IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE - uicca.s3-eu-west...

37

Transcript of IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE - uicca.s3-eu-west...

2

IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONELEZIONI 2° TRIMESTRE 2018

LA PREPARAZIONE PER IL TEMPO FINALE

PUBBLICAZIONE A CURA DELLA FACOLTÀ AVVENTISTA DI TEOLOGIA, VILLA AURORA,

FIRENZE E DELL’EDIZIONI ADV, FIRENZE.

Le lezioni del 2° trimestre 2018 sono a cura di

Saverio Scuccimarri

Versione digitale a cura del

Dipartimento Comunicazioni dell’Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno

3

SOMMARIO

INTRODUZIONE - LA PREPARAZIONE DEL TEMPO FINALE ...................................................4

LEZIONE 1 - IL CONFLITTO COSMICO ............................................................................................5

LEZIONE 2 - DANIELE E GLI ULTIMI TEMPI ..................................................................................8

LEZIONE 3 - GESÙ E IL LIBRO DELL’APOCALISSE .....................................................................11

LEZIONE 4 - SALVEZZA E TEMPO FINALE ...................................................................................14

LEZIONE 5 - CRISTO NEL SANTUARIO CELESTE........................................................................17

LEZIONE 6 - IL «CAMBIAMENTO» DELLA LEGGE ..............................................................................19

LEZIONE 7 - MATTEO 24 E 25 ............................................................................................................22

LEZIONE 8 - ADORARE IL CREATORE ...........................................................................................24

LEZIONE 9 - INGANNI FINALI .........................................................................................................26

LEZIONE 10 - AMERICA E BABILONIA...........................................................................................29

LEZIONE 11 - SIGILLO DI DIO O MARCHIO DELLA BESTIA? ..................................................31

LEZIONE 12 - BABILONIA E HARMAGHEDON ...........................................................................33

LEZIONE 13 - IL RITORNO DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ ........................................................36

LETTURE CONSIGLIATE ....................................................................................................................37

4

INTRODUZIONE - LA PREPARAZIONE DEL TEMPO FINALE

Il tema di questo trimestre è l’attesa del ritorno di Cristo, ma già il titolo è leggermente fuorvian-te, a dimostrazione del fatto che non siamo da-vanti a un tema semplice da definire. Il titolo è fuorviante perché non si tratta di prepararsi, ma di essere pronti per il ritorno di Gesù.

Anche se prepararsi ed essere pronti sono due concetti simili, hanno in realtà una serie di diffe-renze importantissime:1. Prepararsi consiste nel fare qualcosa di ecce-zionale, preparativi per le occasioni speciali che, proprio per questo, non riguardano la quotidia-nità; essere pronti significa invece che l’attesa di qualcosa o qualcuno si manifesta nelle piccole e grandi variabili della vita di ogni giorno;2. Prepararsi ha come centro il fare, il costruire ed elaborare una serie di preparativi o procedure speciali; essere pronti ha come centro, appunto, l’essere… è uno stile di vita che procede dalla consapevolezza della propria identità;3. Per i motivi suddetti, prepararsi è possibile quando si conosce il momento in cui l’evento o la persona attesa arriveranno. Per esempio, metterei in atto una serie di misure spirituali ec-cezionali nella mia vita se sapessi con certezza che Gesù tornasse tra una settimana: pregherei e leggerei la Bibbia dalla mattina alla sera, andrei a bussare a tutte le porte del vicinato, contatte-rei tutte le persone che conosco per verificare che non abbiano nulla da rimproverarmi, darei ai poveri ciò che ho… Essere pronti, invece, è la inevitabile condizione del credente che non co-nosce il momento in cui l’evento o la persona at-tesa arriveranno. E allora, che si trovi in chiesa o

a lavoro, davanti alla Bibbia o a tavola con amici, la sua vita di ogni giorno manifesterà i segni, la gioia e i frutti di un’attesa proficua.

Che l’attesa del credente consista nell’essere pronti piuttosto che nel prepararsi, Gesù lo illu-stra bene con le due parabole che concludono il capitolo 24 di Matteo, quello del discorso esca-tologico.

La prima, quella del ladro (vv. 42-44), è un ragio-namento per assurdo: se per assurdo il padro-ne di casa sapesse a che ora il ladro verrà a fare il suo colpo, si preparerebbe ad affrontarlo con misure straordinarie; ma siccome il ladro non manda ad avvisare del proprio arrivo, allora si tratta di vegliare, essere pronti, appunto. Tutte le notti, in quella casa, qualcuno starà di guardia sulla proprietà…

La seconda è quella dei due servi (vv. 45-51). Se il padrone avesse avvisato i servi del momento del suo ritorno, entrambi si sarebbero preparati per riceverlo al meglio. Non facendolo, invece, il padrone vuole cogliere i due servi nella loro quotidianità. E così scopre che il primo svolge diligentemente, ogni giorno, il suo dovere, men-tre il secondo, lasciato alla sua quotidianità, ri-vela il suo carattere pigro, indolente e violento.

Ecco quindi un insegnamento importante rela-tivo all’attesa di Gesù: non si tratta di adottare misure eccezionali (andare a vivere in un eremo, lasciare lavoro e famiglia, dedicarsi esclusiva-mente ad attività spirituali, ecc.), ma di essere figli di Dio nelle svariate circostanze della quoti-dianità. Non si tratta di prepararsi, ma di essere pronti.

5

LEZIONE 1 - IL CONFLITTO COSMICO

Sabato 31 marzo | Settimana: 31 marzo - 6 aprile

INTRODUZIONE

È molto interessante la lettura originale che la Bibbia fa della realtà del male. Nel politeismo antico, per esempio, bene e male non avevano una connotazione morale, ma sociale ed ecolo-gica: bene era ciò che manteneva in ordine il co-smo, male era ciò che ne provocava il disordine e la distruzione. In genere gli dèi avevano il com-pito di mantenere l’ordine nel creato e di tenere a bada, legate, le forze del male che avrebbero voluto distruggere tutto (per esempio il Caos, il Tartaro, i mostri primordiali, il Leviatan, ecc.). Il loro ordine, però, non era di tipo morale: gli dèi erano immortali, ma anche abbastanza immora-li, o per lo meno ambigui sul piano morale (bu-gie, tradimenti, vendette, abusi di potere, vede-vano spesso per protagoniste le stesse divinità). Quindi la visione politeista antica sul male era: Il bene e male morali ci saranno sempre, perché gli dèi stessi, immortali, ne sono portatori; il di-sordine e la distruzione, invece, saranno sempre sopraffatti dall’ordine e la vita, ma non essendo mai del tutto sconfitti, di tanto in tanto, ciclica-mente, riusciranno a liberarsi per colpire il mon-do e i suoi abitanti, fino a quando gli dèi non li sconfiggeranno e imprigioneranno nuovamente.

La prospettiva pagana, quindi, da un lato dava una risposta sicura sul perché del male: il male esiste perché legato a forze soprannaturali e im-mortali imprigionate ma mai del tutto sconfitte. Dall’altro lato, non dava soluzioni ma invitava alla rassegnazione: bene e male si alterneranno per sempre, perché entrambi legati a realtà so-prannaturali.

La Bibbia, invece, offre una lettura opposta del male: fa fatica a spiegare in maniera soddisfacen-te il perché del male, ma ne annuncia la sconfitta definitiva. Più che spiegare il perché del male, la Bibbia ce ne racconta l’origine, nel famoso testo di Genesi 3, e la fine, per esempio in Apocalis-se 21:4. Questa lettura è dovuta al monoteismo: esiste un solo Dio, ed è buono. Solo il bene, dun-que, è un principio eterno, che è sempre esistito e sempre esisterà. Nella creazione di Dio non c’era posto per il male (Ge 1), né ce ne sarà nella nuova creazione (Ap 21:4). Il male è stato un incidente non voluto da Dio e che fa capo alla creatura: ha dunque avuto un inizio e, siccome nemico (satan in ebraico) di Dio, avrà anche una fine.

E da qui deriva anche una sostanziale differenza con la comprensione del male che deriva dall’o-riente. Lì si parla di creazione-conservazione-di-struzione come di tre principi che tengono in equilibrio l’universo; ciò significa che, almeno sul piano cosmico, il male (la distruzione) non è davvero tale, perché è utile e necessario alla vita dell’universo. Il male viene dunque, in un certo senso, negato: tutto è buono e utile, anche ciò che non comprendiamo. In definitiva, esiste solo il bene. Nella visione biblica, invece, il male è rico-nosciuto tale: non c’era nella creazione, e la sua presenza non solo non è utile, ma è soprattutto dannosa. Ecco perché la promessa di Dio è che esso verrà, un giorno, sconfitto per sempre.

In questa settimana rispolvereremo il racconto biblico dell’origine del male.

LA SCELTA

Genesi 1:31: innanzitutto, il mondo creato da Dio era perfetto, senza alcuna traccia di male: non c’erano malattie, né dolori, né difetti, né morte, né per gli uomini, né per gli animali, perché la dieta era non violenta, vegetale (vv. 29,30).

Genesi 2:9: due alberi speciali vengono subito segnalati all’uomo: l’albero della vita, e quello della conoscenza del bene e del male. Non erano alberi magici, ma erano importanti per ciò che rappresentavano. L’albero della vita era simbolo di Dio stesso, che è il datore della vita: nutrirsi dell’albero della vita era un gesto che indicava il fatto che l’uomo voleva stare in contatto con Dio, e questo contatto gli procurava vita eterna, per-ché Dio è la sorgente della vita. Inoltre, esso era una rappresentazione del mondo così come Dio lo aveva creato: un mondo caratterizzato dalla vita, in senso qualitativo (vita piena) e quantita-tivo (vita eterna).

V. 17: l’albero della conoscenza del bene e del male, invece, rappresenta un’alternativa al mon-do creato da Dio, la possibilità di vivere in un mondo caratterizzato dall’esperienza (è ciò che significa in ebraico «conoscenza») del bene e del male, della salute e della malattia, della bontà e della cattiveria, della vita e della morte. Dio però sconsiglia questa scelta, perché il male non ag-giunge niente alla vita, ma piuttosto la impove-risce e la limita.

Genesi 3:4,5: il serpente dà invece un’altra ver-

6

sione dei fatti. Secondo lui, conoscere il male si-gnifica arricchire la propria esperienza, caratte-rizzata al momento solo dal bene. «Dio teme che l’uomo, acquisendo l’esperienza del male, diventi a sua volta divino e, quindi, un suo rivale».

V. 6: l’uomo e la donna decisero di provare e mangiarono il frutto.

LE CONSEGUENZE

Genesi 3:7: gli occhi della coppia umana si apri-rono, espressione che indica una nuova cono-scenza, l’esperienza del male, appunto. Ma ben presto Adamo ed Eva si accorsero che tale cono-scenza non era una ricchezza, ma un impoveri-mento. Per la prima volta si sentirono a disagio con loro stessi, con il loro stesso corpo, e senti-rono il bisogno di cucirsi dei vestiti. Qui hanno origine tutti i problemi di autostima e di non piena accettazione di se stessi. Le foglie di fico sono simbolo del tentativo degli uomini di copri-re la vergogna dei propri peccati e di accrescere la propria autostima lavorando sull’apparenza, soluzioni che si rivelano fragili e inutili come un abito di foglie di fico. Solo Dio può coprire la vergogna del nostro peccato con il suo perdono, e farci sentire amati (3:21).

Vv. 8-10: la seconda conseguenza fu che l’uomo si sentì a disagio con Dio. Per la prima volta non si sentiva amato da Dio e lo percepiva come un pericolo da cui fuggire e nascondersi. Pare che le più antiche religioni siano nate, inizialmente, più per difendersi dagli dèi che non per entrare in relazione con loro. È il motivo per cui ancora oggi alcune persone immaginano Dio come un giudice severo e si augurano di poter in qual-che modo scampare al suo giudizio impietoso. Ma questa visione di Dio non è la realtà, è solo un’immagine distorta che il male produce in noi.

Vv. 11-13: la terza conseguenza fu la rottura dell’armonia nella coppia. Iniziò quel fenomeno che oggi conosciamo come lo «scarica-barile», la mancanza di assunzione di responsabilità, che viene scaricata sugli altri: l’uomo incolpa la don-na e Dio, la donna incolpa il serpente e, indiret-tamente, Dio.

Vv. 16-19: da ora in poi il bene e il male si alter-neranno nella vita dell’uomo: alla salute si alter-na la sofferenza fisica (doglie di parto), la natura stessa diventa buona e cattiva (spine e triboli), al lavoro succede la fatica, all’abbondanza la scar-sità (sudore della fronte), alla vita la morte. Tutte queste cose non sono da intendere come puni-zioni divine, ma come i segni di un mondo in cui convivono il bene e il male.

Vv. 22,23: infine, tutto questo determina la fine dell’accesso all’albero della vita. Alla vita piena ed eterna si sostituisce la vita parziale ed effi-mera. D’altronde la vita eterna non è più possi-bile per un uomo buono e malvagio, perché in nessun modo il male deve approdare al porto dell’eternità, ma restare tra le cose temporanee destinate a finire.

LA SOLUZIONE

Genesi 3:14,15: la soluzione che Dio offre alla prima coppia è quella di un salvatore. Un loro discendente, un giorno, avrebbe schiacciato la testa al serpente, vincendo laddove l’uomo e la donna avevano fallito.

V. 21: Dio cambia il look della prima coppia. An-ziché gli slip di foglie di cui si erano vestiti (v. 7), diede loro degli abiti completi in vera pelle. Il messaggio era implicito: la loro nudità, simbolo del loro peccato, sarebbe stata coperta dalla giu-stizia (la pelle) di un essere innocente che avreb-be dato la sua vita per loro.

V. 24: Dio custodisce l’accesso all’albero della vita; se da un lato significa che per il momento l’uomo e la donna non potevano mangiarne (cioè non potevano avere la vita eterna), dall’altro lato vuol dire che l’albero della vita non viene elimi-nato, ma conservato, in attesa di quel giorno in cui, avendo risolto il problema del peccato, gli uomini potranno mangiarne di nuovo e vivere per sempre (Ap 22:2).

IL SERPENTE

Ma chi è il serpente che ha causato tutta questa tragedia?

Apocalisse 12:9: il serpente è il tizio che noi chia-miamo diavolo (=colui che divide), o Satana (=avversario). Non è solo: ha al suo seguito tutta una «banda» di angeli.

Ezechiele 28:11-17: in questo testo, Ezechiele vie-ne invitato a comporre un lamento (cioè un can-to triste) sul re di Tiro, perché iniziò a governare bene, ma poi divenne corrotto come tanti altri despoti. Ezechiele, allora, nel suo canto, par-la del re di Tiro, accomunandolo a Satana che, come lui, pure aveva iniziato bene (vv. 12-15), ma poi si era corrotto (vv. 16-17). In questo bra-no scopriamo che Satana era un cherubino (cioè un angelo), protettore (cioè un angelo-capo), una creatura perfetta di Dio, che poi si è insuperbita e si è riempita di violenza e peccato.

Isaia 14:12-14: qui Isaia sta parlando del re di Ba-bilonia, superbo e che amava farsi adorare come

7

un dio, ma anche Isaia lo paragona a Satana; qui apprendiamo che Satana aveva un’ossessione: voleva diventare potente come Dio, la stessa fis-sazione che ha trasmesso all’uomo e la donna.

Satana (e i suoi angeli) un giorno sarà distrutto (Ap 20:10) e con lui tutta la malvagità, la soffe-renza e la morte (v. 14).

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Ti è mai capitato di non capire il perché di certe disavventure che accadevano a te o alla tua famiglia? Hai trovato una risposta? Racconta…

2. Il male è negativo, ma Dio è così potente che può trarre del bene anche dal male. Ti è mai successo che, da una disavventura, ne sia derivata una benedizione?

3. Quanto stimi te stesso/stessa? Quali sono le cose che accrescono la tua stima e quali la di-minuiscono? Senti di essere profondamente amato/amata da qualcuno? Questa consape-volezza contribuisce ad accrescere la tua autostima?

8

LEZIONE 2 - DANIELE E GLI ULTIMI TEMPI

Sabato 7 aprile | Settimana: 7 aprile - 13 aprile

INTRODUZIONE

Il credente che attende il ritorno di Gesù vive a cavallo di due mondi: quello presente, di cui ri-cerca il bene e contrasta il male, e quello che vie-ne, al quale si aggrappa con la speranza.

La stessa attitudine la riscontriamo in Daniele: vive e si affatica per il bene di Babilonia, il suo mondo presente, ma con la speranza guarda al regno di Dio, a quella pietra che da Gerusa-lemme sarebbe cresciuta fino a riempire tutta la terra. In questa settimana, rifletteremo su alcuni tratti della vita di Daniele.

DANIELE 1: IL RE E LO STRANIERO

Nel capitolo 1 troviamo una storia attualissima: un popolo (Israele) si ritrova a vivere in terra straniera (Babilonia), dove ci è arrivato perché costretto dalle circostanze (guerra e deportazio-ne). La storia ci dice che il Secondo impero ba-bilonese è legato sostanzialmente alla figura di Nabucodonosor: sua è la vittoria decisiva (Kar-kemish, 605 a.C.) che fa risorgere l’Impero babi-lonese dopo mille anni di dominazione e decli-no, e alla sua morte (562 a.C.) è legato il declino che condurrà alla fine dell’impero (539 a.C.). Ma la storia biblica ci rivela un’altra interessantissi-ma chiave di lettura: quando l’impero accoglie e integra gli stranieri (Ebrei) prospera (Da 1-4); quando, invece, li discrimina e disprezza (cap. 5), l’impero cade.

Il capitolo 1 di Daniele, inoltre, ci mostra il cre-dente che vive la sua fede in un contesto in cui si trova in minoranza, ma che gli è favorevole. Certo gli Ebrei erano in terra straniera, ma con un re che aveva un piano di inclusione che oggi, a 2.600 anni di distanza, non trova eguali da nes-suna parte: educazione nelle scuole caldee, nomi babilonesi (=cittadinanza babilonese), condivi-sione della mensa regale. I nobili Ebrei saranno nobili anche a Babilonia, con le stesse possibilità dei nobili babilonesi.

Pur in un contesto favorevole, Daniele e i suoi compagni sentono l’importanza si preservare la propria fede in Dio, tratto distintivo della propria identità. In un contesto politeista, quale miglior messaggio dare se non quello dell’unico Dio cre-atore di tutte le cose e di tutti i regni? Anche la modalità è interessante: Daniele e i suoi compa-gni metteranno da parte la dieta che presuppone

l’esistenza del tempio (Le 11), e ritorneranno alla dieta della creazione: la dieta vegetale. Per rag-giungere l’obiettivo, non cercano lo scontro, ma il dialogo, il quale si rivela fruttuoso: Daniele e i suoi compagni partecipano al progetto di inclu-sione di Nabucodonosor, fanno la loro parte, ma si riservano uno spazio di fede e identità (dieta vegetale) che fa la differenza. La loro diversità non è un handicap, ma una ricchezza che anche gli altri riconoscono e che li porta a distinguersi per intelligenza e per posizione raggiunta.

DANIELE 2: DIVINAZIONE E PROFEZIA

Nel capitolo 2 troviamo una questione tutta reli-giosa: Dio non risponde al re attraverso maghi, divinatori, incantatori, astrologi, ecc., ma attra-verso un profeta. Questo perché la volontà di Dio non si rivela nelle attività paranormali (molte delle quali sono truffaldine), ma nella profezia. E qual è la differenza tra divinazione e profezia? Ce n’è più di una:1. La sorgente della profezia è in Dio, non nei poteri dell’uomo;2. La profezia è una grazia «democratica»: ciò che Daniele sta per riferire circa il sogno, dovrà essere messo a disposizione di tutti, sia oral-mente che per iscritto, e non affidato alla segreta custodia di qualcuno per ricavarne un business personale;3. La profezia non è indovinare il futuro, ma co-noscere il piano di Dio per le sue creature;4. La profezia è «cristocentrica»; infatti, scopo della profezia del cap. 2 è la pietra, che nell’inter-pretazione cristiana rappresenta Cristo; la profe-zia ha come scopo quello di volgere lo sguardo degli uomini alle parole, all’esempio e alla sal-vezza di Gesù Cristo.

Come Daniele e Nabucodonosor, anche il cre-dente è chiamato a guardare al futuro non con la morbosa curiosità divinatoria di indovinarlo o predirlo, ma con il sano desiderio di conoscere i piani di Dio per prendervi parte.

DANIELE 3: IL CREDENTE PERSEGUITATO

Questa volta Daniele non c’è, ma la scena è te-nuta dai suoi tre compagni. I quali ci insegnano il grande principio della libertà di coscienza: dài a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di

9

Dio. I dialogo con gli altri non è sempre facile. Ci sono alti e bassi. A momenti di conoscenza e ac-coglienza reciproca (cap. 1), si alternano tentativi di prevaricazione. Il credente è chiamato a dia-logare quando c’è accoglienza, ma a non cede-re quando c’è pretesa. I tre compagni di Daniele non cedono alla pretesa del re di cambiare la loro fede, a rischio della loro stessa vita.

L’immagine e l’obbligo per tutti di adorarla, ci riportano dritti ad Apocalisse 13:11-18: chi non adora l’immagine della bestia viene ucciso. Da-niele 3 ci parla dunque dei credenti perseguitati, di coloro che continuano a credere in Dio anche a costo della vita.

Nel tempo dell’attesa, può succedere che siamo chiamati a vivere la nostra fede in un contesto ostile, non favorevole come quello di Daniele 1. I tre compagni di Daniele ci raccontano qual è il loro segreto: da un lato credono che Dio sia ca-pace di proteggerli e salvarli (3:16,17), dall’altro la loro fede mette in conto la possibilità che Dio non intervenga e prescinde da essa (v. 18).

DANIELE 4: QUESTIONE DI SGUARDI

Anche in questo capitolo il protagonista non è Daniele. È invece Nabucodonosor, che vive una sensazionale esperienza di conversione: dalla follia spirituale, passa alla follia mentale, per ar-rivare alla conversione.

Tutta la tragedia inizia con uno sguardo: dall’al-to del terrazzo del palazzo reale, il re guarda in basso verso il suo regno, della cui gloria ed estensione si prende tutto il merito (vv. 29,30). Dall’alto della torre di Babele, il re si sente dio, invincibile e infinito in grandezza. E come Dio intervenne a confondere le lingue di Babele, così interviene a confondere la mente del re: quando l’uomo vuol essere dio, diventa una bestia!

Tutta la tragedia finisce con uno sguardo: dal basso della sua folle condizione, il re guarda in alto verso Dio, e recupera il senno. Chi si innal-za è abbassato, ma chi si abbassa è innalzato (Lu 18:14). Nabucodonosor torna a essere un uomo, e scopre che l’uomo che accoglie Dio non diven-ta un dio, ma è ricreato a immagine di Dio.

La conversione di Nabucodonosor dà una pre-ziosa lezione al credente e alla chiesa che atten-dono il ritorno di Cristo: mai gloriarsi di fronte al mondo della propria gloria e dei propri successi, ma restare consapevoli della propria debolezza, alzare lo sguardo a Dio e lasciare che la sua vita rifletta degnamente l’immagine di Gesù.

DANIELE 5: IL RUOLO PROFETICO

Riecco Daniele protagonista al capitolo 5. Non più nel ruolo di politico, ma di profeta. Il re non è più il credente Nabucodonosor, ma il violento Baldassar. Gli Ebrei non sono più accolti e inte-grati, ma discriminati e disprezzati. Come l’atti-tudine positiva di Nabucodonosor verso gli stra-nieri ebrei contribuì alla prosperità di Babilonia, quella negativa di Baldassar condurrà l’impero alla rovina.

Baldassar disprezza gli Ebrei, la loro fede e i loro tratti distintivi. Così facendo, disprezza Dio stes-so. Daniele non ha esitazioni: denuncia i crimini del re, rivestendo pienamente il ruolo degli an-tichi profeti che continuamente denunciavano la corruzione dei potenti a Gerusalemme (e non solo).

Il credente e la chiesa che attendono il ritorno di Cristo, devono essere una voce profetica nel pro-prio tempo. Il che non significa giocare agli indo-vini o ai presagi, ma avere la forza di denunciare i soprusi dei potenti in nome di Gesù, giudice di ogni cosa e di ognuno, e di saper prendere posi-zione per tutte le libertà (prima fra tutte quella di coscienza) degli esseri umani, soprattutto i più deboli.

In un mondo in cui ritornano con prepotenza di-scriminazioni e metodi violenti, avremo anche oggi la forza profetica di Daniele?

DANIELE 6: LO SCONTRO A VISO APERTO

Infine, ancora una volta troviamo Daniele pro-tagonista, con un re buono ma con una classe politica ostile. Daniele ha dismesso i panni del profeta e riveste nuovamente quelli del politico: capo di tutti i satrapi di Babilonia.

Poi c’è un decreto, che non tiene conto delle esi-genze di Daniele e di tutti gli Ebrei: pregare per un mese solo il re. Nessun problema per i poli-teisti babilonesi, ma come la mettiamo con i mo-noteisti ebrei?

Ci aspetteremmo, come al capitolo 1, una solu-zione pacifica: Daniele che prega facendo atten-zione a non farsi notare. Chi sarebbe entrato a casa sua a origliare le sue preghiere?

E invece cerca lo scontro diretto: apre le finestre e mostra a tutti di non tenere in nessuna consi-derazione il decreto del re. Perché Daniele agi-sce così? Perché non cerca invece una soluzione pacifica come nella vicenda delle vivande del re (cap. 1)?

10

PERCHÉ CI SONO DUE DIFFERENZE:1. La prima soluzione venne trovata nel dialogo; non c’era bisogno di protestare, perché si poteva dialogare. In questo caso, invece, nessun dialogo è possibile, perché il decreto del re è perentorio;2. Nel primo caso l’intenzione del re era posi-tiva: voleva integrare gli stranieri ebrei, ma non era a conoscenza delle loro esigenze. In questo capitolo, invece, l’intenzione dei satrapi è malva-

gia: il decreto è fatto apposta per colpire Daniele.

Il credente che attende, quindi, è chiamato sem-pre, nella preghiera e nella Bibbia, a ricercare da Dio la saggezza per saper riconoscere i tempi e i contesti, e saper dare in ogni circostanza la rispo-sta adeguata. Non esiste una ricetta: chi protesta sempre sbaglia, ma anche chi dialoga sempre. Protesta e dialogo sono entrambi richiesti, nel contesto opportuno.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Hai mai dovuto dialogare e trovare accordi per l’osservanza del sabato?

2. Sei anche tu affetto da una morbosa curiosità nel voler conoscere i dettagli del futuro?

3. Prega nel tuo gruppo per i credenti perseguitati.

4. Quali problemi del tuo tempo sei chiamato a denunciare come credente?

11

LEZIONE 3 - GESÙ E IL LIBRO DELL’APOCALISSE

Sabato 14 aprile | Settimana: 14 aprile - 20 aprile

INTRODUZIONE

L’Apocalisse è la «Rivelazione di Gesù Cristo» (1:1). È dunque profezia e non mera predizione, perché il suo scopo fondamentale non è indovi-nare il futuro, ma rivelarci i piani di Dio. Ancora di più, essa di presenta come un quinto vangelo che ci rivela Cristo a partire dal punto in cui gli altri quattro lo avevano lasciato: dalla sua ascen-sione al cielo, al suo ritorno. Questa rivelazione di Cristo è particolarmente significativa per il credente che ne attende il ritorno, dal momento che risponde alla domanda: come vive Gesù l’at-tesa del suo ritorno?

IL GIUDICE

Apocalisse 1:5: innanzitutto l’Apocalisse intro-duce Gesù con tre titoli: il testimone (=martire) fedele, il primogenito dai morti e il principe dei re della terra. Il primo titolo fa riferimento alla sua morte, il secondo alla risurrezione e il ter-zo al suo ritorno. Si tratta di una descrizione di Gesù volta, oltre che a riassumerne l’opera sal-vifica fondamentale, anche ad attestarne la di-vinità. L’Apocalisse è piena di riferimenti più o meno espliciti alla divinità di Gesù. In questo caso l’autore tenta di stabilire un parallelo tra il Padre del v. 4 (colui che è, che era e che viene) e Gesù:1. Il testimone fedele = morte di Gesù = colui che era2. Il primogenito dai morti = risurrezione di Gesù = colui che è3. Il principe dei re della terra = ritorno di Gesù = colui che viene.

Il testo continua rivelandoci Gesù giudice: i giu-dici, come è possibile evincere dal libro biblico che porta questo titolo, non erano tanto magi-strati (funzione che in genere svolgevano gli anziani del popolo), quanto dei liberatori, che amavano il proprio popolo e lo liberavano dai suoi oppressori. Gesù giudice dunque è colui «che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue». Ma ha fatto molto di più: ci ha resi re e sacerdoti (Apocalisse 6:1). Re in quanto figli di Dio e seguaci di Gesù (il re dei re), sacerdoti perché ognuno di noi in Cristo ha pieno accesso a Dio e a tutte le cose sacre (grazia, perdono, ri-conciliazione, preghiera, Bibbia, salvezza, evan-gelizzazione, ecc.). Re e sacerdoti erano al vertice

della piramide sociale dell’epoca; le chiese, inve-ce, erano composte da tanti schiavi e plebei. In Cristo, però, tutti siamo re e sacerdoti, nel senso che tutti abbiamo pari dignità, ma non al ribasso (tutti uguali nella povertà), ma in pienezza (tutti uguali nella gloria).

V. 7: il giudice è un liberatore, che reca gioia agli oppressi liberandoli dagli oppressori: il ritorno di Cristo sarà dunque liberatorio per il giusto che soffre, ma motivo di cordoglio per «tutte le tribù della terra» (gli oppressori).

MICHELE

Apocalisse 1:12-20: in questa visione, Gesù si presenta come Michele, il personaggio rivela-to nell’ultima parte del libro di Daniele (10:4-6,13,21; 12:1-3). Michele portava le vesti del som-mo sacerdote nel gran giorno delle espiazioni. Era dunque giudice, perché il giorno delle espia-zioni raffigurava, appunto, il giudizio. Michele un giorno sarebbe venuto per salvare il suo po-polo, risuscitare i morti ed esercitare il giudizio di salvezza e condanna. Nel frattempo, avrebbe dato forza all’angelo incaricato di assistere i re di questo mondo, all’occasione anche di lottare contro di loro (una battaglia spirituale). Potrem-mo dire, in una lettura pastorale di questi testi, che la chiesa ha il compito di assistere la politica dando il proprio contributo positivo per il bene del mondo, e all’occasione di lottare contro i suoi tentativi di oppressione. In questo compito la chiesa non sarà sola, ma sarà assistita da Michele (Gesù), in attesa che egli stesso torni a ristabilire pace, giustizia e vita su tutta la creazione.

In Apocalisse 1:16 Gesù ha in mano sette stel-le, che sono gli angeli (=messaggeri) delle sette chiese, personificazione dei sette messaggi (=let-tere) che Gesù darà alle sue chiese per guidarle. In attesa del suo ritorno, Gesù non lascia sola la sua chiesa, ma la guida con la sua parola.

LE SETTE LETTERE

In Apocalisse 2,3 Gesù si presenta come autore epistolare, offrendo nell’incipit del mittente una presentazione di volta in volta diversificata di se stesso.

Alla chiesa di Efeso ribadisce di essere la guida della chiesa attraverso l’immagine delle stelle nel palmo della sua mano. A questa funzione, aggiun-

12

ge quella di camminare in mezzo ai sette candela-bri (=le sette chiese, cfr. 1:20). Gesù non guida solo la chiesa dall’alto con dei messaggi, ma è presente al suo fianco attraverso lo Spirito Santo.

Alla chiesa di Smirne si presenta come il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò un vita (2:8). A una chiesa perseguitata e che rischia la vita per il suo nome, Gesù offre la propria risurrezione a garan-zia di quella di tutti coloro che lo seguiranno sulla croce. Nel tempo dell’attesa, non è detto che l’a-iuto sperato arrivi prima della morte; ma arriverà comunque, perché anche la morte per Gesù è un problema già risolto, un nemico già sconfitto.

A Pergamo Gesù si presenta come colui che ha la spada a due tagli (v. 12), simbolo della sua parola (Eb 4:12). Siamo all’epoca (IV e V secolo) in cui la chiesa, non più perseguitata, inizia a mostrare due volti: quello che riflette l’immagine di Cri-sto, il volto del servizio e della testimonianza, e quello che tradisce il volto di Cristo, sedendo-si sul trono di Cesare che Gesù stesso aveva ri-fiutato. La croce di Cristo da un lato, la spada dall’altra. Gesù si presenta a questa chiesa con una spada migliore da impugnare: la sua parola. La parola di Dio non uccide, ma dà vita a chi la accoglie. Il cristiano attende il ritorno di Cristo con le armi della pace; prima fra tutte, la parola salvifica di Dio.

A Tiatiri Gesù si offre come il Figlio di Dio, con occhi e piedi fiammanti e incandescenti (v. 18). I due volti della chiesa sono diventati due anime opposte e nemiche: da un lato la chiesa del ser-vizio, che testimonia la parola di Dio ed è emar-ginata e spesso perseguitata; dall’altro la chiesa del potere, delle crociate, delle investiture, delle indulgenze, della tirannia, delle persecuzioni. Gesù si presenta a essa con i simboli della pu-rezza assoluta e del fuoco: nessun compromesso con la violenza (purezza), disponibilità ad attra-versare il fuoco della prova. La chiesa che atten-de è invitata a fare lo stesso.

A Sardi Gesù si presenta come colui che ha i set-te spiriti di Dio e le sette stelle. I primi indica-no lo Spirito Santo. Le seconde indicano le sette lettere. La presenza consolatrice di Gesù (Spirito Santo) e la sua guida (i messaggi delle sette let-tere) vengono offerti a quella chiesa medievale spiritualmente morta, ma non ancora del tut-to, grazie alla Riforma protestante. Nel tempo dell’attesa, il credente deve confidare nel fatto che Gesù mai abbandonerà la sua chiesa.

A Filadelfia Gesù si presenta come il Santo, il Ve-ritiero, il possessore della chiave dei leggendari tesori di Davide (e di Salomone), che ha l’auto-

rità di aprire e chiudere. La chiesa di Filadelfia è quella della modernità e della nuova evangeliz-zazione verso altri continenti. Gesù si presenta a questa chiesa vittoriosa ricordandole che verità e santità sono in lui, non nella chiesa, come nelle sue mani sono racchiuse tutte le grazie e benedi-zioni di Dio. La chiesa che attende sa di non pos-sedere santità, verità e grazia, ma solo di esserne testimone.

Alla chiesa di Laodicea Gesù si presenta come l’Amen, il testimone fedele e veritiero e il princi-pio creatore. Laodicea è bisognosa di conversio-ne: il Cristo creatore sarà capace di ricreare in lei un cuore nuovo. Il credente che attende sa che la conversione non è un evento puntuale, ma l’o-pera restauratrice di Gesù durante tutta la vita.

L’AGNELLO

Nel cap. 5 Gesù si rivela come Agnello. La visio-ne inizia con un rotolo sigillato, il rotolo del futu-ro, che nessuna creatura riesce ad aprire perché a nessuno è dato di sapere cosa accadrà domani. Ma il leone di Giuda e radice di Davide ha vinto per aprire il rotolo. Entrambi i titoli sono messia-nici: il primo fa riferimento alla profezia messia-nica di Giacobbe (Ge 49:8-10), il secondo a quella di Isaia (11:1,2). Entrambe annunciano la gloria e il regno del Messia.

Ma poi c’è un colpo di scena: appena entra il mes-sia glorioso annunciato, appare come un agnello sgozzato. La gloria di Cristo, cioè, si manifesta sulla croce. Quando pensiamo alla regalità di Gesù, non dobbiamo associare a lui il potere e lo sfarzo dei tiranni, ma la bacinella della lavanda dei piedi. Gesù è un leone-agnello, un re-servito-re: è nel servizio e nel dono, che manifesta la sua gloria e il suo regno.

Gesù è degno di aprire il rotolo del futuro per-ché, con la vittoria sul male ottenuta tramite la sua morte e risurrezione, ha determinato il futu-ro del mondo: un giorno tornerà, salverà i giusti ed eliminerà ogni traccia di male dalla creazione. In tutto il capitolo 5 tutta la creazione canta ap-punto il sacrificio di Gesù, la sua salvezza, il suo giudizio e il suo regno.

Il cristiano che attende, dunque, non gioca a in-dovinare il futuro, ma crede nella realizzazione del piano redentivo di Gesù, che nessuno potrà impedire. Il ritorno di Cristo ci sarà, con tutte le sue conseguenze. Nel frattempo, anche il cre-dente ricerca la gloria di Gesù nel servizio, nella croce, nella lavanda dei piedi.

13

IL GESÙ DEI VANGELI

Nel cap. 12 troviamo giusto un accenno alla pri-ma venuta di Gesù narrata nei vangeli. La donna incinta, le doglie di parto, la nascita e l’ascensio-ne alla destra del Padre (vv. 2 e 5), richiamano l’inizio e la fine del ministero terreno di Gesù. Ci viene anche aperta una breccia sul seguito: il ritorno di Gesù vittorioso in cielo, ne determina la cacciata definitiva di Satana e i suoi angeli (vv. 7-9). Si tratta di una battaglia e cacciata spirituali (non vanno intese in senso fisico né geografico): tutte le creature celesti hanno avuto prova defi-nitiva dell’amore di Dio in Cristo Gesù, e la loro fiducia è stata confermata in maniera conclusiva. Il campo di azione del male si restringe alla sola umanità (vv. 10-12).

Aspettare il ritorno di Gesù significa attendere che arrivi in terra la stessa vittoria conclusasi in cielo. Nel frattempo, con fiducia il credente si oppone al male sapendo che, nonostante le ap-parenze, esso non potrà prevalere.

L’ORA DELLA MIETITURA

Un’altra immagine evangelica di Gesù la tro-viamo in 14:14-20. Gesù è il figlio dell’uomo, mietitore, su una nuvola bianca: tutti titoli che ritroviamo nei vangeli (Mt 24:30,31). Qui in par-ticolare la visione fa riferimento alla parabola del buon grano e della zizzania (13:24-30): il tempo dell’attesa non è il tempo del giudizio, ma della testimonianza e misericordia; il giudizio è affi-dato a Cristo nell’ultimo giorno.

La cosa interessante è che in Apocalisse 14:14-20 la zizzania è sostituita con la vigna. La zizzania, infatti, seminata dal nemico, dava l’impressione di una predestinazione: ci sono persone semina-te da Dio (il buon grano) e altre seminate dal dia-volo (la zizzania). La parabola della vigna (Is 5:1-7), invece, non lascia dubbi: i perduti lo saranno nonostante i continui sforzi di Dio in loro favore.

LA PAROLA DI DIO

L’ultima immagine di Gesù ci viene offerta in Apocalisse 19:11-16. Il ritorno di Cristo lo vede nella veste di giudice, che combatte contro i mal-vagi per liberare i giusti dalle loro oppressioni. Questa funzione la esercita in virtù di due titoli: la Parola di Dio (v. 13) e il Re dei re e Signore dei signori (v. 16). La parola di Dio creatrice, è la spa-da distruttrice di tutte le forze del male (v. 21). Gesù è il Re e Signore di tutto il creato, e si as-sume la responsabilità di salvarlo una volta per tutte e sradicarne il male per sempre. La signoria di Gesù si esprime nella cura e nel servizio: per amore delle creature, e non per suo vantaggio personale, Gesù ha messo in campo un’azione salvifica iniziata con la sua incarnazione e che si concluderà con l’eliminazione definitiva del male in tutti i suoi segni.

La più grande delle salvezze operate da Gesù, il suo ritorno, implica la più grande delle tragedie, il giudizio finale, preludio di una nuova creazio-ne senza più sofferenza né malvagità.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Senti di essere stato liberato da Gesù in qualcosa di specifico? Racconta…

2. Se mai stato un angelo per qualcuno, che lo abbia saputo consigliare e aiutare?

3. Quale delle descrizioni con cui Gesù si presenta alle sette chiese senti particolarmente si-gnificativa per te?

4. Quale servizio offri o ti piacerebbe offrire agli altri in quanto discepolo del re-servitore?

5. Il sentire comune è che in questo mondo il male prevalga. Non cadere anche tu in questa illusione, e prova a elencare alcuni segni dell’opera di Dio nella tua vita o nella società.

6. Come denunciare un errore senza giudicare né mostrarsi ostili verso gli altri?

7. Ti spaventa l’idea del giudizio?

14

LEZIONE 4 - SALVEZZA E TEMPO FINALE

Sabato 21 aprile | Settimana: 21 aprile - 27 aprile

INTRODUZIONE

Alcuni tratti distintivi dell’insegnamento e dell’i-dentità avventista si ritrovano nel messaggio dei tre angeli di Apocalisse 14:6-13. Questo messag-gio inizia con l’apparizione del primo angelo, «recante il vangelo eterno» per annunciarlo a tutti gli abitanti della terra (v. 6).

Si tratta di un aspetto molto importante, perché precisa che la specificità della predicazione av-ventista si colloca pienamente nel solco del cri-stianesimo, e ha come presupposto il vangelo eterno e il mandato di Gesù di predicarlo in tutto il mondo (Mt 24:14; 28:18-20).

Il vangelo eterno in questione è la buona notizia dell’amore di Dio e della sua grazia salvifica in Cristo Gesù. La salvezza per grazia mediante la fede è, e deve sempre essere, il fondamento del-la fede avventista, il vangelo eterno che essa reca pur nella specificità del suo messaggio. Ogni in-terpretazione non solo dell’Apocalisse, non solo delle profezie in generale, ma di tutta la dottrina, che finisca per negare la sufficienza della grazia di Gesù Cristo, predicando una salvezza di fatto legata al raggiungimento di certi risultati (opere), è da evitare o abbandonare perché rischia di farci inciampare e sfracellare sulla pietra angolare, che è appunto la salvezza per la sola grazia in Gesù.

È importante, pertanto, che i cristiani, e gli avven-tisti in particolare, imparino a legare il proprio amore per la legge di Dio a motivazioni diverse rispetto a quella di guadagnarsi l’accesso esclu-sivo al paradiso, o l’accesso prioritario, o anche solo un posto un prima fila. Come gratuitamente Gesù ci salva, allo stesso tempo gratuitamente gli ubbidiamo, senza aspettarci ulteriore ricom-pensa, perché osservare la legge e praticare le opere è in se stesso una ricompensa, che ci aiuta a vivere meglio in questa vita, in attesa della vita eterna alla quale accederemo unicamente per la grazia di Cristo accolta per fede.

L’amore di Dio e la grazia di Gesù, sono dunque i due pilastri del vangelo eterno che la lezione di questa settimana mette in evidenza.

L’AMORE DI DIO PADRE

Non ci sono dubbi: la croce di Cristo non è il se-gno dell’ira di Dio Padre, ma del suo amore (Gv 3:16). In essa non è l’uomo che fornisce a Dio il

capro espiatorio sul quale sfogare la sua colle-ra che altrimenti si riverserebbe sul mondo, né il prezzo da pagare al Padre in cambio delle sue «prestazioni» salvifiche. Nella croce è Dio stesso che si offre in dono all’umanità, raggiungendola nel punto più basso della sua condizione, che è la tomba.

La meravigliosa parabola del Padre misericor-dioso, più nota come quella del figlio prodigo (Lu 15:11-32), ci mostra diversi tratti dell’amore di Dio Padre.

Innanzitutto, ci rivela che la paternità di Dio non è da intendere in senso specificamente maschi-le, ma in senso genitoriale. Dio è Padre e Madre. In questa parabola, infatti, il padre si comporta secondo lo stereotipo della madre: non tiene in conto i torti ricevuti, corre incontro al figlio e si abbandona in effusioni di affetto (abbracci, baci e ancora baci, v. 20). Aver perso questa prospettiva materna di Dio, ha favorito, nel corso dei seco-li, il sentimento che il cristianesimo avesse reso gli esseri umani orfani di una mamma celeste, spingendoli a trovarne una «adottiva» in Maria. Secondo i vangeli, invece, Maria non ha nessun ruolo di supporto all’opera redentiva di Gesù, perché in Dio il cristiano è pienamente appagato sul piano affettivo: Dio è Padre e Madre.

Altro elemento della parabola sull’amore di Dio, è che Dio lascia libero l’essere umano. «L’amore di Cristo ci costringe», significa che non siamo per niente costretti. Da un lato Dio ci offre mille mo-tivazioni per sentirci pienamente accolti da lui, ma dall’altro non ci costringe a stare con lui. Da un lato Dio offre ad Adamo mille alberi meravi-gliosi dai quali mangiare, dall’altro non gli pre-clude l’accesso all’unico albero che, invece, gli era stato vietato.

La parabola mostra anche che Dio Padre benedi-ce l’uomo, indipendentemente dalle sue scelte, e che le sue disavventure non sono il risultato di una maledizione divina, ma la naturale conse-guenza delle sue scelte sbagliate. Nella parabola, infatti, il Padre benedice il figlio che si allontana (gli dà l’eredità!), e la sua condizione di miseria successiva non è dovuta a una punizione del Pa-dre, ma è conseguenza della sua errata «gestione cristiana della vita» (v. 14).

Altro segno dell’amore di Dio, è il fatto che i suoi sentimenti verso il peccatore non sono di rabbia

15

o vendetta, ma di dispiacere nel saperli lontani da casa. Il padre della parabola, infatti, non re-agisce al ritorno del figlio standosene sul trono delle sue ragioni e aspettando che si umili da-vanti a lui riconoscendo i propri errori, ma gli corre incontro e lo riempie di affetto e attenzioni senza neppure ascoltare il discorsetto che si era preparato. Così facendo, il padre mostra di non essere per niente in collera col figlio minore per il torto ricevuto, né desideroso di vendetta o giu-stizia. Era solo profondamente addolorato di sa-perlo lontano da casa, e dunque in pericolo; do-lore che si tramuta in gioia incontenibile quando lo vede tornare sano e salvo.

L’amore del padre non è la risposta al pentimen-to del figlio; l’amore del padre precede il pen-timento del figlio. Quest’ultimo, infatti, non era esattamente pentito di ciò che aveva fatto; le sue riflessioni non consistono nel rimorso per il torto inflitto al padre, ma solo in un calcolo di conve-nienza per il quale, alla fin fine, si stava meglio a casa del padre. E in ogni caso, come già detto, il padre non è interessato a verificare il pentimento di suo figlio, come lo fu, per esempio, Giuseppe nei confronti dei suoi fratelli (Ge 42-45); il padre si accontenta di vederlo tornare, indipendente-mente dalle ragioni che lo abbiano spinto. Dio Padre fa la stessa cosa con noi: spesso il motivo che ci spinge a cercarlo è puramente opportuni-stico, dovuto a un problema, una crisi o un dram-ma che stiamo vivendo. I vangeli ci raccontando che il primo interesse che le persone mostravano per Gesù era per i suoi miracoli di guarigione. Ma Dio Padre ci ama, e per lui va bene così: qua-lunque sia il motivo che ci spinge a cercarlo, il Padre ne è felice e ci accoglie; ci penserà, a tempo debito, lo Spirito Santo a convincerci di peccato (Gv 16:8).

Tutti i segni dell’amore del Padre verso i suoi fi-gli, che abbiamo riassunto in questo paragrafo, si mostrano nell’ultimo elemento della parabola che prenderemo in considerazione: la festa. Il Pa-dre non è il dio della collera e delle auto-morti-ficazioni; è il Dio della festa, della gioia. Adamo è invitato a uscire dal cespuglio e mostrarsi al Padre in tutta la sua nudità; noi peccatori siamo invitati ad andare a Dio così come siamo, perché egli non ci riceverà con una lista di punizioni o penitenze, ma con un banchetto in nostro onore, assieme a tutti gli angeli del cielo (Lu 15:7).

LA GRAZIA

Per quanto riguarda l’amore di Gesù e dello Spirito Santo, rimandiamo alla lezione perché

riteniamo che non necessitino di particolari spie-gazioni né giustificazioni. In questo paragrafo rifletteremo sulla salvezza per grazia.

Romani 3:23: tutti siamo peccatori, e non saran-no le nostre buone azioni a cambiare questa si-tuazione. Ma perché le buone azioni non danno nessun contributo alla nostra salvezza?1. Innanzitutto, perché non è così nemmeno con la giustizia umana: le buone azioni e le opere di beneficienza non possono cancellare i reati, an-che se a commetterli sono agenzie umanitarie;2. Efesini 2:9,10: le buone opere non sono qual-cosa in più, ma lo scopo per cui Dio ci ha cre-ati, quello che dovremmo fare normalmente; non farle dunque è già un venir meno al nostro dovere. Se acquisto un televisore nuovo e que-sto funziona bene, sono contento, ma allo stesso tempo non c’è nulla di straordinario, perché se ho speso dei soldi è stato per avere un prodotto ben funzionante. Se invece il televisore, inaspet-tatamente, facesse anche le pulizie di casa, allora mi stupirei, perché il televisore funzionerebbe al di là di ciò che ci si aspetti. Ebbene, quando noi facciamo buone azioni, non stiamo facendo qualcosa di straordinario, ma semplicemente ciò per cui siamo stati creati.

Come si ottiene, dunque, la salvezza? La ricom-pensa del peccato è la morte, mentre il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù (Ro 6:23). La salvezza, quindi, è un dono di Dio, che a noi vie-ne gratis, ma a Gesù è costato l’incarnazione, la morte e la risurrezione. Come Gesù è morto e ri-sorto, così coloro che accoglieranno per fede la sua grazia moriranno ma, alla fine, risorgeranno a vita eterna.

Efesini 2:8,9: riassumendo, non c’è nulla che possiamo fare per essere salvati. La salvezza è possibile solo grazie al fatto che Dio ce la dona gratuitamente: la salvezza è per grazia (=dono).

IL PACCO REGALO DELLA GRAZIA

La grazia non è solo un dono, ma un pacco rega-lo al cui interno ci sono più doni:

• Romani 3:24-28: salvati per grazia, siamo giu-stificati per fede; significa che diventiamo giu-sti, non perché non pecchiamo più, ma perché continuamente chiediamo e otteniamo il per-dono di Gesù.

• 5:1: salvati per grazia, siamo riconciliati con Dio, perché non gli siamo più nemici o insen-sibili, ma diventiamo suoi amici.

• Vv. 20,21: salvati per grazia, riceviamo la vita

16

eterna.

• 6:6,7: salvati per grazia, non siamo più schiavi del peccato, non nel senso che non pecchiamo più, ma nel senso che non ci sentiamo a nostro agio quando pecchiamo.

• 8:15-17: salvati per grazia, riceviamo lo Spirito Santo che ci adotta come figli di Dio, renden-doci eredi di Dio e coeredi di Cristo; l’eredità sono la vita eterna e la nuova terra.

• 1 Tessalonicesi 5:23: salvati per grazia, ricevia-mo la santificazione, cioè un lento e progres-sivo miglioramento del nostro carattere e del nostro comportamento.

• 1 Giovanni 4:7,8: salvati per grazia, impariamo ad amare Dio e il prossimo. L’amore per Dio e per il prossimo, a loro volta, ci spingono a ubbi-dire ai comandamenti di Dio (1 Gv 2:3-6).

• 1 Corinzi 12:12,13: salvati per grazia, entriamo a far parte della chiesa, il corpo di Cristo, lo strumento di cui Gesù vuol servirsi per cam-minare anche oggi lungo le strade del mondo.

LA CERTEZZA DELLA SALVEZZA

L’autore della lezione si sforza di trasmettere il concetto della certezza della salvezza. Il credente

si sente salvo proprio perché sa che la sua salvez-za non è legata alla sua performance (quindi a un dato incerto), ma alla vita, morte e risurrezio-ne di Gesù (un dato certo).

La verità, tuttavia, è che seppur la questione sia risolta sul piano razionale, non lo sarà mai sul piano emotivo, fino a quando non avremo de-purato la nostra ubbidienza di ogni implicazione salvifica, come già detto all’inizio. Se il credente ubbidisce alla legge perché in qualche modo essa è collegata alla salvezza, seppure in termini di conseguenza e non di causa, difficilmente vivrà nella consapevolezza della certezza della salvez-za. E se ci riesce, è perché ha ridimensionato la legge di Dio a una serie di regolette la cui appli-cazione può essere valutata e verificata in qua-lunque momento.

A mio parere, come già detto all’inizio, l’uni-co modo per vivere nella consapevolezza della salvezza, e allo stesso tempo preservare il tratto profondo e infinito della legge di Dio, è imparare a ubbidirle per convinzione (perché ciò che essa dice è giusto), per piacere (sono innamorato dei suoi valori e principi), e anche per convenienza (ubbidire alla legge fa bene a me e agli altri), e non perché essa possa contribuire, in qualche modo, a determinare la mia salvezza eterna.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Quali sono, a tuo avviso, altri elementi importanti del vangelo eterno che la lezione non ha preso in considerazione?

2. Ti senti amato/amata da Dio? Fino a che punto? Anche nella sua veste di giudice?

3. Parlando sinceramente, sei certo/certa della tua salvezza? L’idea del ritorno di Cristo ti dà una gioia piena o parzialmente diminuita dalla paura di non essere trovato pronto/trovata pronta?

17

LEZIONE 5 - CRISTO NEL SANTUARIO CELESTE

Sabato 28 aprile | Settimana: 28 aprile - 4 maggio

INTRODUZIONE

Il santuario è la dimora di Dio, la sua casa, quin-di il luogo dove la creatura può incontrare il Cre-atore. Siccome Dio è ovunque, tutta la creazione, cielo e terra, rappresenta il suo grande santuario in senso lato (Is 66:1). Tuttavia, per una relazione più intima tra Dio e le sue creature, la Bibbia ne individua altri più specifici:1. Uno in cielo: Ebrei 9:24. Secondo la lettura che ne fa il Nuovo Testamento, esso non è fat-to di pietre o mattoni, ma è il centro della me-diazione di Gesù, che vi amministra in qualità di sommo sacerdote. 1 Pietro 2:9; Apocalisse 1:6; 5:9,10: se Gesù è il sommo sacerdote, i sacerdo-ti del santuario celeste siamo noi credenti. Gesù Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, avendo riconciliato gli uomini a Dio nella sua stessa doppia natura umano-divina, e tutti colo-ro che ne accettano la salvezza diventano sacer-doti del santuario celeste, strumenti attraverso i quali Gesù continua a parlare e agire nel mondo.2. Diversi altri santuari si collocano sulla terra, perché Dio possa regnare in mezzo al suo popo-lo: il tabernacolo, una tenda che si spostava nel deserto per seguire il campo mobile degli Isra-eliti; il tempio, la casa di Dio in mezzo alle case degli Israeliti, distrutto più volte; Cristo stesso, Dio che si fa uomo per vivere in mezzo a noi es-seri umani (Gv 1:14; Ap 21:22); la chiesa (1 Co 3:9-11,16,17), intesa come l’insieme dei credenti; il singolo credente e il suo stesso corpo (6:19,20).

Ognuno di questi santuari è stato profanato e ab-battuto: tutta la creazione è stata profanata dal male e dal peccato; Babilonesi e Romani hanno distrutto il tempio, Cristo è stato crocifisso, la chiesa è stata profanata e snaturata dal peccato del corno di Daniele 7-8 – il potere temporale della chiesa e la persecuzione - e l’essere uma-no è continuamente sottoposto alle miserie del-la sua condizione peccatrice. E siccome anche il cielo fa parte del creato, anche il suo santuario risente di queste profanazioni.

Insomma, a tutti i livelli, il santuario attende un intervento di Dio. «Quando avverrà?» chiede il santo di Daniele 8:13. «Bisogna aspettare 2.300 gior-ni, poi il santuario sarà purificato» risponde l’altro (cfr. v. 14).

LA PURIFICAZIONE DEL SANTUARIO

La purificazione del santuario era un rito di giu-dizio, un atto di liberazione divino con cui Israe-le veniva definitivamente liberato dal peso delle colpe commesse (Le 16). Anche il numero 2.300 ci parla di questo, perché la somma dei numeri 2 e 3 rappresenta il giudizio (2) di Dio (3), mentre decine, centinaia e migliaia esprimono l’idea di universalità. La risposta del secondo santo, quin-di, significa: «Per vedere ristabilito e purificato il san-tuario, bisogna aspettare il giudizio universale di Dio».

Il santuario e la purificazione sono concetti che rimandano a una festa ebraica, lo yom kippur, il giorno delle espiazioni, in cui appunto il santua-rio israelita veniva purificato. Che cosa accadeva in quel giorno?

Levitico 16:5-10: era un giorno di purificazione e di giudizio. Di purificazione, perché il santuario veniva purificato da tutti i peccati che il popo-lo vi aveva accumulato durante l’anno. Di giu-dizio, perché due capri venivano giudicati: uno per Dio, l’altro per Azazel, cioè per il diavolo.

Il capro per Dio veniva sgozzato e il suo sangue spruzzato in una stanza del santuario, in cui po-teva entrare solo il sommo sacerdote in quel gior-no particolare dell’anno; la stanza si chiamava «luogo santissimo». In essa c’era l’arca dell’allean-za, un baule che rappresentava il trono di Dio. Il sangue veniva spruzzato appunto su quest’arca.

Il capro per il diavolo veniva abbandonato nel deserto, dopo che il sommo sacerdote aveva im-posto le mani sul suo capo per trasferirvi i pecca-ti di tutto il popolo.

Questi due capri rappresentano gli uomini, che sono tutti peccatori (capri, e non agnelli) ma si dividono in due categorie: quelli che stanno con Dio e quelli che stanno col diavolo. Il capro per Dio rappresenta i credenti; questo capro veniva sgozzato, come il credente è chiamato a morire al proprio peccato. Il sangue del capro, poi, veniva messo sull’arca dell’alleanza, simbolo del trono di Dio. Così, il credente, con la forza e il desi-derio che vengono da Dio, decide di morire al peccato, per poter un giorno sedere per sempre con Cristo sul suo trono (Ap 3:21).

Il peccatore che invece ama la cattiveria e non vuole rinunciarvi, morirà per sempre. Egli era rappresentato dal capro del diavolo, che appun-

18

to non veniva sgozzato, ma veniva allontanato per sempre dall’accampamento per morire nel deserto.

Da un punto di vista biologico, quindi, entrambi i capri morivano, ma da un punto di vista ritua-le, il capro di Dio moriva al proprio peccato ma viveva alla presenza di Dio, mentre l’altro mori-va per sempre.

IL GIUDIZIO FINALE

Tornando a Daniele 8, la purificazione del san-tuario indica, dunque, l’intervento di Dio con vari atti di giudizio e liberazione:3. Nel cielo si inizia a preparare il giudizio, la salvezza dei giusti e la distruzione dei malvagi (7:10); a tal proposito, se dal 457 a.C. (anno del terzo decreto di ricostruzione di Gerusalemme da parte dell’imperatore persiano, cfr. 9:25) ci spostiamo avanti di 2.300 anni (il periodo indi-cato in 8:14 per la purificazione del santuario), arriviamo al 1844 d.C., anno in cui crediamo, per fede (dato che non possiamo verificarlo con i no-

stri occhi), che Gesù abbia iniziato a preparare il suo ritorno e relativo giudizio;4. Lo Stato Pontificio cade (1870) e finalmente cessa la profanazione della croce di Cristo (pote-re temporale della chiesa e persecuzioni);5. Al ritorno di Gesù, i credenti saranno liberati dalla corruzione del peccato e della morte trami-te la risurrezione di coloro che sono morti nella fede, e la trasformazione di coloro che saranno vivi da mortali a immortali (1 Co 15:51-53);6. Alla nuova creazione, tutto il creato sarà libe-rato da ogni traccia di male (Ap 21:1-4).7. Se a questi atti aggiungiamo la ricostruzione del tempio distrutto dai Babilonesi e la risurre-zione di Gesù, il terzo giorno dopo la distruzione del «santuario» del suo corpo, abbiamo un qua-dro completo dei significati della purificazione del santuario, la quale ci incoraggia di fronte alle difficoltà e ci invita a guardare a quel Dio che non ha dimenticato le sue creature né il suo san-tuario, ma ha già iniziato a purificarlo con vari atti di giudizio e liberazione, e porterà a termine la sua opera col suo ritorno e la nuova creazione.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Ti senti sacerdote di Cristo? In che senso lo sei? Credi che i pastori godano comunque di un grado sacerdotale maggiore? Motiva la tua risposta.

2. Hai mai pensato a Gesù come il santuario di Dio, la tenda attraverso cui Dio stesso è venuto in questo grande campo profughi che è il nostro mondo? Quali sentimenti provoca in te questa immagine?

3. Tu stesso sei la casa, il santuario di Dio. Il tuo stesso corpo lo è. Che cosa implica questa grande verità?

19

LEZIONE 6 - IL «CAMBIAMENTO» DELLA LEGGE

Sabato 28 aprile | Settimana: 28 aprile - 4 maggio

INTRODUZIONE

In questa lezione tentiamo di approfondire un’e-spressione relativa al «piccolo corno» di Daniele 7: «si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge» (v. 25).

Il termine «legge» nella Bibbia è molto ricorrente. Può avere accezioni specifiche (quando direttamen-te riferito ad alcuni ordini o prescrizioni), ma il più delle volte ha un senso ampio: può riferirsi ai primi cinque libri della Bibbia (il Pentateuco, che la tradi-zione ebraica chiama «il rotolo della legge»), a tutta la Bibbia ebraica (che corrisponde all’Antico Testamento di quella cristiana) o essere un sinonimo di «parola di Dio». Addirittura in diverse sue lettere (soprat-tutto quella ai Galati) l’apostolo Paolo usa il termine «legge» con un’ampiezza assoluta, volendo con esso indicare l’insieme degli scritti, delle tradizioni, delle pratiche e dei riti che costituivano l’«ebraicità», l’i-dentità stessa del popolo giudaico.

Ma nel nostro testo la parola «legge» ha un’ac-cezione più specifica, perché collegata ai giorni festivi. Sembra trattarsi di un aspetto della legge che ha a che fare con le feste. Queste considera-zioni, allora, ci rimandano a una parte specifica della legge biblica: i dieci comandamenti.

Il testo dei dieci comandamenti si trova in due punti della Bibbia: Esodo 20:1-17 e Deuterono-mio 5:1-21. Notiamo subito che il testo biblico è notevolmente più esteso rispetto alle brevi for-mulazioni riassuntive proposte dalla catechesi. Inoltre i comandamenti non sono numerati e il testo è scritto di seguito; questo fatto ha determi-nato delle differenze di classificazione.

Versione cattolica (basata su De 5:6-21)1. Io sono il Signore Dio tuo: non avere altri dèi all’infuori di me (vv. 6-10).2. Non nominare il nome di Dio invano (v. 11).3. Ricordati di santificare le feste (vv. 12-15).4. Onora tuo padre e tua madre (v. 16).5. Non uccidere (v. 17).6. Non commettere atti impuri (v. 18).7. Non rubare (v. 19).8. Non dire falsa testimonianza (v. 20).9. Non desiderare la donna d’altri (v. 21a).10. Non desiderare la roba d’altri (v. 21b)

Versione protestante (basata su Es 20:1-17)1. Io sono il Signore, il tuo Dio… Non avere altri dèi oltre a me (vv. 2,3).2. Non ti farai scultura, né immagine alcuna… Non ti prostrare davanti a loro e non li servire… (vv. 4-6).3. Non pronunciare il nome del Signore, tuo Dio, invano (v. 7).4. Ricordati del giorno del riposo per santificar-lo (vv. 8-11).5. Onora tuo padre e tua madre (v. 12).6. Non uccidere (v. 13).7. Non commettere adulterio (v. 14).8. Non rubare (v. 15).9. Non attestare il falso contro il tuo prossimo (v. 16).10. Non desiderare… cosa alcuna del tuo prossi-mo (v. 17).

Tra le due versioni troviamo due differenze evi-denti: 1. Nella versione cattolica manca il comanda-mento «Non ti farai scultura, né immagine al-cuna», che invece troviamo come secondo nella versione protestante. La chiesa cattolica lo ha considerato tutt’uno con il primo. Una scelta in-felice, però, dato che l’adorazione e la venerazio-ne di madonne e santi attraverso le immagini è diventata, nei secoli, una parte molto importante della pietà popolare (e non solo) cattolica. Non aver esplicitato il secondo comandamento, di fatto, ne ha neutralizzato l’osservanza;2. Nella versione protestante manca il coman-damento «Non desiderare la donna d’altri», che è il nono della versione cattolica. Questo perché nel testo di Esodo 20 esso è un tutt’uno col co-mandamento «Non desiderare… cosa alcuna del tuo prossimo». Nell’elenco di ciò che può appar-tenere al prossimo e non deve essere desiderato, c’è anche la moglie del prossimo. Inoltre, questo comandamento è implicito anche nel «Non com-mettere adulterio», che è appunto un invito alla fedeltà coniugale. La versione cattolica ha dun-que scorporato in due parti l’ultimo comanda-mento, per compensare l’inclusione del secondo comandamento nel primo.

20

UNA DIFFERENZA APPARENTEMENTE SECONDARIA

C’è però un’altra differenza abbastanza impor-tante nelle due versioni: «Ricordati di santificare le feste» è reso, nella versione protestante, «Ricordati del giorno di riposo». Quasi tutte le confessioni cri-stiane (cattolica, ortodosse e protestanti), com-prendono questo comandamento come l’invito a osservare il riposo domenicale e le feste (Natale, Pasqua, ecc.). Il testo biblico, però, in origine, si riferiva a qualcos’altro: Esodo 20:8-11.

Sia in Esodo 20:9,10 sia in Deuteronomio 5:13,14 scopriamo che non ci si riferisce genericamen-te alle feste e ai giorni di riposo, ma a una fe-sta e a un riposo specifico: il settimo giorno, che nella tradizione ebraica corrisponde allo shabat (sabato), cioè quel periodo di tempo che va dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato. Ne abbiamo un riscontro anche nei vangeli: Matteo 28:1. In questo passo del vangelo è detto chiara-mente che la domenica (della risurrezione) cor-risponde al primo giorno della settimana, che viene dopo il sabato (il settimo giorno).

A questo punto, ci rendiamo conto che il coman-damento sulle feste non è così generico come sembra: non si tratta di santificare le feste, ma di santificare una festa in particolare, lo shabat, il settimo giorno biblico. Quindi, sono possibili due letture.

La prima è quella specifica. Il comandamento va osservato nella sua specificità, quindi lo shabat dovrebbe essere un giorno di riposo e di festa non solo per gli Ebrei, ma anche per i cristiani.

La seconda è quella generica. Il comandamento è specifico non perché vada osservato «alla let-tera», ma perché si rivolgeva agli Ebrei, la cui festa principale era appunto lo shabat. In pratica, i dieci comandamenti sono principi generali che però, nella Bibbia, sono espressi nel contesto d’Israele. Lo si vede bene nel primo comandamento: «Io sono il SIGNO-RE, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egit-to, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me» (Es 20:2,3). La parte sottolineata mostra come il comandamento sia espresso nel contesto d’Israele, perciò può essere preso nelle sue specificità solo dagli Ebrei. Per tutti gli altri, invece, il principio da appli-care sarà: «Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ho liberato dalle tue schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me». Se questa operazione di generalizzazione è stata fatta per il primo comandamento, non andrebbe fat-ta anche per il quarto? Siccome lo shabat era la festa ebraica per eccellenza, il comandamento chiede agli Ebrei di santificarlo, ma per tutti gli altri il principio da salvaguardare è: «Ricordati di santificare il riposo

e le feste», lasciando poi che ogni tradizione indi-chi quali siano le feste da onorare.

La domanda sorge spontanea: qual è la lettura più appropriata? Quella specifica o quella gene-rica?

La nostra risposta è contenuta in Genesi 2:1-3. I primi due capitoli della Genesi, che corrispon-dono ai primi due di tutta la Bibbia, descrivo-no la creazione, cioè il mondo così com’era stato progettato da Dio. In queste due pagine l’inter-locutore di Dio non è Abramo (rappresentante d’Israele), ma Adamo (rappresentante dell’inte-ra umanità). Ciò significa che queste due pagi-ne rappresentano quella parte della fede e degli ideali ebraici che Israele lascia in eredità a tutta l’umanità. Siccome proprio in queste due pagine troviamo il riposo settimanale, la santificazione del settimo giorno operata da Dio stesso, ciò in-dica che Israele non voleva lasciare in eredità alle altre culture un generico «Ricordatevi delle vostre feste», ma un valore specifico: «Ricordatevi di santifi-care lo shabat, il settimo giorno biblico».

La lettura più appropriata, dunque, del quarto comandamento, alla luce di Genesi 2:1-3 ci sem-bra essere quella specifica: il comandamento non è un invito generico a osservare le feste, ma indi-ca una festa specifica da osservare, lo shabat.

Allora, cerchiamo di approfondire meglio il si-gnificato di questa festa biblica. Per comodità non useremo più il termine ebraico shabat, ma la sua traduzione italiana «sabato», sempre ricor-dandoci, però, che il sabato biblico è quel perio-do di tempo che va dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato civile.

IL COMANDAMENTO

Esodo 20:8-11. Che cosa ci dice questo testo ri-guardo al sabato?1. Fa parte dei dieci comandamenti, cioè dei principi fondamentali attraverso cui ogni uomo è chiamato a rispondere all’amore di Dio.2. È un giorno di riposo, inteso non come ozio, ma come giorno speciale, di festa, per il ristoro del corpo e dello spirito.3. È un giorno da santificare: siccome santo è tutto ciò che appartiene a Dio, santificare il saba-to vuol dire riconoscere che è Dio il padrone di quel giorno; tutti i giorni dobbiamo vivere in co-munione con Dio, ma mentre nei primi sei giorni della settimana noi svolgiamo le nostre attività e Dio ci benedice e ci aiuta, nel giorno di sabato è Dio che propone a noi le sue attività.4. È un giorno in cui non bisogna lavorare, non

21

perché il lavoro abbia qualcosa di sbagliato, ma perché le ore del sabato dobbiamo dedicarle ad altre attività che Dio ci propone.5. È un giorno della famiglia: tutti in famiglia devono mettere da parte i compiti della settima-na, per passare del tempo nel dialogo e nella col-tivazione dei rapporti.6. È un giorno di uguaglianza sociale: tutti, da-tori di lavoro e dipendenti, devono essere liberi in quel giorno di non lavorare e di stare insie-me per ricordarsi che, indipendentemente dalla posizione sociale, siamo tutti fratelli e sorelle e responsabili gli uni degli altri.7. È un giorno di accoglienza: anche gli stranieri devono riposare in quel giorno e sentirsi accol-ti da noi, che sulla terra siamo non padroni, ma ospiti.8. È il memoriale della creazione (Ge 2:1-3): il sabato ci ricorda che siamo parte della creazione di Dio e che il nostro compito è quello di proteg-gere e custodire il creato, non di distruggerlo.9. È un giorno benedetto, perché se svolgiamo in esso le opere che Gesù propone, ne ricaviamo grandissimi benefici, per noi e per gli altri.

Deuteronomio 5:12-15: il sabato non è solo me-moriale della creazione, ma anche della libera-zione, che per gli Ebrei è stata dalla schiavitù d’Egitto, mentre per noi è liberazione dal pecca-to e da altre schiavitù che ci opprimono. A tal proposito si rende necessaria una precisazione.

La creazione e la salvezza sono i contenuti della fede cristiana. I frutti di questa fede sono l’im-pegno per la vita e la felicità degli esseri creati e salvati da Dio. Il sabato è un segno della fede in Dio Creatore e Salvatore. Se io osservo il sabato come segno della fede in Dio Creatore, ma non mi prodigo per il bene delle sue creature, la mia osservanza non vale nulla; al contrario, potreb-be esserci chi, pur non osservando il segno della fede in Dio Creatore, ossia il sabato, manifesti la propria fede in Dio Creatore lottando per i diritti

e il bene delle sue creature.

Perciò vale per il sabato lo stesso principio che vale per tutta la legge: va osservato non perché procuri qualche vantaggio in termini di salvezza eterna, ma perché è giusto osservarlo (è il giorno del Signore), è bello osservarlo (è ricco di benedi-zioni) ed è utile osservarlo, sia per me che per gli altri, nel momento in cui lo vivo come una festa e un’occasione per prendermi cura degli altri. Il sabato non mi facilita l’accesso alla vita eterna, ma rende migliore questa mia vita in attesa del regno di Dio.

DAL SABATO ALLA DOMENICA

Che ne è dunque della domenica, il giorno della risurrezione di Gesù? I due momenti fondamen-tali della salvezza dell’uomo sono determinati dalla morte di Gesù, avvenuta di venerdì, e la sua risurrezione, che avvenne di domenica. In mezzo c’è il sabato, che ce li ricorda entrambi. Grazie alla creazione noi siamo nati in questa vita, ma grazie alla morte e risurrezione di Gesù, noi entriamo nella vita eterna. Il sabato, quindi, è memoriale sia della prima creazione sia della morte e risurrezione di Cristo.

Ebrei 4:9,10: il sabato è dunque un giorno di ri-poso e di festa per tutto il popolo di Dio, Ebrei e cristiani.

Anticamente la chiesa primitiva, nella quale era presente una buona componente ebraica, conti-nuava a onorare il sabato. È a partire dal II seco-lo che, a causa di un crescente antisemitismo tra i cristiani, si iniziano ad avere evidenze di uno slittamento delle chiese occidentali verso il culto domenicale, mentre quelle orientali continuano con il culto sabatico. A partire dal IV secolo, però, le chiese «sabatiste» vengono sempre più viste come eretiche e «giudaizzanti», a volte anche combattute con la persecuzione, al punto che, nell’VIII seco-lo, si può dire che nel mondo cristiano non sia ri-masta più traccia di riposo sabatico. Almeno fino a quando non è sorta la chiesa avventista.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Che cos’è per te il sabato? Onestamente, lo vivi come una festa o come un sacrificio?

2. Cosa potresti fare per migliorare il tuo modo di onorare il sabato?

3. Ti disturba il fatto che la tua osservanza del sabato non contribuisca alla tua salvezza? Riesci a trovare altre motivazioni?

22

LEZIONE 7 - MATTEO 24 E 25

Sabato 5 maggio | Settimana: 5 maggio - 11 maggio

INTRODUZIONE

La fede cristiana insegna che Gesù, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, ha sconfitto il peccato e la morte e ci ha procurato salvezza e vita eterna. Tuttavia, basta guardarsi attorno per rendersi conto che morte, malattia, violen-za e tutto il male sono ancora ben presenti nel mondo. Questo accade perché, in realtà, duemila anni fa Gesù ha solo inaugurato il regno di Dio, riservandosi di tornare per realizzarlo appieno e vincere definitivamente su male, sofferenza e morte. È ciò che approfondiremo in questa lezio-ne, leggendo il capitolo 24 e 25 del Vangelo di Matteo.

RASSEGNARSI...

Matteo 24:36,42,44: innanzitutto, il ritorno di Cri-sto implica la necessità di rassegnarsi al fatto che non ne è stata rivelata la data. Qualunque gior-no venga indicato dagli uomini per il ritorno di Cristo e la fine del mondo, sarà sistematicamente disatteso, perché Dio nella sua saggezza ha deci-so di non rivelarcelo, in modo da non provocare fanatismi inutili e dannosi.

I SEGNI DEI TEMPI

Matteo 24:32,33: aspettare il ritorno di Cristo si-gnifica saperne leggere i segni e riconoscerne la vicinanza. Vediamo dunque quali sono questi segni.

Vv. 4,5: il primo segno sono i falsi profeti. Chi sono? Si tratta di persone che, nel nome di Dio o di Gesù, insegnano e fanno cose contrarie alla loro volontà.

Vv. 6-8: il secondo segno della venuta di Cristo sono le grandi catastrofi e tragedie che colpisco-no l’umanità, anche se Gesù ci invita a non esse-re allarmisti, perché non saranno queste le cose che faranno finire il mondo.

Vv. 9,10,12,13: il terzo segno è l’aumento della malvagità e il raffreddamento dell’amore.

V. 14: il quarto segno è la predicazione del van-gelo, che va annunciato a parole e testimoniato con i fatti.

Facciamo tre considerazioni su questi segni:1. Tutti, tranne l’ultimo, sono segni negativi; aspettare il ritorno di Cristo significa che, di

fronte alla sofferenza, siamo chiamati a non per-dere la fede, ma a pensare che presto, quando Gesù tornerà, tutte queste sofferenze lasceranno il posto a gioie indescrivibili;2. Tutti e quattro sono segni comuni e ripetibi-li, nel senso che ogni epoca ha avuto i suoi fal-si profeti, le sue catastrofi, la sua malvagità e la predicazione del vangelo; questo significa che l’intento di Gesù, nel dare questi segni, è che tut-ti i cristiani di tutte le epoche sentano la prossi-mità del suo ritorno, perché è la speranza del vi-cino ritorno di Cristo che dà al credente la forza di andare avanti;3. Tra tutti, il segno definitivo è quello della predicazione del vangelo: aspettare il ritorno di Cristo vuol dire accettare oggi, senza rinviare a domani, la sua salvezza, ed essere disposti a di-ventare, a nostra volta, strumenti per far cono-scere agli altri l’amore di Dio con parole e fatti. Ogni volta che un’anima accoglie Dio nel pro-prio cuore, il regno di Gesù si avvicina.

COME SARÀ IL RITORNO DI CRISTO?

Matteo 24:29-31: il ritorno di Cristo sarà comple-tamente diverso dalla sua prima venuta: la pri-ma volta venne come servitore, ma il suo ritorno sarà in gloria e potenza; allora, venne per sacrifi-carsi, ma quando ritornerà verrà per mettere fine al male.

1 Tessalonicesi 4:16,17: al ritorno di Cristo, tutti coloro che sono morti accettando il suo sacrificio, saranno risuscitati e, con i credenti viventi, an-dranno in cielo, nella dimora di Dio. Sarà l’inizio della vita eterna. Nel sogno di Nabucodonosor, la pietra che colpiva la statua si riferiva proprio a questo: Gesù ritornerà, metterà fine alla storia violenta di questo mondo, segnata da dolore e morte, e inaugurerà un mondo e una vita eterni, dove il male non ci sarà più.

COME DOBBIAMO ATTENDERLO?

Matteo 24:42-44: l’attesa di Gesù è una decisione che va presa subito, perché non sappiamo cosa accadrà domani: oggi ci sono, il domani non mi appartiene.

Vv. 45-47: non si tratta di «prepararsi» al ritorno di Gesù, ma di «essere pronti». Non bisogna fare cose straordinarie (digiuni, voti di povertà, voti di castità, lasciare il lavoro per dedicarsi alla pre-

23

ghiera), ma accogliere Gesù nel cuore e lasciare che si manifesti nei piccoli e grandi gesti della vita di ogni giorno (come il servo della parabo-la che semplicemente svolgeva con dedizione le proprie mansioni).

25:1-13: è ora il tempo di fare la riserva d’olio, di essere pronti alla venuta di Gesù. La fede è un fatto personale: nessuno può contare su quella altrui, come le ragazze stolte non potevano con-tare sull’olio delle sagge.

Vv. 14-30: aspettare il ritorno di Cristo, vuol dire mettere a frutto i talenti che Gesù ci ha dato, es-sere attivi nel praticare il bene. Vivere come se

Gesù tornasse oggi, e fare piani come se dovesse tornare tra mille anni (Ellen G. White). Quando Gesù ritorna, non vuole vederci con le mani in-crociate ad aspettarlo, ma vuole vederci impe-gnati a fare il bene con i talenti che lui ci ha dato.

Vv. 31-46: aspettare il ritorno di Cristo, vuol dire abbandonare ogni logica di profitto e di potere, e mettersi al servizio del prossimo, soprattutto i più bisognosi. Ogni volta che avremo fatto del bene anche a una sola persona bisognosa, ogni volta che avremo amato anche una sola persona sfortunata, sarà come aver amato e aiutato Gesù stesso.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Il ritorno di Cristo è vicino. Quali sensazioni provoca in te questa affermazione?

2. Il domani non mi appartiene. Gesù potrebbe venire da un momento all’altro, in senso sto-rico o personale (potrei addormentarmi). Sei pronto?

3. Matteo 24:14. Quale differenza scorgi tra la predicazione e la testimonianza?

4. Come reagisci di fronte alle tante tragiche notizie che i media ci danno? Senti di poter fare qualcosa di più che provare tristezza?

24

LEZIONE 8 - ADORARE IL CREATORE

Sabato 12 maggio | Settimana: 12 maggio - 18 maggio

Buona parte della specificità del messaggio av-ventista si fonda sul testo di Apocalisse 14:6-12, il messaggio dei tre angeli. A partire da questi versetti, possiamo individuare alcune peculiari-tà del messaggio avventista:1. La scelta di un testo apocalittico non è casua-le: la chiesa avventista ha una visione apocalitti-ca del mondo, cioè fondamentalmente pessimi-stica nelle possibilità umane e con una visione del nostro pianeta come campo di battaglia di un gran conflitto cosmico tra il bene e il male;2. La visione apocalittica è innanzitutto una visione profetica; la chiesa avventista, infatti, ricerca il dono di profezia piuttosto che quello delle lingue (1 Co 14:1-5); il dono di profezia si è manifestato in maniera soprannaturale in Ellen G. White, una dei pionieri della nascente chiesa avventista, ma si manifesta in maniera corpora-tiva attraverso lo studio e la comprensione delle profezie bibliche, in particolare le apocalissi di Daniele e di Giovanni;3. La chiesa avventista, come il primo angelo, rivolge la sua predicazione a tutte le persone del mondo, senza nessun tipo di distinzione o di-scriminazione;4. Come il primo angelo, anche la chiesa avven-tista reca in mano il vangelo eterno, cioè ha come primo obiettivo la salvezza degli uomini attra-verso la fede in Cristo Gesù;5. Come il primo angelo, la chiesa avventista in-vita gli uomini a temere Dio (fede) e dargli glo-ria (opere, frutto della fede), abbinando a questa dimensione personale della fede, anche una di-mensione comunitaria (adorazione);6. La chiesa avventista adotta la strategia della verità presente, cioè la presentazione di tutta la verità biblica con un’enfasi particolare su quelli che sono i bisogni specifici del proprio tempo; in particolare, come il primo angelo, anche la chie-sa avventista ritiene di dover dare un’enfasi par-ticolare all’imminenza del giudizio (e del ritorno di Cristo) e al ruolo creatore di Dio (attraverso il segno del sabato);7. Come il secondo angelo, la chiesa avventista si oppone a Babilonia, cioè all’adorazione del-la creatura al posto del Creatore, in particolare ricordando agli uomini l’esistenza del secondo comandamento del decalogo che vieta l’adora-zione delle o attraverso le immagini; Babilonia indica anche l’unione illecita tra potere e religio-

ne, pertanto la chiesa avventista sceglie una net-ta separazione tra chiesa e Stato;8. Come il terzo angelo, la chiesa avventista si oppone al marchio della bestia, cioè a ogni legge umana che osi violare la coscienza individuale e prendere il posto di Dio stesso; questo si concre-tizza nell’impegno della chiesa per tutti i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo, in particolare la libertà di coscienza e il diritto di culto;9. La chiesa avventista si rifà al modello del ri-manente, che custodisce i comandamenti di Dio e la testimonianza di Gesù, espressioni che in-dicano la totalità delle Scritture; scegliendo que-sto modello, la chiesa avventista dà una grande enfasi allo studio delle dottrine, sforzandosi di renderle il più conformi possibili con gli inse-gnamenti e i propositi biblici.

Ognuno di questi caratteri della specificità av-ventista, ha delle potenzialità e dei limiti:1. La dieta non violenta è assolutamente perti-nente oggi, mettendo la nostra chiesa in dialogo con la scienza e con le altre religioni; a volte però la pratichiamo in maniera ipocrita e superficia-le, non comprendendo i veri risvolti che essa ha nella responsabilità che Dio ci affida quanto al rispetto della salute e della vita di uomini e ani-mali;2. L’unità psico-somatica dell’uomo ci mette sicuramente in dialogo con la scienza e la psi-cologia; abbiamo però bisogno di comprendere meglio anche i risvolti ecologici dell’espressione nefesh haya (anime viventi: Ge 2:7), che prima ancora di dimostrare l’unità dell’essere umano, dimostra l’unità di tutta la creazione. Infatti an-che gli altri animali in Ge 1:20,21,24 vengono in-dicati con l’espressione nefesh haya, «anime vi-venti», anche se le traduzioni rendono «animali viventi» o «esseri viventi» o «creature viventi»; l’essere umano, quindi, fa parte di una famiglia più grande, il regno animale (il regno delle «ani-me viventi»), la cui casa è il mondo e la vegeta-zione;3. La visione apocalittica è una buona risposta al disincanto del mondo post-moderno riguardo alle reali possibilità della scienza e delle tecno-logie umane; tuttavia, nella Bibbia non c’è solo profezia apocalittica, che anzi è minoritaria, ma soprattutto profezia storica, che crede nell’inter-vento di Dio ora, in questa vita, non solo al tem-po della fine, per poter migliorare la situazione

25

del mondo; è un limite essere troppo propensi per la visione profetica apocalittica e ridimensio-nare eccessivamente l’altra;4. La ricerca del dono di profezia è un punto di forza, perché crediamo che la profezia offra un appoggio più solido alla fede di quello che possono offrire i segni miracolosi; tuttavia, l’at-tenzione per i contenuti della fede (profezia), non deve mettere in secondo piano la ricerca del dono delle lingue, inteso come capacità di adat-tare il proprio linguaggio a quello dei vari inter-locutori;5. La missione universale della chiesa avventi-sta è un punto di forza in un mondo globalizzato come il nostro; la sfida è riuscire a essere uniti nella missione tenendo però in considerazione la diversità dei contesti;6. L’annuncio della buona notizia della salvezza in Cristo è sicuramente un grande punto di forza, che ci assicura la presenza e l’azione dello Spirito Santo; eppure, l’insegnamento che più riusciamo ad assimilare è proprio quello della salvezza per grazia, a causa dell’enfasi sulla legge; in genera-le, abbiamo il vantaggio di una certa ricchezza di dottrine e comandamenti, ma il limite di non riuscire sempre a metterli nella giusta relazione con la salvezza per grazia;7. La dimensione comunitaria e l’unità della chiesa mondiale sono dei punti di forza in un

mondo sempre più atomizzante come il nostro; tuttavia, il senso comunitario spesso degenera in separazione dalla società, e l’unità della chiesa in uniformità;8. La verità presente è un’ottima strategia di interazione con la società; il rischio, tuttavia, è di fermarsi alla verità presente del 1800, anziché ricercare continuamente una verità adatta al pro-prio tempo;9. Opporsi a Babilonia e a ogni forma di ido-latria è sicuramente un punto di forza; la sfida è non fraintendere la separazione chiesa-Stato come un disinteresse per il bene della società: es-sere distinti non significa non poter collaborare assieme in quegli ambiti che sono di pertinenza di entrambi (giustizia, pace e solidarietà); 10. Opporsi al marchio della bestia è un’ottima strategia di difesa della libertà, che è tra i più alti valori; bisogna però non limitarsi alla sola libertà religiosa e di osservanza del sabato, ma impegnarsi a favore di tutte le forme di libertà dell’essere umano;11. Il rimanente è sicuramente un modello che assicura un’identità forte alla nostra chiesa; il li-mite, tuttavia, è essere esclusivi in rapporto alla salvezza e alle altre chiese, finendo per cadere nella religiosità del fariseo che, pregando al tem-pio, si credeva migliore degli altri.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Quali sono le cose che più ti piacciono della fede avventista?

2. Quali limiti o pericoli vedi nella chiesa?

3. Come descriveresti la tua fede in Gesù?

26

LEZIONE 9 - INGANNI FINALI

Sabato 19 maggio | Settimana: 19 maggio - 25 maggio

INTRODUZIONE

La lezione di questa settimana si ferma a consi-derare alcuni insegnamenti che non appartengo-no alla dottrina avventista, e che consideriamo degli errori.

IL NEMICO

Il male non ha bisogno di presentazioni. Cono-sciamo bene cosa siano peccato, cattiveria, vio-lenza, malattia, dolore, angoscia, paura e morte. Tutto il male esistente in vari passaggi biblici riceve un volto: quello del diavolo (o Satana, Belzebù, Azazel, Beliar). Il credente moderno e post-moderno si è chiesto e si chiede: questo volto è reale o mitologico? Satana è solo una personificazione simbolica del male o un essere vivente? La stessa domanda ce la potremmo por-re anche per tutti gli angeli e demoni: sono una descrizione antropomorfica di impersonali forze positive e negative o sono soggetti personali?

Prima di tutto precisiamo che non siamo in un am-bito che possa avere alcuna pretesa di osservazione o dimostrazione scientifica. Non si può dimostrare che Satana esiste per il semplice fatto che neppure si può dimostrare che Dio esiste. Siamo nell’ambito della fede, dei postulati da accettare a priori e alla luce dei quali spiegare tutto il resto.

Fatta questa precisazione, e restringendo l’ambi-to ai credenti, e quindi alla fede, diciamo che dal nostro punto di vista ci sono due errori opposti che i credenti dovrebbero evitare. La negazione della realtà di Satana da un lato, l’eccessiva enfa-si sulla sua realtà dall’altra. L’uno e l’altro questo errore ci privano di un elemento di complessità importante.

Negare l’esistenza del diavolo riconduce il male a una questione puramente naturale, toglien-dogli ogni valenza soprannaturale. Affermare eccessivamente la realtà di Satana, al contrario, impoverisce la fede del credente perché, più che motivarla nella fiducia nella Provvidenza, la basa sulla paura del diavolo e dei suoi inganni.

La posizione più equilibrata come al solito è nel mezzo: il diavolo esiste, ma l’amore di Cristo caccia via il timore.

L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA

1 Tessalonicesi 5:23: l’uomo ha tre dimensioni:

spirito, anima e corpo. A queste parole, però, a volte la Bibbia dà significati diversi:1. Spirito: a volte è sinonimo di «respiro», «alito di vita» (Ge 2:7), altre volte indica l’insieme dei pensieri, dei valori e dei ricordi dell’uomo (Ro 8:16; 1 Co 2:11);2. Anima: a volte significa essere vivente, per-sona, creatura (Ge 1:20,21,24; 2:7), altre volte significa vita (Le 17:14; Mt 16:25-26), altre volte ancora indica l’insieme dei sentimenti dell’uomo (Mt 26:38);3. Corpo: indica il nostro essere fisico (1 Co 6:19,20); troviamo anche la parola carne, che è si-nonimo di corpo (Gv 1:14) e in generale indica la fisicità di uomini e animali.

Come si relazionano tra di loro queste tre dimen-sioni? A seconda del significato che diamo a que-ste parole, possiamo avere due combinazioni:1. Genesi 2:7: polvere (che qui indica il corpo) + alito di vita (lo spirito nel senso di respiro) = anima vivente (nel senso di persona, essere vi-vente);2. 1 Tessalonicesi 5:23: spirito (pensieri e ricor-di) + anima (sentimenti ed emozioni) + corpo = essere umano.

La cosa interessante è che, in tutti e due i casi, se i tre elementi vengono separati, la vita non è pos-sibile; vediamolo nella prima formula: quando si muore, il corpo torna polvere, lo spirito (l’alito di vita) torna a Dio, e quindi l’anima (cioè la perso-na, l’essere vivente) non c’è più (Ec 12:9 Nuova Riveduta, oppure 12:6,7 Nuova Diodati). Vedia-molo ora nella seconda formula: quando l’uomo muore, oltre al corpo finiscono per sempre sia i suoi pensieri, progetti e ricordi (spirito), che i suoi sentimenti (anima), e quindi non esiste più (Ec 9:5,6,10).

Possiamo dire quindi che l’uomo non è solo ma-teria, ma spirito, anima e corpo, che hanno biso-gno di stare assieme per poter funzionare; con la morte, tutte e tre le dimensioni non ci sono o non funzionano più. Ecco perché la Bibbia non para-gona mai la morte a un passaggio verso un’altra dimensione dove si continua a vivere senza il corpo, ma la paragona piuttosto a un sonno (Gv 11:11-14).

Nonostante tutto ciò, ci sono parecchie espres-sioni nella Bibbia che sembrano invece allude-

27

re a un aldilà dove le anime continuano la loro esistenza. Basta pensare ai numerosi riferimenti neotestamentari alla Geenna, al fuoco dove si viene tormentati giorno e notte, alle tenebre di fuori dove c’è «pianto e stridor di denti», ecc. La teologia avventista sostiene che si tratti solo di espressioni ambigue dovute al fatto che gli au-tori del Nuovo Testamento, pur credendo nel-la concezione ebraica dell’unità psicosomatica dell’uomo, scrivevano in greco (il greco comu-ne), il quale era una lingua impregnata di cul-tura dualista. È una lettura legittima la nostra, ma ne esiste un’altra, per certi versi più sempli-ce: c’è stata un’evoluzione nella concezione della natura umana, perciò si passa da un Antico Te-stamento che non conosce l’anima come entità spirituale, a un Nuovo Testamento che invece la conosce e ne parla.

Qual è dunque la lettura corretta? Noi avven-tisti e pochi altri sosteniamo che sia la prima, nonostante lo svantaggio dovuto al fatto che l’e-braismo, da tanti secoli ormai, crede anch’esso nell’immortalità dell’anima.

Le nostre ragioni sono essenzialmente due:1. Il Nuovo Testamento, pur parlando in vari punti di pene eterne, è però chiaro sulla spe-ranza del credente: la risurrezione (Da 12:13; 1 Te 4:13-18). Il ritorno di Cristo e la risurrezione sono centrali nel Nuovo Testamento proprio per-ché basati sul presupposto del sonno dei morti. In una concezione dell’anima immortale, invece, questi due insegnamenti diventano superflui.2. La consultazione e il culto dei morti sono cose che la Bibbia considera abominevoli; noi, dal can-to nostro, consideriamo abominevole l’inferno, cioè l’esistenza di un campo di concentramento universale in cui Dio si diverte a torturare per l’eternità le anime dei perduti. Entrambe le «abo-minazioni» vengono meno di fronte alla dottrina del sonno dei morti.

EVOLUZIONE

Anche qui farei una precisazione. Una chiesa non dovrebbe promuovere il creazionismo, ma la creazione. Per creazionismo intendiamo la ri-cerca di prove scientifiche della creazione, men-tre per creazione intendiamo la fede nel racconto di Genesi 1 e 2. È sbagliato, a mio parere, cer-care le prove scientifiche della creazione, perché se queste esistessero sarebbero prove scienti-fiche dell’esistenza di Dio. Abbiamo già detto, invece, che Dio non va dimostrato, ma creduto. Non è la scienza la finestra su Dio, ma la fede. Il Geo-Science avventista, per esempio, non è alla

ricerca di prove sulla creazione, ma di indizi: gli indizi non la dimostrano, ma aiutano ad argo-mentarla.

La chiesa avventista ritiene che la teoria evolu-zionista sia incompatibile non con il creazioni-smo, ma con la creazione di Genesi 1 e 2. Questo non su un piano scientifico, ma dei valori. Sul piano scientifico, infatti, il problema non sussiste: si può credere all’evoluzione e allo stesso tempo pensare che sia stato Dio a volerla e guidarla. Sul piano dei significati, invece, la cosa non torna. Il postulato dell’evoluzione è la selezione natura-le: i deboli muoiono tutti, i forti sopravvivono e, unendosi tra di loro, conservano il tratto geneti-co che ne contraddistingue la forza, dando vita a una nuova specie. Perché l’evoluzione avvenga, dunque sono necessari due agenti: la morte da un lato, il non aiuto dei deboli dall’altro. Se i forti di una specie aiutano i deboli e questi soprav-vivono, i geni «forti» si rimescolano e la caratte-ristica speciale si perde e non viene conservata. Il punto forte della teoria evoluzionista è che la selezione naturale esiste davvero, e dà origine ai fenomeni di speciazione, cioè a formazione di razze diverse all’interno della stessa specie. La teoria evoluzionista applica la selezione natura-le, osservata nella speciazione, anche alla nascita delle specie stesse: dato un tempo lunghissimo, sommando di volta in volta piccole mutazioni genetiche di speciazione, si arriva alla nascita di tante specie differenti.

Il racconto della creazione di Genesi 1-2, però, per quanto letterario possa essere, punta su due verità: la morte e il peccato non c’erano. Morte e peccato sono i due nemici della creazione di Dio, che Gesù è venuto a sconfiggere. Ma se Dio ha creato per evoluzione, allora è lui stesso ad aver creato morte e peccato (= non aiuto ai deboli, as-senza di solidarietà tra le creature); Gesù, quin-di, sarebbe venuto a vuoto, a combattere contro nemici che nemici non sono, dato che senza di loro noi neppure esisteremmo.

Ecco quindi il nocciolo della questione: la chiesa avventista ritiene che l’evoluzione sia incompa-tibile non con la lettera del racconto biblico, ma con i suoi insegnamenti di fondo. Non è, quindi, questione di come Dio ha creato il mondo, ma dei presupposti sui quali lo ha creato. È su que-sto punto che le posizioni tra evoluzione e crea-zione ci sembrano inconciliabili.

LA FALSA TRINITÀ

In Apocalisse 12,13 una trinità malefica si con-trappone a quella divina rappresentata da Dio,

28

dall’Agnello (Gesù) e dai sette spiriti davanti al suo trono (lo Spirito Santo): il dragone (diavolo), la bestia marina (o solo bestia) e la bestia terre-stre (o falso profeta).

La bestia marina rappresenta il potere tempo-rale della chiesa, sia in senso specifico (lo Stato Pontificio) che generico (discriminazioni e per-secuzioni). La bestia terrestre rappresenta la se-duzione del soprannaturale (fa segni e prodigi), l’interesse della chiesa posto al di sopra di Cristo stesso (impone a tutti di adorare la bestia marina

e la sua immagine), gli interessi economici (nes-suno poteva comprare né vendere).

La chiesa deve stare attenta a non cadere in tali seduzioni. Per questo il messaggio dei tre angeli punta sul ritorno all’adorazione di Dio creatore (primo angelo), sulla laicità dello Stato (lo Stato non si serve della chiesa né la chiesa dello Stato = secondo angelo, caduta di Babilonia), sulla liber-tà di coscienza e religione (terzo angelo, rifiuto del marchio della bestia).

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Ti fa paura il diavolo?

2. Ti consola sapere che i morti dormono, o preferiresti saperli vivi da qualche altra parte?

3. Ti mette a disagio dover contestare una teoria così ampiamente condivisa come quella evo-luzionista?

4. Quando, a tuo avviso, la chiesa rischia di mettersi al posto di Dio?

29

LEZIONE 10 - AMERICA E BABILONIA

Sabato 26 maggio | Settimana: 26 maggio - 1 giugno

INTRODUZIONE

La lezione di questa settimana si sofferma a con-siderare la bestia terrestre, un personaggio che compare in Apocalisse 13:11-18. Il contesto è quello del giudizio di Dio, rappresentato dalla settima tromba (11:15-19). Dio interviene a libe-rare il suo popolo, rappresentato dalla donna (12:1,2) e dai 144.000 (14:1-5), giudicando colo-ro che lo opprimono: il dragone (cap. 12), la be-stia marina (13:1-10) e, appunto, la bestia terre-stre (13:11-18). Due caratteristiche identificano quest’ultima con un falso profeta:1. Esteriormente sembra un agnello, ma dentro (la voce) è un dragone (v. 1). Ha dunque l’appa-renza di seguire Cristo (l’agnello), ma è complice del diavolo (il dragone). È una delle caratteristi-che con cui Gesù indica i falsi profeti (Mt 7:15);2. Seduce gli abitanti del mondo con segni e prodigi (Ap 13:13,14). Gesù invita a non lasciarsi sedurre dai miracoli dei falsi profeti (Mt 24:24).

Che la bestia terrestre sia un falso profeta, vie-ne confermato in Apocalisse 16:13. Accade spes-so che, quando il potere si unisce alla religione, abbia bisogno di legittimare questa unione at-traverso la meraviglia: imponenti costruzioni, abiti sontuosi, liturgie solenni, miracoli e segni prodigiosi più o meno leggendari, trasmettono nel fedele il sentimento di essere di fronte al so-prannaturale e lo inducono alla sottomissione. A chi? In astratto a Dio, in pratica a coloro che dicono di rappresentarlo. Non fraintendiamoci: il soprannaturale fa parte di Dio e ci aiuta a non perdere di vista la sua grandezza e trascendenza; non è bene però essere troppo sbilanciati in tal senso, dimenticando che la potenza del vangelo si rivela anzitutto nella croce di Cristo.

LA STATUA E IL NOME

Apocalisse 13:12: come la bestia terrestre non fa che legittimare l’autorità di quella marina, così la sottomissione di fronte a un’esagerata enfasi sulla trascendenza non fa che legittimare il po-tere religioso.

Vv. 14,15: questo passaggio richiama un episodio di Daniele 3, in cui i suoi tre compagni rischiano il martirio per essersi rifiutati di adorare la sta-tua d’oro di Babilonia. È un indizio sull’identità della bestia marina, che più avanti sarà identifi-cata proprio con Babilonia (14:8; 17:5).

IL MARCHIO E IL NUMERO

Apocalisse 13:16,17: una volta rafforzata l’u-nione tra potere e religione con l’inganno del soprannaturale e l’accentuazione della trascen-denza, un terzo potere si unisce all’orgia, quello economico. Il risultato finale è, ancora una volta, la fine della libertà (le persone vengono marchia-te come schiavi) e la persecuzione dei dissidenti. Il marchio imposto contiene il nome della bestia, che abbiamo già anticipato essere Babilonia, e chi lo porta le appartiene. Esso si colloca sulla mano destra e sulla fronte, laddove dovrebbe trovarsi il sigillo di Dio (7:2,3). Se il sigillo di Dio è lo Spi-rito Santo (Ef 1:13; 4:30) e indica che siamo figli di Dio (Ro 8:14-17), il marchio della bestia è il rifiuto di accoglierlo in noi, e quindi di apparte-nergli. Nella Lettera ai Galati la contrapposizione tra marchio e sigillo è indicata con le espressioni «opere della carne» e «camminare secondo lo Spirito» (5:16-18): nei versetti 19-21 viene presentata una descrizione del marchio della bestia, nei verset-ti 22,23 c’è una presentazione del sigillo di Dio. Nel prossimo studio vedremo che sigillo e mar-chio acquisiranno un ulteriore significato.

Apocalisse 13:18: infine, qui compare il famige-rato numero 666. Esso si basa sul «diabolico» 6 (7 e 12 sono i numeri di Dio, mentre le loro metà, 3 e mezzo e 6, sono del diavolo) e indica la somma di tutte le forze del male, quelle che Dio sta chia-mando a giudizio.

APPLICAZIONE

Anche questa profezia ci riporta al peccato dell’unione tra potere e religione, legittimata dall’inganno e dall’enfasi sul soprannaturale. Ci ricorda tanti errori della chiesa, come il mo-mento in cui ha deposto la croce di Cristo per sedersi sul trono di Cesare, come i secoli bui del-le persecuzioni e della caccia alle streghe, come l’immagine onnipotente di Dio trasmessa con stili sontuosi e imponenti che hanno cancellato il suo volto umile e paterno; ci ricorda come l’in-ganno di voler creare sulla terra il regno di Dio, dalla Ginevra di Calvino alla terra promessa de-gli Stati Uniti, si sia tradotto poi in intolleranza, persecuzioni, colonialismo e genocidio di interi popoli (pre-colombiani). Ma ci insegna anche che l’eccessiva enfasi sui miracoli e sulla potenza di Dio si traduce in fanatismo, che è compagno di tutte le forme di sottomissione, oppressione e

30

violenza. Ci invita a scegliere tra il sigillo dell’«a-more, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedel-tà, mansuetudine, autocontrollo» (Ga 5:22) e il mar-

chio dell’«idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte» (v. 20).

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Sottolineare la potenza e la maestà di Dio, attraverso la meraviglia e i miracoli, può non essere sempre positivo. Quali sono a tuo avviso i vantaggi che ne derivano? Quali gli svan-taggi?

2. Credi che il bisogno dei credenti avventisti, oggi, sia quello di ridurre l’enfasi sui miracoli o piuttosto quello di accrescerla? Motiva la tua risposta.

3. Quale immagine di Dio ti ha conquistato/a di più? Quella maestosa del Creatore potente e prodigioso, o quella intima del Padre Celeste?

4. Quando la sottomissione è un valore e quando un problema?

5. Rileggi il frutto dello Spirito in Galati 1:22. In quali punti hai delle difficoltà o carenze?

.

31

LEZIONE 11 - SIGILLO DI DIO O MARCHIO DELLA BESTIA?

Sabato 2 giugno | Settimana: 2 giugno - 8 giugno

INTRODUZIONE

In questa lezione approfondiremo due elementi a cui abbiamo accennato nella precedente: il si-gillo di Dio e il marchio della bestia.

In Apocalisse 7:3,4 il ritorno di Gesù è preceduto dall’apposizione del sigillo di Dio sui credenti. Il sigillo è un simbolo di appartenenza regale: ciò che è sigillato dal re (o da un’altra autorità) gli appartiene, proviene da lui. Il sigillo di Dio è lo Spirito Santo (Ef 1:13; 4:30), il quale ci riconcilia con Dio e ci fa prendere consapevolezza che ne siamo figli, eredi e coeredi di Cristo (Ro 8:14-17).

In Apocalisse 13:16,17 troviamo invece il marchio della bestia. Il marchio è un segno di schiavitù, che anticamente ricevevano animali e schiavi, proprietà dei loro padroni. Il contesto ci dice che si tratta della coercizione e violazione della liber-tà di coscienza. Esso viene apposto sulla fronte, al posto cioè del sigillo di Dio. Se il sigillo di Dio è lo Spirito Santo, il marchio della bestia ne è il rifiuto. In tal senso la differenza tra sigillo di Dio e marchio della bestia ricalca la contrapposizio-ne che Paolo fa in Galati 5:19-22 tra opere della carne (marchio) e frutto dello Spirito (sigillo).

Il marchio della bestia viene apposto però anche sulla mano, il che crea un collegamento seman-tico con Esodo 13:9,16 e Deuteronomio 6:6-8; 11:18. In questi testi Dio offre a Israele un segno da portare sulla mano come un anello (in genere per gli uomini) e sulla fronte come un diadema (in genere per le donne); si tratta di un segno di regalità, un altro modo di dire che tutto Israele è un popolo di re e sacerdoti, perché è figlio di Dio. Questo segno ha dunque la stessa funzione del sigillo, e rappresenta i comandamenti di Dio. Il legame tra Spirito Santo e comandamenti non è per nulla estraneo alla Bibbia:1. La festa di Pentecoste, che nella tradizione ebraica celebra il dono della legge, in quella cri-stiana ricorda il dono dello Spirito Santo (At 2);2. Ezechiele 36:26,27: lo Spirito Santo è colui che scrive le leggi di Dio nei nostri cuori.

Ma se il sigillo di Dio, oltre a essere lo Spirito Santo, è anche l’ubbidienza di cuore ai coman-damenti divini, il marchio della bestia rappre-senta in generale le opere della carne, ma nello specifico la violazione dei comandamenti divini.

Le due bestie di Apocalisse 13 e i loro marchiati certamente peccano di idolatria (violando primo e secondo comandamento: cfr. vv. 4,8,12,14) e di violenza (violando il comandamento «Non ucci-dere»: cfr. vv. 7,15).

In Apocalisse 14 ritroviamo il marchio della be-stia inteso come violazione della libertà di co-scienza e dei comandamenti di Dio nel messag-gio del terzo angelo (v. 9), la caduta di Babilonia (la fine del potere temporale della chiesa) nel messaggio del secondo angelo (v. 8) e l’invito ad adorare Dio nel primo messaggio (v. 7). Quest’ul-timo invito non è a una generica adorazione, ma si adora Dio come creatore. Abbiamo già detto che adorare Dio creatore significa innanzitutto prendersi cura delle sue creature, ma che il segno di tale adorazione è proprio il sabato. L’invito ad adorare «colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque», d’altronde, sembra richiama-re proprio al conclusione del quarto comandamento: «poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi» (Es 20:11,pp).

Se il sabato è dunque rilevante nel messaggio del primo angelo, e la violazione dei comandamen-ti divini (marchio della bestia) è implicita nella denuncia del terzo angelo, allora il marchio del-la bestia ha un risvolto ancora più specifico: è la violazione del sabato. Il marchio della bestia ha dunque una definizione generale di «opere della carne» e violazione dei comandamenti divini, e una specifica di violazione del sabato. Lo stesso accade per il sigillo di Dio, che ha una definizione generale di «frutto dello Spirito» e ubbidienza alle leggi di Dio, e più specifica di osservanza del sabato.

Da qui deriva la comprensione profetica avven-tista per il quale un giorno, subito prima del ri-torno di Cristo, sarà proprio l’osservanza o meno del sabato il segno che distinguerà i sigillati di Dio dai marchiati dal diavolo.

ERRORI DA EVITARE

Ce ne sono due, uno formale e uno sostanziale.

Quello formale è la seguente affermazione: il sa-bato è il sigillo di Dio, la domenica il marchio del-la bestia. Se fosse così, saremmo giunti a un’in-terpretazione di un testo oscuro che contraddice le cose chiare della Bibbia. Il vangelo afferma chiaramente che il giudizio spetta a Dio, non agli uomini. La frase sopra, invece, renderebbe il giu-

32

dizio una cosa semplicissima alla portata di tutti: chi osserva il sabato è figlio di Dio, tutti gli altri no. Sia il vangelo sia la realtà contraddicono ab-bondantemente questa deduzione.

Altro elemento chiaro del vangelo è che il giu-dizio non viene fatto su aspetti formali, ma so-stanziali. Secondo Matteo 25:31-46, a nessuno, in giudizio, viene chiesto conto del sabato o del-la religione professata, ma piuttosto della cura avuta o meno verso tutti gli esseri umani, soprat-tutto i più svantaggiati (poveri, ammalati, stra-nieri, carcerati).

Affermare che Albert Schweitzer o Teresa di Cal-cutta avessero il marchio della bestia perché, pur conoscendo la Bibbia, non osservavano il sabato, sarebbe perlomeno un segno di confusione te-ologica o spirituale. Al contrario, i membri del sinedrio che condannarono Gesù a morte erano tutti scrupolosi osservatori del sabato.

La profezia, se correttamente compresa, annun-cia un periodo in cui tra gli esseri umani ci sarà una sostanziale, e non formale, differenza: alcu-ni perseguiteranno e uccideranno, altri saranno disposti a morire pur di rimanere fedeli a Dio. In quel contesto il sabato farà la differenza (sem-pre se abbiamo ben compreso la profezia) non

in quanto tale, ma in quanto segno esteriore di una differenza interiore profonda tra chi uccide nel nome del proprio Dio e chi viene ucciso per la sua fede in Dio. Fino a quel momento, il sa-bato resta uno dei doni di Dio dati per la felicità dell’uomo in questa vita, senza che esso determi-ni nulla sul piano della salvezza.

L’errore sostanziale è invece la «fregatura» della legge domenicale. A parte che tecnicamente il problema non sarebbe una legge che impones-se l’osservanza della domenica, ma una che vie-tasse quella del sabato, il punto è che si rischia fortemente di confondere la realtà con il segno di quella realtà. Nel mondo ci sono già tante per-secuzioni, come sempre ce ne sono state, non solo nei confronti dei cristiani di ogni denomi-nazione, ma anche verso tante altre confessioni. Il rischio è che l’avventista, distratto da quella specifica persecuzione che deve venire, chiuda gli occhi o sottovaluti il valore di tutte le altre già in atto; distratto dal diritto al riposo sabatico, chiuda gli occhi di fronte a tutti gli altri diritti calpestati. Un credente, di qualunque confessio-ne, che muore per la sua fede, ha il sigillo di Dio ed è degno di considerazione, interesse e aiuto da parte di chiunque si consideri figlio o figlia di Dio.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Sigillo e marchio. Regalità e schiavitù. Anche il sabato, come tutta la legge di Dio, può di-ventare un marchio di schiavitù se osservato nel modo sbagliato. Quale potrebbe essere un modo sbagliato di osservare la legge e il sabato?

2. Sinceramente, ti senti schiavo di certe regole che la chiesa insegna o le accogli come un privilegio?

3. Come si fa a essere onesti e sinceri senza ferire né giudicare l’altro?

33

LEZIONE 12 - BABILONIA E HARMAGHEDON

Sabato 16 giugno | Settimana: 16 giugno - 22 giugno

INTRODUZIONE

In questa lezione approfondiremo altre due im-magini apocalittiche: Babilonia e la guerra di Harmaghedon. Siamo nel contesto delle piaghe, una descrizione simbolica e drammatica del giu-dizio che accompagnerà il ritorno di Cristo. In particolare, le due immagini che prendiamo in considerazione sono legate alla sesta e settima piaga.

LA SESTA PIAGA

Apocalisse 16:12: la sesta piaga è il prosciuga-mento del fiume Eufrate e la preparazione per la battaglia di Harmaghedon. Il primo è un evento salvifico: come Dio, dopo le piaghe, salvò Israele dall’Egitto prosciugando il Mar Rosso (Is 51:10), così adesso prepara la strada per i re dell’Oriente prosciugando l’Eufrate. Il profeta Zaccaria, inve-ce, paragona la caduta dell’Assiria e dell’Egitto al prosciugamento delle profondità del fiume (Za 10:11).

Anche per la Babilonia storica, il prosciugamen-to delle sue acque veniva indicato da Geremia come un segno della sua caduta (Gr 50:38). Non possiamo, infatti, non vedere in questa piaga un riferimento alla vicenda della caduta dell’antica Babilonia: mentre il re e tutte le autorità erano a palazzo a festeggiare i loro dèi e a insultare l’Eterno (Da 5), Ciro il Grande arrivò con il suo esercito alle porte di Babilonia. Non potendola espugnare perché le mura erano poderose, egli deviò il corso del ramo dell’Eufrate che attraver-sava la città, il letto si prosciugò e Ciro passò sot-to le mura e diede alle fiamme Babilonia. Cadde così il Secondo impero babilonese e sorse l’Impe-ro medo-persiano.

Ciro, nella Bibbia, è presentato come un tipo del Messia (Is 44:28; 45:1) e in questo caso rappre-senta Cristo stesso; infatti, l’espressione «prepa-rare la via» nella Bibbia si riferisce sempre a Dio o al suo popolo. C’è anche da considerare che l’Orien-te, nella Bibbia, è riferito spesso a Dio e a ciò che gli appartiene; inoltre, l’espressione «i re dell’oriente» richiama pure la figura di Cristo Re, perché ricorda l’episodio dei re dell’Oriente che vennero ad adorare il Re d’Israele (Mt 2:1-12). Il senso della sesta piaga, dunque, è che il ritorno di Cristo coi suoi santi, i «re dell’Oriente» (Da 7:18; Ap 1:6; 20:6) sarà precedu-to dalla caduta di Babilonia, cioè di tutto quel

sistema illecito di potere politico-religioso-eco-nomico che ha portato al delirio di onnipotenza e alla persecuzione (cfr. cap. 13).

HARMAGHEDON

Apocalisse 16:13-16: a questo punto, dalla boc-ca del dragone (Satana: cfr. 12:9), della bestia (marina: cfr. 13:1-10) e del falso profeta (bestia terrestre: 13:11-17) sorgeranno 3 spiriti immon-di simili a rane, che richiamano la seconda pia-ga d’Egitto (Es 8:1-15). Apocalisse 16:14 ci spie-ga che questi spiriti rappresentano quelle forze malvagie che compiranno miracoli e prodigi per ingannare gli uomini (Mt 24:14), e inganneran-no i re della terra per radunarli nella guerra del gran giorno di Dio Onnipotente, in un luogo det-to Harmaghedon.

Il gran giorno di Dio è il giorno in cui egli giu-dicherà e distruggerà i nemici, salvando il suo popolo. Harmaghedon, invece, è il monte di Me-ghiddo, termine che vuol dire «strage», «massa-cro». Nella pianura di Meghiddo venne ucciso il re Giosia, uno dei migliori (2 R 23:29,30) e tutto Israele fu in un grande cordoglio (Za 12:11); sem-pre nella stessa valle i giudici Deborah e Barak guidarono il popolo nella vittoria sui Cananei (Gc 5:19) e in essa si abbatté il giudizio di Dio su tutta la malvagia dinastia di Acab per mano di Ieu (2 R 9:27). Harmaghedon è dunque un monte di giudizio, con lacrime di gioia per alcuni e di dolore per altri.

Inoltre, il monte adiacente alla pianura di Me-ghiddo è il Carmelo, che richiama i seguenti epi-sodi: 1. Elia affrontò da solo gli 850 profeti di Baal e Astarte (1 R 18);2. Amos vide la sommità del Carmelo inaridi-ta a causa del giudizio di Dio contro vari popoli che circondavano Israele e Giuda (Am 1:2);3. Naum vide il Carmelo inaridire a causa del giudizio su Ninive che opprimeva il regno di Giuda.

Anche il Carmelo, dunque, rappresenta il popo-lo di Dio circondato dai suoi nemici, ma che vie-ne liberato grazie all’intervento di Dio.

Possiamo concludere, dunque, dicendo che la se-sta piaga è la preparazione di una grande guer-ra: da un lato Dio prosciuga l’Eufrate, cioè pre-

34

para la caduta di Babilonia e il ritorno di Cristo, dall’altro il dragone e i suoi alleati si preparano ad annientare il popolo di Dio.

In Apocalisse 16:15 c’è una beatitudine: Dio ver-rà come un ladro, espressione che indica il ritor-no di Cristo, e beati, perché salvati, saranno colo-ro che vegliano, cioè osservano i segni dei tempi (Mt 24:42-44), conservano le vesti, simbolo della giustizia di Cristo (cfr. Ap 3:4) e coprono la pro-pria nudità, simbolo del peccato (Ge 3:7).

LA SETTIMA PIAGA

Apocalisse 16:17-21: la settima piaga è un terre-moto che sconvolge la terra, distrugge Babilonia e uccide gli uomini con una terribile grandine: è la fine di tutto determinata dal ritorno di Cristo. Infatti l’evento successivo sarà il ritorno di Gesù (19:11), in quanto il capitolo 17 è una parentesi sull’identità di Babilonia, il capitolo 18 è un la-mento su Babilonia e il capitolo 19:1-10 è un inno di vittoria.

Il ritorno di Cristo è preceduto da voci, tuoni, lampi e un grande terremoto. Il terremoto è il più grande che ci sia mai stato «da quando l’uomo è sulla terra»: questa espressione richiama la gran-de tribolazione finale di cui si parla in Daniele 12:1 e Matteo 24:21, e ci annuncia il giudizio di Cristo che metterà fine a tutte le sofferenze del mondo.

In seguito al terremoto, Babilonia si spacca in tre parti (le tre che la compongono: dragone, bestia e falso profeta) e cade assieme a tutte le città del mondo: abbiamo già detto che Babilonia rappre-senta l’unione illecita tra potere, religione e sol-di, il cui risultato è la tirannia e la persecuzione. Essa cadrà al ritorno di Gesù per non rialzarsi mai più, perché il regno di Dio sarà portatore di pace e giustizia. Oltre al terremoto, isole e monti scompaiono, eventi catastrofici tradizionalmente associati al ritorno di Gesù (Gl 2:30-31; Mt 24:29-30). L’ultimo di essi è la grandine, che precede appunto l’apparizione di Gesù (Ap 19:11). Essa richiama la settima delle piaghe egiziane (Es 9:18-34). È spaventosa (blocchi del peso di un talento, quasi 50 Kg) e fa tante vittime tra le per-sone (al punto che gli uomini bestemmiano Dio). Il senso di tutto questo è che il ritorno di Cristo è la beata speranza per chi crede (Tt 2:13), ma è giorno di cordoglio per i malvagi (Mt 24:30).

BABILONIA: LA PROSTITUTA

Come abbiamo già anticipato, la settima piaga continua in Apocalisse 19:11 con l’apparizione di Gesù che ritorna; tutta la sezione invece di

Apocalisse 17:1 – 19:10 è una lunga parentesi che contiene delle spiegazioni sull’identità di Babi-lonia (17), un lamento sulla caduta di Babilonia (18) e un inno di vittoria dei redenti (19:1-10).

Apocalisse 17:1,2: questo testo presenta Babilo-nia come la grande prostituta che siede sopra molte acque. In generale, i profeti chiamano pro-stituzione l’idolatria (Is 57; Gr 2:12 – 3:5; Ez 16:15-59; 23). Babilonia è idolatra e prostituta perché ha preferito il trono alla croce, tradendo Gesù e il suo vangelo con due amanti, il potere politi-co ed economico. La prostituta si contrappone alla donna, che invece rimane fedele alla croce di Cristo (Ap 12). Le molte acque su cui siede la prostituta rappresentano i popoli e le moltitudi-ni (cfr. 17:15); e infatti, il versetto 2 specifica che tanti re e abitanti della terra sono stati inebriati dal vino della sua fornicazione e idolatria.

Apocalisse 17:3,4: nel deserto, Giovanni vede la prostituta seduta su una bestia di colore scarlatto con 7 teste e 10 corna, piena di nomi di bestem-mia, la stessa di Apocalisse 13:1-10; si tratta di una somma del dragone rosso a 7 teste e 10 corna di Apocalisse 12 (Satana), e la bestia a 7 teste e 10 corna di Apocalisse 13 (potere politico-religio-so). La bestemmia nella Bibbia consiste nel voler prendere il posto di Dio (il suo trono), mentre il colore rosso scarlatto richiama il sangue dei mar-tiri e della persecuzione (cfr. v. 6).

Apocalisse 17:5,6: la prostituta porta un nome mi-sterioso sulla fronte: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra». Babi-lonia rappresenta l’idolatria, e l’idolatria è la madre di tutte le infedeltà che si possono commettere nei riguardi di Dio. Questo nome che la prostituta ha sulla fronte è lo stesso marchio che viene apposto sulla fronte o sulla mano destra di tutti coloro che si piegano alla sua volontà (Ap 13:16,17; 14:9,10); quanto a coloro che hanno rifiutato il marchio, cioè i fedeli, la prostituta è ebbra del loro sangue, il san-gue della persecuzione (cfr. 13:7).

BABILONIA: LA BESTIA

Apocalisse 17:8: l’angelo fornisce qualche spie-gazione sulla bestia. Essa era, non è, deve salire e andare in perdizione. Ha i tratti dell’anticristo perché cerca di essere pari a Dio (Colui che è, che era e che viene, cfr. 1:8) senza riuscirci: la sua fine è la perdizione. Babilonia è un peccato che ritorna ciclicamente nella storia della chiesa e del mondo, ma che conoscerà una fine definitiva con il ritorno di Gesù. Fino ad allora, la sua capacità di ritornare ogni volta e riproporsi suscita mera-viglia.

35

Dopodiché, l’angelo fa un’affermazione: «Qui occorre una mente che abbia intelligenza» (v. 9). La stessa affermazione era stata fatta in 13:18, per introdurre un criterio di identificazione della be-stia, cioè il numero del suo nome (666). Anche qui l’espressione introduce un elemento di iden-tificazione della bestia: le 7 teste sono 7 monti, sui quali la donna siede, e 7 re. Questo dettaglio identifica la bestia con Roma, persecutrice dei cristiani, di cui sono famosi i 7 colli (Aventino, Palatino, Quirinale, Viminale, Celio, Esquilino, Campidoglio) e i 7 re (Romolo, Numa Pompi-lio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo). Roma è l’in-carnazione del peccato di Babilonia all’epoca di Giovanni (cfr. v. 18, dove senza dubbio la prosti-tuta è identificata con Roma); poi lo sarà lo Sta-to Pontificio, e in generale lo sono oggi tutte le realtà totalitarie, che uniscono potere e religione perseguitando chi liberamente vuol seguire la propria coscienza.

Sul v. 10 c’è grande incertezza, perciò preferisco soprassedere. Un’altra frase misteriosa è quella

del v. 11, secondo la quale la bestia viene dai set-te re ed è anche un ottavo re. Che cosa significa? Anche qui c’è poco di sicuro. Forse Giovanni vuo-le indicarci che la bestia che ciclicamente muore e torna in vita, lo fa riproponendosi sempre con qualcosa di vecchio (viene dai sette re) e qualco-sa di nuovo (è un ottavo re): vecchia nell’essenza (tirannia e persecuzione), nuova nelle forme e nei soggetti (imperi, regni, religioni, ecc.).

Vv. 12-14 Quanto alle 10 corna, rappresentano dei re che devono ricevere potestà assieme alla bestia per un’ora, un lasso di tempo molto bre-ve. Lo scenario che precede il ritorno di Cristo prevede quindi un tentativo di unità nel mondo, tentativo che fallisce miseramente perché tutti i progetti totalitari, basati su tirannia e persecu-zione, sono destinati a crollare. Questa volta sarà Gesù stesso (l’Agnello) a mettere fine alla tiran-nia e inaugurare il suo regno eterno. La vittoria sarà sua e del suo popolo, l’insieme di coloro che sono chiamati, eletti e fedeli: i primi due termini pongono l’enfasi sulla grazia di Dio, il terzo sulla risposta.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Sei più felice per il ritorno di Gesù o preoccupato per gli eventi che lo precedono?

2. Quanto è importante dotarsi di anticorpi contro Babilonia? Quali sono questi anticorpi?

3. Democrazia e diritti umani devono essere di interesse della chiesa? Quanto c’entrano con Babilonia?

4. Le persecuzioni religiose ci sono sempre state e ci sono tuttora. Dove si trova la forza di credere, quando la fede non solo non ti porta vantaggi, ma ti procura guai?

36

LEZIONE 13 - IL RITORNO DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ

Sabato 23 giugno | Settimana: 23 giugno - 29 giugno

INTRODUZIONE

Nella lezione 7 abbiamo già parlato del ritorno di Gesù. Vorrei concludere questo trimestre, allora, con qualche pennellata fugace di quel mondo nel quale sono riposti i nostri desideri: la nuova terra.

COSE NUOVE

Apocalisse 21:1: come all’inizio la terra era informe e vuota, e poi Dio creò tutto quanto (Ge 1), così, dopo un millennio in cui la terra sarà stata informe e vuota, Dio creerà nuovi cieli e la terra (Is 65:17; 66:22), dove abitino perfezione e giustizia.

Ma perché una nuova creazione? Romani 8:19-23: anche la natura attende la liberazione dalla corruzione del peccato; come il peccato degli uomini ha prodotto conseguenze su di essa (Ge 3:17-19), così la salvezza degli uomini si esten-derà a essa. È giusto che sia così. La nuova ter-ra non è quindi un’azione divina in funzione dell’essere umano (che è già felice nel regno dei cieli), ma un progetto di Dio per tutte le creature.

Apocalisse 21:1 Il mare non ci sarà più. Il mare che non c’è più è quello tempestoso (Da 7:2,3; Ap 13:1), simbolo del tumulto dei popoli, delle violenze, del sangue e delle guerre che hanno se-gnato la nascita e la caduta dei vari imperi; tutto questo non c’è più, e al suo posto c’è il mare di vetro (4:6; 15:2), simbolo di un unico popolo che vive in pace e unito nell’adorazione del Signore.

LA SPOSA

Apocalisse 21:2: a questo punto, Giovanni vede la nuova Gerusalemme scendere dal cielo. La nuova Gerusalemme è il popolo di Dio, con-trapposta a Babilonia, nemica del popolo di Dio. Non è la prima volta che la chiesa viene parago-nata a una sposa. Mentre siamo su questa terra, la chiesa è «fidanzata» a Gesù, col quale avrà modo di unirsi per sempre al suo ritorno. All’epoca, infatti, il fidanzamento aveva valore legale, al punto che l’in-fedeltà nel fidanzamento era punita con la morte (De 22:23-28; Mt 1:18-19); il matrimonio si differenziava dal fidanzamento perché si andava a vivere insieme e si consumava. Allo stesso modo, la chiesa è fidanzata a Gesù e già appartiene a lui (Gr 2:2; Os 2:19-20; 2 Co 11:2), ma ne aspetta il ritorno per celebrare il ma-trimonio, le «nozze dell’agnello» (Ap 19:7). Gesù e la sposa (i salvati) vengono in un primo tempo accolti nella casa del Padre dello sposo (Gv 14:2-

3), poi vanno ad abitare nella loro nuova casa, la nuova terra.

IL TABERNACOLO

Apocalisse 21:3: una voce dal cielo annuncia questo matrimonio con la venuta del tabernaco-lo di Dio con gli uomini, nel quale egli abiterà con loro e saranno un solo Dio per un solo popo-lo (Za 2:10,11). Il tabernacolo, o tenda, era la co-struzione precaria nella quale vivevano gli Israe-liti nel deserto (Nu 1:52), e nella quale si trovava il santuario di Dio fino al tempo di Salomone (2 S 7:1-13). Era una sensazione bellissima quella che il Dio dell’universo abitasse in una tenda in mezzo alle tende del suo popolo! Perché il po-polo non dimenticasse mai quei giorni, doveva celebrare la festa dei tabernacoli (o delle tende o capanne: Le 23:39-44). Come le altre feste di Le-vitico 23, anche questa ha un significato profeti-co, anzi due:1. Giovanni 1:14: con la sua incarnazione, Gesù, che è Dio, è venuto ad abitare insieme agli uomi-ni; il termine greco tradotto «abitare» ha la stes-sa radice di tabernacolo, perciò se traducessimo alla lettera dovremmo dire «egli ha tabernacola-to fra di noi», «egli ha posto la sua tenda fra noi»;2. Apocalisse 21:3: nella nuova terra, Dio abiterà insieme a noi, piantando la sua tenda in mezzo alle nostre.

A questo punto, è facile fare un ulteriore passo e arrivare alla conclusione che, più precisamente, colui che abiterà con gli uomini sulla terra sarà Gesù. Infatti Gesù si è fatto uomo (Gv 1:14), è risorto uomo (Lu 24:36-43), è salito in cielo da uomo (At 1:9-11), ritornerà da uomo (Mt 24:30): chi crede che il sacrificio di Gesù sia durato solo 33 anni, sbaglia di grosso, perché il sacrificio di Gesù è un sacrificio eterno, in quanto la sua in-carnazione durerà per sempre. Gesù, Eterno Dio, è anche uomo per l’eternità, e per questo sarà lui a venire ad abitare in mezzo a noi nella nuova terra, per l’eternità. Oh profondità dell’amore di Dio! Noi, che eravamo le più disgraziate di tutte le creature a causa del peccato, diventeremo, per l’immenso amore di Dio, oggetto del privilegio più grande, quello di poter godere della presen-za diretta e reale di Cristo per l’eternità.

37

TUTTO È COMPIUTO

Apocalisse 21:4-7: nella nuova terra, la morte, il dolore, la malattia, il peccato e la violenza faran-no parte del passato (Is 25:8; 30:19; Ap 7:17). È possibile che Giovanni, di fronte a una promes-sa e una prospettiva troppo bella come questa, abbia stentato a crederci; forse per questo Gesù ribadisce che farà nuova ogni cosa (2 Co 5:17) e gli ordina di scrivere, perché le parole della pro-messa sono veraci, cioè non sono favole, e fedeli, ossia si compiranno certamente perché Dio non manca mai alle sue promesse.

Alla fine, «Ogni cosa è compiuta». Stavolta davvero il piano della salvezza è concluso; questa espres-sione, che ritroviamo nei momenti più importan-ti del piano di Dio (creazione: Ge 1; sacrificio: Gv 19:30; distruzione dei malvagi al suo ritorno: Ap 16:17), chiude per sempre la lunga e millenaria parentesi del peccato e del male, che non si ripe-teranno mai più. Solo Gesù poteva fare questo, perché egli è il principio e la fine, e solo lui può dare l’acqua della vita a chi ha sete, simbolo del-la vita eterna (Gv 4:14). Tutte queste promesse sono per chi vince (1 Gv 5:4,5; Ap 2:7,11,17,26; 3:5,12,21), cioè per tutti coloro che, grazie a Cri-sto, escono vittoriosi dal gran conflitto tra bene e male (Ef 6:10-18). I vincitori sono figli di Dio ed eredi di tutte queste cose (Ro 8:14-17).

LA NUOVA VITA

Isaia 65:17-25; 11:4-9: questo testo è una descri-zione del nuovo mondo a partire dalle cose belle che ci sono in questa vita. Non va quindi studia-ta nei dettagli, ma nel suo senso profondo: 1. Tutto ciò che di bello puoi immaginare, ci sarà; 2. Sarà un mondo totalmente felice; 3. Ci sarà armonia perfetta tra Dio e uomini; 4. Ci sarà armonia perfetta tra gli uomini; 5. Ci sarà armonia perfetta della natura e con la natura.

Noi potremmo continuare questa lista pensando a ciò che ci rende felici: sarà una vita molto atti-va, in cui ogni uomo avrà possibilità di crescita infinite; non ci saranno più né fatica, né fallimen-ti, né lotte e competizioni; si faranno tutte le at-tività più belle e salutari, senza più ostacoli di alcun tipo alla crescita e alla felicità.

Filippesi 3:20,21: non saremo spiritelli disincar-nati, ma esseri corporali, con un corpo «confor-me» a quello glorioso di Cristo risorto (Gv 20: 19-28).

1 Corinzi 15:51-54: i nostri corpi saranno incor-ruttibili e immortali, quindi impossibilitati al do-lore e alla morte, e saranno perfetti, senza alcun difetto. Gesù questo lo anticipava ogni giorno sanando malattie e infermità di tutti i tipi.

DOMANDE PER LA CONDIVISIONE

1. Cosa vorresti salvare di questo mondo nella nuova terra, e cosa vorresti che non ci fosse più?

2. L’immagine del fidanzamento e matrimonio ti fa sentire amato/amata? Quali sono le im-magini di Dio che preferisci?

3. Sei sorpreso/sorpresa di sapere che la nuova terra è un atto salvifico di Gesù per gli animali e tutte le altre creature? Che cosa implica questo riguardo al nostro modo di rapportarci con gli animali e la natura?

LETTURE CONSIGLIATE

A. CARACCIOLO, Capire Daniele, Edizioni ADV, Impruneta FI, 1998.J.B. DOUKHAN, Il grido del cielo, Edizioni ADV, Impruneta FI, 2001. J.B. DOUKHAN, I segreti di Daniele, Edizioni ADV, Firenze, 2014. G. LEONARDI, Il ritorno annunciato, Edizioni ADV, Impruneta FI, 2008.A. PELLEGRINI, Quando la Profezia diventa Storia, Edizioni ADV, Impruneta FI, 1998.S. SCUCCIMARRI, La speranza nell’Apocalisse, Edizioni ADV, Firenze, 2015. S. SCUCCIMARRI, Alla corte di Nabucodonosor, Segni dei Tempi 2/2017, Edizioni ADV, Firenze, 2017.J.C. VERRECCHIA, Dio senza fissa dimora, Segni dei Tempi 2/2014, Edizioni ADV, Firenze, 2014.