IL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA E LE...

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1 IL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA E LE BATTAGLIE CONTRO LA CRISI Il Partito Sociale come strumento di emancipazione collettiva dentro e contro la crisi della politica: Gruppi di Acquisto Popolare contro il carovita, Brigate di Solidarietà Attiva, Casse di Resistenza, Sportelli Sociali Anticrisi, dentista sociale, scuole popolari, autorganizzazione sociale, mutualismo, fondi di solidarietà, case del popolo... un agire politico e sociale reale e concretoUTILI, RADICALI E POPOLARI DENTRO LA CRISI Come nasce il partito sociale e il suo sviluppo In ques anni di crisi siamo assistendo ad un progressivo peggioramento delle condizioni di vita complessive dei ciadini: disoccupazione di massa, licenziamen, deregolamentazione del mercato del lavoro con il corrispondente aumento della flessibilità lavorava.... un’erosione connua e costante di quello stato sociale fruo di decenni di loe e di conquiste del movimento operaio. L’elenco sarebbe oltremodo lungo, come è lunga l’analisi delle cause che ci hanno portato a questo disastro economico e sociale; sommariamente potremmo dire che ci troviamo di fronte alla più feroce ristruurazione capitalisca dalla fine della seconda guerra mondiale: la globalizzazione e l’ideologia liberista, con un enorme processo di finanziarizzazione dell’economia permesso dalla progressiva cancellazione delle regole e dei vincoli vigen nella fase precedente, ci hanno messo in una situazione dove il mercato sarebbe l’unico regolatore di tuo, ed in cui le stesse costuzioni democrache divengono un ostacolo da eliminare. Le reazioni alla crisi sono state spesso confuse, finendo per alimentare demagogia e populismo e la rinascita del razzismo e di forme di xenofobia che sembravano dimencate. Ci si è sen soli, inadegua di fronte a meccanismi che sono sembra invincibili, stritolan, ingovernabili e spesso “naturali”. E questo senmento ha portato ad una rabbia ed una protesta fine a se stessa, al “vaffanculo” a priori, senza una reale prospeva polica e sociale, alla ricerca dell’uomo dei sogni, del salvatore della patria pronto a sistemare tuo con i suoi poteri, finendo per alimentare rancore, paura e livore. Di fronte a tuo ciò cosa ha fao Rifondazione Comunista? In ques anni si è (volutamente) cercato di far passare l’idea che i comunis e Rifondazione Comunista fossero qualcosa di inule, un ferro vecchio, perché tanto le ideologie non servono più, né destra né sinistra (vecchio slogan che le formazioni neofasciste degli anni ‘70 già ulizzavano, ma volendo si può risalire anche fino al fascismo sansepolcrista). Si è cercato di far credere che si traasse di categorie sociali sorpassate, perché oggi abbiamo il ‘nuovismo” armato di slides e di innovazione; in generale si è voluta dare un’immagine di una sinistra radicale chiusa in se stessa, nei suoi circoli, lontana dalla realtà e dai drammi sociali, impegnata a trovare il modo per tornare ad occupare le poltrone parlamentari. Ma è veramente questa la realtà? No, la realtà è differente. Perché la realtà parla di una Rifondazione Comunista che non è stata ferma ed inerte di fronte alle difficoltà e ai drammi del popolo della crisi; la realtà parla invece della creazione e dello sviluppo di tua una serie di prache di resistenza sociale, di autorganizzazione, mutualische e solidali, dai gruppi di acquisto popolare contro il carovita, al doposcuola gratuito, agli sportelli sociali e ancrisi, il densta sociale, le scuole d’italiano per migran, le casse di resistenza per sostenere le loe degli operai. In due parole: il Parto Sociale. Tuo comincia nel 2008, con la vendita del pane ad 1 euro al chilo per combaere il carovita e con la nascita delle Brigate di Solidarietà Ava per far fronte all’emergenza del terremoto in Abruzzo. Nel silenzio dei media, troppo occupa a versare fiumi d’inchiostro sui sospiri del salvatore della patria di turno, Rifondazione Comunista ha compreso come la crisi e la sua drammacità possano trasformarsi in uno spazio dove l’ancapitalismo e la demercificazione possono riconoscersi, e ha ulizzato le sue risorse (limitate economicamente ma infinite in quanto a generosità dei suoi militan) e la sua capacità di coinvolgere altre soggevità rispettandone l’autonomia (comita, associazioni, movimen) per avviare un processo a spirale tra un sociale che si policizza e un polico che si socializza araverso forme di cooperazione. Una ricostruzione di un “noi” collevo araverso forme di solidarietà concreta e la partecipazione reale ai confli e alle vertenze; una modalitá dell’azione polica che costruisce un luogo d’incontro a parre dal fare sociale che lavora per l’autorganizzazione sviluppando forme di neomutualismo, di solidarietà, in rapporto direo con le vertenze, con i confli sociali, con le loe e con le re sociali esisten e in via di formazione. In ques anni, soprauo in Italia, si sono determinate da un lato l’assenza di una vera e propria azione colletva e dall'altro l'affermazione di processi costan e connui di individualizzazione delle masse, per cui la gente pensa ad un ”noi” solo araverso un “io”. Si creano momen di mobilitazione colleva, ma in maniera assolu tamente saltuaria e spesso inconsistente, su temi del tuo diversi gli

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IL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA E LE BATTAGLIE CONTRO LA CRISI “Il Partito Sociale come strumento di emancipazione collettiva dentro e contro la crisi della politica: Gruppi di Acquisto Popolare contro il carovita, Brigate di Solidarietà Attiva, Casse di Resistenza, Sportelli Sociali Anticrisi, dentista sociale, scuole popolari, autorganizzazione sociale, mutualismo, fondi di solidarietà, case del popolo... un agire politico e sociale reale e concreto”

UTILI, RADICALI E POPOLARI DENTRO LA

CRISI

Come nasce il partito sociale e il suo sviluppo

In questi anni di crisi siamo assistendo ad un progressivo

peggioramento delle condizioni di vita complessive dei cittadini:

disoccupazione di massa, licenziamenti, deregola­men­tazione del

mercato del lavoro con il corrispondente aumento della flessibilità

lavorativa.... un’erosione continua e costante di quello stato sociale

frutto di decenni di lotte e di con­quiste del movimento operaio.

L’elenco sarebbe oltremodo lungo, come è lunga l’analisi delle cause

che ci hanno portato a que­sto disastro economico e sociale;

sommariamente potremmo dire che ci troviamo di fronte alla più

feroce ristrutturazione capitalistica dalla fine della seconda guerra

mondiale: la globalizzazione e l’ideologia liberista, con un enorme

processo di finanziariz­za­zione dell’economia permesso dalla

progressiva cancellazione delle regole e dei vincoli vigenti nella fase

pre­cedente, ci hanno messo in una situazione dove il mercato

sarebbe l’unico regolatore di tutto, ed in cui le stes­se costituzioni

democratiche divengono un ostacolo da eliminare.

Le reazioni alla crisi sono state spesso confuse, finendo per alimentare

demagogia e populismo e la rinascita del razzismo e di forme di

xenofobia che sembravano dimenticate. Ci si è sentiti soli, inadeguati

di fronte a mec­ca­nismi che sono sembrati invincibili, stritolanti,

ingovernabili e spesso “naturali”. E questo sentimento ha portato ad

una rabbia ed una protesta fine a se stessa, al “vaffanculo” a priori,

senza una reale prospettiva politica e sociale, alla ricerca dell’uomo

dei sogni, del salvatore della patria pronto a sistemare tutto con i suoi

poteri, finendo per alimentare rancore, paura e livore.

Di fronte a tutto ciò cosa ha fatto Rifondazione Comunista? In questi

anni si è (volutamente) cercato di far passare l’idea che i comunisti e

Rifondazione Comunista fossero qualcosa di inutile, un ferro vecchio,

perché tanto le ideologie non servono più, né destra né sinistra

(vecchio slogan che le formazioni neofasciste degli anni ‘70 già

utilizzavano, ma volendo si può risalire anche fino al fascismo

sansepolcrista). Si è cercato di far credere che si trattasse di categorie

sociali sorpassate, perché oggi abbiamo il ‘nuovismo” armato di slides

e di innova­zione; in generale si è voluta dare un’immagine di una

sinistra radicale chiusa in se stessa, nei suoi circoli, lon­ta­na dal­la

realtà e dai drammi sociali, impegnata a trovare il modo per tornare

ad occupare le poltrone parlamentari.

Ma è veramente questa la realtà?

No, la realtà è differente.

Perché la realtà parla di una

Rifondazione Comunista che

non è stata ferma ed inerte di

fronte alle difficoltà e ai drammi

del popolo della crisi; la realtà

parla invece della creazione e

dello sviluppo di tutta una serie

di pratiche di resistenza sociale,

di autorganizzazione,

mutualistiche e solidali, dai

gruppi di acquisto popolare

contro il carovita, al doposcuola

gratuito, agli sportelli sociali e

anticrisi, il dentista sociale, le

scuole d’italiano per migranti, le casse di resistenza per sostenere le

lotte degli operai. In due parole: il Partito Sociale.

Tutto comincia nel 2008, con la vendita del pane ad 1 euro al chilo per

combattere il carovita e con la nascita delle Brigate di Solidarietà Attiva

per far fronte all’emergenza del terremoto in Abruzzo. Nel silenzio dei

media, troppo occupati a versare fiumi d’inchiostro sui sospiri del

salvatore della patria di turno, Rifondazione Comu­ni­sta ha compreso

come la crisi e la sua drammaticità possano trasformarsi in uno spazio

dove l’anticapitalismo e la demercificazione possono riconoscersi, e ha

utilizzato le sue risorse (limitate economicamente ma infinite in quanto

a generosità dei suoi militanti) e la sua capacità di coinvolgere altre

soggettività rispet­tan­done l’autonomia (comitati, associazioni,

movimenti) per avviare un processo a spirale tra un sociale che si

politicizza e un politico che si socializza attraverso forme di

cooperazione.

Una ricostruzione di un “noi” collettivo attraverso forme di solidarietà

concreta e la partecipazione reale ai conflitti e alle vertenze; una

modalitá dell’azione politica che costruisce un luogo d’incontro a

partire dal fare sociale che lavora per l’autorganizzazione sviluppando

forme di neomutualismo, di solidarietà, in rapporto diretto con le

vertenze, con i conflitti sociali, con le lotte e con le reti sociali esistenti

e in via di formazione.

In questi anni, soprattutto in Italia, si sono determinate da un lato

l’assenza di una vera e propria azione collet­tiva e dall'altro

l'affermazione di processi costanti e continui di individualizzazione

delle masse, per cui la gente pensa ad un ”noi” solo attraverso un “io”.

Si creano momenti di mobilitazione collettiva, ma in maniera assolu­

tamente saltuaria e spesso inconsistente, su temi del tutto diversi gli

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uni dagli altri, per non parlare di un certo ingenuo richiamo a presunte

capacità salvifiche della rete e di internet. Di qui il partito sociale anche

come stru­mento per recuperare l’importanza dell’azione collettiva, per

non cercare più soluzioni individuali per pro­blemi collettivi, ma risposte

collettive per problemi individuali.

Non si tratta di una forma di associazionismo fine a se stessa in cui la

solidarietà, sganciata dalle lotte sociali e politiche, diventa solo un

palliativo (come avere il mal di denti e anziché curarsi prendere un

antidolorifico; dopo alcune ore l’effetto passa e il dolore ritorna perché il

problema non è risolto alla radice) o una forma di assistenzialismo di tipo

paternalistico (stile vecchia democrazia cristiana), né si tratta di copiare

la Caritas, ma piuttosto di creare attraverso l’azione collettiva le

condizioni affinchè non ci sia bisogno di chiedere l'elemo­sina. Acquistare

direttamente prodotti per redistribuirli tra gli associati, come fanno i Gap,

non è né carità né misericordia, ma un meccanismo elementare di

solidarietà tra eguali, di classe, che determina autorga­nizzazione e al

tempo stesso si trasforma in vertenza contro le speculazioni, contro il

carovita. Non un intervento verticale che determina forme di dipendenza

delle persone a cui diamo una mano, ma il tentativo di sviluppare spazi e

pratiche concrete dove dar voce a chi non ce l'ha; non lavorare per

soddisfare i bisogni sociali dei cittadini ma lavorare con i cittadini

partendo dai problemi della vita quotidiana per soddisfare i bisogni

sociali, organizzare la difesa dei lavoratori, disoccupati, precari, migranti,

ma anche delle partite iva, degli artigiani.

In questi anni ci hanno raccontato che i proletari e la lotta di classe non

esistono più e che di conseguenza il comunismo non è più attuale; in

realtà siamo in piena “guerra” di classe, con la differenza che la guerra la

stanno facendo i ricchi verso i poveri. E la stanno anche vincendo, come

ha beffardamente detto Warren Buffet, uno degli uomini piu ricchi al

mondo.

Ci è stato raccontato che le ideologie non esistono più o non servono più:

in realtà la fine dell’ideologia è una delle più robuste e articolate

ideologie in circolazione, perché è servita ad assicurare il dominio delle

politiche economiche neoliberiste e la loro legittimazione anche dal

punto di vista culturale ed ideale. Rifondazione Co­mu­nista con il partito

sociale si è impegnata in questi anni nella costruzione di pratiche

mutualistiche volte a resistere all’attacco portato al lavoro e ai diritti

sociali, costruendo una nuova politica di sinistra basata sul­

l’autorganizzazione dei soggetti sociali su tutti i terreni, anche culturali e

politici.

Un modello nuovo di partito interno al soggetto “sociale” che ridiviene

strumento per l’autoemancipazione collettiva delle classi popolari in

grado di coniugare forme e pratiche di resistenza sociale ed iniziativa

politica.

Oggi ci si vergogna di trovarsi o di cadere in situazioni di povertà o di

esclusione sociale, sentendosi quasi in colpa. Infatti questo modello di

società ci porta a credere che se non trovi lavoro o sei licenziato la colpa

è tua perché non sei stato all’altezza della “sfida”. Il partito sociale

ribalta questo modello e costruisce uno spazio in cui anche il più povero

può ricostruire la propria dignità, non mediante la carità ma tramite

l'associazionismo, passando da soggetto passivo a soggetto attivo,

rendendosi protagonista, attraverso forme di mutualismo, del processo

di riconquista della propria dignità.

Pratiche mutualistiche, neomutualismo, mutuo soccorso: ma cosa

significa?

Il termine compare nelle prime forme di organizzazione proletaria sin

dal 1800 e costituisce una difesa comune sperimentata dai lavoratori in

un’epoca in cui lo scontro con le classi dominanti non è mediato da

nessun poli­tico e non esiste nessun welfare. Si fa la cassa comune per

assicurarsi contro gli infortuni, ma soprattutto per tirare avanti durante

gli scioperi (in un'epocain cui gli scioperi erano illegali). Sono forme di

sopravvivenza che permettono alle strutture operaie di lotta di nascere

e crescere, ma sono anche forme di autogestione e di de­mo­crazia

diretta, che permettono alle rivendicazioni di farsi strada tramite la forza

del proletariato; oggi tutto il welfare, il sistema dell’educazione

pubblica, il sistema sanitario nazionale, perfino il diritto di sciopero

vengono messi in discussione e per questo si parla di nuovo mutualismo.

Ecco il punto centrale: costruire attraverso pra­tiche mutualistiche

solidali e di aiuto reciproco una difesa comune contro l’attacco del

capitale al welfare e ai diritti sociali.

Osvaldo Gnocchi Viani, padre delle Camere del Lavoro, affermava: ”Lo

scopo è di mettere i diseredati nelle condizioni di rilevarsi ed

emanciparsi da soli”. Creare le condizione attraverso il mutuo soccorso

(tutti per uno, uno per tutti) affinchè le persone siano capaci di sollevarsi

e di camminare con le proprie

gambe.

In questi anni Rifondazione

Comunista non ha fatto solo da

connettore tra le pratiche già

esistenti, ma ha con­tribuito a

crearne di nuove, generando strutture che si moltiplicano, distinte da

noi ma non distanti, e che lavo­rano conservando la propria autonomia.

Una gamba del partito esterna a Rifondazione ma non esterna al nostro

progetto complessivo, cioè costruire un vasto campo della sinistra di

classe in una prospettiva anti­capitalista ed ambientalista.

Oltre che per combattere la crisi, il partito sociale si rivela strumento per

combattere un altro nemico insidioso che in questi anni ha avuto campo

libero: l’individualismo “mascalzone”. Verso la fine del secolo scorso, un

sociologo acuto come Pierre Bourdieu era giunto alla conclusione che il

neoliberalismo imperante non era altro che la copertura di un

«immenso lavoro politico all’insegna di un programma di distruzione

sistematica di tutti gli spazi e gli organismi collettivi che si erano formati

nella società».

Il punto centrale è nel cambiamento del clima sociale che si è prodotto

durante il trentennio di neo-liberalismo trionfante e che ha due facce

principali. Da un lato si è perduta la fiducia nella possibilità di cambiare

l’ordine so­ciale in direzione di una più equa (egualitaria) distribuzione

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del reddito, della ricchezza e, conseguen­te­men­te, del potere. La

formazione di gigantesche aggregazioni di ricchezza, per di più, ha

spostato il luogo dello scontro sociale in un altrove che non si riesce più

a vedere concretamente. Dall’altro lato c’è il cedimento, non di rado

inconsapevole, all’ideologia dell’individualismo “mascalzone”, secondo

la quale, come affermò peren­toriamente l'ex premier conservatore

britannico Margaret Thatcher «il sociale non esiste, esistono solo gli

individui e i problemi li affrontano e li risolvono, se ne sono capaci, gli

individui».

Dall’antropologia sociale del nostro tempo è stata così estirpata la

dimensione sociale, l’inclinazione a ricercare soluzioni collettive ai

problemi che di volta in volta ci troviamo a condividere nel divenire della

società. Si è così celebrato il trionfo dell’iniziativa individuale,

dell’individuo “imprenditore di se stesso”, avulso da un contesto di

relazioni sociali e poco incline alla cooperazione, e, dunque,

abbandonato a un solipsismo che non ha tar­dato a mostrarsi come

l’anticamera della disperazione e della depressione.

Il bandolo della matassa, se si vuole ritrovare la via di azioni collettive

per tentare di porre rimedio alle situa­zioni di sofferenza, sta

probabilmente tutto qui. Bisogna ricostruire il gene dell’agire collettivo,

con tutti gli elementi che lo compongono e lo producono: la

condivisione, la cooperazione, la solidarietà. E lo si può fare solo a piccoli

passi, in una prospettiva di lungo periodo. Lo si può fare se le persone

riescono a ritrovare la convinzione che prendere la parola, agire in prima

persona all’interno di strutture collettive, può produrre mutamenti

sociali rilevanti. Lo si può e, forse, lo si deve fare a partire da interessi

circoscritti, da ambiti, anche territoriali, limitati, da gruppi di persone

sospinte da moventi diversi, ma con la piena consapevolezza che solo se

questi tentativi si riempiono di una voglia di futuro condiviso, se

ambiscono a comporre una visione, possono produrre quella massa

critica che è necessaria per dare un nuovo senso al cammino

dell’umanità. Il cam­biamento è sempre e necessariamente una

questione che investe la responsabilità dell’individuo e la sua voglia di

essere protagonista attivo; ma senza una visione collettiva, capace di

immaginare e desiderare un futuro di­verso, non si mettono in moto

quelle dinamiche vaste e profonde che determinano l’evoluzione della

società. Questa è l’idea del partito sociale: fare piccole trasformazioni

per preparare le grandi trasformazioni, rifondare il comunismo nel XXI

secolo.

Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere

instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo

comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente

(Karl Marx)

GRUPPI DI ACQUISTO POPOLARE CONTRO IL

CAROVITA

“La sovranità alimentare. Prima agire poi parlare”

I gruppi di acquisto po­po­lare (GAP) nascono nel 2008 su iniziativa di

Rifondazione Comunista per combattere il caro-vita e la speculazione e

sostenere le fascie più deboli. I GAP sono reti di cittadini che si uniscono e

decidono l'acquisto collettivo di beni e servizi. Il tutto è regolato per

legge: i GAP non fanno vendita e non hanno scopo di lucro, ma

con­trat­tano i prezzi direttamente con i produttori e poi creano una rete

di distribuzione alter­nativa a quella delle grandi catene. I GAP (oramai

presenti su tutto il territorio nazionale) sono nati sulla spinta della

necessità sempre più impellente di combattere il carovita: molti hanno

iniziato la loro attività distri­buendo pane a prezzo calmierato (1 euro al

kg), per poi estendersi anche ad altri prodotti.

Perchè partire dal pane?

Innanzitutto per l'alto valore simbolico di questo alimento essenziale, ed

anche per combattere la bolla speculativa attorno al grano e derivati; per

chi non lo sapesse, il grano è quotato in borsa e da qui nascono le

speculazioni su un elemento vitale per l'uomo che ogni governo

dovrebbe invece garantire a prezzo calmierato e popolare.

I Gruppi d' Acquisto mirano proprio a raggiungere tale scopo: dimostrare

che può esistere un commercio a prezzo stabilito tra le parti (produttore

e consumatore), un commercio in cui chi produce e chi consuma hanno

un rapporto diretto e di fiducia.

Con il gruppo di acquisto popolare si ribalta la logica della coperta corta

che mette i ceti popolari l'uno contro l'altro: non conta se sei clandestino

o italiano, più si è meglio è, perchè meglio si contratta il prezzo con il

produttore.

Questo è quanto è avvenuto per il GAP romano, che è riuscito ad

abbassare il prezzo del pane da 1.10 ad 1 euro al kg in una settimana,

passando da un ordinativo di 800 kg a uno di 1150 kg di pane. Si può

immaginare cosa significhi per un precario, un disoccupato o un

pensionato in difficoltà per arrivare alla fine del mese avere la possibilità

di fare la spesa a prezzi calmierati, oltre che poter acquistare prodotti

biologici e sani poiché nelle ordinazioni vengono seguiti una serie di

criteri etici.

Non solo: un altro aspetto importante è la possibilità di poter condividere

tali pratiche, superando quel senso di solitudine, di atomizzazione

dell’individuo. Ad oggi Rifondazione Comunista è riuscita a promuovere,

grazie al lavoro di militanti e volontari esterni, più di 160 gruppi di

acquisto popolare in tutta italia.

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LE BRIGATE DI SOLIDARIETA’ ATTIVA “Uniti siamo tutto, divisi siam canaglie”

Camera del Lavoro di Reggia Emilia primi anni del 900

Le Brigate di Solidarietà Attiva furono create su iniziative di Rifondazione

Comunista nel 2009 per far fronte all’emergenza seguita al terremoto in

Abruzzo, quando volontari accorsi da tutta italia si trovarono a costruire

e a gestire tre ten­dopoli insieme agli abitanti del luogo; da allora le

“BSA” sono cresciute, moltiplicandosi ed acquisendo una propria

autonomia, divenendo “soggetto distinto ma non distante” da Rifonda­

zione Comunista e strutturandosi come federazione di associazioni con

una forte autonomia territoriale e locale. Fin da subito l’attività delle BSA

si è differenziata dai vari interventi caritatevoli e interessati, con

un’immediata presa di distanza dalle politiche corrotte della

ricostruzione, con l’evoluzione di un modello organizzativo che vede

nell’orizzontalità del meccanismo decisionale e nelle pratiche condivise e

replicabili le sue caratteristiche più forti, mirando alla costruzione dal

basso di una coscienza critica verso i meccanismi attraverso i quali lo

sfruttamento può esistere e propagarsi, portando avanti

una solidarietà funzionale alla lotta di classe contro il

sistema politico e socio-economico attuale, mirando al

ribaltamento dell’attuale modello di società tanto

individualista nelle aspirazioni quanto conformista nei

valori.

Rimboccarsi le maniche e offrire ognuno, secondo le

proprie responsabilità, il proprio contributo alla costru­

zione di momenti di autorganizzazione popolare ed allo

svelamento delle contraddizioni sociali.

Le BSA rivolgono particolare attenzione alle problematiche socio-

economiche, attivandosi nelle situazioni di emergenza, portando aiuto

pratico per risolvere i problemi immediati, ma con una precisa ottica

politica: cercare di organizzare spazi di lotta e di emancipazione di lungo

periodo. La forma organizzativa ha un primo livello territoriale in piena

autonomia dalle altre BSA, che porta avanti le proprie lotte e progetti

quotidiani nel territorio.

Molteplici sono stati in questi anni gli interventi delle BSA, a cominciare

dal sostegno dato nel sud Italia ai braccianti ed ai migranti vittime del

caporalato, con la creazioni dal nulla di veri e propri campi in cui i

volontari delle BSA si alternano periodicamente per dare sostegno ai

nuovi schiavi del XXI secolo. Così per esempio è accaduto nel basso

Salento dal 2011, con il sostegno al più importante sciopero

autorganizzato di braccianti stranieri, tutti africani, occupati nella

raccolta di angurie e pomodori sotto la sferza del sistema del caporalato

etnico; in collaborazione con l’associazione pugliese Finis Terrae nei

pressi di Nardò, l’area di una masseria abbandonata (Masseria Boncuri)

è stata trasformata in un centro di accoglienza. Centro di accoglienza

utiliz­zato anche come strumento per sensibilizzare i lavoratori migranti

in merito all’emersione del lavoro nero e per attivare processi di

emancipazione ed auto-organizzazione dal basso. In questo senso fin dal

2010 è stata organizzata dalle due associazioni la campagna «Ingaggiami

contro il lavoro nero».

L’esperienza della Masseria Boncuri si è rivelata un grande laboratorio

politico e sociale, ma molti sono stati gli interventi delle BSA, dalla

raccolta di farmaci per la clinica autogestita greca Hellenikon alle lotte a

fianco di lavoratori disoccupati e cassintegrati nelle fabbriche (come la

Frattini o l’Eutelia), dagli interventi fianco a fianco delle

popolazioni alluvionate della Liguria e della Sardegna alla

costituzione di un presidio-osservatorio permanente a

Lampedusa dove i volontari si alternano effettuando un

lavoro enorme di controinformazione e di supporto; o

ancora la campagna arance 2013/14 per sostenere i

braccianti e i piccoli produttori contro la grande

distribuzione organizzata. Tutta l’attività delle BSA si basa

sull’autofinanziamento e l’autorganizzazione, rigettando i

modelli assistenzialisti e caritatevoli. Partendo dall’iniziativa del PRC nel

2009 decine sono le BSA che si sono sviluppate su tutto il territorio

nazionale. Infine un’ultima curiosità, il nome brigate, un richiamo

fortemente ideale, quasi romantico, sia alle brigate partigiane che alle

brigate internazionali che combatterono nella guerra civile spagnola in

cui decine di migliaia di militanti accorsero da tutto il mondo come

volontari per la difesa della repubblica e della democrazia.

www.brigatesolidarietaattiva.blogspot.com

LE NUOVE CASE DEL POPOLO

“Nuove case di diritti”

Le case del popolo hanno la loro origine verso la fine dell’800, per

rispondere al bisogno popolare di realizzare in comune opere di

progresso che non si po­te­vano ottenere individualmente. Luogo

simbolo delle conquiste del movimento operaio, la storia delle case del

popolo è parte integrante della storia italiana, della sinistra, dei suoi

successi e delle sue sconfitte. Nelle case si sono formate generazioni di

uomini e donne che hanno costituito la spina dorsale del movimento

comunista e socialista, luoghi fisici, interamente pensati e costruiti con

l'intelligenza e la fatica di artigiani, operai e le loro famiglie, dove si

materializzavano gli ideali di una società diversa. E dunque luoghi in cui si

organizzavano attività sportive e ricreative, ma anche politiche, culturali e

di varie socializzazioni. Ma soprattutto si organizzavano le lotte

proletarie. Non a caso il fascismo volle distruggerle con la requisizione; in

seguito furono ridotte in molti casi a vuoti e meri esercizi commerciali e

travolte dalla fretta di liquidare il patrimonio genetico del movimento

comunista in Italia da parte della classe dirigente post comunista.

Rifondazione Comunista ha ripreso questa tradizione attraverso la

creazione di nuove case del popolo, come case di diritti in cui diventano

case dei popoli, luogo di incontri e scambi di culture, lingue, tradizioni e

convivenze.

Stanze dove iniziare a conoscersi e capirsi. Questo processo, in atto da

anni, conferma la vocazione di questi luoghi ad essere la prima frontiera

dell'accoglienza, il primo vero cantiere dove si esercitano - nella

concretezza dei momenti quotidiani - tolleranze ed integrazioni. Le Case

del popolo ospitano i Gap, scuole d’italiano per migranti, doposcuola

popolare per i bambini, mercatini dell’usato, sportelli sociali gratuiti;

sintomatico è l’esempio della casa del popolo “Meri Randazzo”di Mortise

a Padova, una ex-scuola abbandonata ed utilizzata come laboratorio

abusivo e clandestino per confezionare droga, occupata dal PRC di

Padova e restituita alla cittadinanza come spazio sociale, trasformando

un luogo abbandonato e preda della criminalità in uno spazio per attività

sociali. Le case del popolo come nuove case di diritti, di solidarietà, di

socialità, d’integrazione e di lotta.

Servizio del tg3 veneto dedicato alla casa del popolo di Mortise

www.youtube.com/watch?v=OjpL61TG5a0

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LE CASSE DI RESISTENZA Un’altra pratica di solidarietà che ci riporta

alle origini del movimento operaio per

sostenere le lotte, specie durante gli

scioperi, è la cassa di resistenza. Questo

strumento é in grado dare un aiuto

economico ai lavoratori impegnati in lotte e

vertenze, ma si può anche uti­lizzare per

sostenere le spese legali dei gruppi coinvolti

in episodi di repressione. Da molti anni il

PRC, collaborando con diversi soggetti, ha contribuito alla creazione di

diverse casse di resistenza. Non soltanto per esprimere solidarietà, ma

anche per cercare di tutelare mate­rial­mente e finanziariamente le

lotte portate avanti dai lavoratori, anche attraverso forme di sostegno

non direttamente economico (buoni pasto, mense popolari, cene di

autofinanziamento, ecc…), sostegno dato anche a singoli lavoratori

sottoposti a licenziamento politico o altri provvedimenti repressivi.

ARANCIA METALMECCANICA La campagna "Arancia

metalmeccanica" fu ideata dalla

Federazione della Sinistra (PRC

e PDCI) nel 2009 per sostenere

la lotta dei lavoratori

dell’Eutelia. La campagna

consiste nella vendita di arance

bio­logiche provenienti

direttamente da coltivatori

della Sicilia, il cui ricavato va a sostegno delle lotte dei lavoratori. 3 kg di

arance sono venduti a 5 euro, di cui metà vanno a sostenere le lotte e

metà ai contadini siciliani; quindi una campagna dalla doppia valenza,

doppiamente solidale, non solo per i lavoratori ma anche per i contadini

e i coltivatori, aiutandoli a non farsi strozzare dai prezzi capestro imposti

dal mercato e dalla grande distribuzione.

DENTISTA SOCIALE La grave crisi che imperversa oggi

nella società ha penalizzato in

maniera sempre più pesante molte

famiglie. Una delle prime spese che

è stata sacrificata per poter ”tirare

avanti” è senza dubbio quella del

dentista; per fornire un supporto

alle tante persone che sono

obbligate a rinunciare a curarsi (si

sa, le cure dentistiche costano…),

Rifondazione ha attivato, grazie

all’aiuto di alcuni dentisti sensibili

all’aspetto sociale, una rete di

ambulatori dove possono avere

accesso le persone che non hanno

la dispo­ni­bi­lità economica per affrontare le spese di cura. Nasce così

l’odontoiatria sociale, con la possibilità di fare visite e preventivi gratuiti,

e avere delle cure odontoiatriche a prezzi più abbordabili.

PARMIGIANO PARTIGIANO La campagna "Parmigiano partigiano" è stata promossa nel 2012 in

seguito al terremoto in Emilia per aiutare le aziende produttrici di

parmigiano che erano state danneggiate dal sisma. Da un articolo di

Francesco Piobbichi,

responsabile del dipartimento

oraganizzazione e pratiche

sociali del PRC in risposta alla

let­tera di uno dei caseifici

sostenuti.

Ci sono lettere che la grande

stampa non riporta perchè non

fanno notizia, ci sono storie

che molti dei nostri compagni

e delle nostre compagne

porteranno dentro raccontandole un domani ai loro figli o nipoti. Sono

storie di pratiche sociali, di solidarietà attiva, valori scritti nella storia che

nessun vento qualunquista cancellerà. Leggendo queste righe di

ringraziamento al nostro partito per il progetto "parmigiano partigiano",

scritte da parte del Caseificio Novese colpito dal sisma, ho provato

grande emozione, come l'hanno provata tutti i compagni e le compagne

che si sono adoperati per questa iniziativa. Il PRC come è successo

durante il terremoto aquilano è intervenuto nella bassa modenese,

tirandosi su le maniche, lavorando con altre associazioni per costruire

processi di autorganizzazione e dando una mano concreta a che ne aveva

bisogno. L'abbiamo fatto con umiltà, lontano dalle passerelle dei media,

mettendo a disposizione i pochi strumenti che abbiamo. Questa lettera

che ci ha inviato il Caseificio Razionale Novese ci dice che politica non è

solo comunicati stampa, che la sinistra quando fa la sinistra dimostra

ancora di essere la parte migliore del paese. Sentitevi orgogliosi

compagni e compagne della comunità che abbiamo costruito e teniamo

viva con il lavoro militante.

Il socialismo, diceva Che Guevara, è la scienza dell'esempio, continuiamo

così, con il popolo per il popolo contro la crisi.

CASEIFICIO RAZIONALE NOVESE S.C.A.

Via Provinciale 73

41016 NOVI DI MODENA

AL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA

AI GRUPPI DI ACQUISTO POPOLARE

Cari amici,

al termine di questa lunga e difficile estate desideriamo rivolgervi un

saluto ed un messaggio.

Il terremoto che ha colpito la nostra terra ha rappresentato un durissimo

colpo per la nostra azienda, mettendo in discussione la sua

sopravvivenza, con tutto ciò che questo poteva significare in termini di

scomparsa di decine di posti di lavoro e di un sapere professionale che ha

saputo negli anni produrre un Parmigiano di alta qualità. La grande

campagna di solidarietà da voi promossa nei nostri confronti e l’acquisto

di cospicue quantità di Parmigiano da parte dei Gruppi di Acquisto

Popolare e delle strutture territoriali del Partito della Rifondazione

Comunista ci hanno permesso di superare un momento di enorme

difficoltà e di metterci oggi nelle condizioni di potere affrontare il futuro.

Un’iniziativa, la vostra, che non si è rivolta solo a noi, ma che ha parlato il

linguaggio della solidarietà e del mutuo soccorso, valori che hanno

rappresentato per la nostra Emilia importanti e imprescindibili elementi

per il progresso sociale e civile.

Per tutte queste ragioni desideriamo esprimervi la nostra gratitudine,

sicuri che la nostra collaborazione continui anche nel futuro.

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AMBULATORI POPOLARI Ambulatori sociosanitari per migranti, rom, persone che non riescono o non possono usufruire del

sistema sociosanitario nazionale.

E’ da tempo in funzione una rete di “sportelli” i cui nodi sono presenti in numerose città italiane

(Genova, Milano, Pisa, Roma, Siena, ecc). In base alle singole problematiche territoriali – diverse per

un contesto metropolitano o uno di provincia – gruppi di lavoro hanno messo in piedi strutture

flessibili di intervento e di mediazione, anche sociolinguistica, volte a prestare cure specifiche (quindi

con la presenza di staff medici) ma, soprattutto, ad avviare le persone ad un rapporto con le istituzioni

publiche preposte. Non assistenzialismo quindi, ma reti di prote­zione sociale che invece di ricadere

nella logica di una privatizzazione e di una esternalizzazione di servizi, si pongono il problema di

trovare risposte efficaci a chi è in difficoltà. Il “disagio” diviene non elemento escludente ma molla per mettere insieme energie, competenze, risorse.

Il momento in cui si ricostruiscono relazioni sociali e a volte comunitarie che mirano a permettere a ciascuno di ricostruire una propria autonomia non

solo sanitaria ma fondamentalmente sociale.

LO SPORTELLO SOCIALE Gli sportelli sociali sono stati creati dal PRC innanzitutto come forma di mutuo soccorso per le

famiglie colpite dalla povertà e dalla disoccupazione, ma anche per fornire a studenti,

pensionati, lavoratori, disoccupati assistenza e consulenza personalizzata e qualificata nel

campo fiscale e delle agevolazioni sociali; il partito con l’aiuto di avvocati militanti, civilisti e

penalisti, offre consulenza gratuita e supporto legale a costi convenzionati sulle problematiche

generate o rese urgenti dalla crisi economico-sociale. Lo sportello agisce in vari ambiti:

locazione e disagio abitativo, assistenza giudiziale, assistenza pratiche amministrative (alloggi popolari, permessi di soggiorno, cittadinanza,

ricongiungimenti), assistenza crisi familiari (anche in alcuni casi con uno psicologo sociale).

RIPETIZIONI POPOLARI

La scuola pubblica italiana esclude quotidianamente gli studenti, soprattutto quelli provenienti da famiglie meno

abbienti. Dal momento in cui è stato introdotto l’obbligo di recuperare i debiti formativi prima dell’inizio

dell’anno, tanti studenti devono spendere centinaia di euro per poter accedere alle lezioni private; costi assurdi e

proibitivi per le tante famiglie che in questi anni sono state impoverite dalla crisi economica. Nasce da qui il

progetto delle ripetizioni scolastiche a prezzo popolare, come pratica sociale

contro la crisi economica, per dare una risposte ai gravi disagi materiali di cui

soffrono tanti studenti. Una pratica da intendere come strumento di lotta

contro le politiche di austerità che hanno operato tagli sempre più pesanti

alla scuola pubblica, impedendo così un vero esercizio del diritto allo studio.

Un'idea di mutualità dal basso, non per puro spirito di volontariato, ma in un'ottica di condivisione e libera

circolazione del Sapere.

MERCATINI DELL'USATO Questa esperienza rappresenta una prassi efficace sia nella lotta al caro-libri che in quello dell’autofinanziamento

dei progetti di solidarietà. Infatti i mercatini, adottando percentuali vantaggiose sia per l’acquisto (45% circa) che

per la vendita (50%), riescono ad offrire un servizio che permette agli studenti e alle famiglie in difficoltà un

vantaggio palpabile in grado, vendendo e acquistando, di ridurre la spesa in maniera significativa.

PICCHETTI ANTI SFRATTO L’emergenza abitativa è diventata in questi anni quasi il simbolo dell’austerità e delle politiche

neoliberiste, con migliaia di persone che perdendo il lavoro o trovandosi in cassa integrazione o

vedendosi ridotta la pensione, sono state sfrattate magari perché non più in grado di pagare il mutuo.

Con 650.000 mila nuclei familiari in attesa di un alloggio popolare ed una politica governativa sorda ad

ogni dialogo, si è sviluppata in Italia come negli altri paesi mediterranei un forte movimento per la

difesa del diritto all’abitare; anche in questo il PRC ha dato il suo contributo, impegnando spesso i suoi

militanti e i circoli in occupazioni e picchetti antisfratto, impedendo anche fisicamente gli sgomberi.

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COMUNE SOLIDALE

Il presente e il futuro verso la confederalità delle pratiche sociali. Il Comune, istituzione che il sistema usa ancora per dare qualche parziale risposta ai bisogni sociali, è il luogo in cui maggiormente

possono oggi operare le forze antiliberiste. Nel Comune si focalizza il processo reale e complesso di relazioni antagonistiche e

contraddittorie tra l’attacco neoborghese, la sopravvivenza comunale dello “Stato di diritto” e lo sviluppo delle pratiche sociali

autonome. Le pratiche sociali autonome interagiscono inevitabilmente e oggettivamente coi Comuni a tre livelli: a) lo sostituiscono e/

o lo integrano rispondendo ai bisogni sociali negati in tutto o in parte dalle limitazioni che la governance di “larghe intese” impone alla

spesa sociale locale; b) parallelamente all’analoga azione comunale, resistono contro i tagli alla spesa sociale locale per mantenere i

servizi assistenziali, sanitari e sociali locali ancora esistenti; c) sostengono una analoga linea di opposizione ad ogni ulteriore taglio

deciso o proposto dalla governance di “larghe intese”.

Le pratiche sociali autonome, e ancor più le strutture permanenti (GAP, comitati antisfratto/sindacati inquilini, occupazioni di case,

comitati territoriali ) e gli organismi complessi (le nuove case del popolo ), dovendo per forza avere col Comune un’interazione

negoziale, ne trasformano i tre livelli in parti programmatiche di proprie piattaforme sociali; le relative rivendicazioni, le lotte, gli

eventuali accordi diventano immediatamente pratiche sociali di resistenza all’attacco neoborghese. Così dall’opposizione sociale

autonoma, oltre alla prospettiva del “Comune Sociale”, si sviluppa un altro percorso, un progetto politico che, traducendo

piattaforme, rivendicazioni, accordi in programmi amministrativi da sviluppare con proprie rappresentanze in Consiglio Comunale,

genera l’idea di una nuova forma istituzionale: un “COMUNE SOLIDALE” resistente agli attacchi della governance di “larghe intese”

con un’azione di solidarietà sociale e politica, che integra le pratiche sociali autonome, le politiche del Comune volte a mantenere e

qualificare i propri servizi assistenziali, sanitari e sociali e ad opporsi ai tagli, al patto di stabilità, alle privatizzazioni e eliminazioni di

servizi. È il caso del “fondo di solidarietà” per i lavoratori licenziati senza la copertura economica degli ammortizzatori sociali

sperimentato a Lodi. Il “fondo”, formalmente deliberato dal Consiglio Comunale, integra le pratiche sociali autonome con il sostegno

economico e/o strutturale del Comune. Il fondo affronta l’emergenza della mancanza di reddito e di lavoro fornendo un contributo di

sussistenza alimentato con risorse provenienti

da pratiche sociali autonome (loro strutture

permanenti), da iniziativa comunale diretta o

indiretta, da progetti lavorativi per

l’autoproduzione di beni di sostentamento (i

soggetti licenziati e privi di reddito, impiegando

mezzi e strutture di proprietà comunale,

producono quei beni; la loro distribuzione è

curata da gruppi di acquisto a carattere

popolare; i relativi proventi vanno ad

alimentare il “fondo di solidarietà”). La

prospettiva del “COMUNE SOCIALE” e la pratica

del “COMUNE SOLIDALE”, costituiscono una

reale e concreta linea di resistenza allo “Stato di

mercato” praticabile e utile al neoproletariato;

questa è la strada che intendiamo percorrere.

Tutte le attività realizzate da Rifondazione per il partito sociale si sono sviluppate e si sviluppano basandosi solo

sull’autofinanziamento e sulle donazioni di simpatizzanti e militanti senza alcun tipo di contributo pubblico o finanziamenti privati.

In alcuni casi Rifondazione si è trovata a sviluppare le sue pratiche mutualiste e di autorganizzazione sociale condividendole sia con

altre soggettività come associazioni, comitati e movimenti, sia con singoli operatori sociali e indipendenti, dimostrando così la sua

capacità di collaborare per il bene comune senza porre paletti e recinti, al contrario di quanto il mainstream mediatico ha cercato di

far credere in questi anni.

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