Il pane di montagna

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L a filiera del pane tradizionale ottenuto da ce- reali antichi nasce da una brillante intuizione dei fratelli Giovanni ed Elio Lusignani, fornai a Pellegrino Parmense, che a lungo hanno ricercato e conservato gelosamente varietà di vecchi grani con un ambizioso obiettivo: mantenere la tradizione e la produzione del pane di montagna con tecniche di lievitazione naturale. Ci troviamo nell’alta valle dello Stirone, al confine tra le province di Parma e Piacenza,caratteristica per le sue ricchezze ambientali e storiche: un luogo di grande valore artistico, in cui si ergono il castello, il santuario, le pievi e l’ostello; un paese che è sintesi di culture diverse, accomunate però dalla coltiva- zione della vite e dei cereali, tipici del Piacentino, e dal formaggio distintivo per eccellenza, il Parmigia- no-Reggiano. La riscoperta della produzione del pane tradiziona- le è avvenuta alcuni anni fa ed è nata dal rispetto per il territorio e per la cultura dei luoghi. È un esempio concreto, che ha anticipato i tempi, di filiera corta: si realizza un alimento di base in modo antitetico ri- spetto alle scale dimensionali dell’industrializzazio- ne; si fa uso di un vero e proprio marketing territo- riale, di un’esperienza integrale nella comunità loca- le. Comunità intesa non in senso nostalgico, ma co- me base territoriale fondata sui valori del mondo ru- rale,sui quali costruire un’esperienza concreta capa- ce di fugare i dubbi (di tanti, ed anche di chi scrive) e di superare le difficoltà competitive del mondo glo- balizzato, nel rispetto della pluralità e della diversità. La filiera ha vinto una grande sfida: coltivare il gra- no tenero in un ambiente di montagna, utilizzando le varietà di un tempo, con una tecnica colturale a A cura del CRPV, Cesena MARZO 2008 93 INSERTO/IL PANE DI MONTAGNA L’antica pagnotta “acida” di Pellegrino Parmense Foto Selmi Foto Arch. Crpv GIACOMO CORRADI Agri-Eco Fontanellato (PR) L’ inserto che presentiamo illustra i risultati di un progetto di ricerca, avviato nel 2005 dalla Regione Emilia-Romagna attraverso il Crpv, per la valorizzazione del pane tipico della Val Stirone, al confine tra Parma e Piacenza. L’iniziativa ha coinvolto l’intera filiera: dall’individuazione delle vecchie varietà di grano locale selezionate in base alle loro caratteristiche agronomiche e qualitative, alla produzione artigianale, svolta con l’impiego di metodi di panificazione naturale, come la fermentazione acida. L’attività di ricerca si è innestata sulle esperienze acquisite nel paese di Pellegrino Parmense, dove si trova anche il forno che produce e vende il pane, dotato di una sorta di “passaporto molecolare” che ne garantisce l’autenticità. UNA RICERCA SULLA TIPICITÀ

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L a filiera del pane tradizionale ottenuto da ce-reali antichi nasce da una brillante intuizionedei fratelli Giovanni ed Elio Lusignani,fornai

a Pellegrino Parmense, che a lungo hanno ricercatoe conservato gelosamente varietà di vecchi grani conun ambizioso obiettivo: mantenere la tradizione e laproduzione del pane di montagna con tecniche dilievitazione naturale.Ci troviamo nell’alta valle dello Stirone, al confinetra le province di Parma e Piacenza,caratteristica perle sue ricchezze ambientali e storiche: un luogo digrande valore artistico, in cui si ergono il castello, ilsantuario, le pievi e l’ostello; un paese che è sintesidi culture diverse, accomunate però dalla coltiva-zione della vite e dei cereali, tipici del Piacentino, edal formaggio distintivo per eccellenza, il Parmigia-no-Reggiano.

La riscoperta della produzione del pane tradiziona-le è avvenuta alcuni anni fa ed è nata dal rispetto peril territorio e per la cultura dei luoghi. È un esempioconcreto, che ha anticipato i tempi, di filiera corta: sirealizza un alimento di base in modo antitetico ri-spetto alle scale dimensionali dell’industrializzazio-ne; si fa uso di un vero e proprio marketing territo-riale,di un’esperienza integrale nella comunità loca-le. Comunità intesa non in senso nostalgico, ma co-me base territoriale fondata sui valori del mondo ru-rale, sui quali costruire un’esperienza concreta capa-ce di fugare i dubbi (di tanti, ed anche di chi scrive)e di superare le difficoltà competitive del mondo glo-balizzato, nel rispetto della pluralità e della diversità.La filiera ha vinto una grande sfida: coltivare il gra-no tenero in un ambiente di montagna, utilizzandole varietà di un tempo, con una tecnica colturale a

A cura delCRPV, Cesena

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L’antica pagnotta “acida”di Pellegrino Parmense

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GIACOMO CORRADIAgri-EcoFontanellato (PR)

L’ inserto che presentiamoillustra i risultati di un progetto

di ricerca, avviato nel 2005 dallaRegione Emilia-Romagna attraversoil Crpv, per la valorizzazione delpane tipico della Val Stirone, alconfine tra Parma e Piacenza.L’iniziativa ha coinvolto l’interafiliera: dall’individuazione dellevecchie varietà di grano locale

selezionate in base alle lorocaratteristiche agronomiche equalitative, alla produzioneartigianale, svolta con l’impiego dimetodi di panificazione naturale,come la fermentazione acida.L’attività di ricerca si è innestatasulle esperienze acquisite nel paesedi Pellegrino Parmense, dove sitrova anche il forno che produce evende il pane, dotato di una sorta di“passaporto molecolare” che negarantisce l’autenticità.�

UNA RICERCASULLA TIPICITÀ

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basso input. È stata creata una struttura in cui ognisoggetto svolge un ruolo preciso, grazie ad un’unicaregìa fondata sull’attenzione concreta a tutte le fasidella produzione,sino alla commercializzazione.Ri-cercare le vecchie varietà di grano, recuperare le tec-niche di panificazione abbandonate, confrontarsicon i consumatori che, di giorno in giorno, hannoapprezzato sempre più questi prodotti rari, capacianche di rispondere alle richieste di attenzione perl’ambiente, il mondo rurale, le tradizioni e la salute.Si tratta di un percorso difficile, che però ha dato vi-ta ad un’esperienza di sostenibilità, multifunziona-lità,conservazione della biodiversità e di educazionealimentare.

UN PRODOTTO CHE VALORIZZACOMUNITÀ E TERRITORIO

Nella riscoperta dei grani antichi e della loro possi-bilità di coltivazione, nella produzione del pane daisapori diversi, c’è infatti la conferma che la biodiver-sità può trovare un’applicazione concreta e assicura-re la salvaguardia delle attività agricole in zone svan-taggiate.È la grande spinta a un’agricoltura rispetto-sa dell’ambiente e capace di integrarsi con la comu-nità locale:ciò ha permesso ad un intero paese di con-dividere la strada intrapresa e di farsi conoscere perquesta esperienza.Pellegrino Parmense è un simbolo dell’Associazionedelle città del pane e rappresenta quell’unicità che ha

meritato un’importante citazione nellapubblicazione L’Atlante del panedi Corrado Barberis, dove ven-gono segnalati i diversi tipi pro-

dotti in base agli impieghi. Ini-mitabili le forme marcate una auna e le pezzature tradizionali,unici i profumi che si respirano

nel negozio dei fratelli Lusignani: un aroma che sisente dalla strada,un pane realizzato con la tradizio-nale lievitazione acida, con tempi scanditi dalle ca-ratteristiche delle farine.

UNA FILIERA CORTAE BEN ORGANIZZATA

L’esperienza è resa possibile grazie all’impegno ditutti coloro che hanno compreso l’importanza deivalori in gioco e hanno dato vita alla filiera:�una decina di aziende agricole dell’alta valle del-

lo Stirone,alcune delle quali biologiche,che han-no incrementato di anno in anno la semina del-le varietà;�un centro di raccolta, il Consorzio Agrario di Par-

ma,che ha messo a disposizione tre silos per la rac-colta temporanea dei cereali, facilitando la gestio-ne dei piccoli carichi alla consegna;� il Molino Agugiaro-Figna, che provvede al depo-

sito, alla conservazione e naturalmente alla maci-nazione del grano, effettuata anche nel modo tra-dizionale,con una macina a pietra denominata “laSforzesca”;� il forno dei fratelli Lusignani,che producono il pa-

ne con arte e tradizione.Le diverse fasi della filiera, soprattutto gli aspettiagronomici dal campo alla raccolta, sono curate daitecnici di Agri-Eco, nell’ambito di una serie di pro-getti di assistenza promossi e sostenuti dall’assesso-rato all’Agricoltura della Provincia di Parma, coor-dinati oggi dal vice presidente,Pier Luigi Ferrari,e inprecedenza da Albino Ivardi Ganapini.Significativo l’apporto e l’interesse dimostrato dalComune di Pellegrino Parmense - attraverso il pre-cedente sindaco, Ettore Brianti, e quello attuale, Ro-berto Ventura - per sostenere programmi di marke-ting territoriale, finalizzati a rendere la zona un pun-to di riferimento della montagna attraverso i pro-dotti tipici delle vallate.Sono state coinvolte anche leComunità montane delle Valli del Taro e del Ceno,che grande fiducia riponevano nell’iniziativa. I fra-telli Lusignani hanno poi realizzato un nuovo pani-ficio secondo i criteri della bioedilizia, che ha ulte-riormente consolidato la filiera. Così, nel 2002, si èbrindato all’entrata ufficiale di Pellegrino Parmensenell’Associazione Città del Pane e tutti gli anni nelpaese si svolge una festa ad esso dedicata.A fare da collante scientifico a questa esperienza è ilprogetto, coordinato dal Crpv, denominato “Valo-rizzazione della filiera del pane di montagna”, a cuihanno partecipato il Cra-Gpg di Fiorenzuola d’Ar-da, l’azienda sperimentale “Stuard”, l’Università diModena e Reggio Emilia, lo studio Agri-Eco, il Mo-lino Agugiaro-Figna e il Forno Lusignani.�

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VALERIA TERZI,PRIMETTA FACCIOLI,CATERINA MORCIA,NADIA FACCINI, DONATA PAGANI,ALBERTO GIANINETTI CRA-GPG Centroper la ricerca genomicae postgenomica animalee vegetale,Fiorenzuola d’Arda (PC)PAOLO GIUDICI,LISA SOLIERIDipartimento di ScienzeAgrarie dell’Universitàdi Modena e Reggio Emilia, gruppo di Microbiologiadegli AlimentiMARIA CORBELLINI,ROSITA CARAMANICOCRA-SCV, Unità di ricercaper la selezione dei cerealie la valorizzazionedelle varietà vegetali,S.Angelo Lodigiano (LO)

Dalla selezione dei granialle prove di assaggio

L’ idea di un progetto di valorizzazione del pa-ne a fermentazione acida nasce dall’incon-tro di diverse professionalità attorno a un

prodotto biotecnologico, al contempo antichissimoed attualissimo. Antichissimo perché, già prima delMedioevo, le regioni italiane svilupparono le tecni-che e conservarono la tradizione per la produzionedi peculiari tipi di pane. Attualissimo perché cre-scente è l’interesse verso questo prodotto, caratteriz-zato da qualità organolettiche e salutistiche partico-lari.Durante la preparazione dell’impasto, infatti, oltrealla classica fermentazione ad opera dei lieviti (Sac-caromyces cerevisiae, principalmente) che produceanidride carbonica e alcol etilico, avviene la fer-mentazione lattica attraverso i lattobacilli (Lb. san-franciscensis, Lb. plantarum, Lb. casei, ecc.), che por-ta alla produzione di amminoacidi liberi, zucche-ri semplici ed acido lattico. Ne consegue un aumen-to della digeribilità, legato all'incremento della per-centuale di molecole semplici. Inoltre si ottengo-no un aroma e un sapore particolari, poiché duran-te la cottura si svolge un complesso di reazioni cheprende il nome di “reazione di Maillard”: l'aciditàdell'impasto (il pH scende da 6,2 a 5,8-5,6) riducela velocità del processo di raffermimento del pane,aumentandone di conseguenza la conservabilità.Il progetto presenta caratteristiche uniche, in quan-to non si è semplicemente focalizzato sul prodottofinale - il pane tradizionale preparato nella zonaappenninica tra le province di Parma e Piacenza -ma ha puntato l’attenzione su tutti i passaggi dellafiliera, partendo dalla scelta delle materie prime,cioè di varietà idonee di frumenti, indagando lecaratteristiche agronomiche e le peculiarità tecno-logiche delle loro farine. Sono state individuate lemigliori tecniche di coltivazione legate ad un siste-ma a basso input, caratterizzando la microfloraautoctona responsabile della fermentazione acidaed infine valorizzando il prodotto finale con unasorta di “passaporto molecolare” a garanzia dellasua autenticità (figura 1). Il cerchio si è chiuso conuna serie di panel test, che hanno valutato le qua-lità organolettiche dei pani preparati con le diver-se farine varietali.Un piano di lavoro ricco di tutte queste sfaccetta-

ture ha richiesto il contributo di molteplici com-petenze:� i genetisti del CRA-GPG per l’individuazione e la

caratterizzazione delle varietà di frumenti;� gli agronomi dell’azienda “Stuard” per l’allesti-

mento e la valutazione dei campi sperimentali;� i microbiologi dell’Università di Modena e Reg-

gio Emilia per la caratterizzazione della micro-flora dell’impasto madre;� i tecnologi del CRA-SCV per le valutazioni qua-

litative delle farine;� gli agronomi dello studio Agri-Eco di Fontanel-

lato, che hanno fornito le competenze acquisitecon il programma di assistenza tecnica descrittonel precedente articolo;� il Molino Agugiaro-Figna e Barilla per la molitu-

ra dei campioni sperimentali;� il panificio Lusignani per la preparazione del pane.Il Crpv ha coordinato il progetto finanziato dallaRegione Emilia-Romagna (legge regionale 28/98),

Fig. 1 - Il progetto “Valorizzazione filiera pane di montagna” ha valutatoi molteplici aspetti della filiera che, partendo dall’individuazione delle varietàdi frumenti e dalla loro agrotecnica, porta al prodotto finale, il panea fermentazione acida, che rappresenta un prodotto tradizionalmente presentenel territorio dell’alta Val Stirone, zona appenninica posta tra le provincedi Parma e Piacenza.

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con il contributo determinante delle Province di Par-ma e Piacenza, del Comune di Pellegrino Parmen-se, di Agri-Eco, del panificio Lusignani, del MolinoAgugiaro-Figna e dello stesso Crpv.

LE VARIETÀ INDIVIDUATEL’apprezzamento per prodotti che conservino unaqualità organolettica sviluppata nel corso di secolie l’impiego di materie prime derivanti da un’agri-coltura storicamente a basso impatto, hanno sug-gerito di recuperare antiche varietà di frumenti, daaffiancare e comparare con quelle attuali.Dieci - individuate tra quelle che in passato hannoavuto una diffusione nella zona dell’alta Val Stiro-ne o che hanno rivestito un ruolo di primo pianonella cerealicoltura italiana di inizio Novecento -sono state individuate,corredate di descrittori morfo-logici, allevate in purezza e moltiplicate (figura 2).In particolare, i rilievi morfologici hanno riguar-dato il portamento della pianta in età giovanile eadulta, i tipi di glaucescenza del culmo e della spi-ga e di colorazione dei nodi e delle ligule, il tipo eforma della spiga, la forma delle lodicole, delle glu-

me e glumelle, il colore del seme. Sono stati rileva-te, inoltre, la data di spigatura e la resistenza all’al-lettamento.Le dieci varietà storiche considerate - Apulia, Auto-nomia B, Canove, Inallettabile 1, Inallettabile 2, Gen-tilrosso, Marzuolo, Mentana, Risciola, Terminillo -sono state affiancate da due varietà moderne adampia diffusione, almeno nel contesto considerato,Bolero e Soissons.

CARATTERISTICHE DELLA GRANELLALe dieci varietà di frumenti antichi sono state carat-terizzate in ambienti ed annate diverse per trattiagronomici, ma anche per caratteri della granella edegli sfarinati di rilievo, ai fini della sicurezza e qua-lità alimentare. Inoltre è stato verificato lo stato sani-tario della granella, indagando sull’eventuale pre-senza di micotossine, quali zearalenone e deossini-valenolo. Le analisi di laboratorio hanno evidenzia-to l’assenza di queste sostanze pericolose in tutti icampioni dei frumenti moltiplicati nell’ambito delprogetto.La granella delle dieci varietà antiche e delle duemoderne è stata anche analizzata per gli aspetti qua-litativi, come il contenuto proteico e la durezza delseme, mentre le farine ottenute sono state caratte-rizzate attraverso la granulometria, il farinogram-ma e l’alveogramma, l’altezza ed il volume del panestandard da esse prodotto. La percentuale di protei-ne, calcolata sulla sostanza secca delle farine, è risul-tata mediamente alta per i frumenti antichi coltiva-ti nel 2004 nei campi sperimentali dell’alta Val Sti-rone (comune di Pellegrino Parmense) con un valo-re medio di 13,80% sulla sostanza secca. Gli alveo-grammi hanno indicato, per la maggior parte deifrumenti antichi, situazioni di squilibrio tra tena-cità ed estensibilità degli impasti, suggerendo per-ciò come il loro possibile impiego in una panifica-zione standard possa avvenire solo in miscela conaltre farine.Tuttavia è noto che l’utilizzo di un impa-sto madre, in alternativa a lievito commerciale,deter-mina effetti molto diversi sulle proprietà reologichedegli impasti e, in particolare, sulle loro caratteri-stiche viscoelastiche.

L’ANALISI SENSORIALEDue gruppi indipendenti di esperti hanno valuta-to, attraverso assaggio comparato, diverse caratte-ristiche sensoriali di pane a fermentazione acidapreparato dal forno Lusignani con le farine dellevarietà antiche e moderne studiate nell’ambito delprogetto (figura 3). La fermentazione è stata rea-lizzata con l’impasto madre conservato in condi-zioni di purezza nello stesso forno. Sono stati valu-

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Fig. 2 - La prima fasedel progetto hariguardato ilrecupero del seme divarietà del passato, ilcontrollo dellarispondenzamorfologica e lamoltiplicazione inpurezza, completatapresso l’aziendasperimentale delCRA-GPG.

Fig. 3 - Campioni dipane tradizionalepreparato dal fornoLusignani con lefarine delle varietàstudiate nell’ambitodel progetto evalutate sotto ilprofilo del gusto conpanel test.

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tati colore, aroma, retrogusto, tessitura, alveolatu-ra ed aspetto globale dei diversi campioni. Il paneltest ha indicato la vecchia varietà Terminillo e la cul-tivar moderna Soissons come le migliori sotto il pro-filo del gusto.Le tre varietà Autonomia B, Risciola e Terminillo(figura 4) sono state scelte, sulla base dell’insiemedelle caratteristiche agronomiche, qualitative esensoriali, come candidate per la produzione delpane tradizionale di montagna, affiancate dallevarietà moderne, dotate di performance agrono-miche superiori.

IL “PASSAPORTO MOLECOLARE”Un impasto acido è un impasto farina-acqua lascia-to fermentare spontaneamente, senza l’aggiuntavolontaria di altri microrganismi, per un periodopiù o meno lungo. Il risultato di tale fermentazionespontanea è il susseguirsi di fenomeni fermentativie riproduttivi ad opera e a carico della popolazionemicrobica presente, proveniente sia dalle farine chedalle contaminazioni microbiche ambientali. Il risul-tato dell’evoluzione biologica dell’impasto è una col-tura di lieviti selvaggi che,aggiunta a farina ed acqua,è in grado di causarne la lievitazione. Il processo dilievitazione è condizionato essenzialmente dall’at-tività dei lieviti presenti nell’impasto, mentre granparte delle caratteristiche sensoriali e strutturali delprodotto finito sono influenzate dal metabolismodi altri gruppi microbici e, in particolare, dei batte-ri lattici. La flora batterica presente nell’impastomadre è perciò una delle chiavi di volta dell’aromadel pane tradizionale.Partendo da queste considerazioni, è stata caratte-rizzata, attraverso l’analisi molecolare (figura 5), laflora microbica tipica degli impasti della zona, rile-vando la prevalente presenza di Candida milleri trai lieviti e Lactobacillus sanfranciscensis tra i latto-batteri.Le dodici varietà di frumento sono state anch’essecaratterizzate con marcatori del Dna e l’analisi è sta-ta estesa anche al pane ottenuto: il progetto ha quin-

di messo a punto un “passaporto molecolare” cheassicura la possibilità di certificare la presenza di spe-cifiche varietà di frumenti anche nel prodotto fina-le della filiera.Il progetto, a cui contribuì in modo determinante ilcompianto Giovanni Delogu del CRA-GPC, è giun-to nella fase finale ed ha consentito di delineare erafforzare l’intera filiera produttiva relativa ad unprodotto di nicchia legato alla tradizione del terri-torio. Inoltre ha rappresentato un modello capacedi dimostrare l’efficacia di un approccio multidi-sciplinare come strategia per la valorizzazione del-l’agroalimentare italiano. �

Fig. 4 - Le tre varietà di frumenti antichi a diversi stadi di sviluppo, moltiplicatesia in condizioni di agricoltura convenzionale che biologica nell’aziendasperimentale del CRA-GPG di Fiorenzuola d’Arda.

Fig. 5 - Schemaesemplificativo dellatecnica DGGE,utilizzata per lacaratterizzazionedella microflorapresente nell’impastomadre.

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L e prove per verificare le caratteristicheagronomiche delle varietà antiche indivi-duate dal CRA di Fiorenzuola d’Arda (PC)

sono state realizzate nell’azienda Baratta di Pelle-grino Parmense (600 metri s.l.m.),nell’alta Val Sti-rone, a cura dell’azienda sperimentale “Stuard”.Le dieci varietà storiche tradizionalmente impiega-te per la panificazione e un’altra di origine francese,coltivata in diverse aziende biodinamiche,sono sta-te confrontate con due moderne (figura 1). Quelleantiche sono caratterizzate da una taglia molto altae in pianura,anche senza concimazione,hanno evi-denziato una notevole suscettibilità all’allettamen-to e a numerose infezioni fungine, che hanno de-terminato rese molto scarse, circa un terzo rispettoa quelle delle varietà di frumento moderne.Come testimoni moderni sono stati impiegati:�Bolero, frumento direttamente panificabile, mol-

to coltivato, soprattutto in collina e montagna.Di media produttività, è però dotato di unanotevole stabilità produttiva in tutti gli ambien-ti e di buone caratteristiche qualitative;�Soissons, frumento panificabile superiore, mol-

to produttivo anche in condizioni di scarsi appor-

ti azotati, particolarmente adatto alle zone col-linari, consigliato per il biologico. La qualità tec-nologica della granella non è sempre costante.

Per le prove, effettuate nel biennio 2004-2005, si èadottato uno schema sperimentale a blocchi ran-domizzati con 4 ripetizioni.I parametri rilevati sono stati numerosi e hannoriguardato sia le caratteristiche delle piante, sia gliaspetti produttivi e qualitativi. Particolare impor-tanza è stata data alla sensibilità ai fattori avversi ditipo ambientale (freddo, allettamento) e fitosani-tari.L’epoca di spigatura nei due anni si è collocata frail 18 maggio e il 16 giugno.Nel complesso del bien-nio, Mentana è stata la varietà più precoce, mentrele più tardive sono state Inallettabile 1 e 2, Canove eMarzuolo.Per quanto riguarda l’allettamento, si sono avutiproblemi soprattutto nel primo anno. Le cultivarpiù sensibili sono state Canove e Marzuolo; i duetestimoni sono stati, come ci si aspettava, moltopiù resistenti.Le infezioni fungine sono state mol-to contenute in entrambi gli anni. Per quanto ri-guarda la ruggine bruna, le più sensibili sono sta-

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In collina i vecchifrumenti rendono di più

CRISTINA PIAZZAAzienda Agraria Sperimentale “Stuard”,Parma

Fig. 1 - Le varietà antiche e moderne (le ultime due a destra) in prova.

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te Mentana, Canove, Florence, Apulia e Inallettabile1 e 2. Ancora Mentana, Autonomia e Terminillo so-no risultati più colpiti da Septoria. Gli attacchi difusariosi della spiga, malattia importante perchépuò determinare la formazione di micotossinenella granella, sono stati quasi assenti in entrambigli anni. Florence, seguita da Inallettabile, è risulta-ta comunque più sensibile.Le rese medie sono state di 3,28 tonnellate per et-taro nel 2004 e di 3,5 l’anno successivo (figura 2).La varietà più produttiva è stata Soissons, mentreBolero ha avuto le stesse rese delle varietà anticheInallettabile1 e 2, Terminillo, Risciola e Autonomia B.Le restanti varietà storiche, invece, sono state me-no produttive.I pesi ettolitrici si sono collocati intorno a 78,5 ilprimo anno, mentre nel 2005 sono stati bassi. Nelbiennio Autonomia B e Risciola hanno avuto i pesiettolitrici più alti, seguiti dalle due varietà moder-ne, Terminillo,Mentana e Inallettabile 1. Florence haavuto i valori più bassi.

LA CONCIMAZIONEIn base ai risultati della sperimentazione di cam-po, alle analisi qualitative di laboratorio e ai paneltest, sono state individuate tre varietà antiche - Au-tonomia B, Risciola e Terminillo - caratterizzate dauna discreta produttività nell’ambiente conside-rato,e una moderna (Soissons),per la messa a pun-to della tecnica di fertilizzazione. I frumenti sonostati seminati nel biennio successivo sia in un’a-zienda biologica che in una convenzionale, sem-pre a Pellegrino Parmense. Sono stati confrontatidue livelli di fertilizzazione azotata (DPI e 50%DPI) con un testimone non concimato. Il livellopiù elevato (DPI), è stato calcolato in base al me-todo del bilancio, previsto dai disciplinari di pro-duzione integrata della Regione Emilia-Romagna.Quindi, a seconda della precessione colturale, deltipo di terreno e della piovosità invernale, le dosidi azoto DPI distribuite sono state:• az. biologica 2006: 46 chilogrammi/ettaro;• az. convenzionale 2006: 167 chilogrammi/ettaro;• az. biologica 2007: 41 chilogrammi/ettaro;•az. convenzionale 2007: 50 chilogrammi/ettaro.Come concimi sono stati impiegati nitrato am-monico per l’azienda convenzionale e borlandafluida per quella biologica.Anche in questo biennio sono stati valutati para-metri fenologici (epoca di spigatura, altezza, sen-sibilità a fattori ambientali avversi, sensibilità allemalattie), produttivi e qualitativi (resa, umidità,peso ettolitrico, peso 1.000 semi). I due anni diprova hanno avuto un decorso meteorologico as-

sai differente: il 2006 è stato caratterizzato da unautunno con abbondanti piogge,nevicate abbon-danti e gelate primaverili con punte anche di-15°C. Nel 2007 le temperature non sono pratica-mente mai scese sotto gli 0°C e sono sempre statesopra la norma, soprattutto dopo la spigatura; lepiogge sono state molto scarse e si è avuto un an-ticipo del ciclo di circa due settimane.La presenza di malattie è stata molto limitata in en-trambi gli anni; nel 2006 si è comunque rilevatauna minor frequenza di spighe fusariate su Auto-nomia B, mentre Risciola sembra più sensibile al-l’oidio. Sempre nel 2006, nell’azienda convenzio-nale sulle tesi fertilizzate sono state rilevate infe-zioni di oidio e ruggine, mentre il testimone nonconcimato era del tutto sano.Le rese medie sono da considerarsi buone per l’a-

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Fig. 2 - Resa delle varietà provate nel biennio 2003/2004 (t/ha).

Legenda: in verde i testimoni. A lettera uguale corrisponde uguale produttività.

Fig. 3 - Resa del frumento (t/ha) in base alla concimazione.

Legenda: tra parentesi la precessione colturale,le lettere diverse nelle colonne indicano, per ogni prova, una diversa produttività.

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reale, anche se il secondo anno sono state moltopenalizzate dall’andamento stagionale, come pertutte le colture di frumento dell’Emilia-Romagna.Il primo anno le rese sono state superiori nell’a-zienda biologica,mentre nel 2007 il campo in con-venzionale ha prodotto circa il 30% in più.L’effetto della fertilizzazione si è evidenziato solonell’azienda convenzionale con il sorgo in preces-sione (figura 3): le parcelle fertilizzate con la doseDPI, infatti, hanno prodotto circa il doppio del te-stimone. Nei campi con la medica in precessione,invece, i testimoni non si sono differenziati dalletesi concimate.Soissons è la varietà nel complesso più produttiva,come ci si aspettava. È seguita da Terminillo, che insituazioni ottimali (figura 4), nel 2006, nell’azien-da biologica è stato anche più produttivo della va-rietà moderna. Risciola, invece, è la meno produt-tiva in tutte le situazioni. Autonomia sembra esse-re in una situazione intermedia, anche se i dati delcampo convenzionale 2007 non sono disponibili,perché le parcelle sono state divorate dai cinghialidopo la spigatura.

RESE A CONFRONTONell’ambiente considerato l’impiego della fertiliz-zazione sembra essere efficace solo nel caso in cuiil precedente colturale non sia il medicaio. Questaè una realtà abbastanza frequente, poiché non esi-stono alternative all’avvicendamento medica/ce-reale e i casi di ristoppio sono una pratica piutto-sto comune per le aziende non biologiche. In que-ste realtà l’uso di fertilizzanti a dosi calcolate in ba-

se alle asportazioni (dose DPI) o anche ridotte(50% DPI) sembra sufficiente ad incrementare inmaniera significativa le rese.Se, invece,viene adot-tata una corretta rotazione colturale, le rese sem-brano indipendenti dall’apporto di fertilizzanti.Le varietà moderne, opportunamente scelte, per-mettono di conseguire rese accettabili anche incondizioni climatiche-ambientali non favorevoli elimitanti delle produzioni, come si è verificato nel2007, mentre le vecchie varietà provate sono risul-tate più sensibili all’andamento climatico avverso.Tuttavia, nell’ambiente collinare-montano consi-derato queste vecchie varietà conseguono,in anna-te ad andamento climatico normale, prestazioniproduttive discrete, del tutto paragonabili a quelledelle varietà moderne.Particolarmente interessan-te risulta la possibilità di ottenere buone rese anchecon tecniche di agricoltura biologica e senza l’ap-porto di alcun tipo di fertilizzante,anche organico,per un’ulteriore valorizzazione del prodotto.�

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Fig. 4 - Resa delle varietà provate nel biennio 2006/2007 (t/ha).

Legenda: tra parentesi la precessione colturale,le lettere diverse nelle colonne indicano, per ogni prova, una diversa produttività.

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Il castello di Pellegrino Parmense.