Il negozio giuridico simulato. Note introduttive · Metodo. Teoria. Pratica, Milano, 1951, 541). Il...

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Il negozio giuridico simulato. Note introduttive 1. Simulazione e negozio giuridico simulato – Affinché una riflessione di carattere generale sulla simulazione del negozio giuridico possa aspirare ad avere anche una qualche rilevanza applicativa – posto che la stessa intitolazione tradisce l’impostazione classica, si direbbe più tradizionale della materia, con un chiaro sbilanciamento sul piano teorico generale – occorrerebbe muovere dalla ricerca delle ragioni sia della disciplina codicistica in questa materia, sia soprattutto dell’interesse, sempre mostrato nel nostro ordinamento (soprattutto dalla dottrina) nei confronti del fenomeno giuridico dell’apparenza, cui fa capo, in modo si direbbe quasi naturale, qualsiasi considerazione in tema di simulazione. In questa indagine, un primo elemento di riflessione ci viene offerto dalla comparazione nel senso che in via di principio in Italia gli effetti del negozio sono quasi sempre i medesimi, tra le parti e nei confronti dei terzi. Il diritto angloamericano – mediante la contrapposizione fra common law e equity, ossia mediante la figura del trust, che assegna al trustee la proprietà operante verso i terzi, all’equitable owner la proprietà interna – disincentiva le interposizioni fittizie. Il diritto tedesco, a sua volta, ricollega i trapassi di proprietà ad atti esteriorizzati, e liberalizza invece la costituzione di rapporti obbligatori. In Italia l’interposizione fittizia è anche la risposta sociale alla legge scritta che non istituzionalizza i rapporti fiduciari. (SACCO e [De Nova], Il contratto, 1 ed., in Trattato di diritto civile, Torino, 1993, 506 s.) Un'altra ragione può essere colta nel legame culturale molto forte con gli schemi contrattuali tipizzati e collaudati, che, se non impedisce, comunque limita la costruzione di modelli diversi, nel senso che la condotta notarile [è] propensa a tipizzare i negozi riducendoli a pochi tipi molto collaudati. Lo scarto fra il tipo adottato esterrnamente e quello che si vuole adottare in realtà si colma con una controdichiarazione. (SACCO, ibid., 3 ed.) Infine, vi è quella che potrebbe essere considerata la giustificazione pratica più immediata, secondo un’opinione diffusa, della simulazione in chiave di tendenza dell’autonomia privata come esigenza delle parti di aggiramento della disciplina cogente (per lo più quella fiscale o per altro verso vincolistica, potendo ricordarsi gli esempi, a tutti noti, delle prelazioni legali, con il caso emblematico della disciplina in materia di trasferimento di fondi rustici e dei limiti alla libertà di testare, nella prospettiva di tutela dei legittimari).

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Il negozio giuridico simulato. Note introduttive

1. Simulazione e negozio giuridico simulato – Affinché una riflessione di

carattere generale sulla simulazione del negozio giuridico possa aspirare ad avere anche

una qualche rilevanza applicativa – posto che la stessa intitolazione tradisce

l’impostazione classica, si direbbe più tradizionale della materia, con un chiaro

sbilanciamento sul piano teorico generale – occorrerebbe muovere dalla ricerca delle

ragioni sia della disciplina codicistica in questa materia, sia soprattutto dell’interesse,

sempre mostrato nel nostro ordinamento (soprattutto dalla dottrina) nei confronti del

fenomeno giuridico dell’apparenza, cui fa capo, in modo si direbbe quasi naturale,

qualsiasi considerazione in tema di simulazione.

In questa indagine, un primo elemento di riflessione ci viene offerto dalla

comparazione nel senso che

in via di principio in Italia gli effetti del negozio sono quasi sempre i medesimi, tra le parti e nei confronti dei terzi. Il diritto angloamericano – mediante la contrapposizione fra common law e equity, ossia mediante la figura del trust, che assegna al trustee la proprietà operante verso i terzi, all’equitable

owner la proprietà interna – disincentiva le interposizioni fittizie. Il diritto tedesco, a sua volta, ricollega i trapassi di proprietà ad atti esteriorizzati, e liberalizza invece la costituzione di rapporti obbligatori. In Italia l’interposizione fittizia è anche la risposta sociale alla legge scritta che non istituzionalizza i rapporti fiduciari.

(SACCO e [De Nova], Il contratto, 1 ed., in Trattato di diritto civile, Torino, 1993, 506 s.)

Un'altra ragione può essere colta nel legame culturale molto forte con gli

schemi contrattuali tipizzati e collaudati, che, se non impedisce, comunque limita la

costruzione di modelli diversi, nel senso che la

condotta notarile [è] propensa a tipizzare i negozi riducendoli a pochi tipi molto collaudati. Lo scarto fra il tipo adottato esterrnamente e quello che si vuole adottare in realtà si colma con una controdichiarazione.

(SACCO, ibid., 3 ed.)

Infine, vi è quella che potrebbe essere considerata la giustificazione pratica più

immediata, secondo un’opinione diffusa, della simulazione in chiave di tendenza

dell’autonomia privata come esigenza delle parti di aggiramento della disciplina

cogente (per lo più quella fiscale o per altro verso vincolistica, potendo ricordarsi gli

esempi, a tutti noti, delle prelazioni legali, con il caso emblematico della disciplina in

materia di trasferimento di fondi rustici e dei limiti alla libertà di testare, nella

prospettiva di tutela dei legittimari).

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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Ciò premesso in termini molto generali, è necessario chiarire subito che un

problema sul piano legislativo, o in senso lato normativo, avente ad oggetto la

simulazione del negozio giuridico può sorgere essenzialmente, se non esclusivamente,

nel momento in cui ci si ponga nella prospettiva della tutela del terzo, il quale sia

interessato, in un modo o in un altro, a quanto le parti del contratto simulato hanno

inscenato.

E’ evidente, infatti, che se si trattasse di stabilire soltanto che il contratto

simulato non produce effetti fra le parti – questo è peraltro l’unico dato certo in materia,

secondo quanto rilevava già MESSINA, La simulazione assoluta, in Riv. dir. comm.,

1907, I, 393, e 1908, I, 10 e in Scritti giuridici, Milano, 1948, V, 69 ss., ripreso più tardi

da AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico. Premesse generali, Napoli, 1957,

1, proprio in apertura del suo fondamentale contributo -, non vi sarebbe la necessità di

una disciplina ad hoc, in quanto al medesimo risultato si potrebbe (e si dovrebbe)

pervenire constatando che quanto esternato non è vincolante perché manca il carattere

impegnativo dell’accordo e, quindi, la lacuna riguarderebbe l’essenza del contratto

(simulato). Così come, nel caso della cosiddetta simulazione relativa, la disciplina

dell’interpretazione del contratto, nel senso dell’accertamento della volontà comune

dei contraenti alla stregua di tutti i criteri ivi previsti, sarebbe sufficiente a rispondere

alla domanda circa l’efficacia e la vincolatività del regolamento d’interessi sancito nel

contratto “dissimulato” (ossia nella controdichiarazione), a patto ovviamente che la

mancanza dei requisiti di sostanza e forma non conducano all’invalidità di quest’ultimo

contratto.

Quanto appena considerato, lo si comprende meglio in chiave comparativa:

A rigore, la simulazione non ha bisogno di regole legali sue proprie. In nessun ordinamento è vincolante un discorso perplesso con cui taluno dichiara che si impegna e contemporaneamente fa sapere che l’impegno è puramente finto. Se così non fosse, le dichiarazioni sceniche o non serie sarebbero vincolanti. Il discorso perplesso ora descritto non significa assunzione di un impegno, e giuridicamente non è una dichiarazione di volersi impegnare. Il problema giuridico sorge solo quando un terzo invochi un frammento di questo discorso, e precisamente il frammento pervenuto a sua conoscenza, con cui l’agente diceva d’impegnarsi. Per il terzo quel frammento aveva tutta l’apparenza della dichiarazione, e il terzo invoca il diritto di fidarsi dell’apparenza. La soluzione che l’ordinamento predispone per rispondere a questa domanda dl terzo può essere varia. Può avvenire, innanzi tutto, che l’ordinamento adotti regole generali che governano ogni fatto apparente, oppure ogni fatto esteriorizzato (né il diritto inglese né quello tedesco hanno regole per la protezione specifica del terzo, ma hanno regole sui fatti esteriorizzati). Può poi avvenire che il legislatore concentri la sua attenzione sulla simulazione, cioè sull’apparato cui le parti ricorrono per simulare, sull’attività di mistificazione in quanto tale; ovvero può darsi che polarizzi le soluzioni sul contratto apparente, soffermandosi il meno possibile sulla genesi di tale pseudocontratto. Quest’ultimo atteggiamento consentirà di inquadrare il contratto simulato in una categoria meno nota di

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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contratto invalido: nella categoria, cioè, del flatus vocis cui non risponde una effettiva volontà dell’interessato: flatus vocis che concordemente il diritto naturale, nonché la tradizione romano-comune, condannano all’irrilevanza.

(SACCO, ibid., 3 ed.)

Se così è, si comprende come già il Code Napoleon, lungi dal costruire

un’impalcatura formale di disciplina della simulazione, regolasse le cosiddette

“contrelettres” (cioè le controdichiarazioni, nel gergo della nostra letteratura in

materia: l’art. 1321 dispone che “les contrelettres ne peuvent avoir leur effect qu’entre

les parties contractantes; elles n’ont point d’effect contre les tiers”, con la chiara

percezione che il problema reale è quello probatorio ossia la soluzione del conflitto tra i

relativi mezzi di prova). Anche il codice civile del 1865, in tal senso, si rifaceva alle

“controdichiarazioni fatte per privata scrittura” (art. 1319 c.c. 1865), confermando

l’impostazione.

Nonostante la presenza degli appena ricordati indici normativi (italo-francesi),

che avrebbero dovuto indirizzare gli interpreti in una certa direzione, la nostra dottrina

(dagli studi di FERRRARA, agli inizi del secolo, Della simulazione dei negozi giuridici,

Roma, 1922, in poi) si orientò per l’impostazione del discorso della simulazione in

termini di divergenza fra l’interno volere e la sua manifestazione esteriore. E’

sintomatico l’esordio dell’appena menzionato studio, assunto a punto di riferimento

obbligato dalla dottrina in materia:

una indagine fondamentale s’impone al principio del nostro studio, è quella del rapporto fra volontà e dichiarazione.

(FERRARA, Della simulazione nei negozi giuridici, Roma, 1922, 1)

Ancora una volta la comparazione aiuta a comprendere l’evoluzione del pensiero

giuridico. Va detto infatti che un ruolo notevole, nella formazione della dottrina italiana,

giocò la pandettistica e le sue manifestazioni nella letteratura giuridica tedesca della

seconda metà del XIX secolo, in cui anche la simulazione viene ricondotta, in modo che

può oggi apparire semplicistico ma era certamente coerente alla teoria del negozio

giuridico abilmente forgiata dalla scuola di pensiero tedesca, alla grande famiglia dei

vizi del volere dichiarato, come divergenza tra volontà e dichiarazione. E’ evidente

allora che anche gli studiosi italiani si sentissero supportati, per così dire, dalla

pandettistica, tendente a raggruppare ipotesi eterogenee fra loro in grandi categorie del

pensiero giuridico, fra cui quella della divergenza fra volontà e dichiarazione,

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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ricercandosi le caratteristiche proprie della simulazione nella bilateralità della

divergenza e nella consapevolezza della divergenza.

Se questa costituiva la tradizione prevalente, non mancavano peraltro voci

dissonanti, che avrebbero avuto il merito di tracciare la linea di pensiero successiva. In

Germania, ad esempio, già Kohler (il più significativo e menzionato tra gli studiosi

tedeschi in materia, soprattutto con il lavoro Studien über mentalreservation und

Simulation, in Jhering Jahrb., 1878, 91 ss.) aveva optato per un’impostazione del

discorso che poneva a raffronto la dichiarazione con la controdichiarazione,

piuttosto che la volontà interna dei contraenti con quella esteriorizzata.

Dopo i ricordati studi di Francesco Ferrara, nel nostro ambito dottrinale,

MESSINA (La simulazione assoluta, cit.), seguito da SEGRÉ (In materia di simulazione

nei negozi giuridici, in Scritti giuridici, Cortona, 1930), da Salv. ROMANO (Contributo

esegetico allo studio della simulazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 15) e quindi

da AURICCHIO (La simulazione nel negozio giuridico, cit.), nonché da DISTASO (La

simulazione dei negozi giuridici, 1960), si ponevano in una prospettiva completamente

diversa rispetto a quella tradizionale (senza dimenticare gli studi di PUGLIATTI, La

simulazione nei negozi unilaterali, in Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica, Milano,

1951, 541). Il primo A. ricordato, in particolare affermava

Il Kohler può aver visto non esattamente l’antitesi tra l’accordo di simulare e il negozio simulato; ma l’idea sostanziale di desumere dall’annullarsi delle dichiarazione scambiatesi tra le parti il loro intento – e non già un conflitto tra la dichiarazione e la volontà intima – resta stabilmente acquisita.

(MESSINA, La simulazione assoluta, 86)

In realtà, il tramonto definitivo della dottrina del negozio giuridico come

manifestazione della volontà del privato, sovrana e fondamentale, segnava anche

inevitabilmente la crisi della concezione della simulazione come ipotesi, o sottotipo se

si preferisce, di divergenza fra volontà e dichiarazione. Da un certo momento in poi,

infatti, la ricostruzione della simulazione in termini di vicenda negoziale caratterizzata

da una dichiarazione (espressiva, eventualmente, di un accordo) e una

controdichiarazione può dirsi pacificamente condivisa ed affermata fra gli studiosi,

con l’abbandono della visione giusnaturalistica e pandettistica incline ad inquadrare e

risolvere tutti i problemi dell’efficacia del vincolo negoziale adottando il punto di vista

della (convergenza o divergenza fra) volontà e dichiarazione. Non ci vuole molto, del

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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resto, ad aderire a quanto la più autorevole dottrina civilistica del tempo ha dimostrato

con esemplificazione di solare chiarezza, sottolineando che il contrasto è:

fra una dichiarazione esterna, che le parti vogliono perché sia operativa rispetto ai terzi e una dichiarazione interna o controdichiarazione, che le parti vogliono perché sia operativa fra loro e che è necessaria per l’efficacia della sincera volontà delle parti

(SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, 133)

Da tali pur sommarie considerazioni, si può rilevare che il discorso sul contratto

simulato può ingenerare qualche ambiguità, quanto alla stessa espressione, almeno nel

momento in cui si intenda rappresentare l’intera vicenda, mentre il termine

simulazione, adottato anche dal legislatore ed anzi ripetutamente utilizzato nella

disciplina codicistica (dalle rubriche delle disposizioni, artt. 1414, 1415, 1417, al testo

normativo) rende probabilmente più esplicita la complessità del fenomeno giuridico e

l’intreccio delle dichiarazioni.

Il contratto simulato (art. 1414, 1° comma) è definito dal legislatore anche

“apparente” (art. 1414, 2° comma), per chiarire che questo non produce effetto fra le

parti e si contrappone alla cosiddetta controdichiarazione, che assume la denominazione

di contratto “dissimulato”. Così, muovendo dall’incapacità del contratto apparente di

produrre effetti (fra le parti, s’intende), la dottrina più risalente non ebbe alcuna

difficoltà a qualificare come nullo il contratto simulato (mentre taluno rilevava come

saremmo stati, in realtà, in presenza di un’ipotesi di inesistenza del negozio, sempre

coniugando ed anzi immedesimando la volontà con la vicenda negoziale).

Le teorie “dichiarazioniste”, tuttavia, che mutarono il corso degli studi sul

negozio giuridico e sul contratto negli anni ’50, consentirono di ritenere la

dichiarazione apparente – ed è questo il linguaggio anche del legislatore - in quanto

effettivamente e validamente voluta (pur nella sua funzione di costituire l’apparenza,

mentre la realtà del rapporto sarebbe stata consegnata alla controdichiarazione)

costitutiva di un negozio completo e perfetto, almeno dal punto di vista della volontà e

della liceità (in linea di principio, salva la valutazione da compiere nella concretezza

delle circostanze).

Il progressivo ridimensionamento delle dottrine fondate sulla dichiarazione

favoriva, per altro verso e sempre con riferimento al tema specifico della simulazione,

approcci attenti all’esame della causa. Secondo queste concezioni, non sarebbe

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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condivisibile ritenere il contratto simulato un contratto apparente perché privo di

accordo: infatti l’accordo è presente, e si instaura proprio sulla apparenza intenzionale

del contratto. Il contratto simulato sarebbe piuttosto un contratto apparente perché

privo di causa. Secondo una prima prospettazione, la causa sarebbe mancante in quanto

l’intesa delle parti sulla divergenza tra contratto stipulato e realtà del loro rapporto

distruggerebbe la causa del primo lasciando sussistere una mera apparenza di contratto.

Secondo altra prospettazione, che relativizza il ricorso alla categoria dell’apparenza, il

contratto simulato sarebbe privo di causa in quanto caratterizzato dall’esprimere una

causa tipica diversa dallo scopo concreto e dissimulato che le parti intendono

perseguire.

Si tratta di negozio vero e proprio, cioè di un atto di volontà (...) e non già di un mero fatto. Codesto negozio, anzi, finché rimane occulto l’accordo simulatorio, che lo priva della sua causa, appare e opera come negozio valido, mentre quando si scopre la simulazione deve essere dichiarato nullo, appunto per la mancanza della causa. Esso appare diverso da quello che è, non in ordine alla sua natura, bensì in relazione alla sua condizione: è negozio (non mero fatto), ma negozio nullo, o, se si vuole, giuridicamente inesistente.

(PUGLIATTI, La simulazione dei negozi unilaterali, cit., 546)

Il fatto di non poter più far conto sulle teorie volontaristiche ossia sull’assenza o

sui vizi del volere, indusse così a ritenere che il contratto simulato fosse privo di causa

(in tal senso, gli studi di BETTI, PUGLIATTI e SANTORO-PASSARELLI), finché, superato

anche l’ultimo baluardo d’ordine dogmatico, costituito dall’evanescente e sempre

discussa nozione di causa del contratto, non si pervenne all’abbandono della tesi

dell’inesistenza e/o della nullità (per incompletezza, sul piano strutturale, del negozio),

in favore di una ricostruzione impostata sull’efficacia ovvero sugli effetti del contratto

simulato (che non si producono fra le parti, ex art. 1414), rinunciando in tal modo a

continuare a svolgere l’analisi sul piano della fattispecie (con gli esponenti più

autorevoli in Renato SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico,

Napoli, 1950, di recente ristampato, ma soprattutto AURICCHIO, La simulazione nel

negozio giuridico, cit.).

E’ questa la svolta più significativa in termini di storia del pensiero giuridico. Il

contratto simulato è inefficace per volontà dei contraenti, nel senso della sua

inidoneità a produrre effetti fra le parti, senza che ciò implichi alcuna incompletezza o

invalidità della fattispecie posta in essere, la quale rileva, invece, per i terzi e produce,

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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per effetto dell’ordinamento – e non certamente della volontà dei contraenti –

l’inopponibilità della simulazione a chi possa riceverne danno.

Può essere interessante, anche ai fini della migliore comprensione della

successiva evoluzione giurisprudenziale, cercare di seguire i passaggi nodali di

quest’ultima ricostruzione della disciplina, con la doverosa premessa che anch’essa si

muove pur sempre nel tentativo di rinvenire – si tratta, evidentemente, di una sorta di

Leitmotiv in tema di simulazione – il punto di equilibrio tra apparenza e realtà, che

si risolve nella scelta fra l’interesse dei contraenti e quello dei terzi e, in ultima

analisi, fra giustizia e certezza dei rapporti giuridici.

Muovendo dal dato pressoché indiscutibile secondo cui il negozio simulato è un

fatto giuridico negoziale (ossia non può dirsi inesistente, per quel che può rilevare la

nozione e la distinzione con la nullità del negozio), si afferma che il negozio è dotato di

una struttura perfetta, presentandosi con i suoi elementi costitutivi essenziali

effettivamente corrispondenti a quanto voluto dalle parti. Di qui, la piena validità e la

perfezione del negozio come titolo.

... il fenomeno della simulazione, che si manifesta per lo più attraverso la creazione di un titolo o documento tipico, a porre in termini precisi la rilevanza del fatto negoziale e della sua struttura sul piano legale, indipendentemente e nell’assoluta mancanza di un regolamento. Per questo si giunge a dimostrare che la validità del negozio – e con ciò si vuol indicare solo la natura di fatto strutturalmente perfetto – non crea tra le parti alcun rapporto giuridico, ma solo costituisce titolo idoneo per l’attribuzione ad un soggetto di una predeterminata situazione formale nei confronti dell’ordinamento giuridico statuale e dei soggetti ad esso subordinati: ciò che peraltro spiega la rilevanza del negozio simulato nei confronti dei terzi.

(AURICCHIO, cit., 12) Si può dire che il negozio simulato non «sembra» perfetto, ma lo «è», e ciò per il fatto stesso di

esser valido. È quindi inesatto dire che le parti contraenti, nel simulare, abbiano posto in essere un contratto finto o apparente; l’apparenza si riferisce tutt’al più agli effetti finali, che invero mancano e che i terzi credono esistenti; ma il fatto contrattuale c’è, ed è proprio come la norma prevede che sia. Né vale obiettare che è identico riferire l’apparenza al fatto o agli effetti in base al motivo – in astratto esattissimo – che un effetto apparente non può avere che una causa apparente. Di fronte alla validità del negozio simulato, ogni ragionamento deve partire dal dato fondamentale della contrapposizione tra fatto reale ed effetti apparenti. La conclusione a cui necessariamente si giunge è che non esiste rapporto di causalità giuridica tra il fatto che esiste realmente e gli effetti che sono apparenti; e sempre per lo stesso motivo, quel fatto reale dovrà produrre effetti reali, mentre gli effetti apparenti dovranno avere una causa altrettanto apparente.

(AURICCHIO, 187)

Il rischio di appiattire la concezione del negozio sulla valutazione della fattispecie

operata dall’ordinamento e la conseguente tendenza a rivalutare il fenomeno

dell’autonomia privata, enfatizzando il punto di vista dinamico ossia funzionale (e

superando così il profilo esclusivamente strutturale), aveva condotto alla valorizzazione

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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dell’atto di autonomia come precetto o autoregolamento. Ma a questo punto, si

comprende che, nella simulazione, non esiste autoregolamento, l’essenza del

fenomeno negoziale (almeno secondo la teoria del negozio giuridico prospettata da

Scognamiglio all’inizio degli anni cinquanta, posta a fondamento di numerose

ricostruzioni teoriche successive in tema di autonomia privata), mentre acquista un

significato particolare – proprio per la sua indipendenza dal valore precettivo del

regolamento, che non esiste – il titolo o il documento tipico, che fa emergere la

rilevanza del fatto negoziale e, quindi, del dato strutturale in considerazione del

giudizio che ne dà l’ordinamento (s’intende, in vista della tutela di soggetti terzi,

potenzialmente pregiudicati dall’accertamento della realtà convenzionale ossia

dell’inesistenza del precetto fra le parti).

lo studio della simulazione pone in termini nuovi il rapporto tra struttura e funzione: il problema è risolto ponendo i due termini in posizione parallela, l’uno sul piano della legge e l’altro dell’autonomia privata, il primo come semplice fattispecie della norma legislativa ed il secondo come autoregolamento. In concreto, nel negozio simulato vi è una fattispecie legale integra, ma l’autoregolamento manca: e questa alternativa validità-inefficacia, riproponendosi sempre identica nei confronti di ciascun soggetto, serve a giustificare alcuni atteggiamenti piuttosto complessi del fenomeno simulatorio, ad esempio la situazione dei creditori chirografari.

(AURICCHIO, cit., 14 s)

Se il discorso della separazione della disciplina della fattispecie da quella della

funzione del negozio è più facilmente e, si direbbe, immediatamente riconducibile alla

vicenda della cosiddetta simulazione assoluta, è proprio, a ben vedere, la disciplina

della simulazione relativa a confermarne la correttezza sul piano sistematico, posto che

l’efficacia negoziale (ovviamente, del contratto dissimulato) dipenderà esclusivamente

dall’autoregolamento realizzato dai contraenti e dalla valutazione che questi ultimi

hanno fatto dei propri interessi, senza che ciò intacchi la (diversa) valutazione

normativa, da parte dell’ordinamento, che ha ad oggetto la fattispecie legislativa

riconducibile al fatto ovvero al comportamento dei contraenti. La conseguenza, sul

piano sistematico, è che il fenomeno dell’autonomia privata, che si realizza nel negozio

giuridico, subisce due valutazioni, che non si escludono ma concorrono e

corrispondono a due diversi punti di vista: quello dell’ordinamento (che opera, s’è detto,

sulla fattispecie) e quello dei privati (che si manifesta nel precetto o autoregolamento).

nel fenomeno dell’autonomia privata, esistono due diverse valutazioni normative. L’una, che in questa sede si ritiene condizionata alla perfezione della fattispecie legislativa, corrisponde alla valutazione operata dal legislatore sul comportamento delle parti. L’altra invece, interna alla prima, è proprio la

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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valutazione che le parti fanno dei propri interessi e trova la sua espressione in termini normativi nell’efficacia negoziale.

(AURICCHIO, cit., 15)

Nulla di strano che le due valutazioni possano anche divergere in taluni casi,

come accade nella simulazione, la cui disciplina ben rappresenta la più generale

distinzione e separazione normativa degli effetti dei negozi fra le parti e nei

confronti dei terzi. La questione teorico-dogmatica è di ordine generale e attiene alla

valutazione del contratto secondo due diverse prospettive.

Invero ogni contratto pone per ciascun soggetto un duplice ordine di problemi: uno, relativo ai rapporti con l’altro contraente, trova la sua misura più idonea nell’autoregolamento e nella sua efficacia; l’altro, invece, riguarda la posizione che i soggetti assumono nei confronti dell’intero ordinamento giuridico, ed è questo un problema squisitamente legale, tale da non poter trovare la sua soluzione nello stesso atto di autonomia privata. Ordunque, il legislatore non si limita ad un rinvio puro e semplice all’autoregolamento dei privati ed al suo contenuto, ma interviene con il proprio potere normativo a precisare la posizione assunta dai soggetti in forza del titolo valido.

Si trovano così nell’intervento dello Stato i limiti della moderna esigenza di considerare il fenomeno dell’autonomia privata nel suo aspetto dinamico, di valutarne in primo luogo l’atipicità e la resistenza ad essere costretto entro schemi rigidi a cui la legge attribuisce la giuridicità per fattispecie astratte. Il vero è che il tipico e l’atipico vivono insieme, in un intreccio di situazioni apparentemente prive di ordine. L’ordine è qui ritrovato nel porre le due categorie di situazioni, le une tipiche legale assolute e le altre atipiche convenzionali relative, su piani diversi e soprattutto con una diversa giustificazione.

Per spiegare poi tale intervento dello Stato nei rapporti tra privati non è neppure necessario ricorrere a spiegazione diversa da quella generalissima della fattispecie. Invero, una volta separati i problemi risolti dalla legge e dall’autoregolamento, vien meno anche il principale motivo per collocare l’autoregolamento nell’ambito della fattispecie legislativa. Vi è anzi da aggiungere che questa soluzione si presenta poco idonea a spiegare i presupposti qui svolti, poiché nell’ipotetica corrispondenza tra concreto ed astratto si verrebbe a nascondere l’ineliminabile differenza tra due valutazioni diverse, quella del legislatore e quella dei contraenti. E quindi si prospetta degno di considerazione il dato offerto dallo studio della simulazione, essere il giudizio di validità riferito non dall’autoregolamento stesso, ma solo al suo profilo esterno, la dichiarazione. (AURICCHIO, cit., 198)

In epoca più vicina a noi questa teoria, peraltro riccamente argomentata, dai due

grandi civilisti partenopei menzionati, con dovizia di riferimenti all’intero sistema del

diritto privato, è stata riconsiderata, muovendo da un’impostazione più analitico-

formale, che fa capo appunto all’analisi del linguaggio, ove la fattispecie simulatoria si

articola

nel combinarsi di due dichiarazioni, una esterna e l’altra interna, sul cui rapporto di combinazione ed opposizione giocano sia i simulanti sia la disciplina legale (sebbene con esiti non sempre conformi). (GENTILI, Il contratto simulato. Teoria della simulazione e analisi del linguaggio, Napoli, 1982)

E si è prospettata, all’esito di una meticolosa analisi storico-sistematica, la tesi

secondo la quale

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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non inconcepibile, non illecito, bensì solo inadeguato agli interessi reali delle parti, il contratto simulato si affianca all’annullabilità, alla rescissione, alla risoluzione, alla revocazione. Esso sembra situarsi, cioè, in una posizione in qualche modo intermedia tra nullità e annullabilità. Ma tanto consente anche, sebbene ridondante rispetto alle necessitò dell’indagine, una conclusione sull’annullabilità. Che lungi dal rivelarsi (...) una sorta di invalidità minore o meno grave della nullità, viene ad esprimere una rango fenomenologico diverso e diversamente finalizzato rispetto a questa. (...) il vero tratto distintivo della figura: la rimessione da parte dell’ordinamento al privato del potere di decidere della validità dell’atto, sia pure subordinatamente ai presupposti dallo stesso ordinamento richiesti. (GENTILI, cit.)

Non si può peraltro non segnalare, a questo punto, anche la critica mossa da chi

ha rilevato, non a torto, come l’affermazione legislativa “il contratto simulato non

produce effetto” non escluda affatto che si tratti di contratto nullo, posto che

anch’esso, tipicamente, non produce l’effetto voluto dalle parti, mentre – da un altro

punto di vista, significativo per l’esame della giurisprudenza sul punto, v. infra –

esprime il pragmatismo di un legislatore attento a disciplinare il fenomeno giuridico,

senza perdersi nella faticosa ricerca di coerenza con la categorie dogmatiche. Si

afferma, infatti:

La dizione legislativa proviene da redattori che, molto opportunamente, hanno provveduto a dettare una regola operazionale, e non si sono avventurati in uno sbandieramento classificatorio. Il legislatore tedesco definisce il negozio simulato come nichtig (nullo, § 117 BGB). Qualcuno, fra coloro che leggono la parola “inefficacia” nell’art. 1414 c.c., saprà indicarci una sola differenza di regolamento, anche minima, dovuta alla pretesa diversità fra la soluzione tedesca e quella italiana? (SACCO, cit., 1 ed., 535)

Anche la spiegazione offerta da Auricchio si confronta, del resto, con il

pragmatismo del legislatore:

Il legislatore italiano nelle espressioni adoperate e nella sistemazione stessa data alla materia ha accuratamente evitato ogni valutazione dommatica dell’istituto, e si è limitato a dettare regole per risolvere i conflitti di interessi che possono nascere dal comportamento dei simulanti. Dalle disposizioni di legge non risulta che la simulazione incida sulla volontà oppure sulla causa, non sono risolte altre questioni del genere. La mancanza di una definizione legislativa non deve indurre però a credere che sia necessario od anche lecito dedurre od offrire un concetto di simulazione argomentando in base al buon senso o con ricche immagini o assumendo come fondamento tradizioni giuridiche, che potrebbero essere false o gratuite, anche se furono vere in altri tempi. Il vero è che nelle norme contenute vi è una disciplina giuridica pressoché completa della simulazione; si leggano le rubriche dei vari articoli: art. 1414 «Effetti della simulazione tra le parti», art. 1415 «Effetti della simulazione rispetto ai terzi»; art. 1417 «Prova della simulazione». Esistono dunque tutti gli elementi per una elaborazione dommatica dell’istituto e dei suoi concreti atteggiamenti nel mondo del diritto.

(AURICCHIO, cit., 23)

Aggiunge ancora un’interessante notazione, ponendo a confronto i due

orientamenti più seguiti, Rodolfo Sacco:

A questo punto può darsi che il dogmatico esperto fiuti il rischio di dover considerare valido l’atto apparente, e dica che il contratto simulato è privo di causa [infatti, così si erano espressi Betti,

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

11

Pugliatti, Santoro-Passarelli, n.d.r.], con che la nullità dell’atto è assicurata. Ma il discorso non tiene: l’inettitudine dello pseudonegozio simulato ad adempiere ad una oggettiva funzione economico-sociale apprezzabile è incontestabile; ma essa è l’effetto, e non già la causa, della nullità. Se la vendita simulata fosse valida, la sua funzione – scambio della cosa contro presso – sarebbe incontestata.

Il dichiarazionista esperto sa che il pretesto della causa è indifendibile. Il discorso, a questo punto, viene revisionato. Il contratto simulato consterà allora di tutti gli elementi: soggetti, consenso, causa, forma. Esso corrisponderà dunque alla fattispecie contrattuale legale. Non potrà dirsi né inesistente né assolutamente nullo. Se i suoi effetti stentano a prodursi, ciò sarà dovuto ad un fatto ulteriore e diverso, che opera non già sulla fattispecie, ma su questi effetti [è la posizione dottrinale di Salv. Romano, R. Scognamiglio, Auricchio, n.d.r.]. Si chiederà all’analisi del linguaggio di sponsorizzare questa logica [Gentili, n.d.r.]. Si chiamerà a testimone la lettera dell’art. 1414, che con le parole “non produce effetto” imporrebbe all’interprete di qualificare l’atto come inefficace.

(SACCO, 3 ed., cit., 666 s.) In conclusione, ponendo a confronto le due ricostruzioni più significative del

fenomeno, se è vero che l’idea dell’inefficacia in senso stretto sembrerebbe far

‘tornare i conti’, con la rilevanza che il contratto apparente ha per i terzi di buona fede,

e che, quindi, la disciplina delle vicende più significative in tema di simulazione,

riguardanti appunto i terzi, induce a risolvere la questione teorica più spinosa sul piano

dell’opponibilità (invece che guardare alle vicende dell’autoregolamento di privati

interessi).

Peraltro, un approccio pragmatico al tema, dopo aver tentato di comprenderne le

implicazioni teorico-generali, nella loro contestualizzazione in termini di cultura

prevalente in un dato momento della storia del pensiero giuridico, induce a convincersi,

anche in virtù dell’esame della giurisprudenza che

la contrapposizione della inefficacia alla nullità, essendo di tipo classificatorio, ha importanza scarsa per i giudici che saviamente uniformano il proprio linguaggio all’idea tradizionale della nullità. Con la nullità andrà di pari passo la rilevabilità d’ufficio della simulazione, la tendenziale non convaidabilità, e l’imprescrittibilità dell’azione.

(SACCO, cit., 3 ed. 668)

2. Simulazione, nullità e illiceità - Il riscontro con l’utilizzazione

giurisprudenziale delle categorie giuridiche tradizionali, nelle vicende giudiziarie della

simulazione, sembra effettivamente dimostrare la fungibilità di taluni concetti giuridici

fondamentali nella nostra tradizione e la promiscuità della loro apparizione nelle

decisioni, che induce – lungi da una sterile critica di taglio meramente teorico – a

domandarsi quali siano le ragioni pratiche per le quali si fa uso di qualificazioni fra loro

notevolmente diverse, non soltanto dal punto di vista terminologico, ma anche sul piano

della disciplina applicabile. Si pensi, per fare soltanto due esempi, al diverso trattamento

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

12

dell’azione di simulazione rispetto a quella per far accertare la nullità, in relazione alla

disciplina della trascrizione ex art. 2652 c.c. (l’art. 2652 n. 4 c.c. prevede che la

sentenza che dichiara la simulazione non pregiudica i diritti acquisiti da terzi in buona

fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla domanda di simulazione,

laddove l’art. 2652 n. 6 c.c. dispone che la sentenza dichiarativa della nullità non

pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede con contratti trascritti

successivamente a quello dichiarato nullo e precedentemente alla trascrizione della

domanda di nullità, sempreché quest’ultima sia stata trascritta decorsi cinque anni dalla

prima trascrizione [del contratto nullo]) e alla possibilità per i contraenti di limitare la

simulazione ad un elemento del contratto, il prezzo nel caso più tipico v. infra, mentre

la nullità parziale non può che seguire, come effetto giuridico, alla valutazione da parte

dell’ordinamento ex art. 1419 c.c.).

Ad esempio, l’affermazione della nullità del negozio (di norma motivata con il

difetto della causa, anche in considerazione dell’autorevolezza dei giuristi che avevano

elaborato o rielaborato questa tesi) affetto da simulazione assoluta ha consentito di

affermare la rilevabilità d’ufficio del vizio (v. infra), nel senso che

la simulazione assoluta, costituendo motivo di nullità del negozio per difetto di causa, è rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 1421 c.c. Cass., 14-01-1985, 32/1985, in Foro it., Rep. 1985, voce Simulazione civile, n. 6

Occorrerebbe, tuttavia, ricordare in proposito anche la giurisprudenza relativa al

rapporto tra dichiarazione di nullità del contratto e principio di corrispondenza tra

chiesto e pronunciato.

In tema di simulazione, atteso il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il giudice non può ritenere la simulazione se nessuna delle parti ne alleghi l’esistenza, incorrendo altrimenti nella violazione dell’art. 112 c.p.c.; tale principio dev’essere coordinato con gli ulteriori limiti stabiliti dalla legge processuale, per effetto dei quali la simulazione, che può essere fatta valere sia in via di azione che di eccezione, nel primo caso dev’essere proposta nel giudizio di primo grado, a pena d’inammissibilità rilevabile anche d’ufficio, mentre nel secondo caso può essere riproposta anche nel giudizio di appello.

Cass., 9-06-2006, n. 13459/2006, in Foro it., Rep. 2002, voce Simulazione civile, n. 3 Nello stesso senso: Cass. civ., 20-10-2004, n. 20548; Cass. civ., 14-01-2003, n. 435.

Un discorso diverso si fa relativamente ai limiti di prova della simulazione nei

rapporti tra le parti, in relazione alla non rilevabilità d’ufficio degli stessi, operando

esclusivamente nell’interesse della parte.

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

13

Con riguardo all’azione di simulazione di un contratto, che sia proposta dall’erede di un contraente, questi ove agisca quale legittimario per la reintegrazione della quota di riserva assume la veste di terzo in quanto, pur avendo causa dalla parte che ha partecipato all’accordo simulatorio fa valere un suo diritto personale, per contro quando abbia di mira l’acquisizione al patrimonio ereditario di un bene che ha formato oggetto di un contratto simulato, cui ha partecipato il de cuius, è soggetto alle limitazioni previste dagli art. 1417 e 2722 c.c., in quanto si vale di un titolo che lo pone nella identica situazione giuridica del suo dante causa; per altro i detti limiti di prova della simulazione nei rapporti tra le parti, non avendo natura pubblicistica ed essendo diretti esclusivamente alla tutela dell’interesse delle parti medesime, in caso di loro inosservanza, non sono rilevabili d’ufficio nel giudizio del merito, né possono farsi valere, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

Cass., 18-12-1986, n. 7674, in Foro it., Rep. 1986, voce Simulazione civile, n. 11

Si può comprendere come accada, talvolta, che la giurisprudenza sia attenta a

tenere distinti i diversi concetti, affermando, ad esempio, che, nell'ipotesi di

simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad

eccezione di quello interessato dalla simulazione,

con la conseguenza che, non essendo il contratto né nullo né annullabile, ma

soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti; pertanto la prova

per testimoni della simulazione del prezzo della vendita non incontra fra le parti i limiti dettati dall'art. 1417 c.c. né contrasta col divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e natura semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali. Cass., 24-04-1996, 3857/1996, in Vita not., 1996, 1319 L’esigenza di evadere, per così dire, dalle strettorie di ordine probatorio induce

poi a far convergere la simulazione relativa con l’illiceità (parziale) del contratto in

materia di locazioni abitative:

la nullità delle clausole del contratto locativo per uso abitativo in contrasto con le disposizioni della legge sull'equo canone relative alla durata ed al canone, essendo espressamente sancita dall'art. 79 della legge in considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla predetta legge, configura una ipotesi di illiceità dal contratto; ne consegue che il contratto di locazione stipulato per eludere tale nullità, con la previsione di durata a misura del canone, diverse, da quelle legali, realizza una fattispecie

negoziale simulata relativamente, che ai sensi dell'art. 1417 c.c., è dato alle parti contraenti di provare con testimoni per far valere il contratto dissimulato, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla l. n. 392 del 1978. Cass., 16-05-1995, 5371/1995, in Foro it., Rep. 1995, voce Locazione, n. 203 Ove l’esigenza sia poi quella di far valere l’illiceità del patto commissorio

(dissimulato), la simulazione viene qualificata come mera “causa petendi”, sempre per

superare i limiti probatori dell’art. 1417.

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

14

Nel caso in cui venga dedotta la nullità di un contratto preliminare di compravendita siccome dissimulante un patto commissorio, vietata a norma dell'art. 2744 c.c. la simulazione, costituisce soltanto causa petendi, cioè il fatto rivelatore del vietato patto commissorio, posto a base dell'azione di nullità del contratto, sicché il relativo accertamento non è soggetto alle

limitazioni ex art. 1417 c.c. quanto alla prova testimoniale, essendo volta a far valere l'illiceità ex lege del negozio dissimulato. Cass., 16-08-1990, 8325/1990, in Foro it., Rep. 1990, voce Simulazione civile, n. 19

La parificazione dell’interposizione reale a quella fittizia, e la qualificazione di

entrambe come in frode alla legge, serve poi a tutelare i creditori, nel caso della

responsabilità dell’unico azionista.

Ai fini della responsabilità dell'unico azionista di società per azioni, l'interposizione reale di persona intestataria di azioni deve essere equiparata alla interposizione fittizia, in quanto attuata in frode alla legge e pertanto nulla. Cass., 29-11-1983, 7152/1983, in Giust. civ., 1984, I, 3127

Il risvolto del discorso dal punto di vista processuale, in senso tecnico, si coglie

ad esempio nella qualificazione delle domande come domande nuove, ai sensi e per gli

effetti dell’art. 345, 1° comma c.p.c.

Proposta inizialmente domanda di accertamento della simulazione assoluta di un contratto di compravendita, costituiscono domande nuove, come tali improponibili in appello ai sensi dell'art. 345, 1º comma, c.p.c., e non mere eccezioni, comportando l'accertamento di fatti nuovi e diversi con efficacia di giudicato, e non il mero rigetto della avversa domanda, sia la domanda di accertamento della simulazione relativa del contratto di compravendita, sia la domanda di nullità della vendita perché dissimulante un mutuo con patto commissorio, sia la domanda di accertamento della interposizione fittizia di persona. Cass., 25-01-1995, 869/1995, in Foro it., Rep. 1995, voce Appello civile, n. 28

Con la sanzione di nullità si è soliti spiegare il regime della rilevabilità d’ufficio

della simulazione - si è appena avuto modo di osservarlo – ma anche

dell’imprescrittibilità dell’azione per farla valere, a parte l’ovvia preclusione alla

convalida del contratto simulato.

In ordine alla prescrizione dell’azione, la distinzione fondamentale non è tanto

fra simulazione assoluta e relativa, quanto fra il carattere meramente dichiarativo

dell’azione, che induce ad affermarne l’imprescrittibilità (indipendentemente dalla

prospettazione della domanda di simulazione come assoluta, che importa senz’altro un

mero accertamento negativo, ovvero come relativa) e la natura costitutiva dell’azione

tendente all’affermazione di un diverso assetto di rapporti fra le parti rispetto a quello

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

15

desumibile dal contratto simulato, che sconta invece la prescrizione decennale,

rapportata ai diritti che si intendono affermare in quanto nati dal negozio dissimulato o

pregiudicati da quello simulato. Alcune massime indiscusse chiariscono il senso del

discorso.

Quando l'azione di simulazione relativa è diretta a far emergere il reale mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, tale azione si prescrive nell'ordinario termine decennale; quando invece è finalizzata ad accertare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di forma), rilevando l'inesistenza di qualsiasi effetto tra le parti, tale azione non è soggetta a prescrizione (nella specie, non è soggetta a prescrizione l'azione con la quale l'attrice chiede l'imputazione o il rientro nella massa ereditaria di beni venduti a terzi, sostenendo che in realtà tali compravendite dissimulano una donazione ad un soggetto diverso, nulla per difetto di forma). Cass., 18-08-1997, 7682/1997, in Giur. it., 1998, 1342

Anche l'azione di simulazione relativa, come quella di simulazione assoluta, è imprescrittibile, se, anziché tendere ad accertare il negozio dissimulato per farne valere gli effetti, è volta ad accertarne la nullità, come nel caso in cui un legittimario agisca per accertare l'appartenenza al patrimonio ereditario di beni solo apparentemente alienati dal de cuius, ma in realtà donati ad altro legittimario, per interposta persona, con atto nullo per difetto di forma. Cass., 18-08-1997, 7682/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Simulazione civile, n. 23

L'azione di simulazione relativa, in quanto diretta ad accertare la nullità del negozio simulato, è imprescrittibile (al pari dell'azione di simulazione assoluta), potendo il decorso del termine incidere solo indirettamente sulla proponibilità di tale azione, nel senso che la prescrizione dei diritti che presuppongono l'esistenza del negozio dissimulato può far venir meno l'interesse all'accertamento della simulazione del negozio apparente. Cass., 16-01-1997, 382/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Simulazione civile, n. 24 Cass., 06-05-1991, 4986/1991, in Giust. civ., 1991, I, 2285

L'azione di simulazione relativa - al pari di quella di simulazione assoluta - essendo rivolta all'accertamento della nullità del negozio simulato, è imprescrittibile ai sensi dell'art. 1422 c.c., potendo colpire eventualmente la prescrizione i diritti che presuppongono la esistenza del negozio dissimulato. Cass., 23-10-1991, 11215/1991, in Vita not., 1992, 572

L'azione di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona, in quanto non mira a far riconoscere gli elementi costitutivi di un negozio diverso da quello voluto, bensì a quell'identificazione del vero contraente celato dall'interposto, che è in rapporto di derivazione immediata dall'accertamento della simulazione, ha carattere dichiarativo e, quindi, è imprescrittibile, al pari della corrispondente eccezione. Cass., 05-04-1984, 2225/1984, in Foro it., Rep. 1984, voce Simulazione civile, n. 8

L'azione diretta a far dichiarare la simulazione soggettiva dell'atto costitutivo di spa per interposizione fittizia di persona è imprescrittibile in quanto rivolta a sostituire nella titolarità delle azioni i soggetti reali a quelli fittizi. Trib. Napoli, 30-12-1981, in Dir. e giur., 1982, 652

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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3. La simulazione degli atti unilaterali – Se si ragiona in termini di simulazione

del negozio giuridico, un cenno va fatto anche alla fattispecie prevista espressamente

dall’art. 1414, 3° comma, con riferimento agli “atti unilaterali destinati a una persona

determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario”.

La logica giuridica è quella tracciata dall’art. 1324 c.c., secondo cui le norme

che regolano i contratti si applicano, in quanto compatibili, agli atti unilaterali tra vivi

aventi contenuto patrimoniale. Il limite della compatibilità, esplicitato dal legislatore

nella regola sulla simulazione, è dato dalla partecipazione del destinatario dell’atto

unilaterale all’intesa simulatoria (diversamente, la simulazione sarebbe oggetto di una

mera riserva mentale dell’autore dell’atto, come tale irrilevante). L’ambito di

applicazione è dunque quello degli atti recettizi (art. 1334 c.c.), potendosi rilevare che,

nell’ipotesi di atto non recettizio, ma destinato a produrre effetti nei confronti di un solo

soggetto o soltanto di alcuni soggetti, non si può escludere che possa darsi intesa

simulatoria tra tali soggetti e l’autore dell’atto.

In giurisprudenza, il problema dell’applicabilità della norma appena esposta s’è

presentato, innanzitutto, in relazione alla promessa di pagamento e alla ricognizione

di debito, ritenuti assoggettabili al controllo della loro natura simulata (Cass. 22 maggio

1997, n. 4563).

L’idea di fondo, nell’esame degli atti unilaterali asseritamente simulati, è che

l’indagine debba incentrarsi sull’accordo sottostante, come dimostra l’interessante

vicenda della girata nel trasferimento di azioni:

il principio secondo cui le formalità previste dall'art. 2022 c.c., per il trasferimento dei titoli nominativi, compresi quelli azionari, attengono alla fase esecutiva, certificativa e pubblicitaria del trasferimento stesso e non alla fase costitutiva, per la quale non è richiesta alcuna specifica forma, si estende anche al trasferimento mediante girata regolato dall'art. 2023 c.c., che non presuppone necessariamente la esistenza fra i soggetti di un rapporto causale oneroso, giacché è dichiarazione unilaterale, caratterizzata dall'autonomia e dall'astrattezza; pertanto, qualora si deduca l'esistenza di un accordo simulatorio in ordine ad un trasferimento di azioni, avvenuto mediante girata, occorre prendere in considerazione, al fine di accertare la ammissibilità della prova testimoniale di tale accordo, non già la girata, ma il contratto di borsa sottostante alla girata stessa, il quale non deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità e neppure ad probationem. Cass., 03-11-1981, 5792/1981, in Foro it., Rep. 1981, voce Società, n. 224

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

17

Altre volte, la questione ha avuto ad oggetto la quietanza, ribadendosi che per

discorrere di simulazione è necessario un accordo sottostante fra il dichiarante e il

destinatario:

la simulazione della quietanza, che è un atto unilaterale recettizio contenente la confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata, presuppone, ai sensi dell'art. 1414, 2º comma, c.c., un precedente o coevo accordo, tra il dichiarante ed il destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio. Cass., 28-08-1993, 9135/1993, in Foro it., Rep. 1993, voce Simulazione civile, n. 6

Di norma, tuttavia, la vicenda della rilevanza della simulazione del contenuto della

dichiarazione rappresentata dalla quietanza ha finito per risolversi sul piano meramente

probatorio, in quanto essa

costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento ed integra quindi, tra le parti, quale confessione stragiudiziale proveniente dal creditore e rivolta al debitore, piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo; ne consegue che l'esistenza del fatto estintivo (pagamento) attestato dalla quietanza può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall'art. 2732 c.c. perché venga meno l'efficacia della confessione, per cui sono da ritenersi irrilevanti il dolo e la simulazione. Cass., sez. lav., 07-10-1994, 8229/1994, in Foro it., Rep. 1994, voce Confessione civile, n. 6

Se è vero che, in tema di prova testimoniale, il divieto sancito dall'art. 2722 c.c., di provare, per testi, patti aggiunti o contrari al contenuto contrattuale, non opera quando si tratti di scrittura che provenga da una sola parte e contenga una dichiarazione unilaterale, tuttavia l'art. 2726 c.c. arreca una deroga a tale principio, statuendo che "le norme stabilite per la prova testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento"; da ciò consegue che non sono ammissibili prove testimoniali dirette a provare fatti anteriori o contestuali alla quietanza, la quale costituisce la documentazione scritta del pagamento; stante l'applicabilità, in virtù dell'art. 1324 c.c., anche agli atti di quietanza, della disciplina di cui all'art. 1417 c.c., un tal divieto posto dall'art. 2726 c.c. opera anche nel caso in cui si adduca la simulazione assoluta della quietanza, in quanto un accordo simulatorio rappresenta proprio uno di quei fatti, anteriori o contestuali al documento, che il combinato disposto degli art. 2722 e 2726 c.c. vieta di provare in contrasto con quella prova documentale del pagamento che è rappresentata dalla quietanza. Cass., 28-07-1997, 7021/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Prova testimoniale, n. 13

E ancora: Poiché la quietanza costituisce solo una dichiarazione della parte che la rilascia di aver

ricevuto una determinata somma, senza vincolare anche la parte cui è diretta, quando il venditore deduca che, nonostante nel contratto abbia rilasciato quietanza liberatoria per l'intero prezzo della vendita, aveva in realtà ricevuto parte del prezzo stesso, e chieda di provare tale assunto, non si è in presenza di una simulazione del negozio, neppure con riguardo al prezzo della compravendita, sicché l'ipotesi esula dalla disciplina degli art. 1414 e ss. c.c., comportando soltanto l'indagine sulla verità della dichiarazione unilaterale del venditore di aver ricevuto il prezzo integrale. Cass., 16-04-1993, 4522/1993, in Foro it., Rep. 1993, voce Simulazione civile, n. 5

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

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Sempre sul piano della prova della simulazione, per quel che concerne, ad

esempio, la controdichiarazione sottoscritta dai soli venditori (e destinata a documentare

la simulazione del prezzo dichiarato rispetto a quello realmente versato), si è detto che

questa

non può legittimamente considerarsi "dichiarazione unilaterale non destinata a persona determinata" - per la quale il 2º comma dell'art. 2704 c.c. prevede l'esonero dalle rigorose forme di accertamento di cui al 1º comma - essendo, per converso, funzionalmente diretta alla controparte del negozio, con la conseguenza che la richiesta di prova testimoniale circa la data delle suddette controdichiarazioni deve ritenersi inammissibile. Cass., 14-01-1999, 351/1999, in Foro it., Rep. 1999, voce Simulazione civile, n. 2

Da un altro punto di vista, è stata ritenuta configurabile la simulazione della dichiarazione unilaterale contenuta nell'atto pubblico

di compravendita con cui il venditore specifica quanta parte del prezzo complessivo convenuto è stata da lui già riscossa. App. Ancona, 19-05-1987, in Foro it., 1987, I, 3328

La rinuncia ereditaria, in quanto atto giuridico in senso stretto – secondo le

tradizionali classificazioni – non destinato ad una persona determinata (e quindi privo

del tipico effetto negoziale), è stata ritenuta estranea alla previsione di cui all’art. 1414,

3° comma (Cass. 9 marzo 1956, n. 701, in Giust. civ., 1956, I, 1728).

Fra le ipotesi particolari, si ricorda la dichiarazione del coniuge non

acquirente, richiesta dall'art. 179, ult. comma, c.c. al fine di escludere un bene

immobile o mobile registrato dalla comunione legale, che, secondo la giurisprudenza,

non ha natura negoziale, con la conseguenza che

non è ammissibile contro di essa l'azione di simulazione, ma l'azione di accertamento del falso unilaterale e concordato. Trib. Napoli, 17-11-1993, in Dir. e giur., 1995, 218 Infine, una disciplina a parte è quella della cambiale, che per le caratteristiche

sue proprie non potrebbe neanche essere soggetta alle regole in tema di simulazione

Non è legittimamente configurabile (e non è conseguentemente opponibile ai terzi) una presunta simulazione in materia cambiaria (nella specie, per interposizione fittizia di persona nel contratto di sconto con fido), sia perché la cambiale è atto non necessariamente recettizio, sia perché il campo di operatività in cui, per la sua essenza, il titolo è destinato ad esplicare la sua funzione non consente alcuna utile distinzione tra apparenza e realtà, attesa la irrilevanza, ai fini della sua operatività nei confronti dei terzi, del rapporto causale originario sotto il profilo della sua validità e della sua stessa esistenza (con conseguente inammissibilità di ogni eccezione, nei confronti del terzo giratario, dell'eventuale origine di favore - o di finanziamento - del titolo), sia perché, infine, l'eccezione di simulazione verrebbe a paralizzare l'eventuale azione causale scaturente dal titolo, ma non anche la (diversa) azione cambiaria

Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico

19

(nella specie, il giudice di merito era stato chiamato a decidere di una vicenda processuale in cui un imprenditore, raggiunta un'intesa con un istituto bancario e con un altro imprenditore al fine di consentire a quest'ultimo di eludere le restrizioni in materia di fidi previsti dalla banca d'Italia, aveva scontato presso la banca una cambiale a firma dell'imprenditore che aveva esaurito tutti i suoi fidi, era stato, poi, convenuto in giudizio dall'istituto di credito con procedimento monitorio per il pagamento della somma risultante dalla cambiale, e si era difeso opponendo la natura simulatoria del rapporto trilatero così disegnato; respinta l'opposizione all'ingiunzione, e condannato l'ingiunto al pagamento, la suprema corte, nel rigettare il conseguente ricorso, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima). Cass., 24-08-1998, 8400/1998, in Foro it., Rep. 1998, voce Simulazione civile, n. 6

4. Riserva mentale e accordo simulatorio – L’esame della disciplina della

simulazione negli atti unilaterali può aiutare a comprendere il ruolo del cosiddetto

“accordo simulatorio”, soprattutto al fine di prendere le distanze da qualsiasi ipotesi di

rilevanza dell’interno volere del contraente, tradizionalmente espresso con la formula

della riserva mentale.

La distinzione fra simulazione e riserva mentale è chiarissima già in linea di

principio. Essa ha avuto una sua ricaduta pratica nel momento in cui si è trattato, nella

delicata materia delle locazioni abitative, di ritenere irrilevante

il proposito unilaterale ed inespresso dell'aspirante conduttore di adibire a propria stabile abitazione l'immobile che gli venga offerto in locazione a titolo transitorio configura una riserva mentale del tutto irrilevante; ne consegue che la nullità ai sensi dell'art. 79 l. n. 392 del 1978 delle clausole concernenti la misura del canone e la durata del rapporto, contenute in un contratto di locazione che appaia stipulato per sopperire ad esigenze abitative di carattere transitorio, può essere ritenuta soltanto ove consti l'accordo dei contraenti inteso a simulare tale apparenza negoziale e cioè a dissimulare una locazione intesa a soddisfare esigenze abitative stabili, perché soltanto in questo caso può ritenersi che la dichiarata "transitorietà" della locazione costituisca il mezzo concordemente previsto dai contraenti per eludere le norme più favorevoli al conduttore dettate dalla stessa legge in via generale. Cass., 18-05-1999, 4802/1999, in Foro it., Rep. 1999, voce Locazione, n. 50

In materia di locazioni di immobili urbani disciplinate dalla l. n. 392 del 1978, affinché la non corrispondenza tra la realtà effettiva, costituita dalla utilizzazione dell’immobile per esigenze abitative stabili e primarie, e la realtà apparente, consistente nella stipulazione di una locazione per uso diverso da quello abitativo (nella specie per uso ufficio), possa assumere rilevanza giuridica è necessario che sussistano gli estremi della simulazione relativa, configurabile nel caso in cui risulti solo formale la volontà delle parti di concludere una locazione per uso ufficio e sia dimostrata la volontà di entrambe di concludere il contratto dissimulato, potendo la relativa prova essere offerta anche per testimoni e per presunzioni, data l’illiceità della clausola simulata; pertanto, l’intento del solo conduttore di adibire l’immobile ad uso abitativo, in contrasto con la destinazione stabilita dal contratto, resta circoscritto entro i confini di una irrilevante riserva mentale; l’eventuale dimostrazione che il locatore era a conoscenza della finalità locativa concretamente perseguita dal conduttore non può sostituire il consenso del medesimo alla stipula del negozio dissimulato, ma costituisce

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soltanto un elemento utilizzabile dal giudice di merito allo scopo di accertare, in relazione alle circostanze del caso concreto, la simulazione del contratto di locazione apparente e la conclusione del contratto dissimulato.

Cass. 17-01-2003, n. 614, in Arch. locazioni, 2003, 490. In sostanza, la proclamata (ed ovvia) irrilevanza della riserva mentale si

comprende nel momento in cui si richiede all’attore che alleghi la divergenza fra realtà

effettiva e realtà contrattuale la dimostrazione dell’intesa o accordo simulatorio, sì da

poter far scattare la tutela che conduce all’operatività giuridica della realtà effettiva.

In caso di locazione stipulata per esigenze abitative transitorie, il conduttore che assuma la nullità della clausola di "transitorietà", ai sensi dell'art. 79 l. 392/78, per inesistenza in concreto della natura transitoria delle sue esigenze abitative, ha l'onere di dimostrare (anche per testimoni o avvalendosi di presunzioni, e disponendo d'altra parte il giudice di ampi poteri di iniziativa al riguardo, ex art. 447 bis, 3º comma, c.p.c. riformato) la sussistenza dell'accordo

simulatorio volto ad eludere la normativa della l. 392/78, ovvero che il locatore aveva consapevolezza (desumibile anche da univoci elementi indiziari) della effettiva natura primaria e stabile, anziché transitoria, delle sue esigenze abitative. Cass., 07-07-1997, 6145/1997, in Foro it., 1997, I, 3200

In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, qualora le parti, dopo avere concordato in sede di conciliazione giudiziale una data per il rilascio dell'immobile, stipulino con riferimento ad esso un contratto costitutivo di diritto reale d'uso a favore del conduttore per un ulteriore periodo di tempo, quest'ultimo contratto non può ritenersi simulato (al fine di dissimulare una nuova locazione, per eludere le norme imperative dettate dalla l. 392/78), in difetto di prova dell'accordo simulatorio, né può ritenersi nullo ai sensi dell'art. 79 l. 392/78. Cass., 26-09-1995, 10155/1995, in Foro it., 1996, I, 2185

Integra una ipotesi di simulazione per interposizione fittizia di persona la stipulazione di un contratto di locazione per il soddisfacimento di esigenze abitative di natura transitoria con conduttore apparente (persona interponente), nell'intesa (accordo simulatorio) che gli effetti della convenzione locatizia si producano nei confronti di altro soggetto (persona interposta), che sia portatore di esigenza abitativa primaria (nella specie la prova della intesa simulatoria e della natura primaria delle esigenze abitative dell'effettivo conduttore è stata desunta, oltre che da dichiarazioni testimoniali, anche da elementi indiziari, plurimi e concordanti, non essendosi ritenuto operante il divieto di prova per testi della simulazione del contratto, posto dall'art. 1417 c.c., in considerazione del fatto che il conduttore ha inteso far valere la "illiceità" e nullità del contratto dissimulato di locazione con riferimento alla clausola di "transitorietà" dell'uso abitativo per violazione della norma imperativa dell'art. 79 l. 392/78). P. Busto Arsizio, 29-01-1997, in Giust. civ., 1997, I, 1220

Il contratto di locazione che, pur intestato, quale conduttore, a soggetto diverso dal concreto fruitore dell'immobile e pur relativo ad immobile destinato ad uso foresteria sia finalizzato nella realtà, con il consenso del locatore, al soddisfacimento dell'esigenza abitativa primaria e continuativa della persona fisica che occupa l'immobile, configura un'ipotesi di simulazione sia sotto il profilo soggettivo (c.d. interposizione fittizia di persona) sia sotto

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quello della destinazione, con conseguente nullità delle pattuizioni del negozio dissimulato contrarie alle norme imperative di legge. T. Milano, 18-10-1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 684

5. L’accordo simulatorio nell’interposizione fittizia – Senza volere indagare la

complessa tematica della cosiddetta interposizione fittizia, può essere opportuno, per

ragioni sistematiche, accennare alla rilevanza dell’accordo simulatorio anche in questa

ipotesi, che vede operare tre protagonisti: interponente, interposto e terzo. La regola

giurisprudenziale, assolutamente indiscussa e condivisa, richiede la partecipazione

all’accordo di tutti i soggetti, con la conseguenza – rilevante sul piano pratico – che

all’attore compete l’onere probatorio della produzione del documento in cui è

consacrato l’accordo e del quale sia parte anche il terzo, ove si tratti di trasferimento

immobiliare, non sostituibile né dalla controdichiarazione proveniente dall’interposto,

né dalla confessione resa da quest’ultimo in sede di interrogatorio.

L’unica concessione che la giurisprudenza è disposta a fare in favore della

“realtà” da provare attiene alla possibilità che l’accordo simulatorio (in sostanza, la

partecipazione del terzo) sia successivo al contratto simulato, individuandosi, in tal

modo, una fattispecie “a formazione progressiva” non poco singolare, anche se

perfettamente funzionale allo scopo che si vuole raggiungere sul piano processuale

(probatorio).

Posto che l'interposizione fittizia di persona nella vendita ha, quali presupposti essenziali, la partecipazione all'accordo simulatorio dell'interponente, dell'interposto ed anche la espressa adesione, intesa quale cognizione di accettazione, del terzo contraente, la prova dell'accordo simulatorio, in una compravendita immobiliare deve avere necessariamente ad oggetto anche la partecipazione ad esso del terzo. Cass., 15-05-1998, 4911/1998, in Foro it., 1998, I, 2420

Nella interposizione fittizia di persona la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all'accordo simulatorio non solo dell'interposto e dell'interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all'intesa raggiunta tra i primi due soggetti assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell'interponente; la prova dell'accordo simulatorio deve pertanto avere ad oggetto la partecipazione del terzo all'accordo stesso con la conseguenza che, in caso di compravendita immobiliare, la domanda diretta all'accertamento della simulazione, ai fini della invalidazione del negozio simulato inter partes, non può essere accolta se l'accordo simulatorio non risulti da atto scritto, proveniente anche da terzo contraente, mentre restano del tutto inidonee ai fini suddetti la controdichiarazione scritta proveniente dal solo interposto o la confessione da questi resa a seguito di formale interrogatorio. Cass., 4-08-1997, 7187/1997, in Foro it., 1998, I, 145

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L'interposizione fittizia di persona, pur avendo come presupposto indispensabile

l'accordo simulatorio fra i tre soggetti che vi partecipano, non esige tuttavia che questo preesista alla stipulazione del contratto che si assume simulato, poiché l'intesa trilaterale può attuarsi anche contestualmente all'atto o addirittura per formazione progressiva. Cass., 18-12-1996, 11322/1996, in Rass. locazioni, 1996, 421

Nell'ipotesi di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona riguardante

contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, quale una compravendita immobiliare, nel conflitto tra preteso compratore apparente ed acquirente effettivo, partecipe dell'accordo simulatorio e perciò soggetto da considerarsi parte del contratto, la prova della simulazione, traducendosi nella dimostrazione del presunto negozio dissimulato, a mente dell'art. 2725 c.c. può essere data solo a mezzo di atto scritto, e cioè con un documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalla parte contro cui sia prodotto in giudizio, salva la prova testimoniale per la sola ipotesi di perdita incolpevole del documento, ai sensi dell'art. 2724, n. 3, c.c., che però non ricorre nel caso in cui si alleghi che il preteso documento dell'accordo simulatorio, redatto in unico esemplare, sia stato consensualmente rilasciato, al momento della relativa formazione, nelle mani di una delle parti, essendosi in tal caso in presenza della mera impossibilità di procurarsi la prova scritta del contratto (art. 2724, n. 2, c.c.) non rilevante ai fini della deroga al divieto della prova testimoniale. Cass., 27-07-1994, 7021/1994, in Foro it., 1995, I, 1250

L'interposizione fittizia di persona, costituendo una dissimulazione non già del contratto, ma di una delle parti contraenti, prevede come necessario presupposto l'accordo

simulatorio tra i tre soggetti contraenti (il contraente apparente, quello effettivo e la controparte); conseguentemente, ai fini dell'accoglimento della domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità per simulazione relativa di un contratto di compravendita immobiliare e l'accertamento che il compratore effettivo è persona diversa da quella indicata nel contratto, è indispensabile che l'accordo simulatorio risulti da atto scritto a norma dell'art. 1350 c.c. salvo il caso di perdita incolpevole del documento ovvero l'ipotesi di impugnazione da parte dei creditori del dissimulato acquirente. Cass., 13-02-1985, 1210/1985, in Foro it., Rep. 1985, voce Simulazione civile, n. 18 Si segnala, così, la vicenda dei soci apparenti (di una società di capitali), in cui

il ricorso allo schema astratto del negozio fiduciario (e della cosiddetta interposizione

reale) ha consentito alla giurisprudenza di superare le limitazioni alla prova del carattere

fittizio del conferimento, sempre a patto che non sia in gioco il trasferimento di diritti su

beni immobili.

Integra una fattispecie di negozio fiduciario stipulato mediante interposizione reale di persona, e non già di simulazione relativa per interposizione fittizia, l'accordo con il quale due o più persone convengono di dare vita ad una società di capitali il cui capitale sociale sia stato conferito effettivamente da uno solo di essi, mentre gli altri sono solo apparentemente e fiduciariamente intestatari di azioni o quote sociali ed hanno assunto l'obbligo di trasferire dette azioni o quote a chi ne ha somministrato i relativi mezzi economici; pertanto, a tale negozio non

si applicano le limitazioni di prova previste dal codice civile, qualora non venga in considerazione il trasferimento di diritti per i quali la legge richieda l'atto scritto ad substantiam. Cass., 28-09-1994, 7899/1994, in Foro it., 1995, I, 1527

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La sensazione è quella, ancora una volta, dell’interscambiabilità delle categorie

giuridiche in questione, come dimostra la massima che segue.

L'acquisto di un immobile avvenuto ad opera di un soggetto con denaro altrui, nell'intesa che l'acquirente avrebbe provveduto alla intestazione del bene a soggetti predeterminati, può integrare le figure della simulazione relativa di persona (interposizione

fittizia) o del negozio fiduciario. App. Bologna, 14-06-1991, in Foro pad., 1992, I, 407

6. Gli effetti del contratto simulato e i terzi: il caso della simulazione del

prezzo- Si ripete da più parti che l’essenza della disciplina codicistica in materia di

simulazione è nelle disposizioni relative agli effetti della simulazione nei confronti dei

terzi (1415) e ai rapporti con i creditori (1416). Le quattro regole dettate dalle

menzionate disposizioni non sembrano particolarmente complesse. E’ stato

correttamente notato che il linguaggio può apparire di tipo processuale, facendo capo al

concetto di opponibilità, ma le norme ivi espresse sono certamente di diritto

sostanziale. La protezione del terzo è quella dell’acquirente a non domino, qualificato

dalla buona fede, salvi gli effetti dei meccanismi di pubblicità.

L’ipotesi che maggiormente ha interessato la giurisprudenza è certamente quella

dell’opponibilità della simulazione al curatore del fallimento, nel caso di revocatoria

fallimentare della cessione di diritti apparentemente posta in essere in danno dei

creditori ossia ad un prezzo inferiore a quello di mercato, al punto tale da far scattare la

tutela della par condicio ex art. 67 l.f. Superata una posizione tendente ad attribuire al

curatore, nella posizione di terzo, una sorta di impermeabilità rispetto alla dimostrazione

della simulazione del corrispettivo dell’alienazione, la giurisprudenza ha correttamente

riportato il curatore nella sua giusta veste di terzo ‘semplice’ ovvero non qualificato

dall’avere acquistato in buona fede diritti dal titolare apparente o, in funzione di

creditore, dall’avere compiuto in buona fede atti di esecuzione sui beni oggetto del

contratto simulato. Quel che si richiede, sul piano processuale probatorio, è che il

documento che smentisce l’atto simulato sia provvisto, nel rispetto dell’art. 2722 c.c., di

data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (a parte la tempestività della

trascrizione della domanda di simulazione, ex art. 1415).

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Nell'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un contratto di compravendita rispetto al quale si assume sussistere la sproporzione fra le prestazioni, il curatore assume la posizione di terzo con la conseguenza che l'eccezione di simulazione parziale del prezzo indicato nell'atto può essere provata soltanto con documenti aventi data certa anteriore al

fallimento idonei a dimostrare l'esistenza di un patto aggiunto dissimulato contestuale al negozio impugnato. Cass., 17-07-1997, 6577/1997, in Foro it., 1997, I, 2819

Il convenuto con azione revocatoria fallimentare per un atto a titolo oneroso, a causa dell'asserito squilibrio delle prestazioni a danno del fallito (art. 67 l.fall.), può dimostrare, con riferimento ai pagamenti effettuati, di avere versato un corrispettivo effettivo superiore a quello indicato nell'atto impugnato, purché ciò risulti da documento avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento; all'opponibilità di tale circostanza al fallimento non ostano gli art. 1415 e 1416 c.c., atteso che il curatore, pur essendo terzo, quale organo pubblico della procedura fallimentare, non è un terzo che in buona fede abbia acquistato diritti dal titolare apparente ovvero un creditore del titolare apparente che in buona fede abbia compiuto atti di esecuzione sui beni oggetto del contratto simulato e che le menzionate disposizioni non si occupano della simulazione relativa - del caso cioè che sia stata voluta fittiziamente una qualsiasi clausola, come quella relativa alla misura del prezzo, di un contratto realmente concluso - ma regolano le sole ipotesi di simulazione assoluta e di interposizione fittizia. Cass., 26-09-1996, 8500/1996, in Fallimento, 1997, 79

La prova della simulazione del prezzo può essere opposta al curatore quando la controdichiarazione ha data certa anteriore alla sentenza di fallimento (nella specie, la corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano desunto tale prova dalla dichiarazione contenuta nel ricorso con il quale i fallendi avevano chiesto il loro fallimento). Cass., 22-05-1993, 5792/1993, in Foro it., 1995, I, 653

L'acquirente di un bene, convenuto in revocatoria dal fallimento del venditore, per eccepire la simulazione del prezzo della compravendita e giovarsi quindi del prezzo

dissimulato, ha l'onere di provare l'esistenza del contratto dissimulato con un documento di data certa, idoneo a dimostrare l'avvenuto pagamento e, comunque, la riferibilità di quest'ultimo al contratto dissimulato stesso. Cass., 20-02-1992, 2097/1992, in Foro it., 1993, I, 531 Sempre in tema di simulazione del prezzo (questa volta minore rispetto a quello

figurante dal contratto “parzialmente” simulato), è stata ammessa la possibilità per il

retraente, nella disciplina della prelazione nell’acquisto di fondi rustici, di dedurre la

simulazione ed offrire il rimborso di un prezzo equo (superando così il principio della

parità di condizioni, almeno inteso nel suo significato più rigidamente formale).

In tema di prelazione agraria il riscattante il quale deduca la simulazione del prezzo indicato nella vendita al terzo è tenuto a fare un'offerta di rimborso del prezzo ragionevolmente proporzionata al valore del fondo. Cass., 02-03-1990, 1655/1990, in Giur. agr. it., 1990, 280

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In tema di riscatto agrario, ai sensi dell'art. 8 l. 26 maggio 1965 n. 590 e successive modificazioni, nell'interpretazione autentica di cui alla l. 8 gennaio 1979 n. 2, il prezzo da versarsi al terzo acquirente deve rispondere a requisiti di determinatezza, completezza e serietà; pertanto, il riscattante, ove deduca la simulazione del corrispettivo indicato nell'atto di compravendita, non può esimersi dall'offrire il quantum che assuma di dover effettivamente pagare, in conformità del presumibile valore del fondo. Cass., 19-11-1990, 11162/1990, in Foro it., Rep. 1990, voce Agricoltura, n. 196 Talvolta l’inefficacia del contratto simulato fra le parti, distinta dalla nullità e/o

dall’annnullabilità dell’atto, è servita ad affermare che gli elementi contrattuali

interessati dalla simulazione (ad esempio, il prezzo) potessero essere sostituiti o

integrati con quelli effettivamente voluti dalle parti, con la conseguente ammissibilità

della prova testimoniale (del prezzo), superando i limiti posti dall’art. 1417 e il

disposto dell’art. 2722.

Nell'ipotesi di simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione, con la conseguenza che, non essendo il contratto né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti; pertanto la prova per testimoni della simulazione del prezzo della vendita non incontra fra le parti i limiti dettati dall'art. 1417 c.c. né contrasta col divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e natura semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali. Cass., 24-04-1996, 3857/1996, in Vita not., 1996, 1319

7. La simulazione e i diritti dei legittimari - Altra ipotesi classica in cui

vengono in gioco le disposizioni in tema di simulazione per la tutela del diritto di

soggetti terzi è quella del legittimario, ammesso a provare con ogni mezzo, in quanto

terzo, la simulazione del negozio dispositivo posto in essere dal de cuius, discutendosi

in giurisprudenza se la regola valga in ogni caso o soltanto quando contestualmente

all'azione di dichiarazione della simulazione sia proposta la domanda di riduzione per la

reintegrazione della quota ereditaria.

Il legittimario che per far valere il suo diritto alla quota di riserva chiede l'accertamento della simulazione e la nullità, per difetto dei requisiti di forma, di un atto dissimulato, stipulato dal de cuius - nella specie donazione dissimulata da una vendita per scrittura privata - non ha bisogno di esperire contestualmente la domanda di riduzione - necessaria invece nel caso in cui l'atto dissimulato è valido - per non soggiacere ai limiti di prova previsti dall'art. 1417 c.c., perché l'accoglimento di detta domanda di nullità comporta la declaratoria di appartenenza del

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relativo bene all'asse ereditario, con conseguente calcolo di esso nella determinazione della quota spettante al suddetto legittimario. Cass., 1-04-1997, 2836/1997, in Vita not., 1997, 882

Il legittimario è ammesso a provare con ogni mezzo, in quanto terzo, la simulazione del negozio dispositivo posto in essere dal de cuius solo quando contestualmente all'azione di dichiarazione della simulazione proponga domanda di riduzione per la reintegrazione della quota ereditaria. Cass., 5-12-1996, 10849/1996, in Foro it., 1997, I, 3337

Il legittimario che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius può proporre nello stesso processo una domanda per la tutela della sua quota di riserva, denunciando la lesione del relativo diritto; in tal caso egli assume, per la domanda che propone come legittimario, la qualità di terzo, che gli consente di avvalersi delle facilitazioni della prova stabilite dall'art. 1417 c.c.; la riduzione può essere richiesta anche implicitamente, in quanto la domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche e, soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle finalità che la parte intende perseguire. Cass., 24-05-1995, 5700/1995, in Notariato, 1995, 539

Il legittimario che invochi la simulazione al fine di conseguire le proprie ragioni, con la riduzione della donazione dissimulata, va considerato terzo ed è quindi ammesso - come tale - ad avvalersi della prova per testi e per presunzioni. Cass., 1-12-1993, 11873/1993, in Corriere giur., 1994, 324

L'erede legittimario può considerarsi "terzo", al fine della prova della simulazione degli atti posti in essere dal de cuius, solo quando, contestualmente all'azione di dichiarazione della simulazione, proponga una domanda diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario o che la quota spettantegli va calcolata tenendo conto del bene stesso con eventuale riduzione della donazione dissimulata. Cass., 4-04-1992, 4140/1992, in Foro it., Rep. 1992, voce Successione ereditaria, n. 80

Se la domanda diretta a far dichiarare la simulazione di un contratto è proposta, non da uno dei contraenti, ma da creditori o da terzi, fra i quali ultimi rientrano anche gli eredi delle parti che agiscano per far valere non un diritto ereditario ma un diritto proprio quale quello inerente alla qualità di legittimario, tutelato mediante l'azione di riduzione, la prova della simulazione può essere data anche mediante testimoni o per presunzioni semplici. Cass., 23-08-1986, 5141/1986, in Riv. giur. sarda, 1988, 49

L'erede legittimario, che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius celante in realtà una donazione dissimulata, non è terzo solo perché estraneo alla stipulazione dell'atto asseritamente simulato, ma agisce per la tutela di un proprio diritto (ex art. 1415 c.c.) e deve considerarsi terzo rispetto alle parti contraenti, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova presuntiva, quando, contestualmente all'azione di simulazione, proponga in concreto, sulla premessa che l'atto simulato comporti una diminzione della sua quota di riserva, una domanda di riduzione (o di nullità o d'inefficacia) della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario e che la quota spettantegli va calcolata tenendo conto del bene stesso, e non pure quando proponga in via principale ed autonoma solo la domanda di simulazione, la quale sia quindi semplicemente preordinata a consentire la proposizione della domanda di riduzione in un futuro giudizio. Cass., 21-12-1987, 9507/1987, in Foro it., Rep. 1987, voce Simulazione civile, n. 13

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Ai fini della domanda diretta a far valere la simulazione di atti compiuti dal de cuius, il

legittimario ha veste di terzo soltanto quando chieda nel medesimo giudizio la reintegrazione della quota di riserva; di conseguenza, non potrà valersi delle facilitazioni probatorie concesse ai terzi dalla legge, qualora non esperisca l'azione di riduzione contestualmente a quella di dichiarazione della simulazione. Cass., 11-10-1986, 5947/1986, in Foro it., 1987, I, 1175

Per il legittimario, il quale è terzo rispetto all'accordo simulatorio, il termine di prescrizione dell'azione di simulazione di un contratto di compravendita stipulato dal de cuius, esercitata in funzione dell'azione di riduzione della donazione dissimulata, decorre

dall'apertura della successione perché è da tale momento che l'avente diritto alla quota di riserva acquista la legittimazione a proporre la domanda di simulazione. Cass., 6-11-1986, 6493/1986, in Vita not., 1986, 1103