sua motivazione e la sua autoefficacia. Un medico che è curioso di sapere cosa pensano i suoi assistiti, quali problemi hanno, quali conflitti vivono, cosa provano ha quindi molte più possibilità di riuscire a indurli ad adottare comportamenti più salutari. L’interesse per il paziente, la capacità di ascolto e l'empatia (la capacità di mettersi nei panni dell’altro) sono infatti elementi decisivi per una efficace comunicazione e relazione di cura. Per indagare la motivazione si può semplicemente chiedere: “Per lei quanto è importante ...?” (per es. far mangiare meno merendine a suo figlio oppure fargli fare più attività fisica), oppure “Dovendo dare un punteggio tra 0 (per niente importante) e 10 (molto importante), che punteggio darebbe?”. Successivamente si può chiedere: 1) “Perché ha dato questo punteggio?” oppure 2) “Perché ha dato questo punteggio e non un punteggio minore?”. La domanda 1 va bene per qualsiasi punteggio l’assistito abbia dato alla domanda “Per lei quanto è importante ...?”. La domanda 2 (“Perché ha dato questo punteggio e non un punteggio minore?”) va posta solo nel caso l’assistito abbia dato un punteggio pari o superiore a 4, perché in tale maniera egli esplicita gli elementi presenti e per lui importanti che possono indurlo a cambiare comportamento (in caso di punteggio basso - da 0 a 3 – tale elementi sono assenti o troppo poco importanti per costruire una determinazione al cambiamento). Successivamente, se il soggetto non ha dato né un punteggio 10 né 0 o 1, si può chiedere “Cosa dovrebbe accadere per fare in modo che dia un punteggio maggiore?”. In tale modo il medico può rendersi

19. Miller WR, Rollnick S: Il colloquio di motivazione, Erikson, Trento, 1994

Rollnick S, Mason P, Butler C: Cambiare stili di vita non salutari, strategie di counselling

motivazionale breve, Erikson, Trento, 2004

20. Bandura A: Il senso di autoefficacia, Erikson, Trento, 1996

Bandura A: Autoefficacia, Erikson, Trento, 2000

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conto di quali sono gli ostacoli che il paziente ha al cambiamento e il paziente può prendere coscienza non solo di tali ostacoli ma anche dei suoi desideri in proposito. Nel caso il punteggio fosse molto basso (0, 1) le strategie da seguire sono due: 1) rimandare ad un momento più opportuno il tentativo di cambiare comportamento, dicendo ad esempio: “Lei ora non ritiene molto importante cambiare. Si prenda un po’ di tempo e intanto ci pensi. Ci sono altre cose che reputa più importanti?”. Tale strategia va messa in atto se il paziente non spiega perché ha dato un punteggio così basso oppure se dimostra di essere consapevole dei rischi del suo comportamento; 2) fornire informazioni (informazioni e non consigli). Tale strategia va messa in atto se l’assistito non ha consapevolezza dei rischi cui va incontro con il suo comportamento. In questa fase il medico non deve dare consigli ma soprattutto riformulare quello che l’assistito dice, cercando di chiarire a sé e al genitore come stanno le cose. Per esempio: - (assistito): “Mio figlio non dovrebbe fare storie se gli do altre cose da mangiare”. - (medico): “Se ho ben capito, suo figlio ha fatto storie quando gli ha dato cose diverse da mangiare. È così? Cosa aveva provato a dargli?”. Dare consigli in questa fase può essere controproducente perché spesso porta l’assistito a dare argomentazioni opposte e quindi a trovare giustificazioni valide per non cambiare. Può essere utile invece consigliare di rilevare il comportamento in questione. Per esempio: “Perché per due-tre giorni non prova a segnare su questo foglio tutto quello che suo figlio mangia? Così possiamo farci un quadro più preciso della situazione”. Spesso, infatti, le persone possono avere una percezione delle cose che non corrisponde alla realtà. Inoltre l’osservazione realistica del comportamento può portare ad un incremento della motivazione a cambiare quel comportamento. Tenere un diario per uno, due o tre giorni (un diario alimentare, dell’attività fisica o dell’igiene orale ecc.) è molto utile per prendere consapevolezza del problema e aumentare la motivazione a cambiare. In conclusione La disponibilità a cambiare un determinato comportamento dipende soprattutto da due elementi: • quanto si ritiene importante per sé cambiare quel comportamento

(la motivazione) • quanta fiducia si ha di riuscire realmente a cambiare quel

comportamento (l’autoefficacia).

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Per indagare la motivazione si può semplicemente chiedere: “Per lei quanto è importante ...? (per es. far mangiare meno merendine a suo figlio)”. Se il paziente ha dato un punteggio molto basso (0-1) ed è consapevole dei rischi è meglio rimandare ad un momento più opportuno il tentativo di cambiare comportamento dicendo: “Si prenda un po’ di tempo e intanto ci pensi”. Se ha dato un punteggio basso (0-3) e non è consapevole dei rischi può essere utile dare informazioni sui rischi. Se ha dato un punteggio uguale o superiore a 4, conviene chiedere “Perché ha dato questo punteggio e non un punteggio minore?”. Se il punteggio è tra 2 e 9, si può chiedere “Cosa dovrebbe accadere per fare in modo che dia un punteggio maggiore?”.

Rilevare l'autoefficacia e aumentarla Per indagare la fiducia del paziente nella possibilità di cambiare un determinato comportamento (autoefficacia) si procede analogamente a quanto descritto prima riguardo alla motivazione, chiedendo: - “Quanta fiducia ha di riuscire a...?” (per es. fargli mangiare più verdure, fare più attività fisica), oppure: - “Dovendo dare un punteggio tra 0 (per niente fiducioso) e 10 (sicuro di riuscire a farcela) che punteggio darebbe?”. Successivamente si può chiedere: 1) “Perché ha dato questo punteggio?” oppure 2) “Perché ha dato questo punteggio e non un punteggio minore?”. La domanda 1 va bene per qualsiasi punteggio l’assistito abbia dato alla domanda “Quanta fiducia ha di riuscire a ...?” La domanda 2 (“Perché ha dato questo punteggio e non un punteggio minore?”) va posta solo nel caso l’assistito abbia dato un punteggio pari o superiore a 4, perché in tale maniera egli esplicita gli elementi presenti e per lui importanti che possono rafforzare la sua fiducia di riuscire a cambiare comportamento (in caso di punteggio basso - da 0 a 3 – tale elementi sono assenti o troppo poco importanti per costruire una determinazione al cambiamento). Successivamente, se il soggetto non ha dato né un punteggio 10 né 0 o 1, si può chiedere “Cosa dovrebbe accadere per fare in modo che dia un punteggio maggiore?”. In tale modo il medico può rendersi conto di quali sono gli ostacoli che il paziente ha al cambiamento e il

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paziente può prendere coscienza non solo di tali ostacoli ma anche dei suoi desideri in proposito. Il passo successivo consiste nel far capire all'assistito che ha più opzioni di quelle che immagina e che spetta a lui scegliere le più adatte. Infatti dobbiamo distinguere scopo, strategia e azioni specifiche. Solitamente lo scopo può essere realizzato con diverse strategie e queste si realizzano con diverse azioni specifiche. Per esempio lo scopo “perdere peso” può essere realizzato con la strategia di mangiare meno oppure con quella di mangiare più alimenti a basso contenuto calorico oppure con la strategia di fare più attività fisica. Ciascuna di queste strategie si può concretizzare in diverse azioni specifiche. Per esempio la strategia “mangiare di meno” può realizzarsi mangiando meno dolci oppure meno formaggi oppure meno condimenti; la strategia “fare più attività fisica” può realizzarsi praticando uno sport (e gli sport che si possono praticare sono molti e diversi) oppure andando a scuola a piedi oppure non utilizzando l’ascensore ecc. Bisogna allora far capire all’assistito che non esiste una sola soluzione ma un ventaglio di possibili interventi e che avete fiducia che lui, tra varie strategie e azioni, troverà quella che più gli si adatta e la metterà in pratica. E’ quindi il paziente che deve scegliere quello che reputa per lui possibile e non il medico, che deve solo prospettare, facilitare la decisione, incoraggiare. Quindi, alcune frasi che possono essere dette sono: - “Non esiste una sola soluzione, ma diverse cose che si possono fare”; - “Con alcuni funziona una cosa, con altri altre. Posso dirle le cose che hanno funzionato con molti pazienti”; - “E’ lei il miglior giudice per valutare cosa per lei è possibile e cosa è meglio per lei ora”; - “Vediamo insieme le varie cose che si possono fare”. Per aumentare l’autoefficacia un’altra possibilità è quella di chiedere un cambiamento episodico, provvisorio. Un cambiamento definitivo, infatti, può spaventare il paziente e fargli sentire che non riuscirà a farcela. Per esempio si può dire: “Vogliamo provare a fare un piano d’azione che lei deve seguire solo per un giorno?” oppure “Provi solo per un giorno a mettere in pratica le varie azioni che ha ritenuto possibili”. Quindi si può consegnare del materiale informativo (volantino, opuscolo). Può essere utile chiedere al paziente di telefonare per dire come è andata o, meglio, si può dire che riceverà una breve telefonata per chiedergli come sta andando. Il medico deve essere realista e al tempo stesso ottimista e fiducioso nel paziente e deve riuscire a trasmettergli tutto questo: “So che ci sono delle difficoltà ma io penso che lei può riuscire a farcela”, “Altre persone all’inizio pensavano di non farcela e poi ce l’hanno fatta”.

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Il colloquio è bene che si concluda con i seguenti passi: • riassumere brevemente l’incontro, in particolare le decisioni

prese; • esplorare se bisogna continuare il colloquio (“C’è altro che

dobbiamo dirci?”, ”C'è qualche altro problema che dovevamo affrontare?”, “Dobbiamo parlare di qualche altro problema?” ecc.);

• esprimere accoglienza e stima (“Mi sembra che abbiamo fatto un buon lavoro e sono fiducioso che lei ci riuscirà” oppure “Mi congratulo per i suoi sforzi, credo che ce la potremmo fare”, “È stato un incontro produttivo e sono sicuro che avremo buoni risultati” ecc.);

• concordare la data di un nuovo incontro. Nella pratica pediatrica il colloquio motivazionale è più complesso perché nel cambiamento dei comportamenti intervengono la motivazione a cambiare e la fiducia di riuscirci sia dei genitori (e in particolare della madre, a cui sono ancora preminentemente affidati i compiti di cura) che del bambino. Occorre quindi lavorare sia sui genitori che sul bambino (tanto più quanto più è grande di età) indagando su cosa pensano, quali difficoltà hanno, quanto sono motivati e fiduciosi e perché, agendo conseguentemente sugli uni e sull'altro. Se accade che i genitori sono molto motivati ma non il bambino, è utile proporsi come obiettivo anche quello di far acquisire ai genitori migliori strategie di convincimento (aumentare la motivazione e l’autoefficacia del bambino, comprendere le sue difficoltà e aiutarlo a superarle, responsabilizzarlo, dargli fiducia, gratificare i suoi successi, ecc.). Tali argomenti è preferibile che siano affrontati incontrando i genitori da soli. In conclusione I passi che conviene compiere sono i seguenti: 1) indagare l'autoefficacia del paziente chiedendo: “Quanta fiducia ha di riuscire a...?” oppure “Dovendo dare un punteggio tra 0 (per niente fiducioso) e 10 (sicuro di riuscire a farcela) che punteggio darebbe?”; 2) indagare sui perché, chiedendo: “Perché ha dato questo punteggio?” oppure “Perché questo punteggio e non un punteggio minore?” (nel caso l’assistito abbia dato un punteggio pari o superiore a 4) o anche “Cosa dovrebbe accadere per avere un punteggio ancora più alto?”; 3) far capire che le opzioni sono diverse e concordare un piano, facendo scegliere le opzioni possibili; 4) eventualmente chiedere un cambiamento episodico; 5) eventualmente dare del materiale informativo; 6) chiudere il colloquio riassumendo brevemente l’incontro, chiedendo se c’è altro da dirsi, esprimendo accoglienza e stima, concordando la data di un nuovo incontro.

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L’ascolto attivo Esplorare il mondo del paziente attraverso l’ascolto è necessario per iniziare una relazione di cura, per formulare una diagnosi clinica e dare la terapia medica adeguata. L’ascolto già di per sé promuove salute, è il principale elemento per guadagnarsi la fiducia del paziente ed il presupposto per una comunicazione efficace. Ma l’ascolto non è lasciare parlare l’altra persona in maniera incontrollata, cioè abbandonare un ruolo attivo per rivestire un ruolo passivo. Il medico che ascolta i suoi pazienti ha un ruolo del tutto attivo: egli guida il colloquio, assumendosi il compito di gestire la relazione medico-paziente su un piano di buona comunicazione, di reciprocità, di cooperazione, avendo come fine la promozione della salute dell’assistito. Non si tratta quindi di lasciare parlare il paziente a lungo, di qualsiasi argomento egli voglia (di farlo “sfogare”). L’ascolto attivo è una modalità di conduzione del colloquio nella quale il medico è attento a indagare cosa il paziente pensa, sente, crede, vuole e, quindi, è attento ad accogliere i messaggi che il paziente invia, ad interpretarli correttamente, ad utilizzarli per svolgere al meglio il proprio compito di professionista della salute. Proprio perché non si ha molto tempo da dedicare a ciascun paziente è indispensabile guidare il colloquio con un ascolto reale, in cui vengono espressi interesse e anche rispetto per dubbi e perplessità dei genitori. Per rendere possibile l’ascolto attivo è importante: 1) curare il luogo. Non si possono ascoltare i problemi di un paziente

in una stanza dove ogni tanto entra qualcuno o squilla il telefono. È necessario un luogo tranquillo, che rispetti la riservatezza del paziente e che possibilmente sia silenzioso e confortevole (è preferibile che paziente e medico siano seduti);

2) dare tempo al paziente (non tutto il tempo che vuole, ma il tempo necessario). Non è possibile ascoltare il paziente se si hanno solo 2 minuti: in tal caso è facile che si finisca per inviare messaggi verbali e non verbali che cerchino di chiudere la conversazione (“Ho capito tutto”, “Ho già capito cosa mi vuole dire”, “Si, va be´!”, “OK” oppure tamburellare con le dita, spegnere il computer, guardare l’orologio, accendere il telefonino, infilare i fogli in borsa ecc.). Un tale comportamento, oltre a causare disagio, conflittualità, scontentezza nel medico e nel paziente, insidia la fiducia del paziente, che, come abbiamo visto, è essenziale per una buona relazione. In tal caso meglio dire: “Poiché vorrei ascoltarla con attenzione e dedicarle il tempo che merita prendiamo un appuntamento” oppure “Se ha qualche problema urgente vediamo se è possibile risolverlo in breve, se no prendiamo un appuntamento il più presto possibile”;

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3) aiutare il paziente a parlare. Il paziente è invogliato a parlare se recepisce che si è interessati a lui e a quello che vuole comunicare, se lo si sta ascoltando e capendo. Alcune tecniche possono favorire il colloquio: a) il silenzio attento: consiste nello stare in silenzio facendo piccoli

gesti di assenso col capo o di attenzione con la mimica facciale, interrompendo il proprio silenzio di tanto in tanto con suoni tipo “eh”, “mh”, “ah” o parole come “sì”, “capisco”, “certo”. E’ opportuno anche che lo sguardo del medico sia rivolto al paziente, in particolare agli occhi;

b) le domande aperte (“Come va?”, “Oggi che mi dice?” ecc.), ideali per iniziare la conversazione;

c) domande quasi aperte (“Cosa la preoccupa?”, “Come stiamo andando con l’alimentazione?” ecc.);

d) domande chiuse (“Quante volte ha mangiato verdure nell’ultima settimana?”, “Signora lei o suo marito fuma?”), da non usare mai ad inizio conversazione e da porre usando un tono non inquisitorio. Le domande chiuse vanno poste se servono al pediatra per prendere iter comunicativi, diagnostici, terapeutici diversi (“chiedo quante volte ha mangiato verdure perché se risponde <tutti i giorni due porzioni>, le dico <bene continui così>; se invece mi risponde che ne mangia in quantità insufficiente prendo la strada del consiglio breve per cercare di fargli mangiare più verdure”, “chiedo se fuma perché se risponde <sì> prendo la strada del consiglio breve per cercare di farli smettere di fumare”);

e) ripetizioni: se il paziente lascia in sospeso un periodo o si ferma, ripetere la sua ultima frase per invogliarlo a continuare. La ripetizione serve a confermare l’interlocutore che lo si sta ascoltando con attenzione e ad invogliarlo a continuare e ad esplicitare ciò che non è chiaro;

f) riformulazioni. La riformulazione consiste nel ridire con altre parole quanto detto dal paziente. In tal modo si possono anche tradurre eventuali generalizzazioni improprie in asserzioni più specifiche e pertinenti. Per es.: paziente “Questo bambino e la dieta che gli ha dato mi stanno facendo impazzire”, medico “Sta avendo difficoltà a seguire la dieta che le ho dato, in particolare cosa le risulta difficile?”. Le riformulazioni sono di grande importanza in un dialogo finalizzato all’aiuto, come quello medico-paziente. Grazie alle riformulazioni il paziente si sente compreso (e noi abbiamo la possibilità di verificare se effettivamente lo abbiamo capito), inoltre egli prende maggiore coscienza delle sue posizioni e dei

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suoi stati d’animo e ciò è di grande importanza nel processo di cambiamento. Una buona riformulazione deve essere sintetica e chiara, deve esplicitare il contenuto di quanto l’assistito ci sta comunicando e il suo stato d’animo. Riformulare il contenuto significa dire in altre parole e in modo più sintetico quanto il paziente ci ha detto. Per esempio se una mamma ci dice: “La mattina devo insistere perché prenda il latte con i biscotti e spesso mi lascia mezza tazza. La carne me la lascia tutta nel piatto. Le verdure neanche a parlarne. il pesce: solo i bastoncini. E’ così magrolino e pallido, poi chiaro che ogni due e tre gli viene la febbre, il mal di gola”. Si può rispondere: “Suo figlio mangia poco e solo alcuni alimenti e lei pensa che questo possa essere la causa dei suoi frequenti mal di gola?”. Riformulare lo stato d’animo ci permette di far comprendere al paziente che comprendiamo i suoi sentimenti. Nell’esempio sopra riportato il pediatra avrebbe potuto rispondere anche così: “Questo la snerva e la preoccupa”. Una riformulazione completa è quella che risponde sia al contenuto che allo stato d’animo dell’assistito, esplicitando così il significato di quanto ci dice. Quindi, la maniera migliore per riformulare quanto detto dalla mamma citata poteva essere questa: “E’ snervata perché suo figlio mangia poco e solo alcuni alimenti ed è preoccupata perché teme che questo possa danneggiare la sua salute, per esempio essere causa dei suoi frequenti mal di gola”. In questa maniera viene reso più esplicito il significato di quanto l’assistito ci sta dicendo.

In conclusione - L’ascolto attivo è una modalità di conduzione del colloquio nella

quale il medico è attento a indagare cosa il paziente pensa, sente, crede, vuole e, quindi, attento ad accogliere i messaggi che il paziente invia, ad interpretarli correttamente, ad utilizzarli per svolgere al meglio il proprio compito di professionista della salute.

- Il paziente è invogliato a parlare se recepisce che si è interessati a lui e a quello che vuole comunicare, se lo si sta ascoltando e capendo.

- Per fare ciò è necessario curare il luogo, dare tempo al paziente e utilizzare tecniche come il silenzio attento, le domande, le ripetizioni, le riformulazioni.

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La comunicazione non verbale Il problema della comunicazione con l'assistito generalmente è sintetizzato dai medici in due domande: “Perché non fa quello che gli dico (e che è scientificamente provato che è quello che gli fa bene)?” e “Cosa devo dire per convincerlo?”. Una tale impostazione, che è quella che anche noi abbiamo tenuto fin qui, punta l'attenzione sulla comunicazione verbale (“Cosa devo dire” cioè quali parole, frasi devo pronunciare) e tralascia la comunicazione non verbale (“Con quale tono di voce, con quale espressione del volto, gestualità ecc. devo accompagnare le parole e frasi che pronuncio?”). Gli studi sulla comunicazione umana hanno invece dimostrato che la comunicazione non verbale è di enorme importanza. Infatti è tramite quest’ultima che chi comunica “dà le istruzioni” a chi ascolta su come deve “utilizzare” la comunicazione verbale trasmessa. La frase “Mi dica” detta con tono imperioso, sguardo accigliato e un gesto della mano con l’indice teso vuole trasmettere che quella frase deve essere interpretata come un comando. La medesima frase detta con un tono stanco e rassegnato, sollevando le sopracciglie o abbandonando le braccia lungo il corpo vuole trasmettere che non si ha nessuna voglia di ascoltare e che lo si fa senza alcun interesse. La comunicazione non verbale permette quindi di capire se quello che stiamo dicendo è una battuta, un rimprovero, una mera informazione, un consiglio da amico, un consiglio professionale, ecc. e anche se è un consiglio professionale dato come un atto burocratico (perché lo si deve dare) o come un atto del nostro prenderci cura del paziente (con piena convinzione dell’importanza di tale consiglio, empatia nei confronti del paziente e fiducia nella sua possibilità di metterlo in pratica). La comunicazione non verbale propone e crea il tipo di relazione che si vuole avere con l’interlocutore e trasmette anche cosa chi comunica pensa dell'interlocutore e cosa quest'ultimo deve pensare di lui. Nell'esempio sopra riportato, il primo caso (“Mi dica” come comando) propone una relazione tipo superiore-inferiore e indica come chi comunica giudica l’interlocutore (una persona inferiore a cui si può comandare) e come vuole essere giudicato (una persona importante che ha il potere di comandare). Per questo si dice che la comunicazione non verbale attiene al livello relazionale, mentre quella verbale al livello di contenuto. La comunicazione non verbale, quindi, veicola una proposta di relazione che può essere: a) accolta, b) non accolta, c) disconfermata. Se non viene accolta e viene proposto un altro tipo di relazione (a sua volta non accolta dal primo interlocutore) si origina un “conflitto

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comunicativo/relazionale” e il livello di contenuto (ciò di cui si parla) perde di importanza, diventando solo uno strumento, un pretesto della lotta per definire quale relazione ci deve essere tra i due interlocutori. Quando invece la proposta relazionale non viene proprio presa in considerazione si ha la disconferma, nella quale non si riconosce all'emittente il suo ruolo di emittente (come se si dicesse: “Anche se parli io non ti ascolto”, “Tu per me non sei nessuno”). Nella pratica della pediatria di base non sono infrequenti i conflitti comunicativi, soprattutto perché il pediatra non cura solo le patologie del bambino ma dà anche indicazioni su come allevarlo (quanto e come farlo mangiare, come vestirlo, come accudirlo ecc.) e la mamma e il padre, nonché i genitori di lui e di lei, hanno le loro opinioni più o meno radicate su come allevarlo e su cosa gli fa bene e cosa gli fa male. Il sistema genitori-nonni-bambino è un sistema intensamente centrato sulla ricerca del benessere del bambino, ma anche su un aspetto problematico che ha radici profonde nella relazione adulto-bambino: chi di noi è il più bravo a prendersi cura di lui? In questo sistema si inserisce anche il pediatra e talvolta si può determinare un’inconsapevole competitività tra la mamma (o il padre) e il professionista oppure i genitori possono cercare di coinvolgere il pediatra nei loro conflitti o in quelli con i genitori del partner. Se il pediatra non è bravo nel riconoscere queste dinamiche e nel saperle gestire, si finisce per scivolare da una relazione di cura medico-assistito ad una relazione tra pari nella quale si combatte per chi ha l’ultima parola (dove l’ultima parola dell’assistito è l’implicito “tanto faccio quello che penso io!”) e il medico non ha più fiducia nell’assistito e questi nel medico (pure se non ha dubbi sulla sua competenza professionale). Poiché le emozioni, i sentimenti, la proposta relazionale, il giudizio sull’altro passano soprattutto tramite la comunicazione non verbale bisogna essere attenti non solo a quello che diciamo ma anche a come lo diciamo, cioè al tono della voce, alle sue inflessioni e al suo ritmo, alla mimica facciale, alla postura, alla gestualità ecc. Un tono della voce irritato, sufficiente, ironico, indagatore, paternalistico, uno sguardo sfuggente, un sorrisino, il sollevare le sopracciglia, tenere le mani conserte, portare una mano all’angolo di un occhio o ad una tempia, grattarsi la testa, sospirare ecc. sono tutti elementi di grande importanza comunicativa che danno messaggi precisi sulle relazione medico-paziente e che possono compromettere una buona comunicazione. Per riuscire a realizzare una comunicazione efficace è necessario non lasciarsi “prendere” da modalità comunicative istintuali e abitudinarie, ma essere consapevoli di come sta andando la comunicazione, di cosa sta succedendo in noi e nell’assistito e di cosa

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si deve fare per ottenere che la comunicazione non prenda strade sterili o controproducenti, ma prenda la strada di una comunicazione efficace, che aiuti l’assistito a raggiungere maggiori livelli di salute (cambiando comportamenti poco salutari, seguendo le terapie date ecc.). Acquisire una tale “professionalità comunicativa” è difficile, perché ciascuno di noi è un autodidatta della comunicazione e ha radicato, in lunghi anni di pratica, una sua modalità di comunicare (purtroppo raramente ottimale) che tende spontaneamente a seguire. Modificare abitudini radicate non è cosa facile, ma è sicuramente possibile e di grande importanza per la professionalità medica. In conclusione La comunicazione non verbale è di enorme importanza, perché “dà le istruzioni” a chi ascolta su come deve “utilizzare” la comunicazione verbale trasmessa. Permette quindi di capire se quello che stiamo dicendo è una battuta, un rimprovero, un consiglio da amico, un consiglio professionale dato senza convinzione o con piena convinzione. La comunicazione non verbale propone e crea il tipo di relazione che si vuole avere con l’interlocutore e trasmette anche cosa chi comunica pensa dell’interlocutore e cosa quest’ultimo deve pensare di lui. Per questo si dice che la comunicazione non verbale attiene al livello relazionale, mentre quella verbale al livello di contenuto. La comunicazione non verbale veicola una proposta di relazione che può essere: a) accolta, b) non accolta, c) disconfermata. Se non viene accolta si origina un “conflitto comunicativo/relazionale” e il livello di contenuto (ciò di cui si parla) perde di importanza, diventando solo uno strumento, un pretesto, della lotta per definire quale relazione ci deve essere tra i due interlocutori. Quando invece la proposta relazionale non viene proprio presa in considerazione si ha la disconferma, nella quale non si riconosce all'emittente il suo ruolo di emittente (“Tu per me non sei nessuno”). Nella pratica della pediatria di base non sono infrequenti i conflitti comunicativi. Talvolta si può determinare un’inconsapevole competitività tra la mamma (o il padre) e il professionista oppure i genitori possono cercare di coinvolgere il pediatra nei loro conflitti o in quelli con i genitori del partner. Se il pediatra non è bravo nel riconoscere queste dinamiche e nel saperle gestire, si finisce per scivolare da una relazione di cura medico-assistito ad una relazione tra pari nella quale si combatte per chi ha l’ultima parola e non si ha più fiducia l’uno nell’altro. Per riuscire a realizzare una comunicazione efficace è necessario che il medico non si lasci “prendere” da modalità comunicative istintuali e abitudinarie, ma che guidi con professionalità il colloquio con l’assistito.

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Le modalità di comunicazione controproducenti La comunicazione tra pediatra è assistito è un processo circolare nel quale c’è un continuo scambio comunicativo e ciò che si comunica all’altro influenza fortemente la comunicazione dell’altro e questa a sua volta influenza la comunicazione dell’interlocutore, in un processo dove diventa impossibile stabilire qual è la causa e quale l’effetto, cosa viene prima e cosa viene dopo. Essere consapevoli di questa circolarità e acquisire la capacità di accorgersi di come sta andando la comunicazione, di cosa ci sta comunicando il nostro interlocutore, di quali problemi ha, è di grande importanza per costruire una collaborazione e mobilitare le risorse del bambino e della famiglia anche in situazioni difficili. Ottenere che i genitori adottino comportamenti adeguati a proteggere il bambino e mantenerlo in salute richiede una certa abilità strategica, per rendere possibili cambiamenti senza imporli e senza contrapporsi in modo sterile. Purtroppo modalità comunicative istintuali e abitudinarie non ci aiutano in questa azione perché innescano spesso circoli viziosi sterili e controproducenti. La ricerca, in particolare, ha dimostrato che alcune modalità comunicative abitualmente utilizzate possono costituire delle vere barriere alla comunicazione efficace. Per esempio: • dare ordini: “Deve ...”, “Si deve ...” • minacciare: “Io l’ho avvertita, se continua a fare così ...”, “Se fa così

finirà che ...” • richiamare alla ragione: “Lei è una persona intelligente dovrebbe

capire che ...” • sostituirsi: “Io al suo posto farei così ...” • giudicare: “Lei è un’irresponsabile”, “Se fa così, lei non vuole bene a

suo figlio”, “Ha torto” • interpretare: “In realtà lei mi dice così ma pensa che ...”, “Lei

inconsciamente ...” • investigare: “Davvero sta facendo come mi dice?” • minimizzare: “Non ci vuole poi tanto a ...”, “E’ una cosa minima ...”,

“Non si preoccupi”. Tali modalità comunicative sono espresse non solo dalla struttura della frase (gli esempi sopra riportati) ma anche dai vari elementi della comunicazione non verbale (tono della voce, mimica ecc.). La comunicazione tra medico e paziente migliora invece se il medico: • ascolta il paziente prima di dire o fare qualcosa; • è disposto a credere che quello che il paziente dice può avere

un senso;

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• non pensa subito di avere capito come stanno le cose, ma formula delle ipotesi e le verifica ponendo le opportune domande all’assistito;

• non si contrappone alle idee e convinzioni dell’altro determinando un scontro in cui o vince l’uno o vince l’altro.

In conclusione La comunicazione tra pediatra e assistito è un processo circolare dove diventa impossibile stabilire qual è la causa e quale l’effetto. Essere consapevoli di questa circolarità e acquisire la capacità di accorgersi di come sta andando la comunicazione è di grande importanza per una comunicazione efficace. Modalità comunicative istintuali e abitudinarie non ci aiutano in questa azione perché innescano spesso circoli viziosi sterili e controproducenti. In particolare è controproducente dare ordini, minacciare, richiamare alla ragione, sostituirsi, giudicare, interpretare, investigare, minimizzare. La comunicazione tra medico e paziente migliora invece se il medico: • ascolta il paziente prima di dire o fare qualcosa; • è disposto a credere che quello che il paziente dice può avere un

senso; • non pensa subito di avere capito come stanno le cose, ma formula

delle ipotesi e le verifica; • non si contrappone alle idee e convinzioni dell’altro.

L’importanza della narrazione e del buon uso del tempo

Per costruire una comunicazione efficace può essere utilizzato uno schema che prevede quattro aree, all'interno delle quali si muovono le informazioni e le indicazioni di comportamento: a) lo spazio informativo del paziente (ciò che sa o pensa di sapere,

ciò che ha osservato, le sue ipotesi) b) lo spazio comportamentale del paziente (ciò che fa abitualmente,

che vorrebbe fare, che pensa di poter o non poter fare) c) lo spazio informativo del professionista (quello che il paziente

dovrebbe sapere) d) lo spazio comportamentale del professionista (quello che pensa

che il paziente dovrebbe fare). Ciò significa che l'intervento informativo e la proposta di comportamenti da parte del professionista sono più facilmente

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accettati dal paziente e attuati con minori difficoltà se prima vengono esplorati i suoi spazi informativi e comportamentali. Ecco allora che la narrazione da parte dei genitori (e del bambino, quando è più grandicello), diventa un punto di partenza fondamentale. In particolare quindi: • prima di dare informazioni, chiedere che informazioni ha già

ricevuto • invece di dire cosa fare, chiedere ciò che ha già provato a fare • invece di smentire quello che non si condivide, sostenere gli

aspetti condivisibili • invece di sminuire le difficoltà, chiedere quello che preoccupa

di più e perché. Promuovere la narrazione del paziente non significa affidare a lui la durata del colloquio, dilatandolo oltre il dovuto. Per una comunicazione efficace la durata della comunicazione è un aspetto importante al pari del contenuto e dell’aspetto relazionale. Infatti una buona comunicazione tra il medico e il paziente (tra pediatra e genitori dell’assistito): • trasmetterà contenuti che servono a realizzare obiettivi di salute

(cioè informazioni veritiere, chiare, sintetiche e centrate sugli interessi e i bisogni dell’assistito);

• si manterrà nell’ambito della relazione di cura medico-paziente, basata sulla fiducia e il rispetto reciproci;

• avverrà in un tempo non troppo breve né troppo lungo, compatibile con l’attività professionale del medico.

Questi tre aspetti sono strettamente legati: • se non si ha un chiaro obiettivo di salute e, quindi, non si

trasmettono contenuti chiari ed essenziali per raggiungere l’obiettivo, la relazione ne risente negativamente (il medico si sentirà frustrato professionalmente e il paziente avrà meno fiducia in lui);

• se la relazione non viene ben curata (mantenendola nell’ambito della relazione di cura medico-paziente), si rischia di perdere tempo in ripicche e schermaglie, di trasmettere contenuti che esulano da quelli che possono realizzare obiettivi di salute;

• se il tempo è troppo breve si rischia di non riuscire a trasmettere i contenuti in maniera chiara ed esauriente e di “guastare” la relazione; se invece non si controlla il tempo si rischia che il colloquio si perda in aspetti inutili, che sfugga di mano, senza raggiungere l’obiettivo.

La struttura di un colloquio efficace tra medico e paziente può essere sintetizzata cosí: “Tu dici, io ascolto e uso quello che tu dici, io faccio un’ipotesi e chiedo tu che ne pensi, noi concordiamo delle cose da fare”.

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In conclusione La conoscenza dello spazio informativo e comportamentale del paziente è fondamentale per potere cambiare i suoi comportamenti. Quindi: • prima di dare informazioni, chiedere che informazioni ha già

ricevuto • invece di dire cosa fare, chiedere ciò che ha già provato a fare • invece di smentire quello che non si condivide, sostenere gli aspetti

condivisibili • invece di sminuire le difficoltà, chiedere quello che preoccupa di più. Una buona comunicazione tra il medico e il paziente (tra pediatra e genitori dell’assistito): • trasmetterà contenuti che servono a realizzare obiettivi di salute

(cioè informazioni veritiere, chiare, sintetiche e centrate sugli interessi e i bisogni dell’assistito);

• si manterrà nell’ambito della relazione di cura medico-paziente, basata sulla fiducia e il rispetto reciproci;

• avverrà in un tempo non troppo breve né troppo lungo, compatibile con l’attività professionale del medico.

La struttura di un colloquio efficace tra medico e paziente può essere sintetizzata così: “Tu dici, io ascolto e uso quello che tu dici, io faccio un’ipotesi e chiedo tu che ne pensi, noi concordiamo delle cose da fare”.

Come utilizzare volantini, opuscoli ecc. Come abbiamo detto, le ricerche hanno dimostrato che l’efficacia del consiglio del medico aumenta se si scrive la prescrizione sulla ricetta o si dà un volantino o depliant, invitando il paziente a leggerlo con attenzione. La maniera migliore per utilizzare un volantino o depliant informativo è quella di darlo alla fine del “colloquio educativo” con il genitore del bambino che è venuto a visita. Il pediatra accompagnerà la consegna del volantino o dell’opuscolo con delle frasi adatte alla persona che ha di fronte e allo stadio di cambiamento in cui si trova. Così, se la persona che ha di fronte non ha disponibilità a cambiare, può dire: “Mi sembra che ora non è molto disponibile a ... (cercare di cambiare le abitudini alimentari, far fare più attività fisica al figlio ecc.). Si prenda un po’ di tempo e intanto ci pensi. Le do questo

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volantino che può leggere con calma a casa, poi, quando vuole, ne riparliamo”. Se invece ha una certa disponibilità a cambiare, può dire: “Si legga con attenzione questo volantino dove sono riportati i consigli che la ricerca scientifica reputa più importanti. Alcuni forse per lei sono di difficile attuazione ma altri forse potrebbe metterli in pratica facilmente da subito. Poi la prossima volta ne riparliamo e mi dice cosa ne pensa e cosa è riuscita a cambiare”. Se il soggetto è invece pronto al cambiamento si può dire la medesima frase sopra riportata o semplicemente: “Le do questo opuscolo dove sono riportate delle brevi indicazioni su quello che potrebbe fare”, oppure, nel caso del volantino con i consigli alimentari: “Le do questo volantino dove sono riportati consigli per una corretta alimentazione. Potrebbe affiggerlo in cucina, così ha sempre presente cosa deve fare perché suo figlio segua un’alimentazione corretta. Molte persone si sono trovate bene a fare così perché è importante che, proprio mentre si prepara da mangiare o si decide cosa comprare, ci si ricordi delle regole da seguire per star bene in salute”.

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Raccomandazioni per una corretta alimentazione per la popolazione italiana

L´INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) fornisce periodicamente le linee guida per una corretta alimentazione21. Riportiamo le ultime raccomandazioni. Più cereali, legumi, ortaggi e frutta Numerosi studi hanno dimostrato che un’alimentazione ricca di cereali, legumi, ortaggi e frutta protegge dalla comparsa di tumori, malattie cardiovascolari, malattie dell’apparato digerente (diverticolosi, stipsi, colelitiasi ecc.). Le fibre presenti nei legumi, frutta e verdura conferiscono senso di sazietà, facilitano il transito intestinale e l’evacuazione delle feci, riducono o rallentano l’assorbimento di grassi e carboidrati, contribuendo in tal modo al controllo della glicemia e della colesterolemia. Come comportarsi: assumere 4-5 porzioni al giorno tra frutta e verdura. I legumi dovrebbero essere presi 2-4 volte a settimana, i cereali 2-3 porzioni al giorno. Grassi: scegli la qualità e limita la quantità I grassi saturi e i grassi trans, presenti nei grassi idrogenati, tendono a far innalzare il livello di colesterolo nel sangue molto più del colesterolo assunto con l’alimentazione22. Gli alimenti a maggiore contenuto di grassi saturi sono i grassi idrogenati (margarina dura 65%), burro e olio di palma (48%), formaggi (13-25%), merendine (5-20%), salumi (5-15%), tuorlo d’uovo (10%), carni grasse (5-10%). I grassi insaturi fanno diminuire le lipoproteine LDL e VLDL, l’acido oleico tende anche a fare aumentare le HDL; gli omega 3 (presenti

21. INRAN, Linee guida per una sana alimentazione, www.inran.it

22. Department of Health and Human Services. The Surgeon General’s report on nutrition and

health. Washington, DC: Government Printing Office, 1988. (Publication no. DHHS

(PHS) 88-50210.)

Mensink RP, Katan MB. Effect of dietary trans fatty acids on high-density and low-density

lipoprotein cholesterol levels in healthy subjects. N Engl J Med 1990; 323:439- 445.

Siguel EN, Lerman RH. Trans-fatty acid patterns n patients with angiographi-

cally documented coronary artery disease. Am J Cardiol 1993; 71:916-920.

Willett WC, Stampfer MJ, Manson JE, et al. Intake of trans fatty acids and risk of coronary

heart disease among women. Lancet 1993; 341:581-585

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sopratutto nei pesci) fanno diminuire la trigliceridemia e l’aggregazione piastrinica, riducendo il rischio di accidenti coronarici23. Come comportarsi: • limitare soprattutto il consumo di condimenti e cibi ricchi di grassi

saturi (margarina, burro, lardo, pancetta, panna, formaggi stagionati, salumi, merendine ecc.);

• preferire l’olio extravergine di oliva; • limitare il ricorso alla frittura ed evitare la riutilizzazione di grassi

già cotti; • consumare pesce almeno 2 volte a settimana; • preferire carni magre, eliminando la pelle ed il grasso visibile; • consumare non più di 4 uova alla settimana, distribuite in vari giorni; • per chi fa largo uso di latte, preferire quello scremato o

parzialmente scremato; • leggere le etichette dei prodotti alimentari poiché spesso contengono

quote di grassi saturi non trascurabili e spesso di tipo trans (attenti alle dizioni: “grassi idrogenati”, “grassi vegetali”, “oli vegetali”).

Zuccheri, dolci e bevande zuccherate: nei giusti limiti Fra gli alimenti dolci, alcuni apportano diverse sostanze nutritive, altri sono costituiti prevalentemente, se non esclusivamente, da zuccheri. Sono comunque ricchi di calorie, per cui il loro consumo deve essere controllato e limitato. Il consumo frequente e continuo di alimenti e/o bevande zuccherate, oltre a favorire il soprappeso e l’obesità, può esporre al rischio di carie dentarie qualora manchi l’abitudine o l’occasione di un’accurata igiene orale. Come comportarsi: • tenere conto della quantità e della frequenza di consumo di alimenti

e bevande dolci nella giornata, per non superare la quota di zuccheri consentita;

• preferire i dolci a ridotto contenuto di grassi, ad es. biscotti, torte non farcite, dolci senza crema ecc.;

• limitare il consumo di prodotti a forte tenore di saccarosio, specialmente di quelli che tendono a restare aderenti alla superficie dei denti. Lavarsi i denti dopo il consumo.

Il sale? Meglio poco Gli italiani consumano molto più cloruro di sodio di quello necessario all’organismo: in media 9-14 grammi a testa al giorno. Ciò può favorire, particolarmente in persone predisposte, l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa.

23. Kromhout D, Bosschieter EB, deLezenne-Coulander C. The inverse relation between fish

consumption and 20-year mortality from coronary heart disease. N Engl J Med 1985;

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L’orientamento internazionale suggerisce una quantità che non superi i 6 grammi di sale al giorno. Come comportarsi:

• limitare l’uso del sale a tavola e nella preparazione dei cibi, dando la preferenza ad erbe e spezie aromatiche;

• contenere il consumo di quei prodotti confezionati (insaccati, alimenti in scatola, formaggi e latticini, snack salati ecc.) nei quali il contenuto di sale è elevato.

Come e perché variare Variare il più possibile le scelte alimentari risulta il modo più semplice e sicuro per assicurare una corretta alimentazione. Come comportarsi:

scegliere porzioni adeguate di diversi gruppi alimentari, avendo cura di variare abitualmente le scelte nell’ambito di ciascun gruppo. Bere ogni giorno molta acqua Il meccanismo della sete ha un tempo di risposta ritardato ed interviene solo quando la perdita di acqua è già stata tale da provocare effetti negativi. In condizioni normali le perdite di acqua si aggirano intorno ai 2-2,5 litri al giorno. Le perdite giornaliere di acqua sono più elevate in giovane età, soprattutto nei primi mesi di vita, raggiungendo il 15% del peso corporeo del bambino. I bambini risultano pertanto maggiormente esposti a rischio di disidratazione qualora le perdite di acqua non vengano tempestivamente reintegrate. Come comportarsi: • bere a sufficienza, circa 1.5-2 litri di acqua al giorno (di più o di

meno a seconda della temperatura esterna e di quanto si suda), assecondando sempre il senso di sete;

• bere frequentemente ed in piccole quantità. Controllare il peso e mantenersi attivo L’attenzione al peso va posta sin dall’infanzia, perché il bambino obeso tende a restare obeso da adulto. L’aumento del soprappeso e dell’obesità è in gran parte attribuibile a stili di vita estremamente sedentari. L’attività fisica migliora la prestanza fisica, rafforza i muscoli, i tendini e le ossa, previene molte malattie e riduce il rischio di morte, migliora l’umore e aiuta a dormire meglio. Come comportarsi:

• pesarsi periodicamente controllando che il proprio peso sia nei limiti della norma;

• fare attività fisica tutti i giorni: i bambini in età prescolare dovrebbero accumulare da un minimo di 60 minuti fino a diverse

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ore al giorno in attività motoria non strutturata e strutturata; quelli al di sopra dei 6 anni dovrebbero accumulare almeno 60 minuti, anche non continuativi, di attività fisica moderata e 60 minuti di attività vigorosa sia spontanea che organizzata tutti i giorni. I bambini non dovrebbero essere sedentari per più di 60 minuti per volta. E’ preferibile un’attività fisica frazionata ad un’attività fisica di pari durata ma concentrata in pochi giorni della settimana;

• preferire alimenti a bassa densità energetica come frutta e ortaggi freschi.

Fare sempre la prima colazione Chi non fa colazione al mattino è portato a mangiare di più nel corso della giornata e in maniera squilibrata. I bambini che non fanno colazione tendono a mangiare più snack. Le capacità di concentrazione nelle prime ore della giornata sono ridotte negli studenti che non fanno colazione. Come comportarsi

Fare sempre la prima colazione, preferibilmente con latte o yogurt (eventualmente parzialmente scremato o scremato), pane, marmellata, frutta. In conclusione • preferire il consumo di alimenti ricchi di amido e fibre (cereali,

legumi, ortaggi e frutta): consumare i legumi almeno 2 volte la settimana; consumare 5 porzioni tra frutta e ortaggi al giorno;

• limitare il consumo di grassi totali, saturi e colesterolo: limitare fortemente il consumo di grassi di condimento come margarina, burro, panna, preferendo invece l’olio extravergine d’oliva; formaggi e latticini non più di 2 volte a settimana, in porzioni ridotte;

• mangiare pesce 2 volte a settimana; • preferire carni magre, prive del grasso visibile e della pelle; • per chi fa largo uso di latte, preferire quello scremato o

parzialmente scremato; • limitare il consumo di dolci e snack dolci a non più di 2 volte a

settimana, perché ricchi di grassi e zuccheri solubili; • moderare il consumo di sale; • variare le scelte alimentari; • bere ogni giorno molta acqua; • fare attività fisica tutti i giorni: i bambini in età prescolare da 60

minuti fino a diverse ore al giorno. I bambini al di sopra dei 6 anni dovrebbero accumulare almeno 60 minuti, anche non continuativi, di attività fisica moderata-vigorosa tutti i giorni

• fare sempre la prima colazione.

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L’igiene orale La carie è una malattia estremamente diffusa anche in età infantile ed è determinata da una cattiva igiene orale. Indagini effettuate in Italia hanno evidenziato che a 12 anni il 43% dei bambini italiani presenta un dente cariato, otturato o mancante, il 29% ha depositi di tartaro e il 24% segni di sanguinamento gengivale24. La funzione primaria dell'igiene orale è quella di impedire il formarsi della placca. Il mezzo più utile a questo scopo è lo spazzolino da denti, che asporta i residui alimentari e la placca presente. Le caratteristiche ottimali per uno spazzolino sono quelle di avere un manico diritto, una testa di 2,5 cm di lunghezza (3 cm dopo la pubertà), setole di nylon con testa arrotondata, morbide per i bambini più piccoli, di media durezza per quelli più grandi. Per una corretta igiene orale è estremamente importante lavare i denti dopo ogni pasto e utilizzare una corretta modalità di lavaggio25. Devono essere spazzolate accuratamente tutte le superfici dei denti, la qualcosa richiede almeno 3 minuti (nei bambini più grandi). Il movimento corretto è quello di ruotare il manico dello spazzolino sul proprio asse, in modo da portare le setole più volte dal margine gengivale al margine libero del dente, come se si spazzasse sulla superficie del dente, dal rosso (gengiva) al bianco (dente). E' errato quindi lavare i denti con movimento dello spazzolino orizzontale (↔), che non garantisce la pulizia dei solchi interdentari e può traumatizzare le papille gengivali, o verticale (↕) che, oltre a potere traumatizzare le gengive, può portare la placca nel solco gengivo-dentale determinando gengiviti e retrazione gengivale. Le superfici interne degli incisivi vanno lavate tenendo lo spazzolino verticalmente. Lo spazzolino, se correttamente usato, si consuma in un paio di mesi e, quindi, deve essere frequentemente sostituito. Il dentifricio può migliorare la funzione pulente dello spazzolino. I bambini molto piccoli tendono ad ingerire il dentifricio, per cui è bene utilizzarne uno senza o con basso contenuto di fluoro.

24.Campus G, Solinas G, Cagetti MG, Senna A, Minelli L, Majori S, Montagna MT, Reali D,

Castiglia P, Strohmenger L, Studio esplorativo sulla salute orale dei ragazzi di 12 anni in

Italia, Rivista di Odontoiatria, 2, XXVII, 2007 25.Le “Linee guida nazionali per la promozione della salute orale e la

prevenzione delle patologie orali in età evolutiva” possono essere scaricate da: www.ministerodellasalute.it/sorrisoSalute/documenti/Linee_guida_approvate_10_ott_2008.pdf.

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I bambini più grandi, nei quali sono già stati sostituiti i denti decidui, devono prendere l’abitudine di utilizzare anche il filo interdentale (in particolare se presentano affollamento dentale) e lo scovolino. I genitori devono lavare i denti del bambino già da quando ha un anno di età e proseguire fino a quando non riuscirà a farlo da solo (3-4 anni di età) per fargli prendere l’abitudine ad una corretta igiene orale e ad una corretta manualità. Per realizzare tale obiettivo occorrono tempo (vari anni) e pazienza, perché eseguire i movimenti corretti necessita di abilità che non possono essere pretese a 4-5 anni e che si costruiscono con l’esercizio. L’esempio dei genitori è fondamentale. Il pediatra, pertanto, spiegando l’importanza dell’igiene orale e il corretto modo di lavare i denti, svolge un’importante opera di prevenzione sia nei confronti dei bambini che dei loro genitori. In conclusione • i genitori devono lavare i denti del bambino già da quando questi ha

1 anno di età e proseguire fino a quando non riuscirà a farlo da solo (a 3-4 anni di età);

• i genitori devono essere un esempio per i figli e abituarli a lavare i denti dopo ogni pasto e con movimenti corretti;

• il movimento corretto è quello di far ruotare il manico dello spazzolino sul proprio asse, in modo da portare le setole più volte dal margine gengivale al margine libero del dente, come se si spazzasse sulla superficie del dente, dal rosso (gengiva) al bianco (dente). Per lavare le superfici interne degli incisivi lo spazzolino deve essere tenuto verticalmente;

• lo spazzolino da denti deve essere cambiato quando le setole si incurvano (cioè circa ogni 2-3 mesi);

• quando sono stati sostituiti i denti decidui è importante utilizzare anche il filo interdentale e lo scovolino.

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La prevenzione degli incidenti Gli incidenti mortali (domestici e stradali) sono la seconda causa di morte nella fascia d’età 1-14 anni, con 2,7 decessi ogni 100.000 abitanti26. Su 100 bambini che muoiono per incidente 40 riguardano incidenti domestici e 60 stradali. Molto più frequenti sono gli incidenti non mortali, che possono determinare danni più o meno gravi alla salute. Si stima che gli esiti invalidanti da incidente sono 2-3 volte il numero dei morti e che i soggetti che necessitano di ricovero 20 volte il numero dei morti per incidente. La probabilità per un bambino di avere un incidente domestico (con ricorso a cure mediche) è alta: una probabilità su 20 all’anno nella fascia d’età 0-5 anni e una probabilità su 50 in quella 6-14 anni26. La tipologia degli infortuni domestici gravi varia con l’età dei soggetti: tra 0 e 6 mesi sono più frequenti le cadute e il soffocamento; tra i 6 mesi e i 12 mesi l’ingestione di corpo estraneo, le ferite da taglio, nonché sempre le cadute; tra 1 e 4 anni le folgorazioni, gli avvelenamenti, le ustioni; tra i 4 e i 7 anni le cadute e le ustioni. Negli incidenti domestici dei bambini sono individuati come fattori di rischio: la bassa condizione socio-economica, la scarsa istruzione dei genitori, avere un solo genitore, l’eccessiva densità abitativa, vivere in una casa fatiscente. Una ricerca condotta in Toscana27 ha evidenziato che nelle famiglie con bambini sotto i 6 anni il 35% non conserva i detersivi in un posto non accessibile ai bambini, l’11% non ripone i farmaci in un posto non accessibile ai bambini, il 5% ha ringhiere alte meno di un metro, l’1% non ha il salvavita. Negli incidenti stradali un ruolo di primo piano hanno la guida a velocità elevata, il mancato rispetto del codice della strada e, soprattutto, il trasporto del bambino non in condizioni di sicurezza (seggiolini, cinture ecc.). Uno studio del CDC di Atlanta ha dimostrato che trasportare i bambini senza assicurarli con gli appositi mezzi aumenta del 500% la probabilità di decesso in caso di incidente28. I consigli da dare ai genitori devono variare a secondo dell’età del bambino. I più importanti sono:

26. ISTAT Indagine multiscopo 2009.

27. Martiello MA, Gulino M, Ciarrocchi A, Loi F, Sancasciani S, Giacchi M, Incidenti

domestici tra i bambini delle scuole elementari, Difesa Sociale, LXXXII, 1-2 (2003), 19-28.

28. CDC, Impact of adult safety belt use on restraint use among children <11 years of age —

Selected States, 1988 and 1989 MMWR, 1993; 42: 276-278.

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Per i bambini da 0 a 7 mesi Per prevenire i soffocamenti Il materasso deve essere rigido ed avere le stesse dimensioni del lettino, non usare il cuscino o utilizzare un cuscino antisoffocamento, non rincalzare le lenzuola e le coperte e lasciare liberi il volto e il collo del bambino. In tale maniera si evita che il bambino infili la testa tra il cuscino e il materasso, che, con il cuscino appoggiato al bordo della culla, vi appoggi sopra il viso coprendo naso e bocca, che possa rotolare tra il bordo del materasso e le coperte. Non fare dormire il bimbo nel letto dei genitori e metterlo in posizione supina. Evitare braccialetti, catenelle, ciondoli ed orecchini che, sfilandosi o rompendosi, potrebbero essere ingeriti. Non lasciare oggetti di piccole dimensioni a portata del bambino. Per prevenire le cadute Prima di iniziare il cambio del pannolino, predisporre tutto l’occorrente per l’operazione, in modo da non dover lasciare il bambino solo per prendere qualcosa. Il lettino deve avere sponde alte almeno 60 cm. Se le sponde sono mobili, tenerle sollevate e ben chiuse (se le sponde sono a sbarre la distanza deve essere minore di 7 cm per evitare che possa infilarvi una gamba o un braccio e farsi male). Il seggiolone deve essere stabile e senza piano di appoggio per i piedi (per evitare che il bambino puntandosi cada). Per prevenire le ustioni Verificare che la temperatura dell’acqua del bagnetto sia di 37°C; regolare lo scaldabagno ad una temperatura inferiore a 50°C. Per prevenire i traumi automobilistici E’ indispensabile che il bambino viaggi su un apposito seggiolino di classe 0, rivolto contro il senso di marcia e sul sedile posteriore (a meno che l’auto sia priva di airbag). Per i bambini dai 7 mesi ai 2 anni Per prevenire le ustioni Non lasciare mai recipienti con liquidi o cibi bollenti sui bordi dei tavoli o dei ripiani. Cercare sempre di tenere i bambini lontano dai fornelli quanto sono in uso. Mettere delle barriere protettive davanti ai camini e alle stufe, quando sono in funzione. Non tenere a portata di bambino fiammiferi e accendini. Utilizzare indumenti che abbiano non oltre il 50% di fibre sintetiche, perché sono molto infiammabili.

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Per prevenire le folgorazioni Verificare che il “salvavita” sia a norma e che le prese elettriche siano antifolgorazione. Se le prese non sono antifolgorazione proteggerle con gli appositi copripresa. Evitare l’uso di prolunghe. Non utilizzare elettrodomestici (asciugacapelli, radio ecc.) in prossimità dell’acqua. Per prevenire avvelenamenti e intossicazioni Tenere farmaci, detersivi, disinfettanti e bevande alcoliche chiusi nelle loro confezioni e in posti non accessibili al bambino. Non tenere a portata di bambini piante velenose (oleandro, mughetto, ciclamino, vischio, edera, dieffenbachia, ecc.)29. Per prevenire gli annegamenti Svuotare la vasca da bagno subito dopo l’uso. Non tenere catini, secchi, piscinette piene di acqua a portata di bambino. Per prevenire i soffocamenti Non tenere a portata di bambino piccoli oggetti come bottoni, spille, biglie, monete ecc. e i sacchetti di plastica. Per prevenire cadute e contusioni Se l’abitazione è su più piani porre dei cancelli all’inizio delle scale. Attenzione al ferro da stiro, il bambino potrebbe farselo cadere addosso tirando il filo o urtando il tavolo. Utilizzare i paraspigoli per gli arredi. Per prevenire tagli e ferite Non lasciare alla portata del bambino oggetti piccoli, appuntiti, taglienti come ad esempio matite, penne, coltelli, forbici. Per prevenire i traumi automobilistici E’ indispensabile che il bambino viaggi su un apposito seggiolino di classe 1, sul sedile posteriore (a meno che l’auto sia priva di airbag). Per i bambini sopra i 2 anni Per prevenire le cadute Verificare che le ringhiere di balconi e terrazzi siano a norma (altezza minima 1 metro, senza sbarre orizzontali o altri appoggi per arrampicarsi). Non tenere sul balcone o sul terrazzo sedie, sgabelli, scale, vasi di fiori, tricicli o qualsiasi altro possibile appoggio su cui il bambino possa arrampicarsi. Per prevenire i traumi automobilistici e gli incidenti stradali E’ indispensabile che il bambino fino ai 5 anni (18 Kg di peso) viaggi su un apposito seggiolino di classe 1, sul sedile posteriore. Sopra i 5

29. L’ISPESL ha pubblicato un volumetto con le più comuni piante velenose www.ispesl.it/osservatorio/pdf/ISPESL_vol_piante_I_PARTE.pdf.

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anni e fino a che non sia alto più di 150 cm deve viaggiare sul sedile posteriore, su un apposito rialzo e con la cintura di sicurezza. Può viaggiare sul sedile anteriore (sempre su seggiolino o rialzo e cintura di sicurezza) solo se l’auto è priva di airbaig, perché lo scoppio dell’airbaig sul bambino può avere gravissime conseguenze. Quando il bambino va in bici deve indossare il casco. E’ necessario far capire ai genitori che l’attenzione alla sicurezza deve essere importante quanto alimentarlo correttamente, vaccinarlo e curarlo quando è malato, che è necessario modellare la casa rendendola il più possibile adatta ai suoi abitanti e che spesso bastano piccoli accorgimenti per diminuire il rischio di incidenti. I genitori non devono mai derogare al trasporto sicuro del bambino in auto e devono dare il buon esempio allacciandosi sempre le cinture. Tenere il bimbo in braccio sul sedile anteriore è estremamente pericoloso anche se si va piano: una semplice frenata può farlo urtare contro il parabrezza e procurargli un trauma cranico, un incidente a 30 Km all’ora può già essere mortale. Una mamma che pesa 65 Kg e non ha allacciato la cintura, in un incidente a 30Km/h viene proiettata in avanti con una pressione di 2 tonnellate e schiaccerà il bambino sul cruscotto. Ma anche se avesse la cintura dovrebbe esercitare una forza pari a quella necessaria per sollevare 200 Kg per non farsi scappare un bambino di 10 Kg dalle braccia. In città il 40% degli incidenti sono scontri frontali e il 20% contro un ostacolo fisso, i più pericolosi. Gli adulti, per dare il buon esempio ai più piccoli e per la loro sicurezza, devono usare sempre le cinture, perché anche andando a 20 Km/h in caso di incidente si possono avere gravi conseguenze. La massima efficacia delle cinture è tra i 10 e i 110 Km/h, con il massimo a 50 Km/h. Un incidente frontale a questa velocità è come precipitare da 10 metri, per questo la cintura riduce di 10 volte il rischio di morte. In conclusione Per i bambini da 0 a 7 mesi Per prevenire i soffocamenti: materasso rigido delle stesse dimensioni del lettino, non usare il cuscino o utilizzare un cuscino antisoffocamento, non rincalzare lenzuola e coperte e lasciare liberi volto e collo del bambino. Non farlo dormire nel letto dei genitori e metterlo supino. Evitare braccialetti, catenelle e altri oggetti che potrebbero essere ingeriti. Per prevenire le cadute: non lasciare il bambino solo sul fasciatoio; il lettino deve avere sponde alte almeno 60 cm; il seggiolone deve essere stabile e senza piano di appoggio per i piedi.

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Per prevenire le ustioni: acqua del bagnetto a 37°C; regolare lo scaldabagno ad una temperatura inferiore a 50°C. Per i bambini dai 7 mesi ai 2 anni Per prevenire le ustioni: non lasciare liquidi o cibi bollenti sui bordi di tavoli o ripiani; tenere i bambini lontano dai fornelli; non tenere a portata di bambino fiammiferi e accendini; utilizzare indumenti che abbiano meno del 50% di fibre sintetiche. Per prevenire le folgorazioni: verificare che il “salvavita” sia a norma e le prese elettriche antifolgorazione (se le prese non sono antifolgorazione proteggerle con gli appositi prodotti), evitare l’uso di prolunghe, non utilizzare elettrodomestici in prossimità dell’acqua. Per prevenire avvelenamenti e intossicazioni: tenere farmaci, detersivi, disinfettanti, bevande alcoliche e piante velenose in posti non accessibili al bambino Per prevenire gli annegamenti: svuotare la vasca da bagno subito dopo l’uso; tenere catini, secchi, piscinette piene di acqua non a portata di bambini. Per prevenire i soffocamenti: non tenere a portata di bambino piccoli oggetti e sacchetti di plastica. Per prevenire cadute e contusioni: porre dei cancelli all’inizio delle scale, tenere il filo del ferro da stiro fuori dalla portata del bambino, utilizzare paraspigoli. Per prevenire tagli e ferite: non lasciare alla portata del bambino oggetti appuntiti e taglienti. Per i bambini sopra i 2 anni Per prevenire le cadute: ringhiere di balconi e terrazzi di adeguata altezza e senza sbarre orizzontali o altri appoggi per arrampicarsi. Per prevenire i traumi automobilistici e gli incidenti stradali Mai trasportare il bambino in braccio, anche se si va piano. E’ indispensabile che il bambino viaggi su un apposito seggiolino: di classe 0, rivolto contro il senso di marcia dalla nascita ai 7-8 mesi (10 Kg di peso), di classe 1 dai 7-8 mesi ai 5 anni (18 Kg di peso) e su un apposito rialzo e con la cintura di sicurezza allacciata dai 5 anni ai 12-13 anni (cioè fino a quando non abbia superato i 150 cm di altezza). Il bambino deve essere sempre trasportato sul sedile posteriore (a meno che l’auto sia priva di airbag). Quando il bambino va in bici deve indossare il casco.

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Saggia la tua preparazione 1) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Leggi con attenzione il seguente colloquio ed esprimi un tuo giudizio motivato, individuando eventuali punti deboli e proponendo alternative più valide - Medico: Allora come andiamo? - Mamma: Male: questo bambino non vuole mai mangiare - Medico: Non vuole mai mangiare? Ma suo figlio non è magro: non è che forse lei vuole farlo mangiare più di quanto ha bisogno? - Mamma: Per carità! Gli faccio delle porzioni piccole e lui lascia tutto nel piatto - Medico: Mangerà forse tra un pasto e l’altro. Se vuole comunque lo visitiamo, gli misuriamo il peso e l’altezza e così vediamo se va bene o no. Le nostre osservazioni sono a pag. 48 2) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Leggi con attenzione il seguente colloquio ed esprimi un tuo giudizio motivato, individuando eventuali punti deboli e proponendo alternative più valide - Medico: Signora, a quest’età deve iniziare a lavargli i denti. Compri uno spazzolino morbido per bambini e dopo mangiato gli lavi delicatamente i denti. Poi se il bambino vuole provare a lavarli da solo lo lasci provare, così piano piano si impratichisce e si abitua a lavarsi i denti - Mamma: Ma già così piccolo deve iniziare? - Medico: Sì, sia perché, anche se questi denti li cambierà, è bene non farli ammalare sia per farlo abituare a lavarsi i denti quando diventerà più grande. - Mamma: E devo mettergli il dentifricio? Quale? E se lo ingoia? - Medico: Il dentifricio non è necessario. Se vuole può anche mettergliene poco poco. Non si preoccupi se lo ingoia: solo se ne ingoia molto e tutte le volte che si lava i denti allora deve usare un dentifricio senza fluoro. Le nostre osservazioni sono a pag. 48

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3) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Leggi con attenzione il seguente colloquio ed esprimi un tuo giudizio motivato, individuando eventuali punti deboli e proponendo alternative più valide - Medico (rivolto direttamente al ragazzino che gli è stato portato a visita): Mi hai detto che vuoi dimagrire. Bene. Allora per poterti dare una dieta per prima cosa devi compilare questo diario alimentare. Per 3 giorni devi segnare su questo foglio tutto quello che mangi. - Ragazzo (fa un'espressione infastidita e guarda la madre) - Medico: Stiamo parlando io e te come due persone adulte. Perché guardi tua madre? - Madre: Dottore lui vuole dimagrire. Vero caro? Dillo. - Medico: Allora se vuole dimagrire, ci vuole una buona dieta, adatta a lui e la giusta attività fisica. Per prima cosa devo sapere cosa mangia e quanto si muove, e, quindi, mi deve compilare questo diario. Solo per 3 giorni. - Madre: Hai capito? Su! - Ragazzo (guarda a terra e sta zitto) - Medico: Qualcosa non va? - Ragazzo: Anche all'ASL l'anno scorso mi hanno detto la stessa cosa. E non è servito a niente. - Medico: Guarda che invece è importante, perché solo conoscendo le tue abitudini alimentari posso darti una dieta adeguata. - Ragazzo: Fatto sta che io sono sempre grasso. Le nostre osservazioni sono a pag. 49 4) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Leggi con attenzione il seguente colloquio ed esprimi un tuo giudizio motivato, individuando eventuali punti deboli e proponendo alternative più valide - Medico (finita la visita ad un bambino di circa un anno): Tutto bene. Il bimbo cresce bene e non ci sono problemi. Mi ha detto che gattona, eh? - Mamma: Si, da un poco. - Medico: Bene. Mi raccomando: lo sorvegli sempre. Sa, è molto facile gattonando andare a sbattere da qualche parte o mettere un dito nella presa della corrente. - Mamma: Si, lo sorveglio sempre. - Medico: Bene. Lei fuma ancora? - Mamma: Si, non ce la faccio a smettere ... - Medico: Mi raccomando non fumi vicino al bambino e mai nella sua cameretta.

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- Mamma: No, su questo sto attenta. So che fa male. - Medico: Se non fumasse proprio sarebbe meglio. Le nostre osservazioni sono a pag. 50 5) Dai la risposta giusta 1) La disponibilità a cambiare un determinato comportamento dipende soprattutto da due elementi. Quali? 2) Se il paziente alla domanda “Dovendo dare un punteggio tra 0 (per niente importante) e 10 (molto importante), che punteggio darebbe?” ha dato un punteggio molto basso (0-1) ed è consapevole dei rischi, come conviene comportarsi? a) dare suggerimenti su come si possono mettere in pratica le

prescrizioni date b) spiegare perché è importante comportarsi come suggerito/prescritto c) dire una frase tipo “Cosa dovrebbe accadere per fare in modo che

dia un punteggio maggiore”? d) rimandare ad un momento più opportuno il tentativo di cambiare

comportamento dicendo: “Mi sembra che lei ora non sia disponibile ad affrontare questo argomento. Si prenda un po' di tempo e intanto ci pensi e, se vuole, ne riparliamo un'altra volta”.

3) Perché è importante far comprendere all'assistito la differenza tra scopo, strategia e azioni specifiche? Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 51 6) Dai la risposta giusta 1) Un buon medico deve lasciare sfogare l’assistito. Vero Falso 2) Il silenzio attento consiste nell’ascoltare in perfetto silenzio. Vero Falso 3) “Come stiamo andando?” è una domanda aperta. Vero Falso 4) Se l’assistito parlando lascia una frase a metà è bene che il medico lasci correre perché probabilmente è indice che l’assistito ha difficoltà a parlare di quell’argomento? Vero Falso 5) Nel caso di un paziente che non segue le indicazioni date dal medico e sembra non ricordare le informazioni e indicazioni avute cosa conviene fare? Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 52

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7) Dai la risposta giusta Quali di queste frasi sono poco corrette o appropriate e per quali motivi? a) “Sta seguendo l’alimentazione che le ho detto di fare, vero?” b) “Con l‘attività fisica come va? Sta ancora tanto tempo alla TV?” c) “Che mi dice?" d) “So che questi argomenti non le interessano ma sono importanti!" e) Alla mamma che si mostra preoccupata: “Non si preoccupi!” f) “Ho capito tutto, subito provvederemo” g) "C’è qualcos’altro che vuole dirmi?" h) “In realtà è lei che non vuole" i) Al bambino: “Non abbiamo forza di volontà, eh?!” j) Alla mamma che si mostra preoccupata: "Cosa la preoccupa?" k) “Faccia come vuole, io l’ho avvertita” Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 52 8) Dai la risposta giusta Individua le risposte appropriate del pediatra da quelle meno appropriate e indicane il motivo. Mamma: Lo so che il mio bambino è grasso e che deve dimagrire. Cerco di fargli fare la dieta, cucino con pochissimo olio, calo poca pasta, non gli do più il panino con salame e formaggio e tante altre cose, ma lui poi mi chiede di dargli una merendina, il dolcino, le patatine e me lo chiede in un modo che non riesco a dirgli di no. a) Medico: Ma per il suo bene deve dirgli di no. b) Medico: Da quello che capisco lei è consapevole della necessità che

suo figlio dimagrisca, cerca di fargli fare la dieta e infatti cucina con poco olio, non gli dà più il panino con salame ecc., ma lui poi le chiede di dargli la merendina o le patatine e lei non riesce a dirgli di no.

c) Medico: Cerchi di non tenere in casa merendine, patatine e le altre cose che gli piacciono.

d) Medico: Da quel che capisco lei è consapevole dell'importanza che suo figlio dimagrisca e cerca di farlo dimagrire, ma ha difficoltà a non accontentarlo quando le chiede le cose che gli piacciono. Come mai Le riesce così difficile?

Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 53

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9) Dai la risposta giusta La struttura di un colloquio efficace tra medico e paziente può essere sintetizzata così (completa le parti mancanti): “Tu dici, io ....................................................................................., quindi faccio un’ipotesi e chiedo tu che ne pensi, noi ....................................................................................................”. Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 53 10) Dai la risposta giusta 1) Le Linee Guida per una corretta alimentazione dell’INRAN quante porzioni di frutta e verdura consigliano di mangiare al giorno a) 2-3 porzioni b) 3-4 porzioni c) 4-5 porzioni d) 6 porzioni 2) Indica quali sono gli alimenti a maggiore contenuto di grassi saturi. 3) La dizione “oli vegetali” riportata sull’etichetta di un prodotto indica la presenza di: a) olio extravergine di oliva b) olio di oliva c) olio di semi d) olio di palma e di cocco 4) Quant’è l’attività fisica minima che un bambino al di sopra dei 6 anni dovrebbe fare? a) 30 minuti di attività fisica intensa 3 volte la settimana e 30 minuti

di attività fisica leggera tutti i giorni b) 30 minuti di attività fisica moderata-vigorosa 3 volte la settimana e

60 minuti di attività fisica leggera tutti i giorni c) 60 minuti di attività fisica moderata-vigorosa 3 volte la settimana e

30 minuti di attività fisica leggera tutti i giorni d) 60 minuti di attività fisica moderata-vigorosa tutti i giorni. 5) I genitori devono lavare i denti del bambino da quale età? a) da 1 anno b) da 2 anni c) da 3 anni d) da 4 anni

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6) Ogni quanti mesi è consigliabile cambiare lo spazzolino da denti a) ogni mese b) ogni 2-3 mesi c) ogni 3-4 mesi d) ogni 4-5 mesi 7) Il filo interdentale e lo scovolino a) non sono importanti per una corretta igiene orale b) sono importanti solo se si ha una particolare predisposizione alla

carie c) Sono importanti per una corretta igiene orale ma solo dopo la

sostituzione dei denti decidui d) Sono importanti per una corretta igiene orale ma solo dopo i 4 anni Le risposte e le nostre osservazioni sono a pag. 53

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Saggia la tua preparazione: osservazioni e risposte

1) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Il medico inizia bene il colloquio (con una domanda aperta) ma poi non lo conduce bene perché non cerca di capire come sta effettivamente la situazione, formula domande che sembrano retoriche e quindi irritanti (il medico appare convinto che la madre lo vuole fare mangiare più di quanto ha bisogno e/o che il bambino mangia tra un pasto e l’altro), cerca di tranquillizzare la madre con la visita e la misura del peso (l’ennesima?) senza mostrare di capirla e accoglierla. Una conduzione migliore del colloquio poteva essere la seguente: - Medico: “Allora come andiamo?” - Mamma: “Male: questo bambino non vuole mai mangiare” - Medico: “Quali alimenti non vuole mangiare?” - Mamma: “Le verdure non vuole nemmeno vederle e così i legumi e poi mangia pochissimo di tutto il resto e mi lascia tutto nel piatto” - Medico: “Capisco. La cosa la irrita.” - Mamma: “Mi snerva. Uno cucina e rimane tutto nel piatto” - Medico: “Ha ragione, è molto frustrante. Mi può descrivere una giornata di suo figlio rispetto all’alimentazione: cosa mangia a colazione, tra un pasto e l’altro, a pranzo, come avvengono i pasti in famiglia?”. 2) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Il colloquio è abbastanza ben condotto: il medico è chiaro, preciso, ascolta e risponde puntualmente alle domande della mamma. Sarebbe stato preferibile non utilizzare il verbo dovere (“A questa età deve ...”, “deve usare un dentifricio...”) e motivare di più la mamma. Lo si poteva condurre così: - Medico: “Signora, ha già iniziato a lavare i denti al bambino?” - Mamma: “No, perché già si lavano così piccoli?”. - Medico: “Sì, perché si è visto che è importante iniziare a lavare i denti fin da molto piccoli, per non farli ammalare (la carie dei denti di latte può essere molto dolorosa) e per abituarlo a lavare i denti in maniera corretta quando sarà più grandicello. Ha perplessità?”. - Mamma: “No, ma come devo fare?”. - Medico: “Compri uno spazzolino morbido per bambini e dopo mangiato gli lavi delicatamente i denti. Poi se il bambino vuole provare a lavarli da solo lo lasci provare, così piano piano si impratichisce e si abitua a lavarsi i denti” - Mamma: “E devo mettergli il dentifricio? Quale? E se se lo ingoia?”

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- Medico: “Il dentifricio non è necessario. Se vuole può anche mettergliene poco poco. Non si preoccupi se lo ingoia: solo se ne ingoia molto e tutte le volte che si lava i denti allora conviene usare un dentifricio senza fluoro”. 3) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Il colloquio inizia bene perché il pediatra gratifica il ragazzo (“Allora mi hai detto che vuoi dimagrire. Bene”), ma poi non lo conduce bene. La frase “Stiamo parlando io e te come due persone adulte” è retorica, perché tra persone adulte se l’interlocutore si mostra perplesso se ne chiede il motivo (mentre chiedere perché guarda la mamma significa dirgli che lui non è un adulto). Egli inoltre mette in atto una triangolazione: invece di parlare con il ragazzo parla di lui in terza persona con la madre (“Allora se vuole dimagrire, ci vuole una buona dieta, adatta a lui, e la giusta attività fisica. Per prima cosa devo sapere cosa mangia e quanto si muove”). Il pediatra non è empatico, non mostra di comprendere lo stato d’animo del ragazzo e la difficoltà in cui si trova. Non comprende il messaggio che gli trasmette con la frase “Anche all’ASL l’anno scorso mi hanno detto la stessa cosa. E non è servito a niente”, a cui risponde come se si mettesse in dubbio la sua professionalità. Nello scambio di battute finali si “combatte” per chi ha l’ultima parola, essendosi ormai verificato un conflitto comunicativo/relazionale tra medico e ragazzo. Il pediatra sembra che si sia fatto prendere da modalità comunicative istintuali e abitudinarie e non si sia concentrato sull’obiettivo: mobilizzare le risorse del ragazzo per fare in modo che riesca a dimagrire. Una conduzione migliore del colloquio poteva essere la seguente: - Medico: Mi hai detto che vuoi dimagrire. Bene. Allora per poterti dare una dieta per prima cosa devi compilare questo diario alimentare. Per 3 giorni devi segnare su questo foglio tutto quello che mangi. - Ragazzo (fa un’espressione infastidita e guarda la madre) - Medico: Qualcosa non va? Vuoi dirmi qualcosa? - Ragazzo (è imbarazzato e continua a stare zitto) - Madre: Dottore lui vuole dimagrire. Vero caro? Dillo. - Medico: Si, di questo ne sono sicuro. Però c’è qualcosa che non ti convince. Dì liberamente quello che pensi. Per me è molto importante sapere tu come la pensi. - Ragazzo: Anche all’ASL l’anno scorso mi hanno detto di fare il diario. E non è servito a niente. - Medico: Capisco. Hai paura che anche questa volta non serva a niente. E così? - Ragazzo: Si.

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- Medico: Capisco il tuo stato d’animo: è brutto non sapere se ci si riuscirà. Temi di fare dei sacrifici per niente. E’ così? - Ragazzo: Non è facile seguire una dieta. - Medico: Hai ragione. Per noi medici dare una dieta è facile, ma per chi la deve seguire è molto più difficile. - Ragazzo (sorride) - Medico: Mi chiedo cosa pensi che sia più utile per te e cosa io posso fare per aiutarti. - Ragazzo: Io ho bisogno di non avere tentazioni e di essere capace di dire no quando vedo qualcosa da mangiare. Non riesco a resistere quando ci sono tante cose buone da mangiare. -Medico: Capisco, è difficile. Quando ci sono queste tentazioni, queste “tante cose buone da mangiare”? 4) Colloquio ben condotto o mal condotto e perché? Primo caso Il pediatra è troppo sbrigativo, non indaga cosa la mamma sa e non sa, come si comporta; non motiva sufficientemente, dà indicazioni poco puntuali (“lo sorvegli sempre”) e quindi poco efficaci. Sembra non molto determinato a realizzare gli obiettivi che si propone (prevenire gli incidenti, far smettere di fumare). Una conduzione migliore del colloquio poteva essere la seguente: - Medico (finita la visita ad un bambino di circa un anno): Tutto bene. Il bimbo cresce bene e non ci sono problemi. Mi ha detto che gattona, eh? - Mamma: Si, da un poco. - Medico: Bene. Questa è un’età nella quale è molto facile che il bambino possa farsi male, talvolta anche con conseguenze gravi. Per questo vorrei che lei leggesse con molta attenzione questo volantino. Vede, c’è scritto quali sono gli incidenti più frequenti e i pericoli da cui stare attenti e cosa fare per prevenirli: è importante sorvegliare sempre il bambino, ma anche rendere la casa più sicura. - Mamma: Grazie. (guarda il volantino) - Medico: Ha problemi nel mettere in pratica i consigli indicati? - Mamma: E’ che il bambino non sta sempre con me, ci sono la baby-sitter e i nonni. - Medico: Faccia leggere questo volantino anche a loro, e poi, come dicevo, è molto importante rendere la casa più sicura: se la casa è più sicura, è più difficile il bambino si faccia male, con chiunque stia . - Mamma: Si. - Medico: C’è qualche altro problema o qualche cosa che vuole dirmi? - Mamma: No, mi sembra tutto chiaro. - Medico: Bene. Se ha qualche problema ne possiamo riparlare. Lei stava cercando di smettere di fumare, come stiamo andando? - Mamma: Male, non ce la faccio a smettere ...

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- Medico: Come mai? - Mamma: Vorrei smettere, so che fa male a me e al bambino, ma non ce la faccio, ne ho proprio bisogno. - Medico: Visto che non ce la fa, perché non si fa aiutare. Che ne pensa di partecipare a un corso antifumo? - Mamma: Non credo di averne il tempo e la voglia. - Medico: Allora provi a prendere queste gomme alla nicotina ogni volta che ha voglia di fumare (scrive su una ricetta: “Smetta di fumare. Prenda ....). Poiché la sua difficoltà di smettere dipende anche dalla dipendenza fisica che dà la nicotina, con le gomme si è visto che si può superare più facilmente la dipendenza e riuscire a smettere di fumare. - Mamma: Non è che fanno male? - Medico: Molto, ma molto meno della sigaretta, che oltre alla nicotina contiene tante sostanze tossiche e cancerogene. - Mamma: Va bene proverò. - Medico: Brava. Ho fiducia che si impegnerà e che con l’aiuto di queste gomme ce la possiamo fare. Le fisso un appuntamento tra 15 giorni così mi dice come sta andando. 5) Dai la risposta giusta 1) La motivazione (cioè quanto si ritiene importante cambiare comportamento) e l’autoefficacia (cioè quanto ci si ritiene capaci di mettere in atto quel determinato comportamento) 2) La risposta è d. Infatti dare suggerimenti (risposta a) o spiegare perché è importante (risposta b) non ha senso, essendo il soggetto non motivato e consapevole dei rischi. Inoltre probabilmente nell’assistito si determinerebbero irritazione e atteggiamenti di chiusura . La frase proposta nella risposta c è preferibile riservarla a chi ha dato un punteggio tra 2 e 9. Nel caso l'assistito dia un punteggio 0-1 e abbia consapevolezza dei rischi (caso in cui cioè esistono forti motivazioni personali a non cambiare) il soggetto potrebbe sentire questa frase come invadente e chiudersi. La frase riportata nella risposta d è rispettosa del paziente, lo responsabilizza e dimostra la nostra disponibilità ad aiutarlo. 3) Per far capire all’assistito che ha più opzioni di quelle che immagina per realizzare lo scopo che ci si propone e che spetta a lui scegliere le più adatte. Infatti un soggetto potrebbe avere una bassa autoefficacia a mettere in atto un determinato comportamento (esempio mangiare meno dolciumi) ma un’alta autoefficacia per un altro comportamento (es. bere meno bibite, mangiare meno salumi ecc.) che realizza il medesimo scopo (diminuire di peso). Bisogna allora far capire all’assistito che non esiste una sola soluzione ma un ventaglio di

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possibili interventi e che si ha fiducia che lui, tra varie strategie e azioni, trovi quella che più gli si adatta. E’ quindi il paziente che deve scegliere quello che reputa per lui possibile e non il medico, che deve solo prospettare possibili azioni, facilitare la decisione, incoraggiare. 6) Dai la risposta giusta 1) Falso. E’ sempre il professionista che deve guidare il colloquio, mantenendolo nei binari di una relazione medico-paziente. 2) Falso. Consiste nell’ascoltare con attenzione, interrompendo il proprio silenzio di tanto in tanto con espressioni quali: “Si”, “Capisco”, “Ah”, “Mh” ecc. 3) Vero 4) Falso. Se lascia una frase a metà conviene ripetere la frase lasciata a metà per far comprendere che stiamo ascoltando con attenzione e che lo invitiamo a continuare. 5) Chiedere che informazioni ha già ricevuto in proposito e cosa sa, e successivamente dare le informazioni che il paziente non ha e che possono essere utili. Chiedere ciò che ha provato a fare e che difficoltà ha e successivamente prospettare possibili soluzioni. 7) Dai la risposta giusta a) Non corretta, perché la parola “Vero” a fine frase tende a suggerire la risposta affermativa. b) Non è corretto porre più domande di seguito (in questo caso 2) perché il soggetto risponderà solo ad alcune di esse (ed è probabile che risponderà solo a quelle che lo mettono meno in difficoltà). c) E’ questa una domanda aperta, l’ideale per iniziare un colloquio. d) Le frasi di svelamento (io ti dico come realmente tu sei) sono da evitare perché irritano l’interlocutore che tende a chiudersi e a sviluppare atteggiamenti oppositivi. e) Frase inutile: non sarà certo ordinando o consigliando un sentimento che questo si determinerà. f) Questa frase tende a chiudere la comunicazione. g) Questa frase dovrebbe essere sempre essere detta verso la fine di un colloquio. h) Frase di svelamento (io ti dico come realmente tu sei) da evitare perché irrita l’interlocutore che tende a chiudersi e a sviluppare atteggiamenti oppositivi. i) Frase di svelamento (io ti dico come realmente tu sei) per di più usando il registro dell’ironia che è un registro che può ulteriormente irritare. j) Frase appropriata perché dimostra interesse per l’altro, cerca di

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capire i motivi della preoccupazione e rende possibile l'eventuale loro confutazione, inoltre spesso la semplice verbalizzazione delle preoccupazioni è di sollievo. k) Frase di minaccia e di chiusura: da evitare. 8) Dai la risposta giusta a) Tra quelle indicate questa è la risposta meno appropriata, perché la mamma è già consapevole che per il suo bene dovrebbe dirgli di no ed è proprio questa difficoltà che sta comunicando al medico per avere un aiuto. Con questa risposta egli tende a colpevolizzare la madre. b) Questa risposta ripete quello che la madre ha detto. Anche se ciò dimostra che si è ascoltato non è la risposta più appropriata. c) Con questa risposta il medico, ancor prima di indagare i motivi del comportamento della madre, dice cosa ella deve fare, per cui non è una risposta appropriata. d) Questa è la risposta più appropriata perché sinteticamente ripete quello che la madre ha detto, dimostrando di averla ascoltata con attenzione, trasmette che si è compreso il suo stato d’animo, la si invita a esplicitare i motivi di questo comportamento così da elaborare una strategia per superare questa situazione. 9) Dai la risposta giusta “Tu dici, io ascolto e uso quello che tu dici, quindi faccio un’ipotesi e chiedo tu che ne pensi, noi concordiamo delle cose da fare”. 10) Dai la risposta giusta 1) c; 2) margarina dura (65%), burro e olio di palma (48%), formaggi (13-25%), merendine (5-20%), salumi (5-15%), tuorlo d’uovo (10%), carni grasse (5-10%); 3) d; 4) d; 5) a; 6) b; 7) c

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Guida alla valutazione del colloquio con l’assistito

(Calgary-Cambridge modificata. Quaderni ACP 2006 n° 5) (Per “assistito” si intende: il bambino; la madre; altri adulti significativi eventualmente presenti al colloquio. Pertanto, ciascuno dei successivi elementi va riferito a ognuno di questi interlocutori). INIZIO DEL COLLOQUIO 1. Accoglie con calore, dimostra interesse e rispetto. Fa in modo che sia comodo. 2. Esamina e conferma la lista di problemi del paziente e del medico: Esempio: “Quindi, mal di testa, febbre. C’è nient’altro di cui mi vuol parlare?”, oppure “Oggi ci vediamo per il bilancio di salute, quindi…”. 3. Concorda un’agenda tenendo conto del punto di vista di entrambi (medico e paziente). STRUTTURAZIONE DEL COLLOQUIO 1. Al termine di un argomento, riassume per verificare la propria comprensione di ciò che il paziente ha detto e per accertarsi di non aver omesso dati importanti. 2. Passa da un argomento all’altro usando formule di transizione. Aggiunge il razionale dell’argomento successivo. 3. Struttura il colloquio in sequenze logiche: a) divide il colloquio in sezioni contenute, sviluppando una sequenza logica; b) esplicita le sequenze e gli steps; per es: ”Ci sono tre cose importanti di cui vorrei discutere. Primo… ora faremo…”. ESPLORAZIONE DEI PROBLEMI (TECNICHE CONVERSAZIONALI DI BASE) 1. Incoraggia il paziente ad esporre con le proprie parole il problema dall’inizio, sino a chiarire il motivo della consultazione. 2. Usa domande aperte e chiuse, procedendo dalle aperte alle chiuse. 3. Ascolta attentamente, permette al paziente di completare il proprio racconto senza interruzioni e permette al paziente di pensare prima di rispondere o proseguire. 4. Facilita le risposte del paziente sia verbalmente che non verbalmente (uso di incoraggiamenti, del silenzio, di parafrasi, ripetizioni, riformulazioni). 5. Usa domande concise, facilmente comprensibili. Evita i termini tecnici o li spiega adeguatamente. 6. Chiede chiarimenti o approfondimenti. Esempio: ”Può spiegare cosa intende per…?”.

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ESPLORAZIONE DEL MONDO INTERNO DEL PAZIENTE 1. Esplora le idee del paziente e le sue opinioni circa le cause. 2. Esplora le preoccupazioni (compresi le paure e gli effetti sugli stili di vita) legate al problema. 3. Incoraggia l’espressione dei sentimenti e dei pensieri. 4. Accoglie le aspettative del paziente circa ogni problema. 5. È attento alle espressioni verbali e non verbali del paziente come le posture, le espressioni del viso, il tono della voce ecc. (in particolare del bambino: vedi griglia specifica ECNV). ATTITUDINE EMPATICA DEL MEDICO 1. Assume un comportamento non verbale appropriato (contatto visivo, postura, movimento, espressione del viso, tono della voce). 2. Se legge, prende appunti o usa il PC, lo fa in modo da non interferire con il dialogo e il rapporto. 3. Legittima il punto di vista del paziente, non giudica. 4. È in empatia con il paziente e lo sostiene. Per esempio: esprime interesse, comprensione, desiderio di fornire aiuto e valorizza gli sforzi del paziente per superare il problema e l’appropriatezza delle soluzioni provate. 5. Tratta con sensibilità gli argomenti imbarazzanti e il dolore fisico. 6. Assume un atteggiamento confidenziale e rilassato. 7. Condivide con il paziente i propri pensieri quando adatti a coinvolgerlo. Esempio: “Ciò che sto pensando ora è…”. INFORMARE 1. Dà informazioni in quantità assimilabili, ne verifica la comprensione, usa la risposta del paziente come guida per procedere. 2. Chiede al paziente quali altre informazioni possono essergli utili, per esempio riguardo all’eziologia e alla prognosi. 3. Evita di dare informazioni, avvertimenti o rassicurazioni anzi tempo. 4. Dà informazioni in modo chiaro, ordinato, evitando termini tecnici o spiegandoli. 5. Usa strumenti visivi per veicolare le informazioni: diagrammi, modelli, istruzioni scritte… SPIEGARE 1. Offre un parere circa quello che sta succedendo e, se possibile, ne dà una definizione. 2. Chiarisce quale è il razionale del proprio parere. 3. Spiega la causa, la serietà, l’esito atteso, le conseguenze a breve e lungo termine. 4. Verifica la comprensione da parte del paziente di ciò che è stato detto.

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5. Fornisce spiegazioni chiare sulle indagini e procedure diagnostico-terapeutiche, compreso ciò che il paziente proverà e come sarà informato dei risultati. 6. Correla le procedure al piano terapeutico: significato e aspettative. 7. Fornisce spiegazioni circa i trattamenti offerti: nome, effetti collaterali, vantaggi e svantaggi… 8. Sollecita commenti da parte del paziente sull’accettabilità, la fattibilità, le perplessità, le difficoltà; incoraggia domande e pensieri circa potenziali ansie o possibili esiti negativi. NEGOZIARE E PROGRAMMARE 1. Discute le opzioni, cioè: indagini, terapia medica o chirurgica, nessuna terapia o cura, trattamenti non farmacologici (fisioterapia, ausili protesici…), misure preventive. 2. Valuta la comprensione e l’accettabilità del programma terapeutico. 3. Ottiene il punto di vista del paziente su ciò che ritiene necessario per procedere, indagando eventuali barriere. Incoraggia il paziente a contribuire con le proprie idee, suggerimenti, preferenze… Accetta e prende in considerazione, se necessario, punti di vista alternativi. 4. Tiene conto dello stile di vita del paziente, del suo retroterra culturale, della sua rete di supporto sociale e valuta la disponibilità di altri aiuti. 5. Incoraggia il paziente a responsabilizzarsi e ad avere fiducia in se stesso. 6. Coinvolge il paziente dando suggerimenti più che prescrizioni. 7. Negozia un programma accettabile da entrambe le parti. 8. Offre alternative. 9. Verifica l’accettazione del programma da parte del paziente. 10. Incoraggia il paziente a discutere ulteriori particolari. Esempio: “Ci sono domande che vorrebbe farmi o qualcosa che le piacerebbe discutere ulteriormente?”. CHIUSURA DEL COLLOQUIO 1. Riassume brevemente. 2. Fissa con il paziente i successivi passaggi e controlli. 3. Chiude in modo sufficientemente sicuro e spiega possibili esiti inaspettati: cosa fare se il piano non funziona, quando e come cercare aiuto. Quaderni ACP 2006 n° 5

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Regoli della disponibilità al cambiamento

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INDICE

Prefazione Pag. 3

I consigli del medico sono efficaci per promuovere comportamenti salutari? Pag. 5

Il consiglio breve Pag. 7

La comunicazione medico-paziente per la promozione di stili di vita sani Pag.10

Come condurre un colloquio applicando il modello degli stadi di cambiamento Pag. 13

Il colloquio con i pazienti poco disponibili a cambiare Pag. 15

Rilevare l’autoefficacia e aumentarla Pag. 17

L’ascolto attivo Pag. 20

La comunicazione non verbale Pag. 23

Le modalità di comunicazione controproducenti Pag. 26

L’importanza della narrazione e del buon uso del tempo Pag. 27

Come utilizzare volantini, opuscoli ecc. Pag. 29

Raccomandazione per una corretta alimentazione per la popolazione italiana Pag. 31

L’igiene orale Pag. 35

La prevenzione degli incidenti Pag. 37

Guida alla valutazione del colloquio con l’assistito Pag. 54

Regoli della disponibilità al cambiamento Pag. 57

Saggia la tua preparazione Pag. 42

Saggia la tua preparazione: osservazioni e risposte Pag. 48

Bibliografia Pag. 58

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Testo di Pio Russo Krauss e Ilaria Cione