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IL NOSTRO PIANETA TERRA

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INDICE

PREMESSA

QUANDO E COME SI È FORMATO IL NOSTRO PIANETA

L’INTERNO E L’ESTERNO DELLA TERRA FORMANO UN UNICO SISTEMA

FORMULAZIONE DI VARI MODELLI DELLA TERRA

LA TEORIA DELLA “DERIVA DEI CONTINENTI”

LA TEORIA DELLA “TETTONICA A ZOLLE O A PLACCHE”

DUE MODELLI SUI MOVIMENTI CIRCOLARI DELLE CORRENTI CONVETTIVE

IL TERREMOTO

SEGNI PREMONITORI

LO STUDIO DELLE ONDE SISMICHE

LE DISCONTINUITÀ ALL’INTERNO DELLA TERRA

COME SI MUOVONO LE PLACCHE

L’INVERSIONE DEL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE

CHE FINE FARÀ LA TERRA?

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PREMESSA.

Anche se ancora non conosciamo con certezza assoluta come si sia formata la Terra e

come è strutturata internamente, possiamo dire di avere sufficienti informazioni che

ci forniscono un quadro esauriente del nostro pianeta. All’uomo sono bastati solo

alcune migliaia di anni per capire come funziona questo sperduto puntino nello spazio,

vecchio di alcuni miliardi di anni, che lo ospita e gli ha dato la vita.

Inizialmente la terra era una palla di fuoco e non aveva

la stessa forma rotonda che ha adesso.

Sappiamo che l’età del nostro pianeta è di 4 miliardi

e 565 milioni; che è l’unico pianeta del Sistema

Solare dove si è sviluppata la vita (per come la

conosciamo noi) grazie ad una serie di fortuite

circostanze (giusta dimensione, giusta distanza dal

sole, presenza di un’atmosfera, presenza di acqua).

Sappiamo anche che la parte superficiale, la crosta terrestre, è formata da

continenti, mari e oceani, ma soprattutto che è divisa in zolle (come enormi zatteroni,

che non sono i continenti), che galleggiano sul mantello, che è la parte sottostante la

crosta. Le correnti convettive, formate da gas e materiale incandescente allo stato

pastoso, che si sprigionano all’interno del mantello, nel tempo, hanno spezzato la

crosta in zolle che sono in continuo e lento movimento e che manifestano i loro effetti

sulla superficie terrestre con la formazione delle catene montuose, dei terremoti e

del vulcanesimo.

Il nostro pianeta quindi è formato da strati diversi che procedendo dall’alto vero il

basso sono: crosta, mantello, nucleo esterno e nucleo interno. La densità aumenta man

mano che si va sempre più verso il centro della Terra. Sappiamo inoltre che il nucleo

esterno è liquido e genera il magnetismo terrestre; mentre il nucleo interno fornisce

al mantello l’energia per il suo riscaldamento. Un grosso contributo nella scoperta di

queste conoscenze ci è stato fornito dallo studio delle onde sismiche che si sviluppano

durante i terremoti.

SU CHE COSA SONO BASATE QUESTE CONOSCENZE SULLA TERRA?

Ma come è possibile avere tutte queste informazioni sul nostro pianeta se al massimo

siamo arrivati a poche decine di km di profondità? Inoltre ci sono ancora porzioni di

terre emerse ed altre zone, ben più vaste, del mondo sottomarino che sono rimaste

del tutto inesplorate. Le maggiori profondità raggiunte nelle miniere, gallerie,

perforazioni o carotaggi non superano i 20 km - risultato raggiunto solo nel 2007 -

cioè meno di 1/400 del raggio terrestre.

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L’uomo tecnologico quindi ha appena scalfito la superficie terrestre e pretende di

conoscere con relativa certezza come è strutturata internamente la Terra?

Come è possibile ciò, quale strumento ha utilizzato per penetrare all’interno della

Terra?

Dal momento che è impossibile arrivare al centro della Terra e osservare

direttamente la struttura dei livelli interni del pianeta, l’uomo ha utilizzato uno

strumento assai potente: il metodo sperimentale.

Trattasi di un metodo scientifico introdotto da F.Bacone e da Galileo Galilei che si

afferma come metodo di indagine scientifica a partire dal XVII secolo. Questo

metodo si basa principalmente sull'osservazione dei fenomeni fisici, sull'utilizzo della

matematica e sull'esperimento riproducibile.

Analizziamo adesso un po’ più dettagliatamente quanto detto sopra.

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QUANDO E COME SI È FORMATO IL NOSTRO PIANETA TERRA.

Il modello del pianeta Terra presentato sotto offre una spiegazione unitaria di tutti i

fenomeni vulcanici, sismici e orogenetici che, tempo fa, erano ancora ritenuti

indipendenti. Il modello ritiene che lo sviluppo della Terra sia avvenuto in sei fasi.

A) AGGREGAZIONE DEL PRIMITIVO PIANETA.

La nascita del nostra pianeta ebbe inizio 4 miliardi e 565 milioni di anni fa, quando la forza di gravità aggregò polveri e piccole particelle che facevano parte della nebulosa

originaria da cui era nato il Sole. Contraendosi il pianeta cominciò anche a riscaldarsi,

la sua temperatura s'innalzò anche per l'impatto di meteoriti che lo bombardarono continuamente scavando sulla superficie milioni di crateri simili a quelli della Luna.

Gran parte del calore si sviluppò all'interno della Terra in seguito al decadimento

radioattivo, come avviene ancora oggi.

B) FORMAZIONE DEGLI STRATI INTERNI DELLA TERRA.

Inizialmente quindi la massa della neo Terra era un agglomerato di roccia, metalli, gas

ed elementi radioattivi in uno stato di fusione. Nei primi stadi della formazione della

Terra, circa 4,5 miliardi di anni fa, la fusione dei materiali avrebbe fatto sì che le

sostanze più dense e più pesanti andassero a fondo verso il centro della Terra;

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mentre i materiali meno densi sarebbero migrati verso l'alto formando la crosta.

Oggi sappiamo che il nostro pianeta, come altri pianeti del Sistema solare, presenta una

struttura ad involucri concentrici, di diversa natura e spessore.

Partendo dall'esterno si ha una sottile crosta, il cui spessore massimo arriva a 70 Km,

è formato da roccia a densità abbastanza bassa; sotto c'è il mantello, lo stato più

spesso, costituito da materiale semifluido ad alta densità che arriva ad una profondità

di 2.900 Km e si divide in mantello esterno ed interno; sotto il mantello c'è il nucleo

che ha un raggio di circa 3.400 Km (poco più del raggio totale della Terra.), che si

divide in esterno, allo stato liquido con densità maggiore del mantello, interno, allo

stato solido formato da ferro estremamente caldo. Nelle linee generali sembra una

struttura molto semplice, ma ad un esame dettagliato la terra risulta essere

notevolmente più complessa. La parte esterna del nucleo e quello inferiore del

mantello sono costituite da materiale fuso; mentre il nucleo centrale è formato da

ferro e nichel allo stato solido.

C) FORMAZIONE DEGLI OCEANI E DEI PRIMITIVI CONTINENTI

Da 3,7 a 2,3 miliardi di anni fa, la Terra si raffreddò e si formarono gli oceani

grazie alla condensazione dell'acqua. L'acqua si accumulò e cominciò a raffreddare

sempre più la crosta. Non è dato sapere se l'acqua si sia formata per reazione

tra idrogeno e ossigeno o sia giunta dallo spazio come tale. Da questo momento

l'atmosfera e i venti misero in azione il ciclo dell'acqua in modo quasi uguale a quello

attuale. L'acqua diventò il veicolo fondamentale di trasporto e di ridistribuzione dei

detriti, che vennero stappati alle montagne ed accumulati, sotto forma di strati

sottili, nelle grandi profondità oceaniche. Nei più antichi sedimenti che risalgono a 3,4

miliardi di anni fa sono state trovate le più antiche cellule fossili che vivevano in

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assenza di ossigeno. Solo più tardi, con lo sviluppo della sintesi clorofilliana, la vita

cominciò a produrre ossigeno e a riversarlo nell'atmosfera che, a poco a poco, si

modificherà.

D) ISPESSIMENTO DELLA CROSTA E SPOSTAMENTO DEI CONTINENTI.

Da 2,2 miliardi di anni fa e fino ad oggi la crosta terrestre continuò a raffreddarsi e

ad ispessirsi. Si formarono numerose placche che cominciarono a spostarsi una

rispetto all'altra. Lo spostamento delle placche è la causa principale dei terremoti e

dei fenomeni

vulcanici.

Mutò anche

l'atmosfera

perché in

seguito

all'attività

della vita si

arricchì di

ossigeno

diventando

più simile a

quella

attuale.

La figura

accanto ci

fornisce

alcuni

interessanti

dati sul

nostro

pianeta.

Un accurato calcolo della massa della Terra ci dice che il suo peso è di 5.973 miliardi

di miliardi di tonnellate (5976.000.000.000.000.000.000); la sua densità media è di 5,51

g/cm3.

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La Terra non ha una struttura omogenea, la sua densità aumenta man mano che

si va verso il centro della Terra. Se la densità della crosta terrestre è di circa 2,7-

2,8 g/cm3 e quella media del pianeta è di 5,51 g/cm3 ciò vuol dire che l'interno della

Terra ha una densità ben maggiore dell'involucro esterno.

Conoscendo la forza gravitazionale terrestre si è potuto calcolare la sua massa e

stimare il volume del pianeta, oltre a poter calcolare la sua densità media. Anche

l'astronomia può calcolare la massa della Terra in base alla sua orbita e agli effetti

prodotti sui vicini corpi planetari.

E) LA NASCITA DELL'ATMOSFERA.

Il processo di raffreddamento della Terra portò alla formazione della prima crosta su

cui si generano gli oceani (circa 3.940 milioni di anni fa). L'atmosfera primitiva era di

elio ed idrogeno, elementi leggeri che presto si dispersero nel cosmo. I gas espulsi dai

vulcani formarono intanto una nuova atmosfera: vapore acqueo, CO2, e, in parti minori,

azoto. Le incessanti piogge che seguirono rimossero gran parte della CO2; mentre

grazie alla dissociazione delle molecole d'acqua per opera dei raggi ultravioletti

comparvero anche ossigeno e ozono. Così, con l'ozono a bloccare i raggi UV e la

fotosintesi vegetale a mantenere costante la concentrazione di ossigeno, l'atmosfera

si è mantenuta pressoché inalterata negli ultimi 600 milioni di anni.

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F) INIZIA LA VITA.

Fu l'effetto serra a svolgere un ruolo essenziale per la comparsa della vita. Tre,

quattro miliardi di anni fa la radiazione solare era infatti del 25% meno intensa di

oggi, ed è poi cresciuta linearmente. Se l'atmosfera avesse avuto, allora, la stessa

composizione

di oggi, la

crosta

terrestre

sarebbe

rimasta

coperta di

ghiacci fino

a circa 2

miliardi di

anni fa,

paradosso

del "giovane

sole

debole".

Fortunatamente ciò non avvenne per il forte effetto serra prodotto dalle grandi

concentrazioni di CO2 e vapore acqueo. Ma fino a 3.500.000.000 di anni fa non c’era

ossigeno sulla Terra, la composizione dell’atmosfera era molto diversa, c’era molta

anidride carbonica. Le prime evidenze fossili di vita cellulare risalgono a 3,43 miliardi

di anni fa. Tracce chimiche presenti in rocce più antiche fanno però pensare che la

vita fosse già presente sulla Terra 3,8 miliardi di anni or sono, nel periodo Archeano.

Prima di quell'epoca, le condizioni sulla Terra dovevano essere così proibitive da non

permettere la sopravvivenza di organismi viventi. Recentemente si è scoperto che

alcune rocce trovate in Messico e in Australia (chiamate: “stromatoliti”), contengono

cianobatteri che hanno trasformato l’anidride carbonica primitiva in ossigeno,

rilasciandolo nell’atmosfera. Fu così che cambiò la composizione dell’atmosfera e si

erano create tutte le condizioni favorevoli per la formazione e lo sviluppo della vita.

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Stromatoliti. Queste strutture sedimentarie formate dall'attività di cianobatteri sono tra le più antiche

testimonianze della vita sul nostro pianeta

Addirittura sono state trovare, in un campione di roccia dell'Australia occidentale,

tracce di vita sulla Terra risalenti a 4,1 miliardi di anni fa; una scoperta che anticipa

di 300 milioni di anni le prime prove di vita terrestre rinvenute finora.

Con il progressivo aumento dell'ossigeno nell'atmosfera, di azoto e la formazione dello

strato di ozono a schermo delle radiazioni ultraviolette (dannose per le cellule perché

provocano mutazioni genetiche), l'ambiente della terraferma, 500 milioni di anni fa

circa, divenne idoneo all'insediamento dei viventi. Nacquero le prime piante e piano

piano anche qualche albero. L'ambiente era adesso più bello e soprattutto, grazie alla

vegetazione, ricco di ossigeno. Ciò permise di far nascere anche i primi animali (300

milioni di anni fa circa) che molto tempo dopo (2 milioni di anni fa circa),

trasformandosi, diedero vita al primo essere umano.

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L’INTERNO E L’ESTERNO DELLA TERRA FORMANO UN UNICO SISTEMA.

Come già detto, la Terra ha una struttura stratificata, formata da grandi gusci concentrici di composizione diversa, con differenti condizioni di temperatura, pressione e densità, che aumentano fino al centro del pianeta, dove il nucleo costituisce una sorgente incessante di energia alimentando il campo magnetico terrestre. All’interno della Terra la materia, allo stato solido, liquido o plastico a

seconda delle condizioni cui è sottoposta, prende parte ai processi dinamici che fanno

della Terra un pianeta in continua trasformazione.

All’interno di ogni strato si verificano interazioni di materia e di energia, che influenzano lo strato vicino.

All’esterno della Terra anche l’atmosfera è suddivisa in una serie di strati concentrici, con temperature, densità e spessori diversi. Alcuni strati hanno un ruolo fondamentale nel filtrare i diversi tipi di radiazioni provenienti dallo spazio interplanetario o nel proteggere la Terra dalle meteoriti, che si surriscaldano per l’attrito e si disintegrano ad una certa quota. A sua volta, l’atmosfera è influenzata da

quanto avviene sulla Terra: basti pensare all’immissione di gas serra come l’anidride

carbonica e i Cfc (clorofluorocarburi).

Gli strati all’interno e all’esterno della terra formano in realtà un unico complesso sistema: per esempio il campo magnetico terrestre, che ha origine nel nucleo, agisce

da schermo contro il flusso di particelle elettricamente cariche provenienti dal Sole,

che vengono deviate verso i poli producendo il fenomeno delle aurore boreali.

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FORMULAZIONE DI VARI MODELLI DELLA TERRA

Prima del XVII secolo come si immaginava la Terra? Sono stati formulati vari modelli

della Terra, partendo dall’idea che questa fosse un disco piatto portato sulla schiena

di sette gigantesche tartarughe a zonzo nell’oceano.

Successivamente furono abbandonate le tartarughe ma rimase la convinzione della

forma piatta della Terra, tant’è che, per molto tempo, chiunque andasse per mare

tremava all’idea di navigare ai confini della Terra. Tempo fa, vi era chi pensava che la

Terra fosse vuota al suo interno e formata solamente da un sottile guscio esterno.

Sono state formulate altre teorie, come quella della “Deriva dei continenti”; ma

l’attuale modello della “Tettonica a placche” è oggi quello che si è prepotentemente

affermato perché basato su importanti osservazioni ed esperimenti.

Consideriamo nell’ordine questi due modelli, tenendo presente che la formulazione dei

loro modelli sono stati preceduti dallo studio, dalle ricerche e dal contributo di diversi

studiosi.

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ABRAHM ORTELIUS (Anversa, 14 aprile 1528 – Anversa, 28 giugno 1598)

Abraham Ortelius, cartografo fiammingo, fu con Mercatore il grande fondatore della

cartografia fiamminga ed è ricordato per aver pubblicato il primo atlante moderno.

Nel 1590 A.O. faceva notare nel suo saggio “Theatrum Orbis Terrarum” che il profilo delle coste dei

continenti dimostrava chiaramente che essi si erano staccati l'uno dall'altro per via di terremoti e inondazioni. Secondo lui milioni di anni fa i continenti

erano uniti fra loro.

L'idea divenne ancora più attraente nel XIX secolo,

quando lo studio dei fossili portò la prova del fatto

che, per esempio, il Nordamerica e l'Europa avevano

avuto in passato una flora comune.

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EDUARD SUESS (Londra, 20 agosto 1831 – Vienna, 26 aprile 1914)

Sulla base di queste

osservazioni Eduard Suess,

geologo austriaco, giunse nel

primo Novecento a ipotizzare

l'origine dei continenti moderni dalla frammentazione di un antico supercontinente, Gondwana.

Questi autori, pur avendo intuito il fenomeno della deriva dei continenti in sé, avevano

però difficoltà a fornire una spiegazione coerente delle cause. INDICE

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LA TEORIA DELLA “DERIVA DEI CONTINENTI”.

Il meteorologo, geologo nonché esploratore tedesco

Alfred Lothar Wegener (Berlino, 1º novembre 1880 –

Groenlandia, 3 novembre 1930) ebbe il merito di mettere

insieme in modo minuzioso tutti gli elementi che

potevano essere riconosciuti come prove indirette

dell'antica origine comune dei continenti, e di

formulare in merito una teoria dettagliata, completa di

un tentativo di datazione. Fra il 1913 ed il 1915 in

diverse conferenze

propose la teoria della

“Deriva dei continenti”, secondo la quale nel Paleozoico, e buona parte del Triassico, cioè 400 milioni di anni fa circa, i continenti (Asia, Africa, Europa, Americhe, Oceania e Antartide) formavano un unico supercontinente, che battezzò Pangea, circondato da un superoceano, che definì Panthalassa. Questo supercontinente 225 milioni di anni fa, cominciò a fratturarsi in zolle che, come tanti zatteroni, andarono vagando casualmente per gli oceani. Per

avvalorare la sua teoria Wegener portò alcune prove:

La testimonianza dei fossili

All'inizio del secolo, i paleontologi spiegavano la somiglianza tra le specie di animali e

vegetali fossili rinvenute nei diversi continenti con la presenza di ponti continentali

che dovevano collegare le diverse terre. Questi ponti sarebbero poi sprofondati in

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fondo agli oceani. Wegener, basandosi sulle evidenze geofisiche e sul principio

dell'isostasia, mostrò l'impossibilità dell'esistenza di questi ponti naturali,

giustificando la distribuzione delle specie viventi con il contatto che doveva esserci

stato in passato tra i continenti.

Argomenti paleoclimatici

Wegener, in quanto meteorologo, studiò gli

antichi climi. Egli osservò che strati di tilliti

(depositi rocciosi di origine glaciale), tra loro

contemporanei (tra i 220 e i 300 milioni di

anni fa) erano presenti sia in Africa

meridionale che in Sudamerica, India e

Australia, e sotto di essi si trova roccia in

posto, striata e solcata

Correlazioni strutturali e litologiche

Nel far combaciare i bordi dei continenti, Wegener

notò una correlazione tra le successioni

stratigrafiche e anche tra le catene montuose, le

quali sembravano proseguire dal Sudamerica

all'Africa. Wegener sostenne che l'evento era più

facilmente spiegabile ipotizzando che i continenti

fossero stati uniti in un solo blocco posto vicino al

Polo Sud. Questo giustificherebbe anche la presenza di foreste tropicali delle zone

attualmente poste a settentrione.

Le critiche all'ipotesi di Wegener iniziarono nel 1924,

quando il suo libro fu tradotto in inglese, arrivando a

mettere in dubbio anche la sua credibilità come

scienziato. Il suo libro era ben scritto, ma vi mancava la causa, la forza motrice, che faceva scivolare le masse dei continenti sulla crosta degli oceani. Egli non

operò una profonda revisione del libro, ma nell'ultima

edizione del 1930, uscita poco prima della sua morte,

apportò una serie di nuovi dati. Nella sua terza

missione in Groenlandia, nel 1930, Wegener morì, forse

per attacco cardiaco, mentre cercava di tornare al

campo base in compagnia di Rasmus Villumsen su delle

slitte trainate da cani. I soccorritori trovarono il suo

corpo sepolto nella neve, cucito all'interno di un sacco a pelo, la tomba improvvisata

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era stata allestita dal suo compagno Ramsus di cui non si trovò più traccia,

probabilmente caduto in un crepaccio. Alfred Wegener (a sinistra) con l'inuit Rasmus

Villumsen in Groenlandia

Quindi Alfred Wegener pur avendo fornito prove scientifiche a sostegno della sua

“teoria della deriva dei continenti”, non era riuscito però a spiegarne la causa.

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LA TEORIA DELLA “TETTONICA A PLACCHE O A ZOLLE”.

Per dare una risposta a ciò si dovettero aspettare altri

15 anni circa, quando un altro britannico Arthur

Holmes (Gateshead, 14 gennaio 1890 – Londra, 20

settembre 1965), geofisico e geologo inglese, nel 1928

suggerì che le zolle si muovevano a cause di forze

interne alla Terra. Sfortunatamente tale teoria fu

enunciata nel periodo storico in cui la comunità

scientifica credeva fortemente in una terra fissa ed

immobile e per questo fu poco considerata.

Arthur Holmes nel 1912

HARRY HAMMOND HESS (New York, 24 maggio 1906 – Woods Hole, 25 agosto

1969).

Dovettero passare altri 30 anni per avvalorare la teoria di

Arthur Holmes.

Harry Hammond Hess, geologo e ammiraglio statunitense,

giudicato uno dei padri della “Teoria della tettonica a

zolle”, nel 1960 riprendendo il concetto di Holmes,

sostenne nella sua “Teoria sull’espansione dei fondali

oceanici” che all’interno della terra esistevano delle forze

dette “celle convettive" che spingevano le placche e che la

litosfera era prodotta della risalita dei magmi dalle

dorsali medio-oceaniche.

1965 L’ANNO CHE SCONVOLSE LA GEOLOGIA.

Nel 1965 i geologi furono in grado di proporre un’ipotesi in grado di spiegare tutte le

osservazioni apparentemente slegate le une dalle altre. Questa ipotesi era talmente

globale che rivoluzionò l’intera geologia.

La "Teoria della tettonica delle placche" è stata definita una "teoria unificante", paragonabile alla scoperta dell’atomo. Questa teoria infatti è in grado di spiegare, in

maniera integrata e con conclusioni interdisciplinari, i fenomeni che interessano la

crosta terrestre quali: attività sismica, orogenesi, la disposizione areale dei vulcani, le variazioni di chimismo delle rocce magmatiche, la formazione di strutture come le fosse oceaniche e gli archi vulcanici, la distribuzione geografica delle faune e flore fossili durante le ere geologiche e di come le attività vulcaniche e sismiche siano concentrate su determinate zone.

La teoria della "Tettonica a placche" può essere compendiata nei seguenti punti:

La litosfera è l'insieme di due strati (crosta + parte esterna del mantello).

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La litosfera continentale comprende la crosta continentale, è più spessa ed ha

un peso specifico minore. La litosfera oceanica comprende la crosta oceanica, è

più sottile, ma peso specifico maggiore.

La litosfera terrestre non possiede una struttura continua, ma si presenta fratturata in una ventina di porzioni, dette placche (o zolle), dello spessore di

circa 80/100 Km.

Le placche galleggiano sulla sottostante astenosfera e si spostano orizzontalmente, trasportando con sé continenti e oceani.

Dal punto di vista meccanico, le placche si comportano come corpi rigidi e, se vengono sollecitate da forze di notevole intensità, si fratturano.

Le placche possono allontanarsi, scontrarsi o scorrere le une rispetto alle altre. Lo spostamento delle placche è causato dai moti convettivi che avvengono nel

mantello. Queste correnti di convezione dell’astenosfera aumentano la

pressione nelle zone che formano la litosfera.

I movimenti delle placche sono responsabili dell'orogenesi e dell'attività vulcanica e sismica e questi fenomeni si manifestano lungo i bordi di confine o i

margini delle placche (mentre la loro parte interna ne è esente).

Le pressioni, che vengono via via accumulate, sono liberate da improvvisi

movimenti delle placche (terremoti) e dal flusso di materiale incandescente (lava) che fuoriesce attraverso delle fratture provocando gigantesche valvole di sfogo. Poiché quasi tutta questa attività avviene lungo le fratture, queste sono le zone dove si osserva un’elevata attività vulcanica e sismica.

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Osservando la figura sotto si può notare come la distribuzione dei vulcani e dei

terremoti sulla superficie del pianeta non è disposta a caso. La maggior parte dei

vulcani e dei terremoti sono allineati lungo i confini delle zolle, segno evidente che c'è

una relazione tra placche tettoniche ed eventi vulcanici-sismici. Durante il XX secolo,

lo sviluppo di strumentazioni sismiche e l'uso mondiale di strumenti per la

registrazione dei terremoti (sismografi), consentirono agli scienziati di osservare che

i terremoti tendono ad essere concentrati in certe aree, in prevalenza lungo le fosse

oceaniche e le dorsali in espansione. Alla fine del 1920, i sismologi cominciarono ad

identificare numerose zone ad intensa attività sismica che scorrono per numerosi Km

all’interno della Terra e coincidenti con i margini delle placche.

Sette di queste: pacifica, nordamericana, sudamericana, eurasiatica, africana, indo-

australiana e antartica sono dette placche principali perché di grande estensione; le

altre: Nazca, Cocos, caraibica, Filippina, Aaraba ed altre sono definite minori o

microzolle. Lo strato di magma, sopra cui galleggiano le placche, composto da gas e lava, in lento ma continuo movimento, si comporta come un nastro trasportatore e riesce a spostare come se fossero dei “passeggeri” continenti e oceani. La roccia della crosta terrestre, possiede una propria elasticità ed entro certi limiti

riesce a sopportare queste trazioni e stiramenti, ma quando non ce la fa più rilascia in

pochi secondi tutta l’energia che ha accumulato in tanti anni, causando il terremoto ed

un leggero spostamento delle placche interessate dal sisma.

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DUE MODELLI SUI MOVIMENTI CIRCOLARI DELLE CORRENTI CONVETTIVE.

Le rocce del mantello terrestre sono rimescolate continuamente secondo le leggi della

convezione: il materiale più caldo risale verso la superficie dove, cedendo calore all’atmosfera, si raffredda diventando denso e pesante per ridiscendere negli strati più caldi del pianeta e ricominciare il ciclo. S’instaurano i movimenti circolari delle celle convettive.

Nel modello a circolazione convettiva unica (figura a sinistra), la cella convettiva si sviluppa per tutta la profondità del mantello e il materiale riciclato giunge fino al contatto con il nucleo esterno. Tuttavia alcuni scienziati sostengono che il mantello si

possa dividere in due strati: uno superiore e uno inferiore, ognuno dei quali è interessato da un proprio sistema di celle convettive.

Questa ipotesi è chiamata circolazione convettiva a strati (figura a destra). In questo caso le celle del mantello inferiore, operanti in condizioni di maggior densità, si

muovono più lentamente, trasmettendo direttamente il calore che permette il movimento delle celle convettive superiori, le quali provocano i movimenti tettonici.

Sebbene i due modelli siano ancora oggetto di dibattito, si tende a considerarli come

integranti tra loro: infatti, sebbene il moto convettivo possa essere considerato a due

livelli, si pensa che alcune masse rocciose passino dall'uno all'altro. In ogni caso, il

modello più probabile è quello con un'unica cella.

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Il moto circolare delle celle convettive che si creano nel mantello può essere assimilato in maniera semplicistica al moto che si forma all’interno di una pentola piena di acqua messa sul fuoco. L’acqua riscaldata sale in superficie, si diffonde e inizia a raffreddarsi e a ricadere sul fondo della pentola, dove si riscalda di nuovo e ricomincia il processo. La stessa cosa succede quando un termosifone riscalda l'aria. In questo modo si crea un ciclo convettivo. Il processo all’interno della Terra è molto più complesso, ma il precedente esempio è utile a far comprendere la dinamica profonda.

UN REATTORE NUCLEARE NEL NUCLEO INTERNO DELLA TERRA?

La presenza del fuoco per scaldare la pentola porta

a chiedersi allora da dove possa provenire il calore

interno della terra. Ebbene la risposta è da

ricercare nel nucleo solido della Terra. Il calore

che si sprigiona viene trasmesso poi al mantello,

dove si formano le correnti convettive responsabili

delle fratture e degli spostamenti delle placche.

Ma ci si chiede anche: Come mai il centro della terra ha una temperatura così alta?

Gli scienziati a tal proposito hanno

pareri contrastanti. C’è chi afferma che il decadimento radioattivo di elementi chimici naturali (processo spontaneo che

rilascia energia sotto forma di

calore) ed il calore residuo

(porzione di energia gravitazionale

rimasta dalla formazione del

Pianeta Terra), sono i responsabili

della produzione di tanto calore.

C’è invece chi afferma che: al centro della Terra vi sarebbe un nocciolo di Uranio in fissione attiva, racchiuso in una sfera del diametro di circa 8 km. Non stiamo parlando di fusione nucleare, un processo

che in natura non avviene sulla Terra ma solo nelle stelle (come il nostro Sole), ma di

fissione che si verifica naturalmente anche sul nostro pianeta. INDICE

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IL TERREMOTO.

Il terremoto consiste in un

movimento vibratorio, repentino e

di breve durata (da pochi secondi a

qualche minuto), della superficie

terrestre, prodotto dall'arrivo di

onde rapidissime provenienti da una

zona più o meno profonda ed estesa

della crosta terrestre in cui, per

cause naturali, si è verificata

un'improvvisa frattura o

spostamento di masse rocciose.

COME AVVIENE UN TERREMOTO.

Se sottoponiamo sperimentalmente

un campione di roccia ad uno sforzo

che tenda a deformarla, sia in

compressione sia in tensione, e

dopo un certo tempo togliamo la

forza deformante, la roccia

riprenderà la sua forma originaria.

Si dirà allora che la roccia è dotata di una certa, benché piccola, elasticità.

Aumentando la forza deformante,

ad un certo punto la roccia non

riprenderà, tolta la forza, la forma

primitiva ma resterà deformata. Si dirà che essa ha superato il limite di elasticità.

Al di là di questo limite, se

aumentiamo ancora di più la forza

deformante, la roccia giungerà ad

un punto in cui avviene la rottura.

Questo è il punto detto di rottura.

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Quello che abbiamo fato avvenire in laboratorio su piccolissima scala avviene in natura

su scala infinitamente maggiore quando una roccia è sottoposta ad uno sforzo che ne

vince la resistenza alla rottura.

All'interno della crosta terrestre si generano intense forze, dovute al calore interno

della Terra, che comprimono, stirano e deformano le rocce. Le placche, che formano la

crosta terrestre, sono sottoposte a questo lentissimo ed inarrestabile movimento che

finisce solo quando le rocce arrivano al punto di rottura. La grandissima energia accumulata nel tempo (anche secoli) dalle masse rocciose si libera improvvisamente provocando un brusco spostamento dei lembi della spaccatura. Questo movimento, a

carattere vibratorio, si propaga alle rocce adiacenti, da queste alle successive e così

via: si formano così delle onde elastiche, dette onde sismiche, che trasportano

l'energia dal luogo di origine in tutte le direzioni. Le vibrazioni si manifestano come

“scosse” ed esse possono essere tanto deboli da poter essere sentite soltanto dagli

strumenti, fino a tanto forti da causare fenditure nel suolo, crolli di edifici e di

strutture, frane ed altre catastrofi.

DIFFERENZA FRA EPICENTRO ED IPOCENTRO.

Il punto sulla superficie terrestre dove si riscontra la massima intensità di un terremoto si chiama epicentro. Il punto nella crosta terrestre, dove il terremoto si origina e dal quale partono le scosse, si chiama ipocentro o fuoco del sisma.

Esso si trova sotto la verticale dell’epicentro, a profondità che vanno fino a 60 Km di

profondità (terremoti superficiali o poco profondi); dai 60 ai 300 Km (terremoti intermedi); oltre i 300 Km (terremoti profondi o plutonici). I terremoti superficiali, che si verificano soprattutto nella crosta, rilasciano complessivamente il 75 % dell'energia liberata da tutti i terremoti; quelli intermedi contribuiscono con il 22 % ed il restante 3 % viene rilasciato da quelli profondi. Tanto più profondo è l’ipocentro di un sisma, tanto minore sarà l’energia che giunge in superficie, (perché la stessa si distribuisce su un territorio più esteso) e di conseguenza minori saranno i danni che può provocare e viceversa.

LA TOMOGRAFIA SISMICA.

L'uomo è riuscito a perforare la crosta terrestre fino a 24 Km circa, ben poca cosa

rispetto allo spessore della stessa che arriva fino a 7 Km al di sotto degli oceani e da

30 a 40 Km nella terraferma. Se oggi noi sappiamo come è strutturata al suo interno

la Terra lo dobbiamo allo studio delle onde sismiche. Queste attraversandola da parte a parte o venendo riflesse dai diversi strati di cui è formato il pianeta ci consentono di ricostruire, con una discreta precisione la conformazione interna del pianeta, come con una vera e propria TAC.

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IL CICLO SISMICO.

La nozione di ciclo sismico è di grande importanza, in quanto è il presupposto di una

serie di ricerche sulla previsione dei terremoti. Il meccanismo di accumulo di energia

si verifica soprattutto nelle aree dove esistono strutture geologiche in movimento.

In una zona notoriamente sismica si potrebbe calcolare il probabile intervallo di tempo

che intercorre fra una crisi sismica e la successiva.

Infine le alterazioni delle caratteristiche delle rocce negli stadi che precedono il

terremoto possono essere utilizzati come fenomeni premonitori dell'approssimarsi di

un evento.

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INDICE

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SEGNI PREMONITORI.

Il terremoto è una riorganizzazione della crosta terrestre che si manifesta con

movimenti più o meno bruschi, ma anche con segnali premonitori. Da circa 40 anni gli

esperti stanno concentrando una parte delle loro ricerche su questi segnali nel

tentativo di riuscire ad individuare anomalie e fenomeni particolari che consentano di

anticipare nel tempo un sisma. Ne sono stati identificati sei tipi: meccanici, tettonici, chimici, elettromagnetici, biologici e meteorologici.

FENOMENI MECCANICI.

Recenti studi hanno dimostrato che

prima di un evento sismico mesi o anni

prima) sono state registrate

deformazioni e piccole fratture del

suolo, che possono essere considerati

come l'inizio di una serie di terremoti più

o meno disastrosi. Si tratta di

deformazioni di pochi millimetri rese

evidenti dai sistemi satellitari di

posizionamento (i GPS) e dai radar

satellitari. Sono stati registrati anche

rumori e tonfi provenienti dal sottosuolo

e improvvise variazioni del livello dell’acqua in sorgenti artesiane come pozzi e

fontanili.

FENOMENI TETTONICI. Ogni evento sismico deforma anche la faglia sismogenetica della zona circostante e ne

altera lo stato di sforzo delle porzioni di crosta adiacenti. In questo modo un

terremoto trasmette informazioni alle faglie attive circostanti, cosa che fino ad

alcuni anni fa, gli scienziati escludevano categoricamente questa possibilità. Oggi

invece si è propensi ad accettare il fatto che le faglie possano comunicare tra di loro,

che possa esistere cioè una “interazione fra le faglie”. In effetti quando una faglia si muove producendo un sisma, riduce lo stress che si è accumulato al suo interno, ma lo aumenta in un altro luogo. L’energia prodotta da un sisma in una zona, in determinate condizioni (quantità di energia che si libera, stato di stress delle faglie circostanti…), riversandosi in parte anche nelle faglie vicine ne aumenta lo stress e le induce a provocare altri terremoti. Questa recente scoperta potrebbe rivelarsi un'arma in più

per i sismologi per calcolare il rischio sismico di una determinata zona.

FENOMENI CHIMICI.

Le rocce sono come delle spugne e al loro interno contengono acqua, gas (come il

radon) e sostanze chimiche che in particolari condizioni di stress vengono liberate. Il

radon, sostanza radioattiva, prima del terremoto, aumenta di quantità e si

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scioglie, nelle acque delle falde o si libera nella superficie del suolo. Può anche

succedere che prima di un terremoto si possano percepire strani odori, come quello

dello zolfo, provenienti dal sottosuolo.

FENOMENI ELETTROMAGNETICI.

Prima di un terremoto si possono manifestare fenomeni luminosi come bagliori, lampi,

arrossamento del cielo, fenomeni simili a stelle cadenti o globi luminosi, alterazioni

nelle comunicazioni radiotelevisive (attenuazione e disturbi del segnale), e dei

cellulari. Sono state registrate vistose anomalie nelle strumentazioni a bordo di navi,

vicine all’epicentro, probabilmente influenzate da questi segni premonitori.

FENOMENI BIOLOGICI.

Gli animali prima di un terremoto hanno comportamenti strani, come agitazione e

irrequietezza apparentemente ingiustificate. I pesci si agitano nell'acqua, strane

creature emergono dal profondo del mare, i topi escono dalle tane, i cani si

innervosiscono, vermi e serpenti vengono allo scoperto, gli animali come cavalli e

mucche vogliono uscire dai recinti. Insomma, gli animali sembrerebbero in grado di

percepire alcuni segnali precursori dei terremoti, come onde elettromagnetiche

(attraverso i peli) e vibrazioni. Anche negli uomini sono state osservate anomalie

come: malesseri, insonnia o persone che si destano prima del sisma.

FENOMENI METEOROLOGICI.

Fenomeni meteorologici insoliti sono stati osservati prima di un terremoto, come:

raffiche di vento, calma assoluta, sbalzi di temperatura, particolari formazioni

nuvolose, nebbia o foschie.

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SI POSSONO ALLORA PREVEDERE I TERREMOTI?

Ebbene la domanda che ci si pone è: sono sufficienti tutti questi fenomeni precursori per stabilire dove, quando e quanto si può verificare un terremoto?

La sfida degli scienziati è quella di capire se questi fenomeni possano essere

effettivamente considerati un’anticipazione del sisma per localizzare la zona in cui si

scatenerà. La Scienza si sta avvicinando a questo problema con un “approccio

sistemico”. Gli scienziati stanno cambiando strategia, hanno capito che, non basta

raccogliere una maggior quantità di dati, ma che è necessario studiare i terremoti nel

loro complesso, senza limitarsi alle singole componenti, ma interessandosi anche delle

loro reciproche relazioni. Anche se in molti paesi del nostro pianeta, quali per esempio

il Giappone e gli Stati Uniti d'America stanno studiando da tempo i metodi atti a

prevenire gli eventi sismici, purtroppo ad oggi non siamo ancora in grado di rispondere positivamente alla domanda iniziale. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma si spera che un giorno, non lontano, i progressi in questo campo possano risolvere questo grave problema. INDICE

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LE ONDE SISMICHE CI FORNISCONO DIVERSE INFORMAZIONI.

Ma come è possibile avere tutte queste informazioni sul nostro pianeta se al massimo siamo arrivati a 24 Km circa di profondità? Cioè abbiamo appena scalfito la superficie terrestre e sappiamo con relativa certezza come è strutturata internamente la Terra.

Ci sono ancora porzioni di terre emerse ed altre zone, ben più vaste, del mondo

sottomarino che sono rimaste del tutto inesplorate. Le trivellazioni effettuate sono

riuscite ad arrivare ad appena 12 degli oltre 6.000 Km del raggio terrestre.

E allora con quale strumento siamo riusciti a penetrare l’interno della Terra? Dal momento che è impossibile arrivare al centro della Terra, l’uomo ha utilizzato uno strumento assai potente: il metodo sperimentale. Trattasi di un metodo scientifico introdotto da F.Bacone e da Galileo Galilei che si

afferma come metodo di indagine scientifica a partire dal XVII secolo. Questo

metodo si basa principalmente sull'osservazione dei fenomeni fisici, sull'utilizzo della

matematica e sull'esperimento riproducibile.

Lo studio delle onde sismiche, infatti, è considerato uno dei metodi indiretti per

indagare la composizione chimica, mineralogica, termica di strati così profondi da non

poter essere analizzati con metodi diretti.

LE ONDE SISMICHE.

Le onde sismiche viaggiano con velocità che sono tanto maggiori quanto più denso è il mezzo di propagazione e dall’ipocentro si propagano attraverso tutta la Terra.

Attraverso lo studio dei parametri che regolano la propagazione delle onde sismiche

(es. direzione, velocità) è possibile ricavare informazioni riguardanti lo stato fisico dei

materiali costitutivi delle zone più interne della Terra e la loro relativa composizione.

La prima importante informazione sulla sua struttura riguarda la densità.

LA DENSITÀ.

La densità di un oggetto è la massa (cioè la quantità di materiale contenuto in

quell’oggetto) divisa per il volume (la quantità di spazio occupato dall’oggetto).

Densità = massa dell’oggetto/volume dell’oggetto.

Quasi tutte le rocce della terraferma hanno una densità che è fra 2 e 3,5 volte quella

dell’acqua. Se tutta la Terra fosse fatta uniformemente di queste rocce, la sua

densità media dovrebbe essere circa: 2,7 g/cm3 quella dell’acqua. La densità della

crosta continentale si attesta intorno ai 2,7 g/cm³; quella della crosta oceanica,

invece, intorno ai 3 g/cm³; la densità media della Terra è invece 5,4 volte quella

dell’acqua.

Se ne deduce che i materiali sotto la superficie terrestre devono essere più densi

di quelli posti in superficie.

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Esistono tre tipi fondamentali di onde sismiche.

LE ONDE P

Onde P (longitudinali o primarie), dette così perché sono le più veloci, arrivano prima

nella zona epicentrale, attraversano l’interno della Terra. Viaggiano ad una velocità di

5,3 Km/sec ad una profondità tra 0 e 25 Km; a 6,6 Km/sec ad una profondità tra i 25

ed i 50 Km e a 11,9 Km/sec tra i 50 Km ed il centro della Terra.

Le rocce attraversate da queste onde subiscono alternativamente compressioni e

dilatazioni nella stessa direzione in cui l'onda si propaga. Posseggono meno energia

rispetto alle onde S e si propagano in qualsiasi mezzo solido e liquido.

Quando passano da un tipo di solido ad un altro o da un solido ad un liquido,

vengono riflesse o piegate.

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LE ONDE S.

Onde S (trasversali o secondarie), dette così perché sono le meno veloci, arrivano

dopo le onde P nella zona epicentrale e penetrano all’interno della Terra. La loro

velocità massima è di 5 Km/sec.

Sotto la loro azione le particelle delle rocce oscillano in direzione perpendicolare

a quella di propagazione.

Le onde S posseggono più energia rispetto alle onde P, ma si propagano solo in un

mezzo solido e vengono fermate dai liquidi, quindi non attraversano il nucleo

interno della Terra, perché il nucleo liquido esterno le assorbe. Quando invece

passano da un tipo di solido ad un altro vengono riflesse e piegate.

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LE ONDE L.

Le onde L (lunghe o superficiali) si generano e viaggiano solo sulla superficie

terrestre subito dopo l'arrivo delle altre due onde sismiche.

Esse si propagano con una velocità poco superiore a 3 Km/sec. e provocano movimenti sussultori e ondulatori. Questi movimenti si trasmettono anche alle costruzioni (edifici, ponti, strade, linee ferroviarie) causando spesso la loro distruzione.

LE ONDE SISMICHE NON SI PROPAGANO IN MANIERA UNIFORME NEL SOTTOSUOLO.

La velocità e l’ampiezza delle onde sismiche dipendono dalle caratteristiche della

sorgente sismica, dal tipo di suolo che attraversano e anche dalla topografia. Esse,

quindi, non si propagano in maniera uniforme nello spazio e luoghi posti alla stessa

distanza dall’epicentro e risentono del terremoto in maniera completamente diversa.

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Abbiamo già detto che le

onde P e le onde S vengono

riflesse e piegate durante il

loro tragitto attraverso la

Terra. Ciò fa pensare che

devono esserci, all’interno

della Terra, degli strati di

diversi tipi di solidi. Lungo

alcune direzioni, le onde S

sono assenti e poiché queste

vengono assorbite dai liquidi,

la loro assenza indica la

presenza di un qualche liquido

sotto la superficie terrestre.

Lo studio delle onde sismiche

ci fa capire quindi che

all’interno della Terra

esistono delle discontinuità.

INDICE

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LE DISCONTINUITÀ ALL'INTERNO DELLA TERRA

La stratificazione della Terra è stata dedotta indirettamente misurando i tempi di propagazione delle onde sismiche rifratte e riflesse create dai terremoti. Come già detto nelle pagine precedenti, l'interno della Terra è simile ad un insieme di

gusci sovrapposti. Questi gusci, secondo i dati attuali, sono separati da zone nelle quali si registrano modificazioni nette ed improvvise delle proprietà fisiche delle rocce. La

superficie che separa due mezzi nei quali le onde sismiche si propagano con direzioni e

velocità differenti è detta "superficie di discontinuità".

La velocità delle onde sismiche P ed S dipende dalle proprietà elastiche dei materiali

che attraversano; mentre la loro direzione cambia quando incontrano una

discontinuità fisica nella materia in cui si trasmettono, per esempio un passaggio da

solido a liquido o viceversa. Veduta schematica dell'interno della Terra.

1. crosta continentale

2. crosta oceanica

3. mantello superiore (35 – 660 Km)

4. mantello inferiore (660 – 2890 Km)

5. nucleo esterno (2890 – 5150 Km)

6. nucleo interno (5150 – 6360 Km)

A: discontinuità di Mohorovičić (35 Km)

B: discontinuità di Gutenberg (2885 Km)

C. discontinuità di Lehmann (5155 Km)

La crosta si estende da 5 a 70 km e presenta

notevoli variazioni di spessore: massima dove ci sono le terre emerse (in particolare le catene montuose), minima sul fondo degli oceani. Ma le differenze non si limitano al solo spessore, interessano anche la composizione e

l’origine. E’ possibile infatti evidenziare due tipologie di crosta: una crosta

continentale, composta principalmente da rocce contenenti silicio e alluminio, e una

crosta oceanica, che si presenta più uniforme nella sua composizione, presenta rocce

di tipo femico (ferro-magnesio).

Il mantello terrestre (superiore e inferiore) si estende fino ad una profondità di

~2890 km, facendo di esso lo strato più spesso della Terra (circa il 67 %).

Le misurazioni sismiche mostrano che il nucleo è diviso in due parti: un nucleo interno solido con un raggio di ~1216 km composto essenzialmente da nichel e ferro, che si

comporta come un solido; un nucleo esterno liquido che si estende oltre di esso fino a

un raggio di ~3486 km, composto principalmente da nichel, ferro silicio e zolfo, che si

comporta come un fluido.

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È stato anche calcolato che il nucleo interno ruota un po' più velocemente del resto

del pianeta.

LE ZONE D'OMBRA.

Osservare come nella figura sotto le onde P passano sia attraverso i solidi che liquidi,

vengono semplicemente deviate quando incontrano il nucleo esterno; invece le onde

sismiche di tipo S vengono sono fermate dalle parti liquide. Notare anche come nella

parte della Terra opposta all’ipocentro arrivano solo le onde P. Ci saranno delle zone

della Terra che, a causa delle deviazioni subite dalle onde P ed S, non registreranno

alcun terremoto.

Queste zone sono chiamate «zone d’ombra». Una stazione sismica che si trova in una

"zona d'ombra" vedrà i suoi sismografi non registrare alcun sisma e le zone d'ombra si

vanno a collocare esattamente nell'emisfero opposto a quello in cui il sisma si è

verificato.

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LA DICONTINUITA' DI MOHOROVICIC.

Tale discontinuità,

normalmente abbreviata in

Moho, è situata ad una

profondità compresa fra 5 e

80 km, segna il limite fra la crosta (oceanica o continentale) meno densa ed il mantello più denso. Per

essere ancora più precisi la Moho è compresa fra 0 e 15 km sotto la crosta oceanica, a 30 km sotto una crosta continentale, ed a una più grande profondità (fino a 80 km) sotto le catene di montagne recenti. Le onde che la attraversano accelerano bruscamente, questo significa che sotto di essa ci sono materiali solidi.

Il mantello è formato da

rocce di tipo ultrafemico

nella sua parte superiore,

immediatamente sotto la

Moho, ed è molto più rigido

e denso della crosta.

L’insieme di crosta e questo

primo strato di mantello

viene anche definito

litosfera.

Appena sotto la litosfera si

estende una zona definita

dalle basse velocità, o

astenosfera: è chiamata così

perché in questo strato le onde sismiche subiscono forti rallentamenti a causa della

densità della materia, quasi “plastica”. Le differenze tra litosfera e astenosfera sono

quindi principalmente legate allo stato fisico più che alla composizione chimica.

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Con l'aumentare della profondità aumenta anche la temperatura (3° ogni 100 metri,

circa 30° ogni chilometro). Questo aumento rimane costante più o meno fino a

1300 °C, a profondità maggiori, nel mantello convettivo, la temperatura rimane quasi

costante.

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LA DISCONTINUITA' DI GUTEMBERG.

È la superficie che separa il nucleo dal mantello all'interno della Terra, individuata e

scientificamente determinata per la prima volta nel 1914 dal geofisico tedesco Beno

Gutenberg. E' la superficie situata a 2.900 km che marca il limite fra il mantello inferiore e il nucleo esterno, che si comporta come un liquido. Le onde P che la attraversano decelerano, passando da valori superiori a 13 km/s a circa 8 km/s;

mentre le onde S vengono fermate, quindi il nucleo esterno è costituito da materiale fuso.

Dal limite nucleo – mantello in giù, segnato da questa discontinuità, la temperatura

ricomincia ad aumentare fino a raggiungere i circa 6000 °C nel centro del pianeta, ma

gli elementi sono allo stato solido a causa della pressione.

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LA DISCONTINUITA' DI LEHMAN.

La sismologa danese Inge Lehmann è la scopritrice di questa discontinuità situata ad

una profondità di circa 5150 km, che si manifesta in una riflessione delle onde P.

Essa fu interpretata dalla scopritrice come una superficie di contatto tra il nucleo terrestre esterno liquido, ed il nucleo terrestre interno solido. Prima di tale scoperta si pensava che il nucleo terrestre fosse interamente liquido.

La Lehmann scoprì il nucleo interno nel 1936 e si ritiene che esso sia composto

principalmente di ferro e in misura minore di nichel (nife).

Oltre a queste, sono state identificate altre discontinuità minori, per lo più

localizzate in qualche specifica zona su un ambito territoriale regionale o

relativamente ristretto. INDICE

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COME SI MUOVONO LE PLACCHE

Prima di spiegare come si possono spostare le placche, è opportuno fare alcune

precisazioni.

Ci sono due tipi di litosfera: quella continentale e quella oceanica.

La litosfera continentale è composta da minerali relativamente leggeri ed ha una bassa densità. La litosfera oceanica è più densa di quella continentale perché composta da minerali pesanti. Una placca può essere interamente fatta di litosfera oceanica o continentale, ma molte sono in parte oceaniche ed in parte continentali. Sotto la placche litosferiche si trova l'astenosfera, uno strato del mantello

composto da roccia densa ma semi-solida (perché molto calda).

Dato che le placche sono meno dense rispetto all'astenosfera sottostante, esse galleggiano sull'astenosfera.

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In profondità l'astenosfera è soggetta a pressioni e temperature così alte che le rocce risultano plastiche e parzialmente fuse. Queste rocce si comportano come un fluido molto viscoso che può fluire molto lentamente nel corso dei tempi geologici.

LE DIVERSE INTERAZIONI FRA LE

ZOLLE.

Il movimento delle placche non è

sempre uguale, in alcune località le

placche si allontanano, in altre si

scontrano frontalmente, in altre

ancora slittano una accanto all'altra.

In tutti e tre i casi si scatenano terremoti, in due su tre si verificano attività vulcaniche. Occorre precisare che: all'interno di una placca possono crearsi, localmente, zone (o microplacche) sottoposte a movimenti tettonici differenti rispetto a quello della placca stessa. Per esempio l'Etna, dall'intensa attività effusiva, si trova in una zona di distensione, in contrapposizione a quanto avviene nel bacino del Mediterraneo, un'area dominata da processi di convergenza tra le zolle africana ed euroasiatica.

MARGINI DIVERGENTI.

I margini divergenti vengono anche definiti: di accrescimento o costruttivi.

Una volta formatesi le correnti convettive, queste portano i materiali caldi del

mantello profondo verso la superficie dove divergono alla base della litosfera

esercitando una debole trazione e stiramento sulla placca solida sovrastante.

La tensione e il flusso di calore indeboliscono la placca che si rompe in due creando

una profonda frattura (o faglia).

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Se il fenomeno avviene nei fondali oceanici, lo spazio tra queste placche divergenti è riempito da roccia fusa (magma) che

arriva dal basso (vulcanismo anorogenico). Il contatto

con le acque dell'oceano

raffreddano il magma che

solidifica rapidamente,

formando nuova litosfera oceanica. Si viene a formare

una catena montuosa

chiamata dorsale oceanica.

LE DORSALI OCEANICHE.

Le dorsali oceaniche sono una serie di rilievi sommersi disposti in poderose catene la

cui lunghezza totale raggiunge i 60.000 Km. Esse sono

del tutto diverse dai rilievi montuosi della

superficie, perché la loro sommità è

percorsa da una profonda spaccatura,

larga una decina di chilometri e

profonda poche centinaia di metri,

chiamata rift valley, per la sua

stratta somiglianza con il sistema

do fosse (Great Rift Valley)

dell'Africa Orientale.

Da questa spaccatura fuoriesce

magma basaltico proveniente

dall'interno della terra che,

solidificandosi, forma la dorsale

stessa. Benché le successive colate laviche si sovrappongono le une alle altre, la

dorsale però non muta in altezza, ciò perché i basalti più vecchi, cioè quelli più lontani dal rift, vanno a confluire nelle fosse oceaniche, dove avviene il fenomeno di subduzione.

Gli eventuali vulcani che si vengono a formare in queste catene montuose sottomarine

sono di tipo effusivo, cioè sono vulcani tranquilli o debolmente esplosivi, che mettono

lave fluide da fratture, dal cratere centrale o da bocche secondarie.

Questa lunghissima fascia di crosta oceanica in alcuni punti si solleva dal fondali

marini per 2.000 - 3.000 metri d'altezza in qualche punto arriva ad emergere dalla

superficie del mare, come avviene in: Islanda e nelle Isole Azzorre.

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Nelle due figure sopra e sotto si può notare la gigantesca e lunghissima fascia di

montagne che parte dal Mar Glaciale Artico, scende giù per tutto l'Atlantico,

l'Indiano, ed il Pacifico meridionale e orientale, con alcune diramazioni, come quella

che dell'Oceano Indiano sale verso nord e prosegue lungo il Mar Rosso.

Se invece il processo avviene sulla terraferma nascono dei nuovi oceani. Esistono luoghi sulla Terra dove gli

oceani nascono, sono le Rift Valley

continentali, le fosse tettoniche che

caratterizzano la crosta continentale

in fase di oceanizzazione.

Qui la crosta terrestre si sta lacerando per separarsi, in un giorno lontano, in due

placche tettoniche divergenti dove un nuovo giovane oceano s’interporrà tra le due

placche. Un importante esempio è dato della "Rift Valley" dell’Africa orientale.

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GLI HOT SPOT O

PUNTI CALDI.

Sono delle aree

vulcaniche collocate

entro le placche

tettoniche, anziché

ai confini di esse

come avviene con le

aree vulcaniche che

si sviluppano lungo i

margini divergenti o

convergenti delle la

teoria generale

della tettonica a

placche. Gli "hot

spot", sono quindi

delle correnti calde

in risalita. In questi punti caldi il pennacchio, che proviene dalla corrente convettiva,

risalendo fa fondere il materiale della crosta che alimenterebbe di magma basaltico il

vulcano. E' il caso, per esempio, delle isole Hawaii o dell'Islanda. Questi vulcani sono di

tipo effusivo.

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MARGINI CONVERGENTI.

I margini convergenti vengono anche definiti: di subduzione o distruttivi quando si

scontrano: una placca oceanica e una placca continentale; oppure due placche

oceaniche.

Quando due placche si scontrano i margini tendono a sovrapporsi, cioè vanno uno sopra

l’altro, e la placca più pesante (quella oceanica è sempre più pesante rispetto a quella

continentale) finisce sotto quella più leggera e sprofonda nel mantello (si dice che va

in subduzione) fino a fondere per l’elevata temperatura. In questi casi si possono

formare "vulcani di arco insulare", come quelli delle Filippine o delle isole Eolie, che

sono di tipo esplosivo anche perché producono magmi con una composizione chimica

particolare; oppure "vulcani grigi" con attività fortemente esplosiva, come il Vesuvio;

oppure catene montuose.

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SCONTRO TRA DUE PLACCHE CONTINENTALI.

Se invece si scontrano due placche continentali, cioè due placche leggere, si crea una catena montuosa e si parla di "orogenesi" (dal greco oros: monte + genesis: nascita). Le

masse rocciose si ripiegano sollevandosi a formare una catena montuosa priva di vulcani. Un classico esempio è la collisione fra l'India e l'Asia che ha generato il gruppo dell'Himalaya.

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MARGINI TRASFORMI E TRASCORRENTI.

In entrambi i casi, questi movimenti sono causa di terremoti, non creano vulcani e la crosta si conserva, perché le zolle crostali adiacenti scivolano soltanto l'una vicino all'altra.

FAGLIE TRASFORMI.

Le faglie trasformi si osservano lungo le dorsali oceaniche, che risultano così

suddivise in tronconi relativamente

corti, scorrenti lateralmente l'uno

rispetto all'altro. Le faglie trasformi, che interrompono il percorso delle dorsali, sono scarpate molto ripide, quasi verticali, sedi di frequenti terremoti solamente nel tratto che raccorda i due tronconi della dorsale, in cui l'ipocentro dei terremoti è sempre superficiale e l'energia che essi liberano relativamente bassa.

Sulla terraferma famosa è quella di San

Andrea in California.

(A) In una faglia trasforme diretta o di distensione

uno dei blocchi (muro) si abbassa nella direzione

dell’inclinazione e l’altro (tetto) sta fermo.

(B) In una faglia trasforme inversa o di compressione

uno dei blocchi (tetto) risale sull’altro (muro).

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FAGLIE TRASCORRENTI.

(C) Quando il piano di faglia è pressoché orizzontale si ha un sovrascorrimento con un

blocco che scorre sull’altro.

(D) Quando il piano di faglia è verticale si ha una faglia trascorrente, in cui un blocco

scorre accanto all’altro

INDICE

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L’INVERSIONE DEL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE.

Il campo magnetico terrestre fa sì che l’ago della bussola sia sempre allineato lungo un

asse nord-sud. Uno studio sulle rocce laviche, ricche di ferro, i cui minerali ferrosi

rimangono in qualche modo “congelati” nelle rocce con impressa la direzione del campo

magnetico nel momento del loro raffreddamento, ha dimostrato che i poli nord e sud

si sono scambiati gli orientamenti magnetici almeno dieci volte negli ultimi milioni di

anni.

L’inversione sembra

rispettare cicli di

600-700.000 anni. Ma

ci sono anche stati

periodi di 40 milioni di

anni senza alcuna

inversione, mentre in

alcuni casi il periodo

tra un’inversione e

l’altra è stato solo

qualche secolo.

41.000 anni fa circa, il

campo magnetico

impiegò non più di 450

anni per spostarsi dal

Polo Nord al Polo Sud

e tornare poi alla

posizione di partenza,

che è poi quella di

oggi.

Si può immaginare il campo magnetico come il prodotto di una potentissima calamita

posta al centro del pianeta. Il campo magnetico si estende per decine di migliaia di

chilometri oltre la superficie terrestre e ci protegge dai raggi cosmici e dalle

radiazioni solari, e serve all'orientamento di molti animali. La risposta a come ciò possa

avvenire si trova nella magnetite contenuta nelle rocce vulcaniche: i granuli di

magnetite, che si comportano come piccoli magneti, possono allinearsi secondo

l’orientamento del campo magnetico terrestre.

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Quando il magma si raffredda originando rocce vulcaniche solide, l’allineamento dei

granuli di magnetite viene immobilizzato, registrando così l’orientamento o polarità

magnetica (diretta o inversa) della Terra al momento del consolidamento della roccia.

Nel 1950, mentre si proseguiva la cartografia dell'oceano, si scoprì che le inversioni

magnetiche non erano fatti casuali o episodi isolati, ma il fondo oceanico risultò avere

un disegno zebrato, ovvero bande alternate di rocce differenti dal punto di vista del

magnetismo

registrato erano

disposte in file da

ogni lato della

dorsale oceanica:

una banda

presentava una

polarità normale e

la banda

adiacente polarità

inversa. Il

disegno

risultante,

definito da

queste bande di

rocce alternate presentanti polarità diretta o inversa, divenne noto come "pattern

zebrato".

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PERCHÉ CAMBIA IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE?

Il campo magnetico si forma nel nucleo esterno, dove vi sono fortissime correnti

elettriche.

Le ipotesi sono tante, ma nessuna davvero esauriente. La più credibile è quella che

vuole che le particelle cariche in movimento, come quelle del ferro liquido nel nucleo

esterno, generano

un campo

magnetico. Quindi i

movimenti

convettivi nel

nucleo esterno

producono il campo

magnetico della

Terra.

Un eventuale

cambiamento del

moto del ferro allo

stato liquido,

potrebbe invertire

il campo magnetico

terrestre.

Le cause della periodica inversione del campo magnetico rimagono ancora uno dei

grandi misteri della geologia.

Il nucleo solido interno è troppo caldo per mantenere un campo magnetico

permanente, ma probabilmente agisce come stabilizzatore del campo magnetico

generato dal nucleo esterno liquido.

INDICE

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CHE FINE FARÀ LA TERRA?

Molto probabilmente fra 250-300 milioni di anni la tettonica delle placche formerà

nuovamente un supercontinente. Fra uno a due miliardi di anni, l'aumento costante

della radiazione solare causato dall'accumulo di elio nel nucleo del Sole avrà come

risultato la perdita degli oceani e la cessazione della deriva dei continenti.

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Fra quattro miliardi di anni l'aumento della temperatura della superficie terrestre

4.000° C. causerà un effetto serra incontrollato. A quel punto, la maggior parte della

vita (se non tutta) presente sulla superficie terrestre sarà estinta. L’atmosfera si

disperderà nello spazio e senza questa protezione i meteoriti precipiteranno

direttamente sulla superficie terrestre, formando innumerevoli crateri.

Il destino estremo più probabile del pianeta sarà fra circa 5 -7,5 miliardi di anni, dopo che la stella sarà entrata nella fase di gigante rossa e si sarà espansa fino ad

incrociare l'orbita del pianeta. A questo punto per la Terra si ipotizzano due ipotesi: o verrà risucchiata dal Sole, come i pianeti più interni; oppure il vento solare sposterà la terra verso un’orbita più esterna evitando che venga inghiottita dal Sole.

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NOTE

DECADIMENTO RADIOATTIVO = La radioattività è dovuta alla spontanea "spaccatura" di un

atomo che ha un elevato numero di protoni nel nucleo. Dalla "spaccatura" si formano atomi più piccoli

che hanno un minor numero di protoni, e inoltre si libera energia sotto forma di radiazioni e calore.

PAGINA

ATTIVITÀ EFFUSIVA DELL’ETNA = Anticamente era un vulcano a scudo o hawaiano

(emetteva

lave molto

fluide e a

temperature elevate), oggi è uno stratovulcano, detto così perché alterna periodi in cui l'attività è

caratterizzata sull'emissione di lava a periodi in cui vengono emesse soprattutto ceneri, lapilli e bombe

vulcaniche. Per questo l'edificio vulcanico presenta stratificazioni successive di lave solidificate e di

piroclasti. Le sue lave si distribuiscono su un'ampia area molto vasta e in passato non di rado hanno

raggiunto il mare. Famosa quella del 1669 che raggiunse Catania.

PAGINA

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ISOLE EOLIE = Lo scontro, nel basso Tirreno, tra la placca africana e quella euroasiatica.

Quest'ultima,

formata da litosfera

continentale ed

oceanica, essendo più

pesante va in

subduzione e

trovando in

profondità

temperature sempre

più elevate fonde,

contribuendo a generare magmi che alimentano i vulcani delle Eolie. PAGINA

VULCANI GRIGI = A grandi linee si possono distinguere vulcani rossi (caratterizzati da emissioni

effusive in cui l'accumulo delle colate laviche dona all'edificio vulcanico un aspetto "marrone-

rossastro") e vulcani grigi (vulcani con eruzioni di carattere esplosivo in cui l'accumulo di ceneri dona

all'edificio vulcanico un aspetto grigio-nero). PAGINA

RADON = Il Radon è un gas che deriva dal decadimento radioattivo del Radio 226 e dell'Uranio 238.

E' presente ovunque ed in particolare nelle rocce vulcaniche. Ogni 92 ore il Radon si dissocia (cioè si

dimezza) in Polonio 218 e Polonio 214, elementi che emettono particelle alfa (cioè nuclei di elio costituiti

da 2 protoni e 2 neutroni). Questi emettono radiazioni ionizzanti e se si possono fermare negli alveoli

polmonari, possono provocare cancro al polmone. PAGINA

FENOMENI LUMINOSI = Le luci sismiche. Sono fenomeni che ancora non sono stati ben compresi

dagli scienziati, ma che sono stati osservati anche nell’antichità. È per esempio il caso di Plinio il Vecchio

(23-79 d.C.), che riporta testimonianze di un terremoto nei pressi di Modena (89 a.C.) e cita fumo e fiamme

che "guizzavano al cielo". Nel 1600, nei pressi di Arequipa (Perù), le cronache riportano di globi luminosi

che si formavano in corrispondenza di un'eruzione vulcanica accompagnata da un terremoto. Nel '700 è il

filosofo tedesco Immanuel Kant a citare nei suoi scritti numerose testimonianze di fenomeni strani, come

bussole impazzite, luci abbaglianti e cieli colorati prima del terremoto: Kant concludeva che le cause dei

terremoti sembrano estendere il loro effetto fin nell'atmosfera.

Il primo a studiare sistematicamente le luci sismiche fu il sacerdote italiano Ignazio Galli, che nel 1910

compose un primo catalogo al quale contribuì anche Giuseppe Mercalli (per il sisma del 1908). Galli registrò

148 casi, a partire dal terremoto di Modena dell'89 a.C., e catalogò le luci in 4 gruppi: bagliori istantanei,

nubi luminescenti, fiamme e forme strutturate (globi, colonne, trombe). Successivamente le luci sismiche

sono state catalogate anche da altri scienziati, in Giappone e in Svizzera.

Alcuni scienziati ritengono che alcuni lampi e bagliori nel cielo siano generati da fuoriuscite di radon, un gas

radioattivo che si può liberare prima, durante e dopo un sisma: le radiazioni prodotte dal radon

elettrizzerebbero l'aria nei pressi dell'epicentro, creando un effetto simile a una lampada al neon. Ma

l'ipotesi più plausibile è che fenomeni diversi abbiano origini diverse. PAGINA

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TERREMOTO = La parola terremoto deriva dal latino "terrae motus", che significa "movimento

della terra". Sisma invece deriva dal greco "seismòs", che significa "scotimento". PAGINA

METODO SPERIMENTALE = Per metodo sperimentale si i intende il metodo con cui si perviene

all'enunciazione di leggi scientifiche mediante conferma (o falsificazione) sperimentale di ipotesi

basate sull'osservazioni ripetute di determinati fenomeni. PAGINA

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ASTENOSFERA =

È una fascia superficiale

del mantello terrestre,

giacente sotto la litosfera

e sopra la mesosfera,

compresa tra i 250 e 300

km di profondità, in cui le

rocce sono parzialmente

fuse.

È stata individuata con

certezza sotto la crosta

oceanica, mentre sotto la

crosta continentale non è

stata ancora individuata,

ma si presume che vi si

possa trovare a

profondità maggiori.

PAGINA

LITOSFERA = L'involucro solido più esterno della Terra, dello spessore di 70-100 km, detto anche

crosta terrestre o sial ; è composto per il 95% da rocce ignee e per il 5% da rocce sedimentarie e

metamorfiche, con prevalenza di minerali di silicio e alluminio (da cui: SIAL).

PAGINA

ETÀ DELLA TERRA = L'età della Terra fu determinata da Clair Patterson nel 1953,

utilizzando metodi radiometrici legati al decadimento dell'uranio.

PAGINA

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ALCUNE INFORMAZIONI SULLA TERRA.

Contrariamente a quanto si è pensato fino a poco tempo fa, dopo circa 200 milioni dalla sua formazione

sulla Terra esistevano già i continenti e gli oceani. Si è arrivati a questa conclusione studiando gli

“anfiboliti” rocce metamorfiche formate da silice e magnetite. Queste rocce, trovate in Canada, sono fra le

più antiche della Terra e si sarebbero formate 4.300.000,000 anni fa. Poiché si formano sotto acqua se ne

deduce che dopo circa 200 milioni dalla sua formazione, sulla Terra esistevano già i continenti e gli oceani.

DA DOVE PROVENIVA QUESTA ACQUA?

L’acqua che forma i mari e gli oceani sarebbe arrivata dallo spazio tramite i meteoriti. Studiando dei

meteoriti ci si è accorti che contenevano del sale, che aveva imprigionato goccioline di acqua. Tutto questo

sarebbe avvenuto subito dopo la formazione della Terra. Miliardi di meteoriti, per miliardi di anni

avrebbero quindi portato l’acqua sulla Terra. Con la presenza dell’acqua si crearono le condizioni di vita

sulla Terra.

Gli oceani nacquero con la Terra

Secondo una nuova ipotesi della formazione del nostro pianeta la sua superficie

venne ricoperta da oceani fin dai primordi. Questo avrebbe permesso alla vita di

avere molto più tempo per prendere forma.

Una delle domande ancora insolute sull’evoluzione primordiale del nostro pianeta

riguarda il momento in cui venne ricoperto dagli oceani. L’ipotesi più accreditata

sostiene che l'acqua arrivò - quando la Terra si era quasi completamente foramta - dalle

comete.

Ora uno studio della Woods Hole Oceanographic Insistution sostiene che l’acqua arrivò

durante la formazione del pianeta, confermando la tesi che una parte dell'acqua presente

sulla terra arrivò dai planetesimi che si fusero a formare la Terra. Quest’idea ha sempre

stentato a prendere piede perché si pensava che gli impatti tra un planetesimo e l’altro

avrebbero prodotto temperature superficiali tali da far evaporare l'eventuale acqua

presente nelle rocce.

UNO SCENARIO DIVERSO. Alla nuova conclusione i ricercatori sono arrivati

partendo dalle condriti carbonacee e dalle eucriti, due tipi di meteoriti arrivate

dall’asteroide Vesta.

Si tratta di meteoriti che si sono formate contemporaneamente, o subito dopo, la nascita

del Sole e risultano essere i campioni ideali per cercare l’origine dell’acqua nel sistema

solare.

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Le condriti, che sono ricche d’acqua, hanno caratteristiche mineralogiche molto simili

alle rocce primordiali della Terra e quindi molto probabilmente furono i mattoni del

nostro pianeta. Ne consegue che esse portarono una grande quantità d’acqua così che la

Terra fu “bagnata” fin dai primordi. Spiega Horst Marshall, autore della ricerca: «Lo

studio dimostra che l’acqua terrestre probabilmente si è accumulata nello stesso periodo

delle rocce primordiali senza necessariamente perdersi nello spazio».

LA VITA ARRIVÒ PRESTO. Non è comunque da escludere che altra acqua sia

arrivata sulla Terra dalle comete o da altri asteroidi in tempi successivi. Ma se l’acqua si

depositò sulla superficie del pianeta già durante la sua formazione, si può ipotizzare che

la vita si sia potutta formare molto prima di quel che si è sempre pensato e che anche

altri pianeti interni del sistema solare avrebbero potuto ospitare acqua e avrebbero potuto

originare forme di vita primordiali prima di diventare gli ambienti inospitali che sono

oggi.

DA DOVE SONO ARRIVATI GLI AMINOACIDI?

Erano le 07.05 dell’8 febbraio 1969 quando un corpo roccioso della dimensione di un'automobile,

viaggiando a circa 58.000km/h, esplose disseminando al suolo migliaia di frammenti. In seguito

all'esplosione i frammenti si dispersero su

una vasta porzione di territorio, circa 8 x

50km, nei pressi del villaggio di Pueblito de

Allende, nello stato messicano di

Chihuahua. La regione prevalentemente

desertica, pianeggiante e con scarsa

vegetazione permise di raccogliere già poco

dopo la caduta centinaia di frammenti, con

masse variabili da un grammo fino a 110kg

(il più grande di questi aveva le dimensioni

di un pallone di calcio).

Occasionalmente qualche piccolo

frammento viene ancora trovato. Si stima

che in totale siano state raccolte fra le 2 e

le 3 tonnellate di campioni, anche se

alcune fonti parlano addirittura di una

massa complessiva forse superiore alle

5ton. Quella di Allende è senza dubbio la

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caduta di meteoriti di natura carbonacea più generosa mai registrata e tra le più importanti se è vero che

sono le più studiate della storia . Analizzando i campioni gli scienziati hanno scoperto che contenevano

degli aminoacidi, che sono i mattoni delle proteine. Quindi la vita non è cominciata sulla Terra, ma è

arrivata dallo spazio mediante i meteoriti che contenevano le molecole organiche alla base delle proteine.

I meteoriti quindi hanno portato sulla Terra non solo l’acqua, ma anche gli aminoacidi.