Il pane di montagna
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L a filiera del pane tradizionale ottenuto da ce-reali antichi nasce da una brillante intuizionedei fratelli Giovanni ed Elio Lusignani,fornai
a Pellegrino Parmense, che a lungo hanno ricercatoe conservato gelosamente varietà di vecchi grani conun ambizioso obiettivo: mantenere la tradizione e laproduzione del pane di montagna con tecniche dilievitazione naturale.Ci troviamo nell’alta valle dello Stirone, al confinetra le province di Parma e Piacenza,caratteristica perle sue ricchezze ambientali e storiche: un luogo digrande valore artistico, in cui si ergono il castello, ilsantuario, le pievi e l’ostello; un paese che è sintesidi culture diverse, accomunate però dalla coltiva-zione della vite e dei cereali, tipici del Piacentino, edal formaggio distintivo per eccellenza, il Parmigia-no-Reggiano.
La riscoperta della produzione del pane tradiziona-le è avvenuta alcuni anni fa ed è nata dal rispetto peril territorio e per la cultura dei luoghi. È un esempioconcreto, che ha anticipato i tempi, di filiera corta: sirealizza un alimento di base in modo antitetico ri-spetto alle scale dimensionali dell’industrializzazio-ne; si fa uso di un vero e proprio marketing territo-riale,di un’esperienza integrale nella comunità loca-le. Comunità intesa non in senso nostalgico, ma co-me base territoriale fondata sui valori del mondo ru-rale, sui quali costruire un’esperienza concreta capa-ce di fugare i dubbi (di tanti, ed anche di chi scrive)e di superare le difficoltà competitive del mondo glo-balizzato, nel rispetto della pluralità e della diversità.La filiera ha vinto una grande sfida: coltivare il gra-no tenero in un ambiente di montagna, utilizzandole varietà di un tempo, con una tecnica colturale a
A cura delCRPV, Cesena
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L’antica pagnotta “acida”di Pellegrino Parmense
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GIACOMO CORRADIAgri-EcoFontanellato (PR)
L’ inserto che presentiamoillustra i risultati di un progetto
di ricerca, avviato nel 2005 dallaRegione Emilia-Romagna attraversoil Crpv, per la valorizzazione delpane tipico della Val Stirone, alconfine tra Parma e Piacenza.L’iniziativa ha coinvolto l’interafiliera: dall’individuazione dellevecchie varietà di grano locale
selezionate in base alle lorocaratteristiche agronomiche equalitative, alla produzioneartigianale, svolta con l’impiego dimetodi di panificazione naturale,come la fermentazione acida.L’attività di ricerca si è innestatasulle esperienze acquisite nel paesedi Pellegrino Parmense, dove sitrova anche il forno che produce evende il pane, dotato di una sorta di“passaporto molecolare” che negarantisce l’autenticità.�
UNA RICERCASULLA TIPICITÀ
basso input. È stata creata una struttura in cui ognisoggetto svolge un ruolo preciso, grazie ad un’unicaregìa fondata sull’attenzione concreta a tutte le fasidella produzione,sino alla commercializzazione.Ri-cercare le vecchie varietà di grano, recuperare le tec-niche di panificazione abbandonate, confrontarsicon i consumatori che, di giorno in giorno, hannoapprezzato sempre più questi prodotti rari, capacianche di rispondere alle richieste di attenzione perl’ambiente, il mondo rurale, le tradizioni e la salute.Si tratta di un percorso difficile, che però ha dato vi-ta ad un’esperienza di sostenibilità, multifunziona-lità,conservazione della biodiversità e di educazionealimentare.
UN PRODOTTO CHE VALORIZZACOMUNITÀ E TERRITORIO
Nella riscoperta dei grani antichi e della loro possi-bilità di coltivazione, nella produzione del pane daisapori diversi, c’è infatti la conferma che la biodiver-sità può trovare un’applicazione concreta e assicura-re la salvaguardia delle attività agricole in zone svan-taggiate.È la grande spinta a un’agricoltura rispetto-sa dell’ambiente e capace di integrarsi con la comu-nità locale:ciò ha permesso ad un intero paese di con-dividere la strada intrapresa e di farsi conoscere perquesta esperienza.Pellegrino Parmense è un simbolo dell’Associazionedelle città del pane e rappresenta quell’unicità che ha
meritato un’importante citazione nellapubblicazione L’Atlante del panedi Corrado Barberis, dove ven-gono segnalati i diversi tipi pro-
dotti in base agli impieghi. Ini-mitabili le forme marcate una auna e le pezzature tradizionali,unici i profumi che si respirano
nel negozio dei fratelli Lusignani: un aroma che sisente dalla strada,un pane realizzato con la tradizio-nale lievitazione acida, con tempi scanditi dalle ca-ratteristiche delle farine.
UNA FILIERA CORTAE BEN ORGANIZZATA
L’esperienza è resa possibile grazie all’impegno ditutti coloro che hanno compreso l’importanza deivalori in gioco e hanno dato vita alla filiera:�una decina di aziende agricole dell’alta valle del-
lo Stirone,alcune delle quali biologiche,che han-no incrementato di anno in anno la semina del-le varietà;�un centro di raccolta, il Consorzio Agrario di Par-
ma,che ha messo a disposizione tre silos per la rac-colta temporanea dei cereali, facilitando la gestio-ne dei piccoli carichi alla consegna;� il Molino Agugiaro-Figna, che provvede al depo-
sito, alla conservazione e naturalmente alla maci-nazione del grano, effettuata anche nel modo tra-dizionale,con una macina a pietra denominata “laSforzesca”;� il forno dei fratelli Lusignani,che producono il pa-
ne con arte e tradizione.Le diverse fasi della filiera, soprattutto gli aspettiagronomici dal campo alla raccolta, sono curate daitecnici di Agri-Eco, nell’ambito di una serie di pro-getti di assistenza promossi e sostenuti dall’assesso-rato all’Agricoltura della Provincia di Parma, coor-dinati oggi dal vice presidente,Pier Luigi Ferrari,e inprecedenza da Albino Ivardi Ganapini.Significativo l’apporto e l’interesse dimostrato dalComune di Pellegrino Parmense - attraverso il pre-cedente sindaco, Ettore Brianti, e quello attuale, Ro-berto Ventura - per sostenere programmi di marke-ting territoriale, finalizzati a rendere la zona un pun-to di riferimento della montagna attraverso i pro-dotti tipici delle vallate.Sono state coinvolte anche leComunità montane delle Valli del Taro e del Ceno,che grande fiducia riponevano nell’iniziativa. I fra-telli Lusignani hanno poi realizzato un nuovo pani-ficio secondo i criteri della bioedilizia, che ha ulte-riormente consolidato la filiera. Così, nel 2002, si èbrindato all’entrata ufficiale di Pellegrino Parmensenell’Associazione Città del Pane e tutti gli anni nelpaese si svolge una festa ad esso dedicata.A fare da collante scientifico a questa esperienza è ilprogetto, coordinato dal Crpv, denominato “Valo-rizzazione della filiera del pane di montagna”, a cuihanno partecipato il Cra-Gpg di Fiorenzuola d’Ar-da, l’azienda sperimentale “Stuard”, l’Università diModena e Reggio Emilia, lo studio Agri-Eco, il Mo-lino Agugiaro-Figna e il Forno Lusignani.�
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Pane di montagna.
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VALERIA TERZI,PRIMETTA FACCIOLI,CATERINA MORCIA,NADIA FACCINI, DONATA PAGANI,ALBERTO GIANINETTI CRA-GPG Centroper la ricerca genomicae postgenomica animalee vegetale,Fiorenzuola d’Arda (PC)PAOLO GIUDICI,LISA SOLIERIDipartimento di ScienzeAgrarie dell’Universitàdi Modena e Reggio Emilia, gruppo di Microbiologiadegli AlimentiMARIA CORBELLINI,ROSITA CARAMANICOCRA-SCV, Unità di ricercaper la selezione dei cerealie la valorizzazionedelle varietà vegetali,S.Angelo Lodigiano (LO)
Dalla selezione dei granialle prove di assaggio
L’ idea di un progetto di valorizzazione del pa-ne a fermentazione acida nasce dall’incon-tro di diverse professionalità attorno a un
prodotto biotecnologico, al contempo antichissimoed attualissimo. Antichissimo perché, già prima delMedioevo, le regioni italiane svilupparono le tecni-che e conservarono la tradizione per la produzionedi peculiari tipi di pane. Attualissimo perché cre-scente è l’interesse verso questo prodotto, caratteriz-zato da qualità organolettiche e salutistiche partico-lari.Durante la preparazione dell’impasto, infatti, oltrealla classica fermentazione ad opera dei lieviti (Sac-caromyces cerevisiae, principalmente) che produceanidride carbonica e alcol etilico, avviene la fer-mentazione lattica attraverso i lattobacilli (Lb. san-franciscensis, Lb. plantarum, Lb. casei, ecc.), che por-ta alla produzione di amminoacidi liberi, zucche-ri semplici ed acido lattico. Ne consegue un aumen-to della digeribilità, legato all'incremento della per-centuale di molecole semplici. Inoltre si ottengo-no un aroma e un sapore particolari, poiché duran-te la cottura si svolge un complesso di reazioni cheprende il nome di “reazione di Maillard”: l'aciditàdell'impasto (il pH scende da 6,2 a 5,8-5,6) riducela velocità del processo di raffermimento del pane,aumentandone di conseguenza la conservabilità.Il progetto presenta caratteristiche uniche, in quan-to non si è semplicemente focalizzato sul prodottofinale - il pane tradizionale preparato nella zonaappenninica tra le province di Parma e Piacenza -ma ha puntato l’attenzione su tutti i passaggi dellafiliera, partendo dalla scelta delle materie prime,cioè di varietà idonee di frumenti, indagando lecaratteristiche agronomiche e le peculiarità tecno-logiche delle loro farine. Sono state individuate lemigliori tecniche di coltivazione legate ad un siste-ma a basso input, caratterizzando la microfloraautoctona responsabile della fermentazione acidaed infine valorizzando il prodotto finale con unasorta di “passaporto molecolare” a garanzia dellasua autenticità (figura 1). Il cerchio si è chiuso conuna serie di panel test, che hanno valutato le qua-lità organolettiche dei pani preparati con le diver-se farine varietali.Un piano di lavoro ricco di tutte queste sfaccetta-
ture ha richiesto il contributo di molteplici com-petenze:� i genetisti del CRA-GPG per l’individuazione e la
caratterizzazione delle varietà di frumenti;� gli agronomi dell’azienda “Stuard” per l’allesti-
mento e la valutazione dei campi sperimentali;� i microbiologi dell’Università di Modena e Reg-
gio Emilia per la caratterizzazione della micro-flora dell’impasto madre;� i tecnologi del CRA-SCV per le valutazioni qua-
litative delle farine;� gli agronomi dello studio Agri-Eco di Fontanel-
lato, che hanno fornito le competenze acquisitecon il programma di assistenza tecnica descrittonel precedente articolo;� il Molino Agugiaro-Figna e Barilla per la molitu-
ra dei campioni sperimentali;� il panificio Lusignani per la preparazione del pane.Il Crpv ha coordinato il progetto finanziato dallaRegione Emilia-Romagna (legge regionale 28/98),
Fig. 1 - Il progetto “Valorizzazione filiera pane di montagna” ha valutatoi molteplici aspetti della filiera che, partendo dall’individuazione delle varietàdi frumenti e dalla loro agrotecnica, porta al prodotto finale, il panea fermentazione acida, che rappresenta un prodotto tradizionalmente presentenel territorio dell’alta Val Stirone, zona appenninica posta tra le provincedi Parma e Piacenza.
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con il contributo determinante delle Province di Par-ma e Piacenza, del Comune di Pellegrino Parmen-se, di Agri-Eco, del panificio Lusignani, del MolinoAgugiaro-Figna e dello stesso Crpv.
LE VARIETÀ INDIVIDUATEL’apprezzamento per prodotti che conservino unaqualità organolettica sviluppata nel corso di secolie l’impiego di materie prime derivanti da un’agri-coltura storicamente a basso impatto, hanno sug-gerito di recuperare antiche varietà di frumenti, daaffiancare e comparare con quelle attuali.Dieci - individuate tra quelle che in passato hannoavuto una diffusione nella zona dell’alta Val Stiro-ne o che hanno rivestito un ruolo di primo pianonella cerealicoltura italiana di inizio Novecento -sono state individuate,corredate di descrittori morfo-logici, allevate in purezza e moltiplicate (figura 2).In particolare, i rilievi morfologici hanno riguar-dato il portamento della pianta in età giovanile eadulta, i tipi di glaucescenza del culmo e della spi-ga e di colorazione dei nodi e delle ligule, il tipo eforma della spiga, la forma delle lodicole, delle glu-
me e glumelle, il colore del seme. Sono stati rileva-te, inoltre, la data di spigatura e la resistenza all’al-lettamento.Le dieci varietà storiche considerate - Apulia, Auto-nomia B, Canove, Inallettabile 1, Inallettabile 2, Gen-tilrosso, Marzuolo, Mentana, Risciola, Terminillo -sono state affiancate da due varietà moderne adampia diffusione, almeno nel contesto considerato,Bolero e Soissons.
CARATTERISTICHE DELLA GRANELLALe dieci varietà di frumenti antichi sono state carat-terizzate in ambienti ed annate diverse per trattiagronomici, ma anche per caratteri della granella edegli sfarinati di rilievo, ai fini della sicurezza e qua-lità alimentare. Inoltre è stato verificato lo stato sani-tario della granella, indagando sull’eventuale pre-senza di micotossine, quali zearalenone e deossini-valenolo. Le analisi di laboratorio hanno evidenzia-to l’assenza di queste sostanze pericolose in tutti icampioni dei frumenti moltiplicati nell’ambito delprogetto.La granella delle dieci varietà antiche e delle duemoderne è stata anche analizzata per gli aspetti qua-litativi, come il contenuto proteico e la durezza delseme, mentre le farine ottenute sono state caratte-rizzate attraverso la granulometria, il farinogram-ma e l’alveogramma, l’altezza ed il volume del panestandard da esse prodotto. La percentuale di protei-ne, calcolata sulla sostanza secca delle farine, è risul-tata mediamente alta per i frumenti antichi coltiva-ti nel 2004 nei campi sperimentali dell’alta Val Sti-rone (comune di Pellegrino Parmense) con un valo-re medio di 13,80% sulla sostanza secca. Gli alveo-grammi hanno indicato, per la maggior parte deifrumenti antichi, situazioni di squilibrio tra tena-cità ed estensibilità degli impasti, suggerendo per-ciò come il loro possibile impiego in una panifica-zione standard possa avvenire solo in miscela conaltre farine.Tuttavia è noto che l’utilizzo di un impa-sto madre, in alternativa a lievito commerciale,deter-mina effetti molto diversi sulle proprietà reologichedegli impasti e, in particolare, sulle loro caratteri-stiche viscoelastiche.
L’ANALISI SENSORIALEDue gruppi indipendenti di esperti hanno valuta-to, attraverso assaggio comparato, diverse caratte-ristiche sensoriali di pane a fermentazione acidapreparato dal forno Lusignani con le farine dellevarietà antiche e moderne studiate nell’ambito delprogetto (figura 3). La fermentazione è stata rea-lizzata con l’impasto madre conservato in condi-zioni di purezza nello stesso forno. Sono stati valu-
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Fig. 2 - La prima fasedel progetto hariguardato ilrecupero del seme divarietà del passato, ilcontrollo dellarispondenzamorfologica e lamoltiplicazione inpurezza, completatapresso l’aziendasperimentale delCRA-GPG.
Fig. 3 - Campioni dipane tradizionalepreparato dal fornoLusignani con lefarine delle varietàstudiate nell’ambitodel progetto evalutate sotto ilprofilo del gusto conpanel test.
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tati colore, aroma, retrogusto, tessitura, alveolatu-ra ed aspetto globale dei diversi campioni. Il paneltest ha indicato la vecchia varietà Terminillo e la cul-tivar moderna Soissons come le migliori sotto il pro-filo del gusto.Le tre varietà Autonomia B, Risciola e Terminillo(figura 4) sono state scelte, sulla base dell’insiemedelle caratteristiche agronomiche, qualitative esensoriali, come candidate per la produzione delpane tradizionale di montagna, affiancate dallevarietà moderne, dotate di performance agrono-miche superiori.
IL “PASSAPORTO MOLECOLARE”Un impasto acido è un impasto farina-acqua lascia-to fermentare spontaneamente, senza l’aggiuntavolontaria di altri microrganismi, per un periodopiù o meno lungo. Il risultato di tale fermentazionespontanea è il susseguirsi di fenomeni fermentativie riproduttivi ad opera e a carico della popolazionemicrobica presente, proveniente sia dalle farine chedalle contaminazioni microbiche ambientali. Il risul-tato dell’evoluzione biologica dell’impasto è una col-tura di lieviti selvaggi che,aggiunta a farina ed acqua,è in grado di causarne la lievitazione. Il processo dilievitazione è condizionato essenzialmente dall’at-tività dei lieviti presenti nell’impasto, mentre granparte delle caratteristiche sensoriali e strutturali delprodotto finito sono influenzate dal metabolismodi altri gruppi microbici e, in particolare, dei batte-ri lattici. La flora batterica presente nell’impastomadre è perciò una delle chiavi di volta dell’aromadel pane tradizionale.Partendo da queste considerazioni, è stata caratte-rizzata, attraverso l’analisi molecolare (figura 5), laflora microbica tipica degli impasti della zona, rile-vando la prevalente presenza di Candida milleri trai lieviti e Lactobacillus sanfranciscensis tra i latto-batteri.Le dodici varietà di frumento sono state anch’essecaratterizzate con marcatori del Dna e l’analisi è sta-ta estesa anche al pane ottenuto: il progetto ha quin-
di messo a punto un “passaporto molecolare” cheassicura la possibilità di certificare la presenza di spe-cifiche varietà di frumenti anche nel prodotto fina-le della filiera.Il progetto, a cui contribuì in modo determinante ilcompianto Giovanni Delogu del CRA-GPC, è giun-to nella fase finale ed ha consentito di delineare erafforzare l’intera filiera produttiva relativa ad unprodotto di nicchia legato alla tradizione del terri-torio. Inoltre ha rappresentato un modello capacedi dimostrare l’efficacia di un approccio multidi-sciplinare come strategia per la valorizzazione del-l’agroalimentare italiano. �
Fig. 4 - Le tre varietà di frumenti antichi a diversi stadi di sviluppo, moltiplicatesia in condizioni di agricoltura convenzionale che biologica nell’aziendasperimentale del CRA-GPG di Fiorenzuola d’Arda.
Fig. 5 - Schemaesemplificativo dellatecnica DGGE,utilizzata per lacaratterizzazionedella microflorapresente nell’impastomadre.
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L e prove per verificare le caratteristicheagronomiche delle varietà antiche indivi-duate dal CRA di Fiorenzuola d’Arda (PC)
sono state realizzate nell’azienda Baratta di Pelle-grino Parmense (600 metri s.l.m.),nell’alta Val Sti-rone, a cura dell’azienda sperimentale “Stuard”.Le dieci varietà storiche tradizionalmente impiega-te per la panificazione e un’altra di origine francese,coltivata in diverse aziende biodinamiche,sono sta-te confrontate con due moderne (figura 1). Quelleantiche sono caratterizzate da una taglia molto altae in pianura,anche senza concimazione,hanno evi-denziato una notevole suscettibilità all’allettamen-to e a numerose infezioni fungine, che hanno de-terminato rese molto scarse, circa un terzo rispettoa quelle delle varietà di frumento moderne.Come testimoni moderni sono stati impiegati:�Bolero, frumento direttamente panificabile, mol-
to coltivato, soprattutto in collina e montagna.Di media produttività, è però dotato di unanotevole stabilità produttiva in tutti gli ambien-ti e di buone caratteristiche qualitative;�Soissons, frumento panificabile superiore, mol-
to produttivo anche in condizioni di scarsi appor-
ti azotati, particolarmente adatto alle zone col-linari, consigliato per il biologico. La qualità tec-nologica della granella non è sempre costante.
Per le prove, effettuate nel biennio 2004-2005, si èadottato uno schema sperimentale a blocchi ran-domizzati con 4 ripetizioni.I parametri rilevati sono stati numerosi e hannoriguardato sia le caratteristiche delle piante, sia gliaspetti produttivi e qualitativi. Particolare impor-tanza è stata data alla sensibilità ai fattori avversi ditipo ambientale (freddo, allettamento) e fitosani-tari.L’epoca di spigatura nei due anni si è collocata frail 18 maggio e il 16 giugno.Nel complesso del bien-nio, Mentana è stata la varietà più precoce, mentrele più tardive sono state Inallettabile 1 e 2, Canove eMarzuolo.Per quanto riguarda l’allettamento, si sono avutiproblemi soprattutto nel primo anno. Le cultivarpiù sensibili sono state Canove e Marzuolo; i duetestimoni sono stati, come ci si aspettava, moltopiù resistenti.Le infezioni fungine sono state mol-to contenute in entrambi gli anni. Per quanto ri-guarda la ruggine bruna, le più sensibili sono sta-
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In collina i vecchifrumenti rendono di più
CRISTINA PIAZZAAzienda Agraria Sperimentale “Stuard”,Parma
Fig. 1 - Le varietà antiche e moderne (le ultime due a destra) in prova.
te Mentana, Canove, Florence, Apulia e Inallettabile1 e 2. Ancora Mentana, Autonomia e Terminillo so-no risultati più colpiti da Septoria. Gli attacchi difusariosi della spiga, malattia importante perchépuò determinare la formazione di micotossinenella granella, sono stati quasi assenti in entrambigli anni. Florence, seguita da Inallettabile, è risulta-ta comunque più sensibile.Le rese medie sono state di 3,28 tonnellate per et-taro nel 2004 e di 3,5 l’anno successivo (figura 2).La varietà più produttiva è stata Soissons, mentreBolero ha avuto le stesse rese delle varietà anticheInallettabile1 e 2, Terminillo, Risciola e Autonomia B.Le restanti varietà storiche, invece, sono state me-no produttive.I pesi ettolitrici si sono collocati intorno a 78,5 ilprimo anno, mentre nel 2005 sono stati bassi. Nelbiennio Autonomia B e Risciola hanno avuto i pesiettolitrici più alti, seguiti dalle due varietà moder-ne, Terminillo,Mentana e Inallettabile 1. Florence haavuto i valori più bassi.
LA CONCIMAZIONEIn base ai risultati della sperimentazione di cam-po, alle analisi qualitative di laboratorio e ai paneltest, sono state individuate tre varietà antiche - Au-tonomia B, Risciola e Terminillo - caratterizzate dauna discreta produttività nell’ambiente conside-rato,e una moderna (Soissons),per la messa a pun-to della tecnica di fertilizzazione. I frumenti sonostati seminati nel biennio successivo sia in un’a-zienda biologica che in una convenzionale, sem-pre a Pellegrino Parmense. Sono stati confrontatidue livelli di fertilizzazione azotata (DPI e 50%DPI) con un testimone non concimato. Il livellopiù elevato (DPI), è stato calcolato in base al me-todo del bilancio, previsto dai disciplinari di pro-duzione integrata della Regione Emilia-Romagna.Quindi, a seconda della precessione colturale, deltipo di terreno e della piovosità invernale, le dosidi azoto DPI distribuite sono state:• az. biologica 2006: 46 chilogrammi/ettaro;• az. convenzionale 2006: 167 chilogrammi/ettaro;• az. biologica 2007: 41 chilogrammi/ettaro;•az. convenzionale 2007: 50 chilogrammi/ettaro.Come concimi sono stati impiegati nitrato am-monico per l’azienda convenzionale e borlandafluida per quella biologica.Anche in questo biennio sono stati valutati para-metri fenologici (epoca di spigatura, altezza, sen-sibilità a fattori ambientali avversi, sensibilità allemalattie), produttivi e qualitativi (resa, umidità,peso ettolitrico, peso 1.000 semi). I due anni diprova hanno avuto un decorso meteorologico as-
sai differente: il 2006 è stato caratterizzato da unautunno con abbondanti piogge,nevicate abbon-danti e gelate primaverili con punte anche di-15°C. Nel 2007 le temperature non sono pratica-mente mai scese sotto gli 0°C e sono sempre statesopra la norma, soprattutto dopo la spigatura; lepiogge sono state molto scarse e si è avuto un an-ticipo del ciclo di circa due settimane.La presenza di malattie è stata molto limitata in en-trambi gli anni; nel 2006 si è comunque rilevatauna minor frequenza di spighe fusariate su Auto-nomia B, mentre Risciola sembra più sensibile al-l’oidio. Sempre nel 2006, nell’azienda convenzio-nale sulle tesi fertilizzate sono state rilevate infe-zioni di oidio e ruggine, mentre il testimone nonconcimato era del tutto sano.Le rese medie sono da considerarsi buone per l’a-
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Fig. 2 - Resa delle varietà provate nel biennio 2003/2004 (t/ha).
Legenda: in verde i testimoni. A lettera uguale corrisponde uguale produttività.
Fig. 3 - Resa del frumento (t/ha) in base alla concimazione.
Legenda: tra parentesi la precessione colturale,le lettere diverse nelle colonne indicano, per ogni prova, una diversa produttività.
reale, anche se il secondo anno sono state moltopenalizzate dall’andamento stagionale, come pertutte le colture di frumento dell’Emilia-Romagna.Il primo anno le rese sono state superiori nell’a-zienda biologica,mentre nel 2007 il campo in con-venzionale ha prodotto circa il 30% in più.L’effetto della fertilizzazione si è evidenziato solonell’azienda convenzionale con il sorgo in preces-sione (figura 3): le parcelle fertilizzate con la doseDPI, infatti, hanno prodotto circa il doppio del te-stimone. Nei campi con la medica in precessione,invece, i testimoni non si sono differenziati dalletesi concimate.Soissons è la varietà nel complesso più produttiva,come ci si aspettava. È seguita da Terminillo, che insituazioni ottimali (figura 4), nel 2006, nell’azien-da biologica è stato anche più produttivo della va-rietà moderna. Risciola, invece, è la meno produt-tiva in tutte le situazioni. Autonomia sembra esse-re in una situazione intermedia, anche se i dati delcampo convenzionale 2007 non sono disponibili,perché le parcelle sono state divorate dai cinghialidopo la spigatura.
RESE A CONFRONTONell’ambiente considerato l’impiego della fertiliz-zazione sembra essere efficace solo nel caso in cuiil precedente colturale non sia il medicaio. Questaè una realtà abbastanza frequente, poiché non esi-stono alternative all’avvicendamento medica/ce-reale e i casi di ristoppio sono una pratica piutto-sto comune per le aziende non biologiche. In que-ste realtà l’uso di fertilizzanti a dosi calcolate in ba-
se alle asportazioni (dose DPI) o anche ridotte(50% DPI) sembra sufficiente ad incrementare inmaniera significativa le rese.Se, invece,viene adot-tata una corretta rotazione colturale, le rese sem-brano indipendenti dall’apporto di fertilizzanti.Le varietà moderne, opportunamente scelte, per-mettono di conseguire rese accettabili anche incondizioni climatiche-ambientali non favorevoli elimitanti delle produzioni, come si è verificato nel2007, mentre le vecchie varietà provate sono risul-tate più sensibili all’andamento climatico avverso.Tuttavia, nell’ambiente collinare-montano consi-derato queste vecchie varietà conseguono,in anna-te ad andamento climatico normale, prestazioniproduttive discrete, del tutto paragonabili a quelledelle varietà moderne.Particolarmente interessan-te risulta la possibilità di ottenere buone rese anchecon tecniche di agricoltura biologica e senza l’ap-porto di alcun tipo di fertilizzante,anche organico,per un’ulteriore valorizzazione del prodotto.�
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Fig. 4 - Resa delle varietà provate nel biennio 2006/2007 (t/ha).
Legenda: tra parentesi la precessione colturale,le lettere diverse nelle colonne indicano, per ogni prova, una diversa produttività.
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Il castello di Pellegrino Parmense.