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1 Istituto Superiore Universitario di Scienze Psicopedagogiche e Sociali “Progetto Uomo” LE DISABILITÀ: IL NON UDENTE Tesina di Scienze Tecniche Mediche applicate all’handicap a.a. 20162017 Ombretta Bocci (Matr. 1088 EP14) Teresa Peruzzi (Matr. 1119 EP 14) Eleonora Crasta (Matr. 1130 EP14) Sara Sgamma (Matr. 1108 EP14) Carmen Maccarrone (Matr. 1152 EP15)

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Istituto Superiore Universitario

di Scienze Psicopedagogiche e Sociali

“Progetto Uomo”

LE DISABILITÀ: IL NON UDENTE

Tesina di

Scienze Tecniche Mediche applicate all’handicap

a.a. 2016-­2017

Ombretta Bocci (Matr. 1088 EP14) Teresa Peruzzi (Matr. 1119 EP 14) Eleonora Crasta (Matr. 1130 EP14) Sara Sgamma (Matr. 1108 EP14) Carmen Maccarrone (Matr. 1152 EP15)

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INDICE

1. Storia ed evoluzione delle persone con disabilità uditiva ……………….. pag. 1 (Eleonora Crasta) 1.1 Una sintesi sulla storia della sordità per riflettere sul presente …………… " 16 1.2 Focus sull’esperienze educative nel nostro Paese ………………………… " 18 1.3 La lingua dei segni ……………………………………………………………. " 19 1.4 Lingua dei segni, un progetto di legge per il suo riconoscimento ……….. " 20 1.5 Definire l’identità sorda ……………………………………………………….. " 21 1.6 Etnicità, Etica e il mondo dei sordi …………………………………………… " 27 1.7 L’impianto cocleare e la “cultura sorda ………………………………………. ” 38 1.8 Una nuova ricerca ……………………………………………………………… " 45

BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………….. " 46

2. Aspetti fisici e fisiopatologia del sistema uditivo (Carmen Maccarrone) … pa 47 2.1 Le patologia dell’apparato uditivo …………………………………………….. " 53 SITOGRAFIA……………………………………………………………………………..” 55

3. La rieducazione logopedica (Carmen Maccarrone) ………………………….. pag. 56 3.1 Gli obiettivi del trattamento logopedico ……………………………………… " 57

SITOGRAFIA……………………………………………………………………………” 59 4. LIS: Lingua Italiana dei Segni (Ombretta Bocci) ……………………………… pag. 59 4.1 Introduzione …………………………………………………………………… " 60 4.2 Origine della Lingua dei Segni ……………………………………………… " 59 4.3 Aspetti strutturali ………………………………………………………………. " 62

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4.4 Aspetti sociolinguistici ………………………………………………………… " 64 4.5 LIS: strategia di apprendimento ………………………………………………. " 65

SITOGRAFIA ……………………………………………………………………………. " 68

5. Scuola, tecnologia, attività ludica: per la realizzazione di interventi educativi (Sara Sgamma)………………… ” 69 5.1 Lo sviluppo del linguaggio ………………………………………………… " 69 5.2 I bambini sordi e la scuola …………………………………………………. " 69 5.3 Figure professionali …………………………………………………………. " 70 5.4 L’assistente alla comunicazione ……………………………………………. " 71 5.5 Le nuove tecnologie ………………………………………………………… " 72 5.6 Il gioco …………………………………………………………………………. " 73 SITOGRAFIA ……………………………………………………………………… " 74

6. Esperienze di Musicoterapia (Teresa Peruzzi) ……………………………. pag. 75 6.1 La Metodica ………………………………………………………………… " 76 6.2 L’impianto Cocleare ………………………………………………………. " 77 6.3 Le Ricerche ………………………………………………………………… " 78 6.4 Corpo – Mente o corpomente? …………………………………………….. " 88 6.5 I fondamenti teorici ………………………………………………………….. " 93 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………. ” 95

7. Le famiglie dei non udenti: prevenzione, riabilitazione e inserimento nel lavoro (Sara Sgamma) …………………………………… pag. 96 Proposta di legge 4207 (Testo allegato) ………………………………………… " 98

SITOGRAFIA …………………………………………………………………… . " 100

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1. Storia ed evoluzione delle persone con disabilità uditiva (Eleonora Crasta)

Il sordomutismo è una condizione patologica, congenita o acquisita, in cui la sordità può

dar luogo di conseguenza al mutismo. È una disabilità notafin dai tempi più remoti tanto

che viene riportata da alcune descrizioni nelle Sacre Scritture, nella Storia e nella

Letteratura più antica.

Dalle Sacre Scritture si apprende che il muto e il sordo non doveva essere disprezzato in

quanto, come affermava Mosè nel XV secolo a.C., è una creatura del Signore. Samuele

nel XI secolo a.C. si fece difensore di tali soggetti e Davide nel X secolo a.C., a

dimostrazione del rispetto nei loro confronti, si paragonò al sordomuto. Questo può

rappresentare un preludio al miracolo di Gesù riportato da Marco (MC 8,31-­37), quando gli

portarono innanzi un uomo sordo e muto e lo pregarono di imporgli le mani. Egli allora,

portatolo in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con lo sputo gli toccò la lingua, sospirò

e disse: “ effata!” che vuol dire apriti. E subito gli si aprirono le orecchie e gli si sciolse la

lingua e parlava speditamente. Nel Talmud, grande codice ebraico del III-­V secolo d.C.

viene riportato quanto segue: “non vogliate annoverare il sordo e il muto tra gli idioti, come

individui privi di responsabilità morali, poiché possono essere istruiti e fatti intelligenti”.

Nella letteratura greca, sono ben noti due casi di sordomutismo. Il più famoso è quello

descritto dal grande storico greco del V secolo a.C., Erodotto, a proposito del figlio

sordomuto di Creso. Questi infatti vissuto nel VI secolo a.C., e divenuto re nel 560 a.C.,

ebbe un figlio ragionevole e buono, ma purtroppo sordomuto.Per la sua guarigione

consultò anche l’oracolo di Delfo e la Pitia, ma senza alcun risultato. Quando però

nell’assedio dei Persiani, condotti da Ciro il Grande alla rocca di Creso, la capitale di

Sardi, Creso, fu sul punto di essere sconfitto da un Persiano, suo figlio, benchè muto,

scosso dalla paura riuscì improvvisamente a gridare “Uomo non uccidere Creso!”. Salvò

così il padre e da allora parlò per tutta la sua vita. L’altro noto caso di sordomutismo è

quello ritrovato in una stele del tempio di Asceplio in Epidauro e risalente al IV secolo a.C.

Anche altri famosi e pensatori greci si interessarono al sordomutismo e infatti, già nel V

secolo a.C. Ippocrate, padre fondatore della medicina, capì le varie affezioni dell’udito e la

distinzione tra malattie acquisite e congenite anche se, non afferrò il rapporto tra sordità e

mutismo. Successivamente anche Platone, nel IV secolo a.C. e il suo discepolo Aristotele,

si interessarono al problema: Platone in particolare, osservando la mimica dei sordomuti,

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ritenne che fosse adatta ad esprimere il pensiero e il sentimento. Va sottolineato inoltre

che a quel tempo, in Grecia, i deformi, i malformati o i ciechi venivano gettati nel Taigeto

mentre i sordomuti di solito, non venivano sacrificati poiché la minorazione si evidenziava

solo dopo qualche anno di vita, intorno ai tre quattro anni. Questo consentiva loro di

sfuggire al triste destino. In epoca romana, forse imitando la cultura greca, i malformati

venivano posti nelle piazze principali, alla base di una statua, e quindi fatti sbranare dai

cani. Romolo infatti, allora fondatore di Roma, decretò intorno al 753 a.C. che, tutti i

neonati, fino all’età di tre anni, qualora costituissero un potenziale peso per lo Stato,

dovessero essere uccisi. Anche in quest’epoca però i sordomuti riuscivano a scampare a

tale sorte poiché la diagnosi veniva posta tardivamente. La storia inoltre riporta che nel I

secolo d.C., Plinio il Vecchio, famoso storico e condottiero della flotta navale romana,

ritenne che il mutismo potesse essere curato con il taglio del frenulo linguale. Questa

ipotesi fu accettata e trasmessa successivamente per molti secoli. Nella sua famosa

“Storia naturale”, viene riportata la presenza a Roma di casi di sordomuti intelligenti fra i

quali il famoso pittore Quinto Pedio, nipote dell’ononimo Console romano. Egli essendo

discendente della famiglia di Messala, ebbe la concessione dall’imperatore Cesare

Augusto, di coltivare il suo talento artistico. È grazie proprio a questo merito che il nome di

Quinto Pedio oggi viene ricordato in tutti i volumi che si occuppano di proso pografia

romana. Successivamente nel I secolo d.C.,Aulo Cornelio Celso, famoso medico seguace

delle teorie di Ippocrate, trattò nel suo compendio “De Medicina”, della possibilità di istruire

tali soggetti e Aulo Gellio, nel II secolo d.C., parlando del taglio del frenulo della lingua

proposto da Plinio, riferì che al figlio di Creso, nello sforzo di gridare per salvare il padre,

gli si ruppe il “nodo della lingua”. Sempre in epoca romana Ammiano Marcellino, storico

della tarda latinità, nato ad Antiochia nel 330 d.C., riportò che l’imperatore Giuliano detto

l’Apostata, (331-­363 d.C.) conquistata la città di Moazamalcha in Persia nel 362 d.C., ebbe

come bottino anche un fanciullo sordomuto. Nel 55 d.C. San Paolo in una Epistola ai

Romani, in cui affermava “Fides ex auditu”, negò al sordomuto la capacità di eseguire la

fede, mentre San Agostino nei suoi trattati “De quantitate animae” del 388 e nel “Contra

Iulianum Pelagianum” del 418, riconobbe, come correttamente riportato nel 1920 dal

Ferreri nel “disegno storico dell’educazione dei sordomuti”, che la parola articolata non era

indispensabile né alla comunicazione del pensiero né alla reciproca intelligenza. In base al

concetto Aristotelico, diffusosi poi nella cultura greca e romana, sul fatto che lo sviluppo

mentale e quindi il pensiero e la socialità, potessero svilupparsi solo attraverso la parola

articolata e che quindi la capacità di parlare fosse un fatto istintivo piuttosto che un fatto

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acquisito, si instaurò come conseguenza il pregiudizio che l’audioleso non

potessesviluppare l’intelligenza solo attraverso la mimica. Veniva pertanto reputato

assurdo cercare di insegnare a parlare a chi ne era incapace, per cui, conservando tale

concetto greco-­romano, e considerando che per il loro handicap, potevano presentare

delle reazioni abnormi, i sordomuti furono considerati “mentecatti furiosi” e per questo, con

un decreto vennero ritenuti non educabili. Per tali motivi l’imperatore Giustiniano, che

regnò dal 527 al 565 d.C., istituì restrizioni legali per questi soggetti anche se, chi era in

grado di scrivere e di condurre una propria vita quotidiana, poteva ottenere pieni diritti da

un punto di vista legale e non essere perciò assegnato ad un tutore, il quale aveva in quel

caso, totale controllo sulla loro vita. Nel medioevo, iniziato con la caduta dell’Impero

romano, i diritti dei sordomuti, già compromessi dai tempi di Giustiniano, furono totalmente

soppressi e, quando i barbari germanici travolsero Roma, imposero loro restrizioni

durissime. Tali restrizioni rimasero nei secoli con soppressione totale dei diritti civili, (quale

quello di ereditare o di fare da testimoni), e religiosi (prendere i voti religiosi, sacerdotali,

fare da padrini, o contrarre matrimonio), a meno che non vi fosse una speciale dispensa

papale come avvenne ad esempio nel 1198, quando Papa Innocenzo III, autorizzò in

seguito ad una interpellanza, il matrimonio di un sordomuto. Disse infatti a proposito:“ciò

che non può essere detto con le parole può essere affermato con i gesti”. Il pregiudizio

che il sordomuto fosse un soggetto incapace, rimase però diffuso nei secoli, in particolare

durante il feudalesimo dall’VIII al XII secolo. Nonostante si discutesse animatamente sulla

capacità dei sordi di distinguere ciò che era giusto da ciò che era errato, e quindi se fosse

possibile processarli per un reato o sottoporli a torture, i sordomuti vennero messi da

parte, soprattutto perché tale menomazione non permetteva loro di combattere nelle

numerose guerre che i vari feudatari facevano fra loro e che costituivano il loro principale

interesse. Per tutto il medioevo, fino al 1492, con la scoperta dell’America, rimase pure

valido il preconcetto, forse derivato dall’idea di Plinio il Vecchio, che fosse il frenulo ad

impedire ai muti di parlare e che quindi il difetto risiedesse nella lingua e nell’organo

vocale. A conferma di ciò, quando i Santi operavano il miracolo di ridare la parola al muto,

toccavano, a differenza di Gesù, solo la lingua del soggetto, senza interessarsi delle

orecchie e del suo udito anche se, durante tale periodo, con lo svilupparsi degli studi

anatomici, molti medici cercarono dei nervi comuni sia all’orecchio che alla lingua e la

stretta connessione tra linguaggio e udito. Con l’avvento dell’Umanesimo, nel XIV secolo,

e quindi con un ritorno alla cultura classica , si fece strada una nuova visione razionale ed

umana del mondo che mise, allo stesso modo dei Sofisti greci, l’uomo al centro di ogni

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interesse: venneroinfatti riletti in una nuova ottica antichi autori greci e latini come Platone,

Aristotele, Cicerone ed altri. Furono così abbandonati preconcetti politico-­religiosi per dare

vita al concetto dell’uomo nuovo che, alla ricerca della conoscenza e del suo ruolo nel

mondo, voleva scoprire le leggi naturali nella volontà di restituire la dignità,la

responsabilità e il destino all’individuo. Questo coinvolse anche i sordomuti che un tempo

furono di gran lunga più numerosi di oggi sia per i frequenti matrimoni fra consanguinei sia

per le modeste condizioni igienico-­ sanitarie e le inesistenti possibilità terapeutiche per cui

al sordomutismo congenito si associava un numero molto elevato di soggetti sordomuti

per eventi patologici dell’orecchio in epoca preverbale o nella prima infanzia. In tale ambito

Bartolo della Marca di Ancona nato a Sassoferrato (1314-­1357), famoso giurista, avvocato

e scrittore del XIV secolo, è molto verosimilmente il primo scrittore che, precedendo di

almeno un secolo Adolfo Agricola (1445-­1487), sostenne la possibilità di istruire i sordi o

attraverso i segni oppure con la lingua parlata con conseguenze importanti da un punto di

vista legale. A tale proposito scrisse: il sordomuto che possa esprimersi in modo

sufficiente sia con i segni che in altre maniere e capire ciò che lo circonda, in questo caso

non potrà essere considerato “un mentecatto furioso”. Quindi per tutti i sordomuti che non

riescano a comprendere ciò che accade intorno a loro, siano considerati come dei neonati

ma se fossero in grado di comprendere, in quel caso siano posti al livello di adulti e di

uomini perfettamente in grado di discernere. In campoeducativo invece una delle prime

figure guida del periodo umanista fu, come riportato, Adolfo Agricola, illustre personaggio

e professore a Heidelberg che, venuto in Italia, per studiare a Ferrara, prese, secondo le

usanze del tempo, il nome di Georgius o Rudulphus Agricolae. Autore del libro “De

inventione dialectica”, affermò di aver visto una persona sorda dalla nascita e di

conseguenza anche muta e, ciò nonostante, imparò a scrivere e a leggere.L’opera fu

pubblicata circa cento anni dopo la sua morte avvenuta nel 1487 e Adolfo passò alla storia

con il nome di Rodolfo Agricola. Su quanto affermato dal suddetto autore si soffermò il

medico Girolamo Cardano (1501-­1576) nato a Pavia il quale, riflettendo sulla formazione

spontanea del processo cognitivo, ne trasse la conclusione che sostituendo la scrittura alla

parola,il sordomuto avrebbe potuto intendere leggendo e parlare scrivendo. Sostenne così

per primo scientificamente che si potesse insegnare ai sordomuti sia un linguaggio

convenzionale attraverso l’apprendimento di un sistema di segni associato agli oggetti e

alle azioni e sia il valore psicologico delle parole e dei gesti. Va peraltro rilevato che

secondo alcuni l’origine degli alfabeti manuali si perde nella notte dei tempi in quanto già i

greci e i romani, come riferisce in un’ampia descrizione il Venerabile Bede (672-­735),

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nominato successivamente Dottore della Chiesa nella sua opera intitolata “Opuscola”,

riportarono una forma di alfabeto manuale. Certamente il linguaggio dei segni e l’alfabeto

manuale era molto ben conosciuto, diffuso e già in vigore verso la fine del XV secolo.

Infatti nel quadro di Leonardo da Vinci, “la Madonna con il Bambino, San Giovanni e un

Angelo”, dipinto tra il 1483 e il 1486, ed esposto al Museo del Louvre di Parigi, fa vedere le

mani e le dita della Madonna, dell’Angelo e del Bambino, con delle posizioni molto

particolari: formano cioè le lettere dell’alfabeto manuale L.D.V. come ad esprimere la

firma dell’autore dell’opera. Affermò inoltre la necessità che il sordomuto imparasse a

leggere e a scrivere allo stesso modo di come potesse farlo il cieco. Cosa difficile ma non

impossibile! Il Cardano, contemporaneo di Bartolomeo Eustacchi (1500-­1574), accurato

anatomico di San Severino delle Marche, medico personale del cardinale Giulio della

Rovere e, al quale gli fu attribuita la scoperta nel 1564 della tuba che mette in

comunicazione il retrofaringe con l’orecchio medio del quale ne porta il nome, non si

preoccupò di trarre le dovute conclusioni mettendo in atto quanto da lui sostenuto come

principio teorico poiché, essendo uno spirito ecclettico e bizzarro, per cui fu anche

imprigionato per eresia, volse il suo interesse alla matematica, alla scrittura e agli studi

sperimentali. Nel frattempo nel 1563 a Napoli veniva stampato il libro “De Furtivis literarum

notis” di Giovanni Battista della Porta dove veniva riportato un alfabeto naturale di sua

invenzione definito anche scrittura “aerea” che si diffuse nel secolo successivo in tutta

l’Europa. Il problema della vera educazione del sordomuto per mezzo del metodo orale fu

invece affrontato negli anni successivi per la prima volta dal monaco benedettino spagnolo

Pedro Ponce del Leon nel monastero di San Salvador a Ona intorno al 1575. Egli educò

due ragazzi di una nobile famiglia, Francisco e Pedro de Velasco fratelli sordi del Conte di

Castiglia. Partendo dalla scrittura delle parole, applicandovi l’immagine delle cose e

pazientemente sostituendo lo stimolo visivo a quello uditivo, faceva pronunciare ad una ad

una tutte le lettere dell’alfabeto e quindi le sillabe e le parole. I suoi metodi didattici furono

quindi la scrittura, la mimica naturale, l’articolazione, l’insegnamento intuitivo-­oggettivo che

però, come altri studiosi del tempo, tenne segreti credendo di essere il primo ed unico

ideatore. Va peraltro sottolineato che il Ponce fu forse facilitato nella sua opera educativa

dal fatto che come religioso benedettino fu obbligato al voto del silenzio impostogli dalla

Regola di San Benedetto nel 529 e per aggirare questa rigida regola, ai monaci fu

permesso di comunicare attraverso dei segni, tanto che in ogni monastero si svilupparono

una serie di segni, molto utili nella fase educativa iniziale. All’inizio del 1600 inoltre

Fabrizio di Acquapendente, professore di anatomia dell’università di Padova, affermò

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come medico che i sordi sono di conseguenza muti cioè muti a causa della loro sordità e

che sarebbero dovuti essere curati e istruiti. Nel 1616 Giovanni Bonifacio pubblicò a

Vicenza il libro “l’arte dei cenni” che, insieme a quello del “della Porta”, servì come base ai

primi educatori dei sordomuti. Le ipotesi del Cardano anche se non attuate dall’autore non

rimasero quindi inascoltate perché venivano a confermare che si potesse percepire la

parola sostituendo allo stimolo sensoriale uditivo quello visivo. Cosa ben nota comunque

visto che in qualche modo, molti sordomuti furono istruiti. Spettò però a Giovan Paolo

Bonet di Aragona il merito di aver esposto per primo la teoria e la pratica del metodo orale

applicato all’educazione dei sordomuti nella sua opera del 1620 e tradotta anche in italiano

con il titolo di “Riduzione delle lettere e arte per insegnare ai muti a parlare”. L’autore

dimostrò così la validità del metodo inventato dal Ponce ma, pur riconoscendo che il muto

potesse in alcuni casi rilevare dal movimento delle labbra la parola articolata, non se ne

tenne conto, escludendo dall’insegnamento l’esercizio della lettura labiale,

successivamente denominato metodo orale. Fu ritardato in questo modo il progresso nei

più abili e si ostacolò la diffusione di tale metodica. Si deve pertanto al medico inglese

Bulwer il merito di aver dato importanza al metodo orale cioè la possibilità di percepire la

parola dai movimenti delle labbra come riportato nel suo libro “Philocophus” cioè “amico

del sordomuto”, pubblicato nel 1648 colmando così la lacuna del trattato del Bonet.

Purtroppo però l’istruzione dei sordomuti con la lettura labiale non fece molti progressi

nemmeno in Inghilterra e fu data più importanza al gesto naturale (mimica) e alla scrittura.

Ai suddetti studiosi seguirono numerosi altri quali gli inglesi J. Wallis professore di

matematica a Oxford, il teologo W. Holder e il gesuita italiano Lana Terzi di Brescia,

filosofo e matematico che, nel 1670, scrisse il primo libro italiano dedicato all’istruzione dei

sordi con il titolo “Prodromo dell’arte maestra” dove si esplicò della necessità di istruire i

sordi. Questo anche alla luce di quanto riportato da Paolo Zaccia nelle sue “Questioni

medico legali” del 1661, dove disse essere ingiusto classificare i muti e i sordi con gli stolti.

Un notevole passo avanti è stato fatto però solo verso la fine del XVIII secolo quando J.

Konrad Amman, nato in Svizzera a Schaffhausen nel 1669, e vissuto a lungo in Olanda

istruendo i sordomuti, con la sua riportata prassi educativa, pubblicò nel 1692 un libro su

tale metodica con il titolo “Sordus Loquens” trattando della fisiologia dei suoni, della

configurazione dell’organo vocale che li emette. Tale libro, che diede impropriamente

origine al metodo o “scuola tedesca per l’istruzione dei sordomuti”, si diffuse anche in Italia

e dopo il 1700 fu tradotto con il titolo “Dissertazione sulla Loquela”. Da quanto sopra

riportato va rilevato che, dall’introduzione della metodica di P. Ponce a J. K. Amman, la

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modalità di istruzione dei sordi, fu sempre la stessa dando però in base all’esperienze e

teorie dei vari studiosi, più importanza ora al parlato articolato, ora alla lettura labiale,

all’insegnamento grammaticale per mezzo della scrittura, alla mimica ecc…. Accanto a

tali autori,molti altri studiosi nei vari paesi europei, portarono il loro contributo

all’insegnamento dei sordomuti sviluppando in questo modo e diffondendo le varie

metodiche in tutta Europa. In Italia va ricordato il gesuita Federico San Vitale che, nel suo

libro del 1757 “Sopra la maniera di insegnare a parlare a coloro che essendo nati sordi

sono ancora muti”, fece una rassegna critica dei vari metodi proposti per l’insegnamento

della parola ai sordomuti. Ma va altresì ricordato il pastore Ferdinando Arnoldi che, nel

suo libro dal titolo “Istruzioni Pratiche per insegnare a parlare ai sordomuti”, pubblicato nel

1777, sottolineò come molto importante l’inizio dell’istruzione dei sordomuti entro i 4-­5

anni. Nel XVIII secolo, mentre si diffondeva in Germania il metodo di Amman, in Francia,

l’abate Carlo Michelle de L’Epèe (1712-­1789), si dedicava dal 1753 con notevole impegno

affinché i sordi avessero doveri e diritti uguali a tutti i membri della società. Aprì così la

prima scuola pubblica per i sordomuti ed inoltre, introdusse numerosi segni metodici per

designare idee astratte e soprannaturali formando un linguaggio che comprendesse nessi

logici e flessioni grammaticali. I risultati da lui ottenuti furono tali che la sua scuola,

denominata successivamente “Scuola francese”, fu visitata da illustri celebrità dell’epoca

che divennero mecenati e in epoche successive fondatori di scuole pubbliche. Insegnò

inoltre a molti allievi i quali diffusero le sue idee in tutta l’Europa. La seconda istituzione

pubblica nacque invece in Germania, precisamente a Lipsia nel 1778, grazie all’intervento

del principe Federico Augusto per opera di Samuele Heinicke (1727-­1790) e dopo alcuni

mesi, nello stesso anno, nacque anche quella di Berlino per opera di Adolf Eschke genero

di Heinicke. Nel 1779 sotto gli auspici di Maria Teresa fu aperta quella di Vienna ad opera

dell’abate Stork discepolo del De l’Epèe. Heinicke diede particolare importanza alle

sensazioni gustative, visive, alla parola scritta come mezzo principale d’istruzione

associata a quella parlata come base dell’insegnamento mentre contrastò il metodo

mimico. Fra il De L’Epèe e l’Heinicke sorse un certo antagonismo che servì però a

diffondere la cultura del recupero dei sordomuti. La motivazione principale del De l’Epèe

nel recupero dei sordomuti aveva radici cristiane, mentre per l’Heinecke era

fondamentaleutilizzare il metodo migliore, cioè quello orale. Heinecke, dimostrò una

notevole venialità e cercò di appropriarsi dell’importante e fondamentale contributo di

Amman suo illustre predecessore. In Italia Tommaso Silvestri, sacerdote di Trevignano, fu

mandato da Roma nel 1783 dall’ avv. Concistoriale Pasquale di Pietro, a studiare dal de

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L’Epèe e solo dopo sei mesi ritornato a Roma inaugurò, su incoraggiamento del Papa Pio

VI, la prima scuola italiana per sordomuti dove, in seguito alla lettura dei lavori di Amman,

cercò di usare entrambi i metodi con preferenza per il metodo orale. Nel 1789, poco prima

di morire, nello stesso anno in cui veniva a mancare il De L’Epèe, Silvestri scrisse il primo

trattato in italliano “Sulla maniera di far parlare e di istruire speditamente i sordomuti di

nascita” il quale però venne pubblicato cento anni dopo la sua morte. Mentre in Francia il

De L’Epèe divenne l’apostolo dei sordomuti e passò alla storia come il genio e la persona

più umana di quel tempo, alla sua morte, la sua attività fu proseguita dall’abate Ambrogio

Sicard. In Italia invece quella del Silvestri fu proseguita da vari studiosi romani e a Genova

dal sacerdote Ottavio Assarotti dove era nato nel 1755 e dove morì nel 1829 dopo

un’intensa vita dedicata al recupero dei sordomuti. A questo studioso va il merito di aver

istituito il primo collegio con convitto per bambini sordi che, nel 1805, prese il nome di

“Istituto per sordomuti” e venne ufficialmente riconosciuto da Napoleone I. L’Assarotti fece

scuola a Genova a molti direttori di altri Istituti italiani per sordi e, il Papa Gregorio XVI,

inviò da lui alcuni studiosi per impossessarsi del metodo e riportarlo nell’Istituto romano.

Usò in larga misura il metodo francese anche se soleva dire che il miglior metodo è di non

avere alcun metodo preconcetto dato che ogni caso è diverso e richiede ogni volta un

metodo nuovo. Sembra che l’alfabeto manuale italiano usato ancora oggi dai sordi in Italia

e dai bambini udenti a scuola sia quello inventato da lui e fra l’altro è l’unico alfabeto al

mondo in cui molte lettere si segnano utilizzando varie parti del corpo. Per il suo impegno

ela sua abilità ebbe in Italia una grande fama pari a quella del De L’Epèe in Francia ma,

non lasciò nulla di scritto sulla sua filosofia e sul suo metodo per cui fu poco conosciuto

all’estero e per questo motivo anche in Italia fu utilizzata per l’insegnamento la lingua dei

segni e la metodica francese. La scuola di Milano infatti, ignorando l’Assarotti fu aperta dal

lionese Antonio Eyrud, allievo del De L’Epèe nel 1805, e solo quando la Lombardia tornò

all’Australia, fu affidata all’abate Giuseppe Bagutti di Rovio, della Svizzera Italiana, che lo

diresse fino alla sua morte nel 1837. Questi nel 1828 pubblicò un libro in lingua italiana

sull’istruzione dei sordomuti con carattere pedagogico dal titolo “Sullo stato fisico,

intellettuale e morale sull’istruzione ed i legali dei sordi” dove appunto vennero affrontati

anche gli aspetti legali dei sordomuti. Con il passare degli anni l’importanza dell’istruzione

dell’elevato numero di sordomuti divenne una realtà accettata ovunque e tutti cercarono di

portare un contributo per il loro recupero anche con l’istituzione di molteplici Associazioni

prevalentemente religiose che ne difesero gli interessi. Il metodo orale e la lettura labiale

progredirono negli anni nei vari Istituti italiani quale quello di Napoli già istituito nel 1788 da

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Ferdinando IV e poi progredito modestamente per il tracollo politico del Regno di Napoli e

quindi ristabilito nel 1806 con decreto di Giuseppe Napoleone, quello di Modena (1821) e

quello Toscano di Siena (1828), istituiti rispettivamente dai sacerdoti Severino Fabriani e

da Tommaso Pendola. Quest’ultimo noto studioso e fondatore del periodico “’Educazione

dei sordomuti”, nel 1872, convocò a Siena il primo Congresso degli Educatori italiani dei

sordomuti e dal 1873 diresse l’Istituto Senese per oltre cinquant’anni fino alla sua morte

nell’anno 1883. Quello di Verona fu invece aperto dopo tanto lavoro, nel 1832, dal

sacerdote Antonio Provolo, mentre quello di Palermo istituito da Ferdinando I di Borbone,

re delle due Sicilie, si aprì nel 1817 ma fu attivato nel 1834. Il Reggio Istituto di Torino fu

fondato nel 1835 dal sacerdote Francesco Bracco sotto gli auspici de re Carlo Alberto;;

quello dei fratelli Gualandi di Bologna risale al 1850 e quello della Provincia e Diocesi di

Milano risale al 1854e fu diretto dall’abate Giulio Tarra autore dei “Rendiconti della

Commissione promotrice l’educazione dei sordomuti dei poveri di campagna” e di

numerose altre pubblicazioni sull’argomento. In tale ambito va sottolineato che il

Legislatore italiano nel 1857 aveva avvertito la necessità di provvedere ad una assistenza

scolastica per i sordomuti non solo per un principio di giustizia ma anche alla luce dei

risultati che l’istruzione aveva dato già da tempo in Piemonte e in altre regioni d’Italia (Atti

Parlamento Subalpino 1857-­58). Con l’unificazione dell’Italia nel 1860, l’evoluzione degli

aspetti legali illustrati dall’avocato Bartolomeo Veratti nel 1862, nel suo scritto “ Sulla

“capacità giuridica e delle imputabilità dei sordomuti” e la nascita della Fonologia e della

Audiologia, i quali ponendo la professione medica in stretto rapporto con il processo

educativo, ampliarono l’importanza didattica del metodo orale tanto che, nel 1869, l’allora

Ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti, ordinò che la lettura labiale e la parola

articolata, oltre che essere considerate come rami d’insegnamento, dovessero essere

adoperate nelle scuole come mezzi di condivisione, mentre dovevano essere escluse agli

allievi, per quanto possibile, l’uso dei gesti. Nel 1873 Padre Pendola tenne a Siena il I

Congresso Italiano per gli educatori dei privi di udito al fine di adottare il metodo orale

riservato fino a qualche anno prima solo agli alunni più dotati. Mentre in Italia l’evoluzione

dell’insegnamento dei sordomuti evolveva come su riportato, a livello europeo, le due

scuole, Francese e Tedesca, rimasero le più importanti: progredirono negli annie si

influenzarono fra loro pur rimanendo una certa rivalità risalente ai loro iniziatori: De L’Epèe

e l’Heinicke. Nella scuola francese notevoli contributi furono portati da vari studiosi ed

operatori e fra questi spiccò, fin dal 1820, Giaccobbe Valade-­Gabel che diede molta

importanza all’intuizione secondo la quale si dovevano dirigere e offrire alla mente

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proposizioni complete e di interesse immediato. Dopo un iniziale grande successo per i

risultati ottenuti sorsero vari contrasti con le Autorità locali del tempo sul metodo da usare

nell’istruzione dei sordomuti. Grazie all'’intervento dell’Istituto di Francia, chiamato ad

esprimere un giudizio in merito, nel 1832, i gesti metodici di De L’Epèe furono quasi del

tutto banditi e si cominciò a insegnare il linguaggio parlato: cominciò il cammino verso il

metodo orale anche in Francia e, come riconoscimento per il lavoro svolto, fu dato al

Valade-­Gabel, l’incarico di riformare l’insegnamento dei sordomuti. In Germania invece

dopo le figure di spicco dell’iniziatore Amman e di Heinicke, significativo fu il contributo del

Pastore Lager, il quale sottolineò l’importanza della parola come interprete diretta e unica

del pensiero, ma anche quello di un insegnante, Maurizio Hill (1830-­1895) che con il suo

opuscolo “l’einseignement des sourds-­muets d’apres la metode allemande (di

Amman)introduit en Belgique” del 1868, e con l’opera didattica, diffusero il metodo orale. I

suddetti autori furono dei punti di riferimento per tutti i paesi di lingua tedesca. La nuova

concezione umanistica dell’uomo e della vita, i primi contributi italiani e spagnoli, la voce

del De L’Epèe, che richiamavano la società all’istruzione dei tanti soggetti sordomuti di

quel tempo, perché potessero partecipare al patrimonio intellettuale e culturale della

società, si diffusero e vennero recepiti ovunque anche nel nord e sud America per cui

nacque nel 1816 negli Stati Uniti ad Hartford il primo Istituto per sordomuti e il secondo a

New york. Nel 1837 a Boston, il medico Samuele Howe, iniziò a istruire la bambina Laura

Bridgman divenuta sorda e cieca in seguito ad una infezione di scarlattina all’età di due

anni. L’istruì per mezzo di sensazioni tattili in modo da riconoscere le lettere dell’alfabeto e

tutta la procedura che serve anche oggi a coloro che si dedicano all’educazione dei

sordomuti-­ciechi. Nell’esposizione universale di Parigi, del 1878, in una sezione per gli

educatori dei sordomuti, dove per l’Italia era presente l’abate Serafino Balestra dell’Istituto

di Como, fu sottolineato che il metodo detto “dell’articolazione” comprendente quello della

lettura labiale con lo scopo di rendere più autonomo il sordomuto dovesse essere

preferito a tutti gli altri. Nel 1880, sulla spinta degli illustri studiosi italiani su riportati, si

tenne a Milano il Primo Congresso Internazionale per educatori di sordomuti e gli atti del

Congresso furono dedicati alla memoria di Emanuele Filiberto Amedeo (1628-­1709)

primogenito del Principe Tommaso di Casa Savoia, uomo di vivissimo impegno e valore

militare. Egli fu il primo dei sordomuti italiani ad essere istruito nella parola con il metodo

orale. Nel Congresso il Presidente fu l’abate Giulio Tarra che concluse la manifestazione

con le frasi “il gesto uccide la parola” e “lunga vita alla parola”. Segretario generale fu

Pasquale Fornari dell’Istituto di Milano che già da tempo ebbe attuato il metodo orale e

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che si fece onore di convincere le scuole francesi, largamente rappresentate, del fatto che

fosse giunta la fine del metodo dell’abate De L’Epèe. Il Congresso infatti concluse che si

sarebbe dovuto usato il metodo orale puro (cioè senza la mimica che può nuocere alla

parola), che i governi avrebbero dovuto dare disposizioni per l’istruzione dei sordomuti e

che la parola e la lettura sulle labbra progrediscono con l’esercizio per cui ci sarebbe

voluta un’adeguata istruzione speciale con testi e insegnanti idonei a tali bambini. Gli atti

furono pubblicati in italiano e in francese. Dopo il Congresso di Milano, alla fine del XIX

secolo e l’inizio del XX secolo, seguirono numerosi altri Congressi Internazionali e

Nazionali in tutte le più importanti città italiane ed europee. Si approfondirono i vari aspetti

di tale condizione patologica ed inoltre, tutti gli Istituiti pubblici e privati per sordomuti,

potenziarono e rinnovarono le loro direzioni alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche.

Accanto a tanti studiosi ed educatori religiosi che dedicarono la loro vita per il recupero dei

sordomuti, vanno ricordati in ambito italiano tre personaggi laici che, a cavallo tra il 1800 e

il 1900, si impegnarono nella didattica, negli aspetti pedagogici e che possono essere

ritenuti ancora utili a quanti si dedicano allo studio in tale campo. Questi sono Pasquale

Fornari (1837-­1923), Ernesto Scuri (1854-­1932) e Giulio Ferreri (1858-­1940). Il primo,

studioso e insegnante di pedagogia, si distinse per la sua opera e i suoi scritti fra i quali

vanno ricordati “il sordomuto che parla”, “la chiave che fa parlare i sordomuti” (1872). Va

annoverato inoltre il suo impegno al Congresso Internazionale di Milano come Segretario

generale e il “Corso teorico e pratico di pedagogia e didattica speciale per la istruzione

orale dei sordomuti” del 1894. Il prof. Scuri lo ricordiamo invece per le Riforme scolastiche

da lui attuate,per la piena adozione del metodo orale, per il suo trasferimento dall’Istituto

di Pavia a quello di Napoli dove fu chiamato nel 1891 a risollevare le sorti dell’Istituto

locale per la fondazione della “Scuola di metodo” destinata a preparare i nuovi educatori

dei privi di udito ma anche per le sue numerose monografie che gli permisero di

conseguire la libera docenza presso l’Università di Napoli e infine per aver contributo alla

legge Nazionale per l’obbligo scolastico dei sordomuti del 1923che gli permise di vedere

entrare i sordomuti in età scolare nel diritto comune di tutti i bambini. Tale Legge preparata

dal Ministro Benedetto Croce nel 1921 fu poi ripresa e varata dal Ministro Gentile nel

1923. Il prof. Ferreri va ricordato come educatore e studioso di problemi psicologici,

pedagogici e didattici dei sordomuti e per i numerosi interventi e Congressi Nazionali e

Internazionali in quanto poliglotta. Molto apprezzate furono le sue relazioni e pubblicazioni

su riviste italiane ed estere e il manuale del 1935 “Norme elementari per l’assistenza

prescolastica dei bambini sordomuti ad uso delle maestre d’asilo speciale”, unico a quel

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tempo in Italia e in Europa. Lo sforzo di tutti nell’ottica del nuovo umanesimo per cercare di

sopperire al deficit dei tanti sordomuti favorì da un lato il progressivo approfondimento

degli aspetti scientifici di tale condizione patologica e dall’altro il potenziarsi di strutture di

sostegno per questi pazienti. Si suggerirono così importanti incontri scientifici a livello

Nazionale ed Internazionale per un continuo aggiornamento e sviluppo con il

coinvolgimento delle più svariate discipline che si dedicarono allo studio della natura fisica

e psichica della parola e del linguaggio. Vennero inoltre prese in considerazione : le

“Scuole di metodo” per la preparazione degli insegnanti;; l’inserimento nel mondo del

lavoro con pieno rendimento una volta compiuto il corso di educazione e la scuola

dell’obbligo;; le attività assistenziali;; la costituzione delle Associazioni per sordomuti. Tutto

ciò ebbe un maggiore impulso quando, finito il grande conflitto bellico nel 1945, ci furono

più possibilità di diffusione della cultura assistenziale per i sordomuti e furono scoperte le

valvole termoioniche che diedero luogo alla messa a punto dei primi audiometri,

apparecchi che permisero di evidenziare residui uditivi nel 92% dei sordomuti. Dall’inizio

degli anni 40 inoltre iniziarono gli studi sulla audiometria a risposte elettriche (ERA) per

misurare, con la registrazione elettroncefalografica del potenziale evocato uditivo, le

capacità uditive dei bambini nei primi due anni di vita e permettere così un loro recupero il

più precocemente possibile. Nel 1950 inoltre fu approvata la Legge Istitutiva dell’Ente

Nazionale Sordomuti, già proposta nel 1942, e fu istituito a Milano il primo Centro Studi

sulla sordità e sul sordomutismo. Nel 1951 si tenne a Roma il primo Congresso Mondiale

dei sordomuti organizzato dall’Ente Nazionale Sordomuti d’Italia con la partecipazione di

rappresentanti di venti nazioni europee ed extra europee e dove, nella Sessione Medica

Internazionale, fu auspicato che, negli organismi di ogni Istituto per sordomuti, trovassero

posto un Otorinilaringoiatra, uno psichiatra e uno psicologo. Gli atti del Congresso, per un

elevato valore scientifico psico-­medico-­pedagogico, furono pubblicati in italiano, francese,

tedesco e inglese. Nello stesso 1951 il prof. Cesare Gerin dell’Università di Roma, alla

luce delle nuove acquisizioni, trattò sulla rivista “Audiologia pratica”, gli aspetti medico

legali del problema del sordomutismo evidenziando che già a quel tempo il codice Penale

considerava il sordomuto come capace di intendere e di volere salvo casi particolari e

diversamente da quanto stabilito in precedenza dall’art. 339 C.C. italiano abrogato. Dopo il

1950 inoltre anche in considerazione del primo tentativo di utilizzo di apparecchi di

amplificazione dei suoni per la rieducazione audiofonica dei sordomuti, iniziarono corsi

universitari di Audiologia, Foniatria e scuole speciali di Logopedia. Il primo che riuscì a

demutizzare un bambino affetto da grave sordità amplificando il suono oltre il livello di

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soglia, con uno dei primi apparecchi costruiti per questo scopo, fu lo svedese Erik

Wedemberg, docente di Audiologia a Stoccolma il quale, appunto, ottenne tali risultati sul

proprio figlio. Nel 1955 l’ONU riportò che nel mondo vi erano due milioni e mezzo di

sordomuti e trenta milioni di duri d’orecchio mentre negli anni successivi in Italia

l’incidenza è risultata essere pari all’8 per mille per un totale di circa 70.000 soggetti

sordomuti (nelle Marche 1.420). Nel 1956 si tenne sempre a Roma il IV Congresso della

Società Italiana di Fonetica Sperimentale –Fonetica-­biologica-­audiologia e l’anno

successivo dopo le Olimpiadi Silenziose di Milano, sempre a Roma, si tenne il Convegno

Internazionale sui Problemi della Sordità con la partecipazione di illustri pedagoghi,

psicologi e otoiatri italiani e stranieri. Questi incontri scientifici e molti altri precedenti

sottolinearono l’importante ruolo degli insegnanti i quali, debbono avere un’adeguata

esperienza pratica illuminata dai costanti aggiornamenti scientifici. Fu sottolineata quindi

sempre di più l’importanza dell’amplificazione acustica a scopo didattico senza però mai

disgiungerla dalla lettura labiale. Nel 1957 L’ente Nazionale Sordomuti istituì le scuole

medie superiori per sordi. Nel 1958 fu varata la Legge sull’Assunzione obbligatoria della

mano d’opera dei sordomuti mentre in Inghilterra a Manchester si tenne il Congresso

Internazionale sull’Educazione dei sordomuti che vide riuniti educatori, audiologi,

otolaringoiatri, pediatri, e psicologi per discutere dei risultati e delle prospettive del

recupero dei bambini sordomuti. Nel 1959 a Wiesbaden si tenne il terzo Congresso

Internazionale della Federazione Mondiale dei Sordomuti che si soffermò sugli aspetti

psicologici, pedagogici e sull’importante contributo dell’audiologia nell’educazione del

sordomuto. Anche alla luce di questi dati e dello sviluppo tecnologico dalla fine degli anni

50, l’industria si adoperò per mettere a disposizione apparecchi sempre più progrediti il cui

impiego si estese notevolmente in particolare negli Istituti per sordomuti. La diffusione

dell’amplificazione acustica a scopo didattico con l’uso di protesi individuali, rappresentò

una vera rivoluzione nella riabilitazione ortofonica. Questa ebbe giudizi lusinghieri e

consentì un più rapido e miglior rendimento scolastico con recupero delle capacità

intellettive che videro impegnati i molti esperti del settore. Vennero istituite in molte

Università italiane e straniere scuole di specializzazione in Foniatria, ma fu per merito di

pochi cultori, se il “metodo audiofonico” si andava affermando in Italia. Tra questi si

possono ricordare i proff. Lucio Croato a Padova, Oscar Schindler a Torino, Padre

Osvaldo Tosti all’Istituto Pendola di Siena. Infatti “udire non significa capire” dato che

occorre un allenamento uditivo ed un esercizio continuo per la comprensione, la

maturazione mentale e l’integrazione cerebrale del messaggio sonoro, perché di

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conseguenza possa svilupparsi il linguaggio. La disponibilità di tali piccoli apparecchi e i

conseguenti migliori risultati favorirono la diffusione e l’organizzazione dello screening

precoce della sordità e la riabilitazione con una stretta collaborazione di insegnanti e

logopedisti. L’importanza dello screening precoce della sordità fu discusso fin dagli inizi

degli anni 60 a Milano ma fu di seguito ai lavori degli americani D.Lind e A. Lind. Che si

iniziò anche in Italia ad effettuare l’indagine della funzionalità uditiva del neonato. Tutto ciò

spinse il prof. M. Scoponi, Primario della Divisione Otolaringologia dell’Ospedale dei

bambini G. Salesi di Ancona, ad adoperarsi affinché, la provincia di Ancona, dovendo per

legge provvedere al recupero dei sordomuti, istituisse una “Scuola speciale” per il

recupero dei bambini affetti da sordità e quindi a condurre e a divulgare lo screening

neonatale in tutti i nidi della maternità Regionali. La scuola sotto la direzione del prof.

Scoponi venne istituita con “delibera provinciale n.17031” nel 1962: fu la prima fra tutte le

province italiane e venne denominata “Centro Provinciale Audiofonatrico”. La struttura

pubblica fu punto di riferimento di tutta la Regione Marche per la diagnostica precoce e

per la riabilitazione dei bambini sordomuti, non più e non solo per labio lettura, ma

determinando un fedback verbo acustico, metodo che fu chiamato “audiofonatrico o

ortofonico”. Nel 1973 si tenne ad Ancona il primo Congresso regionale di Audiologia e

Fonetica Pediatrica e nel 1975 il terzo Congresso dell’Unione Foniatri Italiani, al termine

del quale il prof. M. Scoponi venne eletto Presidente Nazionale. La suddetta struttura

completa di apparecchiature per la diagnosi audiometrica e di recupero adeguato all’età

dei piccoli sordomuti dalla scuola materna alle elementari fino alla scuola media superiore,

funzionò fino al 1978, verificando anche la capacità uditiva di tutti i neonati che con lo

screening neonatale avevano evidenziato dei deficit. Furono messe a punto le didattiche

da adottare nelle varie fasce di età ricorrendo anche all’impiego della ginnastica

respiratoria e della musicoterapia con piena soddisfazione dei piccoli pazienti e delle loro

famiglie a conferma della validità del metodo. Fu dato anche impulso per le diagnosi

precoci laddove lo screening neonatale aveva sollevato dei dubbi e comunque per una

conferma diagnostica alla metodica delle risposte auditive evocate oggi comunemente

riconosciute come ABR (Auditory Braistem Responses) che erano evolute nel tempo

raggiungendo via via quel ruolo di primaria importanza. Poiché dal 1977 la Legge

Nazionale stabilisce che per non emarginare i soggetti non udenti, questi possono

adempiere l’obbligo scolastico nelle classi ordinarie della scuola pubblica dove devono

essere assicurati l’integrazione specialistica e i servizi di sostegno, quella struttura non fu

adeguatamente sostenuta e fu chiusa. Avvenne così che nelle Marche come in altre

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regioni italiane alla fine degli anni 70, i bambini sordi, se i genitori lo desideravano

venivano inseriti nelle scuole normali (uno per ogni classe) ricevendo un’istruzione

specifica rieducativa dal personale del “Servizio Sanitario Locale” esclusivamente con il

metodo orale: le scuole residenziali andarono così rapidamente scomparendo.

L’inconveniente di tale approccio è che l’insegnante di sostegno di solito non ha una

preparazione adeguata per tali soggetti e non raramente questi vengono messi insieme ad

altri con altri handicap dove il bambino vive una situazione scolastica ancor più isolata di

quella per cui furono messe sotto accusa le scuole residenziali. Di conseguenza, alla fine,

la capacità del linguaggio e la conoscenza della lingua italiana raggiunta era decisamente

inferiore a quella dei loro coetanei. Dopo il periodo di istruzione obbligatoria inoltre non

esisteva nessun tipo di servizio poiché, la stragrande maggioranza dei bambini sordi

istruiti in modo esclusivamente orale, non conosceva la lingua dei segni come prima

lingua dei sordomuti, ne veniva fatta una promozione nell’istruzione e nella formazione

degli insegnanti e degli interpreti. A conferma di ciò da qualche anno in alcuni telegiornali

radio a carattere Nazionale, il testo viene tradotto in contemporanea da una persona

esperta nella lingua dei segni e il 16/11/2000 venne realizzato a carattere Regionale, in

Italia, dalla RAI nel TG3 Marche. Se il Centro Provinciale Audiofonatrico di Ancona che

serviva tutta la regione ed era diventato famoso in tutta Italia, fosse stato mantenuto,

almeno per bambini con maggiori difficoltà di apprendimento e/o per quelle famiglie con

problematiche educative, sarebbe progredito mantenendosi al passo con i tempi e con le

nuove esigenze Nazionali ed Internazionali che sono affiorate negli ultimi quindici anni.

Mentre evolvevano le tecniche pedagogiche ed audiofonatriche, sono progrediti anche la

metodica ABR per la diagnosi precoce e del grado di sordità, anche in soggetti con danno

psicomotorio, che non possono essere ottenuti con altre metodiche. Verso la fine del XX

secolo inoltre si sono affacciate nuove possibilità di recupero che, ricorrendo a tecniche di

microchirurgiaed intervenendo sulle varie strutture responsabili dell’udito, hanno

dimostrato di portare un contributo forse risolutivo almeno per alcune forme di

sordomutismo e/o sordità. Da anni infatti esistono degli interventi di microchirurgia che,

agendo sulle strutture dell’orecchio medio che trasmette l’impulso acustico dall’orecchio

esterno a quello interno, permettono il recupero della sordità da difetto della trasmissione.

Da circa un decennio infine esiste la possibilità di impianti a livello cocleare che

permettono il recupero della sordità da difetto della percezione degli stimoli con

trasmissione al nervo acustico. Tali impianti cocleari danno migliori risultati se l’intervento

viene attuato nella prima-­seconda infanzia e permettono il recupero di quelle sordità

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profonde nelle quali i vari apparecchi audiofonatrici non danno alcun beneficio. In questa

ottica in Scozia fin dal 1988 è stato istituito un servizio per affrontare, con vari specialisti e

con le Associazioni di volontariato, il problema degli impianti cocleari e, evento molto

recente, nel 2000 il Ministro della Sanità Scozzese, Susan Deacon, visto che ogni anno

venti adulti e venti bambini sono sottoposti ad un impianto cocleare, ha devoluto un

ulteriore contributo (150.000 sterline per gli anni 2000-­2001) perché, possano proseguire

nel loro lavoro e studio della implantologia cocleare rispettivamente negli adulti e nei

bambini. Infine nel 2000 il prof. V. Colletti, Direttore della Clinica Otolaringoiatrica di

Verona, proseguendo gli studi sulla implantologia cocleare, ha messo in atto, in un

bambino di quattro anni della provincia di Ancona che presentava una sordità da

mancanza congenita del nervo acustico, un ardito intervento di protesi del tutto nuovo.

Infatti attraverso un impianto inserito a livello dei centri tronco encefalici ha realizzato un

“orecchio bionico”, che ha permesso di ridare l’udito al piccolo paziente. Saranno però necessari ulteriori e più approfonditi studi per migliorare le tecnologie operatorie, le

tipologie degli impianti ed i risultati terapeutici, onde ridurre possibili effetti avversi. Infatti

proprio in tale ambito la FDA ha del tutto recentemente (2000) allertato gli studiosi e i

ricercatori segnalando una possibile associazione fra impianti cocleari e meningiti

batteriche.

1.1 Una sintesi sulla storia della sordità per riflettere sul presente

Non tutte le persone sorde conoscono la lingua dei segni, perché da tempo essere sordi

non significa più essere muti. Sviluppo della parola e autonomia nella comunicazione,

infatti, sono possibili con precoci percorsi riabilitativi. Protesi acustiche, impianti cocleari,

sottotitoli, domotica e tecniche informatiche, applicate anche ai cellulari, si sono affiancati

alla riabilitazione logopedica, rompendo il muro del silenzio. Oggi una persona con deficit

dell’udito può “sentire” nel modo che gli è più congeniale. Derrick Coleman è stato il primo

giocatore di football americano non udente che ha vinto il Superbowl con i suoi Seattle

Seahawks. Un’impresa titanica farsi strada in uno sport dove la parola urlata sul campo è

un elemento distintivo. Le tecnologie compensative hanno ridotto le distanze, il resto

l’hanno fatto la forza del campione e il gioco di squadra, inteso come relazioni umane

all’interno del gruppo. Oggi ci sono persone che ancora si esprimono con il linguaggio

gestuale e desiderano continuare a farlo: forse sarebbe corretto garantire e tutelare questa

loro scelta. Lo dice del resto anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con

Disabilità, che include appunto la lingua dei segni nei sistemi di comunicazione e ribadisce

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la libertà di espressione e di opinione con differenti linguaggi, verbali e non. Questo,

tuttavia, non preclude diversi approcci alla sordità, se vogliamo più sofisticati in quanto

legati al mondo odierno, senza dubbio costruttivi perché non trasmettono l’immagine della

persona sorda come membro di “un’etnia” che parla una lingua ignota ai più. In ogni caso,

che la si consideri un retaggio della storia da conservare solo in quanto tale, che la si

utilizzi ancora per comprendere e farsi comprendere, la lingua dei segni rimane un

linguaggio “misterioso” che merita di essere conosciuto. Un brano di Platone è la fonte più

antica che attesta una forma di comunicazione gestuale dei sordi. Il grande filosofo non

aveva paura della “diversità” dei non udenti, come la maggior parte della gente della sua

epoca, era rapito anzi dal loro modo di comunicare idee, pensieri e sentimenti. Per

moltissimo tempo la sordità fu considerata una “punizione divina” come qualsiasi altra

forma di disabilità. Solo a partire dal XVI Secolo, i bambini audiolesi cominciarono ad

essere educati, anche se si trattava di un’istruzione riservata ai figli delle classi abbienti.

Le prime notizie storiche di una lingua dei segni usata nell’educazione dei piccoli non

udenti si riferiscono a un monaco benedettino del Cinquecento, Pedro Ponce de Leon,

inventore di un alfabeto manuale nel quale ad ogni lettera corrispondeva un gesto della

mano. Così il monaco educò i tre figli sordi di un nobile castigliano e nel 1620 teoria e

pratica del suo sistema vennero illustrate nell’opera Reducción de las letras y arte para

enseñar à hablar los mudos. Nel 1760 nacque la prima scuola pubblica per sordomuti,

l’Istituto Statale dei Sordomuti di Parigi, voluto dall’abate de l’Epée, che elaborò una lingua

dei segni utilizzando i gesti già usati dai suoi allievi, integrati con altri segni per gli elementi

grammaticali e sintattici delle frasi. All’abate de l’Epée si deve un approccio integrale

all’istruzione: egli infatti promuoveva diversi e sempre nuovi interessi nei ragazzi, per

favorire una crescita armoniosa della personalità. L’efficacia del suo metodo divenne

oggetto di alcune pubbliche dimostrazioni, durante le quali si comprese che con quel

sistema, in seguito perfezionato dall’abate Sicard, era possibile insegnare ai sordi anche il

greco e il latino. La scuola parigina venne visitata da Thomas Gallaudet, un religioso

americano che tornò negli Stati Uniti con un insegnante non udente, Laurent Clerc, il quale

durante il lungo viaggio in nave gli insegnò la lingua dei segni. Da quest’esperienza, nel

1817, nacque la prima scuola americana per sordi ad Hartford nel Connecticut, seguita nel

1864 dal Gallaudet College di Washington voluto da Edward Miner Gallaudet, il figlio di

Thomas.

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1.2 Focus sull’esperienze educative nel nostro Paese

Anche in Italia, inizialmente, fu l’interesse dei religiosi a dare impulso all’educazione dei

non udenti. Nel 1783, infatti, l’abate Tommaso Silvestri si recò a Parigi dall’abate de

l’Epée, per desiderio dell’avvocato Pasquale Di Pietro, che a Roma voleva aprire un

istituto per sordomuti. La prima scuola italiana per sordi vide la luce l’anno successivo,

ospitata proprio nella casa dello stesso avvocato Di Pietro. L’abate Silvestri diresse

l’istituto e vi insegnò fino al 1789, anno della sua morte, applicando un metodo di

educazione bilingue basato sulla lettura labiale supportata dalla lingua dei segni come

comunicazione primaria. Questo sistema risulta dal manuale Maniera di far parlare e di

istruire speditamente i sordi e i muti di nascita, scritto di pugno dall’abate Silvestri e

conservato nella biblioteca della scuola. L’abate Tommaso Silvestri diresse fino al 1789,

anno della sua morte, la prima scuola italiana per sordi a Roma. Per tutto il XIX Secolo

l’opera dei vari ordini religiosi fu fondamentale nell’educazione dei sordi e nello sviluppo di

molti istituti per sordomuti in diversi Stati della penisola. La presenza capillare dei

sacerdoti sul territorio e la facilità con cui potevano spostarsi da uno Stato all’altro

favorirono la trasmissione dei contenuti scolastici e nelle scuole iniziarono ad insegnare

educatori non udenti;; tra questi si ricordano in particolarePaolo Basso, Giacomo Carboneri

e Giuseppe Minoja. Nel 1880 il Congresso Internazionale per il Miglioramento della Sorte

dei Sordomuti, svoltosi a Milano, provocò una rottura fra i sordi e gli udenti, con i primi che

accusarono i secondi di non averli consultati nella scelta del metodo educativo più idoneo,

un “Nulla su di Noi senza di Noi” ante litteram. Il Congresso era stato infatti concepito a

favore del sistema oralista, che escludeva totalmente l’uso dei segni, sfruttando al

massimo i residui uditivi e potenziando la lettura labiale. I delegati – selezionati

appositamente per bandire la lingua dei segni – votarono una risoluzione che privilegiava

la lingua orale;; dagli Atti di quel Congresso emerge che i pochi sordi presenti firmarono

una mozione contraria che non venne neppure sottoposta a votazione. A congresso

concluso, venne dunque abolito l’insegnamento della lingua dei segni e scomparvero i

docenti sordi, in linea con l’affermazione che concluse l’incontro: «Il gesto uccide la

parola». Di fatto, però, mentre in classe si seguiva il metodo oralista, nella vita all’interno

degli istituti si continuarono ad utilizzare i segni in tutte le situazioni in cui occorreva la

certezza che il messaggio arrivasse a destinazione senza equivoci, ad esempio per gli

avvisi, per la confessione e perfino durante la Messa. Alla fine dell’Ottocento, l’Istituto per

Sordi di Roma arrivò ad ospitare fino a trecento alunni;; nel 1889 esso trovò sistemazione

nell’edificio di via Nomentana dove tuttora è sito. All’inizio del Novecento, poi, la direzione

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passò nelle mani dei laici, esclusa la sezione femminile che continuò ad essere diretta

dalle suore. Con la proclamazione della Repubblica, nel 1946, passò sotto il controllo del

ministero della Pubblica Istruzione e insieme alle scuole di Milano e Palermo, diventò uno

dei tre Istituti Statali per Sordi. Fino al 1950 i ragazzi entravano in convitto all’età di 6-­8

anni e vi restavano per circa dieci anni, imparando anche un mestiere nei numerosi

laboratori artigiani, ma al termine degli studi ricevevano solo un attestato di accertata

cultura utile per il lavoro. Dopo il 1950 vennero ammessi i bambini a partire da 4 anni e

divenne possibile ottenere la licenza elementare;; per la licenza media si attesero gli Anni

Sessanta, quando venne avviata un’esperienza sperimentale. Nel 1977, in seguito alla

Legge 517, che abolì le scuole speciali, l’Istituto per Sordi di Roma iniziò la sua

trasformazione in Centro Studi sulla Sordità. La realtà attuale vede un centro di

documentazione d’eccellenza che offre a insegnanti, psicologi, famiglie, logopedisti e

operatori in genere, una consulenza aggiornata sulla sordità, con una fornita biblioteca-­

videoteca-­mediateca dedicata alle problematiche educative e psicolinguistiche dei non

udenti.

1.3 La lingua dei segni

La lingua dei segni è una forma di comunicazione completa con un lessico e una

grammatica con cui è possibile esprimere qualsiasi messaggio. Il primo a intuirlo funegli

Anni Sessanta l’americano William C. Stokoe Jr. il quale dimostrò che la Lingua dei Segni

Americana (ASL) aveva le medesime caratteristiche delle lingue vocali. Conclusione cui

arrivò anche l’italiana Virginia Volterra, che alla fine degli Anni Settanta effettuò ricerche

sulla Lingua Italiana dei Segni (LIS). Ma come può un gesto essere posto sullo stesso

piano di una parola? Le parole che pronunciamo sono la combinazione di un certo numero

di suoni detti fonemi;; analogamente, in una lingua gestuale, i segni sono il risultato della

combinazione di quattro parametri: luogo, configurazione, orientamento, movimento. I

segni così formati sono il lessico di una lingua dei segni. Ma sono le precise regole

grammaticali il tratto distintivo di tutte le lingue dei segni presenti nel mondo. La direzione,

la durata, l’intensità e l’ampiezza dei movimenti, insieme alle alterazioni sistematiche del

luogo di esecuzione dei gesti, sono i mezzi con cui viene espressa la grammatica. La

sintassi è invece il risultato dell’ordine dei segni nella frase, di espressioni facciali,

orientamento e postura del capo, degli occhi e del corpo. Ogni Paese ha una propria

lingua dei segni, tramandata di generazione in generazione, con varietà regionali e

addirittura all’interno della stessa città, dovute alle differenze che sussistevano tra gli

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Istituti per Sordi. Accantonato il progetto di un “Esperanto dei Sordi”, valido per tutti i

Paesi, attualmente la lingua dei segni più utilizzata nel mondo è il citato ASL (che sta per

American Sign Language), originario degli Stati Uniti, ma abbiamo, come detto, anche la

LIS (Lingua Italiana dei Segni), il BSL (British Sign Language), l’LSF (Langue des Signes

Française), l’LSE (Lengua de Signos Española) e così via. Cambiano da nazione a

nazione e si modificano nel tempo anche gli alfabeti manuali o dattilologie, usati per

rappresentare le singole lettere, nei quali i gesti si eseguono con una sola mano all’altezza

del collo. Alcuni decenni fa in Italia si diffuse un alfabeto manuale che conoscevano anche

gli udenti.

1.4 Lingua dei segni, un progetto di legge per il suo riconoscimento

Illustrata alla Camera l'iniziativa promossa dall'Ente Nazionale Sordi e sostenuta da tutte

le forze politiche.

ROMA -­ Presso l'aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati, si è tenuto un

convegno promosso dall'Ente Nazionale Sordi-­Onlus sul tema "Obiettivo LIS (linguaggio

dei segni, ndr)", un progetto di legge, un progetto di vita per l'abbattimento delle barriere

della comunicazione. Il tema è particolarmente sentito infatti il provvedimento è stato

presentato da gran parte dei gruppi politici (Pd, Forza Italia, Sel, Ncd, FdI, M5S) un

progetto di legge, che riporti l'Italia a pieno titolo nella Comunità Europea. Ha aperto i

lavori l'Onorevole Marina Sereni, Vice Presidente alla Camera dei Deputati che ha chiesto

il riconoscimento della lingua dei segni in tempi rapidi: "La LIS deve essere conosciuta a

tutti i livelli e ci deve essere la massima libertà di utilizzo per poter usufruire di servizi

basilari di comunicazione". Poi è stata la volta del Presidente Nazionale Ens, Giuseppe

Petrucci che ha tenuto a precisare: "Le barriere della comunicazione sono tutte quelle

barriere che ai disabili sensoriali uditivi impediscono di comunicare e quindi di entrare in

relazione con chi ci circonda. Queste barriere sono superate quotidianamente dai sordi

con diverse modalità e soprattutto con la Lingua dei Segni Italiana. La LIS. purtroppo non

è ancora riconosciuta dall'Italia come lingua sebbene lo Stato abbia recepito la

Convenzione dell'Onu che impegnava gli Stati membri a riconoscere nei propri Stati a

riconoscere la Lingua dei Segni. La proposta di legge pensata dall'Ens ed inviata a tutti i

parlamentari, alcuni dei quali hanno deciso di presentarla e che ringrazio per la loro

sensibilità e disponibilità, ha come obiettivo il riconoscimento della LIS ma ha soprattutto

quale obiettivo di stabilire un principio: la libertà di scelta di comunicazione per la persona

sorda". Il segretario nazionale Ens, Costanzo Del Vecchio, ha chiarito il valore della

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proposta: "Noi riteniamo che la lingua italiana dei segni, una volta riconosciuta, possa

essere un progetto di vita per i sordi. Sono cittadini che purtroppo non sono pienamente

integrati perché hanno un'oggettiva problematica di non poter interloquire con chi non

conosce la lingua dei segni. Ecco che la LIS consente piena integrazione e interazione".

Significative anche le parole dell'europarlamentare Adàm Kòsa eletto in Ungheria: "Sono

qui per sensibilizzare l'Italia perché la lingua dei segni è molto importante;; nel mio paese si

è arrivati al riconoscimento ufficiale con l'unanimità dei parlamentari di destra e di sinistra".

Molto interessante, infine, l'iniziativa della Telecom, rappresentata da Michele Volpe e

Massimo Tagariello con quest'ultimo che ha spiegato il progetto denominato "Comunico

io": "Il nostro progetto permette ai non udenti di poter scrivere messaggi di testo sullo

smartphone, tramutati poi dalla nostra App in messaggio vocale".

1.5 Definire l’identità sorda

Per molto tempo si è pensato che la condizione di sordità implicasse una condizione di

‘deficienza’ rispetto alla conoscenza del mondo, dovuta alla limitazione delle risorse

disponibili per l’accesso alla lingua parlata. Il difficile rapporto esistente tra un mondo a

prevalenza udente e la minoranza sorda è ben documentato dalla storia e

legatoall’invisibilità della sordità rispetto a altre disabilità fisiche rese più evidenti dalla

menomazione. Negli ultimi anni la parola ‘sordità’ si è arricchita di significati sociali e

culturali che, a seconda del contesto, fanno modo che significhi ‘disabilità’, ‘ritardo’ ma

anche ‘identità’ e ‘orgoglio’. L’evoluzione dei significati attribuiti alla sordità è partita con lo

studio della lingua dei segni e il modo in cui questa definisce le relazioni tra i suoi utenti e

gli altri. La contemporanea definizione di persona sorda come ‘sordo’, ‘sordomuto’ o ‘non

udente’ è il sintomo di un’evoluzione linguistica e culturale non del tutto completa, le cui

radici affondano nella storia riabilitativa, linguistica e culturale di queste persone. In questo

contributo cercheremo di ripercorrere alcune tappe di questa storia per una migliore

comprensione di come debba essere definita una persona con problemi di udito e quale

sia il codice linguistico più appropriato per la sua educazione, riabilitazione e inclusione

sociale. La nascita delle moderne tecniche di educazione e riabilitazione per sordi trovano

le loro fondamenta, per quanto riguarda l’Italia, alla fine del ‘700;; in quel periodo nasce a

Roma la prima scuola per sordi, voluta dall’abate Tommaso Silvestri, allievo del francese

de l’Epée. Gli scritti di Silvestri testimoniano l’uso di un metodo didattico basato sullo

studio dell’articolazione e della lettura labiale, sempre con l’aiuto di gesti – accuratamente

selezionati e codificati come ‘segni’ – come mezzo primario di comunicazione. Dai

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documenti arrivati fino a noi, il metodo basato su lettura labiale e segni per l’educazione

dei sordi si diffuse rapidamente in Europa e negli Stati Uniti dove, nel 1864, venne fondata

la prima università specializzata per sordi – Gallaudet College – che rappresenta ancora

oggi uno dei maggiori centri di studio sulle tematiche relative alla sordità nel mondo. Per

circa 100 anni dalla fondazione della prima scuola romana, l’Italia vede una rapida crescita

degli istituti speciali per sordi che nel 1885 arriva a contarne diciannove. Alcuni degli allievi

sordi degli istituti italiani diventano a loro volta educatori, più o meno rinomati, e fondatori

di alcune scuole e associazioni dedicate ai sordi. Tra questi si ricordano Paolo Basso

(1806-­1879), Giuseppe Minoja (1812-­1871) e Giacomo Carbonieri (1814-­1879) al quale si

deve la prima definizione di ‘Lingua dei Segni’ attribuita alla lingua gestuale utilizzata dai

sordi italiani. La prima grande frattura tra il mondo degli udenti e quella dei sordi può

essere collocata a Milano, nei giorni tra il 6 e l’11 settembre 1880. Durante il Congresso

Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti fu approvata una risoluzione

che esaltava la lingua orale e bandiva la lingua dei segni. La lettura degli atti del

congresso rende chiari i motivi religiosi: in apertura della seduta del 6 settembre, Zucchi,

Presidente del Regio Istituto dei Sordomuti di Milano, presenta i risultati di un’inchiesta che

testimonia «la quasi universale concordia degli insegnanti nell’istruire il sordomuto, non più

coll’alfabeto delle dita, non più colla mimica, [...] ma colla viva parola che è il privilegio

dell’uomo;; che è il tramite unicamente sicuro del pensiero, il dono stesso di Dio». Definire

l’identità sorda attraverso il linguaggio dei pochi sordi presenti, favorevoli al mantenimento

della lingua dei segni nell’educazione dei sordi, non venne considerata nella pronuncia

della decisione finale sul metodo, creando i presupposti per la frattura ideologica tra sordi

e udenti arrivata fino a noi. Sul piano scientifico e tecnologico, alla fine dell’800 lo sviluppo

di strumenti di amplificazione del suono molto più potenti e funzionali di quelli utilizzati fino

a quel momento rendeva utile la sperimentazione degli stessi con i sordi, favorendone la

riabilitazione orale. Da quel momento in poi, la lingua dei segni viene proibita

dall’insegnamento e relegata a conversazioni private e informali tra gli alunni delle scuole.

Nonostante il divieto, alcuni documenti testimoniano l’uso della lingua dei segni in alcuni

contesti comunicativi che ne hanno permesso la sopravvivenza fino ad oggi. Negli istituti

speciali i sordi imparavano a leggere e scrivere, seguivano un percorso di riabilitazione

logopedica e imparavano un mestiere che ne permettesse una vita indipendente fuori

dall’istituto. Il percorso scolastico prevedeva la frequenza di ogni anno delle scuole

elementari per due anni consecutivi. Nel 1978 l’introduzione di una legge che ha permesso

l’inserimento dei sordi nelle scuole comuni ha generato una progressiva diminuzione degli

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studenti iscritti agli istituti, oggi chiusi o trasformati in scuole di istruzione specializzata per

sordi che seguono i programmi ministeriali già previsti per le scuole comuni. Sordità,

riabilitazione e lingua Il rapporto che le persone sorde hanno con le lingue verbali parlate

nel loro paese è fortemente legato al grado di sordità di cui sono portatori. Le persone

sorde profonde o gravi, nate o divenute tali entro i primi tre anni di vita (sordità preverbale

o prelinguale) incontrano grandi difficoltà nell’apprendere la lingua parlata durante il

percorso di riabilitazione che affianca la protesizzazione del bambino – e non acquisire,

come in un normale processo di crescita linguistica. Di conseguenza, l’apprendimento

della lingua parlata rappresenterà una sfida per la persona sorda che continuerà a

monitorarne la competenza anche in età adulta. Dalla fine dell’800 ad oggi, le tecnologie di

amplificazione del suono e di riabilitazione logopedica si sono evolute in più direzioni. Per

quanto riguarda l’amplificazione acustica, le protesi maggiormente in uso al momento

sono gli apparecchi acustici digitali e l’impianto cocleare. Entrambi per miglioramento della

sorte dei sordomuti, hanno la funzione di amplificare il suono in modo che possa essere

elaborato dalla persona sorda. Nel caso degli apparecchi acustici, questi amplificano il

segnale acustico in modo da sfruttarne il residuo uditivo;; si tratta di apparecchi esterni

rimovibili. L’impianto cocleare viene invece apposto attraverso un intervento chirurgico e

ha la funzione di fornire «degli impulsi elettrici direttamente alle fibre del nervo acustico

bypassando le cellule dell’orecchio interno (cellule ciliate) danneggiate». Una volta

raggiunto il cervello, gli impulsi vengono interpretati come suoni. Dal momento in cui viene

diagnosticata la sordità (che può essere lieve, media, grave o profonda), il bambino segue

un percorso – parallelo a quello della protesizzazione, di riabilitazione logopedica

attraverso il quale impara ad «ascoltare, analizzare e interiorizzare il suono per sviluppare

il linguaggio verbale. Il bambino impiantato viene allenato dapprima a percepire i suoni e i

rumori ambientali (telefono, campanello, abbaiare di un cane ecc), poi ad identificare la

prosodia del discorso (durata, ritmo, intonazione, accentazione ecc), infine le parole e le

frasi. [...] In un primo periodo le sedute logopediche dovranno essere molto frequenti e il

lavoro dovrà essere eseguito anche a casa da parte dei genitori che sono parte integrante

del percorso riabilitativo. In generale possiamo dire che gli obiettivi fondamentali della

riabilitazione logopedica sono di favorire lo sviluppo delle abilità percettive e uditive, lo

sviluppo delle abilità linguistiche in tutti i suoi aspetti e quelle fono-­articolatorie, lo sviluppo

delle capacità cognitive, lo sviluppo delle abilità sociali ed emotive». I metodi di

riabilitazione logopedica maggiormente utilizzati possono essere raggruppati in tre macro-­

categorie: metodi oralisti, metodo misto o bimodale ed educazione bilingue. I metodi

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oralisti escludono l’uso dei segni dall’educazione al linguaggio parlato e scritto puntando

soprattutto sull’allenamento acustico, utilizzando al massimo i residui uditivi e potenziando

le capacità di lettura labiale. In Italia, il metodo oralista maggiormente utilizzato è quello

ideato da Massimo Del Bo e Adriana Cippone De Filippis. Il metodo misto o bimodale

utilizza contemporaneamente le modalità acustico-­vocale e visivo-­gestuale combinando

alla lingua vocale alcuni segni dell’Italiano Segnato (IS) o dell’Italiano Segnato Esatto

(ISE). Nell’IS o nell’ISE la parola vocale, inserita nella struttura classica della lingua

verbale, viene accompagnata dal segno corrispondente e dall’uso di eventuali

evidenziatori che hanno lo scopo di chiarirne il significato. Il metodo bimodale considera il

linguaggio come strettamente collegato allo sviluppo cognitivo, comunicativo, affettivo e

della personalità. L’educazione bilingue prevede l’esposizione contemporanea del

bambino sordo alla lingua vocale e alla lingua dei segni. Secondo i fautori del bilinguismo

la lingua che i bambini sordi acquisiscono spontaneamente è la lingua dei segni veicolata

dal canale visivo-­gestuale. Se il bambino non incontrerà ostacoli in tale processo di

acquisizione ne trarrà certamente benefici da un punto di vista affettivo, cognitivo e

linguistico: essere padrone della lingua vocale e della lingua dei segni darà alla persona

sorda la possibilità di comunicare in modo soddisfacente sia con la comunità dei sordi che

con quella degli udenti, sperimentando ‘reali’ situazioni comunicative e acquisendo una

maggiore fiducia nelle proprie capacità. Seppur considerato il metodo più idoneo alla

riabilitazione del sordo, l’educazione bilingue è difficile da realizzare perché prevede che il

bambino sia inserito in un contesto perfettamente bilingue italiano-­lingua dei segni. La

reale situazione di bilinguismo si ha nel momento in cui le due lingue sono presentate da

persone diverse, in ambienti diversi ma con input bilanciati;; nel caso di bambini sordi è

raro trovare una situazione del genere in quanto molti sono figli di genitori udenti che in

casa non hanno un’esposizione alla LIS (Lingua Italiana dei Segni) e che non trovano

ambienti adeguati dove riceverla per il periodo di tempo necessario alla sua acquisizione.

La situazione non viene facilitata dalla scuola, dove le situazioni di reale bilinguismo

italiano-­LIS sono rare e di difficile organizzazione. Di conseguenza, già dalle prime fasi di

vita il rapporto delle persone sorde con la lingua parlata è definito attraverso la sordità e

nel rapporto con adulti e coetanei udenti. Negli ultimi anni il movimento di riconoscimento

delle lingue dei segni come lingue dell’Unione Europea ha raggiunto anche l’Italia, con un

picco di attività che ha visto nel 2011 l’esplosione di dibattiti, interviste e scambi di opinioni

rispetto all’approvazione, o meno, di una legge similare a livello nazionale che

riconoscesse la lingua sei segni come lingua di una minoranza di italiani. In questo

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contesto di discussione sono tornati alla luce concetti legati alla definizione di ‘comunità

sorda’ ed è riemersa prepotentemente la confusione che esiste intorno alla lingua dei

segni e al modo in cui questa contribuisce alla definizione di sordità. Alla fine degli anni

’70-­inizi anni ’80, parte dagli Stati Uniti una concezione di ‘sordità’ come sub-­cultura.

Benché il dibattito intorno all’appropriatezza della definizione di cultura sorda fosse (e

rimanga tuttora) acceso, con lo sviluppo degli studi sulla lingua dei segni in Italia ad opera

del gruppo di ricerca sulla LIS coordinato da Virginia Volterra, la definizione di cultura

sorda trova validazione anche su suolo italiano. Essa lascia spazio alla discussione

intorno al significato di ‘identità sorda’ qualora ad esprimerla sia una lingua visiva quale è

la Lingua dei Segni. Come osserva Orletti, l’identità non rappresenta un mero riflesso della

realtà, ma viene costruita durante l’interazione. Nel momento in cui due individui si

incontrano, le loro percezioni di se stessi e della società in cui vivono entrano in relazione

per costruire un concetto di identità che viene continuamente rinegoziato attraverso le

parole scelte, i temi trattati e il modo in cui viene strutturata la conversazione e fatta la

selezione dei partecipanti. Nel caso dei sordi, i due individui a cui si fa riferimento

potrebbero appartenere entrambi alla cultura prevalente ‘italiana’ ma, nel caso vi fosse

una persona sorda segnante, quest’ultima avrebbe un’altra lingua e, con molta probabilità,

un altro sistema culturale di riferimento, parallelo a quello prevalente. La stessa

affermazione sarebbe priva di ulteriori interpretazioni se non si fosse a conoscenza della

sordità dell’autore che offre al lettore un ulteriore elemento di interpretazione dell’inciso

fornito tra parentesi – (mostly hearing) – che può essere il prodotto di posizionamento di

sé rispetto alla comunità a cui fa riferimento (la cultura sorda). Il dialogo tra sé e l’altro, e

tra sé e sé, è alla base di quello che lo stesso Ladd definisce Deafhood. Il dialogo a cui

Ladd fa riferimento è lo stesso che permette il definirsi di identità sorda rispetto ai diversi

contesti in cui questa si manifesta. Il riferimento alla persona sorda come Deaf con la ‘D’

maiuscola, indica il riferimento ai sordi come comunità linguistica, in linea con una forma di

notazione diffusasi con gli studi sulla cultura sorda. Per i sordi segnanti, la percezione di

identità e di sé può cambiare a seconda che la lingua utilizzata per esprimersi sia la lingua

dei segni o la lingua verbale scritta. L’utilizzo della lingua dei segni rafforza il senso di

appartenenza alla comunità che la utilizza mentre l’uso della lingua scritta può

rappresentare una scelta fatta in due direzioni: da una parte l’accoglienza della persona

non segnante, dall’altra la manifestazione di un senso di appartenenza alla sub-­cultura

(sorda) che non esclude necessariamente l’appartenenza alla cultura di maggioranza

(udente).Secondo alcune autrici, l’identità è un costrutto discorsivo emergente durante

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l’interazione sulla base di cinque principi: 1. il principio dell’emergenza (emergence

principle), ovvero la ‘norma’, l’idea di identità costruita dall’azione sociale;; 2. il principio

della posizionalità (positionality principle), ovvero le modalità in cui gli utilizzatori della

lingua fanno riferimento a categorie di identità specifiche piuttosto che alle categorie

sociologiche delineate dai ricercatori;; 3. il principio di indessicalità (indexicality principle),

per il quale le relazioni di identità emergono nell’interazione attraverso numerosi processi

indessicali che includono: aperta menzione delle categorie di identità e delle etichette;;

implicazioni e presupposizioni che riguardano la posizione identitaria dell’uno e dell’altro;;

l’orientamento valutativo ed epistemico nelle conversazioni in corso, i ruoli dei partecipanti,

le basi dell’interazione e l’uso di strutture linguistiche e sistemi che siano ideologicamente

associati con gruppi e persone specifiche;; 4. il principio della relazionalità (relationality

principle), sulla base del quale le identità sono costruite intersoggettivamente attraverso

numerose relazioni, spesso sovrapposte, che includono similarità/ differenze,

originalità/artificiosità e autorità/delegittimazione;; 5. il principio della parzialità (partialness),

riassume e sottolinea i primi quattro principi. In quanto tale, l’identità è costruita dal

contesto e si afferma come manifestazione parziale di un fenomeno più complesso.

L’analisi di testi che riguardano, direttamente o indirettamente, i sordi permette di

osservare l’applicazione dei principi elencati e l’emergenza di più livelli di interpretazione

dell’identità, che passano attraverso la scelta del codice linguistico. La scelta del codice

linguistico da utilizzare rappresenta già in sé una scelta identitaria. Non è raro, infatti,

leggere su video pubblicati online in lingua dei segni messaggi come quelli riportati di

seguito che solitamente non trovano risposta: «Ottima informazione!! Ma non credi che

queste informazioni dovrebbero essere accessibili a TUTTI? Anche ai sordi che non

conoscono la Lis. Un inserimento dei sottotitoli sui video di produzione propria sarebbero

ben graditi»;; «È giusto con A non S. Magari potesse inserire i sottotitoli in italiano». La

scelta della lingua dei segni come lingua dell’interazione e l’esclusione dell’italiano dai

video che la utilizzano può essere interpretata come una scelta comunicativa e identitaria

che riguarda soltanto chi conosce la lingua dei segni e, pertanto, è l’unico destinatario di

alcuni messaggi non interpretabili da chi è definito, appunto, esterno alla cultura sorda. La

definizione di identità e alterità richiede, per sua stessa natura, la definizione di una norma

a cui attenersi. Per quanto riguarda le discussioni intorno alla sordità il punto di vista

‘normativo’, definito dalla cultura prevalente, può essere derivato da una comune

definizione di dizionario. Alla voce ‘sordo’, il dizionario Treccani online restituisce le

seguenti definizioni riferite ad esseri animati, riportate qui solo per la parte che interessa:

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«Mancante, in tutto o in parte, della facoltà di percepire i suoni: essere s. dalla nascita;;

essere s. da un orecchio, dall’orecchio sinistro, da tutte e due le orecchie;; è diventato s.

per l’esplosione di una bomba;; parla più forte, è un po’ s., è mezzo s.;; [...]». Lo stesso

dizionario offre i seguenti sinonimi per la parola ‘sordo’: ‘non udente’, ‘audioleso’,

‘ipoacusico’, ‘sordastro’, ‘sordomuto’, specificando, dove opportuno, l’uso come

‘tecnicismo’ del linguaggio medico o burocratico. Se volessimo considerare ognuna di

queste parole come definizioni dell’identità sorda, diventa evidente quanto la maggior

parte di esse sottolineino una mancanza, una deficienza o la confusione proprie di una

prospettiva estranea a quella che abbiamo definito sopra come ‘cultura sorda’.

Confrontando la lista dei sinonimi forniti dal dizionario Treccani con l’analisi condotta da

Petitta sull’uso delle parole ‘sordo’, ‘sordomuto’ e ‘non G. Petitta, Sordo, sordomuto e non

udente nella stampa italiana contemporanea, in «Bollettino 247 Definire l’identità sorda

attraverso il linguaggio udente’ nella stampa italiana contemporanea, viene convalidata

l’esistenza di una confusione terminologica intorno all’uso della parola ‘sordomuto’, che

confonde la causa con la conseguenza: «chi nasce sordo o perde l’udito entro i due anni

di vita non riesce ad imparare il linguaggio e perciò diventa, come si suole dire,

“sordomuto”. Si tratta di un termine che ha dato origine a molti equivoci [...] perché in

sostanza si confonde la conseguenza con la causa. I sordomuti sono, dunque,

inizialmente soltanto persone “sorde” che diventano “mute” a causa della loro “sordità”.

Salvo rarissime eccezioni, l’apparato fonoarticolatorio dei bambini che nascono sordi è

infatti assolutamente integro». La complessità della questione è tale da aver reso

necessaria l’approvazione, nel 2006, di una legge nazionale che recita, all’articolo 1,

comma 1, «in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine sordomuto è sostituito con

l’espressione sordo». Tuttavia, se la legge interviene in merito all’uso della parola ‘sordo’

in luogo di ‘sordomuto’, nulla si dice rispetto all’uso di ‘non udente’, parola che sembra

suscitare ancora numerose perplessità rispetto al contesto più idoneo al suo utilizzo.

1.6Etnicità, Etica e il mondo dei sordi

È noto che c’è un Mondo dei Sordi in Italia, così come negli Stati Uniti e in molte altre

nazioni. Negli Stati Uniti, il Mondo dei Sordi include alcuni milioni di cittadini la cui prima

lingua è la Lingua dei Segni Americana e che si identificano come membri di quella cultura

di minoranza. I termini inglesi deaf (“sordo”), hearing impaired (“non udente”) e deaf

community (“comunità dei sordi”) sono invece usati comunemente per indicare un gruppo

molto più ampio e variegato del Mondo dei Sordi. La maggior parte delle persone che

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sono nel gruppo più ampio comunica primariamente in una delle lingue parlate;; non si

identifica con il Mondo dei Sordi, non partecipa alle sue organizzazioni, non professa i suoi

valori e non segue gli usi di questo Mondo;; queste persone si considerano invece come

udenti disabili. Dunque, in Italia come altrove, esiste un piccolo Mondo dei Sordi che usa

la Lingua dei Segni Italiana e una numerosa popolazione di sordi che non la usa. Negli

Stati Uniti, l’idea di classificare il Mondo dei Sordi tra i gruppi etnici della nazione circola da

tempo – più di 25 anni, durante i quali questa idea è stata discussa ripetutamente dagli

studiosi. Struttura sociale, linguaggio, forme artistiche, storia, nome collettivo, sentimento

di comunità, norme di comportamento, valori, conoscenza, parentela, sono stati dei

concetti proposti dai sociologi per caratterizzare un gruppo sociale come gruppo etnico. Il

Mondo dei Sordi offre a molti Sordi italiani quello che non possono trovare a casa: la

possibilità di comunicare facilmente, un’identità positiva, e un surrogato della famiglia. Il

Mondo dei Sordi ha la percentuale più alta di qualsiasi altro gruppo etnico di matrimoni tra

i propri membri – quasi il novanta per cento.Le persone Sorde danno grande importanza

alla loro identità Sorda, che il Mondo degli Udenti invece stigmatizza;; danno importanza

alla loro lingua dei segni e agiscono per proteggerla e arricchirla;; danno importanza alla

lealtà alla propria cultura;; agli istituti;; al contatto fisico;; e a molte altre cose. Le persone

Sorde hanno una conoscenza specifica della propria cultura: sanno chi sono i loro leader

(e ne conoscono le proprietà caratteristiche);; sanno come la pensa la base del Mondo dei

Sordi;; sanno quali sono gli eventi importanti nella storia dei Sordi;; sanno come gestire

situazioni difficili con le persone udenti. Conoscono i valori del Mondo dei Sordi, i suoi usi,

e la sua struttura sociale. Il Mondo dei Sordi ha i propri modi di presentarsi e di salutarsi;; di

fare a turno nel parlare;; di parlare in modo diretto e di parlare in modo educato;; e ha i

propri tabù. Ci sono numerose organizzazioni nel Mondo dei Sordi italiano: organizzazioni

atletiche, sociali, politiche, letterarie, religiose, etniche, di anziani, e altre ancora. La

conoscenza della Lingua dei Segni Americana è un tratto fondamentale dell’etnicità Sorda

negli Stati Uniti e mi aspetto che la conoscenza della Lingua dei Segni Italiana sia un tratto

fondamentale dell’etnicità Sorda italiana. Il Mondo dei Sordi si distingue quindi nettamente

dal Mondo degli Udenti perché usa un linguaggio che non è basato sul suono. La lingua

dei segni del Mondo dei Sordi è al centro dell’autenticità di questo mondo. In primo luogo,

ci sono le arti linguistiche in lingua segnata: le narrazioni, i racconti, l’oratoria, l’umorismo, i

racconti folcloristici, i giochi di parole, la pantomima, e la poesia. Poi, ci sono le arti teatrali

e visive che rappresentano la cultura e l’esperienza dei Sordi. La Lingua dei Segni

Americana ha una ricca tradizione letteraria. Il narratore e la storia hanno un ruolo

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importante nell’unire il Mondo dei Sordi e nella trasmissione della sua eredità e della

saggezza accumulata attraverso le generazioni. Le narrazioni si sviluppano presto negli

istituti per bambini Sordi, dove i giovani raccontano in lingua dei segni i modi tipici di

ciascun insegnante udente e le trame dei cartoni animati, dei Western e dei film di guerra.

In passato, questi film e questi programmi televisivi erano spesso senza sottotitoli e questo

dava via libera alla fantasia e all’ingegno del giovane narratore. Come in molte culture (se

non in tutte), ci sono delle storie ‘esemplari’ nel Mondo dei Sordi. C’è la ‘storia del

successo’. Il protagonista cresce in un ambiente esclusivamente udente senza aver mai

incontrato delle persone Sorde. Poi incontra una persona Sorda che gli insegna la lingua

dei segni e gli spiega il modo di vita delle persone Sorde. Diventa sempre più attivo nel

Mondo dei Sordi e si lascia il passato alle spalle. Così come gli americani sostengono e

propagandano la storia del ‘sogno americano’, queste storie di successo, rafforzano la

credenza che essere Sordi sia una cosa buona e giusta. Un altro genere di storiamolto

diffusa è la leggenda delle origini. La storia Sorda dell’abate de l’Epée e di come egli

incontrò le due sorelle Sorde e fondò la scuola per Sordi è stata raccontata e riraccontata

innumerevoli volte in America così come in altri paesi. Una forma letteraria molto diffusa

nel Mondo dei Sordi, che gioca un ruolo importante nel cementare la società, è

l’umorismo. L’umorismo è spesso profondamente immerso nella cultura, quindi è difficile

da apprezzare in traduzione perché il lettore o l’ascoltatore non sono parte della cultura

dell’autore. Senza dubbio, questo è ciò che Sarah ha in mente in Figli di un dio minore,

quando dice al suo ragazzo terapista del linguaggio, James, che si vanta di far ridere: “Tu

fai ridere per l’Udente”, gli segna, “non per il Sordo”. Ecco un esempio di umorismo del

Mondo dei Sordi tradotto dall’ASL, una storiella particolarmente ricca di elementi di cultura

Sorda, raccontata al congresso internazionale di cultura Sorda Deaf Way nel 1989 dal

leader Sordo MJ Bienvenu:

“Un enorme gigante sta andando a caccia in un piccolo villaggio di gente minuscola, che si

disperde per le strade cercando di sfuggire alla terribile creatura. Il gigante nota una

bellissima ragazza bionda che sta scappando lungo la strada. Allunga la sua goffa mano e

afferra la ragazza, poi guarda adorante la figurina che trema nel suo palmo. ‘Sei così bella’

esclama. La giovanetta lo guarda spaventata. ‘Non farmi del male per favore’ dice. ‘Non ti

farei mai del male,’ lui segna. ‘Io ti amo. Ti vorrei SPOSARE.” Quando fa il segno

SPOSARE, naturalmente, la bellissima ragazza viene schiacciata. Il gigante si lamenta

allora: ‘Vedete, l’ORALISMO è meglio’.” Notate che questo racconto umoristico, in primo

luogo, è altamente visivo. L’orrore sulle facce della gente del villaggio che scappa, la

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bellissima ragazza spaventata, la differenza di dimensioni tra il gigante e il villaggio. (Il

segno per SPOSARE in ASL viene eseguito con la mano destra che va a chiudersi contro

la sinistra). Qui sta il punto umoristico. A volte si dice che le parole non possono uccidere,

intendendo che le parole significano azioni e che sono le azioni che uccidono. Ma in

questa storia il confine tra il significante (la parola) e il significato (l’azione) viene annullato

– le parole uccidono direttamente semplicemente perché vengono emesse. Questa

violazione delle regole è buffa. Infine, la storia è buffa a un altro livello,di tipo sociologico,

perché l’oralismo simbolizza l’oppressione nel Mondo dei Sordi. La storia sostiene

ironicamente l’oralismo. “C’è qualcosa di buono nell’oralismo”, sembra dire, “a condizione

naturalmente che uno sia un gigante un po’ scemo con una signora sul palmo della mano”.

Il carattere visivo della storia, la violazione degli assiomi della lingua dei segni, e il

riferimento all’odiato moralismo tutti insieme assolvono una funzione più ampia:

caratterizzano la storia come una storiache viene dal Mondo dei Sordi, essi invitano il

pubblico a identificarsi con la cultura da cui la storia proviene(“Questo è il nostro tipo di

umorismo”), e a provar piacere nell’attività solidale di prestare attenzione, di aspettarsi la

battuta, di ridere e applaudire. Quindi, queste caratteristiche servono tutte a legittimare

la,comunità. Gran parte dell’umorismo nel Mondo dei Sordi è una risposta all’oppressione

– come la presa in giro dell’oralismo in questa storia. Il Mondo dei Sordi ha un ricco

passato che viene narrato in racconti, libri, film, ecc. I membri del Mondo dei Sordi hanno

un interesse particolare per la propria storia. Il motivo è che il passato è una risorsa nella

ricerca collettiva del significato. Sentire di avere una storia comune contribuisce ad unire

le generazioni successive. Alcuni studiosi sostengono che il nucleo dell’etnicità sta nelle

proprietà culturali che abbiamo esaminato, quindi essere apparentati in qualche senso non

è necessario per il Mondo dei Sordi o per ogni altro Mondo per qualificarsi come gruppo

etnico. Altri dicono che essere apparentati dovrebbe essere inteso in senso sociale come

un legame con “coloro ai quali dobbiamo la nostra solidarietà prima di tutti gli altri”.

Certamente, c’è un forte senso di solidarietà nel Mondo dei Sordi;; la metafora della

famiglia aiuta assai a spiegare molte delle regole e delle pratiche dei Sordi. Uno studioso

scrive: “alcuni gruppi sono definiti dalla propria eredità genetica, altri dal proprio linguaggio

o dalla propria religione o da altri criteri” (Petersen 1980, pag. 235;; vedi anche Sollars

2001;; Schneider 1972, pag. 59;; Barth 1998, pag. 5). Un altro scrive: “Non importa che

esista un legame di sangue oggettivo” (Weber citato in Sollers 2001, pag. 4815). Ciò in cui

consiste davvero l’essere apparentati, sostengono altri studiosi, è un legame con il

passato: l’essere apparentati ha che fare con la “continuità tra le generazioni”. Il Mondo

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dei Sordi trasmette infatti le proprie norme, la propria conoscenza, il proprio linguaggio e i

propri valori da una generazione all’altra: in primo luogo attraverso il contatto del bambino

Sordo con i genitori o il genitore Sordo, in secondo luogo attraverso la socializzazione con

i propri simili dei bambini Sordi che non hanno genitori Sordi. Quando pensiamo all’essere

apparentati, sostengono altri studiosi ancora, ciò che conta davvero è la somiglianza

biologica;; in questo caso i membri del Mondo dei Sordi sono apparentati in quanto si

somigliano biologicamente essendo persone ‘visive’. Infine, molti studiosi dell’etnicità

insistono che i gruppi etnici hanno per lo meno un legame di sangue presunto – un legame

ereditario tra i suoi membri. E infatti la maggior parte delle persone Sorde che si

identificano con la cultura Sorda nascono sordi o diventano subito sordi per ragioni

ereditarie. Molti studiosi nel campo dell’etnicità credono che queste proprietà “interne” dei

gruppi etnici cheabbiamo appena esaminato debbano essere accompagnate da una

proprietà “esterna”, un confine che separa la minoranza dagli altri gruppi etnici, e in

particolare dal gruppo etnico maggioritario. Riguardo alla gente sorda in generale, viene

spesso detto che il 50% è sorda per ragioni genetiche (Reandon et al. 1992). Ma il numero

è probabilmente sottostimato per quanto riguarda il Mondo dei Sordi e questo per due

motivi: primo, il numero stimato non include i membri del Mondo dei Sordi che sono sordi

per ragioni ereditarie ma che hanno anche ciò che gli otorini considerano come una

malattia legata all’essere sordo (come la “sindrome di Waardenburg”);; secondo, alcune

persone sorde per ragioni ereditarie non sanno di avere dei parenti sordi e per questo

motivo sono erroneamente escluse dalla categoria dei sordi per ragioni ereditarie. Poi ci

sono le attività sociali del Mondo dei Sordi che sono organizzate e condotte da persone

Sorde con poco o nessun coinvolgimento degli Udenti. Invece, le attività connesse al far

rispettare la legge fanno parte del Mondo degli Udenti. Per quanto riguarda i servizi

religiosi, c’è una sovrapposizione tra il Mondo dei Sordi e quello degli Udenti – ci sono

missioni per i Sordi, pastori Sordi e servizi religiosi segnati, ma la conduzione dei luoghi di

culto di solito è nelle mani degli Udenti. C’è molto che si potrebbe discutere in questa

figura, ma il punto importante è questo: il Mondo dei Sordi fa da sé per molte delle sue

attività;; collabora col Mondo degli Udenti per alcune attività;; e lascia le responsabilità assai

più ampie come quelle delle forze dell’ordine alla società nel suo complesso;; in questo

aspetto il Mondo dei Sordi è come altre minoranze etniche. Il Mondo dei Sordi americano

oggi soddisfa i criteri che sono stati proposti per qualificarsi come gruppo etnico e dunque

è appropriato vedere il Mondo dei Sordi come un gruppo etnico. Leggi e trattati che

proteggono i gruppi etnici si applicano anche al Mondo dei Sordi. È appropriato

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classificare i Sordi anche come gruppo di disabili? Per disabilità non si intende una

condizione di fatto – la disabilità, così come l’appartenenza a un gruppo etnico, è un

costrutto sociale, non un fatto della vita. Ed è tipico di queste costruzioni che esse

sembrano invece essere un fatto della vita. In realtà, noi sappiamo che la disabilità è

un’idea costruita in una cultura particolare in un momento particolare, perché

l’appartenenza alla categoria dei disabili va e viene. L’alcolismo fu considerato prima una

pecca morale, poi un crimine e infine una disabilità. L’omosessualità fu considerata prima

una pecca morale, poi un crimine, poi una disabilità curabile e ora gli omosessuali sono un

gruppo di minoranza che vuole dei diritti civili. La bassa statura divenne una disabilità

dell’infanzia quando l’enzima della crescita venne scoperto, non prima. Il ritardo mentale

lieve divenne una disabilità con l’arrivo dei test per misurare il quoziente di intelligenza.

Dunque, sappiamo che la disabilità è un’etichetta e, inoltre, siamo d’accordo con i leader

della comunitàdei disabili che la disabilità non è nell’individuo ma nella società, che essa è

un’oppressione condivisadalle persone i cui corpi sono diversi in modi che li rendono

inadatti a come la società è organizzata. Ora, dobbiamo etichettare e incoraggiare la gente

a etichettare le persone Sorde come disabili? Sono state proposte delle ragioni per cui le

persone Sorde dovrebbero assumere l’etichetta di disabili. Le persone Sorde, come le

persone disabili, sono vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono diversi in modi

che li rendono inadatti a come la società è organizzata. Tuttavia, considerate alcuni gruppi

che sono vittime di un’oppressione perché i costumi sociali prevalenti non si adattano alla

loro diversità fisica: le persone con la pelle scura;; le donne – specialmente nel terzo

Mondo;; le persone che sono molto basse o molto alte;; e gli omosessuali. Questi gruppi

sono vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono diversi in modi che li rendono

inadatti a come la società è organizzata. La loro diversità fisica influenza il modo in cui

essi funzionano nel Mondo? Certo che sì. In gran parte del mondo, i neri sono discriminati;;

i gay sono emarginati;; le donne non sono libere di intraprendere attività riservate agli

uomini;; molti gruppi etnici non possono svolgere certe attività e alcuni sono perfino

bersagli di genocidio;; le persone grasse e quelle basse sono spesso mal considerate e

devono combattere quotidianamente con un ambiente ostile. Probabilmente, è più preciso

dire che il bambino Sordo in America appartiene a diversi gruppi etnici, e il gruppo etnico

Sordo è uno di questi. Per esempio, il Sordo Americano asiatico potrebbe essere cinese-­

americano rispetto ad altri americani asiatici, e americano-­asiatico rispetto all’etnia

americana prevalente. E tuttavia non classificheremmo i gay, le donne, i neri, le persone

grasse o quelle basse come gruppi di cui si dice che sono disabili. Quindi, il fatto che i

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membri del Mondo dei Sordi siano vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono

diversi dalla norma non è una ragione sufficiente per applicargli l’etichetta di disabili. Un

altro argomento proposto affinché i Sordi adottino l’etichetta di disabili è che potrebbe

aiutare i Sordi a guadagnare maggiori diritti. Per esempio, nelle scuole durante le lezioni

gli interpreti solitamente non sono disponibili per i membri dei gruppo etnici;; le persone

Sorde hanno invece degli interpreti in molti casi perché sono classificate come disabili.

Tuttavia, alcune cose che sono importanti per le persone Sorde sono arrivate perché si è

compreso che sono un gruppo etnico. Sto pensando allo sviluppo, in Italia, dei corsi di

lingua dei segni, dei testi di lingua dei segni e degli insegnanti di lingua dei segni. Penso

allo spuntare degli studi che riguardano l’etnicità Sorda negli ultimi 40 anni – la storia, le

arti, la struttura sociale, la cultura e il linguaggio. Pensiamo alla nascita della disciplina

degli Studi Sordi, delle riforme nell’educazione dei Sordi – tutti questi risultati dipendono

dal riconoscimento dei sordi come gruppo etnico.Benché l’etichetta di disabile sembri

inappropriata per il Mondo Sordo, le persone Sorde non hannohanno insistito in modo

aggressivo per far capire che sono un gruppo etnico e che l’etichetta di disabili è poco

adatta a loro. Di conseguenza, il riconoscimento dei diritti dei Sordi è arrivato con

l’etichetta di disabili e le persone Sorde devono di fatto adottare questa etichetta per

ottenere i loro diritti nell’accedere alle informazioni, nell’educazione, e in altre aree. Ci

sono numerose professioni che hanno un interesse economico che i Sordi vengano

considerati come disabili. Per esempio, i chirurghi dell’orecchio, molti audiologi ed

educatori speciali, e i terapisti del linguaggio. Questi professionisti appartengono a

organizzazioni che hanno pagato dei lobbisti e hanno una grande influenza su chi riceve

soldi dal governo e per quali scopi. La ragione predominante per rifiutare di considerare le

persone Sorde come membri di un gruppo di disabili riguarda come le persone Sorde

vedono sé stesse. Le persone che sono cresciute come Sorde e che si sono integrate

nella cultura Sorda, normalmente, non vedono sé stesse come un gruppo di disabili – per

lo meno non negli Stati Uniti. Questo è un argomento estremamente forte per rifiutare

l’etichetta di disabili: le persone Sorde parlano partendo da una conoscenza intima di cosa

vuol dire essere Sordi e non esiste autorità più alta su come un gruppo dovrebbe essere

considerato dei membri del gruppo stesso. Alcuni studiosi della disabilità affermano che le

persone Sorde stanno semplicemente negando la verità che essi sono disabili per evitare

di essere ‘marchiate’ socialmente. Ma ogni sorta di persone, essi sostengono, vede la

disabilità come una brutta cosa e nega di essere disabile, proprio come i Sordi. Le

persone che si identificano con la cultura Sorda non si vedono come disabili. Dunque,

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adottare l’etichetta di disabile nella speranza che potrebbe aiutare i Sordi a ottenere

maggiori diritti è completamente sbagliato perché le persone Sorde non credono di essere

disabili. Per le persone Sorde, arrendersi in qualsiasi modo a come gli altri le definiscono

vuol dire dare una rappresentazione sbagliata di sé stesse. E questa è la prima ragione

per rifiutare l’etichetta di disabili. Ci sono molti svantaggi connessi al dare una

rappresentazione sbagliata di sé. Tutti i bambini il cui corpo differisce da quello dei

genitori in un modo che non dipende solo dall’età sono a rischio dal punto di vista medico

e chirurgico. I genitori vogliono dei figli come loro e se non lo sono essi ascolteranno i

medici che dicono che possono ridurre o eliminare la diversità, con il risultato che il

bambino viene spesso mutilato. È una tentazione molto comune quella individuare nel

bambino piuttosto che nella società la ragione per cui viene ‘marchiato’ socialmente;; dopo

tutto il bambino è disponibile e può essere gestito molto più facilmente della società intera;;

inoltre le tecnologie che permettono di normalizzare le persone stanno ‘bussando alla

porta’. Quando ibambini che sono stati sottoposti a normalizzazione chirurgica crescono,

spesso sconfessano ciò che gli è stato fatto da piccoli. Ora, etichettare il bambino Sordo

come disabile mette a rischio il bambino per interventi come l’impianto cocleare, e la

rieducazione a parlare a scapito dell’educazione effettiva: e crea una identità confusa.

L’impianto chirurgico ha dei pericoli di infezione, in alcuni casi mortale, e molti bambini

impiantati, dopo l’operazione e la rieducazione, hanno più o meno gli stessi limiti che

avevano prima. Per quanto riguarda l’aspetto etico di questi interventi medico-­chirurgici, è

una cosa che disturba profondamente rendersi conto che il bambino, troppo giovane per

dare un consenso informato, molto probabilmente rifiuterebbe il consenso se avesse

un’età per cui gli si potesse chiedere cosa vuol fare. Per esempio, gli adulti Sordi, che

erano una volta bambini Sordi ma ora sono grandi abbastanza per prendere una decisione

meditata, sono in grandissima parte contrari in tutto il mondo alla chirurgia di impianto

pediatrica. Se le procedure mediche o chirurgiche a cui vengono sottoposti i bambini che

sono Sordi, intersessuali, o nani, o gay, richiedessero un consenso informato di adulti che

sono come il bambino, queste procedure probabilmente non avrebbero mai luogo! E

quando i genitori sono come il bambino, infatti, esse hanno luogo di rado. Ci sono dei

problemi etici ulteriori che riguardano la chirurgia di impianto sui bambini. È una chirurgia

sperimentale, ma la chirurgia sperimentale elettiva sui bambini è eticamente problematica.

C’è poca ricerca sui benefici linguistici e non ci sono studi sugli effetti a lungo termine

dell’impianto per quanto riguarda i successi scolastici, l’identità sociale, o l’adattamento

psicologico. Da uno studio panoramico sull’educazione speciale risulta che il cinquanta per

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cento dei bambini impiantati resta “seriamente menomato nell’udito” e il confronto con

coloro che usano un apparecchio acustico li mette nella categoria delle persone “sorde

profonde”. Ad aumentare il pericolo di una chirurgia inefficace, c’è inoltre il fatto che gli

educatori speciali che lavorano con le equipe chirurgiche fanno pressione sui genitori

perché sottopongano il bambino ad un programma educativo orale e scoraggiano l’uso

della lingua dei segni. Se i bambini impiantati non sono in grado di imparare l’italiano

parlato e gli si impedisce di apprendere la Lingua dei Segni Italiana, essi rimarranno senza

linguaggio per molti anni. Ci sono delle pessime conseguenze linguistiche e cognitive per il

ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Non è accettabile lasciare un bambino senza

linguaggio per anni e anni;; è un abuso di minore. I genitori Sordi allevano i bambini Sordi e

udenti perfettamente bene senza alcuna operazione chirurgica o intervento di

professionisti. Di fatto, essi funzionano meglio, in media, dei genitori udenti dei bambini

Sordi, benché i genitori udenti spesso ricevano un aiuto da professionisti. Dunque, è

chiaro che sarebbeun errore inutile mettere i bambini Sordi a rischio di essere sottoposti

alle pratiche medicochirurgiche etichettando i Sordi come gruppo di disabili. Il terzo

argomento contro l’etichetta di disabile per il Mondo dei Sordi riguarda il rischio per il

Mondo dei Sordi nel suo insieme. La maggioranza delle persone nel Mondo dei Sordi ha

ereditato la propria etnicità, come avviene per altri gruppi etnici. L’eredità Sorda e

l’incapacità di comprendere lo status etnico delle persone che si identificano con la cultura

Sorda hanno per lungo tempo portato gli udenti a fare uno sforzo eugenetico per

controllare la prolificità dei genitori Sordi. Un cittadino britannico, Alexander Graham Bell,

fu la figura dominante nel diciannovesimo secolo negli sforzi per impedire la riproduzione

dei Sordi attraverso leggi di sterilizzazione modello, campagne per dissuadere i Sordi

adulti dallo sposarsi e dal procreare, e sforzi per scoraggiare la socializzazione e la

scolarizzazione delle persone Sorde con altre persone Sorde. In linea di principio,

potremmo cercare le basi genetiche dell’essere africano o asiatico, ad esempio. Non lo

facciamo. Ma dei programmi finanziati dal governo oggi ricercano le basi genetiche della

sordità e promettono, proclamano, di creare una società in cui non ci saranno più persone

Sorde. Quando dei ricercatori all’Università di Boston annunciarono che avevano

identificato un gene presente in molte persone nate sorde, il direttore dell’Istituto

Nazionale per la Sordità e Altri Disordini Comunicativi chiamò questa scoperta un

“progresso fondamentale che migliorerà la diagnosi e la consulenza genetica e che in

ultima analisi condurrà a una terapia di sostituzione o a una terapia di trasferimento dei

geni.” Lo scopo finale di sforzi come la terapia di trasferimento dei geni è, naturalmente,

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quello di ridurre le nascite di sordi, e infine di eliminarle del tutto. Immaginate il clamore se

degli scienziati medici sbandierassero un simile progresso per qualsiasi altra minoranza

etnica, promettendo una riduzione del numero dei bambini di quel gruppo etnico –

promettendo meno neri, meno ebrei, quale che sia il gruppo etnico. Perché gli italiani non

riescono a capire che un programma con l’effetto previsto di diminuire o sradicare la

minoranza Sorda è in realtà un genocidio? Forse gli italiani, come gli americani, non

riescono a vedere il pericolo di permettere un programma genocida perché la maggior

parte degli italiani considera le persone Sorde come disabili. E il progetto di sradicare la

disabilità, benché in alcune circostanze possa essere poco saggio o non etico, non viene

considerato un genocidio. Se le persone che si identificano con la cultura Sorda fossero

considerate come un gruppo etnico, esse avrebbero le protezioni offerte per questi gruppi.

È un principio etico comunemente accettato che la conservazione delle culture di

minoranza sia una buona cosa. La varietà del genere umano e delle culturearricchisce

tutte le culture e contribuisce al benessere biologico, sociale e psicologico del genere

umano. Le leggi e i trattati, come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle

Persone che Appartengono a Minoranze Nazionali, Etniche, Religiose o Linguistiche, si

fondano sull’idea che proteggere le culture di minoranza sia un valore. La Dichiarazione

esorta gli stati a prendersi cura delle proprie minoranze linguistiche e ad assicurare che i

bambini e gli adulti abbiano opportunità adeguate di imparare la lingua della minoranza.

Afferma inoltre il diritto di tali minoranze a godere della propria cultura e della propria

lingua e a partecipare alle decisioni a livello nazionale che le riguardano. I programmi che

riducono sostanzialmente le culture di minoranza stanno effettuando un genocidio e

possono costituire dei crimini contro l’umanità. Dal momento che sono un gruppo etnico la

cui lingua e i cui costumi sono stati sottovalutati così a lungo, le persone Sorde provano

solitamente solidarietà per gruppi come i disabili, gli anziani, le donne, i neri e così via. Le

persone Sorde hanno delle ragioni speciali per sentirsi solidali con persone con difficoltà

di udito;; il loro numero, quando vengono sommati, ha consentito di creare dei servizi, delle

commissioni e delle leggi che probabilmente il Mondo dei Sordi da solo non avrebbe

potuto ottenere così rapidamente. Solidarietà sì, ma, quando le persone che si identificano

con la cultura Sorda permettono che la loro identità etnica sia messa sotto l’etichetta di

disabilità, si preparano ad accettare soluzioni sbagliate e ad andare incontro ad amare

delusioni. Il Mondo dei Sordi corre dei gravi rischi ad adottare l’etichetta di disabile. Se i

Sordi in Italia dovessero scegliere di allinearsi con i disabili, questo spingerebbe gli italiani

ad adottare un modo di vedere che darebbe luogo a soluzioni a cui le persone Sorde si

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oppongono. È perché i sostenitori della disabilità considerano i bambini Sordi disabili che

essi vogliono chiudere le scuole speciali per Sordi e gettare assurdamente i bambini nelle

classi di udenti in un programma detto di “inclusione” e che invece esclude

completamente. È perché si permette al governo di procedere con l’idea che le persone

che si identificano con la cultura Sorda sono disabili che le scuole con un gran numero di

bambini che usano l’ASL non ricevono alcun finanziamento speciale mentre le scuole con

bambini che appartengono a qualsiasi altra minoranza linguistica sì. È a causa dell’idea

che le persone Sorde siano disabili che gli insegnanti più capaci di comunicare con i

bambini Sordi, per la maggior parte insegnanti Sordi, sono esclusi dalla professione con il

pretesto che essi hanno una disabilità che li rende inadatti. L’interruzione della

comunicazione continua ad accadere in Italia e negli Stati Uniti in quanto i bambini Sordi

vengono mandati in numeri sempre maggiori nelle scuole per udenti. La

chirurgiadell’impianto cocleare, che ritarda la comunicazione effettiva nella lingua dei segni

senza offrire in cambioal bambino sordo fin dalla tenera età alcuna comunicazione orale

significativa, è diventata una minaccia consistente. I nostri programmi educativi per

bambini non offrono né abilità orali né educazione. Questo fallimento dell’istruzione

scolastica era iniquo in passato ma non così disastroso. Lo slogan dell’Associazione

Nazionale dei Sordi negli Stati Uniti era: “I lavoratori Sordi sono buoni lavoratori.”

Nonostante i limiti nella loro istruzione scolastica, i Sordi adulti divenivano spesso dei

cittadini affluenti e che avevano successo. Ma oggi ricevere un’istruzione scolastica

inefficace per le persone Sorde ha conseguenze molto peggiori. Viviamo tutti in un mondo

sempre più tecnologico. Quasi tre quarti di tutti i lavori richiedono oggi una preparazione

che va oltre il diploma della scuola media superiore. Ora i lavori richiedono una forza

lavoro con un’educazione media di 13 anni e mezzo. Questo vuol dire che in media i

lavoratori che ottengono questi lavori sono andati all’università. Attenzione, non per

diventare dei capi, ma per portare a casa lo stipendio. I lavori che molte persone Sorde

hanno oggi sono quelli che pagano meno e quelli che crescono più lentamente

nell’economia. Questi lavori vengono rimpiazzati da lavori che richiedono livelli più alti di

abilità matematiche, linguistiche e di ragionamento. In Italia, come in America, non esiste

cosa più importante per i bambini Sordi di quella di assicurargli un’istruzione efficace da

parte di coloro che sono come loro, dei loro genitori, dalla comunità e delle scuole,

attraverso l’uso della lingua dei segni nazionale. Il linguaggio migliore per il bambino

Sordo, la lingua dei segni, può essere usato per l’istruzione in innumerevoli situazioni.

Tuttavia, c’è una situazione che è privilegiata rispetto alle altre: l’istituto. Gli istituti per i

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bambini Sordi forniscono un anello fondamentale per la trasmissione della cultura Sorda e

della lingua dei Sordi, che è poi la ragione per cui il Mondo dei Sordi negli Stati Uniti si

oppone allo smantellamento degli istituti, mentre la lobby della disabilità vuole sbarazzarsi

di queste scuole speciali. Se la lingua e l’identità di un bambino sono legate alla cultura

dominante e quel bambino può crescere felicemente nella scuola locale, allora il bambino

dovrebbe stare lì. Ma nove bambini sordi su dieci sono parte del Mondo dei Sordi. Essi

hanno per nascita un’eredità unica e richiedono di essere messi insieme per godere dei

benefici del loro patrimonio. Questa è la ragione per cui i bambini Sordi e gli adulti Sordi

stanno insieme volontariamente, mentre lo stare insieme di bambini e adulti disabili è

solitamente involontario.

1.7 L’impianto cocleare e la “cultura sorda”

Una storia sul duplice status della sordità (disabilità e identità culturale) racconta la

complessità di un lungo dibattito, e le sue implicazioni per alcuni genitori. Derek e

Christine Reid sono i genitori di Ellie, una bambina di tre anni e mezzo con una sordità

profonda la cui diagnosi è stata ipotizzata dopo un test uditivo, nei primi giorni di vita di

Ellie, e confermata con un esame più approfondito tre settimane più tardi. Si ritiene che

oltre il 90 per cento delle persone nate con questo genere di deficit sensoriale abbia

genitori con un udito normale, come nel caso dei Reid. In seguito alla diagnosi, e a fronte

dell’inefficacia delle protesi acustiche per il caso di Ellie, i Reid hanno dovuto prendere in

tempi relativamente stretti una decisione che si pone per tutti i genitori nella loro

situazione: se sottoporre Ellie a un intervento chirurgico per impiantare una coclea

artificiale, e poi pianificare un trattamento logopedico per l’apprendimento della lingua

scritta e parlata;; o se considerare da subito la lingua dei segni – a loro completamente

sconosciuta – la lingua “naturale” destinata a Ellie;; o se provare a fare entrambe le cose,

seguendo un modello “bilingue”. I Reid vivono a Braintree nel Massachusetts, una ventina

di chilometri a sud di Boston. La loro storia è simile a quella di altre famiglie ed è stata

raccontata dalla giornalista scientifica americana Sujata Gupta per Matter, un magazine

online di scienza e tecnologia pubblicato sulla piattaforma “Medium”. In passato Gupta ha

anche scritto e lavorato per riviste di settore come Nature, New Scientist e Scientific

American, e per un pubblico più vasto su New Yorker e Wired. L’articolo descrive diversi

aspetti di un vasto e trasversale dibattito esistente anche in Italia: quello che riguarda il

trattamento della sordità sul piano sociale e la considerazione della lingua dei segni,

tenuto conto della profondità storica e della produzione artistico-­culturale dei gruppi che

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apprendono e utilizzano questa lingua. Alcune di queste persone reputano oggi ostile e

dannoso nei confronti della loro minoranza linguistica il fatto che diversi genitori udenti,

ritenendo la sordità dei loro figli un deficit a tutti gli effetti, decidano in molti casi di ricorrere

all’impianto cocleare e di sottrarre se stessi e i propri figli all’apprendimento della lingua

dei segni, causandone – volontariamente o involontariamente – un progressivo

impoverimento. Anche causa della complessa stratificazione del fenomeno e delle

oggettive difficoltà nelle rilevazioni su larga scala, non esistono statistiche univoche e

sufficientemente aggiornate sulla sordità. In Italia, secondo i dati citati più frequentemente,

le persone sorde sono in un numero compreso tra 60 mila e 70 mila (perdite dell’udito più

o meno gravi, in generale, interessano invece molte più persone: circa l’8-­10 per cento

della popolazione, in diverse fasce d’età). Negli Stati Uniti le persone con problemi di udito

sono oltre 38 milioni (circa il 13 per cento della popolazione) e quelle tecnicamente sorde

– non in grado di ascoltare una voce in modo comprensibile – sono almeno 550 mila.

Circa 250 mila sono le persone che utilizzano la lingua dei segni.Le cause della sordità

non sono ancora del tutto chiare: esistono sordità ereditarie, pre e postnatali;; sordità

acquisite, a causa di malformazioni congenite, tossiche o dismetaboliche;; e sordità

“perinatali”, cioè subentrate alla nascita a causa di traumi, parti prematuri o altre

complicazioni. Due giorni dopo la sua nascita, Ellie fu sottoposta da un tecnico del

personale ospedaliero a uno screening audiologico (un’indagine per una diagnosi precoce)

per rilevare eventuali deficit uditivi: pur non essendo doloroso, viene preferibilmente fatto

mentre il neonato dorme, ma in questo caso la neonata era sveglia. Il tecnico inserì nel

condotto uditivo esterno delle orecchie di Ellie due piccoli auricolari: emettono un suono

prolungato e, perché il test sia superato, devono registrare la risposta della coclea, una

delicata parte dell’orecchio interno – a forma di chiocciola – che percepisce il segnale

acustico e lo traduce in impulso nervoso. Nel caso di Ellie l’apparecchio non registrò

alcuna risposta. Il tecnico aveva rassicurato i Reid sul fatto che l’assenza di risposta della

coclea non significa necessariamente deficit uditivi: a volte il pianto del neonato può

interferire con l’esito del test, altre volte c’è del liquido nelle orecchie che impedisce di

effettuare correttamente la rilevazione. Ad ogni modo, per escludere una diagnosi di

sordità, ai Reid fu suggerito di portare Ellie in clinica per un successivo controllo entro

poche settimane. Il risultato del primo screening non ha valore diagnostico, appunto, ma

segnala l’eventuale necessità di valutazioni ed esami più accurati e approfonditi. In Italia –

in assenza di un protocollo sanitario condiviso a livello nazionale, e al netto dei recenti e

incoraggianti progressi di un programma nazionale autonomo di screening audiologico nei

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reparti di neonatologia – il controllo dell’udito non sempre e non in tutte le regioni è

compreso tra i controlli abitualmente effettuati sui neonati nei primi giorni e nelle prime

settimane di vita. E già da diversi anni il Ministero della Salute ha indicato la necessità che

la diagnosi precoce delle sordità congenite rientri stabilmente nelle buone pratiche cliniche

di assistenza ai neonati. Al Braintree Rehabilitation Center, dopo essere stata allattata da

Christine, Ellie si addormentò e gli addetti del reparto di otorinolaringoiatria poterono

esaminare approfonditamente la parte interna delle sue orecchie e monitorare l’attività

cerebrale connessa agli stimoli acustici. Dopo oltre due ore di esami, l’audiologa uscì dalla

stanza e rientrò con una pila piuttosto alta di opuscoli informativi, dicendo a Christine,

madre di Ellie: «sua figlia ha una sordità profonda». Gli esami avevano mostrato

l’incapacità di Ellie di sentire qualsiasi suono al di sotto dei 120 decibel (dB): le normali

conversazioni avvengono solitamente intorno ai 60 dB. Per Ellie, in base a questi risultati,

“un colpo di pistola sarebbe stato niente più che un sussurro”. La classificazione della

sordità – lieve, media, grave e profonda – è solitamente fatta sulla base dei risultati di

appositi esami audiometrici che quantificano la perdita uditiva in termini di decibel: si parla

di sordità profonda quando la soglia di percezione uditiva è pari o maggiore a 90 dB

(valutata su una scala di frequenze da 125 a 4.000 Hertz). In pratica chi presenta sordità

profonda è in grado di sentire, piuttosto lievemente, soltanto rumori talmente forti da

essere percepiti da tutto il corpo attraverso le vibrazioni. Il quadro clinico di Ellie è quello in

cui si ricorre più frequentemente a un intervento chirurgico per impiantare una coclea

artificiale, un dispositivo che svolge le stesse funzioni della coclea biologica: è composto

da un trasmettitore digitale, un processore di suoni e un microfono esterno posto su un

supporto retroauricolare (in questo video è spiegato più estesamente come funziona). Non

va confuso con le protesi acustiche, o apparecchi acustici, il cui utilizzo è indicato ed

efficace soltanto nei casi di sordità meno gravi, quelli in cui l’udito è compromesso ma non

funzionalmente assente. Decidere se ricorrere o no all’impianto cocleare non è una scelta

così semplice come potrebbe sembrare, e non lo fu neppure per i Reid. La coclea

artificiale, scrive Matter, non è ancora uno strumento perfetto: dopo l’impianto e dopo il

necessario e paziente lavoro di “mappatura” del dispositivo, l’ascolto e la comprensione

delle conversazioni quotidiane può a volte rivelarsi un’operazione comunque complicata

per il paziente, soprattutto in presenza di molti rumori ambientali di sottofondo. Inoltre,

come i Reid scoprirono cercando maggiori informazioni, l’impianto cocleare avrebbe

potuto – in un senso molto stretto e particolare – “escludere” Ellie da una cultura che,

secondo alcuni, le spettava come una sorta di diritto di nascita: la “cultura sorda”, le cui

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espressioni sono prevalentemente realizzate nella lingua dei segni e in cui la mancanza

dell’udito, spiega la giornalista di Matter, non è vista come una disabilità da curare ma

come un’identità da apprezzare. Tra gli udenti sono davvero in poche le persone a

conoscenza della vitalità e profondità della cultura Sorda. È un mondo con le sue

convenzioni sociali e le sue regole. Possiede linguaggi – le tante diverse forme di segno –

ricchi e con sfumature come qualsiasi lingua parlata. E come qualsiasi cultura ha un modo

proprio di tramandare la storia. Esistono compagnie teatrali dei sordi, festival del cinema

dei sordi e spettacoli comici dei sordi. E non si tratta di copie delle versioni per udenti, con

i segni al posto del parlato. L’esperienza condivisa della sordità, e la natura fisica del

segno, rende l’arte dei sordi differente in un senso che la maggior parte degli udenti non

può cogliere. Essendo nata da genitori udenti, la gran parte delle persone con sordità

profonda non apprende questa cultura in famiglia: la conosce, e in un certo senso la

“costruisce”, attraverso le frequentazioni con maestri e compagni nella stessa condizione.

L’impianto cocleare rende questa scoperta meno probabile, sostengono molte persone

all’interno della cultura sorda. E questa tendenza è da alcuni definita persino “un processo

di genocidio culturale”, spiega Matter. Le prime e più rilevanti attestazioni storiche delle

lingue dei segni – che mancano di una forma scritta e presentano, come le lingue parlate,

differenze piuttosto marcate da paese a paese – risalgono alla seconda metà del XVIII

secolo in Francia, quando cominciarono a sorgere le prime scuole di insegnamento per i

sordi. Tra queste la più importante fu fondata nel 1760 a Parigi dall’abate Charles-­Michel

de l’Épée, autore di un metodo di istruzione che ebbe un’ampia diffusione anche al di fuori

della Francia (negli Stati Uniti e in Italia). Nel 1817, infatti, il reverendo americano Thomas

Hopkins Gallaudet – con la collaborazione di Laurent Clerc, uno dei migliori allievi e poi

maestri di quella scuola francese – fondò a Hartford, nel Connecticut, la American School

for the Deaf, tra i primi e più noti istituti americani per l’insegnamento della Lingua dei

segni. È per questa ragione storica, per capirci, che l’American sign language (ASL) e la

Langue des signes française (LSF) hanno più rapporti e somiglianze linguistiche di quanto

l’ASL non ne abbia con il British sign language (BSL), diversamente da quanto avviene per

le lingue vocali. In seguito e per lungo tempo, tuttavia, l’insegnamento e l’uso delle lingue

dei segni negli Stati Uniti furono aspramente criticati e contrastati da un movimento

d’opinione maggioritario contrario alla diffusione di questa lingua, non riconosciuta come

tale e ritenuta piuttosto un ostacolo all’integrazione delle persone sorde nella società. Per

questo motivo, dopo il Congresso internazionale degli insegnanti dei sordi svolto a Milano

nel 1880, fu favorito un approccio metodologico “oralista” – basato sull’insegnamento della

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lingua parlata e sulla lettura del labiale – di cui lo scienziato, inventore ed educatore

americano Alexander Graham Bell fu uno dei promotori più attivi e convinti. Soltanto negli

anni Settanta del Novecento, a partire dagli studi del linguista William Stokoe, nelle lingue

dei segni furono individuati e analizzati – al di là delle funzioni comunicative e sociali –

aspetti grammaticali, fonologici, sintattici e lessicali assimilabili a quelli delle lingue parlate.

“La gente cominciò a parlare della cultura Sorda (Deaf culture), con la ‘s’ maiuscola per

distinguere la cultura dalla condizione”, sintetizza Matter, e le lingue dei segni

cominciarono sempre più spesso a essere oggetto non soltanto di studi accademici ma

anche di maggiori attenzioni nella cultura di massa. Nel 1968 fu fondato il National Theatre

of the Deaf, la prima compagnia teatrale americana le cui produzioni erano composte in

lingua dei segni e lingua inglese, per favorire – secondo lo statuto stesso della compagnia

– l’integrazione tra le due diverse culture linguistiche. Inoltre, in uno dei maggiori spettacoli

televisivi per bambini, Sesame Street (quello con i pupazzi Muppet), cominciò a comparire

stabilmente l’attrice statunitense sorda Linda Bove, nella parte di una blibliotecaria sorda

che usava la lingua dei segni. Nel 1987, poi, l’attrice sorda Marlee Matlin vinse l’Oscar

come migliore attrice protagonista per la sua interpretazione di una giovane dipendente di

un istituto per sordi in Figli di un dio minore, un film con l’attore William Hurt – con il quale

Matlin ebbe allora una relazione – che raccontò e descrisse a milioni di spettatori nel

mondo la realtà sempre più diffusa della lingua dei segni. In anni recenti Matlin ha avuto

altre parti in serie televisive molto note come West Wing, Desperate Housewives e

Seinfeld. Insieme ai temi legati alla sordità e alla lingua dei segni, presto cominciarono a

emergere alcune avversioni all’interno delle comunità sorde nei riguardi di quella parte di

opinione pubblica comunque incline a considerare la sordità una menomazione, una

condizione fisiologicamente deficitaria da “correggere”. Un episodio significativo delle

difficoltà di integrazione tra i due modelli di pensiero capitò alla stessa Marlee Matlin, che

comprende e parla anche la lingua inglese (è sorda dall’età di un anno e mezzo, e

conserva un udito molto residuo). Alla cerimonia degli Oscar del 1988, e cioè l’anno dopo

il successo di Figli di un dio minore, fu invitata a premiare la migliore interpretazione

maschile. Dopo aver introdotto il premio usando la lingua dei segni, presentò le nomination

e premiò Michael Douglas usando la voce in un modo pienamente comprensibile, per

quanto privo di alcuni tratti soprasegmentali. Per aver scelto di parlare in quell’occasione,

Matlin ricevette numerose critiche da quella parte della comunità dei sordi che vedeva in

lei la rappresentante ideale di un modello culturale composto da persone segnanti, non

necessariamente costrette a parlare per sentirsi integrate nella società. Intanto, verso la

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fine degli anni Ottanta, lo sviluppo tecnologico e la progressiva diffusione dei primi impianti

cocleari favorirono una riconsiderazione positiva dell’approccio “oralista” puro, secondo la

teoria per cui i bambini sordi eventualmente dotati di coclea artificiale in età infantile

potessero apprendere la lingua scritta e parlata al modo dei bambini udenti. Non è

esattamente la stessa cosa, ricorda Matter: tecnicamente l’impianto cocleare non

“aggiusta” niente: è una protesi a tutti gli effetti, che viene solitamente disattivata durante

la notte e in altri momenti della giornata. Per sottolineare le differenze che sussistono tra

l’approccio “oralista” e quello “segnista” – benché una parte del dibattito sia oggi incline a

non considerarli incompatibili – Matter riporta il caso di una ragazza dell’Arizona sorda

dalla nascita, cresciuta imparando l’inglese scritto e parlato, e poi sottoposta da ragazza

anche all’intervento per impiantare la coclea artificiale, prima di conoscere – soltanto a 17

anni – la lingua dei segni per la prima volta. Sul suo blog scrive: Prima che imparassi la

Lingua dei segni americana (ASL) e che fossi parte della comunità dei Sordi, mi sentivo

come se stessi vivendo in un vecchio film straniero in cui niente era chiaro, in cui il mondo

era come attutito, in cui ero sola, senza amici, senza vera comprensione. Ero capace di

afferrare una parola ogni tanto, di capire alcune cose semplici, ma mai fluentemente, mai

con la capacità di cogliere le cose realmente. Quando ho imparato l’ASL e sono diventata

parte della mia comunità di sordi, il mio mondo ha improvvisamente trovato colore,

vivacità, comprensione continua, scambio di idee. Una parte della cultura sorda ritiene che

l’esistenza stessa dell’impianto cocleare sia l’effetto di un pregiudizio teorico: che una

persona sorda abbia bisogno di una “cura”: è un tema, quello dell’alternativa tra

menomazione e diversità, tra omologazione e convivenza, che ha investito nella storia

molte identità. Alcuni sordi utilizzano il termine “audismo” per riferirsi a questo tipo di

atteggiamento per loro discriminatorio. Parlando con un’attivista del gruppo Audism Free

America, la giornalista di Matter ha scoperto che – quando emerge la nozione di cura –

alcuni membri del gruppo accomunano i pregiudizi nei loro riguardi a quelli nei confronti

dei neri o dei gay. Potrebbe essere vista come un’analogia un po’ forzata, segnala la

giornalista, visto che la sordità è pur sempre l’assenza di un senso chiave. Ma Karen

Christie, attivista del gruppo, rigettando l’idea della sordità come senso assente, sostiene:

“Le persone [nere] non mancano della bianchezza. Io sono una donna, non sono una

senza-­pene”. Esistono anche posizioni molto meno nette e rigide, all’interno della cultura

sorda. Matter sostiene di avere ricevuto indirettamente informazioni riguardo diverse

famiglie composte da genitori entrambi sordi che hanno scelto l’impianto cocleare per i

loro figli sordi (e a volte anche per se stessi). Trevor Johnston, esperto in linguistica delle

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lingue dei segni alla Macquarie University di Sydney, in Australia, è una persona udente

cresciuta con familiari sordi. In un suo articolo del 2005 sosteneva che la perdita di alcune

comunità sorde e delle loro lingue dei segni sarebbe “una inequivocabile tragedia culturale

e linguistica”, ma poi tirava una conclusione su cui, secondo Matter, gran parte delle

persone udenti si troverebbe d’accordo: “Io, per primo, non potrei garantire la

perpetuazione di una cultura e di una lingua fondate, in ultima istanza, su una disabilità”.

Secondo Aaron Kelstone, direttrice del programma di arti performative al National

Technical Institute for the Deaf di Rochester (stato di New York), è possibile che la cultura

sorda sopravviva ai margini, cioè tra fasce della popolazione e in zone del mondo – Africa,

sud-­est asiatico, America Centrale – in cui, per ragioni di disponibilità, la scelta tra

impianto cocleare e lingue dei segni neanche si pone.

Mentre erano alla ricerca di informazioni per prendere in modo preparato e consapevole la

scelta migliore per la loro figlia, Christine e Derek Reid conobbero un particolare metodo

“bilingue” del Learning Center for the Deaf, una scuola per sordi di Framingham, in

Massachusetts. I maestri del Learning Center for the Deaf hanno una filosofia piuttosto

chiara riguardo l’educazione dei bambini sordi: insegnare la lingua dei segni come lingua

madre e far sviluppare competenze nella lettura e scrittura dell’inglese come seconda

lingua (parlarla non è giudicato indispensabile). Si tratta, chiaramente, di una soluzione

che richiede grande impegno da parte della famiglia del bambino oltre che l’accettazione

di una serie di compromessi e rinunce. Favorire l’ingresso di Ellie nella cultura sorda da

subito implicava per i Reid la possibilità di un loro inevitabile allontanamento sul piano

della comunicazione, almeno da un certo punto in poi. Per quanto bene potessero

imparare la lingua dei segni alla loro età, i genitori di Ellie erano consapevoli che non

avrebbero verosimilmente potuto raggiungere più di un livello intermedio di competenza

linguistica, come conferma Barbara Herrmann, un’audiologa alla Massachusetts Eye and

Ear Infirmary. I genitori udenti che accettano di favorire al più presto l’ingresso di un loro

figlio sordo nella cultura sorda si trovano di fronte a questo rischio: se le loro capacità di

“segnare” non miglioreranno fino a certi livelli, a un certo punto non saranno in grado di

rivolgersi a loro figlio nella lingua in cui lui si sente più a suo agio. E d’altra parte, senza un

impianto cocleare, Ellie avrebbe dovuto imparare a leggere e a scrivere in una lingua

(l’inglese) che non aveva mai ascoltato, con tutte le difficoltà del caso e con pesanti e

inevitabili ricadute sulla sua futura vita sociale e professionale al di fuori della cultura

sorda. È per questo motivo che i Reid hanno deciso di non rinunciare a nessuna delle due

strade possibili, pur consapevoli che Ellie in questo modo non avrebbe fatto parte della

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cultura sorda nel senso più radicale (cioè senza impianto cocleare). A febbraio 2013, Ellie

Reid ha fatto l’intervento di impianto della coclea artificiale per entrambe le orecchie.

“Preferisco che Ellie ci detesti perché siamo andati avanti con questa decisione senza il

suo permesso, piuttosto che detestarci per non averle mai dato questa possibilità”, ha

detto suo padre Derek. Poco dopo l’intervento e la mappatura dell’impianto cocleare, i

Reid hanno iscritto loro figlia al Learning Center for the Deaf, dove Ellie sta comunque

imparando la lingua dei segni americana come sua prima lingua. Per il momento Ellie non

porta l’impianto cocleare tutto il giorno: ne fa uso principalmente durante i suoi esercizi di

ascolto in casa, guardando la televisione. I genitori si rivolgono a lei sia in lingua dei segni

sia parlando inglese. Christine è consapevole del fatto che, nonostante l’impegno e tutto,

non sarà un percorso facile. Però non si scoraggia e non si pone obiettivi troppo specifici

per Ellie. «Se imparerà ad ascoltare e a parlare, ottimo. E se non riuscirà, va bene lo

stesso. Se è una segnante allora è una segnante», ha detto alla giornalista di Matter, che

conclude l’articolo scrivendo:I Reid non hanno scelto di avere una figlia sorda, o di essere

spinti in una cultura a loro estranea. Sanno che Ellie potrebbe scegliere un mondo che è

oltre la loro possibilità di raggiungerlo. La cosa migliore che Christine e Derek possono

fare è dare a Ellie l’accesso alla sua eredità culturale di Sorda – un riparo, se dovesse

servirle, da un mondo udente in cui potrebbe non sentirsi mai pienamente a casa. E se

facendo questo contribuiscono per di più a tenere viva la cultura Sorda, allora tanto

meglio.

1.8Una nuova ricerca

La ricerca, pubblicata su ‘Science Translational Medicine’, apre speranze per lo sviluppo di

nuove cure. Lo studio, sui topo da laboratorio, apre la strada a nuove cure contro la

sordità. E’ un passo in avanti significativo verso il trattamento di alcune forme di sordità.

Un gruppo di scienziati svizzeri e statunitensi è riuscito a dimostrare sulle cavie da

laboratorio che, grazie a un virus, è possibile correggere il difetto genetico alla base di

molti casi di sordità, ripristinando in alcuni casi l’udito. I difetti nel Dna sottendono a circa la

metà dei casi di perdita dell’udito nella prima infanzia. La ricerca sui topi, secondo gli

esperti, potrebbe portare a trattamenti specifici nell’arco di un decennio. L’équipe medica

si è concentrata sui piccoli peli all’interno dell’orecchio. Convertono i suoni in segnali

elettrici che possono essere interpretati dal cervello. Ma le mutazioni nel nostro Dna

rendono questi peli incapaci di creare il segnale elettrico, impedendo alle persone di

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sentire. Il gruppo di ricerca ha dunque sviluppato un virus geneticamente modificato che

‘infetta’ le cellule ciliate e corregge l’errore. Il sistema è stato testato su topi

“profondamente sordi, che non si sarebbero accorti della musica nemmeno a un concerto

rock ad alto volume (115 decibel)”, spiegano. L’iniezione del virus nelle orecchie ha

portato a un “sostanziale miglioramento” dell’udito, anche se non a livelli normali: gli

animali sono arrivati a sentire l’equivalente del rumore all’interno di una macchina in

movimento (85 decibel). I roditori hanno anche modificato il loro comportamento in

risposta ai suoni durante lo studio, durato 60 giorni. Lo studio ha ‘riparato’ una mutazione

in un gene chiamato Tmc1, che sottende a circa il 6% dei casi di sordità familiare. Il

problema è che esistono più di 100 geni che sono stati collegati a questo disturbo, per

questo gli autori sono prudenti: “Siamo cautamente ottimisti – dice Jeffrey Holt del Boston

Children’s Hospital – ma non vogliamo dare false speranze. Sarebbe prematuro dire che

abbiamo trovato una cura. In un futuro non troppo lontano, però, il nostro potrebbe

diventare un trattamento per la sordità genetica, quindi è un dato importante”.

BIBLIOGRAFIA

• Centro di documentazione per l’integrazione, via Marconi 47 Crespellano (Bologna) tel. 051 964054 e-­mail: [email protected];; metodo bilingue, metodo bimodale e italiano segnato.

• Un pò di storia della sordità per riflettere sul presente;; Lingua dei segni, un progetto dei segni per il suo riconoscimento di Stefania Delendati.

• L’impianto cocleare e la “cultura sorda” di Antonio Russo @il mondosommerso. • Ricerca su “Scienze Translational Medicine”: un virus cura la sordità. • L’identità sorda attraverso il linguaggio di Maria Tagarelli De Monte. • Etnicità, etica e il mondo dei sordi di Harlan Lane. Northeastern University, Boston MA

02115 USA. (Traduzione dall’inglese di Sandro Zucchi). • Il sordomutismo: evoluzione storica e successi nei secoli. G. Caramia, Primario Emerito di

Pediatria e Neonatologia Azienda Ospedaliera “G. Salesi” – ANCONA. • Convenzione Onu per disabili. Stampato per il Ministero della solidarietà sociale nel mese

di novembre 2007 da S.UP.E.MA. s.r.l. Via Dei Piani di Monte Savello, 34 -­ 00041 Pavona di Albano Laziale (Roma) www.supemasrl.it

• Manuale leggi in favore della persona con problemi di udito di Umberto Ambrosetti.

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2. Aspetti fisici e fisiopatologia del sistema uditivo (Carmen Maccarrone)

Il sistema uditivo è il primo dei cinque organi di senso a svilupparsi nel feto e a favorire il

contatto con l'ambiente esterno. Il sistema comprende sia gli organi sensoriali (orecchie,

organi preposti alla percezione e alla traduzione del suono), sia le parti uditive del sistema

sensoriale. Il sistema uditivo periferico inizia con l'orecchio ed è deputato alla prima fase

della trasduzione del suono. Questi primi componenti del sistema uditivo non fanno

direttamente parte del sistema nervoso, tuttavia sono strettamente connessi ad esso.

Eseguono la trasduzione meccanoelettrica delle onde pressorie sonore in potenziali

d'azione neuronali.

L'orecchio è suddiviso in tre parti: esterno, medio e interno.

• L'orecchio esterno è composto dal padiglione auricolare che comprende la pinna, la

conca e il meato uditivo. Il padiglione auricolare è l'unica parte visibile dell'orecchio,

è costituito da cartilagine rivestita dalla pelle e presenta vari solchi e rilievi. La sua

funzione è quella di raccogliere i suoni per convogliarli nel condotto uditivo. Le onde

sonore vengono riflesse e attenuate quando colpiscono il padiglione auricolare, e

questi cambiamenti forniscono ulteriori informazioni che aiuteranno il cervello a

determinare la direzione da cui provenivano i suoni.

Le onde sonore entrano nel canale uditivo, un semplice condotto le cui pareti sono

ricoperte del cerume, una sostanza lubrificante e protettiva e che viene espulsa

fuori dal condotto tramite delle ciglia presenti sulle cellule che rivestono il condotto

ed effettuano la cosiddetta autodetersione[1]. Ha la funzione di mettere in

comunicazione la conca del padiglione auricolare con l'orecchio medio. Il condotto

uditivo amplifica i suoni che si collocano tra i 3 e i 12 kHz. Al fondo del condotto

uditivo è posizionata la membrana timpanica, che segna l'inizio dell'orecchio medio.

• L'orecchio medio misura appena un centimetro cubo di spazio e la sua funzione è

quella di risolvere un problema fisico. Le onde sonore liberate nell'aria viaggiano ad

una bassa impedenza mentre nell'orecchio interno vi è del liquido. Dal momento

che l'impedenza dell'acqua è maggiore di quella dell'aria il suono rischia di non

arrivare a destinazione (in questo caso per impedenza si intende un mezzo che

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rallenta/impedisce il movimento). La soluzione a questo problema è data dunque

dall'orecchio medio, il quale amplifica il suono di circa 20 volte e lo convoglia

all'orecchio interno. Le onde sonore che viaggiano attraverso il canale uditivo vanno

infatti a colpire la membrana timpanica o timpano e la mettono in vibrazione.

Questa informazione onda viaggia attraverso la cavità dell'orecchio medio piena

d'aria attraverso una serie di ossa delicate: il martello, l'incudine e la staffa. Il

martello è intimamente collegato alla membrana timpanica, mentre la staffa, l'ultimo

degli ossicini, è articolato direttamente con la finestra ovale dell'orecchio interno.

Questa serie di ossicini agisce come una leva, convertendo le vibrazioni sonore del

timpano (a bassa pressione) in vibrazioni sonore ad alta pressione che vengono

proprio trasmesse alla piccola membrana rappresentata dalla finestra ovale (o

ellittica). La necessità di una maggiore pressione in corrispondenza della finestra

ovale rispetto alla membrana timpanica si spiega con il fatto che nell'orecchio

interno (al di là della finestra ovale) è contenuto del liquido e non più

semplicemente aria. Grazie all'azione di leva degli ossicini, i movimenti della

membrana timpanica, provocati dal suono, vengono così amplificati e trasmessi

all'orecchio interno in tutta la sofisticata ricchezza dei suoni, da quelli singoli a quelli

di un'intera orchestra. Il riflesso stapediale dei muscoli dell'orecchio medio aiuta a

proteggere l'orecchio interno da possibili danni, riducendo la trasmissione di energia

sonora quando il muscolo stapedio viene attivato in risposta al suono.

Evidentemente nell'orecchio medio le informazioni audio sono ancora contenute in

forma d'onda: la conversione in impulsi nervosi avviene nell'orecchio interno, grazie

alla coclea.

• L'orecchio interno è costituito dal labirinto osseo, un complicato sistema di cavità

che risultano scavate nello spessore dell'osso temporale, e dal labirinto

membranoso, un insieme di organi cavi delimitati da pareti connettivali che

contengono del liquido (endolinfa) e che comunicano fra loro. Il labirinto è rivestito

internamente da epitelio. La coclea (chiocciola ossea) si compone di tre sezioni

piene di liquido (scala vestibolare, scala media con il condotto cocleare, e la scala

timpanica) divise da membrane e supporta un'onda di fluido dovuta alla pressione

che si scarica attraverso la membrana basilare, interposta tra la lamina spirale e la

superficie interna del canale cocleare osseo. L'orecchio interno si divide

dall'orecchio medio tramite la finestra ovale e quella rotonda, che si trovano all'inizio

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della coclea. La coclea è alta circa 10 mm e lunga 35. Questa struttura viene

definita anche "chiocciola" o "chioccia", poiché si avvolge per due giri e mezzo

attorno al modiolo, il suo centro. All'interno della coclea si trova l'organo del

Corti collocato su questo condotto sulla membrana basilare. Si tratta di una

particolare struttura caratterizzata dalla presenza di numerose cellule ciliate,

deputata a trasformare le onde meccaniche in segnali elettrici di tipo neuronale.

Altre due importanti sezioni di questo organo uditivo sono conosciute con il nome di scala

timpanica e scala vestibolare. Queste ultime due strutture si trovano all'interno del labirinto

osseo, che viene riempito con un fluido chiamato perilinfa, simile nella composizione al

liquido cerebrospinale. La differenza chimica tra i fluidi perilinfatici ed endolinfatici è

importante per la funzione dell'orecchio interno, a causa di differenze di potenziale

elettrico indotte da differenti concentrazioni tra ioni potassio e calcio. La vista di una coclea

umana sezionata (similmente a quanto avvale per i mammiferi e la maggior parte dei

vertebrati) mostra che lungo la sua lunghezza vengono percepite frequenze specifiche. In

particolare è stato verificato che la frequenza è una funzione esponenziale della lunghezza

della coclea all'interno dell'organo di Corti. In alcune specie, come i pipistrelli e delfini, il

rapporto si espande in aree specifiche per permettere la loro capacità di sonar attivo.

Il suono è una forma di energia che si trasmette attraverso un’onda pressoria

longitudinale. Si tratta di una serie di compressioni e rarefazioni delle molecole di un

mezzo che può essere solido, liquido o gassoso. Esso può essere descritto in base alla

sua frequenza, intensità e alle sue proprietà temporali. L’intensità del suono viene

percepita come loudness ed è misurata in una scala logaritmica la cui unità di misura è il

decibel (dB). Per poter parlare di intensità sonora l’unità di riferimento è stata definita

attraverso l’uso di uno standard che è rappresentato dallo 0dB che corrisponde ad un

livello di pressione sonora (sound pressure level – SPL) di 0.0002 dynes/cm2 (o 10

Watt/m) Data l’enorme variazione di livelli di pressione sonora udibili dall’uomo si è infatti

convenzionalmente introdotta una scala logaritmica rappresentata dal decibel nella quale

si opera una compressione del campo di pressioni sonore udibili dall’orecchio umano. Un

incremento di soli 6dB è percepito come il doppio dell’intensità di un suono. I suoni sono

inoltre caratterizzati dalla loro frequenza. La frequenza di un particolare suono è in

relazione al numero di cicli per secondo dell’onda sonora e si misura in Hertz (1 Hertz = 1

ciclo per secondo). L frequenza di un suono viene percepita come altezza di quel suono.

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L’udito umano ha un range di percezione tra i 20 ed i 20.000 Hertz. Le frequenze della

voce sono principalmente comprese tra i 250 ed i 4000 Hertz. Il padiglione auricolare

adempie soltanto alla funzione di captare le onde sonore dall’ambiente circostante che,

tramite il condotto uditivo esterno vengono convogliate alla membrana timpanica. In molti

animali il padiglione auricolare può essere ruotato in modo da raggiungere un optimum di

intercettazione del suono;; nell’uomo i muscoli auricolari esterni hanno perso questa

funzione ed il padiglione auricolare non ha possibilità di movimento. Comunque il

padiglione auricolare ha la capacità di modificare significativamente i suoni in particolare le

alte frequenze, così come è importante per la localizzazione antero-­posteriore e verticale

dei suoni. (Plenge G) Il meato acustico esterno, grazie alla sua particolare conformazione

anatomica è in grado di amplificare le frequenze sonore comprese tra i 2500 ed i 5500 Hz.

In questo range la pressione sonora alla membrana timpanica può raggiungere le 10 volte

di quella al padiglione. Il sistema timpano-­ossiculare dell’orecchio medio permette la

trasmissione del suono dal condotto uditivo esterno alla coclea determinandone

un’amplificazione grazie alla sua funzione di adattatore di impedenza. Per impedenza di

un sistema si intende l’insieme di tutti quei fattori che si oppongono al passaggio dell’onda

sonora. Quando un suono che si trasmette attraverso un mezzo a bassa impedenza

(come l’aria) incontra un mezzo ad alta impedenza (ad esempio l’acqua), la maggior parte

dell’energia viene riflessa. Se non esistesse l’orecchio medio il suono trasmesso dall’aria

avrebbe notevoli difficoltà ad essere utilizzato dalla coclea: a livello della finestra ovale si

creerebbe infatti un contatto diretto fra un mezzo a bassa impedenza ed uno ad alta

impedenza (perilinfa) con una conseguente elevata dispersione di energia. Il sistema

timpano-­ossiculare accoppia due mezzi a diversa impedenza determinando

un’amplificazione del suono che supera in parte la dispersione di energia. Ciò avviene

grazie all’ampia superficie del timpano rispetto alla finestra ovale (il rapporto tra queste

due superfici è all’incirca pari a 18,3) ed alla maggior lunghezza del manico del martello

rispetto all’apofisi lunga dell’incudine che fa del sistema incudo-­malleolare una leva

vantaggiosa. Alla catena ossiculare ed in particolare alla staffa e al martello si inseriscono

due piccoli muscoli (stapedio e tensore del timpano) la cui contrazione si ha come riflesso

a suoni di elevata intensità. Questi riflessi riducono la trasmissione dei suoni attraverso

l’orecchio medio ma solo alle basse frequenze, inoltre dato che è richiesta una certo

tempo (latenza) per la risposta essi non proteggono dai suoni impulsivi (Esplosione di una

bomba per es.).

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In conclusione nei 4 centimetri circa dell’orecchio esterno e medio tre meccanismi diversi

intervengono nell’amplificazione del suono, la risonanza del condotto uditivo che aumenta

la pressione di circa 10 volte, il sistema di leve ossiculari che lo triplica così come il diverso

rapporto di superficie tra membrana timpanica e finestra ovale. Il risultato di questi tre

meccanismi risulta in una notevole amplificazione dell’onda sonora prima ancora che

vengano messi in movimento i liquidi dell’orecchio interno. Una volta che il segnale sonoro

raggiunge la finestra ovale, la coclea trasforma il segnale da energia meccanica in energia

elettrica. I liquidi all’interno della coclea sono incompressibili per cui l’infossamento della

platina della staffa entro la finestra ovale determina un’onda di pressione nella perilinfa

della rampa vestibolare della coclea. Tale onda pressoria non si può scaricare nella rampa

timpanica attraverso la porzione apicale della coclea in quanto l’elicotrema è di calibro

molto ridotto. La pressione generata nella scala vestibolare si trasmette pertanto

attraverso la membrana di Reissner al dotto cocleare e tramite questo alla membrana

basilare che viene messa in vibrazione. La membrana basilare è costituita da un nastro

fibro-­elastico che si allarga e si assottiglia progressivamente dalla base verso l’apice della

coclea. Questa caratteristica anatomica determina un diverso grado di elasticità della

membrana lungo la coclea. A livello del giro basale la membrana basilare, più stretta e più

spessa, ha una maggiore rigidità e viene sollecitata preferenzialmente da stimoli sonori ad

alta frequenza (toni acuti);; nel giro apicale la membrana, più larga e sottile, possiede una

maggiore elasticità ed entra facilmente in vibrazione per stimoli a bassa frequenza (toni

gravi). La vibrazione della membrana basilare ha la forma di un’onda simil-­sinusoidale che

origina sempre dalla base della coclea e si propaga verso l’apice. L’ampiezza dell’onda

sinusoidale aumenta in modo graduale mentre ha un decremento rapido.. In rapporto alle

proprietà elastiche della membrana basilare, il punto di massima ampiezza della

vibrazione dipende dalla frequenza del suono stimolante (teoria dell’onda viaggiante di

Von Békésy). Per suoni di elevata frequenza l’onda viaggiante presenta un punto di

massima ampiezza in vicinanza della platina della staffa, per suoni di frequenza

progressivamente più bassa, tale punto si sposta gradatamente verso l’apice della coclea.

La risposta della membrana basilare ai suoni di diversa frequenza dipende infatti dalle sue

proprietà elastiche che variano dalla base all’apice In particolare mentre la base è

relativamente stretta e rigida l’apice è più largo e più elastico. La capacità della membrana

basilare di fare un’accurata analisi in frequenza dei suoni è stata dimostrata nell’animale

da esperimento dove si è visto che essa dipende anche da meccanismi attivi e quindi dalle

condizioni fisiologiche della coclea (Khanna e Leonard, 1982). Questa teoria della

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discriminazione in frequenza è conosciuta come del “ principio di sede”. Comunque esiste

un’altra ipotesi, quella “temporale” secondo la quale la discriminazione in frequenza del

sistema uditivo è il risultato di un codice temporale dei suoni nella frequenza di scarica

delle fibre uditive. Lo spostamento della membrana basilare determina la flessione delle

ciglia delle cellule sensoriali ciliate dell’organo del Corti chepoggia appunto sulla

membrana basilare. Le cellule così stimolate liberano i neurotrasmettitori presinaptici con

conseguente attivazione dei neuroni sensitivi bipolari del ganglio spirale del Corti

localizzato nel modiolo (primi neuroni della via acustica). Il prolungamento centrale di

questi neuroni va a costituire la componente acustica dell’ottavo nervo cranico ed inoltra lo

stimolo ai nuclei cocleari del tronco encefalico dove le fibre mantengono

un’organizzazione tonotopica con le alte frequenze dirette principalmente al nucleo

dorsale e le basse frequenze al ventrale. Lo stimolo nervoso viene quindi condotto al

complesso olivare superiore che nell’uomo è rappresentato da una serie di nuclei posti nel

tronco dell’encefalo e che è considerato come la localizzazione periferica nella quale la

maggior parte delle fibre si incrocia. Esso è importante per la localizzazione dei suoni in

base alla provenienza spaziale che è caratteristica dell’udito binaurale e che permette di

distinguere un interlocutore dall’altro quando ascoltiamo più persone. L’uso dell’udito

binaurale per questo proposito è conosciuto come “fenomeno del cocktail party”. Le fibre

ascendono quindi attraverso i lemnischi laterali al collicolo inferiore che è stato associato

con diversi riflessi acustici come risposte muscolari del collo e dei muscoli extraoculari

oltre che anch’esso con l’udito direzionale. La via acustica attraverso il corpo genicolato

mediale si porta fino alle aree della corteccia cerebrale poste a livello del lobo temporale

(aree 41 – 42 di Brodmann). Da qui partono delle vie efferenti una che raggiunge

l’orecchio attraverso il fascio olivocoleare e una che termina in vari nuclei della via

ascendente. La prima sarebbe importante nella protezione contro la sordità da rumore ed

in generale da esse dipendono i riflessi motori e del sistema nervoso autonomo agli stimoli

uditivi. La cosiddetta via corticoefferente quando stimolata dall’attenzione è in grado di

modificare il messaggio afferente e ha degli effetti che differiscono da un lato all’altro e tra

sessi. Dalle aree corticali primarie lo stimolo viene quindi inoltrato alle aree integrative ed

associative della corteccia tra cui l’area di Wernicke, area di interpretazione del linguaggio.

È importante ricordare infine che, come nella coclea, lungo tutto il decorso delle vie uditive

centrali, sino a livello corticale, vi è una corrispondenza tonotopica che contribuisce alla

discriminazione delle componenti ad alta e bassa frequenza dei suoni .

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2.1 Le patologia dell’apparato uditivo

La Patologia che può interessare un solo orecchio o entrambi, comporta una riduzione

uditiva lieve, media o grave. La compromissione dell'udito può seriamente incidere sulla

vita del soggetto colpito. Si stima che circa il 40 % della popolazione sopra i 75 anni soffra

di riduzione uditiva legata all'età: la presbiacusia. In base alla sede del danno causante,

è classificata come:

Ipoacusia trasmissiva: quando il danno è localizzato nell'orecchio esterno o nelle strutture trasmissive dell'orecchio medio. Il deficit è in genere pantonale, anche se può accentuarsi per frequenze medio-­gravi. Il deficit trasmissivo è solitamente inferiore a 50-­60

decibel.

Ipoacusia neurosensoriale: il danno è localizzato nella coclea (ipoacusia neurosensoriale cocleare, orecchio interno) o nel nervo acustico (ipoacusia neurosensoriale retrococleare). Il deficit varia in base all'entità del danno ed alla

localizzazione (monolaterale o bilaterale).

Le perdite uditive monolaterali e bilaterali pari o inferiori a 275 dB dovranno essere valutate utilizzando

i valori percentuali che derivano da una

semplificazione e rielaborazione (con arrotondamenti

in eccesso o in difetto) della tabella per le perdite

uditive monolaterali o bilaterali proposte dal

Committee on Conservation of Hearing secondo il metodo A.M.A. 1961. Alla sordità

monolaterale totale viene attribuito un punteggio di invalidità del 15%, alla sordità

bilaterale totale un grado del 58.5%. Lì dove i valori percentuali in tabella siano espressi

da numeri decimali con frazione di mezzo punto sarà a discrezione della Commissione,

caso per caso attribuire mezzo punto al punteggio pieno in eccesso o in difetto (per

esempio il punteggio di 58.5 può essere portato a 59 o 58).

1) Il punteggio relativo ad ipoacusie ad andamento fluttuante e fortemente discontinuo nel

tempo (ipoacusie di trasmissione, ipoacusie di tipo misto, ipoacusie neuro-­sensoriali con

timpanogramma patologico, malattie di Ménière ecc.) deve scaturire da un periodo di

osservazione di almeno 1 anno, mediante l'esecuzione di almeno 3 esami oto-­funzionali

effettuati ogni 3-­4 mesi. Il punteggio deriverà dalla media della perdita fra i tre esami.

Inoltre è raccomandata la revisione ogni tre anni.

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2) La valutazione del grado di ipoacusia e il calcolo del punteggio vanno effettuati sempre

a orecchio nudo, cioè senza protesi.

Ciò per n-­ non è possibile valutare l'efficacia e la resa protesica se non dopo un adeguato

periodo di allenamento e adattamento variabile da caso a caso;;

-­ la valutazione tradizionale della resa protesica mediante esame audiometrico tonale in

campo libero non è idonea ed inoltre non è acusticamente corretto paragonare risposte

in campo liberocon risposte in cuffia;;

-­ l'unico test valido per verificare la resa protesica è l'audiometria vocale effettuabile solo in

pochi centri specializzati;; inoltre in tale metodica vengono utilizzati come unità di misura

dB SPL difficilmente convertibili in dB HTL;; e vengono introdotti gli stessi problemi

valutativi legati all'impiego del campo libero di cui si è già accennato;;

-­ la verifica del guadagno prodotto dalla protesi presuppone la contestuale verifica da

parte della Commissione della correttezza sia della prescrizione che dell'applicazione

della protesi;;

-­ notevolmente difficoltosa e aleatoria è la valutazione in termini medico-­legali del

vantaggio prodotto dall'uso di protesi acustiche, considerati gli svantaggi che presentano,

i danni esteticiche comportano l'impossibilità di impiegarli in ambienti rumorosi, le

difficoltà di usarle durante il lavoro, l'affaticamento uditivo ecc;;

-­ appare più opportuno effettuare una valutazione teorica sulla possibilità o meno di

applicazione di una protesi per ciascun grado di ipoacusie e laddove tale possibilità

teorica sussista applicare una limitata riduzione del punteggio di invalidità;;

-­ la riduzione dell'invalidità nei casi di ipoacusia protesizzabile riguarda tutte le ipoacusie

pari o inferiori a 275 dB sull'orecchio migliore;; per cui partendo dalle ipoacusie bilaterali

superiori a 275 dB difficilmente protesizzabili a cui è riconosciuta una invalidità del 65%

si passa alle ipoacusie bilaterali pari o inferiori a 275 dB sull'orecchio migliore in cui la

protesizzazione è possibile e a cui è riconosciuta una invalidità fino a un massimo del

59%;; il livello critico di passaggio da una ipoacusia ben protesizzabile a una ipoacusia

difficilmente protesizzabile è stato pertanto fissato sui 275 dB;; al di sotto di tale livello di

perdita viene automaticamente applicata una riduzione di 9 punti proprio in base alla

possibilità dell'applicazione di un apparecchio protesico che può garantire in modo totale

o parziale il ripristino funzionale dell'apparato uditivo.

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3) Nei casi in cui non è possibile utilizzare l'audiometria tonale liminare soggettiva, e quindi

valori espressi in dB HTL, ma solo tests obiettivi come i potenziali evocati uditivi, e quindi

valori espressi in dB SPL la tabella può essere impiegata nel modo seguente:

a) conversione dei dB SPL (pressione acustica) in dB HTL (soglia soggettiva) ove la soglia

ricavata sia stata espressa appunto in dB SPL;;

b) somma della perdita in dB HTL sulle tre frequenze 500, 1000 e 2000 Hz nel caso siano

stati impiegati toni puri o stimoli caratterizzati in frequenza;;

c) moltiplicazione per 3 del valore di perdita riscontrato e convertito in dB HTL, ove sia

impiegato un solo tipo di stimolo (per es. il click) non caratterizzabile in frequenza.

Ai fini della concessione della indennità di comunicazione la dizione "sordo pre-­linguale",

di cui all'art. 4, della legge 21 novembre 1988, n. 508, deve considerarsi equivalente alla

dizione di "sordomuto" di cui all'art. 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381 ("...si considera

sordomuto il minorato sensoriale dell'udito affetto da sordità congenita o acquisita durante

l'età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato,

purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di

guerra, di lavoro o di servizio").

I fattori che in una ipoacusia possono rendere difficoltoso il normale apprendimento del

linguaggio parlato sono molteplici e complessi: primi, tra tutti, l'epoca di insorgenza

dell'ipoacusia in relazione all'età evolutiva. Altri fattori importanti, ma aleatori e quindi non

quantificabili né valutabili in sede normativa sono la precocità e la correttezza della

diagnosi e del trattamento e il livello socioculturale della famiglia.

SITOGRAFIA

• https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_uditivo • http://fisicaondemusica.unimore.it/Anatomia_del_sistema_uditivo.html • http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/apparato-­uditivo/ • http://boccignone.di.unimi.it/Modelli_Percezione_files/LezPMPAcustica.pdf • http://www.audiologia.unina.it/anatomia%20e%20fisiologia.htm

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3. La rieducazione logopedica (Carmen Maccarrone)

L'efficienza e la tempestività dell’intervento su una sordità pre-­verbale non deve esaurirsi

nella identificazione precoce, nell'accurato iter diagnostico e nell'abilitazione protesica del

bambino, ma deve considerare la gestione dinamica del processo riabilitativo soprattutto

nel primo periodo di trattamento. Durante questo periodo infatti potranno essere prese

decisioni cruciali per lo sviluppo delle abilità linguistiche del bambino che condizioneranno

la presenza o meno di un handicap comunicativo per tutta la vita.

Alla luce delle possibilità di amplificazione acustica oggi possibili, in quanto la sogliauditiva

è sicuramente ripristinabile attraverso protesi acustiche ad elevata potenza oimpianto

cocleare, anche le tecniche riabilitative nel bambino ipoacusico sono andatemodificandosi

negli ultimi dieci anni. La stimolazione verbale associata allo sviluppo diabilità

comunicative accessorie, quali l'integrazione costante con la labio-­lettura, l'utilizzodella

lingua dei segni, il ricorso a diverse metodiche accettate nell'ambito di una

totalcommunication, oggi è definitivamente scomparsa a vantaggio di un training sempre

piùspecifico di tipo percettivo-­verbale finalizzato all'acquisizione della comunicazione

verbale,entro tappe fisiologiche di sviluppo, necessaria per un normale inserimento nella

scuola dell'obbligo.

Il personale logopedico che si dedica alla riabilitazione del bambino ipoacusico oggi, deve

avere quindi una preparazione adeguata a questo iter riabilitativo, e deve mantenere stretti

contatti con lo specialista audiologo-­foniatra per un'ottimale gestione della protesizzazione

che è frutto di vari aggiustamenti successivi a cui tutti devono collaborare.

Infatti è la logopedista che ha un contatto continuo e quotidiano con il bambino che è in

grado di monitorare e rilevare eventuali problemi di malfunzionamento nel presidio

protesico utilizzato.Ovviamente anche gli altri operatori sanitari che collaborano all'iter

diagnostico-­riabilitativo del bambino, e che spesso operano a livello territoriale, devono

essere informati e coinvolti nel programma riabilitativo in modo da fornire alla famiglia una

continuità di intervento necessaria soprattutto quando diverse figure sanitarie e scolastiche

intervengono sullo stesso bambino.

E' necessario comunque effettuare sempre un programma individuale che sia modulato

nel tempo, longitudinale, e monitorato attraverso l’utilizzo di strumenti diagnostici oggettivi.

Un altro fattore importante da non sottovalutare è l'ambiente in cui vive il bambino, non

solo in termini di rapporti interpersonali nell'ambito della famiglia, ma anche in termini

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piùspecifici di coinvolgimento dei genitori nell'iter riabilitativo e di stimolazione linguistica

ingrado di favorire l'apprendimento del linguaggio.

Il trattamento riabilitativo quindi deve essere concordato innanzi tutto con la famiglia e con

gli operatori territoriali, se il bambino viene rieducato in un luogo diverso da quello dove è

stata effettuata la diagnosi, e deve prevedere una precisa informazione circa:

modalità,tempi e mezzi riabilitativi utilizzati in accordo con le tappe evolutive del bambino.

Ovviamente l’efficacia del trattamento riabilitativo non può essere

considerataindipendentemente dagli obiettivi del trattamento stesso e gli obiettivi sono

tanto diversiquanto è eterogenea la popolazione dei bambini ipoacusici;; questo

presuppone chedobbiamo effettuare un programma mirato alle esigenze del singolo

bambino.

3.1 Gli obiettivi del trattamento logopedico In generale comunque possiamo sintetizzare gli obiettivi che si pone un

trattamentologopedico dopo una protesizzazione precoce nello sviluppo delle seguenti

abilità aseconda delle diverse fasce di età, all'interno delle quali vanno stimolate

attivitàspecifiche:

1. Sviluppo delle abilità percettive e sensoriali

-­utilizzo costante dell'amplificazione acustica

-­migliorare la percezione uditiva

-­imparare ad utilizzare stimoli elettrici e tattili

-­integrare le informazioni uditive, visive, elettriche e tattili.

2. Sviluppo delle abilità linguistiche:

-­promuovere la relazione genitore-­bambino

-­sviluppare la comprensione di unità linguistiche e concetti progressivamente più

complessi

-­aumentare l'acquisizione lessicale-­semantica

-­sviluppare le abilità verbali di supporto alle attività scolastiche

-­favorire l'espressione spontanea e l'acquisizione delle regole pragmatiche, sintattiche e

semantiche

-­sviluppare le abilità narrative

3.Sviluppo delle abilità fono-­articolatorie:

-­favorire la vocalizzazione con corretto utilizzo del tratto vocale

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-­aumentare il repertorio fonetico-­fonologico

-­stabilire una relazione tra percezione e produzione

-­migliorare la voce e la prosodia

-­migliorare l'intelligibilità del parlato

4. Sviluppo delle acquisizioni scolastiche:

-­incrementare le abilità di letto-­scrittura

-­ottimizzare i livelli educativo-­scolastici

5. Favorire la crescita emotiva e sociale

-­stabilire un'accettazione della perdita uditiva

-­ridurre l'ansia della famiglia

-­promuovere lo sviluppo socio-­relazionale del bambino.

Infine, molti sono i quadri sindromici in cuiun'ipoacusia neurosensoriale e/o trasmissiva

come sintomo associato.

Tra le disabilità associate sia congenite che acquisite nei primi anni di vita, che

rivestonouna particolare importanza, sono quelle relative alla presenza di altri deficit

sensoriali ocognitivi. In particolare un deficit visivo importante può compromettere il

miglioramentodelle abilità comunicative in quanto il bambino non può utilizzare un

importante canalevicariante;; l'eventuale associazione di un deficit cognitivo, nella maggior

parte dei casi,limita le possibilità di acquisizione linguistica.

In questi casi un'adeguata amplificazione acustica, fornita attraverso una protesi acusticao

l'impianto cocleare, anche se sfruttata in modo limitato, sarà di fondamentaleimportanza per

la vita di relazione. Quindi ancor più se ci troviamo di fronte a bambini condisabilità

associate va effettuato un programma abilitativo mirato ed individualizzato e siha la

necessità di disporre di personale preparato ad affrontare l'iter riabilitativo in

modoadeguato.

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SITOGRAFIA

• http://www.ilgazzettino.it/home/rieducazione_linguaggio_la_logopedia_migliorare_la_qualita_vita-­181292.html

• http://www.parlobene.it/site/logopedia-­per/logopedia-­per-­adulti/ • http://www.medicina.unibo.it/it/corsi/insegnamenti/insegnamento/2015/360881 • http://www.lumsa.it/sites/default/files/UTENTI/u884/Lez2%20-­%20Disabilita%27%20uditiva.pdf

• http://www.anastasis.it/corsi-­formazione-­ed-­ecm/la-­logopedia-­ed-­il-­logopedista

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4. LIS: Lingua Italiana dei Segni (Ombretta Bocci)

4.1 Introduzione:

La LIS è la lingua adottata per comunicare dalle persone sorde e udenti che appartengono

alla Comunità Sorda Italiana. Si tratta di una vera e propria lingua che utilizza il canale

visivo-­gestuale ed ha una propria struttura (livello fonologico, morfologico, lessicale) .

Come le lingue vocali, anche la Lingua dei Segni si differenzia a seconda delle Nazioni;;

nel suo sviluppo, infatti, essa è influenzata dalla cultura del Paese nel quale viene usata.

Purtroppo la Lingua dei Segni Italiana non ha ancora ricevuto un riconoscimento ufficiale

dallo Stato Italiano.

4.2 Origine della Lingua dei Segni

La tendenza a sviluppare una forma di comunicazione visivo-­gestuale nelle persone non

udenti esiste fin dall’antichità;; lo stesso Platone si è interessato al linguaggio dei segni

usato dai sordi, che all’epoca erano relegati ai margini della società;; anche nella cultura

cristiana le persone sorde erano considerate “marchiate” dal peccato e quindi emarginate.

Tra XVI fino alla metà del XVII secolo (data della fondazione delle prime scuole pubbliche

per sordomuti) ha origine la vera e propria istruzione dei sordomuti.

Proliferano gli studi e le ricerche in campo medico e linguistico che possono facilitare il

percorso educativo delle persone non udenti

Le prime testimonianze sull’esistenza di una lingua dei segni come strumento di

comunicazione risalgono al 1700: l’Abate Charles Michel de l’Epée creò un sistema di

comunicazione gestuale e nel 1760 fondò, in Francia, la prima scuola per non udenti.

Partendo dal linguaggio mimico, elemento naturale e caratterizzante l’essere umano, creò

una vero e proprio sistema di segni convenzionali con i quali i bambini sordi potevano

esprimersi. L’insegnamento della lingua dei segni utilizzava la dattilologia manuale

(comunicazione attraverso le diverse posizioni delle dita), l’uso delle espressioni del volto,

uso di segni metodici, attraverso i quali potevano essere comunicate idee astratte ma con

nessi logici e regole grammaticali.

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Un’altra Istituzione per non udenti fu fondata a Lipsia nel 1778 da Samuele Heinicke

(1727-­1790). Questi, opponendosi al metodo mimico elaborato da Michel de l‘Epée,

utilizzò la lingua scritta e parlata come strumento di istruzione per i bambini sordi,

considerando il metodo orale come il metodo più efficace.

Molti educatori studiarono alla scuola di Charles Michel de l’Epée, tra i quali Tommaso

Silvestri che portò questo metodo di comunicazione (detto “mimico”) in Italia;; egli istruiva i

suoi allievi non udenti utilizzando questo metodo e la lettura labiale. In questa seconda

metà del XVIII secolo sorgono gran parte degli Istituti Speciali per i sordi;; nel 1880 il

Congresso di Milano pose fine all’uso dei segni nelle scuole per i sordi prediligendo il

metodo “oralista” (basato sulla comunicazione orale), affermando che “il gesto uccideva la

parola”. Il codice gestuale comunque veniva utilizzato in ambito privato.

In Italia, negli anni ‘80, alcuni ricercatori dell’Istituto di Psicologia del CNR di Roma, diretto

dall’équipe della neuropsicologa Virginia Volterra, iniziarono una ricerca sistemica sulla

LIS, mostrando come essa sia una vera e propria lingua con regole sintattiche,

semantiche , morfologiche e fonologiche.

Alcune persone ritengono che non sia necessario utilizzare la Lingua dei Segni, in quanto

le protesi e gli impianti cocleari permettono ai bambini sordi di comunicare con gli udenti,

ma l’applicazione del bilinguismo bimodale mostra che la lingua nazionale parlata e scritta

viene completata dalla Lingua dei Segni.

E’ abbastanza diffusa l’idea che utilizzare le lingue dei Segni possa “ghettizzare” le

persone non udenti, le quali sarebbero costrette a comunicare solo con chi conosce

questa Lingua , ciò risulta infondato. Infatti è attraverso la LIS che si attiva un processo di

inclusione a livello sociale per i sordi;; essi apprendono meglio la lingua parlata e scritta

dopo aver acquisito la Lingua dei Segni e sviluppano un forte senso di appartenenza ad

una comunità (quella dei sordi).

La Lingua dei Segni diventa veicolo di integrazione, come è avvenuto alla scuola

elementare di S. Onofrio a Rimini, dove i bambini dal 2011 studiano la LIS per comunicare

e giocare con due compagni non udenti;; inoltre, come afferma Virginia Volterra, alcune

esperienze di insegnamento della Lingua dei Segni ai bambini udenti hanno dimostrato

come questa potenzi nei bambini udenti alcune aree cognitive legate all’attenzione e alla

memoria visiva, poiché viene stimolata la modalità di espressione visivo-­gestuale.

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In“I segni raccontano. La lingua dei segni italiana tra esperienze, strumenti e metodologie”

(2009) Bagnara-­Fontana -­Tomasuolo-­Zuccala affermano che la LIS è un buon strumento

di comunicazione anche per i soggetti autistici: sfrutta le abilità visive e riduce l’impegno di

spostare l’attenzione dallo stimolo visivo a quello uditivo. Si evita il sovraccarico degli

stimoli fonetici che per bambini affetti da autismo risultano fastidiosi;; la LIS favorirebbe,

quindi, l’apertura comunicativa riducendo il ricorso all’isolamento.

In Italia, oltre al metodo educativo bilingue (acquisizione precoce della LIS e apprendimento della lingua italiana) sono utilizzati anche altre due metodi educativi:

il metodo orale, basato sulla lingua orale utilizzando però anche la lettura labiale, la lettura e la scrittura precoci;; il metodo bimodale, basato sulla modalità acustico-­vocale e visivo-­gestuale;; la comunicazione avviene tramite la parola e il segno fatti in maniera

contemporanea, seguendo la struttura sintattica dell’italiano.

Le varie Lingue dei Segni nazionali hanno ottenuto un riconoscimento dal Parlamento

europeo nel 1998 e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata

dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2006 ha ribadito la necessità di sostenere

l’identità linguista e culturale delle persone non udenti.

In Italia, al momento, la LIS non ha ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale, ma dal 2

dicembre 2005 è in corso un iter legislativo per ufficializzare la LIS e quindi il suo

insegnamento nelle scuole primarie e secondarie di primo grado: ciò significherebbe

estendere a livello nazionale il modello proposto dalla scuola elementare S.Onofrio di

Rimini.

4.3 Aspetti strutturali

Nel 1960 William Stokoe, studiando la Lingua dei Segni americana, individuò le unità

minime, chiamate cheremi ( dal greco khèir=mano);; essi sono n. 4 e costituiscono i

parametri di formazione del segno:

1. il luogo di articolazione (comprende parti del corpo del segnante, lo spazio avanti al

segnante e lo spazio neutro);;

2. la configurazione della mano, cioè la forma che essa prende posizionando le dita;;

3. l’orientamento del palmo della mano rispetto al corpo del segnante;;

4. il movimento della mano o delle mani.

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Questi parametri vengono articolati in modo simultaneo usando una o entrambe le mani.

Le variazioni nei parametri e le loro combinazioni generano altri segni e quindi una grande

varietà di parole che possono essere usate per esprimere concetti e pensieri.

Un segno può essere più marcato o meno a seconda della velocità di esecuzione e

all’ampiezza del gesto che si compie per realizzarlo.

Il movimento del corpo, l'ampiezza, la velocità sono gli elementi fondamentali della

corretta espressività nella lingua segnica, costituiscono categorie logiche di riferimento,

senza le quali la gestualità sarebbe solo un disarmonico, inutile agitarsi.

Oltre ai parametri, svolgono una funzione importante a livello comunicativo: la posizione

delle spalle e quella del busto, l’espressione facciale, lo sguardo e particolari

configurazioni della bocca;; per esempio nell’esprimere una frase interrogativa: il busto e le

spalle del segnante si protendono e le sopracciglia si alzano (se è una domanda

chiusa:si/no) o la fronte è corrugata (domanda aperta)

La grammatica della lingua dei segni risulta, quindi, costituita dalle relazioni spaziali, dalla

direzione e dall'orientamento dei movimenti delle mani, dalle espressioni del volto, il

movimento degli occhi, delle sopracciglia, delle labbra, delle posizioni del corpo. Questi

elementi servono ad esprimere variazioni di grado, quantità o misura. Come nella lingua

parlata,anche la LIS usa i diminutivi o i superlativi.

La Lingua dei Segni ha, quindi, una struttura propria, diversa dalla lingua parlata, cioè

nella strutturazione di una frase, i segni vengono eseguiti indicando:il luogo e il tempo (e

viceversa), il soggetto, l'oggetto, il verbo, la negazione e/o il pronome interrogativo (a

differenza della lingua parlata, nella quale l’ordine è :soggetto, verbo, complemento

oggetto, ecc... ). Il sordo ragiona per immagine e non per parole come l'udente, vede per

primo l'oggetto o il soggetto poi ne codifica l'azione.

Esiste anche una Lingua dei Segni tattile, utilizzata dalle persone sordo cieche, in genere

persone nate sorde che hanno appreso la lingua dei segni e successivamente diventate

cieche.

La LIS ha diversi dizionari;; i primi sono stati realizzati negli anni ‘90 da persone sorde.

Sono stati creati anche dizionari specialistici, per esempio quelli riportanti la terminologia

informatica, la catechesi cattolica e l’arte. Accanto all’immagine del segno (lemma) si

trovano la traduzione in italiano e le indicazioni sull’esecuzione del segno.

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4.4 Aspetti sociolinguistici

L’acquisizione e l’uso del linguaggio (parlato,scritto e a segni) è un fattore importante per

un bambino;; esso implica una crescita a livello neurologico (maturazione del sistema

fonatorio e discriminazione dei suoni) ma anche sociale, in quanto il linguaggio è uno

strumento di comunicazione che permette di relazionarsi con altri che usano lo stesso

codice linguistico;; ne consegue uno sviluppo del senso di appartenenza ad una comunità,

la sensazione di controllo dell’ambiente di vita e di sicurezza : questi elementi sono

importanti anche per raggiungere un equilibrio dal punto di vista emotivo..

Un bambino non udente acquisisce la LIS in maniera spontanea,spesso in ambito

familiare, mentre apprende l’italiano (scritto e parlato) in un contesto istituzionale (es. la

scuola) e in modo artificiale, con grande difficoltà;; infatti il processo è più lento rispetto a

quello messo in atto dai bambini udenti.

Non tutti i bambini sordi hanno una padronanza completa della lingua dei segni, poiché

dipende da vari fattori: l’età nella quale è iniziato l’iter di apprendimento, la presenza di

genitori sordi o udenti: nel primo caso è più probabile che l’insegnamento della lingua dei

segni avvenga nei primi anni di vita e quindi il bambino acquisisce una competenza

completa;; nel secondo caso invece essa viene appresa durante l’infanzia o addirittura in

adolescenza.

In alcuni casi i figli sordi delle persone udenti entrano in contatto con la Lingua dei Segni a

scuola, dove incontrano altre persone sorde e personale udente segnante (es, interpreti e

assistenti alla comunicazione) .

In ambito informale sono utilizzati sia la LIS che la lingua italiana, es. in famiglia o in quei

luoghi di socializzazione,dove la LIS sia abitualmente praticata. La lingua scritta (lettere,

sms, e.mail, ...) è impiegata dai sordi per comunicare con le persone (udenti e non) a

distanza.

Da qualche anno la Lingua dei Segni è utilizzata anche in numerose situazioni ufficiali, per

esempio: durante i convegni, all’università o nelle trasmissioni televisive (specialmente nei

TG) si nota spesso, accanto al relatore, un interprete in LIS con la funzione di tradurre

quanto viene detto. Sul territorio nazionale, non esiste un’unica forma di LIS, ma una serie

di “variazioni” (soprattutto rispetto al lessico) della lingua dei segni;; queste variazioni

dipendono dalla zona geografica nella quale si sviluppano, cioè sono condizionate dalla

cultura vigente nel luogo geografico dove la LIS è utilizzata. Alcune di queste varietà sono

utilizzate nei media e quindi sono maggiormente conosciute rispetto alle altre.

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Oggi le nuove generazioni di persone non udenti hanno una maggiore consapevolezza del

patrimonio linguistico che possiedono;; non vivono più il comunicare attraverso la lingua dei

segni come uno stigma (come avveniva fino al secolo scorso), ma sono attive nelle attività

di ricerca e di trasmissione della LIS;; alcuni producono anche poesie o testi teatrali.

E’ importante sensibilizzare la comunità degli udenti adulti rispetto alla disabilità uditiva e

soprattutto alla possibilità di comunicare con le persone sorde, imparando la lingua dei

segni, in modo da rafforzare i rapporti interrelazionali e contribuire a creare una società

accogliente, aperta, inclusiva. A questo proposito si riporta un’esperienza personale

vissuta a dicembre 2016: chi scrive ha assistito ad un concerto di canzoni natalizie

tenutosi a Tuscania da un coro parrocchiale, una banda musicale e un gruppo di allievi di

un corso LIS;; le persone che hanno assistito al concerto sono rimaste affascinate da

questa doppia modalità di interpretare dei brani natalizi molto conosciuti;; l’esecuzione in

LIS ha “sottolineato” e reso più evidente il loro significato. Alla fine del concerto è stata

offerta la possibilità agli spettatori-­uditori di provare le stesse sensazioni che le persone

non udenti provano quando ricevono input sonori: mentre la banda suonava è stato

chiesto di tenere in mano un palloncino e di sentire, attraverso di esso, le vibrazioni e

l’effetto del suono;; dai commenti ascoltati a fine concerto si comprendeva che le persone

avevano raggiunto un maggio grado di consapevolezza rispetto alla disabilità uditiva.

4.5 LIS: strategia di apprendimento

Il bambino sordo, non riuscendo a distinguere i tratti fonetici della lingua italiana orale,

costruisce le sue strutture semantiche, lessicali, morfologiche e sintattiche con elementi

incompleti;; egli deve usare gli organi percettivi, i quali però non sono nati per la

comunicazione orale. La LIS fornisce un aiuto importante per l‘apprendimento generale e

anche funzionale (almeno con una parte ristretta della società: cioè con coloro che

conoscono la lingua dei segni). Essa rappresenta l’opportunità per i bambini non udenti di

migliorare l’interazione a livello sociale, li rende capaci di esprimere non solo nozioni ma

anche il loro pensiero autonomo.

Le ricerche in questo ambito dimostrano come i bambini sordi che hanno appresso la LIS

nella prima infanzia raggiungono un profitto maggiore nell’apprendimento e nella capacità

di comunicazione (scritta e orale) rispetto ai coetanei sordi che non conoscono la lingua

dei segni e si affidano soltanto alla lettura labiale. L’apprendimento è facilitato se si

utilizzano strumenti di tipo visivo, per esempio le mappe concettuali che contribuiscono a

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visualizzare i concetti, esplicitare la relazione tra essi, a rappresentare in maniera grafica

le conoscenze.

La LIS è un importante supporto all’apprendimento delle lingua orale e scritta, non solo per

i bambini sordi ma anche per quelli udenti, come mostra un articolo di “Ischool-­il futuro

della scuola” pubblicato il 29 febbraio 2016 e scritto da Alex Corazzoli. L’articolo riporta

l’esperienza fatta da una classe della scuola primaria “Don Nicolino Merlo” a Ladispoli,

dove la presenza in classe di una bambina con impianto cocleare ha fornito l’occasione

per proporre ed insegnare la lingua dei segni (anche con l’ausilio di cartoncini

appositamente creati e appesi su una parete) agli alunni. All’iniziativa messa in atto da un

gruppo di insegnanti hanno aderito anche i genitori dei bambini, aiutandoli così ad

esercitarsi a casa.

La LIS si presenta come un importante strumento di comunicazione e inclusione sociale,

ma essa contribuisce anche allo sviluppo della capacità di lavorare in gruppo (grazie al

potenziamento dei neuroni-­specchio),facilitando l’apprendimento collaborativo sia nei

bambini sordi che nei loro coetanei udenti.

Un altro strumento importante, ai fini dell’apprendimento nei bambini non udenti, è

costituito dalla didattica multimediale, che può essere modificata “ad hoc” in base al grado

del deficit uditivo .

L’apprendimento scolastico dei bambini con disabilità uditiva è facilitato dalla presenza a

scuola e/o a casa di alcune figure professionali:

Ø L’educatore sordo, che ha una competenza LIS e anche pedagogica. Questa figura rappresenta per il bambino sordo un aiuto importante per la costruzione della sua

identità, lo sostiene nel cammino verso l’autonomia e gli trasmette la cultura;;

l’educatore sordo fornisce al bambino il modello di ciò che egli può diventare in futuro:

un uomo adulto realizzato. Egli interviene soprattutto nei primi anni di vita, lavora in

ambito scolastico e domiciliare.

Ø L’Assistente alla Comunicazione: questa figura è prevista dalla Legge 104/92 ma ancora non ha un profilo giuridico ed economico definito. Il compito principale

dell’assistente alla comunicazione è quello facilitare la comunicazione tra il bambino

non udente, i compagni di classe e i docenti;; egli collabora con l’équipe della scuola e

concorda con gli insegnanti le strategie e i percorsi più idonei. Requisiti fondamentali:

la perfetta padronanza della Lingua dei Segni Italiana e avere un titolo di studio

adeguato, inoltre egli deve frequentarela comunità dei sordi. L’Assistente alla

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Comunicazione non va confuso con l’insegnante di sostegno;; egli lavora con ragazzi/e

dai 10 ai 18 anni.

Ø L’interprete scolastico: è la persona abilitata a tradurre dalla lingua parlata alla LIs e viceversa.;; la traduzione può essere simultanea o consecutiva.

Egli non filtra o interpreta le informazioni da riportare, né interviene nella didattica;;

questa figura professionale è lo strumento attraverso il quale il bambino assimila

informazioni e concetti. In considerazione di questo suo ruolo, l’interprete deve

conoscere e comprendere la lingua e la cultura nella quale opera poiché la

trasmissione del messaggio avviene a livello non solo linguistico ma anche culturale.

In Italia si sta diffondendo questa figura professionale, cheè prevista dagli articoli 9-­

13, 16 della legge 104/92;; la normativa vigente però ancora non ne ha definito il profilo

professionale, una seppur minima regolamentazione è stata istituita dalla

Associazione Nazionale di Categoria degli Interpreti di Lingua dei Segni Italiana

(A.N.I.M.U.) che tra i requisiti professionali annovera : il titolo di studio (diploma

scuola superiore per operare fino alla scuola media inferiore-­ diploma universitario o

laurea per operare nella scuola media superiore e nelle Università);; perfetta

conoscenza e padronanza della LIS tanto da tradurre in maniera fluida le parole con i

segni e viceversa;; abilità di labiolettura, ampia cultura (in quanto la traduzione può

riferirsi ad ambiti e discipline diversificate tra loro), capacità di lavorare in équipe,

avere equilibrio emotivo e comportamentale.

Da quanto esposto si delinea in maniera chiara che la Lingua dei Segni non “uccide la

parola” (come si credeva nel XIX° sec.) né è uno mezzo che “salva” i sordi permettendo

loro di esprimersi ma “è un sofisticato strumento che permette integrazione, identità,

cultura;; vitale per i sordi, ma importante anche per gli udenti che imparandola avranno la

possibilità [...] di comprendere e apprezzare appieno una vera comunità e di rispettarne le

esigenze” (da: SegnAli di comunicazione).

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SITOGRAFIA

• Da http://www.grupposilis.it/ • https://oggiscienza.it/2016/03/07/lis-­sordita-­segni-­lingueggio/

• Da sito internet Enciclopedia TRECCANI

• www.ens.it(Ente Nazionale Sordi-­onlus)

• https:// segnalidicomunicazione.jimdo.com

• ricerca : LA L.I.S. COME STRATEGIA DI APPRENDIMENTO (diSansonna Loredana-­ Università degli Studi di Bari)

• http:// ischool.startupitalia.eu: articolo “Una bimba è non udente, e tutta la classe

impara la lingua dei segni. Succede alla “Don Merlo” di Ladispoli” – Febbraio 2016

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5. Scuola, tecnologia, attività ludica: per la realizzazione di interventi educativi. (Sara Sgamma)

5.1 Lo sviluppo del linguaggio

Nei primi anni di vita il bambino udente acquisisce naturalmente la lingua italiana, mentre il

bambino sordo apprende la lingua parlata più tardi, con difficoltà.

I bambini sordi figli di sordi che comunicano con la lingua dei segni sviluppano le stesse

fasi di acquisizione dei bambini udenti esposti alla lingua parlata, la sordità non comporta

una mancanza di abilità di linguaggio.

Tuttavia essendo il canale uditivo carente e la lingua parlata viene percepita attraverso la

vista, non possono cogliere tutti gli aspetti che viaggiano insieme ad una lingua.

La lettura è importante per avere accesso alla cultura scritta,è perciò indispensabile

continuare l’apprendimento dell’italiano, evitando l’abbandono scolastico.

Per la comprensione del testo gli aiuti possibili sono: riscrivere completamente il testo

semplificando e aggiungendo vari aiuti al testo originale.

5.2 I bambini sordi e la scuola

La didattica speciale del bambino sordo necessita di essere rivisitata sia riguardo

l'accessibilità ai contenuti scolastici, che all’ acquisizione di parametri adeguati e necessari

per ridurre le difficoltà comunicative dell'alunno sordo nella scuola di tutti.

Chi lavora con e per i soggetti sordi deve approfondire la conoscenza dei bambini che

vengono educati, dietro ai quali si celano mille storie di vita diverse, considerando che il

percorso scolastico del bambino sordo risulta influenzato dalla sua storia personale. Le

difficoltà saranno minori se vi è stata una diagnosi di sordità precoce, una protesizzazione

tempestiva, una terapia logopedica valida e continuativa e la collaborazione costante ed

intelligente dei genitori.

L’efficacia delle scelte educative dei genitori nel periodo precedente quello scolare, si

manifesta, nella capacità di comunicazione che possiede il bambino, quando è inserito

all'interno di una classe di udenti, scelta oggi fatta dalla maggioranza dei

genitori,sostenuta da una forte flessibilità da parte degli insegnanti e degli alunni stessi, in

modo da garantire un soddisfacente integrazione.

Tuttavia, la scuola di tutti non è sempre in grado di accogliere ed intervenire sui bisogni

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educativi del bambino sordo: per garantire la sua integrazione scolastica, è importante

organizzare nella classe un ambiente in cui la comunicazione avvenga in contesti

caratterizzati da pluralità di lingue e modalità comunicative (lingua verbale e scritta, lingua

dei segni, italiano segnato esatto, dattilologia e lettura labiale) e da vari strumenti

tecnologici (computer, Smart Board).

Tali strumenti e modalità comunicative possono essere realmente utilizzate all'interno del

contesto classe, anche grazie all'intervento dell'Assistente alla Comunicazione.

5.3 Figure professionali

Il ruolo delle due figure professionali di sostegno e curricolare è indicata nell'art. 13 della

L. 104/94: nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando l'obbligo per gli enti locali di

fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con

handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione

di docenti specializzati.

L'insegnante di sostegno, dunque, introdotto dalla L. 517/77, è un docente, specializzato

nella didattica speciale per l'integrazione degli alunni con disabilità certificati in base alla L.

104/92. Assume la contitolarità di cattedra della classe in cui opera e pertanto firma i

documenti di valutazione di tutti gli alunni. L'insegnante di sostegno è assegnato alla

classe e non all'alunno con disabilità, con il compito prioritario di attuare interventi

di integrazione attraverso strategie didattiche specifiche, insieme agli insegnanti

curricolari. A rigore, è superflua anche la distinzione tra docenti di sostegno e curricolari ed

è invece

sufficiente parlare di insegnanti della classe.

Vi è poi la figura professionale di assistenza di tipo educativo, cioè l'assistente

all'autonomia ed alla comunicazione, previsto dal citato articolo 13 della L. 104/94 ed

assegnato ad personam. Si tratta di un operatore che ha il compito precipuo di facilitare la

comunicazione dello studente disabile, stimolare lo sviluppo delle abilità nelle diverse

dimensioni della sua autonomia, mediare tra l'allievo con disabilità ed il gruppo classe per

potenziare le loro relazioni, supportarlo nella partecipazione alle attività, partecipando

all'azione educativa in sinergia con i docenti. I due ruoli, sia pure nelle finalità comuni e

nella collaborazione costante, sono chiaramente distinti anche se troppo spesso vengono

confusi.

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5.4 L’assistente alla comunicazione

L’Assistente alla Comunicazione è una nuova figura professionale che opera in ambito

scolastico accanto al bambino sordo ed ha il compito di facilitare la comunicazione nel

contesto di apprendimento tra i docenti (curricolari e di sostegno), gli allievi normodotati e

l’alunno sordo;; fungendo da ponte comunicativo rende accessibile a quest'ultimo i

contenuti scolastici e le informazioni che lo riguardano.

L’Assistente alla Comunicazione deve possedere conoscenze specifiche per lavorare con i

bambini sordi ed essere principalmente un educatore specializzato disponendo di una

conoscenza approfondita sia delle due lingue (verbale e dei segni) che delle due culture

(cultura sorda e cultura udente). Per il bambino sordo, egli, diviene: un modello

comunicativo relazionale, un modello linguistico, un punto di riferimento emotivo e

un mediatore comunicativo con i coetanei e gli adulti,oltre che un supporto

all’apprendimento.

L’Assistente alla Comunicazione non ha alcun compito didattico (competenza esclusiva

dei docenti curricolari e di sostegno), ma deve essere in grado di decodificare il messaggio

all'alunno sordo utilizzando la strategia comunicativa più adatta.

Utilizzando strategie di comunicazione soprattutto in base alle competenze linguistiche del

bambino sordo, l’assistente alla comunicazione spesso rappresenta, anche l’unico

modello comunicativo adeguato, con cui il soggetto si relaziona più, che con compagni

udenti e con gli insegnanti.Il suo ruolo acquista particolare rilievo se consideriamo che il 95

% dei bambini sordi nasce da genitori udenti e si trova inserito in un contesto in cui si

sente, isolato, diverso e senza modelli rischiando di cadere in preda a paure e ansie,

avendo un vissuto tutto personale ed esclusivo

L’inserimento dell’assistente alla comunicazione nel contesto scolastico, sembra essere, al

momento, l'unico passo avanti delle istituzioni nel riconoscimento al bambino sordo delle

stesse capacità di un bambino udente. Inoltre, la presenza di questa figura professionale

nella scuola, può contribuire alla diffusione e alla conoscenza della Lingua dei Segni,

l’unica vera lingua madre per i sordi. Questa possibilità rappresenta un fecondo

rinnovamento dei contenuti scolastici, che esigono di essere resi più idonei a soddisfare le

esigenze di uno studente le cui capacità non sono messe in atto e valorizzate, perché

limitate dal contesto in cui è inserito.

L’obiettivo di ogni assistente alla comunicazione deve essere quello di ridurre il limite di

comunicazione che non permette allo studente sordo di sentirsi parte integrante della vita

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di classe. Esiste il rischio che questa figura possa diventare, agli occhi del ragazzo, un

docente vero e proprio ma se si rispettano i ruoli all'interno della grande famiglia quale è

la scuola, la sinergia tra docenti e collaboratori, l’armonia tra le varie parti,il pericolo sarà

evitato

5.5 Le nuove tecnologie

La comunicazione didattica tra docenti e studenti è basata prevalentemente sulla

comunicazione verbale e per molti alunni sordi questo comporta evidenti difficoltà

nell’apprendimento. E’ utile pertanto l’utilizzo di strumenti che facilitino i processi di

apprendimento tra cui certamente, l’utilizzo delle nuove tecnologie per la didattica può

aiutare a superare o diminuire le difficoltà di apprendimento e contribuire al successo

formativo.

Le tecnologie informatiche consentono infatti semplificazioni nell’utilizzo dei

computer,tramite l’uso di immagini e di animazioni, sottotitoli ecc.

Nella didattica, i docenti possono preparare lezioni con PowerPoint o costruire ipertesti,

mentre gli alunni possono utilizzare diversi software specifici di supporto

all’apprendimento, vocabolari multimediali, editor testuali con immagini ed altro ancora.

Esistono infatti sistemi interattivi dinamici, che consentono metodologie didattiche attive e

costruttivistiche e soluzioni strategiche centrate sulla rappresentazione, come ad esempio

le mappe concettuali per lo studio. Per chi utilizza la Lingua Italiana dei Segni (LIS),

inoltre, sono disponibili dizionari italiano-­LIS.

Sono inoltre molto utili gli strumenti di uso personale, come i cavi ad induzione, collegabili

ai computer per le comunicazioni audio-­video o gli strumenti per il riconoscimento vocale,

nonché la lettura labiale ingrandita su video, che facilitano notevolmente le comunicazioni

a distanza.

Le tecnologie a supporto della didattica, dunque, sono oggi numerose e possono essere

un ottimo supporto per favorire l’autonomia e la comunicazione, nonché gli apprendimenti

e l’organizzazione dello studio.

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5.6 Il gioco

Le funzioni delle attività di gioco nell'età evolutiva nei bambini sono molteplici e

rappresentano uno dei modi privilegiati per esplorare il mondo esterno e quello delle

relazioni interpersonali, per sviluppare abilità motorie e cognitive, per sperimentare ruoli,

per realizzare la propria creatività.

E' evidente che le attività ludiche ricoprano nei bambini disabili le medesime funzioni e per

questo motivo è dannoso e fuorviante considerare il gioco con i bambini disabili

unicamente in un'ottica terapeutica, il gioco rappresenta infatti un'attività spontanea cui

tutti i bambini hanno diritto.

Giocare, come comunicare, risponde ad un bisogno intrinseco dei piccoli, non può divenire

un mero atto riabilitativo in cui non vengono prese in considerazione le dimensioni della

spontaneità e del genuino divertimento,va comunque sottolineato che in presenza di deficit

sensoriali, cognitivi o motori possa essere molto complesso per i bambini giocare nel

medesimo modo dei coetanei.

Questo ordine di problemi può essere parzialmente o del tutto risolto strutturando il setting

di gioco in modo da aggirare gli ostacoli specifici posti dalle situazioni di handicap e offrire

così ai bambini un maggiore grado di autonomia ed una più ampia libertà nel gioco.

Le strategie facilitanti possono riguardare diversi aspetti del contesto di gioco come ad

esempio:

-­ con bambini audiolesi molto piccoli si dovranno scegliere giocattoli che vibrano, si

muovono e si illuminano.

-­ con bambini più grandi si dovrà cercare di aggirare gli ostacoli di natura linguistica.

L'accorgimento principale consisterà quindi nel progettare e strutturare attività all'interno

delle quali sia previsto il ricorso a forme alternative di linguaggio (linguaggio dei segni Lis,

parole scritte etc.).

Per quanto riguarda l'utilizzo di videogiochi e di software di vario tipo occorrerà scegliere

dei prodotti che contengano istruzioni sottotitolate.

Si possono infine facilitare le attività inerenti la musica, oltre che con appositi percorsi di

musicoterapia basati su costrutti di psicomotricità, anche con dei programmi

di composizione musicale per P.C. che traducono in forma grafica le note attraverso l'uso

di diagrammi, animazioni e colori.

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SITOGRAFIA

• http://www.usp.pesarourbino.it

• http://www.rivistadidattica.com

• https://www.disabili.com

• http://www.assistentecomunicazione.it

• https://www.disabili.com

• http://www.leonardoausili.com

• http://www.ckbg2015.disu.units.it

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6. Esperienze di Musicoterapia (Teresa Peruzzi)

Non sono ancora moltissime le esperienze significative relative alla ricerca in ambito

musicoterapico nei pazienti affetti da sordità/ipoacusia.

L’esperienza sonora di un sordo diventa un’esperienza multisensoriale, sia nel bambino

che nell’adulto. Lo stimolo sonoro viene percepito dalle vie sensoriali attive e tradotto in

forma diversa da quella uditiva. Una nuova dimensione di ascolto dunque, soggettiva e

forse molto più aperta, non limitata alle sole “orecchie”…Esiste però una distinzione

nell’approccio musicoterapico verso un bambino o un adulto con deficit uditivo: nel

bambino la musicoterapia affianca la logopedia donando stimoli sonoro percettivi nuovi,

fatti di vibrazioni, di riconoscimento di fonti sonore, modulazioni di voce e ritmo. Il ritmo è

infatti un elemento interno, percepito all’interno, che può essere espresso pur non

potendolo udire. Negli adulti la prassi è diversa in quanto alcune abilità sono già state

acquisite nel tempo. L’approccio è più empatico e strutturato in forme “laboratoriali”

gruppali esplorative della dimensione sonora, sia prodotta che percepita.

A questo proposito esistono due pubblicazioni interessanti che riguardano proprio

l’approccio multisensoriale verso il mondo sonoro. Un testo è dedicato più al bambino,

l’altro è un’esplorazione nel mondo musicale di un sordo adulto. I testi sono:

-­ QUANDO LA MUSICA PARLA AL SILENZIO Autore: Carré Alain

Il testo rappresenta un vero e proprio manuale di musicoterapia per sordi, analizzandone

con precisione e scientificità tutte le componenti e le interazioni. La prima parte, “Il sordo in

tutti i suoi stati”, è un’analisi accurata della sordità secondo la prospettiva medica,

psicologica e comunicativa. La seconda, “Tra musica e linguaggio”, è invece

un’esposizione della musicalità dal punto di vista acustico, strutturale e percettivo. La terza

ed ultima parte del testo, “La musica come contributo allo sviluppo armonioso del bambino

sordo”, è, infine, il ponte di collegamento tra le prime due, il terreno di interazione

completo, in cui si definisce la disciplina e se ne espongono i fondamenti, giungendo con

consapevolezza alla presentazione delle modalità applicative.

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-­ IL PIANISTA CHE ASCOLTA CON LE DITA. APPUNTI SULL’ARTE, I LINGUAGGI, LE INTERAZIONI SENSORIALI.Autore:Paola Magi

"Il pianista che ascolta con le dita" è un viaggio nel paese delle disabilità sensoriali fatto

attraverso gli occhi di una docente di storia dell'arte. L'autrice ha annotato osservazioni e

riflessioni legando insieme, nel nodo cruciale dell'analisi dei linguaggi, mondi diversi:

dell'arte, della matematica, della logica e della letteratura da un lato, e dall'altro delle

persone ipoudenti e ipovedenti dalla nascita e dei percorsi che esse affrontano nella

formazione del linguaggio e del pensiero astratto. In appendice, la testimonianza di due fra

gli incontri più significativi: quello con Martina Gerosa, che racconta della sua esperienza

di bambina con sordità e dei "cartoncini" che l'hanno aiutata a imparare a parlare, e quello

con Daniele Gambini, compositore, musicologo e pianista sordo dalla nascita.

Esistono alcune interessanti ricerche relative al recupero del deficit uditivo: a Milano

invece si è svolta una sperimentazione su ipoacusie gravi che unisce un impianto cocleare

(chiamato orecchio bionico) con la terapia musicale che prevede l’ascolto di musica

classica (nello specifico è stato scelto Mozart per la linearità e modularità dello stile)come

“allenamento all’ascolto “per aiutare a risvegliare la memoria acustica cerebrale. Di seguito

riporto un articolo che spiega nel dettaglio la prassi:

Un impianto cocleare e una terapia musicale con musica classica di almeno due mesi è in sperimentazione a Milano. Confortanti i risultati preliminari, fra un anno la validazione scientifica della metodica

Musica di Mozart, inserita in un programma di allenamento all’ascolto, previo impianto di

un orecchio bionico: è la metodica seguita a Milano per aiutare a risvegliare la memoria

acustica cerebrale in pazienti affetti da sordità totale o parziale e favorire il recupero dei

suoni dimenticati. La tecnica, che è stata anche presentata ad un Congresso specialistico,

sarà testata per un anno per la definitiva validazione scientifica.

6.1 La Metodica E’ attuata in una struttura milanese e sperimentata in adulti che hanno perso la capacità uditiva a seguito di traumi, lesioni, malattie correlate all’invecchiamento delle cellule. «La metodica – spiega Carmelo Monaco, audioprotesista e ideatore di questa

particolare ‘musicoterapia’ – prevede un lavoro di coinvolgimento simultaneo dei sensi che

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dettagliano il suono nel cervello: la vista, con l’invito alla lettura e alla memorizzazione di

una serie di parole o frasi;; l’udito attraverso l’ascolto per brevi periodi della musica di

Mozart, privilegiata per la sua modularità (i toni hanno frequenze né troppo alte né troppo

basse), che favorisce la concentrazione mentale senza generare attimi di disagio per il

cervello come potrebbe avvenire con l’ascolto della musica di Beethoven ricca di forti e di

piani, e la voce attraverso un canto gregoriano che consente il rilassamento del cervello

dopo un esercizio impegnativo».

A trarre beneficio da questa particolare musicoterapia sono le sordità molto elevate con perdite tra i 2500 e i 20 mila hertz che possono riguardare sia frequenze acute sia suoni a basso contenuto energetico, come la lettera ‘f’, la ‘s’ o la ‘c’ spesso confuse con altre

consonanti. Tempo medio di recupero? Da un minimo di 2 mesi fino a un massimo di 6 con sedute settimanali da un’ora ciascuna. «Due mesi possono già essere sufficienti per il recupero di circa l’80% dell’udito – continua il tecnico – e il reintegro nella vita sociale». Ma la terapia, per essere efficace, richiede anche i compiti a casa: «Agli incontri

– aggiunge Monaco – i pazienti devono arrivare preparati, avendo appreso le liste di

parole e ascoltato i brani assegnati sui quali saranno testati di volta in volta».

6.2 L’impianto Cocleare La terapia, però, non potrebbe funzionare se non fosse preceduta dall’impianto cocleare, noto come orecchio bionico. «Consiste in un intervento chirurgico – spiega Francesco Ottaviani, professore ordinario e direttore della Divisione di Otorinolaringoiatria

dell’Ospedale San Giuseppe di Milano – che prevede il posizionamento di un sottile

ricevitore a disco che si fissa all'osso temporale dietro il padiglione auricolare, al di sotto

del cuoio capelluto, e di una sottilissima guida flessibile per allocare micro-­elettrodi

all’interno della coclea (parte dell’orecchio)».

Dopo un mese, a guarigione della ferita avvenuta, il processore dell'impianto viene

applicato mediante un magnete sopra la zona del ricevitore ed iniziano la progressiva attivazione dei canali di stimolazione (mappaggio) e la riabilitazione. «Quest'ultima – continua Ottaviani -­ è necessaria per apprendere la nuova modalità uditiva, utile per la

comprensione della parola». Dura diversi mesi se l'impianto è utilizzato in bambini prima

dei due anni di vita o in persone che non hanno ancora acquisito il linguaggio, ma è molto

più breve per chi già possiede la conoscenza verbale.

L’impianto cocleare rappresenta un'opzione riabilitativa sicura ed ottimale per pazienti profondamente sordi, sia bambini che adulti, le cui raffinate tecniche e strumentazioni

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hanno portato oggi fino alla possibilità di riconoscere ed utilizzare normalmente la voce e

di apprezzare la musica. Un traguardo solo fino a foco tempo fa insperato.”

6.3 Le Ricerche Sempre sul recupero del deficit uditivo molto interessante la ricerca svolta nelle province di

Verona, Trento, Brescia, Bolzano, Cremona, Como e Vicenza dove viene proposta una

ricerca su due fronti: una parte su 60 medici e operatori che lavorano con ipoacusici

sottoposti a trattamenti di musicoterapia, un’altra parte su un gruppo di 8 genitori di

bambini ipoacusici, sottoposti anche loro a sedute di musicoterapia.L’obiettivo di valutare il

riscontro dell’attivita musicoterapica nell’ambito riabilitativo psico-­comportamentale e

acustico verbale. I risultati mostrano che gli effetti riabilitativi della musicoterapiasono

ancora poco conosciuti tra i professionisti,mentre i genitori rilevano un miglioramento

dell’attenzionesonora al termine delle sedute e un’effettiva valenza

riabilitativadell’intervento sui propri figli.

Di seguito riporto l’integrale dell’articolo:

Introduzione

È noto che l’ipoacusico, avendo una menomazione della capacità di udire, presenta

difficoltà nella produzione verbale, come la modulazione della propria emissione vocale, la

percezione e produzione degli aspetti soprasegmentali del linguaggio e l’alterazione del

ritmo e della fluidità linguistica del parlato.

Diversi studi hanno dimostrato come l’uso della musica ben strutturata renda possibile il

recupero di una serie di abilità nei bambini sordi, tra cui: lo sviluppo delle capacità uditive e

del linguaggio orale;; l’utilizzo di un linguaggio più

fluido3 e lo sviluppo dei residui uditivi, stimolando il cervello con appositi suoni presentati

secondo un preciso allenamento acustico4,5;; il miglioramento dell’organizzazione del

discorso, dell’uso delle strutture sintattiche, della costruzione di frasi semplici, nonché

degli aspetti sopra-­segmentali del linguaggio e della qualità della voce.

Tuttavia, affinché ci sia un’azione positiva della musica sul soggetto ipoacusico, sono

necessari alcuni presupposti:

• che il soggetto ipoacusico portatore di protesi sia in grado di rispondere agli stimoli

musicali

e di stabilire una relazione terapeutica;;

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• che la spigliatezza con cui il soggetto ipoacusico risponde allo stimolo musicale sia

messa

in relazione con il tempo di esperienza dell’impianto8 o della protesizzazione acustica;;

• che la musica costituisca un evento gradevole, o quantomeno non negativo, nella vita

della

persona con deficit uditivo.

La proposta di un allenamento acustico consente, anche in caso di sordità profonda, di

percepire gli elementi soprasegmentali del linguaggio e di cogliere il modificarsi, all’interno

del discorso stesso, dei parametri di durata, intensità ed altezza. Questi parametri

permettono non solo di percepire la melodia del discorso, ma anche di distinguere le

parole, talvolta anche i fonemi, nonostante il deficit uditivo9. In altre parole, se un

ipoacusico è allenato alla percezione di durata, intensità ed altezza di un suono, è

agevolato nella comprensione di determinate parole, anche senza discriminare tutti i

fonemi che le compongono. Secondo Carré, l’allenamento acustico – se praticato con la

musica, purché correttamente presentata nei suoi parametri tecnici di durata, ritmo,

frequenza, intensità – è migliore rispetto all’allenamento acustico verbale.

Tale considerazione viene dedotta partendo dal presupposto che un individuo con deficit

uditivo percepisce ed analizza meglio i suoni musicali rispetto a quelli linguistici, nonché la

voce cantata rispetto alla voce parlata, dal momento che la voce cantata costituisce

un’informazione semplice, caratterizzata da una curva periodica del suono, mentre la voce

parlata è caratterizzata da una curva irregolare e aperiodica. Ne deriva che l’allenamento

acustico musicale risulta un valido aiuto al recupero delle capacità uditive in un soggetto

protesizzato in quanto:

– utilizza suoni sinusoidali più facilmente memorizzabili dal cervello;;

– utilizza una maggiore ricchezza di armoniche della frequenza fondamentale, dal

momento che siserve di un campo molto più vasto di frequenze (16-­ 18000Hz) rispetto

a quello della voce umana (400-­ 4000Hz), permettendo di stimolare le frequenze e i toni

che normalmente una persona ipoacusica percepisce in modo distorto o debole.

La musicoterapia costituisce, quindi, un ausilio riabilitativo potenzialmente assai efficace

nel favorire il recupero acustico-­verbale dell’ipoacusico;; tuttavia la conoscenza di tale

approccio non appare ancora diffusa tra gli operatori sanitari che si occupano di bambini

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affetti da sordità, così come non sono stati altrettanto indagati i beneficî percepiti dai

fruitori.

Obiettivo della presente ricerca è di esaminare le opinioni e la conoscenza sulla

musicoterapia applicata

ai deficit uditivi da parte del personale medico e sanitario che si occupa di soggetti affetti

da ipoacusia, ma anche di comprenderne l’efficacia percepita in un gruppo di genitori di

bambini sordi che hanno svolto un percorso di musicoterapia.

Materiale e metodi

Durante la primavera del 2011 sono state svolte due indagini, una rivolta a 60

professionisti (età media 41 ±11 anni, 32 femmine), coinvolti nel trattamento della sordità,

l’altra a genitori di bambini ipoacusici che hanno praticato il Laboratorio di musicoterapia

presso l’Associazione dei Genitori dei sordi bresciani, al fine di valutare il riscontro di

questa attività sui loro figli. Il campione dei professionisti è composto da 37 audioprotesisti,

7 audiometristi, 7 logopedisti, 5 medici otorinolaringoiatri, 2 medici di base, 2

psicoterapeuti che lavorano in media da 15 (± 10) anni, operanti nelle province di Brescia,

Verona, Trento, Bolzano, Cremona, Como e Vicenza in strutture ospedaliere (15) e/o in

studi sanitari (46) e/o in aziende sanitarie locali (6). Il questionario proposto ai

professionisti, oltre a raccogliere alcuni dati anagrafici quali età, sesso, professione, anni

di lavoro e contesto lavorativo, indaga

l’esistenza o meno di esperienze con pazienti sordi che abbiano usufruito di musicoterapia

e la loro opinione al riguardo, mediante una domanda aperta («Che opinione ha

dell’utilizzo della musicoterapia per persone affette da ipoacusia?»).

Il campione di genitori che hanno partecipato al secondo studio è composto da otto adulti,

a cui sono stati chiesti: sesso ed età del figlio assistito;; le patologie da cui è affetto;; l’anno

di partecipazione alle sedute di musicoterapia (I, II…);; se le sedute di musicoterapia si

svolgono in seduta individuale o di gruppo, e, nel caso vengano svolte entrambe, se il

genitore ha notato differenze dopo le sedute di gruppo rispetto a quelle individuali (con

invito a descriverle);; se il genitore è presente durante la seduta (sempre,

a volte, mai);; il numero delle sedute settimanali;; se il/la bambino/a partecipa volentieri alle

sedute;; come il bambino/ a si mostra alla fine della seduta rispetto all’inizio della stessa,

da un punto di vista comportamentale (apatico, tranquillo, vivace, iperattivo), emotivo

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(allegro, triste, divertito, annoiato, rilassato, scosso) e nel rapporto con l’ambiente

circostante (maggiore/minore attenzione ai suoni

che ode, o nessuna variazione). Sono stati quindi chiesti alcuni giudizi sull’efficacia

percepita della musicoterapia rispetto

alla riabilitazione uditivo-­comportamentale del/la bambino/a e al suo effetto sulla capacità

di interagire con l’ambiente circostante. Infine, con una domanda aperta, sono stati

indagati i cambiamenti che il genitore ha notato nel bambino/a rispetto all’inizio del

trattamento con musicoterapia.

Risultati

INDAGINE SU 60 PROFESSIONISTI COINVOLTI NEL TRATTAMENTO DELLA

SORDITÀ

Dall’indagine è emerso che il 42% degli intervistati non ha avuto modo di trattare soggetti

ipoacusici praticanti attività di musicoterapia e quindi di non poter esprimere un’opinione a

riguardo. Il restante 58% degli intervistati, proveniente prevalentemente da Brescia, ha

invece espresso un giudizio, dal momento che in tale sede è attivo un Laboratorio

specializzato in musicoterapia nell’intervento sull’ipoacusico. Inoltre, tra coloro che hanno

espresso giudizi riguardo l’attività di musicoterapia, solo il 27% ha personalmente avuto

modo di trattare ipoacusici che hanno seguito tale attività. Per la maggior parte del

campione, ad esclusione degli audiometristi, il principale vantaggio ricavato dall’attività di

musicoterapia è relativo a un beneficio psicologico. Rimangono, invece, in secondo piano

gli effetti più prettamente legati all’intervento sulla distinzione e discriminazione dei suoni

nonché sul linguaggio e sulla prosodia. La percentuale di professionisti che riconosce in

una stimolazione musicale appropriata un beneficio alla memoria uditiva e all’attenzione

nei confronti dell’ambiente

circostante, è ancora più bassa. Ciononostante, non è emersa una chiusura nei confronti

di questa attività. Anche chi non ha mai trattato soggetti ipoacusici praticanti questo tipo di

intervento, si è mostrato ben disposto a conoscerne gli effetti, al fine di intraprendere il

percorso riabilitativo più completo e idoneo per il soggetto con deficit uditivo,

parallelamente agli interventi

tradizionali di logopedia e di applicazione protesica. Di seguito sono riportati alcuni dei

giudizi liberamente

formulati dai partecipanti allo studio:

– applicazione utile per stimolare l’ascolto;;

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– buona tecnica riabilitativa, utile per l’approfondimento del linguaggio e dei suoni;;

– attività complementare utile a potenziare aree critiche dell’ipoacusico come la

percezione

del ritmo, della prosodia e della percezione uditiva (discriminazione del suono).

Ha influssi positivi sul linguaggio e la voce. Attività motivante e gratificante;;

– attività utile anche se poco conosciuta per stimolare determinate frequenze di solito non

sollecitate;;

– ausilio da sottoporre all’attenzione dell’ambiente medico: dovrebbe essere più diffusa

l’informazione a proposito;;

– da coordinare con altre terapie, permette una maggiore discriminazione del suono e

maggiore sviluppo della memoria uditiva;;

– genera benessere psicofisico necessario per accettare la protesi acustica;;

– influenza l’attenzione e favorisce lo sviluppo dei canali percettivi alternativi

dell’ipoacusico;;

– favorisce un maggior contatto con l’ambiente esterno;;

– migliora l’elaborazione dei suoni, migliora la percezione dell’ambiente, aumenta la soglia

dell’attenzione, permette l’acquisizione del controllo dei suoni e della voce parlata e

cantata;;

– migliora l’attenzione e i rapporti di relazione con gli altri;;

– dovrebbe essere presente in ogni Centro che si occupa di ipoacusici;;

– valido ausilio se svolta con costanza. Influenza la psicologia della persona e velocizza la

percezione dei suoni stimolando la memoria uditiva.

INDAGINE SUI GENITORI DI BAMBINI AUDIOLESICHE USUFRUISCONO DI

MUSICOTERAPIA

I bambini in trattamento presentavano tutti ipoacusia, più o meno marcata. Alcuni di essi

avevano comorbilità con patologie neurologiche e fono-­articolatorie. Il campione analizzato

ha frequentato le sedute di musicoterapia con periodicità di almeno una volta a settimana

per un anno. Nella metà dei casi il genitore è stato presente saltuariamente alla terapia, in

tre casi lo è stato sempre, in un solo caso mai. Questo in funzione delle capacità e delle

esigenze del bambino stesso. Nella totalità dei casi, indipendentemente dalla patologia del

figlio, dagli anni di partecipazione alle sedute, dall’età dei bambini, i genitori hanno

affermato che i loro figli hanno partecipato volentieri all’attività di musicoterapia.

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Ogni genitore ha potuto dare più di una risposta riguardo il tipo di comportamento assunto

dal proprio figlio.

In sei casi su otto, i genitori dei bambini ipoacusici hanno percepito, al termine della

seduta, una maggiore

attenzione da parte del figlio nei confronti dei suoni del mondo circostante. Negli altri due

casi non è stata riportata

alcuna variazione significativa. Infine, i genitori di tutti i bambini intervistati hanno affermato

di ritenere la musicoterapia un valido aiuto da utilizzare, allo scopo di coadiuvare la

riabilitazione uditivo-­comportamentale e di migliorare l’interazione del bambino con

l’ambiente.

Discussione

L’analisi dei risultati estratti dai questionaripresentati ai professionisti attivi nell’ambito

dell’ipoacusia,ha evidenziato che gli effetti della musicoterapiasono ancora poco

conosciuti e che lamaggior parte delle conoscenze è ancora strettamentelegata più

all’intervento psicologico e comportamentale,che alla valenza riabilitativa. I vantaggi ottenuti dall’utilizzo dell’allenamento acustico praticato attraverso la musica, tra i

quali: aiutare l’ipoacusico a sviluppare il senso del ritmo della macro e della micro motilità,

utilizzare il suono nella comunicazione, migliorare la qualità della propria emissione vocale

e stimolare determinate frequenze al fine di velocizzare e migliorare l’adattamento

protesico, sono ancora poco conosciuti dalla maggior parte dei professionisti sanitari che

operano nel campo dell’ipoacusia. Ciò può essere in parte dovuto alla diffusa convinzione

che la musicoterapia, proprio per l’etimologia del termine, abbia come finalità il

miglioramento del benessere generale e non tanto quello di competenze specifiche quali

la stimolazione della fono-­articolazione e l’arricchimento dell’allenamento acustico

tradizionale.

Ciononostante, l’atteggiamento nei confronti della musicoterapia sta cambiando. Alcuni

professionisti hanno mostrato consapevolezza del fatto che essa, se strutturata come

allenamento acustico musicale, è in grado di dare beneficî alla percezione, alla

discriminazione e al riconoscimento dei suoni.

Molti degli operatori hanno inoltre dichiarato di voler accrescere la loro conoscenza di

questa pratica al fine di individuare il più completo intervento riabilitativo per il soggetto

ipoacusico, in particolare pre-­verbale, in modo tale da garantire un migliore inserimento

sociale. A dimostrazione del fatto che la musicoterapia, se praticata da persone

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opportunamente formate in tale ambito, induce alcuni beneficî agli interventitradizionali

riabilitativi, sono da tenere presenti le opinioni raccolte dai genitori dei bambini ipoacusici,

frequentanti il laboratorio di musicoterapia. Il 75% degli intervistati ha affermato di aver

notato un miglioramento dell’attenzione sonora al termine delle sedute, mentre il 100% ha

ammesso di ritenere la musicoterapia un valido aiuto, da coordinare agli altri interventi

riabilitativi.

Il numero di casi da noi analizzato è esiguo;; sarebbe interessante indagare se tali

percentuali sarebbero confermate da indagini condotte su più ampia scala.

L’ultimo interessante articolo che riguarda la relazione corpo-­mente-­suono nei soggetti

sordi è stato scritto da Giulia trovesi Cremaschi, musicista, musicoterapeuta, co-­fondatrice

della Musicoterapia Umanistica, presidente e fondatrice dell’Associazione Pedagogia

Musicale e Musicoterapia «Giulia Cremaschi Trovesi», presidente della Federazione

Italiana Musicoterapeuti. È fondatrice, con Simona Colpani, della modalità terapeutica

«Relazione Circolare», utilizzata nella riabilitazione delle patologie anche molto gravi

(autismo) e nei casi di plurihandicap (lesioni cerebrali,sordocecità, esiti da nascita

gravemente prematura, sindromi particolari).

Autore: Cremaschi Trovesi Giulia Art. 1° -­ Articolo pubblicato dalla rivista "I Care" Che cosa accade se un musicista accosta una persona sorda alla musica? Quello che

accade dipende dalla relazione che si genera fra il musicista e la persona sorda. La

relazione, il tramite che unisce le due persone è la musica che viene suonata. Non si

tratta di esecuzione: le frasi musicali che il musicista crea (improvvisazione clinica)

sono il linguaggio che intesse la rete comunicativa. Lo strumento musicale deve avere

determinate caratteristiche: una gamma di registri sonori ampia che consente il gioco

musicale ritmico-­melodico-­armonico, ricchezza di suoni armonici. Tutto questo avviene

attraverso uno strumento dotato di una grande cassa armonica.

Il principio acustico della cassa armonica, presente in tutti gli strumenti musicali

(esclusi quelli elettronici che ottengono l’amplificazione attraverso la corrente elettrica)

da dove nasce? Dalla messa a punto di quello sto proponendo per far nascere l’ascolto

in una persona sorda. Il nostro corpo è una rete di trasmissioni (i nostro tessuti) e casse

armoniche. L’aria che inspiriamo si trasforma in voce nell’espirazione, passando

attraverso la laringe tesa e risuonando nelle casse armoniche del nostro corpo, dette

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cavità risonanti. Il corpo di una persona sorda è fatto come il corpo di ogni essere

umano. All’interno della coclea ci sono zone di cellule cigliate che non entrano nel gioco

della risonanza (la sordità). Tutto ciò che chiamiamo ascolto ed il formarsi della voce

dipendono dal fenomeno acustico-­meccanico della risonanza. Tutti gli strumenti

musicali acustici sono costruiti seguendo le regole acustiche sulla risonanza.

Nelle percussioni, strumenti ritmici per eccellenza, le casse di risonanza sono i corpi

(ancor oggi copia fedele di tronchi d’albero scavati) sui quali sono fissate pelli, regoli (le

sbarre sonore di marimba, xilofoni, metallofoni, ecc…), scatole sonore in legno o altro

materiale ecc…

Negli strumenti a fiato i tubi sonori sono il corpo degli strumenti stessi. Il modo di

produrre le sonorità dipende dall’imboccatura degli strumenti (bocchino, becco, ancia

ecc…), dalla pressione del fiato, dalla pressioni vibrante delle labbra. All’interno dei tubi

sonori si formano vortici d’aria (nodi e ventri) che chiamiamo suoni. I tubi sonori,

escluso

il flauto traverso, sono aperti dai due lati.

Negli strumenti a corda le casse di risonanza sono il corpo degli strumenti. Guardiamo

ad una chitarra, agli archi, all’arpa e vediamo, tocchiamo, siamo toccati da casse

armoniche le cui dimensioni sono in proporzione con la lunghezza delle corde. Nel caso

degli archi siamo di fronte ad una famiglia di strumenti.

Gli organi, risalenti a strumenti antichissimi già presenti presso gli egizi, sono una

combinazione degli strumenti a fiato e a percussione (le dita percuotono i tasti). E’

interessante osservare che gli antichissimi organi idraulici sono fra i primi esempi di

tecnologia idraulica applicata dall’uomo. L’impianto idraulico serviva per far entrare

l’aria nel mantice. I tasti aprono il condotto dell’aria che, soffiando dentro alle canne, si

trasforma in suono. Le canne dell’organo sono tubi a fondo chiuso. Il funzionamento

dell’organo, con le canne a fondo chiuso, richiama la struttura dei polmoni (la fonte da

cui l’aria inspirata viene espulsa), della laringe (il luogo vibrante), il cavo orale (dove la

voce si espande), le cavità risonanti (gravi, medie, acute) dove la voce di modula e

arricchisce di timbro.

All’interno dei pianoforti a coda ritroviamo l’arpa (il telaio in ghisa che sopporta la forza

tensiva delle corde, pari ad una tonnellata), posta all’interno della cassa armonica

sorretta da grosse travi che partecipano ai giochi della risonanza. Sotto alle corde di un

pianoforte a coda sono posti i martelletti che picchiano contro alle corde non appena il

pianista percuote i tasti con le dita. Nel momento in cui il pianista toglie le dita da un

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tasto gli smorzatori bloccano i moti vibratori delle corde. Il pianoforte, strumento in

grado di suonare forte e piano (il suo primo nome agli inizi del settecento di fortepiano),

racchiude caratteristiche di altri strumenti. E’ strumento a percussione (ritmico), e a

corda (melodico e armonico).

Il musicista che accosta una persona sorda alla cassa armonica del pianoforte,

conosce i fondamenti della fisica acustica oltre che quelli del comporre musica. Per

agire in modo adeguato il musicista sa utilizzare il pianoforte in modo creativo. Il

pianista osserva le espressioni del viso, la postura della persona sorda, prova a

suonare un accordo, esegue lo stesso accordo o un altro rinforzando con un’ottava nel

basso, ancora un altro accordo… con la mano sinistra continua a suonare accordi in

registro medio – grave, con la mano destra crea una melodia (ritmo-­melodia), con lo

sguardo osserva le espressioni del viso, i gesti, la postura della persona sorda…. Gli

elementi in gioco aumentano. Fra la persona sorda ed il pianista si sta creando un

gioco relazionale strettamente legato alla particolarità della situazione. A contatto con la

cassa armonica del pianoforte, la persona sorda è investita, coinvolta, compenetrata

dalle onde sonore (la risonanza corporea). Le onde sonore continuano a cambiare. Il

pianista non suona nello stesso modo. Il pianista si accorge delle emozioni della

persona sorda e crea, compone musica, genera contrasti sonori, gioca con ritmi diversi.

Il pianista sta parlando alla persona sorda con i suoni, con gli accordi, i ritmi, le melodie.

Suoni, accordi, ritmi, melodie sono una cosa sola. Quello che accade dentro alla

persona sorda come viene valutato dalle persone udenti? Per il momento non ha

importanza. Ciò che importa è la persona sorda. Ogni persona reagisce in modo

personale. Ne consegue che il musicista suona in modo diverso per ogni persona.

Che cosa ho sperimentato quando, per la prima volta, sono stata invitata ad accogliere,

in un piccolissimo gruppo di bambini di due anni, un bambino sordo? Il bambino sordo

si è interessato a quello che accadeva e mi ha guidato verso la scoperta di quello che

credevo di conoscere. Può accadere che anche il lettore pensi: “Certo, il sordo sente le

vibrazioni!”. Anche noi sentiamo le vibrazioni, i nostri corpi convibrano con l’ambiente in

ogni istante della nostra vita. Un modo di pensare tramandato da secoli ci ha convinto

che la ricezione dei suoni riguarda soltanto le orecchie. Proviamo a domandarci: “Che

cosa vuol dire vibrazioni?” La fisica acustica conferma che il suono è sempre dato da

vibrazioni. L’essere umano (non soltanto l’orecchio umano) percepisce da Hz 16 fino a

Hz 16.000-­20.000. Una buona parte delle persone probabilmente non percepisce gli Hz

20.000 e vive benissimo. Pitagora (Samo 575 ca. -­ Metaponto 490 ca. a.C.), filosofo,

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matematico, musicista, non lasciò nulla di scritto. I suoi studi sono giunti fino a noi

attraverso gli scritti di Aristosseno di Taranto. Pitagora si accorse che una corda tesa,

posta in vibrazione (ossia pizzicata), entra in vibrazione con movimenti complessi. Il

numero dei moti vibratori si moltiplica nel momento stesso in cui la corda incomincia a

vibrare. Le onde sonore che si propagano nell’aria, coinvolgono tutto quello che

incontrano.

“Proviamo a immaginare che dentro a un contrabbasso si possa inserire un violoncello;;

dentro al violoncello una viola;; dentro alla viola un violino. Avremmo così, come in un

gioco di scatole cinesi, uno strumento dentro all’altro. Dallo stesso strumento, visibile

all’esterno, potremmo ottenere le prestazioni di quattro strumenti. Passando l’archetto

sulle corde del contrabbasso, per simpatia (la Risonanza), convivrebbero le corde del

violoncello, della viola, del violino. Le casse di risonanza, comprese una dentro l’altra,

amplificano il gioco dei suoni armonici secondo precise proporzioni. A ogni suono

fondamentale che vibra corrispondono le armoniche, nelle giuste proporzioni, fra la

lunghezza delle corde e i volumi delle casse armoniche. Così accade per il nostro

corpo” (G. Cremaschi Trovesi “Il corpo vibrante” ed. scien. Ma.Gi, Roma 2000).

La fisica acustica è alla base dei fondamenti teorici della musicoterapia umanistica.

Soltanto attraverso le leggi dell’acustica sono spiegabili i comportamenti dei sordi a

contatto diretto con la musica, con strumenti musicali acustici [1]. I comportamenti dei

sordi sono i nostri comportamenti. Senza la musica non sarebbe mai sorta la danza.

Senza i suonatori non si danza nelle piazze;; senza l’orchestra che suona non avremmo

il balletto nei teatri;; senza gli amplificatori non si scatenerebbero i giovani nelle loro

vorticose contorsioni ed evoluzioni. Tutto è così ovvio che è finito per essere trascurato,

quasi dimenticato. Basta che ci domandiamo sul perché delle dimensioni degli

strumenti musicali per avere delle risposte. Cerchiamo le risposte attraverso noi stessi,

il nostro essere persone. La parola persona, di origine, latina indica “per – sonare”

ossia suonare attraverso se stesso. Dalla parola persona deriva il termine personaggio.

Prendiamo in mano una chitarra. Basta fare scorrere le dita della mano destra sulle

corde per avvertire i moti vibratori nel braccio sinistro, nel corpo. Proviamo con un

violoncello, con un contrabbasso. I corpi degli strumenti sono grandi, rispondono alle

regole sulla risonanza, al rapporto: qualità delle frequenze – volume corporeo. In altre

parole questo ci dice che una corda lunga per risuonare, ossia per essere udibile, deve

essere disposta sopra ad una cassa armonica grande;; una corda piccola deve essere

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posta su una cassa armonica piccola. Sono proporzioni matematiche. Sono le regole

già note a Pitagora, al mondo antico. Poniamoci in ascolto di noi stessi. Pitagora ha

capito e teorizzato, attraverso i suoi discepoli, che una corda tesa produce moti vibratori

complessi, multipli del fondamentale. La ricezione di un solo suono, dato, nella

contemporaneità, da fondamentale e armonici, è complessa come è complesso il suono

stesso. Una sonorità grave comprende le sonorità acute (v. l’esempio degli strumenti

arco virtualmente compresi uno dentro all’altro).

I suoni puri In audiometria, nelle camere silenti, si utilizzano le frequenze pure, o suoni puri. In

natura non esistono i suoni puri. Entriamo, a questo punto, nella parte umana di questa

trattazione. Che cosa significa per ogni essere umano, ricevere dei suoni, dei timbri

sonori? Ogni timbro sonoro, sia esso suono (la voce di qualcuno) o rumore, è la

testimonianza della vita del mondo del quale tutti noi facciamo parte. Ogni timbro

sonoro può essere fonte di conferma alla realtà, allarme o altro. Ogni timbro sonoro è

caratterizzato dai suoi armonici. Senza suoni armonici otteniamo un suono puro che, in

natura non può esistere, perché ogni suono, verso, rumore è caratterizzato dal suo

timbro. Perché si utilizzano i suoni puri in audiometria? Perché il tecnico ha bisogno di

avere risposte sicure. Come rispondono i bambini di fronte a sonorità che non esistono

in natura?

Entriamo così nel mondo della musicoterapia umanistica: prendersi cura del mondo

affettivo, emozionale del bambino. Ogni timbro sonoro è fonte di emozioni. Un suono

sconosciuto quali emozioni può generare? Da più di trent’anni ormai è un dato di fatto

che le risposte dei bambini sordi ai suoni degli strumenti musicali sono diverse dalle

risposte in audiometria. Il gioco relazionale condiviso crea un tipo di partecipazione ed

attenzione diverso dal quello che si genera in un laboratorio.

6.4 Corpo – Mente o corpomente?

Accostare una persona sorda ai suoni, alla musica, ponendola a contatto diretto con la

cassa armonica di un pianoforte a coda, significa aver imparato ad apprezzare l’ascolto

come qualcosa di complesso, molto complesso. Guardiamo un contrabbasso, la sua

cassa armonica, il corpo del contrabbassista, in piedi con l’archetto in mano e

domandiamoci se quelle sonorità così ampie e gravi possono passare soltanto

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dall’orecchio. Prendiamo fra le mani un timpano [2] per domandarci perché si chiama

timpano, esattamente come il nostro timpano, la membrana tesa che si trova fra il

condotto uditivo esterno e l’orecchio medio. Invece che picchiare sul timpano, lasciamo

le mani con i polpastrelli appoggiati alla membrana e mettiamoci a parlare. Sentiremo le

nostre voci scorrere sotto ai polpastrelli delle dita. Non si tratta del solito: “sentire le

vibrazioni”, si tratta del fenomeno della risonanza, delle precise proporzioni fra il

numero dei moti vibratori al minuto secondo (frequenza) e il volume di un corpo. Il

nostro orecchio è specializzato a distinguere le formanti armoniche delle voci. La pelle

delle dita ricevono i fondamentali dalla pelle del timpano. Il suono è fondamentale e

armoni insieme. Produzione e ricezione dei suoni implica un parallelo di proporzioni fra i

moti vibratori (fondamentali e armonici) e le cavità risonanti che ricevono (corpo e

apparato uditivo). Nel mio ultimo libro “Leggere, scrivere, far di conto [3]” riporto

l’esempio di una giovane donna sordocieca dalla nascita. Questa persona parla

correttamente e conduce una vita di studio come i suoi coetanei. Ha imparato a parlare

tenendo, fin dalla nascita, tenendo le dita appoggiate al collo della mamma e del papà.

“I polpastrelli di questa bambina sono membrane timpaniche poste sulle dita. In effetti la membrana del timpano è pelle così come i polpastrelli delle dita sono pelle.

Che cosa ne sappiamo noi della sensibilità della pelle di un neonato, di un lattante, di

una creatura che scopre la vita attraverso il vibrare del corpo materno? I testi ci dicono

che un cucciolo di mammifero se non è sottoposto alle leccate della madre, muore. Le

leccate sono degli stimolatori del sistema nervoso centrale. Nella nostra cultura i

bambini vengono lavati, accarezzati, massaggiati;; il loro sistema nervoso viene

sollecitato in questo modo. Le madri, mentre riempiono di cure il figlio, non pensano

certo al suo sistema nervoso, amano il figlio e basta. L’amore è fatto di gesti, di

carezze, di bagnetti e pomate, di voce che racconta, canta, culla, di momenti di ansia,

preoccupazione, perfino paura di sbagliare ecc… Sono esperienze segnate nella storia

di ciascuno di noi in modo così radicato e profondo da essere sottoposte all’oblio, alla

dimenticanza. Nelle conferenze, nei libri si parla del bambino come di un oggetto che

cresce secondo le tappe dello sviluppo. Il linguaggio è un altro oggetto di studio, uno fra

i tanti canali della comunicazione.

Quando ci interessiamo alle tappe di sviluppo, al numero dei fonemi, al numero delle

parole, in realtà di che cosa ci stiamo interessando?

Parliamo di noi stessi, delle nostre esperienze compiute attraverso emozioni che ci

hanno fatto accogliere, gradire, diffidare, criticare, rifiutare eventi della vita. Anche le

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nostre dita avrebbero potuto rimanere sensibili alle onde vibratorie, alle formanti del

linguaggio materno;; non abbiamo conservato queste doti perché le nostre membrane

timpaniche hanno svolto il loro lavoro compartecipando al convribrare di tutto il corpo.

I polpastrelli delle dita di questa bambina sono i suoi occhi. Come hanno fatto i genitori ad ascoltare questa figlia, a non soccombere sotto il peso di

“sordocieca?”?

La ragazza ha conservato nelle sue dita la sensibilità primitiva che unisce la mani con

la bocca. Il lattante succhia il latte muovendo la bocca nel suo interno mentre le piccole

mani e le dita sperimentano il calore del seno. Bocca e mani procedono insieme. Le

dita di Federica hanno conservato e potenziato sensibilità originaria facendo vibrare il

corpo della figlia attraverso quello della madre. Il corpo materno ha continuato ad

accogliere e contenere il corpo della figlia attraverso il vibrare della voce materna. La

risonanza originaria della prima orchestra ha continuato a convibrare attraverso le dita

della bambina. Il convibrare originario è diventato il farsi della voce della bambina. Il

vocalizzo si è fatto lallazione, parola attraverso il gioco scambievole del dialogo. La

voce della bambina si è unita alla voce della mamma. Le dita e la bocca hanno giocato

con il cibo e con la voce, con la scoperta sempre più ampia del mondo. Conoscere il

mondo attraverso le dita (la ragazza è cieca);; dare il nome ad ogni cosa presente nel

mondo, ai gesti, alle persone attraverso dita (la ragazza è sorda). Le dita sono gli occhi.

Le dita sono i timpani. Le dita sono l’apertura verso il mondo della lettura e della

scrittura, verso la conoscenza,

verso la cultura.

Questa ragazza è un’occasione per pensare, per crescere, per guardarsi le mani e

chiedersi:

“A che cosa mi sono servite? A che cosa mi servono? Che cosa me ne faccio delle mie

mani?”

Questa esperienza non ha bisogno di commenti. A conferma riporto il testo di una

lettera che ho ricevuto recentemente, dopo la conclusione di un convegno svoltosi

recentemente

nella mia città:

“…...Ora ho 21 anni e sono venuta a fare musicoterapia da lei quando ne avevo 5 o 6 Il

papà aveva interrotto gli incontri di musicoterapia perché non condivideva i nostri criteri

terapeutici. La bambina, colpita dalla sindrome di Husher, era vivacissima, ricchissima

di idee [4]. All’epoca ero ipovedente, ma dai 10 anni circa sono diventata cieca totale.

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Prima di tutto, desidero ringraziarla di cuore per quello che è riuscita a fare per me.

Di quel periodo della mia infanzia ho un ricordo piacevolissimo, in particolare mi sono

rimasti impressi tutti quei giochi di suoni e di colori, di ritmi e filastrocche (ricordo

qualcosa che aveva a che fare con una palla rossa), e tante altre esperienze

entusiasmanti e per me sorprendenti. Insomma lei mi ha fatto scoprire un nuovo mondo

(fuori ma soprattutto dentro di me) e un nuovo linguaggio che ha stimolato in me una

spiccata sensibilità musicale e, più tardi, la capacità di esprimermi anche con la musica.

Probabilmente se i miei non mi avessero fatto fare questa esperienza con lei, io non

avrei mai saputo di possedere una certa predisposizione verso lo studio della musica,

in particolare lo studio del pianoforte. In questo momento sto preparando l’esame di

armonia e quello di ottavo.

Ora frequento l’ultimo anno dell’istituto superiore per i Servizi Sociali.

E appunto ieri, venerdì 16 novembre, assieme alla mia classe quinta, ero presente al

convegno dove lei ha parlato, durante la mattinata, del suo affascinante lavoro e di

questo strumento "magico" che è la musica, un altro modo per comunicare e per

approcciarsi al mondo reale… Vorrei poi ringraziare altrettanto cordialmente Simona [5],

di cui ricordo gli abbracci e gli esercizi sul quel suo enorme pianoforte (almeno per

me!). Grazie a voi, che nel vostro metodo curavate anche l’aspetto motorio, ho potuto

esplorare, accanto al linguaggio della musica e della parola, anche la percezione fisica

dello spazio che mi circondava, permettendomi di esprimermi e di comunicare anche

attraverso il movimento, magari a tempo di musica”.

Si parla di musica senza conoscere il suono.

Si parla di linguaggio verbale dimenticando che le vocali sono suoni, che le consonanti

sono rumori o, al colmo dell’incredibile, sono silenzi.

A questo punto è arduo entrare nel tema musica-­sordità perché:

i suoni formano le parole;;

le parole non spiegano i suoni.

Nel 1838 il prete veronese che riusciva a far cantare i sordi di nascita, Antonio Provolo,

scrisse: “Quando avrete fatto le grasse risate potrete dare udienza…“. Carol & Clive

Robbins, nella loro dispensa Music for Hearing Impaired (Magnamusic-­Bato 1980), con

il fisico A. Boothroyd introducono con queste parole: “Musica per bambini sordi? E’

ridicolo!”.

Al musicista che conduce una persona sorda a contatto diretto con la cassa armonica

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di un pianoforte, è richiesto di imparare a leggere un nuovo tipo di partitura: la partitura

vivente. La musicoterapia introduce questa novità. Ciascuno di noi è una partitura

vivente, come scrisse Edith Stein [6]nei suoi studi sull’empatia. Il pianista riesce a farsi

ascoltare dalla persona sorda se riesce a rivolgersi a lui attraverso le frasi musicali che

crea suonando.

Suonare ascoltando / Ascoltare suonando

I sordi sono fortemente attratti dai suoni. Per quanto possa apparire strano i sordi

insegnano in che cosa consiste l’ascolto. La consuetudine nelle verifiche audiometriche

con le persone sorde (in particolare con i bambini) consiste nel verificare se “sente o

non sente”. Questa consuetudine ne nasconde altre. Per esempio i sordi insegnano che

non è vero che noi sentiamo soltanto con le orecchie. Da secoli queste informazioni

sono diventate delle convinzioni. In effetti queste convinzioni sono pregiudizi. Siamo di

fronte a qualcosa di molto grande, più grande di noi. Quando una persona, uno

specialista, è convinta di qualcosa (per es: il sordo sente le vibrazioni), non è disposta

al dialogo, non vuole mettersi in discussione. Figuriamoci se accoglie gli argomenti di

chi spiega accostando le dita alla tastiera di un pianoforte o prendendo in mano un

flauto dolce. I problemi veri nella relazione musica-­sordità sono questi. Un bambino

sordo è pronto a fare tutto. I suoi genitori sono pronti a credere in lui? Il lavoro

terapeutico, graduale, progressivo, attento è rivolto verso i genitori perché imparino ad

ascoltare i suoni attraverso la sordità del figlio. Per questo motivo ho dato spazio alle

parole di due ragazze sordocieche. Ogni percepire è un evento soggettivo legato alle

caratteristiche di ogni persona, al momento, alla relazione che si stabilisce fra le

persone. Il mondo della musicoterapia è il mondo delle emozioni. Il mondo della

comunicazione è il mondo delle emozioni. Da molti anni si rinnovano in me le stesse

domande. Come mai i bambini sordi (non solo i bambini), amano e cercano i suoni?

Come mai, in altri contesti, si comportano da sordi? Potrò mai apprezzare il nascere

dell’ascolto in una persona sorda se, a priori, so già che non può ascoltare perché è

sordo? La risonanza corporea è un dato di fatto reale che vale per tutti noi.

“L’ascolto spontaneo” Testo di Daniele Gambini [7]

Facendomi coricare sul pianoforte a coda mentre lei suonava ho cominciato recuperare

quella dimensione corporea che avevo dimenticato da quando avevo messo le protesi

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acustiche [8]. Sto scoprendo un modo di ascoltare molto bello, quello del “corpo

vibrante” come lo definisce Giulia.

La conoscenza del mio corpo per suonare ascoltando meglio, l’unità delle parti che

formano il mio essere, la consapevolezza di come rispondo al mondo circostante

formano la mia più che rara, unica persona! Più vado avanti e più mi rendo conto di

come il mio corpo è una continua scoperta di risorse e di emozioni.

Per certi versi il mio corpo sente meglio senza protesi acustiche.

Sto suonando il quinto preludio del primo libro del clavicembalo ben temperato di Bach.

Se lo suono senza apparecchi odo tutti i miei movimenti corporei, odo il convibrare

armonioso dei miei gesti con la musica. L’ascolto di se stessi comporta un controllo che

porta ad un piacere di sensi completi sia nel corpo che nella mente.

La mia sete di suoni e di corporeità non fa altro che aumentare per l’armonia che si

ricava.

Il contatto fisico mano-­tastiera mi consente di essere un tutt’uno con i suoni, di essere

attraversato da essi stessi.

Quando sono arrabbiato non c’è musica che tenga, è come se non sentissi niente, il

disagio si manifesta anche nel corpo, soprattutto nel diaframma.

La scoperta dei piedi come ascolto della propria stabilità corporea dona sicurezza

psicologica e padronanza di sé, mentre nel suonare i piedi sono un banco di prova per

ascoltare senza protesi attraverso la vibrazione della materia dello strumento (anche se

dipende molto dall’ambiente in cui è situato il pianoforte e dalla qualità del legno della

cassa di risonanza).

La mia voce si sta aprendo sempre di più verso il grave, sto cambiando impostazione di

timbro.

Il recupero della percezione corporea attraverso la musica è una continua scoperta,

perché il suono è sempre nuovo.

Io ascolto anche così e dall’ascolto ho un apprezzamento di me stesso perché tutto

parte dall’interno di me”.

6.5 I fondamenti teorici Quanto ho esposto finora chiarisce in che cosa consiste l’agire in musicoterapia con

persone sorde. Attraverso la risonanza corporea i bambini sordi si accorgono di

qualcosa che investe il loro corpo. Non posso parlare di Risonanza Corporea

staccandola dall’Improvvisazione Clinica al pianoforte. I due eventi vanno insieme. Una

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persona può anche stendersi sopra alla cassa armonica del pianoforte e non accorgersi

di quello che accade dentro di lei, semplicemente perché il pianista non le sta parlando,

sta soltanto suonando ed eseguendo qualcosa. Quante volte, nei film americani,

abbiamo visto le attrici (a partire da Marylin Monroe), cantare seduti sul pianoforte e

non accorgersi della risonanza? Per smuovere l’ascolto da “dentro” il musicoterapeuta

suona osservando, scrutando leggendo la Partitura Vivente che ha davanti a sé.

In contemporaneità abbiamo:

Risonanza Corporea

Improvvisazione clinica

Partitura Vivente

Questo non basta se non si arriva ad un “perché”.

Perché le persone sorde sono così attratte dai suoni? La risposta è la stessa che

riguarda tutti noi. Perché il mondo dei suoni è il mondo dal quale proveniamo tutti. Il

grembo materno è la Prima Orchestra che ha suonato ininterrottamente per tutti i mesi

della gestazione. Prima Orchestra porta con sé il valore dell’evocazione, della

provocazione (chiamare in favore di …), del ricordo, della Memoria Originaria. Le

persone sorde ritrovano un mondo conosciuto, una memoria intessuta nel corpo dal

momento del concepimento fino alla nascita. Il silenzio è venuto più tardi. Facciamo

convibrare nuovamente il Corpo Vibrante e vedremo le persone incominciare ad

accorgersi di un mondo che credevano perduto. Percepire indica “prendere attraverso”

(per capio). Questo prendere attraverso se stesso riguarda tutti noi. Come dice Deepak

Chopra, nel libro “Guarirsi da dentro” (Sperling Paperback 1997): “Il corpo è la casa

della memoria”.

Note [1] Le casse armoniche che riproducono musica registrata e gli strumenti musicali

elettronici, pur vibrando, non sono la fonte diretta delle onde sonore. Ciò che conta è la

fonte sonora, il suono vero, dal vivo, i moti vibratori che coinvolgono il corpo, passano

sotto alle dita.

[2] si tratta di grossi tamburi che possono essere intonati. I timpani sono per lo più

presenti nelle orchestre sinfoniche.

[3] Armandoeditore, Roma 2007

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[4] Il papà non sopportava che noi valorizzassimo questi aspetti della personalità della

figlia.

[5] La dott.ssa Simona Colpani, fondatrice con me e con il dottor Mauro Scardovelli

della musicoterapia umanistica. In particolare la dott.ssa Colpani ha creato la figura del

coterapeuta Per informazioni www.musicoterapia.it

[6] E. Stein (Breslavia 1891 -­ Auschwitz 1942), filosofa tedesca, santa. Studiò filosofia,

psicologia, storia e germanistica presso l’Università di Gottinga. Allieva di Edmund

Husserl, nel 1917 conseguì la laurea a Friburgo con una tesi sul Problema dell’empatia.

[7] Daniele Gambini, laureato in musicologia, pianista e compositore. si è rivolto a me,

all’età di 30 anni, perché voleva riuscire ad intonare la voce nel canto.

[8] Per il periodo dell’adolescenza Daniele non ha portato gli apparecchi acustici. Si

sentiva emarginato dai compagni. Non voleva che si vedesse la sua sordità.

BIBLIOGRAFIA

• Il ruolo della musicoterapia nel recupero del deficit uditivo. Un’indagine tra i professionisti che lavorano con bambini sordi e tra i fruitori. Valeria Comincini, Lidia Del Piccolo

• Musica e Sordità -­ L’arte di ascoltare Autore: Cremaschi Trovesi Giulia Art. 1° -­ Articolo pubblicato dalla rivista “I Care”

• Musicoterapia e Sordità nei bambini/ Musicoterapia e Sordità negli adulti • Il pianista che ascolta con le dita. Appunti sull’arte, i linguaggi, le interazioni sensoriali, Paola Magi, Ed Archivio Dedalus

• Quando la musica parla al silenzio, Carré Alain, Edizioni scientifiche magi • Orecchio bionico e Mozart per riacquistare l’udito, Francesca Morelli, NEUROSCENZE

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7. Le famiglie dei non udenti: prevenzione, riabilitazione e inserimento nel lavoro (Sara Sgamma)

Lo Stato ha il dovere di assicurare la piena partecipazione delle persone sorde e dei figli di

persone sorde alla vita collettiva, garantendone l'inclusione nella società con l'attivazione

di programmi che consentano la realizzazione di questo diritto.

Consapevole delle giuste istanze delle persone non udentiil 23 marzo 2011 la Camera dei

Deputati aveva formulato la proposta di legge n 4207, la quale reiterava e ampliava quanto

era già stato espresso dalla legge quadro del n.104 del 1992 n. 6 del 1999, rivolta a

garantire il rispetto della dignità umana delle persone con disabilità, assicurando la piena

integrazione e promuovendo la rimozione delle barriere che limitavano la partecipazione

delle persone sorde alla vita collettiva.

La proposta di legge proseguiva riconoscendo l'opportunità di usare la lingua dei segni

italiana (LIS) promuovendone l'acquisizione e l'uso, nonché l'acquisizione della lingua

orale e scritta con l'impiego delle tecnologie disponibili per l'informazione e la

comunicazione.

Inoltre, sentite le associazioni di rilevanza nazionale per la tutela delle persone sorde, la

proposta stabiliva alcune disposizioni per fare diagnosi precoci ai bambini nati o divenuti

sordi con interventi, protesi e logopedia per avviare processi abilitativi e riabilitativi.

Stabiliva anche le modalità per l'applicazione della LIS nell'ambito scolastico,

professionale.

Venivano anche proposti corsi post lauream per la formazione di docenti idonei a

comunicare con persone non udenti con la LIS, per consentirne l 'uso in ambito scolastico.

L'articolo 3 chiariva che dall’ attuazione della legge non dovevano derivare nuovi o

maggiori oneri alla finanza pubblica in quanto le pubbliche amministrazioni provvedono

all'attuazione delle attività previste con le risorse disponibili all'entrata in vigore della legge.

Il Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi composto da genitori, professionisti,

ecc., in continuo contatto e scambio di informazioni attraverso tutti i mezzi di

comunicazione, sostenuti dalle associazioni di medici SIO(Società italiana

Otorinolaringoiatria) e SIAF (Società italiana audiologia e foniatria) con vari articoli inviati

(2011, 2014, 2016) alla Camera dei Deputati e al Senato aveva espresso il suo dissenso,

dichiarando pregiudizievole che il sordo sia anche muto e quindi per comunicare abbia

bisogno di una lingua di gesti LIS che lo relega in un mondo chiuso, perché la disabilità

uditiva non deve essere considerata uno stato differenziato ma un deficit da affrontare con

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un adeguato protocollo sanitario e logopedico.

Evidenziavano che la LIS è tardiva, (sin dagli anni '90 era stato riconosciuto il diritto di

usare i segni) inutile, costosa e dannosa, chiedevano perciò che la discussione fosse

portata in ambito sanitario e sul diritto ad un valido percorso riabilitativo.

Precisavano che già da decenni i bambini sordi potevano recuperare l'udito e parlare

attraverso un percorso iniziato con una diagnosi precoce, con uno screening audiologico

neonatale,seguito dalla protesizzazione o dall'impianto cocleare e completato da una

terapia logopedica.

Affermavano che non si poteva escludere che gli adulti e i bambini che non avevano avuto

servizi riabilitativi, (se non affetti da patologie complesse) con le nuove protesi avrebbero

potuto recuperare l'udito e procedere ad una riabilitazione orale e, se questo fosse stato

impossibile dovevano essere aiutati con corsi di scrittura della lingua italiana.

Ritenevano generica la legge per la formazione dei docenti, deploravano l'assenza di

investimenti, la mancanza di priorità per impianti cocleari e di protesi e, rilevando la

scarsezza di modelli organizzativi, strutture preventive e abilitative e fondi mirati e specifici

da prevedere a livello governativo per garantire i diritti di inclusione.

Non negavano l'utilità del linguaggio gestuale ma lo riconoscevano responsabile di un

isolamento dei sordi, che l'assunzione del linguaggio gestuale come lingua avrebbe

aumentato.

Anche sul piano del lavoro segnalavano forti discriminazioni osservando che la riserva di

posti per disabili stabilita dalla legge n. 68 del '99 era stata spesso disattesa da

amministrazioni pubbliche e private.

Per ultimo una riflessione interessante con la LIS: i sordi costituirebbero una minoranza

italiana che non parla italiano e se appartengono ad un’etnia non possono farne parte

sotto il profilo linguistico a meno di creare una minoranza nella minoranza.

Favorevole all'uso della lingua dei segni è la CODA (Children of Adults) Associazione di

Promozione sociale finanziata dai tesseramenti di figli, genitori, amici, parenti, sostenitori

di non udenti, che si occupa di sostenere i figli dei genitori sordi nelle problematiche che si

sviluppano nei giovani che vivono in un ambiente bilingue (Italiano e LIS) quando i genitori

si esprimono solo con il linguaggio dei segni.

L'iter delle proposte è proseguito fino a maggio di quest’ anno con modifiche e interventi

(sono stati dichiarati non attendibili interventi cocleari) puntando soprattutto

sull'inserimento nelle attività lavorative.

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Interessante la proposta di legge 7/4/2017 di Carrescia del gruppo “Dopo di noi” che con il

confronto con ENS e il contributo FNS ha richiesto una riserva di posti dell'1% per dare

alle persone sorde maggiori possibilità di entrare nel mondo del lavoro.

Il Comitato continua la sua lotta auspicando un serio impegno culturale, scientifico ed

economico che consenta alle persone sorde di esprimersi senza ricorrere alla gestualità e

con recuperi,sia pure parziali, possano con dignità svolgere attività di ogni genere

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI N. 4207

PROPOSTA DI LEGGE APPROVATA, IN UN TESTO UNIFICATO, DALLA 1a COMMISSIONE

PERMANENTE (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA

REPUBBLICA il 16 marzo 2011 (v. stampati Senato nn. 37-831-948-1344-1354-1391)

d'iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D'ALIA, PINZGER; PICCIONI; SACCOMANNO,

GASPARRI, TOMASSINI, GRAMAZIO, AMORUSO, BONFRISCO; BIANCHI; ZANETTA, BUTTI, D'AMBROSIO LETTIERI, CICOLANI, PALMIZIO,

ASCIUTTI, TOMASSINI, FLUTTERO, MUSSO, MALAN; INCOSTANTE Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita

collettiva e riconoscimento della lingua dei segni italiana Trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblica il 23 marzo 2011

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1. (Diritti delle persone sorde e riconoscimento della lingua dei segni italiana).

1. Nell'ambito delle finalità della legge 5 febbraio 1992, n. 104, rivolta a garantire il rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà, di autonomia e di indipendenza delle persone con disabilità, assicurandone la piena integrazione nella vita sociale, economica,

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politica e culturale del Paese, e anche in armonia con i princìpi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 30 marzo 2007, di cui alla legge 3 marzo 2009, n. 18, la Repubblica promuove la rimozione delle barriere che limitano la partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva. 2. In attuazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992, ed in ottemperanza alle risoluzioni del Parlamento europeo del 17 giugno 1988, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C187 del 18 luglio 1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C379 del 7 dicembre 1998, nonché ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 30 marzo 2007, di cui alla legge 3 marzo 2009, n. 18, la Repubblica riconosce la lingua dei segni italiana (LIS) e ne promuove l'acquisizione e l'uso, promuovendo altresì l'acquisizione e l'uso da parte delle persone sorde della lingua orale e scritta, da perseguire anche attraverso l'impiego delle tecnologie disponibili per l'informazione e la comunicazione. Nella provincia autonoma di Bolzano la LIS è riconosciuta

anche nell'uso corrispondente al gruppo linguistico tedesco. 3. La LIS gode delle garanzie e delle tutele di cui alla presente legge, conseguenti al riconoscimento di cui al comma 2. 4. È consentito l'uso della LIS, nonché di ogni altro mezzo tecnico, anche informatico, idoneo alla comunicazione delle persone sorde, sia in giudizio sia nei rapporti con le amministrazioni pubbliche.

Art. 2. (Regolamenti).

1. Nell'ambito delle finalità di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e sentite le associazioni di rilevanza nazionale per la tutela e la promozione dei diritti delle persone sorde, sono adottate le norme di attuazione di quanto previsto dall'articolo 1 della presente legge. I regolamenti di cui al presente comma:

a) recano disposizioni volte a disciplinare le modalità degli interventi diagnostici precoci, abilitativi e riabilitativi, per tutti i bambini nati o divenuti sordi, ai fini dei necessari interventi protesici e logopedici, quali livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

b) determinano le modalità di utilizzo della LIS in ambito scolastico e universitario, nel rispetto dell'autonomia universitaria, definendo i percorsi formativi e i profili professionali delle figure coinvolte, validi anche ai fini previsti dalla presente legge;

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c) promuovono, nel rispetto dell'autonomia universitaria, sia nell'ambito dei corsi di laurea sia nella formazione post lauream, l'insegnamento, e l'uso da parte degli studenti, della LIS e delle altre tecniche, anche informatiche, idonee a favorire la comunicazione delle persone sorde;

d) recano disposizioni volte a promuovere in ogni sede giurisdizionale e nei rapporti con le amministrazioni pubbliche l'uso effettivo della LIS e di ogni mezzo tecnico, anche informatico, idoneo a favorire la comunicazione delle persone sorde;

e) promuovono la diffusione della LIS e delle tecnologie per la sottotitolazione come strumenti e modalità di accesso all'informazione e alla comunicazione, con particolare riferimento alle trasmissioni televisive;

f) recano ogni altra misura diretta ad assicurare alle persone sorde, anche attraverso l'uso della LIS, la piena applicazione degli articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, anche mediante convenzioni previste dall'articolo 38 della medesima legge;

g) dispongono circa i metodi di verifica sull'attuazione della presente legge.

Art. 3. (Neutralità finanziaria).

1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni provvedono alle attività previste dall'articolo 2 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili secondo la legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

SITOGRAFIA • comitatonazionalegenitorifamiliaridisabiliuditivi.wordpress.com • www.superabile.it/cs/superabile/sportelli-­e-­associazioni/lis-­ecco-­perche-­quel-­testo-­non-­va

• I non udenti contro la lingua dei segni "Non sentire non vuol dire non parlare", www.repubblica.it

• www.codaitalia.org • Proposta di legge 4207 (Testo allegato) • Proposta di legge 4380