IL MUTAMENTO DELLE FESTE DI PANDELA A DORGALI · 2013. 9. 12. · solare. (Lanternari 1984, p.186)...

137
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LETTERE IL MUTAMENTO DELLE FESTE DI PANDELA A DORGALI Relatore: Prof. FELICE TIRAGALLO Tesi di Laurea di: ADA FRONTEDDU A.A. 2011/2012

Transcript of IL MUTAMENTO DELLE FESTE DI PANDELA A DORGALI · 2013. 9. 12. · solare. (Lanternari 1984, p.186)...

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LETTERE

IL MUTAMENTO DELLE FESTE DI

PANDELA A DORGALI

Relatore:

Prof. FELICE TIRAGALLO

Tesi di Laurea di:

ADA FRONTEDDU

A.A. 2011/2012

Le dediche, anche le più lunghe, sono pur sempre un modo inadeguato e banale di onorare

un bene così poco comune. Quando cerco di definire questo bene che mi è stato donato da

anni, dico a me stessa che un simile privilegio, benché tanto raro, non può tuttavia essere

unico; che a volte deve pur succedere che nell'avventura di un libro riuscito o nell'esistenza

di uno scrittore fortunato, ci sia stato qualcuno, un poco in disparte, che non lascia passare

la frase inesatta o debole che per stanchezza vorremmo lasciare; qualcuno che va a

prendere per noi sugli scaffali delle biblioteche i grossi volumi nei quali forse troveremo

ancora un'indicazione utile, e si ostina a consultarli ancora quando la stanchezza ce li

aveva già fatti richiudere; qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice;

che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell'arte ed a quelle della vita, ai lavori

dell'una e dell'altra, mai noiosi e mai facili; e non è la nostra ombra né il nostro riflesso e

nemmeno il nostro complemento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma al tempo

stesso ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo. Hospes comesque.

Marguerite Yourcenar

1

INDICE

Introduzione ................................................................................................ p.5

Capitolo primo

Le feste di pandela fondate sul sistema del priorato.

1.1 Brevi cenni sulle origini delle feste di pandela ..................................... p.7

1.2 Le feste ai primi del Novecento e nel secondo dopoguerra .................. p.9

1.3 Boom economico negli anni 1960-1980 a Dorgali ............................... p.11

1.4 Gigantismo della festa ........................................................................... p.12

1.5 Periodi di sospensione della festa e fine del sistema del priorato ......... p.16

Capitolo secondo

Per un'interpretazione della festa organizzata dal priorato.

2.1 Il dono ................................................................................................... p.19

2.2 Il dono della festa da parte dei priori naturali (le carvas) e devoti ....... p.23

2.3 I legami parentali, di amicizia e ospitalità sanciti dalla festa ................ p.27

Capitolo terzo

Le feste di pandela organizzate dalle associazioni.

3.1 Nuova struttura organizzativa delle feste: le associazioni .................... p.35

3.2 Fasi e modalità di preparazione e svolgimento delle feste e loro assetto

finanziario ................................................................................................... p.38

2

Capitolo quarto

Per un'interpretazione della festa organizzata dalle associazioni.

4.1 Il dono della festa da parte delle associazioni: il terzo paradigma ........ p.47

4.2 I legami sociali sanciti dalla festa col sistema delle associazioni ......... p.50

Conlusioni ................................................................................................... p.59

Appendice .................................................................................................... p.67

Bibliografia ................................................................................................. p.139

3

Voglio parlare dell'uso di salire alla cima di un monte o scendere al fondo di una

valle, a certi tempi fissi, ogni anno, per festeggiare un santo o una Madonna là,

per nove, dieci, quindici giorni, sotto gli alberi verdi e silenti, elci e pioppi, fra

le rocce, le borracine e i lentischi, uso vivente da secoli e secoli, uguale nel

Logudoro come nel Marghine, come in Barbagia, nella pianura e nelle montagne.

Grazia Deledda

4

5

Introduzione

Oggetto di questo lavoro è un'inchiesta intesa a fornire un quadro conoscitivo

organico del mutamento delle feste di pandela a Dorgali, organizzate in passato da

un priorato familiare e, negli ultimi vent'anni, da associazioni culturali e di

volontariato del paese stesso.

A Dorgali, comune in provincia di Nuoro, si svolgono ogni anno sei feste di

pandela, celebrazioni annuali delle festività relative ad alcune delle numerose

chiesette antiche disseminate nel territorio comunale, con la cadenza di una ogni

due settimane circa, a partire dal primo sabato di maggio sino a metà settembre.

Letteralmente pandela significa vessillo e consiste in un quadro di stoffa, dipinto a

mano, raffigurante l'immagine della Madonna o del Santo festeggiato, issato su un

bastone in legno mediante il quale, durante la festa, è portato in processione.

Muovendo dall'analisi delle feste di pandela fondate sul sistema del priorato

condotta da Giannetta Murru Corriga (Murru Corriga 2007) e da Felice Tiragallo

(Tiragallo 2007), ho voluto indagare il mutamento delle feste nel corso degli anni,

e le conseguenze che il passaggio dal sistema del priorato a quello

dell'associazionismo ha comportato non solo sul piano organizzativo delle feste, ma

soprattutto sulla rete di relazioni sociali da esse create, oltre che i mutamenti più

ampi e generali sul senso e il significato di questo tipo di feste.

Il focus di questo studio è posto sulla forma attuale della festa, interpretata secondo

il terzo paradigma del dono elaborato da Alain Caillé (Caillé 1998) e nel quadro

della quarta sfera individuata da J.Godbout (Godbout 1993); ciò consente di

considerare la festa come un dono, non più realizzato all'interno di uno o più gruppi

parentali in stretta vicinanza tra loro, o nel quadro di relazioni amicali e di

comparatico, bensì in una sfera molto più ampia di relazioni sociali che viene a

coinvolgere anche gli estranei ed alimenta reti potenzialmente aperte all'infinito.

La ricerca è consistita in un'inchiesta sul campo con riprese audiovisive e scatti

fotografici da me realizzati - ricorrendo anche all'aiuto di uno o più collaboratori -

nel corso di tre feste: la festa della Madonna di Buon Cammino il 9 giugno 2012,

la festa di San Giovanni Battista il 23 giugno 2012 e la festa di San Pantaleo il 29

6

luglio 2012. Relativamente ad esse ho redatto i diari di campo ed inoltre le stesse

sono servite come modello per fare considerazioni anche sulle altre tre feste di

pandela (della Madonna di Valverde, dello Spirito Santo, dei Santi Cornelio e

Cipriano).

In un secondo momento ho condotto delle interviste individuali in riferimento alle

singole feste; le interviste sono state da me registrate su supporto audiomagnetico

e successivamente trascritte. Ho selezionato le persone da intervistare tra gli

organizzatori delle feste, gli ospiti assidui e gli ospiti occasionali; questi ultimi, per

lo più turisti o dorgalesi emigrati, sono stati intervistati durante lo svolgimento

stesso dell'evento cui hanno partecipato. Gli altri sono stati intervistati nelle loro

abitazioni o nella sede dell'associazione di cui fanno parte. Le interviste si sono

svolte nella modalità di un colloquio aperto in modo da dare all'informatore la

possibilità di esprimere anche elementi di novità non esplicitamente suggeriti dalle

domande da me poste, per le quali mi sono avvalsa di una scaletta di quesiti e di un

elenco tematico. In alcuni casi, per un avvio più spontaneo del colloquio, per una

sua maggiore governabilità, per la formulazione e il rilancio di alcune domande ho

sottoposto all'intervistato la visione di alcune delle fotografie che ho scattato

durante le feste (Bianco 1988).

La durata media di ogni intervista è stata di circa quaranta minuti.

In generale non ho incontrato difficoltà nello svolgimento dei colloqui; ho dovuto

superare qualche resistenza e imbarazzo soltanto per la raccolta delle informazioni

relative ai rapporti dei diversi organizzatori delle feste con il parroco in carica

durante il periodo della mia campagna d'inchiesta (oggi trasferito ad altra sede

parrocchiale).

Sicuramente mi ha facilitato il compito il fatto che io stessa sia di Dorgali e che

conosca personalmente gli informatori, inoltre il fatto di poter far riferimento a certi

concetti in dialetto dorgalese ha evitato che si determinassero possibili

incomprensioni o vissuti di estraneità.

7

Capitolo primo

Le feste di pandela fondate sul sistema del priorato.

1.1 Brevi cenni sulle origini delle feste di pandela.

Le feste di pandela sono sei e prendono il nome dallo stendardo che i cavalieri

portano in processione nel giorno dedicato alla Madonna o al santo che vi è

raffigurato: uno stendardo di stoffa, dipinto e ricamato a mano, montato su un'asta

di legno decorato e arricchito da ornamenti di nastri e fiori.

Le feste di pandela si celebrano in un arco di tempo che va dal mese di maggio al

mese di settembre; soltanto una di esse, la festa di San Cornelio e San Cipriano, è

paesana, le altre cinque sono campestri e sono quelle della Madonna di Valverde,

dello Spirito Santo, della Madonna di Buon Cammino, di San Giovanni Battista e

infine di San Pantaleo.

Le chiese campestri teatro delle festas, tutte situate in un raggio di circa quindici

chilometri dal centro abitato di Dorgali, sono perlopiù sorte nel Seicento, su luoghi

già destinati a culti pagani che erano stati esaugurati e riutilizzati a fini cristiani1:

le feste campestri hanno un'antichissima tradizione che si fa risalire all'età nuragica, quando sparsi

nell'isola esistevano vari santuari per le feste, generalmente con pozzi sacri per perpetrare il

misterioso culto delle acque, e intorno i recinti e le abitazioni per i pellegrini. (Colomo, Ticca 1985,

p.30).

1Nella valle di Oddoene presso la chiesa di Buon Cammino (...) fu fondata dai romani una stazione

o “mansio” che fu detta Viniola (...). I Romani costruirono anche delle piccole terme a S.Giovanni

Su Anzu, nei pressi delle quali si rinvenne ai primi dell'800 un prezioso “foglio” di congedo in

bronzo del soldato Tunila Caresus, datato 96 d.C. (Colomo, Ticca 1985, p.19).

Vista la presenza di resti bizantini e medievali un altro centro romano e bizantino e poi medioevale

poteva essere presente presso la Chiesa di San Pantaleo nella valle di “Gurennoro”. Qui è

presente anche un nuraghe che prende lo stesso nome. Vicino alla Chiesa era presente un

“castellum”. Infatti il Villaggio costituiva un presidio dell'importante guado del Flumeneddu ai

piedi del Monte Omene.(...) Questo sito potrebbe essere stato definito dai romani per via delle

sorgenti come Aquae. In particolare le acque fresche si utilizzavano per “lenire vulnera”

significa “alleviare le piaghe”. E' importante il fatto che S.Pantaleo fosse un medico, peraltro di

fiducia dell'imperatore Galerio. Qui il culto di San Pantaleo è molto antico e lo testimoniano i

resti romani e bizantini. Le copiose e fresche acque delle sorgenti erano da sempre ritenute

portatrici di virtù curative(...) (Mele 2009, p.127).

8

In particolare, la grotta di Su Anzu doveva essere sito di culto – protosardo2 prima,

romano poi – delle acque. L'acqua di Su Anzu sgorga infatti ad una temperatura di

33° circa ed ha una composizione ricca di elementi minerali quali ferro, magnesio,

zolfo e calcio, le cui proprietà curative i Romani seppero ben sfruttare attrezzandovi

un piccolo edificio termale di cui però non rimane traccia (Colomo, Ticca 1985).

Non è un caso che proprio in questo sito sorga la chiesetta intitolata a San Giovanni

Battista, infatti come precisa Vittorio Lanternari:

la Chiesa, appropriandosi fin dai primi secoli di una festa solstiziale agraria e pagana, e tentando di

ridurla nel quadro della propria mitologia inserendovi la figura di S.Giovanni come titolare, aveva

evidentemente ravvisato nel Battista la figura più adatta per riscattare formalmente al Cristianesimo

un rito fondato sull'idea di morte-rinascita, poiché egli con il rito battesimale aveva riscattato ad

una superiore significazione un antico rito magico di rinnovamento. Si verificò in qualche modo,

una concentrazione di elementi pagani nella celebrazione cristiana, rispetto a quello che poté essere

un originario culto puramente solstiziale o agrario, essendo confluiti in esso elementi di origine

varia, rustica (culto di Cerere, di F.Fortuna) e pastorale (Parilia), agraria (Adonis, culti femminili) e

solare. (Lanternari 1984, p.186)

In generale comunque la data di fondazione delle feste di pandela coincide con

quella della fondazione della chiese che risale al periodo della dominazione

spagnola in Sardegna (1324-1720). La probabile origine di queste manifestazioni a

carattere religioso e civile è dunque rinvenibile nel sistematico insediamento del

culto cristiano-cattolico con l'attuazione delle politiche controriformistiche del XVI

e XVII secolo:

Nel corso della prima metà del '600, si ebbe a Dorgali un grande rigoglio della fede religiosa che

si manifestò, però, quasi esclusivamente, nella costruzione di nuove chiesette campestri e nella

celebrazione di continue feste per onorare i titolari di questi santuari rituali. Non sappiamo se

questa esplosione di fede religiosa sia stata del tutto sincera, oppure se nascondesse il desiderio

del tutto pagano, di partecipare alle solenni mangiate e bevute che chiudevano sempre in gloria

questo tipo di manifestazioni religiose. (Pisanu 1997, p.29)

2In una prima gita del giugno 1927 (...) avevo notato entro al primo tratto di essa (la grotta di Su

Anzu) molti avanzi di manufatti nuragici e romani, che mi indussero ad una più accurata indagine

nel settembre dell'anno stesso. L'accesso alla grotta avviene da un angusto pozzo o dolina, che

si apre dalla superficie della rupe calcarea che sorge presso la chiesetta di S.Giovanni a breve

distanza dalla ricordata grotta di questo nome. (...) Non oserei escludere, ma non ho le prove

archeologiche, che la grotta possa essere stata sede di culto protosardo. (Taramelli 1985, pp.349-

352).

9

Ognuna delle chiese campestri dorgalesi era stata edificata per volere e a spese di

una famiglia devota, ospitava annualmente una festa e sino agli anni Sessanta circa

anche la novena, e possedeva una dote di terreni e armenti che ne coprivano le spese

per la cura.

Di questi edificatori della chiesa è raro che restino testimonianze scritte e “il ricordo

si perpetua solo attraverso le feste che ciclicamente attualizzano l'evento che li ha

visti protagonisti” (Murru Corriga 2007, p.2) . I priori naturali sarebbero per

l'appunto gli eredi legati da parentela ai fondatori della chiesa, capostipiti delle

carvas delle feste di pandela. Sas carvas erano i gruppi parentali (anche oltre il

3°grado) cui, in origine, competeva ciclicamente l'onore e l'onere di promuovere e

organizzare la festa. Ogni carva si riconosceva in una pandela, lo stendardo,

simbolo diverso per ciascuna festa, simbolo di identità familiare e dunque segno di

distinzione all'interno della comunità. Nel corso degli anni, o meglio dei decenni,

si è persa la memoria dell'appartenenza alle carvas delle feste e, nell'organizzazione

degli eventi, i priores naturali sono stati sostituiti, in soluzione di continuità, dai

priores devoti.

1.2 Le feste ai primi del Novecento e nel secondo dopoguerra.

Ai primi del Novecento e ancora nel secondo dopoguerra le feste di pandela si

configuravano come eventi abbastanza sobri e spontanei in quanto i priori si

impegnavano ad offrire la messa, cibo e ristoro ad un numero limitato di fedeli. Gli

altri pellegrini che intendevano seguire la cerimonia religiosa e partecipare al

momento di convivio portavano da sé il necessario per il proprio pasto e lo

consumavano in compagnia nel piazzale della chiesa campestre, così come racconta

uno dei miei informatori:

partecipava l’intero paese, non c’erano inviti: solo il priore con i fratelli, i vecchi priori e qualche

conoscente faceva uno spuntino a base di arrosto, formaggio e moddizzosu3, mentre gli altri

portavano da sé il proprio pranzo. Ci si riuniva seduti per terra, sotto un albero, da sei a otto

3Pane soffice di forma rotonda, molto sottile, preparato con farina, patate e sale.

10

persone ogni gruppo, poi di sera si facevano i balli e si passava lì la giornata. (Intervista n°5 a Margherita D.)

In origine dunque il priore dava personalmente l'offerta al sacerdote affinché

celebrasse, in onore del Santo o della Madonna della festa, una messa la mattina e

una la sera, e offriva a tutti i presenti un invito di caffè e biscotti. Per il pranzo non

si usava imbandire la tavola, ma si usava stendere per terra sacchi di juta e la carne

si serviva nei tazzeri4. Nel pomeriggio ci si divertiva con i balli dorgalesi, con il

gioco dell'albero della cuccagna e le corse a cavallo.

Nel Secondo dopoguerra i priori hanno cominciato ad imbandire il pranzo non più

per i soli familiari stretti e per i priori che li avevano preceduti, ma allargando gli

inviti a circa trecentocinquanta persone. La tavola era apparecchiata con tovaglie

bianche di lino, fatte confezionare appositamente, e stoviglie di ceramica, vetro e

acciaio acquistate per l'occasione o prese in prestito dai priori precedenti.

In questo periodo i priori venivano scelti mediante sorteggio fra le famiglie più

abbienti del paese e le candidature venivano fatte tenendo conto dei rioni di

provenienza; si stabiliva così una rotazione dei rioni nell'organizzazione della festa.

Inoltre si tendeva a proporre soltanto appartenenti alle famiglie dei priori

precedenti, cioè appartenenti alle carvas5 delle feste di pandela.

Elettrio Corda (Corda 1990) riporta nella sua Storia di Dorgali la testimonianza del

priore della festa di pandela dello Spirito Santo del 1946, il noto possidente

Dionigio Secci, che così recita:

Nel 1946 mi fu conferito l'incarico di priore e pertanto dovetti provvedere a mettere dal mio

bestiame, una notevole quantità di capi (...). Nella giornata della festa, di primo mattino, gli

invitati, in gran parte in costume e a cavallo, accompagnati dalle loro spose, si presentarono a

casa e a tutti offrii caffè e biscotti. All'ora stabilita il corteo si mosse alla volta della Parrocchia,

per prelevare il rettore con lo stendardo della Santissima Trinità, Sa Pandela. Dopo effettuato il

percorso si arrivò alla chiesetta dello Spirito Santo, già “invasa” da centinaia di fedeli (...). Il

rettore dottor Meloni dette inizio alla Santa Messa ascoltata dalla moltitudine con il massimo

raccoglimento; dopo qualche ora seguì il pranzo servito su lunghe tavolate con tanto di tovaglie

e tovaglioli, nelle quali presero posto le autorità e gli invitati di maggior rango. Il rimanente dei

fedeli trovò sistemazione sotto numerosi alberi; a notte alta la festa finì, fra canti e balli, e

naturalmente con l'offerta di caffè e biscotti. (Corda 1990, pp.67-68)

4Vassoi con manico, realizzati in legno. 5Famiglie imparentate oltre il 3° grado di parentela.

11

Già alla fine degli anni Cinquanta il numero degli invitati al pranzo organizzato dai

priori cominciò ad aumentare, e il progresso economico e sociale di quegli anni fece

il resto: si innescò un meccanismo di emulazione tra i priori, succedutisi negli anni

seguenti, che portò la festa ad assumere una nuova dimensione non solo quantitativa

ma anche qualitativa.

1.3 Boom economico negli anni 1960-1980 a Dorgali.

Dorgali è un comune di circa 8.000 abitanti, in provincia di Nuoro. La sua economia

è una delle più dinamiche della provincia, sempre saldamente legata all'attività

agropastorale, vinicola ed olearia in particolare, ha però saputo sviluppare

egregiamente il settore dell'artigianato che, imperniato sugli elementi tipici locali,

ha assunto caratteri di piccola industria. Un contributo fondamentale all'economia

dorgalese è dato dal turismo grazie alla varia bellezza del suo territorio, alla

presenza di numerosi siti archeologici e alla sua frazione marina Cala Gonone;

Dorgali è oggi al vertice, in provincia, per numero di alberghi ed esercizi

complementari (B&B, agriturismi, etc.). Storicamente fu con la costruzione della

galleria del Monte Bardia – la prima inaugurata il 7 febbraio 1860, la seconda il 20

luglio 1928 – e con la costruzione del ponte sul fiume Cedrino nel 1866 che il paese

uscì dal suo isolamento e diede impulso ai traffici via terra e via mare. (Pisanu

1997, pp.112-116 e p.160)

Il 1954, data dell'apertura al pubblico delle Grotte del Bue Marino, può essere

considerato il momento in cui Dorgali assunse consapevolezza della propria

vocazione turistica e Cala Gonone venne ufficialmente riconosciuta come località

balneare (Useli 2004, p.143 e p.151-152); ciò segnò anche lo sviluppo di altre

attività collaterali quali l'artigianato e l'edilizia. Dunque fu dal 1954 alla fine degli

anni Sessanta che Cala Gonone si affermò come centro di villeggiatura con lo

sviluppo di una micro-imprenditorialità turistica a carattere familiare nei comparti

alberghiero e della ristorazione. Dai primi anni Settanta alla metà degli anni Ottanta

(da ricordare l'apertura al pubblico della Grotta di Ispinigoli nel 1974) si registrò

12

una forte espansione della ricettività extra-alberghiera con l'apertura di un villaggio

turistico e di un camping comunale (p.149 e p.152): questo fu il periodo in cui si

ebbe il boom economico con l'affermazione del turismo di massa, la forte crescita

della domanda e il coinvolgimento della popolazione dorgalese nelle attività legate

al turismo quali l'artigianato locale, la ricezione, la ristorazione, l'offerta

gastronomica e dei servizi; inoltre si ebbe un'esplosione del mercato edilizio,

alimentato dalle lottizzazioni comunali, sia a Dorgali sia a Cala Gonone. Un dato

importante che allora caratterizzò la struttura produttiva dorgalese fu il fenomeno

del cooperativismo: sin dal secondo dopoguerra si era costituita la prima

cooperativa, quella degli agricoltori e dei pastori (1947), seguita nel 1951 dalla

cooperativa Olearia dorgalese e nel 1953 dalla Cantina sociale (p.144). Altre ancora

si formarono in seguito, degna di nota è la Cooperativa Cala Gonone Turismo che

nel 1980 riunì imprenditori del ramo alberghiero e della ristorazione del centro

balneare.

Da questo breve quadro economico emerge la presenza, nel corso di quegli anni, di

un forte spirito di iniziativa, di attivismo e dinamicità nella comunità dorgalese.

Come suggerisce Felice Tiragallo in Il dono della festa e della sua memoria visiva

non è possibile ignorare lo stretto

rapporto del complesso di tradizioni religiose e festive presenti a Dorgali con il mutare

progressivo del suo sistema produttivo e di consumo, con lo stabilizzarsi di un mercato turistico

legato alle bellezze delle coste e con la terziarizzazione parziale della sua popolazione attiva.

( Tiragallo 2007, p.32)

1.4 Gigantismo della festa.

A partire dagli anni Sessanta del Novecento l'avvento del turismo a Dorgali e Cala

Gonone e con esso una certa ricchezza diffusa trasformarono la tradizione delle

festas de pandela. Da festa campestre umile e modesta in cui i priori offrivano agli

astanti la messa e un semplice invito di caffè e biscotti, si giunse negli anni Settanta

e Ottanta a superare spesso, per un'unica festa, i mille invitati seduti intorno a

tavolate riccamente imbandite a spese di un'unica famiglia del paese; quest'ultima

13

lavorava un anno intero per curare ogni minimo dettaglio organizzativo per

l'occasione. Le famiglie in questione non erano necessariamente benestanti e si

offrivano volontarie per godere dell'onore del prioradu.

Tutte le feste di pandela, paesane o campestri che fossero, erano organizzate e

finanziate da una coppia sposata di priori. L'elezione alla priorìa, non più legata alle

carvas né ai rioni di provenienza come in origine, avveniva ora per estrazione a

sorte dei nomi dei possibili candidati, proposti dalla terna dei priori in carica (per

la festa di San Cornelio e San Cipriano) e dal priore mezzore6, da su babbu7 e da su

mannoi8 (per le feste campestri). L'elezione del priorato della festa di San Cornelio

e San Cipriano era triennale ed avveniva il giorno dopo la festa, subito dopo il

pranzo offerto dai priori mezzori ai priori di tutte le feste di pandela e ai parenti

prossimi. Nello stesso contesto, i priori sceglievano due prioreddos9 e dodici

assistenti10, uomini e donne – in origine gli assistenti erano quattro e solo uomini –

affinché li affiancassero nell'organizzazione dell'evento. Per le feste campestri

l'elezione era invece annuale e avveniva il giorno della festa, subito dopo il pranzo

offerto dai priori a tutti gli invitati. Circa un mese prima della ricorrenza i priori –

marito e moglie – si recavano dal parroco, dai priori che li avevano preceduti e da

quelli delle altre feste di pandela per invitarli a partecipare alla celebrazione. Fino

alla Seconda guerra mondiale il priore, una volta assunto il proprio incarico, si

recava personalmente in compagnia de su babbu e de su mannoi a fare gli inviti

otto giorni prima dell'evento; fino al 1965 li faceva, in compagnia di un compare di

Santu Juanni11 circa quindici giorni prima; a partire dagli anni Settanta invece, visto

il crescente numero di invitati, si ricorse anche a partecipazioni stampate che i

parenti recapitavano a mano agli invitati.

6Priore responsabile in prima persona, con la moglie, dell'organizzazione e del finanziamento della

festa per quell'anno. (Fronteddu, 1987, p.385) 7Priore che ha organizzato e finanziato la festa di pandela l'anno precedente. (p.371) 8Priore che ha organizzato e finanziato la festa di pandela due anni prima. (p.382) 9Un ragazzino e una ragazzina, figli o parenti prossimi delle coppie di priori della terna della festa

di San Cornelio e San Cipriano. (p.384) 10Amici o parenti o compari di Santu Juanni delle coppie di priori della terna della festa di San

Cornelio e San Cipriano. (p.371) 11Comparatico religioso che si stipula tra i genitori del bambino battezzato o cresimato e il padrino

e la madrina. In passato il comparatico di San Giovanni si stipulava fra un uomo e una donna e

spesso si trasformava in matrimonio. (p.373)

14

Il numero degli invitati al pranzo della festa che, fino alla fine degli anni Cinquanta

raramente superava le cinquecento persone, con il boom economico degli anni

Sessanta era cresciuto via via fino a giungere negli anni Ottanta alle

millecinquecento e anche duemila persone. Di conseguenza la spesa per organizzare

una festa di pandela – interamente a carico dei priores mezzori - giunse ad aggirarsi

attorno ai 20/30 milioni di lire. Solo il 60% circa di questa somma veniva recuperata

dai priori attraverso i presenti (in denaro, raramente in prodotti alimentari o in

oggetti di diverso valore) loro inviati, giorni dopo la festa, dagli ospiti: il consuntivo

risultava sempre in perdita. Basti pensare infatti alla spesa che il priore doveva

sostenere per offrire, nei vari giorni necessari alla preparazione dell'evento, il

pranzo e la cena ai suoi aiutanti (parenti ed amici che una settimana prima della

festa avevano offerto spontaneamente il loro aiuto per l'organizzazione della stessa).

La mattina del giorno della festa i priori mezzori offrivano a casa loro unu cumbidu

(un invito di savoiardi e caffè, amaretti e vino bianco) ai priori delle altre feste

dell'anno in corso, dell'anno precedente e di due anni prima, mentre i collaboratori

preparavano il pranzo che si sarebbe tenuto nel piazzale antistante la chiesa

campestre. Dopo l'invito si andava in corteo a prendere il parroco: ad aprire la

processione era la coppia dei priori mezzori, a seguire quelle delle altre feste di

pandela. Dalla casa del parroco ci si dirigeva in macchina verso la chiesa campestre.

In origine il corteo si svolgeva a cavallo: lo apriva un cavaliere con in mano lo

stendardo della festa in atto, lo seguivano gli altri priori con le rispettive pandele,

gli invitati e, in coda, i priori mezzori. Negli anni Sessanta, in occasione di alcune

feste, i vessilli furono portati in corteo sulle motociclette; anche questo fatto

potrebbe essere considerato un segno di adeguamento al progresso economico di

quegli anni.

Giunti al santuario, i priori, preceduti dal parroco, compivano tre giri rituali a piedi

intorno alla chiesa; dopodiché l'intero corteo faceva il suo ingresso nell'edificio.

Dopo aver recitato alcune preghiere i priori sistemavano gli stendardi a fianco

all'altare, a destra quello della festa in atto, a sinistra gli altri cinque; infine si usciva

dalla chiesa e nel cortile antistante ad essa veniva servito su ustu, colazione di pane

15

carasau12, cordedda13, mattamene14 e vino nero. Alle undici si celebrava la messa,

e all'uscita era già pronto l'invito di caffè e dolci tipici (savoiardi, amaretti e

maricosos15) per tutti i partecipanti, sia invitati sia semplici fedeli venuti solo ad

assistere alla celebrazione religiosa. I priori mezzori ricevevano quindi gli auguri

dal parroco, da tutti gli altri priori, dai parenti e dagli amici; si dava poi inizio al

pranzo. Il pranzo rappresentava il momento culminante di ogni festa di pandela:

esso consentiva di mostrare il grado di ospitalità e disponibilità economica della

famiglia organizzatrice. Venivano serviti, a mille, duemila commensali, un

antipasto di prosciutto crudo locale ed olive in salamoia, un primo di mezze penne

con sugo di carne, un secondo di carne di maiale da latte e di vitello arrosto, insalata,

formaggio pecorino, pane carasau, frutta e caffè. (Fronteddu, 1987). La tavola era

apparecchiata con tovaglioli di carta e stoviglie di plastica, così come dettavano i

nuovi modelli di consumo di massa, e non più con stoviglie in ceramica come era

in origine. Per la preparazione del pranzo si allestiva una vera e propria cucina da

campo gestita da un folto gruppo di donne e, all'aperto, una gigantesca 'urredda16

di carni selezionate, alla cui cottura erano addetti una decina di uomini; il servizio

ai tavoli era affidato a squadre di camerieri, giovani dorgalesi appartenenti alle varie

famiglie invitate che, indossando un grembiule bianco, collaboravano volentieri per

la buona riuscita del banchetto. A questo proposito è importante notare come le

feste di pandela siano state un importantissimo veicolo di elevazione qualitativa

della grande tradizione gastronomica dorgalese ed è qui che “appare forse più

evidente il travaso di esperienze maturate nel nuovo settore economico alberghiero

e della ristorazione” (MurruCorriga 2007, p.8). Come spiegare altrimenti la cura

del servizio a tavola, il grembiule bianco come divisa per ragazzi e ragazze nel ruolo

di camerieri, “lo stile da ristorante applicato al banchetto, il calcolo dell'eccesso e

lo stile delle portate, 'la razionalizzazione' del servizio con la numerazione dei tavoli

12Pane tipico sardo, fatto con farina di grano duro, acqua, sale e lievito; noto con il nome italiano di

carta musica per la sua caratteristica croccantezza. 13Intestino di montone o agnello giovanissimo lavorato a forma di treccia e cotto arrosto o bollito 14Interiora di animale (fegato, cuore, polmone) cucinata fritta. 15Meringhe: dolci fatti di zucchero, albumi, scorza di limone e mandorle tritate. 16Basso recinto semicircolare, fatto di blocchetti in cemento, al centro del quale vi è la brace ardente

per l'arrostitura della carne.

16

e l'attribuzione di ciascun tavolo ad un cameriere”? (p.10). Negli anni 1960-1980

a Dorgali la velocità degli eventi, lo sviluppo del turismo di massa e il

coinvolgimento della popolazione locale nelle attività ad esso legate fecero

emergere istanze di rinnovamento che investirono la stessa struttura organizzativa

delle feste tradizionali. Se le attività della festa successive al pranzo, cioè i balli

sardi, i canti a tenores e i giochi alla morra e, all'imbrunire il ritorno in paese in

corteo per la consegna della pandela al nuovo priore rimasero perlopiù invariate,

sono invece il numero degli invitati, la dimensione del banchetto e le difficoltà nelle

elezioni dei nuovi priori a dare la misura di un profondo mutamento, tutt'altro che

positivo, che aveva portato al gigantismo della festa e che negli anni successivi

porterà alla sua interruzione e alla fine dell'organizzazione dell'evento secondo il

sistema del priorato.

1.5 Periodi di sospensione della festa e fine del sistema del priorato.

Dalla seconda metà degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta Dorgali

assisterà ad un'attenuazione dell'espansione edilizia urbana, all'arrestarsi

dell'apertura di nuovi esercizi alberghieri e ad una fortissima riduzione dei ritmi di

crescita della domanda turistica e commerciale fino a registrare un'inflessione

negativa progressiva.

La situazione economica del periodo comportò gravi ripercussioni in ambito sociale

e fu una delle cause della crisi delle feste di pandela fondate sul sistema del priorato:

in occasione delle elezioni alla priorìa capitò sempre più spesso il caso di non

riuscire a trovare persone disposte a farsi carico di tale onore ed onere.

In questo caso il priore uscente doveva riportare la pandela al parroco e la festa

veniva interrotta, anche per più anni consecutivi, fino a quando un paesano si

autoproponeva come nuovo priore. La riconsegna dello stendardo in parrocchia

testimoniava, simbolicamente ed indirettamente, lo scarso prestigio sociale del

priore e i suoi scarsi legami personali tra le carvas tradizionalmente legate alle feste.

Tanto che a Dorgali, per indicare una faccenda inconcludente o qualcuno che non

17

riesce a combinare nulla di buono si usa l'espressione torrare sa pandela a su

rettore17. In realtà se il fattore di prestigio sociale poteva essere determinante in

origine nel rifiuto dell'incarico, a partire dalla metà degli anni Ottanta la causa di

questo diniego era principalmente economica. Dato il notevole aumento della

numerosità degli invitati alle feste di pandela di quegli anni (si raggiungevano

anche le duemila persone), si era andata creando una sorta di competizione tra i

priori nell'organizzazione della festa e, soprattutto, del banchetto: le feste erano

ormai diventate delle occasioni di ostentazione di ricchezza e potere. Davanti ad

una spesa di circa 20/30 milioni di lire necessaria per organizzare l'evento in quei

termini, i candidati estratti preferivano rifiutare il priorato piuttosto che fare una

festa limitando il numero degli invitati o la varietà di portate del banchetto in quanto

questo avrebbe comportato una critica sociale da parte della comunità e una

complessiva riduzione di prestigio personale e familiare. Infatti ad ogni festa, tutti,

seppur non apertamente, facevano il confronto tra la riuscita di quel dato evento

rispetto agli altri che lo avevano preceduto: veniva soppesata la solennità della

processione e della celebrazione religiosa, l'eleganza e il contegno dei priori in tutto

l'arco di svolgimento dell'evento, la presentazione dei dolci all'invito, la qualità del

servizio a tavola e la cottura e la quantità di cibo preparato per il pranzo;

quest'ultimo in particolare non solo doveva essere sufficiente per il numero di

invitati, bensì doveva abbondare per consentire agli ospiti un consumo extra-

ordinario, fuori dai canoni del quotidiano. Infatti a Dorgali per avere la misura della

buona riuscita o meno di un pranzo festivo si usa dire: “Si non bend'arrumbada

cheret narrare ca no est bastau18”, significa che nel caso in cui alla fine del banchetto

non vi siano rimanenze del cibo preparato, quest'ultimo non è stato sufficiente per

tutti ed è segno di insuccesso. Allo stesso tempo però non doveva neppure accadere

che vi fosse una rimanenza eccessiva dovuta alla scarsa del qualità del cibo o al

fatto che gli inviti alla festa erano stati disattesi senza preavviso. In quest'ultimo

caso stava infatti al priore “stimare bene l'estensione effettiva dei circuiti e delle

relazioni sociali da lui controllati” (Tiragallo 2007, p.9).

17Riportare lo stendardo al parroco. 18Se non ne rimane vuol dire che non è bastato.

18

Il forzato ridimensionamento delle proporzioni conviviali delle feste di quegli anni

potrebbe dunque essere definito “gigantismo della festa” e questo fenomeno, come

si è visto, aveva condotto ad un circolo vizioso di ostentazione e competizione: per

attestare pubblicamente il proprio status sociale la famiglia del priore doveva

necessariamente essere in grado di realizzare una festa superiore in ogni suo aspetto

a quelle organizzate dai priori che lo avevano preceduto.

A questo proposito, sin dal 1987, nella sua tesi Le feste popolari nel comune di

Dorgali Angela Fronteddu aveva ammonito la comunità dorgalese con queste

parole:

bisogna ridimensionare il numero degli invitati alla festa oppure accettare che le feste di pandela,

che sono, per quanto riguarda il livello partecipativo ed emotivo, le più importanti fra tutte le

“feste popolari” di Dorgali, scompaiano nel giro di pochi anni. (Fronteddu 1987, p.27)

Previsione che puntualmente si verificò nel momento in cui l'ascesa economica

dorgalese si arrestò e, a partire dalla metà degli anni Novanta, nessuno più volle

farsi carico dell'onore e dell'onere delle feste.

Da quel momento in poi le feste di pandela non furono più organizzate secondo il

sistema del priorato; negli anni immediatamente successivi alla fine della priorìa, il

giorno della ricorrenza del Santo o della Madonna, veniva celebrata soltanto la

messa nelle chiesette campestri su invito degli ultimi priori, finché nel 2002 le

associazioni culturali e di volontariato del paese hanno voluto riproporre le feste in

forma molto più sobria.

19

Capitolo secondo

Per un'interpretazione della festa.

2.1 Il dono.

Il concetto di dono è molteplice, ambiguo e polisemico: dono può significare la cosa

che si dà o si riceve, l'atto del donare e della beneficenza o un sistema assai

complesso di convenzioni di scambio, di forme di elargizione, di dispendio o di

distribuzione delle ricchezze.

Il fatto che un ampio campo semantico sia relativo alla pratica e alla concezione del

donare mostra già di per sé quanto esse siano radicate in complessi sistemi di

relazioni sociali.

Marcel Mauss ha messo in luce nel suo Saggio sul dono (Mauss 1965) che una gran

varietà di fenomeni e di atti apparentemente distanti e differenziati, di estensione

ed efficacia variabile, arcaici e moderni, più o meno caratterizzati da obbligazione

e reciprocità, più o meno sospesi tra gratuità ed interesse, hanno radici e funzioni

comuni ed una presenza capillare, anche se non sempre riconosciuta, nella vita

sociale. Secondo Mauss il dono si fonda su tre fasi fondamentali: donare, ricevere,

ricambiare; egli lo definisce un “fatto sociale totale” attraverso il quale è possibile

leggere per estensione le diverse componenti di una società. Mentre i fautori del

paradigma utilitarista sostengono che l'individuo, come homo oeconomicus, tende

a perseguire il proprio interesse individuale e così il rapporto sociale sarebbe

costruito mediante i calcoli effettuati dai singoli individui, la teoria maussiana si

inserisce invece sulla scorta del paradigma collettivista. Il paradigma collettivista è

stato elaborato, fra gli altri, da Emile Durkheim (fondatore della Scuola sociologica

francese) e partendo dall'assunto che la cultura precederebbe la società –

quest'ultima sarebbe determinata da una coscienza collettiva superiore a quella del

singolo – teorizza che sia la cultura a far sì che gli individui si scambino doni

affinché la società possa continuare ad esistere. Claude Levi-Strauss concorda con

questa posizione: “sono i legami sociali che spingono gli uomini a donare”(Aime

2008, p.128). Ancora, Alain Caillè (Caillè 1998) propone un “terzo paradigma” o

20

paradigma del dono secondo il quale sarebbe proprio il dono l'elemento attraverso

cui gli uomini creano la loro società. Secondo quest'ultima posizione il dono

sarebbe dunque l'elemento fondante della società primaria, il promotore delle

relazioni sociali.

Infatti prima caratteristica fondamentale del dono è che esso tende ad essere un atto

che non si esaurisce in se stesso, ma coinvolge necessariamente nel suo sistema altri

eventi, altri significati o altri soggetti non presenti al momento della sua

manifestazione contingente. Il dono istituisce una relazione aperta di tipo triadico e

asimmetrico (Godbout 1993) molto diversa dal rapporto compiuto e duale che

caratterizza il baratto o la transazione economica. In questa relazione subentra

infatti il cosiddetto “valore di legame” (pp.217-220) per cui il legame diventa più

importante del bene stesso; sta qui la differenza sostanziale rispetto al baratto o alla

transazione economica per i quali si parla invece di valore di scambio e valore d'uso.

Il dono pertanto è “una prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di

restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le

persone”(p.30). Il valore del dono sta tutto nell'assenza di garanzie da parte del

donatore: la reciprocità e l'obbligatorietà che lo caratterizzano sono sempre differite

nel tempo e non calcolabili, dipendono dalla libertà del controdono e ciò introduce

importanti conseguenze di tipo simbolico ponendo in movimento il valore

dell'oggetto e le relazioni tra i soggetti coinvolti nel dono. La circolarità che

caratterizza alcune tipologie di dono arcaico ha la funzione di ampliare e di tenere

aperte la dimensione spaziale e la dimensione temporale, così come nel circolo dei

doni Kula19 studiati da Bronislaw Malinowski (Mauss 1965, pp.34-48) il

dispositivo ha la funzione di dare un seguito al riconoscimento di una comunità

molteplice: non attesta un equilibrio ma apre, tenendo i doni in movimento, a una

ricchezza e a un equilibrio proiettati nel futuro.

19Il cerchio della Kula è un sistema di scambi equilibrati tra numerose isole al largo della Nuova

Guinea. Le collane di conchiglie rosse (soulava) circolano su canoe in senso orario, mentre i

braccialetti di conchiglie bianche (mwali) circolano da un'isola all'altra in senso contrario. Le

comunità coinvolte nello scambio sono costituite da più isole, ma le operazioni sono individuali

e sembrano motivate dalla ricerca di prestigio: ogni capo ha una sua rete di associati ereditaria e

tutti tengono una contabilità precisa del valore delle diverse conchiglie. Lo scambio è

obbligatorio e qualsiasi forma di tesaurizzazione socialmente sanzionata. (Malinowski 2004)

21

Il dono è dunque un veicolo che produce un arricchimento materiale, spirituale o

sociale a patto che mantenga la sua natura di dono, ossia venga mantenuto in

movimento.

Sul piano strutturale è possibile caratterizzare il dono in base alla direzione iniziale

di questo movimento, e in base al contesto sociale che ne risulta coinvolto.

In base alla direzione il dono può essere verticale, e provenire quindi da un'entità

superiore, oppure orizzontale, e provenire da individui o gruppi percepiti come

appartenenti alla stessa sfera esistenziale. In base al contesto sociale il dono può

essere individuale, quando tende a chiudersi nella dimensione privata, o pubblico,

quando coinvolge gruppi e appartenenze. Le rappresentazioni del dono spesso

tendono a connettere il piano verticale e il piano orizzontale, la dimensione

individuale e quella pubblica, a volte in modo armonico, a volte in modo

drammatico e conflittuale. Il dono infatti può anche distruggere legami nel

momento in cui ad esempio non si rispettano i doveri di gratitudine che ne regolano

la natura e allora si verrà a creare asimmetria nel rapporto. Se si dà il caso di un

ritardo eccessivo nell'elargire il controdono, o quest'ultimo è di molto inferiore a

quello ricevuto, i due donatori coinvolti potrebbero diventare antagonisti ed arrivare

a utilizzare il dono per colpire, umiliare e distruggere il rivale. Un esempio di

reversibilità del dono fastoso in dono perverso e dalle implicazioni agonistiche è il

rituale di distruzione dei Potlatch20 (letteralmente “nutrire”, “consumare”). Esso è

una forma estrema di dono utilizzato per incrinare o spezzare legami e creare delle

gerarchie: si afferma uno status di superiorità all'interno della comunità di

appartenenza mediante la messa in opera di doni ostentatori e competitivi che può

giungere, in conclusione, ad una distruzione spettacolare di beni per oscurare i

rivali. Mauss ha parlato a questo proposito di “dono antagonista” (pp.54-74), e ha

poi precisato il concetto definendolo “prestazione totale di tipo agonistico” (pp.8-

20Diffuse presso alcune tribù di nativi americani della costa nordoccidentale del Pacifico, erano

cerimonie caratterizzate da enormi banchetti di carne di foca o di salmone. L'organizzatore

invitava i membri del suo gruppo e offriva loro cibo e doni, appositamente accumulati in quantità

esagerata, e nel corso della cerimonia venivano strette alleanze e le gerarchie si rafforzavano. Le

elargizioni rispettavano rigidamente lo status degli invitati e, allo stesso tempo, conferivano

prestigio al donatore che ingaggiava così una gara di generosità con gli altri membri del suo

gruppo. Un leader doveva per forza mostrarsi generoso.

22

11) in quanto il dono si attua all'interno di un sistema di prestazioni e contro-

prestazioni a preferenza volontarie, ma in realtà rigorosamente obbligatorie,

passibili di guerra privata o pubblica. Lo stesso concetto è applicabile alle cerimonie

dei big men21 melanesiani, dalla loro analisi Malinowski ha potuto dimostrare che

il potere può esprimersi attraverso una serie di prestazioni reciproche, che

implicano anche il dono, tra il capo e i membri del gruppo (Augé, Colleyn 2006).

Nelle riflessioni più recenti sul dono diversi studiosi hanno cercato di superare la

dicotomia netta tra dono arcaico – equilibrato e predominante – e dono moderno –

marginale, utopico o impossibile, a seconda delle interpretazioni – sostenendo, sulla

scorta di alcune intuizioni maussiane che il dono svolge anche nelle società

contemporanee, pur sempre in modo problematico, un ruolo fondamentale ed

organico. Forme di dono contemporaneo sono, in aggiunta a quelle tradizionali, il

dono agli sconosciuti (di sangue, di sperma, di organi) e molte forme di solidarietà

e volontariato; esse sono state individuate negli studi condotti dal MAUSS

(Movimento AntiUtilitarista nelle Scienze Sociali) intorno a cui si muovono molti

studiosi tra cui Alain Caillè e Jacques Godbout. Ancora secondo questo nuovo

approccio al tema, il dono al giorno d'oggi resta un insieme di pratiche simboliche

che istituiscono relazione e legame sociale.

21

Capi eletti non per linea ereditaria bensì sulla base della loro ricchezza e del prestigio, i quali,

attraverso le proprie reti di parentela e di clientela, raccolgono beni in grande quantità e li

investono organizzando in competizione tra loro feste sontuose, utili ad ufficializzare il sostegno

dei propri partigiani e con la funzione di sfruttare il surplus di produzione della comunità. Colui

che si mostra più generoso si guadagna il favore della popolazione e assume il potere.

(Malinowski 2004)

23

2.2 Il dono della festa da parte dei priori naturali (le carvas) e devoti.

Nella grande varietà di sfumature che caratterizzano la rete tematica del dono,

possiamo individuarne alcune tipologie che assumono i connotati di riti di

passaggio e trasformazione, quindi distinguibili secondo la loro funzione iniziatica

in doni di separazione, doni di accompagnamento e doni di aggregazione. Tra questi

ultimi rientrano tutti i doni che accompagnano situazioni significative per la

comunità, segnano momenti di riconoscimento reciproco o suggellano

un'appartenenza o un'identità; ciò accade soprattutto nelle occasioni festive. Esse

possono presentarsi in un'estrema complessità di forme e aspetti, ma le qualità a

tutte comuni sono riassumibili nel loro carattere sociale, ovvero nella creazione di

un rapporto tra individuo e comunità attraverso rituali e simbologie, e nella loro

dimensione temporale, nel senso di uno scarto tra quotidianità e tempo festivo.

A Dorgali le feste di pandela hanno da sempre rappresentato lo spazio ideale di una

socialità garantita da un complesso cerimoniale in cui il dono diventa elemento

decisivo. Già l'espressione del linguaggio comune “dare una festa” suggerisce di

considerare la festa dal punto di vista della teoria del dono: ritualmente i priori

donavano la festa di pandela ai loro compaesani rafforzando e consolidando in tal

modo il gruppo come comunità di ricordo (Gallini 2003). In origine, quando ancora

la festa era a carico dei priori naturali, eredi diretti dei fondatori delle chiese

campestri, si commemorava la solidarietà parentale con la partecipazione collettiva

al rito religioso e al momento di convivio. Allora le feste di pandela potevano ben

essere definite “feste di parenti”(Da Re 1993, p.45) o “feste degli antenati”: ognuna

di esse rinnovava i legami di parentela fra i discendenti degli antichi fondatori della

chiesa e questi, raccogliendosi attorno allo stendardo, simbolo della festa, si

costituivano come carva, gruppo parentale anche oltre il 3°grado. In quel periodo

il dono della festa da parte dei priori al proprio gruppo di appartenenza consisteva

nell'offerta della messa e di un modesto invito di caffè e biscotti, e il controdono era

rappresentato semplicemente dalla presenza stessa dei fedeli al momento della

celebrazione, i quali tra l'altro per il pranzo “portavano tutti qualcosa”, in una sorta

di mutualità alimentare per la quale ciascuno offre e benificia delle offerte. In un

24

secondo momento si perdette però la memoria dell'appartenenza alle carvas delle

feste, e ai priori naturali si sostituirono i priori devoti, eletti a sorte tra i dorgalesi

che avevano espresso la volontà di prendersi carico dell'organizzazione degli eventi.

La festa cominciò a cambiare, e il cambiamento più evidente si ebbe

nell'introduzione di un banchetto a spese della sola famiglia dei priori e nel costante

aumento, negli anni, del numero degli invitati. Perciò il consumo vistoso della festa

aveva innanzitutto finalità ospitali: l'ospitalità era la regola fondamentale attraverso

la quale la festa riusciva a mediare i rapporti sociali; ed essa appartiene allo stesso

ordine di idee di cui fanno parte anche dono e contraccambio. La festa di pandela

rispondeva dunque alle tre obbligazioni che il dono implica: dare, ricevere,

restituire. Il dono della festa da parte dei priori doveva essere ricevuto e gradito,

accettato dagli invitati mediante la partecipazione al rito collettivo e al momento di

convivialità ossia al consumo comunitario di cibo. Il banchetto era l'elemento della

festa che più di tutti esigeva, per la sua messa in opera, un'intensa circolazione di

beni e servizi che rientra a pieno titolo nel “sistema delle prestazioni totali” (Mauss

1965 p.9). Infatti gli obblighi reciproci che venivano sanciti dalla festa si

imponevano a tutta la collettività, anche per generazioni successive, e si

estendevano ad ogni attività richiesta dall'evento: priori e invitati si muovevano in

un flusso di scambi continui necessari non solo alla buona riuscita della festa, ma

anche alla convalida di un rapporto armonico tra i membri della comunità coinvolti.

A circolare era in primo luogo il simbolo stesso della festa: la pandela; essa veniva

custodita, nell'arco dell'anno, dalla famiglia del priore in carica in casa propria,

esposta nella stanza più bella, e il momento della sua consegna ai nuovi priori eletti

per l'anno successivo sanciva il primo atto ufficiale del loro priorato. Inoltre in

quest'occasione la prioressa in carica donava un gioiello alla nuova, come simbolo

di buon auspicio. Pandelas e gioielli passavano dunque di prioressa in prioressa,

usati ma non consumati, dando luogo ad una circolazione di beni di prestigio non

distruttiva che potrebbe ricordare il sistema di scambi equilibrati del cerchio Kula,

e che è simbolo di continuità e solidarietà tra i gruppi delle priorìe. (Murru Corriga

2007, p.5).

Ma dell'intensa circolazione di beni attivata dalla festa non fanno parte solo i pegni

25

quali lo stendardo e i gioielli, bensì anche il cibo che nel giorno della celebrazione

andava a costituire le diverse portate del pranzo, e le attrezzature per l'allestimento

della cucina da campo, della zona di arrostitura delle carni e delle tavolate. Fino

agli anni Sessanta circa, parecchi giorni prima della festa gli invitati usavano inviare

a casa dei priori s'elemusina, prevalentemente costituita da doni di tipo alimentare

come pecore, capre, maiali, formaggio e vino che i priori impiegavano per il pranzo

del giorno della festa: una sorta di controdono in anticipo. Dagli anni Settanta in

poi invece, coloro che erano stati ospiti alla festa, inviavano ai priori, nei giorni

successivi alla conclusione dell'evento, dei presenti in denaro (raramente in prodotti

alimentari o in oggetti di altro genere). Ma il controdono in realtà veniva elargito

durante l'intero arco di organizzazione della festa in quanto parenti, amici e vicini

del priore in carica, tutti invitati, prestavano volentieri e spontaneamente la loro

manodopera per la causa. Si trattava di pulire l'area del santuario, restaurare le

cumbessias22 o la chiesa stessa, macellare il bestiame, raccogliere la legna e

preparare gli spiedi per l'arrostitura delle carni, procurare dai priori precedenti o da

altre famiglie le stoviglie in ceramica, preparare dolci, pane e pasta per il banchetto

finale, e servire ai tavoli.

La coppia dei priori doveva essere capace di elargire il proprio dono attivando

un'efficiente cooperazione e soprattutto un intenso scambio sociale attraverso il

coinvolgimento delle relazioni umane e sociali dei donatari stessi. La buona riuscita

della festa si misurava infatti sulla quantità e qualità di cibo e bevande e di

prestazioni gratuite di servizi che il priore era riuscito a convogliare in essa

attraverso il circuito del dono. Si misurava inoltre sulla quantità di persone – anche

duemila – che, accogliendo l'invito del priore e condividendone la mensa

contribuivano nel banchetto collettivo a consumare quel cibo e quelle bevande. Il

priore, come una sorta di bigman melanesiano, aveva successo solo se era stato in

grado di “suscitare intorno a sé il consenso e la solidarietà di centinaia di persone,

e di quelle, innanzitutto, con le quali intratteneva stabilmente rapporti di

reciprocità”(p.7). L'intero evento si poneva dunque nel segno della mutualità che

22Stanzette a fianco o attorno alla chiesa campestre; dette anche muristenes.

26

rendeva possibili la concentrazione di beni prima, la redistribuzione e il consumo

poi, ossia “dal punto di vista materiale la festa consisteva in un processo di

accumulazione centralizzata e di redistribuzione” (Tiragallo 2007, p.8). Un

meccanismo che richiama alla mente i Potlacht e che, appunto come queste

cerimonie d'oltreoceano, fece degenerare la festa di pandela in dono di tipo

agonistico. Infatti a partire dagli anni Settanta il dono della festa accentuò sempre

più il proprio carattere “usurario”: la coppia di priori in carica doveva affrontare

l'impegno all'altezza del suo onore dimostrando di essere più capace, più influente

e più generosa di quella che l'aveva preceduta. Questa tacita competizione aveva

luogo non soltanto tra i priori della festa relativa allo stesso stendardo ma si attuava

tra tutti i priori dell'intero ciclo delle feste. La festa di pandela, come i Potlacht,

giunse ad un livello tale di esagerazione, sovrabbondanza e spreco tacitamente

finalizzati ad acquisire, agli occhi della comunità dorgalese, maggiore prestigio dei

precedenti priori, che si può parlare di una fase di vero e proprio “gigantismo” della

festa. A ciò aveva sicuramente contribuito la tendenza degli invitati a valutare e

comparare i vari elementi (l'eleganza e il contegno dei priori, gli addobbi del

santuario, la cottura e la quantità di cibo, il servizio a tavola, etc.) di quel dato evento

cui avevano partecipato con gli altri che lo avevano preceduto. Nonostante questo

continuo paragone fosse sommesso e non palesato, i priori ne erano comunque ben

consapevoli e, per evitare l'eventuale critica sociale, agivano di conseguenza

eccedendo rispetto alla misura delle edizioni passate della festa.

Nel caso della festa di pandela però il potlatch non si è limitato a consumare e

distruggere i beni (alimentari e non) messi in campo nel giorno della celebrazione,

ma nel corso degli anni si è ritorto contro il dono stesso: a metà degli anni Novanta

la festa è scomparsa nella sua forma tradizionale poiché nessuno più ha voluto

accettare l'onore e l'onere del priorato.

27

2.3 I legami parentali, di amicizia e ospitalità sanciti dalla festa.

La festa di pandela è sempre stata un esempio di socialità comunitaria di tipo

tradizionale, un evento popolare ed arcaico, spazio per eccellenza di una comunione

spontanea e felice, in cui dominano l'ordine e il rispetto reciproco tra i partecipanti

ad essa.

In origine la festa riuniva soltanto parenti stretti che, con una celebrazione annuale,

sacra e profana insieme, rinvigorivano la solidarietà familiare nel nome di un

antenato comune che aveva eretto la chiesa, luogo dell'evento. La festa aveva

dunque una rilevante carica simbolica rappresentata dalla pandela, lo stendardo nel

quale si riconoscevano sas carvas, i gruppi parentali cui per decenni spettò

ciclicamente l'onore e l'onere della commemorazione. E' a questo proposito che

Giannetta Murru Corriga parla di “memoria culturale” come fondamento

dell'identità del gruppo che

scaturisce dalla capacità del gruppo stesso di mantenere vivo, attraverso il ricordo, un patrimonio di

esperienze comuni; di formalizzare e ritualizzare una tradizione, costituendola come passato

fondante per le successive generazioni. Ed è in momenti sociali particolarmente significativi come

il culto degli antenati e la festa, nella ritualità e nella cerimonialità della comunicazione che il gruppo

manifesta la capacità di periodica rigenerazione della propria identità sociale e culturale.

(Murru Corriga 2007, pag.1)

Ma se nel tempo la memoria delle diverse carvas andò scemando e non si fece più

riferimento ad un gruppo familiare legato tradizionalmente a una determinata festa

di pandela e solo a quella, si mantenne invece viva la cifra fondamentale della festa:

promuovere momenti disinteressati di aggregazione e solidarietà sociale, a sostegno

della pacifica convivenza dei gruppi costituenti la comunità dorgalese nel suo

insieme. Come sostiene Gabriella Da Re infatti i legami parentali sanciti dalla festa

“riescono a conservare una continuità nel tempo che va ben oltre la memoria dei

legami genealogici concreti e ricostruibili tra individui storicamente vissuti”(Da Re

1993, p.50). A partire dal Secondo dopoguerra circa, benché la struttura di base del

priorato rimanesse di tipo parentale e di lignaggio, essa si rinnovò con l'introduzione

della pratica dell'elezione alla carica di priore. Con questa diversa impostazione, le

feste di pandela fondate sul sistema del priorato divennero il luogo principale di

28

autorappresentazione della comunità dorgalese, simbolo e specchio del paese, non

più di una sola carva, e di conseguenza tendente a formare nuovi vincoli

interfamiliari.

La festa dunque serviva sì da conferma e solennizzazione di una serie di legami

sociali, già precedentemente stretti in paese, ma rendeva soprattutto possibile

l'aprirsi ad altri rapporti interpersonali, in cui la famiglia dei priori diventava non

soltanto punto di relazione tra i propri parenti ed amici ma anche tra questi e i

parenti e gli amici degli altri priori anch'essi invitati, in numero più contenuto, alla

festa.

I confini di riconoscimento culturale e di appartenenza erano ben saldi, sanciti

durante la festa entro sistemi formali di codici comportamentali condivisi e

convalidati dalla tradizione. Nella festa infatti tutti si muovevano “secondo un

percorso tradizionale, obbedendo a un'ideologia e a un ruolo sociale che rispondeva

alle aspettative del gruppo” e verificando “la presenza nell'altro di un destino

comune di cui tutti si è compartecipi entro le precise forme a ciascuno assegnate”

(Gallini 2003, p.185). Un gran numero di invitati, parenti lontani, amici, vicini e

ospiti di riguardo del priore affollava il santuario della festa di pandela, dove i

priori, i parenti e gli amici più stretti si davano un gran da fare per accogliere,

assistere ed organizzare. La solennità dell'evento si colorava allora di meticolose

liturgie di saluto, di deferenza e di onori. Ma il primo onore in assoluto era stato

certamente quello che il priore aveva ricevuto nel momento in cui la pandela gli era

stata consegnata: assurgere al ruolo di priore era un fatto importante e di grande

prestigio, che solo pochi erano in grado di svolgere. Implicitamente gli venivano

riconosciute capacità organizzative, una certa disponibilità finanziaria e soprattutto

la possibilità di controllare una vasta rete di rapporti parentali, amicali e clientelari,

da cui ricevere collaborazione e supporto. Essere priore di una festa significava

solennizzare pubblicamente il proprio prestigio sociale, e quest'ultimo aumentava

di conseguenza al numero di ospiti ricevuti. Così come accadeva nei potlatch

bisognava “invitare chi può e vuole o viene ad assistere alla festa. La dimenticanza

aveva conseguenze funeste.” (Mauss 1965, p.69). Dunque era un onore anche essere

invitati alla festa di pandela, e un rifiuto ingiustificato era considerato offensivo e

29

oltremodo oltraggioso: si incorreva in una grave offesa per il priore e si metteva a

rischio la stessa relazione sociale intercorrente tra il priore e il suddetto invitato;

non si rispettavano così le norme sociali riconosciute dal gruppo. In questo caso

l'implicazione oltre che sociale, era anche religiosa: accettare l'ospitalità significava

onorare non solo il priore ma anche il santo della festa, rifiutarla offenderlo.

L'ospitalità è un rapporto sociale ritualizzato e fortemente vincolante, non lascia

grande spazio alle libertà e alle improvvisazioni individuali; nel caso della festa di

pandela l'ospite doveva partecipare al rito religioso e alla mensa comune, il grande

banchetto. La tavola era potenzialmente aperta a tutti, anche a s'istranzu, sia che

fosse un turista o un amico non dorgalese degli invitati, e addirittura a sos

turronarzos, provenienti da Tonara e Aritzo, che vendevano il torrone in bancarelle

distanti qualche decina di metri dal luogo del banchetto. Inoltre si inviava il cibo in

casa a coloro che, per lutto o per malattia, erano assenti alla festa. Il dono del

banchetto era dunque percepito da tutti nella dimensione pienamente umana e

materiale del godere in compagnia del cibo, del vino e del proprio lavoro.

Consumare il cibo insieme, in modo rituale ed extra-ordinario, significava quasi

sancire un patto ideale in funzione di un ordine sociale affermato e riconosciuto da

tutti i presenti.

Questa compartecipazione di tutti ai medesimi gesti ed intenti è stata analizzata da

Felice Tiragallo “in una dimensione interpretativa foucaultiana” secondo la quale

l'azione festiva, soprattutto il banchetto conclusivo, si presenta come una complessa articolazione di

governamentalità, cioè di modi di controllo tacito di azioni e di comportamenti armonizzati

esercitato da ogni partecipante su sé stesso. Quello che rende peculiare questo saper usare da parte

di tutti le proprie «tecniche del sé»23 è la dimensione concentrata, il legame personale di ciascun

invitato con i priori, e la dimensione diffusa, il legame di ciascun intervenuto con ciascun altro. Il

legame si esprime con condotte sensorio motrici sincronizzate, tanto più importanti in quanto si

riferiscono a duemila persone, che partecipano al banchetto con ruoli precisi e sottintesi, rispetto alle

parole che i dorgalesi dedicano alla festa. ( Tiragallo 2007, p.7).

Dunque il corpus di conoscenze e pratiche procedurali del priore e degli ospiti è sì

inscritto nella tradizione ma è incorporato durante la festa in modo inconscio e

23M.Foucault, I corsi al College de France. I Resumés.

30

automatizzato attraverso una ricca cultura materiale24 (Warnier 2005): la

governamentalità dei commensali si concretizza in un lavoro del corpo interagente

con gli oggetti comunemente manipolati a tavola, con il cibo stesso, in azioni

efficaci e condotte motrici ben adattate alla dinamica del rapporto con gli oggetti,

con l'ambiente e con gli altri. Tutti in questo modo, con gli stessi gesti ben misurati,

godevano dell'eccezionalità corale, erano partecipi e testimoni del rituale d'offerta

e onoravano il loro ruolo di ospiti. Ancora, la governamentalità non si esercitava

soltanto sui commensali ma anche su coloro che, a vario titolo, collaboravano alla

preparazione del cibo per il pranzo e al servizio a tavola: le donne addette alla

cucina, gli uomini addetti alla cottura delle carni e i giovani che servivano alle

tavolate. In questo contesto la governamentalità agiva su due livelli: in primo luogo

come una forma di controllo sulle azioni degli altri ossia il priore, la capocuoca e il

“maestro di casa” agivano in maniera eterodiretta sul modo in cui i collaboratori

svolgevano le loro attività, ma agiva poi anche come tecnica del sé nel momento in

cui i collaboratori agivano su se stessi. Ciò implicava una forte coesione e

omogeneità non solo del gruppo degli ospiti, ma anche del gruppo degli assistenti,

ed inoltre una loro interazione continua che sicuramente favoriva nuove conoscenze

e l'instaurarsi di nuovi legami interpersonali. A questo proposito così racconta uno

dei miei informatori:

Mi ricordo di aver servito a diverse feste. Seduto, pochissime volte; i ragazzi in genere venivano

impiegati per servire ai tavoli. (...) Ricordo molta allegria, molti ragazzi, c’era almeno metà delle

cricche ed era trasversale, non era riservata ad una fascia di età: c’era tutto il paese, uno spaccato

dei gruppi del paese (...) era facile incontrarsi, mescolare le cricche, avvicinarsi, ragazzi e

ragazze,(...) poi se uno faceva parte del gruppo dei familiari era coinvolto anche nelle giornate

precedenti e quindi era un modo per conoscere molte persone, anche molti adulti che aiutavano la

famiglia del priore. (Intervista n°6 a Michele C.)

Un altro aggiunge:

(...) da quando avevo sedici anni (...) si veniva invitati e si iniziava ad andare alle feste e si faceva il

servitore (…) era una cosa normalissima per tutti (...) Chi veniva invitato, i ragazzi generalmente

venivano reclutati e venivano assegnati alle squadre dei camerieri (…) era un modo per fare amicizia

con gli altri ragazzi, perché tanti anni fa non funzionava come adesso che siamo aperti a tutti, prima

si usciva con gli amici e solo con gli amici.

24La cultura materiale è “ l'insieme degli oggetti materiali co-inventati e prodotti con le condotte

sensorio-motrici che ne consentono l'incorporazione e l'uso”. (Warnier 2005)

31

(Intervista n°3 a Ignazio M.)

Si poteva allora parlare di un circolo virtuoso: la festa e il banchetto necessitavano

– per la loro buona riuscita – di un lavoro collettivo ben coordinato e di un impegno

di reciprocità realizzabili solamente grazie alla solidarietà parentale ed amicale, ma

al tempo stesso questa solidarietà necessitava a sua volta della festa e del banchetto

per affermarsi, rinnovarsi e conservarsi nel tempo tra i membri della comunità

dorgalese. Infatti un' informatrice ricorda che:

Era bello anche all'antica. Quando io ero giovane erano belli i preparativi perché ci si divertiva

minimo minimo quindici giorni: dovevamo fare la raccolta dei piatti, delle posate (che si chiedevano

alle famiglie)...in questa organizzazione si rideva e si giocava, ci si rincontrava con i parenti, cugine

di primo o secondo grado che non vedevi magari da un anno intero. Erano proprio belli i preparativi,

erano quasi più belli della festa (...).

(Intervista n°5 a Margherita D.)

Era dunque ben presente, anche a livello di consapevolezza, il fatto che trovarsi alla

festa significasse avere molte possibilità di incontro e mettere le basi per relazioni,

destinate poi ad essere coltivate nella vita quotidiana, in paese. In queste occasioni

era molto diffuso l'instaurarsi di rapporti di comparatico, vincolo a volte superiore

a quello familiare.

Alla festa il gruppo poteva ricostituirsi per intero, aprirsi agli altri e rompere gli

isolamenti interfamiliari. Le energie, le risorse materiali e immateriali, in relazioni

sociali, profuse nel corso dei preparativi e nel corso della festa stessa avevano come

risultato più evidente il consumo rituale di cibo, l'intensa circolazione di beni e

servizi e il divertimento collettivo. Il divertimento collettivo appunto andava aldilà

del banchetto e si manifestava progressivamente nell'arco della giornata. Al termine

del pranzo gli ospiti lasciavano i tavoli e si disperdevano in diversi gruppi per

conversare, ridere e scherzare: le relazioni sociali entravano allora nel vivo. Via via

si formavano i capannelli dei giocatori di morra, dei tenores che cominciavano a

cantare mentre i suonatori imbracciavano l'organetto e si formavano le coppie per i

balli sardi tradizionali. Il ballo era un importante modo di espressione comunitaria,

una pubblica e gioiosa affermazione di gruppo che comportava un elevatissimo

grado di socializzazione. I cavalieri potevano avvicinarsi alle dame, invitarle a

32

ballare e prenderle a braccetto. Al ballo partecipavano tutti, uomini e donne, vecchi

e giovani e, mentre le coppie si incrociavano, si sfioravano e si mescolavano, si

intessevano nuove conoscenze e si riallacciavano antichi legami.

Soprattutto per le giovani la festa, e il ballo in particolare, davano l'occasione di una

maggiore libertà rispetto ai rigidi vincoli loro imposti in paese in quanto i genitori

allentavano il loro vigile controllo:

Ricordo che in queste occasioni – perché era una festa del santo – c 'era più libertà anche per noi

allora ragazze. Per esempio anche io nel '58 che ero fidanzata avrei potuto avere il permesso da mia

madre di andare in moto col mio fidanzato a condizione che ci fosse un fratello che mi

accompagnasse (...) Non è che ti lasciavano sola col fidanzato perché c'era sempre il fratello che

vigilava. (...) Noi ragazze ovviamente dovevano tornare prima però era bello (...) perché al rientro

dalla festa la gente tornava a piedi, si facevano le pause, ci si fermava, almeno quattro o cinque volte,

per suonare e ballare.

(Intervista n°5 a Margherita D.)

La festa, nell'ambito dei rapporti sociali tra i sessi, facilitava in un certo senso anche

i corteggiamenti, garantendo la possibilità di incontri fra giovani da tenersi però

sempre in gruppo, in modo che fosse esso stesso a sorvegliare ed eventualmente

moderare la situazione. Questo fatto rispondeva a pieno alla cosiddetta “ideologia

della sospensione della regola” (Gallini 2003, p.230), per la quale nell'eccezionalità

del tempo festivo si sospendeva il controllo sociale, nelle sue forme più vincolanti

e repressive. Vigeva l'uguaglianza e la fratellanza, tutti erano accomunati dalla

medesima condizione, quella di ospite del priore e del santo. La festa era un

momento di pacificazione che permetteva il superamento di certi attriti inevitabili

nell'ambiente paesano: il priore infatti invitava in quest'occasione anche le persone

con cui, per vari motivi, non trattava più, e se queste accettavano l'invito si assisteva

ad una pubblica riconciliazione e da ciò derivava indubbiamente un miglioramento

dei loro rapporti. La festa funzionava da canale di controllo e regolamentazione di

ogni possibile relazione sociale, evitava le chiusure e le tensioni reciproche.

Nonostante ciò poteva darsi il caso che si verificassero delle schermaglie tra ospiti,

ne è indice il fatto che a Dorgali la festa di pandela di San Pantaleo fosse anche

detta “sa esta de sos brionzanos”25 poiché erano numerose le liti che accadevano

25“La festa dei litiganti”.

33

ogni anno durante il suo svolgimento, per la maggior parte dovute all'avanzato stato

di ubriachezza raggiunto nel corso dell'evento da alcuni presenti. Il priore allora

interveniva per placare gli animi e riportare all'ordine la situazione. In generale

comunque, dinnanzi al santo o alla Madonna, non valevano antagonismi o

discriminazioni, le disamistades si estinguevano e si rispettava la norma sociale

della tregua.

La chiesa col santo era insomma il punto di riferimento ideale di tutta la festa e di

tutti coloro che vi partecipavano. Come suggerisce uno dei miei informatori:

La motivazione è sì religiosa perché la festa è un quadro: il centro è la parte religiosa, la cornice è il

divertimento, incontrarsi con tutta quella gente che non vedevi da tempo, parenti e amici...

(Intervista n°5 a Margherita D.)

Si andava dunque alla festa con un forte sentore religioso oltre che sociale, e il

priore stesso spesso accettava di organizzarla per devozione o addirittura per

esplicito voto o “promessa” a quel determinato santo. Subentravano poi le ragioni

di prestigio sociale o di riconoscenza nei confronti della propria comunità di

appartenenza. Si può allora dire che la festa non era interamente assorbita

dall'ambito religioso, poiché valorizzava in modo evidente i suoi aspetti di socialità

extra-ecclesiastica, forse considerabili laici o pagani, ma che tutta la comunità

riteneva elemento necessario al pieno svolgimento della festa. Nella festa di

pandela, poiché in onore della Madonna o del santo, era lecito divertirsi, godere del

consumo del cibo, del vino e della compagnia altrui senza incorrere nel “peccato”,

questo godimento era soddisfatto e persino ritualizzato: il sacro fungeva da

eccellente alibi per il profano, le due sfere non si escludevano l'un l'altra. La Chiesa,

nella figura del parroco, si occupava esclusivamente della celebrazione religiosa,

mentre al priore spettavano tutti gli altri compiti, in particolare quelli legati

all'aspetto edonistico dell'evento.

Insomma la festa, come rappresentazione di un rito, si collegava da una parte

all'elemento religioso, dall'altra alla tradizione sociale e, da quest'ultimo punto di

vista la buona riuscita della festa di pandela era indice di un rapporto armonico tra

i membri della società dorgalese che qui trovava una conferma e una

solennizzazione.

34

Ma la festa, oltre ad essere il luogo principale di autorappresentazione della

comunità era anche simbolo e specchio dell'epoca in cui si svolgeva, e quando, negli

anni Novanta, l'epoca del boom del consumo di massa cedette il passo a quella del

ristagno economico la festa di pandela ne fu investita: si giunse ad un punto di non

ritorno nell'impossibilità stessa di costituire un nuovo priorato.

35

Capitolo terzo.

Le feste di pandela organizzate dalle associazioni.

3.1 Nuova struttura organizzativa delle feste: le associazioni.

A partire dalla metà degli anni Novanta la carica di priore cominciò a pesare: si

fecero più frequenti i rifiuti e furono sempre più difficoltosi i vari sondaggi

sotterranei per l'individuazione della persona disposta ad assumere la carica. Inoltre

tra i dorgalesi cominciò a montare una certa critica contro gli eccessi e gli sprechi

dei banchetti delle feste, a favore di un ritorno a forme di celebrazione più permeate

di senso religioso. L'istituto del priorato entrò definitivamente in crisi e per l'anno

1996 non fu nominato nessun priore per nessuna delle feste di pandela. Per un paio

d'anni le cinque chiesette campestri vennero sì aperte nel giorno dedicato al santo o

alla Madonna cui erano intitolate, ma soltanto per celebrarvi la messa, senza altra

manifestazione collaterale di sorta. La tradizione delle feste di pandela sembrava

essersi definitivamente esaurita. Finchè nel 1998, il Comitato di solidarietà

dorgalese pensò di riproporre la festa di San Cornelio e San Cipriano, un tempo così

sentita in paese, per coinvolgere l'intera comunità in una raccolta fondi in favore

dell'associazione. Il Comitato è infatti nato nel 1985 ad opera di un gruppo di

giovani dorgalesi per sostenere un amico che aveva bisogno di eseguire un trapianto

fuori dall'Italia. Reperisce fondi allo scopo di aiutare economicamente quei

concittadini che necessitano di particolari interventi chirurgici, trapianti o altre cure

per gravi malattie e che hanno bisogno di andare all'estero per essere seguiti o

perché in loco non ricevono una sufficiente copertura da parte dalle strutture

sanitarie convenzionate o dai Servizi Sociali. Così come spiega uno dei soci:

Abbiamo iniziato come Associazione Solidarietà dorgalese e avevamo pensato di poter fare qualche

iniziativa per poter racimolare dei fondi perché non siamo finanziati da nessuno se non dal buon

cuore della gente. Quindi avevamo pensato di fare una sorta di festa di San Cipriano in piazza, dove

avremmo fatto balli e schiamazzi vari offrendo un bicchiere di vino per chiedere una piccola offerta

alla gente.

(Intervista n°7 a Nino M.)

36

Un altro informatore aggiunge:

Abbiamo detto: “ma perché abbandonarle [le feste di pandela] del tutto? Troviamo una soluzione

che potrebbe essere anche un aiuto per l'Associazione e allo stesso tempo per riprendere le feste di

pandela”.

(Intervista n°2 a Manlio M.)

La manifestazione del 1998 ebbe successo e séguito tra i dorgalesi tanto che il

Comitato di Solidarietà la ripropose negli anni immediatamente successivi. Sin dal

1998 era stata ripresa anche la festa di Nostra Signora di Valverde da parte

dell'associazione di volontariato Croce Verde, la cui scelta era stata probabilmente

determinata dal fatto che uno dei suoi soci fondatori era stato il priore dell'ultima

festa di pandela svoltasi appunto a Valverde nel 1995, ancora secondo il sistema

del priorato (Tiragallo 2007, Murru Corriga 2007). Nel 2000, poichè tutti i membri

del Comitato di Solidarietà dorgalese erano inoltre soci della sezione locale

dell'AVIS, vista la positiva affermazione del revival della festa di San Cornelio e

San Cipriano, si proposero di assumere anche l'onore dell'organizzazione della festa

di Buon Cammino, decidendo poi, dopo un costruttivo colloquio con il parroco di

allora, di coinvolgere il Comune e le altre associazioni dorgalesi culturali e di

volontariato nella speranza di rilanciare tutte le feste di pandela. Fu così convocata

una riunione alla quale parteciparono l'assessore comunale ai Servizi sociali, il

parroco, alcuni ex-priori delle feste e i rappresentanti di tutte le associazioni

benefiche e culturali del paese. Si stabilì che i vari comitati si sarebbero alternati

nell'organizzazione delle feste di pandela, in modo che tutti si occupassero di anno

in anno di una festa diversa. In realtà, in questa sede ogni gruppo aveva espresso

delle preferenze per una determinata festa che di fatto, nel corso degli anni, ad esso

è rimasta attribuita. I restanti comitati, non essendosi fatti avanti per esigere un

cambio di turno, si avvicendano nell'animazione di questo o quell'evento. Perciò

per ogni festa vi sono almeno quattro associazioni coinvolte: una per

l'organizzazione in toto, una che gestisce la processione a cavallo, una che si occupa

dei balli e un'altra che canta la messa e si esibisce poi nel corso della serata.

L'organizzazione della festa di pandela della Madonna di Valverde è a cura della

Croce Verde, una delle associazioni di volontariato più longeve del paese, istituita

37

nel 1983 per garantire a Dorgali un degno servizio di primo soccorso e ambulanze.

La festa de Su Babbu Mannu (dello Spirito Santo) è in carico alla Polifonica

Lorenzo Perosi, fondata nel 1985 e composta da circa trenta coristi, che ha un vasto

repertorio di musica sacra e profana, non solo sarda. La sezione dorgalese

dell'AVIS, fondata nel 1989, conta ben centocinquanta soci – di cui solo cinque in

consiglio direttivo – è degna di merito per il suo impegno nella raccolta del sangue,

e si occupa di organizzare la festa in onore della Madonna di Buon Cammino.

Ancora, il Coro Istelotte, un gruppo maschile di circa venti elementi, nato nel 1996,

il cui repertorio di canti in sardo attinge anche ai versi dei poeti locali, si cura della

festa di pandela di San Giovanni. Invece la festa di San Pantaleo è organizzata dal

Comitato Santu Pantaleo che nel 2008 ha ristrutturato la chiesetta campestre

risalente al 1668 e si è costituito per recuperarne il culto. Infine la festa dei Santi

Cornelio e Cipriano è in carico al Comitato di Solidarietà che, come ricordato sopra,

è impegnato nel garantire ai dorgalesi l'accesso a tutte le forme di assistenza

sanitaria. I cavalieri dell'associazione Caddhos e dell'associazione Ippica portano

gli stendardi in processione a cavallo nei giorni delle feste; il gruppo folk Tiscali e

il gruppo folk Don Milani si alternano nell'animazione delle feste con i balli

tradizionali; inoltre le messe in onore dei Santi o della Madonna sono cantate,

secondo un prestabilito abbinamento ad una festa piuttosto che ad un'altra, dal coro

Ilune, dal coro Istelotte, dal coro Prama 'e seda, dalla Polifonica Lorenzo Perosi e

dalla Polifonica Vivaldi.

Il fatto che oggi siano delle associazioni e non più un priorato ad assumersi l'onore

e l'onere dell'organizzazione delle feste di pandela è sicuramente un'innovazione

interessante sotto vari punti di vista: l'attualità dà nuove forme alla festa, ai suoi

limiti e al suo senso.

3.2 Fasi e modalità di preparazione e svolgimento delle feste e loro assetto

finanziario.

38

Le feste di pandela di “nuova generazione” vedono gruppi di volontari laici

impegnati nella loro organizzazione, ognuno di essi retto da un presidente.

La struttura della festa prima, sotto il priorato, si caratterizzava per tre aspetti: era

autonoma rispetto ai più alti livelli dell'istituto ecclesiastico, era gerarchico-

autoritaria nel senso che il priore era dotato di tutti i poteri decisionali, ed era

temporanea perché ogni anno il priore affidava l'incarico ad un altro priore.

Oggi il primo aspetto si mantiene intatto, infatti Chiesa e sacerdote si occupano

esclusivamente delle pratiche rituali mentre tutte le altre attività organizzative sono

di competenza dell'associazione; il secondo aspetto è stato invece stravolto, ora si

ha una struttura assembleare poiché le decisioni riguardanti la festa sono prese di

comune accordo tra i membri del gruppo; è mutato anche il terzo aspetto in quanto

una data associazione si occupa ogni anno di preparare sempre la stessa festa di

pandela e solo quella, l'incarico dunque non è più temporaneo e non è soggetto ad

alcun passaggio di consegne.

Ogni anno nel mese di marzo o aprile, due mesi o un mese e mezzo prima che abbia

inizio l'intero ciclo delle feste – si svolgono da maggio a settembre – viene

convocata in comune una riunione di tutti i gruppi coinvolti nel perpetuare la

tradizione di questi eventi, alla presenza del parroco e dell'assessore alla cultura e

ai servizi sociali. In tale sede si stabiliscono le date delle feste (solitamente si

sceglie il sabato più vicino alla data ufficiale indicata dal calendario religioso) e,

per ciascuna di esse, l'orario della processione e della messa, il gruppo di ballo e il

coro che deve animare quella determinata festa in base alla disponibilità per il

giorno in questione, cercando di evitare la sovrapposizione con altre manifestazioni

in paese o altri impegni delle associazioni stesse o del parroco. Inoltre l'assessore

comunica l'ammontare del contributo finanziario erogato per quell'anno dalle casse

comunali, in ugual misura, a tutti i gruppi26 per sostenerli nell'onere della festa.

Inizialmente, nel 2000, la sovvenzione ammontava a circa 800.000 lire per ognuno

degli eventi, poi con l'entrata in vigore dell'euro nel 2002 è salito a 1.000 euro e ora,

26Il Comitato Santu Pantaleo riceve il contributo solo da due anni a questa parte, prima del 2010

non riceveva alcun finanziamento comunale.

39

forse per l'effetto della crisi sulle disponibilità economiche del comune, è di poco

inferiore a quest'ultima cifra. Per la festa di San Cornelio e San Cipriano il

contributo solitamente è doppio in quanto, a differenza delle altre feste, essa non si

esaurisce in una sola giornata ma si svolge nell'arco di tre giorni. Anche questo è

un fatto del tutto nuovo perchè quando le feste erano a carico del priorato nessun

ente pubblico interveniva per sovvenzionarle, il comune donava semplicemente un

carico di legna al priore, dal valore più che altro simbolico. Attualmente ogni

comitato è autonomo nell'amministrazione dei fondi, nella scelta del tipo di invito

e dei divertimenti offerti agli ospiti e nella sorveglianza dell'ordine interno. Ma

fondamentalmente le diverse associazioni culturali e benefiche utilizzano e iterano

tutte un medesimo schema operativo e organizzativo delle feste di pandela, che può

prevedere appena sottili variazioni. Secondo questo modello le associazioni, dopo

la riunione di aprile, una settimana prima della festa loro attribuita, sfruttano gli

incontri settimanali ordinari – o quelli dedicati alle prove di canto se si tratta del

coro Istelotte e della Polifonica Lorenzo Perosi – o ancora indicono degli incontri

appositi, per stabilire quali compiti ognuno dei soci debba assolvere

nell'organizzazione dell'evento. Si procede innanzitutto alla stampa dei manifesti

che, una volta affissi lungo le strade e nei vari locali pubblici del paese, invitano

indistintamente l'intera comunità e chiunque abbia piacere di partecipare alla festa.

Le partecipazioni, cui si ricorreva al periodo del priorato, sono oggi stampate in

numero molto esiguo ed indirizzate esclusivamente alle autorità istituzionali: al

sindaco, all'assessore comunale alla cultura e ai servizi sociali, alla stazione dei

vigili urbani e dei carabinieri, alla compagnia barracellare. Anche la stampa locale

pubblicizza l'evento, così come il parroco, nel corso delle messe celebrate nella

parrocchia di Santa Caterina, ne ricorda la data imminente ai fedeli.

Nei giorni immediatamente prima della festa alcuni membri dell'associazione si

occupano di pulire e sistemare il santuario e le sue strade d'accesso. Esso è

comunque ben tenuto nell'intero arco dell'anno dai gruppi di volontariato che

solitamente destinano alla sistemazione edilizia della chiesa e delle sue cumbessias

una parte delle offerte raccolte il giorno della festa. Il Comitato Santu Pantaleo in

particolare, essendosi costituito proprio allo scopo di evitare la rovina dell'omonimo

40

santuario e recuperarlo, utilizza tutto il denaro raccolto per apportare migliorìe al

sito. In generale questo lavoro di pulizia e ripristino comporta per tutte le

associazioni il coordinamento di un certo numero di persone, tra le quali spesso si

annoverano alcuni dorgalesi che, pur non essendo soci, offrono volentieri la loro

manodopera per la causa, siano essi i proprietari di terreni confinanti con quello

della chiesetta campestre o più semplicemente volenterosi amici e parenti dei

membri del gruppo di volontariato. Sempre alla vigilia, altri componenti

dell'associazione si occupano di acquistare l'occorrente per la festa, dagli alimenti

alle bibite, dal necessario per allestire il santuario a quello per approntare le tavolate

dell'invito. Gran parte di questi beni sono offerti dalla stessa comunità dorgalese,

così come spiega uno degli informatori:

(...) Non sprechiamo soldi visto che si cucina la carne che ogni pastore ha deciso di regalarci, infatti

tra un po' cominceranno a chiamare: “ricordati che ti dò una capra, ricordati che ti dò un porcetto,

segnami che ti dò cinquanta litri di vino!”. Poi, quando dobbiamo fare la festa di Buon Cammino,

di solito c'è una fioraia che ogni anno ci regala la fioritura di tutta la chiesa e poi, naturalmente

abbiamo stabilito che, siccome ci sono da fiorire anche sas pandelas, “ci regali la fioritura della

chiesa però sas pandelas te le paghiamo” e non le portiamo da un altro ma chiaramente le portiamo

da lei. Per la festa di San Cipriano sono tre i fiorai che si mettono d’accordo per fiorire la Chiesa di

Santa Caterina e sas pandelas, quindi si dividono il lavoro. (...) Per esempio da dove prendiamo il

pane o su moddizzosu, metà te lo regalano e metà lo paghi. Per i dolci cerchiamo sempre di

coinvolgere tutte le pasticcerie di Dorgali, e tutti per esempio quando compri due vassoi, uno te lo

regalano; quindi tutte le associazioni economiche di Dorgali collaborano, chi più chi meno, ma tutte

collaborano. (Intervista n°7 a Nino M.)

Degli usi delle risorse viene redatto un bilancio consuntivo; esso serve da

rendiconto formale delle spese della festa, con relativa fatturazione, da far pervenire

al comune, in modo da dimostrare come è stato utilizzato il suo finanziamento.

Aldilà della pulizia del santuario e degli acquisti di beni e alimenti necessari, tutti

gli altri preparativi si svolgono la mattina stessa della festa.

Sin dalle prime ore del mattino gli operatori dell'associazione o del coro

organizzatore si mettono al lavoro per portare tutto il materiale alla chiesetta

campestre, iniziare a montare le tavolate per il buffet, allacciare i cavi della corrente

elettrica per illuminare a sera il piazzale, dare inizio all'arrostitura delle carni,

laddove queste siano previste per l'invito serale destinato agli ospiti, o più

semplicemente per il pranzo di tutti coloro che la mattina collaborano

41

all'allestimento del santuario. Le donne facenti parte del gruppo, e spesso anche le

mogli volenterose dei soci o dei coristi, si occupano invece dell'addobbo floreale

delle pareti esterne della chiesetta campestre e della decorazione interna dell'altare

principale e di quelli secondari. A questo scopo si utilizza il corredo costituito da

donazioni fatte nel corso degli anni dai priori delle feste passate o dai fedeli: ogni

chiesetta campestre ha il suo proprio corredo. Le donne sono solitamente

coadiuvate nell'operazione dalla fioraia che offre gratuitamente le proprie

composizioni floreali per la festa. Nella cumbessia, vera e propria base logistica di

ogni festa di pandela, vengono ordinatamente sistemati piatti, bicchieri e posate in

plastica, tovaglioli di carta, vassoi in alluminio, cartoni di vino locale, bottiglie di

acqua naturale e altre bibite, innumerevoli buste di moddizzosu e pane carasau,

formaggi, salsicce e confezioni di dolci tipici, in modo che al momento dell'invito

sia semplice attingere alla scorta per sostituire i vuoti con i pieni. Fino alle 15:30 è

tutto un fervòre di preparativi, un via vai di soci, e loro amici o parenti, indaffarati

fino all'ultimo minuto utile prima del momento in cui si deve rientrare in paese per

prepararsi alla processione delle pandelas, che ha generalmente inizio alle 17:30.

A quell'ora infatti, nella piazza della chiesa parrocchiale di Santa Caterina, i

cavalieri in pantaloni di velluto nero e camicia bianca, radunano i cavalli tirati a

lucido, ben sellati e bardati a festa. I membri dell'associazione di turno consegnano

loro, in modo solenne, le sei pandelas dei santi, dopo averle prelevate dalla sagrestia

della Parrocchia, in cui vengono custodite nel corso dell'anno. Ha inizio la

processione: in testa un'auto dei vigili urbani, a seguire il cavaliere che regge lo

stendardo della festa celebrata quel giorno, immediatamente dietro di lui coloro che

reggono gli altri vessilli e, a chiudere, la fila di auto dei soci. Il corteo procede lungo

le due strade principali del paese, via La Marmora e Corso Umberto, e si ferma nei

pressi dell'uscita dal centro abitato per consentire ai cavalieri di cedere le pandelas

agli operatori del gruppo di volontariato; questi ultimi procedono, con gli stendardi

ben in mostra che svolazzano dai finestrini, fino al santuario campestre della

Madonna o del Santo festeggiato. I membri dell'associazione, una volta

parcheggiate le auto, portano sas pandelas all'interno della chiesetta dove ricevono

dal parroco una prima benedizione. Si forma quindi una processione che compie tre

42

giri rituali attorno all'edificio: in prima fila un rappresentante del gruppo con la

croce, poi gli altri soci che reggono i sei stendardi, il sacerdote, altri fedeli, ed infine

il coro o la polifonica (abbinato per quella determinata festa all'associazione in

carica) che intona il Deus ti sarvet Maria, il canto dell'Ave Maria in lingua sarda.

Al termine dei tre giri rituali tutti entrano nuovamente compunti in chiesa e si

celebra solennemente la messa, cantata dallo stesso coro che ha accompagnato la

processione.

La messa termina tra le 19:30 e le 20:00, e all'uscita dalla chiesetta gli ospiti

affluiscono lentamente alla tavolata dell'invito e, conversando tra loro, gradiscono

il caffè caldo accompagnandolo con i biscotti della tradizione dorgalese, dolci tipici

e frolleria mista. Successivamente vengono offerti ai presenti altri ottimi prodotti (a

seconda della festa e dell'associazione organizzatrice essi possono variare):

moddizzosu, salsicce, spicchi di pecorino, trizza chin mele27, carne di maiale,

polpette di asino, asino in umido, spezzatino di manzo in rosso, e altre prelibatezze

locali. Dietro la tavolata si adoperano i membri dell'associazione di turno –

distinguibili per le loro maglie d'ordinanza con tanto di stemma identificativo del

gruppo – i quali sostituiscono via via i vassoi vuoti con quelli pieni e provvedono a

versare caffè, vino rosso, acqua, aranciata, sprite...

Sulla stessa tavolata sono disposte, a debita distanza l'una dall'altra, le cassettine

per la raccolta delle offerte in favore del gruppo di volontariato; solitamente la

maggior parte degli ospiti, prima di servirsi al buffet, dona un'offerta, non ignora

una tale fiera dell'ospitalità, il cui strumento privilegiato è l'eleargizione di cibo. E'

proprio secondo le forme d'obbligo dell'invito, su cumbidu, che si gode delle

presenze umane e ci si apre ai rapporti sociali tra ospiti e membri dell'associazione,

dorgalesi e turisti, coristi e ballerini, insomma tutti i presenti sono coinvolti. Infatti

dalla tavolata la gente, dopo essersi servita, si disperde in diversi capannelli nel

vasto spiazzo antistante alla chiesa che diviene anche pista da ballo per i

componenti del gruppo folk Tiscali o Don Milani (o l'uno o l'altro in base agli

abbinamenti tra le associazioni stabiliti nella riunione di aprile), e per tutti coloro

27Una varietà di formaggio dolce servito col miele.

43

che si vogliono unire alla danza, siano essi vecchi, giovani o bambini. La musica

risuona dagli altoparlanti affissi sin dal mattino sulle pareti esterne della chiesa. Si

formano le coppie secondo movimenti di gruppo armoniosi, e anche alcuni turisti

provano a cimentarsi nei balli tradizionali dorgalesi.

Ai balli sardi si alternano poi gli struggenti canti del coro o della polifonica che ha

precedentemente cantato la messa. Le varie associazioni organizzatrici possono, di

anno in anno, variare l'intrattenimento: ad esempio l'anno scorso il coro Istelotte,

organizzatore della festa di San Giovanni, aveva invitato un coro di alpini che

proponeva un repertorio insolito per i dorgalesi; o ancora, è socio della sezione

locale dell'AVIS un bravo cantante dorgalese che, durante la festa di Buon

Cammino, allieta i presenti con le sue performances canore che prevedono anche

musica pop e rock, ed inoltre si destreggia alla consolle per alternare ai classici balli

sardi della musica più moderna, così da coinvolgere anche gli ospiti più giovani. A

prescindere da queste minime variazioni sul tema, immancabili a tutte le feste di

pandela sono i giocatori di morra, che si riuniscono un pochino in disparte rispetto

alla tavolata: mentre un uomo conta in qualità di arbitro, gli altri uomini, con le

maniche rimboccate, si sfidano nel gioco con grande accanimento. La festa dunque

prosegue sempre tra chiacchiere, degustazioni, canti e balli, vecchie conoscenze e

nuovi incontri, risate e scambi di opinioni; solo verso la mezzanotte la gente

comincia a scemare e lasciare il santuario, gli organizzatori iniziano a ritirare ciò

che, se lasciato all'aperto, potrebbe rovinarsi nell'arco della notte mentre tutto il

resto viene risistemato e ripulito con calma il mattino seguente.

Questo è dunque lo schema modello di ogni festa di pandela di “nuova

generazione”, eccezion fatta per la festa di Santu Pantaleo e per quella dei Santi

Cornelio e Cipriano che differiscono dalle altre per qualche caratteristica.

La festa di San Cornelio e San Cipriano è l'unica festa di pandela paesana, è sempre

stata la più importante di Dorgali, quella che forse gode ancora oggi di maggior

prestigio e partecipazione, infatti è stata la prima ad essere ripristinata – dal

Comitato di solidarietà dorgalese – dopo la fine del sistema del priorato. A

differenza di tutte le altre essa si svolge nell'arco di tre giorni, il fine settimana più

vicino alle date del 16-17 settembre, ed interamente nel centro abitato. Anche al

44

tempo del priorato era la festa di pandela che durava più a lungo, prevedeva ben

nove giorni di balli nella piazza più vicina alla casa del priore mezzore, ed era

caratterizzata dalla nomina, ogni tre anni, non di un singolo priore, bensì di una

terna di priori. Attualmente la messa viene celebrata nella Parrocchia di Santa

Caterina perché la chiesa originariamente intitolata ai due Santi non esiste più,

sorgeva nel rione Mesaustu, ma fu demolita nel 1913 (Pisanu 1997, p.150). Il

rinfresco e i balli hanno luogo nella Piazza Sant'Andrea, nota anche con il nome di

Su Cucuru, al centro del paese. Durante le tre serate l'offerta di intrattenimento è

più varia rispetto alle altre feste, solitamente in quest'occasione si esibiscono non

soltanto i gruppi folk e la corale di turno, ma anche piccoli complessi rock di giovani

dorgalesi e gruppi di ballo moderno. Probabilmente anche l'ammontare delle offerte

donate all'associazione per questa festa è maggiore rispetto a quelle racimolate negli

altri eventi dello stesso ciclo, proprio in forza della più sentita partecipazione da

parte dei dorgalesi, dovuta anche al fatto che non comporti degli spostamenti fuori

dal centro abitato, in auto. Al contrario, un primo elemento discriminante della festa

di pandela di San Pantaleo sta proprio negli spostamenti che essa comporta: il

santuario sorge sul colle sovrastante le gole dell'invaso del fiume Cedrino, ed è

raggiungibile solo via lago, mediante le imbarcazioni messe a disposizione dal

Comitato Santu Pantaleo nel giorno della celebrazione, o con imbarcazioni private

o in canoa. In passato i priori naturali, eredi dei fondatori, si occuparono della

gestione della struttura e dell'organizzazione dei festeggiamenti sino alla metà degli

anni Ottanta, periodo in cui venne creato il bacino artificiale sul fiume Cedrino, che

portò al conseguente isolamento della chiesetta. Nel 2008 essa è stata ristrutturata

grazie all'impegno del Comitato Santu Pantaleo, che ne ha in carico la festa. La

posizione del santuario è decisamente suggestiva, valorizzata dalle acque del lago

che circondano il colle e aumentano il fascino della chiesa; ciò però comporta anche

non pochi problemi di logistica. Un informatore spiega:

(...)San Pantaleo appunto ha questa differenza dalle altre feste, che bisogna arrivarci in barca, quindi

questo tragitto bisogna comunque che il comitato lo organizzi al meglio. In genere ci ha sempre dato

una mano chi ha un gommone, chi ha una piccola barca la porta direttamente lì, almeno sei o sette

persone se ne occupano. (...) Molti no, vengono appunto solo il giorno per aiutarci in questo senso.

(...) Noi paghiamo solo il carburante per il trasporto..

45

(Intervista n°1 a Paola M.)

Dunque alla vigilia della festa le imbarcazioni consentono di portare il materiale

necessario all'allestimento dell'invito sino al santuario, e nel giorno della festa

traghettano gratuitamente gli ospiti da una riva all'altra del lago. Nonostante questa

difficoltà dovuta agli spostamenti in barca, o forse proprio per il tragitto suggestivo,

l'affluenza a quest'evento è sempre in crescita e tra i pellegrini si annoverano molti

turisti. Tra l'altro la festa di pandela di San Pantaleo è l'unica che attualmente si

svolge al mattino: alle 9:00 è fissata la partenza delle barche. Questa scelta è dovuta

al fatto che la festa si svolge a fine luglio, il sabato più vicino al 27 luglio (data della

ricorrenza religiosa del Santo), e per evitare il picco del gran caldo e dell'afa tipici

della stagione estiva si preferisce concentrare lo svolgimento dell'evento nell'arco

della mattinata. Di conseguenza, all'arrivo delle imbarcazioni sulla sponda in cui

sorge il santuario viene servito, presso i pontili di attracco – anche questi acquistati

ed ancorati a spese del Comitato – un primo invito, una colazione di caffè, dolci

tipici e crostate alla marmellata. Inoltre ad ogni ospite viene consegnata una

bottiglietta d'acqua fresca, utile ad idratarsi e sopportare il caldo nella breve ma

ripida salita che dai pontili conduce alla chiesetta e alle due cumbessias, restaurate

dall'associazione. La messa solitamente si celebra alle 10:00, ed è doveroso

sottolineare che questa è una delle poche feste ancora molto sentite dal punto di

vista religioso: San Pantaleo era infatti molto venerato perché medico dai poteri

taumaturgici e la sua era l'unica chiesa in cui erano conservati degli ex-voto28 in

cera, per lo più raffiguranti arti umani, donati per invocare la grazia della

guarigione; oggetti oggi custoditi nella Parrocchia di Santa Caterina. Attualmente,

al termine della messa, si può assistere ad un rito religioso molto particolare, che

un informatore descrive così:

(...) Alla fine della messa tutti o quasi si avvicinano alla statua del santo per toccare con un fazzoletto

un cofanetto dove ci dovrebbero essere delle polveri con proprietà mediche miracolose, che poi si

portano dietro diciamo come una specie di reliquia che dovrebbe aiutarli a guarire. (...) Quest’anno

l'ho sentito in modo particolare perché si è creata una fila per tutta la chiesa, perché si sono avvicinate

anche persone che pensavo non fossero molto religiose e chiunque avesse un problema di salute si

28Oggetti offerti dai fedeli al Santo o alla Madonna per grazia ricevuta.

46

è avvicinato a toccare la statua del santo.

(Intervista n°1 a Paola M.)

Questa pratica devozionale era in uso anche ai tempi del priorato: il giorno della

festa, dopo la messa, le madri facevano toccare ai figli la polverina contenuta nel

cofanetto, tenuta dal Santo nella mano sinistra, si facevano il segno della croce e

invocavano il Santo affinché preservasse i loro figli dalle malattie. (Fronteddu

1987).

Alla festa di San Pantaleo però, viene portata sino al santuario solamente la pandela

del Santo in questione, non gli altri cinque stendardi, a differenza delle altre feste

durante le quali tutti i vessilli sono portati in processione. Evidentemente anche

questa scelta è dovuta alle difficoltà dello spostamento in barca. Al termine della

messa e del rito di benedizione, a partire dalle 11:30 viene servito il rinfresco con

degustazioni, analogo a quello delle altre feste per i prodotti e le bibite offerti.

Dunque aldilà delle sottili differenze suddette, determinate perlopiù dal luogo in cui

sorgono le diverse chiese nelle quali si svolgono le feste di pandela, queste ultime

si assomigliano tutte nella loro organizzazione e nel loro svolgimento: le

associazioni culturali e di volontariato ne dirigono la regia in modo affine.

Il ciclo delle feste è stato sì ripristinato, ma in modo da evitare ricadute in quella

spirale negativa di competizione e di “comportamento para-agonistico

capillarizzato” (Tiragallo 2007, p.10) che col sistema del priorato aveva portato alla

sua stessa rovina. La festa da un lato si è aggiornata, dall'altro ha rispolverato le sue

origini di spontaneità e semplicità, lungi dagli eccessi che il sistema del priorato

aveva per decenni alimentato.

Capitolo quarto

Per un'interpretazione delle festa organizzata dalle associazioni.

4.1 Il dono della festa da parte delle associazioni: il terzo paradigma.

47

Se la festa di pandela del priorato poteva rientrare nel sistema del dono arcaico,

essa oggi, organizzata dalle associazioni, può rientrare invece nel sistema del dono

moderno? O è ancora una forma residuale del dono arcaico, una sopravvivenza di

un mondo ormai perduto?

Marcel Mauss aveva illustrato come il triplice obbligo di dare, ricevere e

ricambiare, proprio dell'atto del dono, costituisca il fondamento del legame sociale

delle società arcaiche (Mauss 1965); il Movimento AntiUtilitarista nelle Scienze

Sociali, il MAUSS, si rifà alla sua lezione nell'analisi del concetto di dono non solo

in riferimento alle società del passato, ma anche e soprattutto alla società attuale. Il

MAUSS indaga le dinamiche relazionali che il dono innesca, le funzioni ed i

significati che esso sembra rivestire in tutti i consessi umani.

Nell'ambito delle scienze sociali a dominare oggi è quello che Alain Caillé (Caillé

1998) definisce il primo paradigma (primo perché riferimento principale degli

studiosi odierni), quello utilitaristico, secondo cui l'insieme dei fenomeni sociali è

da riportare sempre all'agire dei singoli individui e all'intrecciarsi dei loro interessi

materiali: l'homo oeconomicus sarebbe mosso solo dal tornaconto personale, anche

nel donare. Ad opporsi a questa teoria è il secondo paradigma, detto olistico,

secondo cui la totalità sociale influenza i soggetti che la costituiscono, che si

limiterebbero a riprodurre modelli e schemi preesistenti ad essi stessi e alla loro

volontà; secondo questa prospettiva il dono non instaurerebbe quindi alcuna nuova

relazione all'interno del legame sociale, limitandosi a confermare le dinamiche già

esistenti. Superando i limiti dei primi due paradigmi, Alain Caillè ne teorizza un

terzo, il terzo paradigma appunto, che egli presenta come “antiparadigmatico”

(p.213), esso è il paradigma del dono che intende dar conto in modo più coerente

del fatto sociale ed offrire nuovi modelli alla prassi. Secondo Alain Caillé il

reciproco obbligo di dare, ricevere e ricambiare stringe gli individui in un legame

stabile e vincolante che esula dagli interessi e dall'utilità immediata; al tempo stesso

tale legame viene a delinearsi come il frutto della libera azione di ciascun soggetto,

e non come una realtà preesistente ad essi che ne va a determinare a priori i

comportamenti. Secondo il paradigma del dono la società è espressione della

48

continua ed incessante interrelazione di una pluralità di soggetti e delle loro

interdipendenze: i soggetti si legano gli uni agli altri attraverso gli obblighi che la

pratica del dono impone loro, ma d'altra parte la logica del dono viene innescata da

un atto di libera determinazione. Attraverso il dono i soggetti scambiano “beni

simbolici”: chi dona lo fa perché intende stabilire dei legami, fissare delle relazioni,

ricorrendo a tal fine all'offerta di beni materiali e servizi. Il dono instaura quindi un

vincolo personale e solo secondariamente e subordinatamente una relazione

economica, a differenza di ciò che avviene nella società moderna dove sono i

rapporti economici a fondare generalmente quelli umani. Il dono introduce il

“valore di legame” per cui il bene non soddisfa di per sé ed immediatamente né un

bisogno materiale (valore d'uso), né un interesse economico (valore di scambio),

ma prima di tutto un bisogno ed un interesse umano e relazionale:

Circolando, il dono arricchisce il legame e trasforma i protagonisti. Il dono contiene sempre un al di

là, un supplemento, qualcosa di più che si cerca di definire con gratuità. E' il valore di legame.

(Godbout 1993 p.219).

In tal modo il paradigma del dono disvela una dimensione del fatto sociale che nel

mondo moderno sembra essersi completamente obliata. La logica del dono va ad

investire il dominio della socialità nel suo complesso, non circoscrivendo il suo

campo di azione alla sola socialità primaria – famiglia, vicinato, amicizia – dove

ancora oggi esso continua a rivestire un ruolo fondamentale, ma aprendosi

potenzialmente anche agli ambiti della socialità secondaria, ovvero quegli ambiti –

economici, lavorativi, amministrativi – attualmente dominati, a differenza che in

passato, da prestazioni di tipo impersonale. Tale apertura è testimoniata ad esempio

dal mondo dell'associazionismo, del cosiddetto terzo settore e delle società no-

profit: tali realtà sfuggono alle accennate canoniche classificazioni, non essendo

riferibili, in senso stretto, né alla sfera della socialità primaria, né a quella della

socialità secondaria; piuttosto sembrano far propri i caratteri di entrambe le sfere,

assolvendo funzioni tipiche della socialità secondaria ma con modalità di

interazione tra i soggetti che vi fanno riferimento che richiamano i legami di tipo

personale propri di quella primaria. Se le funzioni della socialità primaria si

49

esplicano negli spazi di azione “primari” e quelle della socialità secondaria negli

spazi “pubblici”, l'associazionismo introduce nuovi spazi ed ambiti di azione,

definibili come “spazi pubblici primari” che poggiano sulla conoscenza reciproca

(Caillé 1998, p.242). Dunque mentre l'economia di mercato si basa sull'interesse

privato e sulla libertà individuale, l'intervento statale sull'interesse generale e la

costrizione pubblica, l'associazione invece, facendo sua la logica del dono, riesce a

mediare la libertà dei suoi associati con gli interessi ed i bisogni comuni che essa si

ripropone di soddisfare. A questo proposito Jacques Godbout adottando la

distinzione tra la sfera del mercato, la sfera dello Stato e la sfera domestica o privata,

quest'ultima luogo naturale del dono e dunque dei rapporti interpersonali (Godbout

1993, p.33) individua l'esistenza di un'altra sfera, specifica del dono moderno, che

definisce “quarta sfera”, quella del dono agli estranei. I rapporti tra sconosciuti,

entro essa costituiti, non appartengono né al mercato, né allo Stato, né alla sfera

domestica, bensì ad un

quarto settore tra lo Stato e la sfera privata che obbedisce almeno in parte ai princìpi del dono e

permette d'altronde alla «gente comune di manifestare un altruismo che va aldilà della sfera dei

rapporti personali», come afferma Titmuss29. (p.83)

In un quadro sociale in cui gli ambiti comunitari sono sempre più deboli il dono è

un modo per la loro ricostituzione.

E' in questa quarta sfera indicata da Godbout e Caillè che il dono della festa di

pandela oggi, con la comparsa del volontariato, sembra inserirsi. La Croce Verde,

la Polifonica Lorenzo Perosi, la sezione locale dell'AVIS, il coro Istelotte, il

Comitato San Pantaleo e il Comitato di solidarietà estendono l'invito alle feste da

loro organizzate non soltanto a tutta la comunità di Dorgali, ma anche a turisti e a

chiunque voglia parteciparvi. L'appartenenza alle carvas non è più il symbolus30, il

marcatore di ospitalità e di alleanza, la tessera hospitalis latina (Caillè 1998 pp.224-

29R.Titmuss, The Gift Relationship. From Human Blood to Social Policy, 1970. 30L'uso del symbolon è collegato a quello dell'ospitalità antica, che implica relazioni ereditarie fra

ospiti che potevano non essersi mai incontrati: la presentazione del simbolo – i latini parlano di

tessera hospitalis – è, nel teatro come nella vita, la molla di numerose scene di riconoscimento

fra estranei.

50

225) necessaria per potersi presentare alla festa di pandela ed essere riconosciuti

dai priori quali invitati; non lo sono più neppure la sola amicizia o la sola

appartenenza comunitaria: oggi i volontari fanno dono della festa anche ad estranei

e sconosciuti, a turisti in primo luogo. Questo dono, ormai moderno, tende

volentieri ad includere gli estranei, non necessita più della sola comunità di sangue

per essere ricevuto; infatti non soltanto fa nascere e consolidare relazioni

interpersonali stabili, proprie della società primaria, “ma alimenta reti aperte

potenzialmente all'infinito, molto oltre la conoscenza reciproca concreta” (Godbout

1993, p.241).

Dunque le feste organizzate dalle associazioni restano tradizionali sotto vari aspetti,

il principale dei quali è l'importanza dei rapporti personali, dell'impegno della

personalità e dell'appello a valori di lealtà, entusiasmo e spirito di gruppo; ma sono

moderne perché oggi riguardano anche rapporti tra estranei.

4.2 I legami sociali sanciti dalla festa col sistema delle associazioni.

Il consumo dei beni e servizi che circolano oggi, durante la festa di pandela

organizzata dalle associazioni, è un consumo pubblico, o meglio fatto in pubblico e

per il pubblico, è un lavoro rituale in cui la logica del valore delle cose, in primo

luogo del cibo, resta subordinata a quella del valore delle persone. Nel gioco festivo

i ruoli sono chiari: l'ospite deve partecipare, non può accontentarsi di essere

consumatore del buffet o dell'intrattenimento a lui offerti, ma deve anche

partecipare allo stesso sistema di valori dei volontari, coloro grazie al quale la festa

entra nel sistema dono. Entrambe le parti devono condividere e il dono fa in modo

che si vada gli uni verso gli altri in modo sincero, senza alcun secondo fine se non

quello di instaurare un nuovo legame. Si stabilisce dunque un legame forte tra

donatari e donatori della festa, ed anche con i turisti presenti si constata una

tendenza a personalizzare il rapporto, a rendere l'estraneo il meno sconosciuto

possibile:

51

Riusciamo a fare come i camaleonti, un po’ da una parte un po’ dall’altra [della tavolata dell'invito],

ci confondiamo un po' anche in mezzo alla gente che beve il bicchiere di vino, che canta, che balla,

per cui diventiamo un tutt'uno anche con gli ospiti, per cui funziona sempre tutto a meraviglia. (...)

Noi riusciamo a coinvolgere la gente in un rapporto diretto. (Intervista n°7 a Nino M.)

Si crea un rapporto di amicizia [tra organizzatori e ospiti]. Forse perché ci conosciamo tutti, ma

anche con i turisti che si avvicinano quasi sempre timidamente, andiamo noi a cercarli offrendo un

bicchiere di vino o un dolcetto, poi dopo diventa più semplice...

(Intervista n°2 a Manlio M.)

Tra gli invitati, ad essere considerati estranei sono perlopiù i turisti perché Dorgali

è un paese di circa 8.000 abitanti e i concittadini si conoscono un po' tutti, anche

coloro che magari non sono legati da relazioni di parentela o amicizia.

I turisti, oltre ad interagire durante l'evento tra loro, con gli altri ospiti dorgalesi,

con amici e parenti degli operatori dell'associazione organizzatrice si informano da

questi ultimi sulle origini della festa; la spiegazione che viene loro fornita fa rivivere

la festa attraverso il tempo e le generazioni, essa è presentata come il dono che ha

suggellato alleanze passate tra le carvas dorgalesi, che conserva la traccia dei

rapporti anteriori, del legame tra le persone, ma che allo stesso tempo si rivela

attuale ed attualizzabile nell'aprirsi ad un'alleanza con l'Altro, con il nuovo, con

l'estraneo che vi partecipa. Un informatore afferma:

Quelli [i turisti] che si sono fermati hanno chiesto informazioni di tutta l’organizzazione. (...) C'è

scambio anche di informazioni, le persone anziane che ci raccontano di quanto la comunità dorgalese

era devota a San Pantaleo, di come venivano prima, di come si facevano prima le feste e quanto la

trovano bella ora.

(Intervista n°1 a Paola M.)

L'ospite, anche l'estraneo, mostra di essersi pienamente inserito all'interno del

sistema del dono nel momento in cui dopo aver accettato l'invito alla festa, aver

goduto del rinfresco, della compagnia, dei servizi e dell'intrattenimento sente

l'esigenza di ricambiare, così come prevede il paradigma maussiano, e lo fa

donando un'offerta all'associazione organizzatrice:

Anche dei turisti vengono volentieri anzi rimangono proprio contenti, devo dire ci lasciano sempre

un'offerta anche loro, proprio non prendono niente se non lasciano prima un’offerta.

(Intervista n°1 a Paola M.)

52

[Per i turisti] è uguale perché imparano subito come funziona. Adesso ho visto anche che danno

un'offerta. Tu vedi i turisti che arrivano e chiedono “ma si può andare alla festa?” e magari si spiega

loro che si può andare e prendere tutto, basta lasciare una piccola offerta. Infatti arrivano lasciano

prima l’offerta e poi… Magari per loro sembrerà strano che si dia da mangiare gratis, per noi sardi

invece è semplicemente un concetto di ospitalità.

(Intervista n°3 a Ignazio M.)

A loro volta, in risposta all'offerta in denaro dei turisti, gli organizzatori ricambiano

rinnovando l'invito alla festa per l'anno successivo; si può dare anche il caso che

questo scambio relazionale si prolunghi nel tempo quando dei turisti scelgano di

anno in anno di ritrascorrere le vacanze nel territorio dorgalese, così come conferma

una coppia di turisti ospite della festa di Buon Cammino di quest'anno:

Sono ormai sette anni che veniamo in vacanza in questa zona. (...) Avendovi già partecipato due anni

fa [alla festa], stavolta l'abbiamo rivissuta sicuramente con animo diverso perché sapevamo già cosa

aspettarci, ma è comunque sempre bella e davvero suggestiva, in particolare i tre giri rituali intorno

alla chiesa. Anche alle feste che organizzano da noi è vero che si mangia ma non così tanto, con

questa varietà (...) e aldilà di ciò non sono suggestive come questa.

(Intervista n°8 a una coppia di turisti mantovani).

Anche i dorgalesi ospiti gradiscono il nuovo tipo di organizzazione della feste di

pandela, non più fondate sul sistema del priorato. La partecipazione è varia ed

attiva, si apprezza in particolare il fatto che si sia recuperata una tradizione che

rischiava di estinguersi, il fatto che le associazioni contribuiscano a mantenere in

buono stato i santuari in cui le feste si svolgono, l'assenza di sprechi ed accessi

rispetto al passato con un'impostazione più sobria dell'evento. Un'ospite assidua

spiega:

Come festa è bellissima perché il divertimento è uguale come allora [con il priorato] anche se è solo

per un pomeriggio anche perché il divertimento in sé e per sé era anche allora il pomeriggio. (...) lo

hanno apprezzato tutti perché almeno non ci si dimentica che ci sono le chiese per prima cosa, per

tenerle aperte (...) Perché sono cose belle fatte nell’antichità chissà con quali sacrifici (...)

(Intervista n°5 a Margherita D.)

E gli operatori riconoscono che:

Al 99% abbiamo avuto direi risposte positive, e ci hanno tutti detto che finalmente era un modo

intelligente di fare la festa. (...) diciamo che siamo ritornati quasi alle origini, anche se non chiediamo

alla gente di portarsi da mangiare al sacco perché noi in mezzo all’invito mettiamo (...) un po' di

pane e formaggio, un po’ di salsicce, e diciamo che la gente cena così in questo modo (…) quindi

53

non è più l’esagerazione che c'era prima con il pranzo seduti, no?! E' una sorta di buffet dove ci sono

i dolci, un bicchiere di vino, il caffè, chi vuole si prende solo il caffè con il biscotto e poi se ne va,

alcuni vengono semplicemente per il momento religioso e altri per il momento conviviale, perché

poi chiaramente viene allietata la serata con i balli (...).

(Intervista n°7 a Nino M.)

La gente è molto contenta del fatto che adesso non ci sono più sprechi, si fa una festa più sobria e

sempre accogliente, senza esagerazioni di spese o troppo impegno della gente per organizzarla.

(Intervista n°3 a Ignazio M.)

Anche i dorgalesi dunque donano sempre un'offerta al gruppo organizzatore, ma in

questo caso, a differenza dei turisti che sono grati esclusivamente per l'evento cui

hanno potuto partecipare, i concittadini invece mostrano maggiore riconoscenza

perché consapevoli del ruolo importante che l'associazione svolge quotidianamente

per il paese, non soltanto durante l'occasione festiva. I dorgalesi sanno che le

associazioni che si occupano delle feste di pandela necessitano delle offerte per

sopravvivere e poter elargire i loro preziosi servizi nell'arco dell'anno: la Croce

Verde nell'attività di primo soccorso, l'AVIS nella raccolta del sangue, il Comitato

di Solidarietà nel garantire l'accesso all'assistenza sanitaria, il Comitato Santu

Pantaleo nel recupero di un bene storico-artistico, il coro Istelotte e la Polifonica

Lorenzo Perosi nella valorizzazione del repertorio canoro locale e delle qualità

musicali dei giovani. Le associazioni sono dunque figure oggetto di dono – le

offerte della comunità – ma in qualche modo divengono agenti di dono o dono esse

stesse con la loro attività di volontariato e con il dono della festa. Fare la festa da

un lato è un modo per le associazioni di raccogliere fondi ed autofinanziarsi,

dall'altro è un modo per ringraziare la comunità dorgalese che li sostiene nelle loro

attività e ancora per dimostrare il loro impegno sociale; a loro volta i dorgalesi

partecipano all'evento per contribuire alla raccolta fondi e riconoscere lo zelo dei

volontari ma allo stesso tempo per vedere riconosciuta e ricambiata la loro

generosità: è un movimento di dare, ricevere, ricambiare che si ripete, senza fine,

quasi che il dono sia “un boomerang”(Godbout 1993, p.246). D'altronde tutte le

parole del sistema dono indicano un doppio movimento: ospitalità, riconoscenza,

fiducia e gratitudine (pp.216-217). Godbout spiega così la concatenazione di livelli

del dono che possiamo applicare anche alle dinamiche della festa tra organizzatori

ed ospiti:

54

restituzione immediata nel piacere stesso del dono, controdono, reazione a catena, amplificazione

della coscienza del donatore, rafforzamento del legame, tutto quel che accade in un dono si situa a

vari livelli tra loro interagenti, secondo una gerarchia concatenata, che forma anelli strani che il

modello del mercato può visualizzare solo come paradosso, e che fondano il legame sociale.

(p.256)

All'interno della società dorgalese i gruppi culturali e di volontariato offrono, seppur

in forme diverse gli uni dagli altri, servizi di cura e assistenza a persone con le quali

non si ha nessun obbligo sociale precostituito. Tale azione è tanto più rilevante

quanto più non si produce in forma occasionale o puramente individuale, ma è in

grado di strutturarsi stabilmente e secondo modelli organizzativi e associativi aperti,

in cui cioè l'azione sociale che viene svolta non viene esclusivamente rivolta ai

propri membri, come è invece tipico delle forme comunitarie. Si profila così una

forma di organizzazione dell'attività sociale che permette di raggiungere obiettivi

collettivi. La caratteristica principale di queste realtà sociali consiste nel dare

risposta a problemi concreti che non riescono a trovare soddisfazione in altro modo.

L'esempio più lampante è quello del Comitato di solidarietà dorgalese che

sopperisce alle carenze di copertura economica delle spese sanitarie da parte delle

strutture convenzionate o dei Servizi Sociali, e a volte a questo scopo collabora con

il Comune; uno dei soci spiega:

Noi non collaboriamo con il comune, abbiamo collaborato in qualche occasione quando il comune

ci ha chiesto – perché il cittadino a volte capita che si rivolge al comune perché ha bisogno di un

aiuto economico per problemi legati solo ed esclusivamente alla salute – è successo anche da poco,

di poter intervenire noi come anticipo e poi il comune ci ha rimborsato per riutilizzarli nuovamente

per nuove esigenze. Infatti noi per avere nuovi fondi facciamo firmare al familiare che ci chiede

l’intervento una liberatoria, per quanto riguarda un minimo di certificazione, che il familiare ha

bisogno di cure anche se non dobbiamo sapere di che cosa si tratta per la privacy e poi facciamo

firmare una sorta di promessa che qualora l’ente o lo stato restituisca loro i soldi loro si impegnino

a restituirli all’associazione, anche se purtroppo capita di rado perché non c'è mai comunque

disponibilità dal comune o dallo Stato di restituire soldi ai familiari che accompagnano il malato.

(Intervista n°7 a Nino M.)

L'attività di volontariato del Comitato di solidarietà rientra a pieno titolo nella

quarta sfera del dono agli estranei in quanto garantisce di tenere l'anonimato delle

persone bisognose di aiuto, già condizionate dai gravi problemi di salute. I volontari

sono infatti consapevoli che a Dorgali, per mentalità, alcuni ritengono vergognoso

55

il dover ricevere aiuti esterni, anche se in momenti di difficoltà. Ma allo stesso

tempo questo fatto spinge il gruppo a favorire l'incremento della propria base

associativa invitando il maggior numero di cittadini ad aderirvi in modo che ogni

famiglia possa avere un suo rappresentante riuscendo così a sdrammatizzare tale

modo di pensare. Anche in questo modo si creano nuovi legami sociali, si tende a

personalizzare il rapporto tra i membri dell'associazione, gli assistiti, i loro familiari

e l'intera comunità: “il principio e il motore dell'azione hanno la loro origine nel

legame che esiste tra i membri dell'associazione o tra l'associazione e la persona

aiutata” (Godbout 1993, p.96). E' il legame comunitario tra chi dispensa e chi riceve

il servizio a distinguere l'azione dei gruppi di volontariato dall'intervento pubblico

e statale che opera nello stesso campo. Le associazioni dunque assicurano una parte

importante dei servizi personali, in un ambito delimitato dallo Stato da un lato, dalle

reti sociali familiari, di vicinato e amichevoli dall'altro. In questo modo non solo si

producono beni di tipo relazionale, ma si elaborano forme autonome di regolazione

sociale e si producono servizi di pubblica utilità. L'associazionismo si avvicina allo

spirito del dono nella misura in cui esso nasce per un atto libero e i suoi membri

non mirano al profitto. Entrare in associazione significa innanzitutto far dono del

proprio tempo e della propria persona, esattamente come fanno organizzatori ed

ospiti alla festa. I membri dei gruppi di volontariato ripropongono qui in forma

nuova una visione sacrificale del dono, soprattutto come dono di sé e del proprio

tempo. Ma anche gli ospiti mettono in pratica il dono di sé nel momento in cui

accettano l'invito e donano la loro presenza alla festa di pandela. E forse proprio la

pandela, lo stendardo, può assurgere a simbolo del dono della festa e dei servizi da

parte delle associazioni: il simbolo della pandela vive e significa in quanto

commemora, rappresenta, effettua e rinnova un dono e una associazione, nel senso

letterale di “ad-sociazione, movimento attivo verso la società” (Caillé 1998, p.245).

Tutti gli intervistati, tra gli organizzatori delle feste oggi, sembrano dare grande

importanza allo stendardo, così come in passato in esso si riconoscevano le carvas

delle feste, oggi vi si riconoscono le associazioni, lo fanno proprio e lo ritengono

un eloquente simbolo della loro attività di volontariato. Dicono infatti:

56

Lo stendardo? A me fa sempre piacere e infatti anche quando si fanno le altre feste cerco di

individuare subito la nostra pandela e sono curioso di vedere chi la porta e soprattutto come la porta.

Sì per me quella è “Sa pandela nostra”. Magari per qualcunaltro non gli importa niente, però a me

fa piacere vederla. (Intervista n°3 a Ignazio M.)

L’ho spiegato, adesso un po’ l’abbiamo adottata [la pandela], è un simbolo identitario: noi siamo

quelli della festa de Su Babbu Mannu, quindi ci piacerebbe che fosse la migliore.

(Intervista n°6 a Michele C.)

Lo stendardo? Un segno di riconoscimento.

(Intervista n°2 a Tonio S.)

Rappresenta effettivamente il modo di far vedere a tutto il paese l’impegno che abbiamo noi, anzi

forse fa vedere in modo particolare quanto ci siamo impegnati a far ripristinare le feste.

(Intervista n°2 a Manlio M.)

Inoltre è da notare il fatto che la sezione locale dell'AVIS, organizzatrice della festa

di Buon Cammino, porta in processione insieme alle pandelas dei Santi anche il

vessillo civile dell'associazione, quasi a voler manifestare con orgoglio quanto sia

importante per ogni volontario l'impegno che porta avanti di sostenere i bisogni di

salute dei cittadini favorendo il raggiungimento dell'autosufficienza di sangue a

livello nazionale e dei massimi livelli di sicurezza trasfusionale possibili. Il dono di

sangue è moderno, rientra per eccellenza nella quarta sfera indicata da Godbout e

Caillé perché l'AVIS vive di doni, è un organismo né statale né mercantile bensì di

volontariato e il dono di sangue “gratuito” è fatto ad estranei, motivato innanzitutto

da valori di tipo morale: il donatore spera di non aver mai bisogno di ricevere, ma

“ha fiducia che altri farebbero come lui se un giorno egli dovesse averne

bisogno”(Godbout 1993, p.71). La scelta dei membri della sezione dorgalese

dell'AVIS di esibire il suo vessillo è un modo per situare il simbolo del dono di

sangue entro la rete dei rapporti familiari e interpersonali ribaditi dalla festa, ma

anche per aprire la festa stessa e i suoi partecipanti ad una dimensione esterna, così

come lo è quella del dono di sangue. Infatti così spiegano questa loro iniziativa:

Ecco ci sono queste pandelas, io non ti so dire, il simbolo della festa per cui hai una sorta di affezione

anche a queste due pandelas, non possiamo dire che ci appartengono, ma ci sentiamo legati diciamo,

emotivamente sentiamo che ci appartengono (...) Anche se è come mettere “deu chin su cuccu”

come diciamo in sardo, il sacro con il profano, noi quando facciamo la festa di Buon Cammino

portiamo sempre anche il labaro dell’AVIS perché crediamo che chiunque doni sangue fa del bene,

per cui pensiamo che ci stia bene in mezzo a tutte queste pandelas di santi anche la nostra. L’abbiamo

sempre fatto ed è sempre stato accettato dalla Chiesa e anche dalla comunità.

57

(Intervista n°7 a Nino M.)

[Lo stendardo dell'AVIS] viene portato in processione anche per ricordare che comunque c’è

un’associazione che aiuta chi veramente ha bisogno, in quel caso chi ha bisogno del sangue e quindi

è sempre una soddisfazione per noi che l’abbiamo portata avanti e che siamo riusciti in questo

periodo di tempo, ad aiutare non solo i concittadini ma anche tutte le persone che hanno bisogno del

sangue.

(Intervista n°2 a Manlio M.)

In generale, alla festa, ogni membro delle associazioni si sente unito agli altri

membri del proprio gruppo, ai propri amici e parenti che lo sostengono, alla

comunità dorgalese tutta e agli altri ospiti, anche estranei, turisti e non, sotto l'ègida

della pandela. Con la festa di pandela organizzata dalle associazioni si è inaugurata

una nuova stagione in cui il dono della festa è stata trasferito sul piano del rapporto

con l'Altro, un Altro che comprende anche l'estraneo, non più entro la sola rete della

socialità primaria, e quest'aspetto cambia completamente, tra le altre cose, anche

l'assetto stesso della problematica del dono, istituendo da un lato un rapporto di

specularità tra differenti modalità del donare, passate e contemporanee, dall'altro

ponendo le basi per la riscoperta, o meglio per l'invenzione moderna del “dono

arcaico”.

58

Conclusioni

L'analisi del mutamento subito dalle feste di pandela a Dorgali con il passaggio dal

sistema organizzativo del priorato a quello delle associazioni ha fatto emergere

diversi elementi di comprensione delle motivazioni e dei comportamenti di un

gruppo umano che realizzi questo tipo di festa.

In origine la festa di pandela era in memoria degli antenati, voluta e celebrata dai

priori naturali, diretti eredi dei fondatori delle chiese in cui essa si svolgeva; come

tale il suo dono assumeva un senso remoto di autenticità e genuinità, era arcaico e

sacralizzante, celebrava gli antichi vincoli tra le famiglie appartenenti alle carvas,

legate tra loro in nome del Santo e radicate al suo culto religioso. Era una festa di

parenti stretti il cui significato principale stava nella dichiarazione di identità

familiare e discendenza comune dei partecipanti ad essa, e pertanto dichiarazione

di netta distinzione dagli altri gruppi parentali del paese. Ogni pandela raccoglieva

attorno a sé solo gli eredi naturali della carva ad essa legata, non c'era apertura verso

le altre unità familiari facenti capo ai gruppi parentali delle altre feste. Ma col

perdersi della memoria di appartenenza alle carvas, col passare del tempo, nessun

dorgalese si riconobbe più come erede naturale dei fondatori delle chiese e del culto,

ed emerse la figura del priore devoto. Ai primi del Novecento, forse sulla scorta del

modello festivo inaugurato dalle carvas, anche le feste organizzate dai priori devoti

si mantennero abbastanza sobrie ed essenziali. La celebrazione religiosa aveva

sicuramente maggiore rilevanza rispetto alla contenuta offerta di cibo che ad essa

seguiva. Ma già qui cominciava ad emergere la prima istanza di apertura nei

confronti degli altri gruppi familiari: se il piccolo spuntino era offerto dal priore

devoto soltanto ai suoi parenti più stretti, alla messa e all'invito di caffè e biscotti

invece era ammessa tutta la comunità di paese. Tutti i dorgalesi potevano

partecipare, ma coloro che non erano stati espressamente invitati dal priore

portavano da sé il proprio pranzo, pur consumandolo in compagnia. Dunque la

circolazione di beni materiali e il loro consumo erano limitati entro il circuito

rigorosamente chiuso delle varie unità familiari, ben distinte tra loro, ma la

possibilità di stringere nuovi legami nel corso della festa di pandela cominciava ad

59

estendersi e realizzarsi nella compartecipazione di tutti all'evento religioso,

andando oltre le barriere di discendenza naturale. La sobrietà del consumo festivo

si mantenne sino al secondo dopoguerra quando i progressi dell'economia,

l'evoluzione del costume, l'affermazione di stili di vita più aperti e dinamici, non

poterono restare senza conseguenze: i priori devoti innovarono la festa di pandela

offrendo un banchetto non più ai soli familiari stretti, ma estendendo gli inviti a

trecento, quattrocento persone. Il dono cominciò dunque ad aprirsi ad una nuova

dimensione sia dal punto di vista quantitativo, con l'aumento degli invitati, sia da

quello qualitativo, in quanto il legame da esso veicolato non era più prettamente

parentale, ma anche amicale. Si passò oltre quando, tra gli anni Sessanta e Ottanta,

Dorgali si ritrovò in pieno boom economico, soprattutto grazie alla nascita e allo

sviluppo della vocazione turistica legata al suo territorio. Con l'apertura di spazi

inattesi di mobilità economica e sociale la festa di pandela organizzata dai priori

devoti si trasformò in una vera e propria festa di bigmen, nella quale la

solennizzazione di una posizione di prestigio sociale prevedeva una generosa,

quanto eccessiva, distribuzione di beni. Divenne il dono rituale di offerta di

ospitalità e di un grande banchetto, esagerato persino, al quale erano invitate dalle

mille alle duemila persone. Tutti gli attori del ciclo donativo, priori e invitati,

instauravano, confermavano, solennizzavano i propri legami sociali non soltanto

durante lo svolgimento della festa ma anche durante i suoi preparativi. Il momento

di libertà, la ricchezza di rapporti sociali che si dischiudevano attorno al perimetro

della chiesa era reso possibile dall'esistenza di un solido apparato organizzativo che

aveva operato nel corso di un anno intero in funzione dell'evento, caratterizzato e

strutturato proprio secondo la logica dei sistemi di produzione e dell'ambiente

sociale e culturale del paese. La stessa politica cooperativistica avviata a Dorgali

negli anni Sessanta era indice della grande capacità di collaborazione propria della

popolazione dorgalese che inevitabilmente si riverberava anche sull'istituto della

festa. Il circuito del dono si fece molto più ampio rispetto a quello realizzato dalla

festa di pandela quando era ancora organizzata dai priori naturali o dai primissimi

priori devoti, cominciò infatti a sottendere una rete di traffici e solidarietà molto più

fitta, al di là dei soli rapporti parentali ed amicali, ma pur sempre entro l'ambito

60

della socialità primaria. La festa di pandela divenne un complesso patrimonio di

riconoscimento e valorizzazione della coesione ed omogeneità comunitaria.

Organizzare la festa ed andarci significava rappresentare emblematicamente i ruoli,

le aspettative e i valori dell'intera comunità di paese. In quell'occasione l'intero

gruppo sociale riconosceva che l'istituto dell'ospitalità non aveva come fine

immediato solo la regolamentazione dei rapporti tra famiglia e famiglia, bensì il

raggiungimento di una vera e propria integrazione comunitaria, tanto che alla festa

erano rappresentate tutte le classi sociali e tutte le classi d'età. Il dono della festa dei

“priori-bigmen” però cominciò a nutrirsi di un forte sentimento di rivendicazione

antagonistica. Il campo delle relazioni di dono riuscito e generoso divenne allo

stesso tempo il campo di esibizione ed agonismo tra priori, accentuando il suo

carattere “usurario”. La festa subì un negativo dirottamento dalla sua originaria

finalità sociale, religiosa e civile ad una finalità sempre più ornamentale e

manipolatoria, un'involuzione che parve sancire il deleterio primato della forma sul

contenuto. La crisi del priorato procedette parallela al tentativo, messo in atto dalla

comunità, di adeguarsi all'irrompere della modernità, volto ad evitare lo

sfaldamento dell'orizzonte di comportamenti comuni che fino ad allora la comunità

stessa era riuscita a mantenere coeso. Il dono compiuto non poté più essere

ricambiato da nuovi priori, tornò indietro distruggendo se stesso e mettendo a

rischio le relazioni che aveva generato. L'unica soluzione fu quella di torrare sa

pandela a su rettore; nessuno si sentiva più in grado di competere con i priori delle

precedenti feste di pandela.

La comunità dorgalese, assistendo al momento di crisi del priorato, si era dunque

trovata a fare i conti con la deritualizzazione del dono e con il mercato; ma entro se

stessa ha saputo trovare le forze in grado di riproporre la tradizione delle feste che

sembrava ormai perduta e dunque riaprirsi alla costante ricerca e sanzione di

solidarietà non solo tra i suoi membri, ma anche nei confronti degli estranei,

dell'Altro. Il merito di aver risvegliato lo spirito solidale dei dorgalesi è delle

associazioni culturali e di volontariato, esse hanno saputo riproporre la festa

arricchendola nel senso di una sua intensificazione simbolica e di una maggiore

codificazione sociale. Qui sta il salto in avanti, il passaggio dal dono arcaico ad una

61

sua reinvenzione o meglio al dono moderno, un dono moderno tutto inquadrato nel

terzo paradigma del dono elaborato da Alain Caillé e, soprattutto nella quarta sfera,

quella del dono agli estranei, indicata da Jacques Godbout.

E' vero, l'enfasi sul cibo servito alla festa è minore rispetto al passato e i preparativi

sono molto più rapidi, ma tutto l'evento oggi riscatta un più vasto universo di

solidarietà. Non vi è più una verticalizzazione del dono, non si afferma più quel

sistema gerarchico che dava luogo ad una rete di obblighi sociali, di dipendenze,

attorno al priore e alla sua famiglia; oggi il rapporto è ben più simmetrico:

generosità è ripagata con generosità. Si è reagito alla crisi del priorato postulando

forme di redistribuzione più regolate ed incoraggiando la beneficenza di gruppo o

individuale. E' la riconquista di uno spazio quotidiano del dono, legato agli eventi

significativi dell'anno, quali possono essere appunto quelli del ciclo delle feste di

pandela. L'esistenza ancora oggi di un solido apparato organizzativo, che prepara

la festa e le permette di funzionare risponde a tutto un preciso codice di

comportamenti e di valori che fa capo al mondo dell'associazionismo, non solo a

quello della tradizione. Nel sistema dell'associazionismo c'è dono del tempo, dono

di sé, della propria disponibilità al legame che si annoda e si riannoda nel tempo

condiviso, c'è dono di competenze, scambio di esperienze. Nell'offrire la festa così

come nell'offrire i servizi di volontariato si racconta la storia di un dono ricevuto e

trasmesso perché la sua memoria non vada perduta. Ciò che conta, oggi come allora,

è la qualità relazionale. I membri dell'associazione, così come facevano i priori in

passato, si mettono in gioco non per il solo servizio che offrono ma come persone

con una loro vita e una loro storia, disposte ad incontrare altre persone, a

condividere con esse le loro storie, degli uni e degli Altri. Laddove a questi Altri si

possono oggi riannodare le trame di solidarietà che il gigantismo delle feste

sembrava aver minato. Il dono della festa lega, personalizza le relazioni, le rende

intime e consuete, si apre all'esterno della comunità dorgalese, ai turisti e a tutti

coloro che hanno interesse a scoprire la tradizione della festa, il suo significato, ciò

che rappresenta ed ha rappresentato per i dorgalesi stessi e ciò che potrebbe

rappresentare per i nuovi ospiti. Ciascuno degli ospiti, per parte sua, è donatore

prima che donatario, poiché con la sua presenza all'evento fa dono di sé e del suo

62

tempo. Il sistema dei doni e degli aiuti benefici, insito nella festa, lascia trasparire

un'ambivalenza: da un lato si assiste all'identificazione in impresa collettiva da parte

di tutti i soci e degli ospiti, dall'altro il dono si riveste comunque di una parziale

aleatorietà e soggettività perché ognuno è consapevole ed orgoglioso del suo

proprio ruolo. Il dono dunque partecipa ancora della dimensione privata ma sempre

nobilitata e in funzione di un ordine sociale superiore, in una prospettiva pubblica

e comunitaria. Basti pensare all'offerta di una o più giornate di lavoro, di

manodopera gratuita in funzione della festa, da parte non solo dei soci dei gruppi di

volontariato, ma anche di loro parenti e amici, o ancora di vicini di terreno dei

santuari. Questo gesto oggi si qualifica come vero e proprio impegno comunitario,

non più semplicemente come scambio di prestazioni in funzione del solo rapporto

con il priore e la sua famiglia, come avveniva in passato. Oggi ad essere coinvolta

nel circuito della festa di pandela non è più la sola socialità primaria, ma anche

quella secondaria. Ciò non vuol dire che i rapporti parentali e di amicizia non

abbiano ancora un ruolo fondamentale: tutti i membri delle associazioni

organizzatrici affermano di aver ricevuto un aiuto costante da parte delle famiglie e

degli amici nella preparazione e nello svolgimento della festa.

Eppure la festa come rappresentazione del dono moderno non ha più tanto a che

fare con l'appartenenza ad un ordine sociale, ma riguarda soprattutto il fatto che ad

essa sia sottesa l'esaltazione di un valore di altro ordine dall'economico, che implica

uno scandaglio di relazioni umane e mette in gioco aspetti come appartenenza e

cura, affetto e simpatia, emozione e fiducia. La finalizzazione dello sforzo comune

non è più indirizzata verso un unico obiettivo, ossia la mera festa che di anno in

anno ciclicamente proporrà il proprio ritorno e la propria fine, ma anche la raccolta

di offerte ed aiuti per la sopravvivenza stessa delle associazioni. Se in passato si

partecipava alla festa con forte sentore religioso oltre che sociale, oggi il secondo

aspetto sembra prevalere sull'altro ma è difficile stabilire quanto si debba ad una

tendenza alla laicizzazione dell'evento o a differenze generazionali rispetto alla

pratica religiosa in genere. Infatti tutti gli operatori constatano che la partecipazione

alla processione e alla messa resiste ed è ancora forte, soprattutto da parte delle

persone più anziane, molto credenti; una parte di esse addirittura va alla festa solo

63

per assistere alla funzione religiosa, senza attardarsi poi alla tavolata dell'invito:

(...) La gente di una certa età, specialmente le donne di una certa età vanno lì proprio per la messa

e ci tengono in modo particolare e (...) magari si fermano giusto per prendersi un caffè o un dolcetto

e ti lasciano una offerta sostanziosa rispetto a quelli che comunque vengono si fanno la festa, poi

magari ti danno una buona offerta, però rimangono cenano, bevono, per cui ti rendi conto che anche

questa gente di una certa età è contenta della festa religiosa ed allo stesso tempo è contenta

dell’impegno che stiamo portando avanti noi.

(Intervista n°2 a Manlio M.)

Penso che alla fine prevalga più la convivialità, quindi non più il fatto religioso. A Buon Cammino

devo dire che c'è anche il fatto religioso perché moltissima gente viene solo per partecipare alla

messa, e molti poi non partecipano all’invito o prendono solo un caffè. Molta è gente anziana che

viene più per la messa, i giovani invece per il momento conviviale.

(Intervista n°7 a Nino M.)

Alla festa sono rappresentate ancora oggi tutte le classi d'età, sia pure in proporzioni

diverse tra loro: i più giovani sono sicuramente molto meno numerosi delle persone

di mezza età e dei più anziani. In passato, quando vigeva il sistema del priorato, il

ruolo dei giovani alla festa era tutt'altro che trascurabile; attualmente invece è scarsa

la partecipazione di ragazzi di età compresa tra i quindici e i venticinque anni. Le

associazioni di volontariato non ignorano che questo fatto sia un limite della festa

stessa, e per ovviare ad esso stanno tentando di innovarla proponendo nuovi generi

di intrattenimento, come il karaoke, l'esibizione di band musicali e di gruppi di ballo

moderno oltre a quelli più tradizionali come i balli sardi. D'altro canto si è

consapevoli che è necessario trovare la giusta misura tra tradizione ed innovazione:

per attrarre i ragazzi non si può giungere a stravolgere e snaturare la festa nei suoi

caratteri più tipici. In generale è forte l'appello ad un continuo ricambio

generazionale: tutti i soci ritengono fondamentale l'adesione di giovani al loro

gruppo. Le associazioni culturali come il Coro Istelotte e la Polifonica Lorenzo

Perosi trovano un maggior riscontro da parte dei giovani e contano rispettivamente

dai sei ai nove membri attivi sotto i vent'anni di età; a seguire anche la Croce Verde

conta dei volontari non ancora trentenni; l'AVIS e il Comitato di solidarietà non

contano invece membri effettivamente attivi nel consiglio di amministrazione o

nell'ambito delle feste che abbiano meno di trent'anni. Festa e volontariato, le

diverse maglie della rete dunque non solo si intersecano, ma rinviano di continuo

l'una all'altra. La festa è il momento-vertice, in cui ogni associazione ha di fronte a

64

sé, come una grande offerta sociale, la disponibilità di tutto il paese ad entrare in

relazione con essa e con le sue attività. Ma oltre alla presenza dei concittadini è

rilevante anche quella dei turisti, degli estranei; la loro affluenza alla festa è

notevole soprattutto per la curiosità da un punto di vista folklorico che essa può

suscitare ad un primo sguardo, ma una volta che ne sono partecipi, i turisti stessi si

rendono conto che il significato della festa di pandela va ben oltre la semplice

rappresentazione del folklore locale. Forse, come sostengono gli operatori delle

associazioni, sono alcuni albergatori di Cala Gonone a non aver compreso a pieno

l'importanza delle feste di pandela. Si critica soprattutto la mancanza di un dialogo

attivo tra operatori turistici e associazioni culturali e di volontariato in modo da

pubblicizzare di più l'evento e incentivarne la partecipazione:

[La partecipazione dei turisti] Non è eccezionale perché forse non abbiamo trovato il modo giusto

per pubblicizzarlo. L’abbiamo anche detto nei vari alberghi però non sempre danno le informazioni

ai turisti, ormai li tengono chiusi nei villaggi e alberghi dove hanno tutto dalla mattina alla sera e

purtroppo non riescono a vedere niente al di fuori. Potrebbero anche dare queste indicazioni, e noi

dal nostro punto di vista facciamo il massimo per pubblicizzare la festa, con i volantini, però ci

vorrebbe anche una mano dagli operatori turistici. Abbiamo notato che quando i turisti vengono

comunque vanno via soddisfatti di una festa così sobria e suggestiva allo stesso tempo.

(Intervista n°7 a Nino M.)

E' un peccato perché pochi vengono coinvolti, non attira, non riusciamo a portare i gruppi da Cala

Gonone anche se la pubblicità viene fatta, istituzionale e non solo con locandine, ecc. Non lo so

bisognerebbe più collaborazione anche da parte degli esercenti di Gonone.

(Intervista n°6 a Michele C.)

C'è consapevolezza da parte dei membri delle associazioni che l'incapacità di

incontro e scambio attivo rendono più difficile il superamento dei particolarismi ed

ostacolano la formazione di quel codice di abitudini e di regole condivise su cui si

fondano le reti della convivenza pubblica e della fiducia collettiva.

Il dono della festa non solo dà una misura del ruolo del singolo individuo nella

collettività ma è anche e soprattutto un banco di prova della società nel suo insieme:

Sai molte volte basta una scintilla e subito si passa la voce e si parte! Noi [ dorgalesi] siamo fatti

così, saremo anche invidiosi l’uno dell’altro, però se c’è da muoversi riusciamo uniti a realizzare

qualcosa che nemmeno noi potevamo immaginare!

(Intervista n°4 a Ignazio M.)

65

Aldilà dei limiti riguardo l'affluenza di giovani e turisti che le associazioni stanno

tentando di superare, si è inaugurata una nuova stagione in cui il dono della festa

può esercitarsi nuovamente come libera scelta, senza condizionamenti dovuti alla

possibile critica sociale o al confronto con gli altri donatori. Da tutta questa

riflessione emerge il forte accreditamento del dono della festa come vettore di

unione solidale e di armonia sociale; è un efficiente strumento di costruzione ed

interazione sociale che i dorgalesi hanno saputo recuperare e innovare, e che adesso,

con il contributo delle nuove generazioni, devono continuare a valorizzare.

66

Appendice

Diario di campo del 9.06.2012: la festa di pandela della Vergine di Buon Cammino a

Dorgali.

A Dorgali, comune in provincia di Nuoro, si svolgono ogni anno sei feste di pandela, ossia

celebrazioni annuali delle festività relative alle numerose chiesette antiche disseminate nel territorio

comunale, con la cadenza di una ogni due settimane circa a partire dal primo sabato di maggio sino

a metà settembre. La festa di stendardo in onore della Vergine di Buon Cammino è, nell'ordine, la

terza ed è attualmente organizzata dalla sezione locale dell'associazione AVIS.

Una settimana prima della festa si indice una riunione dell'associazione e, nel corso della settimana,

si pubblicizza la festa mediante la stampa locale e manifesti affissi nei bar, nei supermercati e nei

vari locali del paese che invitano l'intera comunità e chiunque voglia partecipare. La mattina del 9

giugno si legge sulle pagine riservate alla provincia di Nuoro della Nuova Sardegna un articolo

intitolato “Bonu Camminu, oggi la festa organizzata dall'AVIS” che riporta l'intero programma

dell'evento.

La mattina del 9 giugno è soleggiata e soffia un vento caldo, sin dalle 7.30 i soci dell'AVIS sono al

lavoro per portare al Santuario, nella valle di Oddoene, a circa otto chilometri dal centro abitato,

tutto il materiale necessario all'organizzazione della festa: tavoloni, cavalletti, pali, cavi, lampadine,

legna, spiedi, viveri...

Quattro soci, che saranno poi addetti all'arrostitura delle carni, si occupano di sistemare un basso

recinto semicircolare di blocchetti di cemento all'interno del quale accendono il fuoco. Una volta

che quest'ultimo è ben avviato e la brace ardente è distribuita in modo tale da portare il calore in

modo uniforme lungo tutto l'anello di blocchetti, verso le 9.30, dopo aver infilzato ogni pezzo di

carne con due spiedi di legno di mirto, da loro stessi preparati questa mattina presto, li poggiano a

cuocere disposti ordinatamente sul bordo interno del recinto. Accanto alla carne di vitello (petta 'e

ule), vi è la carne di montone (petta 'e erveche) e la carne di maiale (petta 'e porcheddu), che nei

giorni scorsi è stata donata all'Associazione da alcuni pastori, proprio in previsione della festa,

mentre la legna utilizzata per il fuoco, fornita da più soci, è stata raccolta ieri pomeriggio. Per tutta

la mattina i quattro arrostitori, indossando un grembiule bianco con lo stemma dell'AVIS, vegliano

sulla carne e con tecnica sapiente e gesti misurati ne controllano lo stato di cottura concedendosi

ogni tanto qualche chiacchiera e un sorso di vino rosso. Nel frattempo dalla parte opposta del

santuario, di fronte alle cumbessias in rovina, altri soci si occupano di preparare la lunga tavolata

che servirà per il grande invito: dispongono i tavoloni sui cavalletti e appena dietro essi fissano degli

alti pali lungo i quali fanno passare i cavi della corrente ai quali avviteranno le lampadine per poter

illuminare a sera la tavolata, inoltre come decorazione festiva sistemano, di palo in palo, una lunga

67

fila di bandierine colorate. La stessa operazione di fissaggio di fili elettrici, lampadine e bandierine

viene effettuata all'ingresso del santuario, la cui area è interamente circondata da mura e cumbessias

in rovina, inoltre viene addobbata la facciata della chiesetta, in particolar modo lungo gli stipiti del

portone d'ingresso e sul tetto attorno alla vela della campana. Intanto, all'interno della chiesa, quattro

donne si occupano dell'allestimento dell'edificio religioso: stendono con cura sull'altare due tovaglie

che riportano ricamate delle croci e i simboli dell'Eucarestia. Da notare il fatto che ogni chiesetta

campestre ha il proprio corredo, costituito da donazioni varie fatte nel corso dagli anni dai priori

delle feste passate o da semplici fedeli, che viene custodito, così come gli stendardi, nella Parrocchia

di S.Caterina e rispolverato una volta all'anno in occasione della cerimonia religiosa. Le quattro

donne rivestono poi alcuni lumicini con del tulle giallo e arancione in modo che i colori siano in

tono con le composizioni di gerbere arancioni realizzate e offerte dalla fioraia che, giunta anch'essa

in chiesa in mattinata, si occupa delle ultime rifiniture delle composizioni e con l'aiuto delle altre

donne le sistema nello spazio retrostante all'altare, immediatamente sotto la statua della Vergine del

Buon Cammino, raffigurata con un bambino in braccio e un altro al suo fianco. Vengono inoltre

infiorati i quattro altari secondari, due dei quali forniti anch'essi di una statua: la scultura di un'altra

Vergine del Buon Cammino forse più antica di quella dell'altare principale e da essa sostituita, e una

statua di San Ciriaco. Infine le donne sistemano davanti all'altare due alte candele bianche che, come

è usanza, sono state donate da una coppia sposatasi nell'anno in corso, affinché vengano accese

durante la messa in onore della Vergine. All'esterno della chiesetta ora il movimento si concentra

tutto attorno alla zona dell'arrostitura delle carni e soprattutto attorno a quella che può essere

considerata, in questa giornata, la vera e propria base logistica per i membri dell'associazione: la

cumbessia, l'unica a non essere in rovina perché ricostruita l'anno scorso grazie al solerte lavoro dei

soci. Al suo ingresso campeggia infatti una targa in legno che recita: “11.06.2011 AVIS e

Associazione Solidarietà dorgalese”. All'interno del piccolo edificio sono stati sistemati gli scatoloni

contenenti tutto il necessario per l'invito: scatoloni pieni di piatti, bicchieri e posate in plastica e

tovaglioli di carta, numerosi cartoni di vino locale, bottiglie di acqua naturale e altre bibite,

innumerevoli buste di moddizosu e pane carasau, formaggi e confezioni di dolci tipici. Qui verso le

13.00 ha inizio la preparazione del pranzo per tutti coloro che al mattino hanno contribuito ai lavori

di organizzazione: viene acceso un grande fornello a gas nel quale viene sistemato un pentolone e

viene fatta soffriggere della cipolla in olio caldo, alla quale viene aggiunto, versando lentamente, il

sangue di pecora, mentre in alcune teglie si sbriciola del pane carasau, un pugno di pecorino

grattuggiato e su puleu, un'erba simile alla mentuccia, il tutto da versare anch'esso nel pentolone per

realizzare la ricetta del “sanguinaccio”. Una volta pronto, il sanguinaccio viene servito a tutti i

collaboratori accomodatisi per il pranzo in una tavolata, allestita e apparecchiata all'ultimo

momento, sotto un grande albero. Solo i quattro arrostitori non si uniscono alla mensa con gli altri

perché è giunto il momento di cominciare a togliere la carne dal fuoco e tagliarla: le prime due teglie

di carne verranno servite al tavolo dei soci per il pranzo, tutte le altre sono destinate alla sera,

68

all'invito che seguirà alla messa. La carne viene via via tolta dal fuoco, da ogni suo pezzo vengono

sfilati i due spiedi di legno di mirto che hanno consentito che essa venisse girata con facilità durante

la cottura, una volta sfilati gli spiedi si procede al taglio delle carni sopra un pesante e spesso asse

di legno. Mentre la carne di vitella viene tagliata delicatamente a fettine sottili, la carne di pecora e

maiale viene invece velocemente ridotta in grossi cubi da una grande mannaia, adoperata con forza

e precisione. Verso le 15.30, terminato il taglio di tutta la carne e il pranzo, i soci sparecchiano il

tutto, lasciano il santuario e rientrano a Dorgali per prepararsi alla processione che avrà luogo di lì

a due ore. Il pomeriggio è soleggiato, alle 17.30 in Piazza Santa Caterina, davanti alla chiesa

parrocchiale, i cavalieri vestiti in pantaloni di velluto nero e camicia bianca, radunano i cavalli tirati

a lucido, ben sellati e bardati a festa con la collana 'e sonajolos. I soci dell'associazione consegnano

loro, già in groppa ai cavalli, le sei pandele dei Santi e il vessillo “profano” dell'AVIS. Le pandele

sono degli stendardi di stoffa, dipinti e ricamati a mano, montati su un'asta di legno decorato e

arricchito da ornamenti di nastri e fiori.

I fantini, ad un segnale prestabilito, preceduti dall'auto dei vigili urbani e seguiti dal corteo di auto

dei membri del comitato, si avviano in processione per via Galilei, risalgono in via Matteotti, per

poi procedere lungo le due strade principali del paese, via La Marmora e Corso Umberto, alla fine

di quest'ultima svoltano in via Firenze e giungono nella circonvallazione a valle (viale Kennedy)

dove, all'incrocio per uscire dal centro abitato, il corteo si ferma per permettere ai cavalieri di cedere

le pandele ai soci che procederanno in auto verso la vallata di Oddoene, lasciandosi sulla destra il

colle vulcanico di S.Elene. Solo due degli otto cavalieri proseguiranno il percorso a cavallo sino al

santuario, ma tagliando per i campi, data la lunga distanza dal centro abitato. Il corteo di auto, con

gli stendardi ben in mostra che svolazzano dai finestrini, giunge verso le 18.30 presso la chiesa

dedicata alla Vergine di Buon Cammino, nella vallata di Oddoene che è sovrastata da un'alta catena

montuosa calcarea a picco sul Rio Flumineddu. Strutturalmente è la più complessa delle chiese

campestri dorgalesi, consta infatti di quattro corpi uniti a quello principale, è intonacata di bianco

ed è ancora circondata dalle sue cumbessias in granito, una delle quali ristrutturata l'anno scorso a

cura della sezione locale dell'AVIS. Intorno alla chiesetta si sono già radunati molti fedeli. I membri

dell'Associazione, una volta parcheggiate le auto, affidano due dei vessilli a due coppie di giovani

in costume tipico dorgalese, gli altri cinque (compreso quello dell'AVIS) vengono portati da loro

stessi all'interno della chiesetta dove ricevono dal parroco la prima benedizione. Si forma quindi una

processione che compie tre giri rituali attorno all'edificio: in prima fila una rappresentante

dell'associazione con la croce, poi i soci e le due coppie in costume che reggono le sei pandele, il

sacerdote, altri fedeli ed infine i membri della polifonica Lorenzo Perosi in divisa nera che intonano

il “Deus ti sarvet Maria”, ossia il canto dell'Ave Maria in lingua sarda. Al termine dei tre giri rituali,

tutti entrano nuovamente compunti in chiesa segnandosi la fronte e facendo una genuflessione.

Davanti al parroco, nella prima fila di banchi stanno i soci dell'AVIS, alcuni di essi però si sono

accomodati, insieme alle due coppie in costume, ai due lati dell'altare, dove sono stati sistemati

69

anche gli stendardi. Lo spazio retrostante all'altare, sotto la statua della Vergine di Buon Cammino,

è infiorato con quattro composizioni di gerbere arancioni e accanto ad esse sono accesi sei lumicini

rivestiti di tulle arancione; sul muro adiacente un piccolo quadretto bianco con cornice dorata riporta

i nomi dei priori e delle prioresse della festa succedutisi dal 1976 al 1995: “ Fancello Simone

Cipriano e Bacchitta Maria 1976; Mereu Tottoi e Sale Elena 1977, etc..”. Il coro, disposto a

semicerchio nel corpo a sinistra della navata centrale, intona il “Re dei re” di Bach come canto

d'ingresso.La cerimonia, seguita con compostezza, è scandita da tre letture incentrate sul significato

della comunione. Don Argiolas spiega che il sacrificio eucaristico ripete ciò che è avvenuto sulla

Croce perciò è il cuore della Chiesa e la Chiesa è tutta la comunità. Nella sua omelia ricorda inoltre

la necessità di essere solidali con i nostri connazionali emiliani vittime del terremoto. A questo punto

il sacerdote chiede alle persone che vogliono fare la Comunione di sollevare la mano, le conta in

modo da sapere esattamente il numero delle ostie da consacrare: non possono esservi rimanenze

perché nella chiesetta campestre non vi è il tabernacolo dove possano essere custodite, dunque tutte

quelle che vengono consacrate devono essere consumate. Il momento dell'offertorio è poi

accompagnato dal canto dell'Ave Verum di Mozart; si formano le due file di fedeli per la comunione

mentre il coro intona una corale di Bach e infine, il canto di chiusura “Benedicat vobis” di Andel.

La messa è finita, sono circa le 20.00, e all'uscita dalla chiesetta gli ospiti affluiscono lentamente

alla tavolata dell'invito conversando in un vocìo continuo, sorseggiando del vino rosso e degustando

le varie delizie esposte: carne di maiale, spezzatino di manzo in rosso, polpette di asino, spicchi di

pecorino, trizza chin mele, moddizzosu, dolci tipici dorgalesi, pasticcini e frolleria mista. La fase

pagana della festa entra nel vivo. Dietro la tavolata si adoperano i soci dell'AVIS, distinguibili per

le loro maglie blu con tanto di stemma dell'associazione, che sostituiscono via via i vassoi vuoti con

quelli pieni e provvedono a versare caffè, vino rosso, acqua, aranciata, sprite...

Sulla stessa tavolata sono disposte, a debita distanza l'una dall'altra, le tre scatole di legno per la

raccolta delle offerte in favore dell'associazione. Dalla tavolata la gente, dopa essersi servita, si

disperde in diversi gruppi nel vasto spiazzo antistante alla chiesa coperto di erba bassa e compatta,

il quale ben presto diviene anche pista da ballo per i componenti del gruppo folk Tiscali e per tutti

coloro che si vogliono unire alla danza, siano essi vecchi, giovani o bambini. La musica risuona

dagli altoparlanti della consolle allestita da uno dei soci, sotto un gazebo sistemato sul lato sinistro

della chiesa. Incominciano a formarsi le coppie e i passi dei ballerini si fanno via via più eleganti e

i movimenti di gruppo armoniosi. Ai balli sardi si alternano gli struggenti canti a quattro voci del

coro dei tenores: i quattro giovani stanno addossati gli uni agli altri e, componendo una figura a

cerchio, tengono una mano appoggiata sulla spalla del vicino, l'altra appoggiata all'orecchio per

sentire meglio il suono delle proprie voci. In disparte, vi è il gruppo di giocatori di morra: mentre un

uomo conta in qualità di arbitro, gli altri cinque uomini con le maniche rimboccate si sfidano nel

gioco con grande accanimento, il viso contratto per la concentrazione, le battute e i gesti ben ritmati.

Al centro dello spiazzo, nell'alternanza di balli sardi e canto a tenore si inserisce ora il canto solista

70

di un giovane socio dell'AVIS che si cimenta con grande abilità in canzoni pop e rock; è lo stesso

giovane che si è occupato di allestire la consolle e che si cura di volta in volta di mettere la musica

per i balli sardi oppure per i lenti o ancora musica da discoteca, in moda da accontentare nell'arco

della serata tutti i presenti. La festa dunque prosegue tra chiacchiere, degustazioni, canti e balli; solo

verso la mezzanotte la gente comincia a scemare e lasciare il santuario, gli organizzatori iniziano a

ritirare nella cumbessia ciò che, se lasciato all'aperto, potrebbe rovinarsi nell'arco della notte mentre

tutto il resto verrà risistemato e ripulito con calma il mattino seguente.

71

Diario di campo del 23.06.2012: la festa di pandela di San Giovanni Battista a Dorgali.

A Dorgali, comune in provincia di Nuoro, si svolgono ogni anno sei feste di pandela, ossia

celebrazioni annuali delle festività relative alle numerose chiesette antiche disseminate nel territorio

comunale, con la cadenza di una ogni due settimane circa a partire dal primo sabato di maggio sino

a metà settembre.

La festa di stendardo in onore di San Giovanni Battista è, nell'ordine, la quarta ed è attualmente

organizzata dal Coro Istelotte, un gruppo maschile di circa venticinque elementi. Il santuario di

Santu Juanni, si trova a circa un chilometro e mezzo di distanza dalla famosa Grotta di Ispinigoli,

in esso l'antica chiesetta ha la facciata rivolta verso il suggestivo ingresso della grotta di Su Anzu

nota, sin dall'antichità, per la sorgente termale, dalla quale sgorgava un'acqua ferruginosa da sempre

ritenuta curativa dai dorgalesi; oggi l'acqua è convogliata con condutture interrate e raccolta in una

rustica piscina, una vasca nella quale, donata una piccola offerta al custode per la manutenzione del

luogo, ci si può fare il bagno. La settimana prima della festa il coro sfrutta le due sere usualmente

dedicate alle prove di canto per approntare l'organizzazione dell'evento e dividere i compiti tra i suoi

membri. Nel corso della stessa settimana si pubblicizza la festa mediante la stampa locale e manifesti

affissi nei bar, nei supermercati e nei vari locali del paese che invitano l'intera comunità a partecipare.

La mattina del 23 giugno è soleggiata, sin dalle 9.30 alcuni membri del coro Istelotte sono al lavoro

per portare al Santuario tutto il materiale necessario all'organizzazione della festa: due freezer, luci,

faretti, cavi, e il necessario per imbandire, a sera, la grande tavolata in cemento sotto il grande albero

a sinistra della chiesa. Incisa sul grande tavolo una scritta ricorda che esso era stato fatto costruire

nel 1981, in dono al santuario, dai priori della festa di quell'anno: Efisio e Francesca Monni. Di

fronte alla grotta sono stati sistemati gli scatoloni contenenti tutto il necessario per l'invito: scatoloni

pieni di bicchieri e tovaglioli di carta, numerosi cartoni di vino locale, bottiglie di acqua naturale e

altre bibite, innumerevoli buste di moddizosu, formaggi, salsicce e confezioni di dolci tipici. Tre

ragazzi si occupano di montare i quattro faretti per la luce: due vengono posizionati sul grande

albero per poter illuminare a sera la tavolata, i restanti vengono piazzati, con l'ausilio di una scala,

sulla parete sinistra della chiesa così da illuminare il grande spazio antistante, che è stato

decespugliato il pomeriggio precedente. Inoltre, sempre sulla parete esterna, vengono montate le

due grandi casse audio dell'impianto vocale legato ai microfoni che saranno utilizzati dal sacerdote

durante la celebrazione della messa, cosicché anche coloro che vorranno stare all'aperto potranno

partecipare alla funzione religiosa. Per l'occasione sono inoltre giunti da Desulo dei venditori di

torrone e caramelle che allestiscono la loro bancarella all'ingresso del santuario. Intanto, all'interno

della chiesa, altri quatto componenti del coro sistemano per bene le file dei banchi e delle sedie,

ricoprono di carta bianca i posti a sedere laterali in pietra e si occupano delle ultime pulizie all'interno

dell'edificio religioso. Da notare il fatto che ogni chiesetta campestre ha il proprio corredo, costituito

da donazioni varie fatte nel corso dagli anni dai priori delle feste passate o da semplici fedeli, che

viene custodito, così come gli stendardi, nella Parrocchia di S.Caterina e rispolverato una volta

72

all'anno in occasione della cerimonia religiosa. In tarda mattinata giunge a Su Anzu la fioraia che,

con l'aiuto di due ragazze, prepara e sistema un delicato arco di fiori immediatamente sopra il

portone d'ingresso della chiesa e poi si dedica al decoro dello spazio retrostante all'altare,

infiorandolo con alcune composizioni di gerbere bianche e rosa; la composizione più grande viene

sistemata proprio sull'altare. Infine due alte candele bianche che, come è usanza, sono state donate

da una coppia sposatasi nell'anno in corso, vengono poste ai lati della statua di San Giovanni Battista

che sovrasta l'altare. Nella parete interna destra dell'edificio sono appesi tre piccoli quadretti bianchi

con cornice dorata il primo dei quali riporta i nomi dei priori e delle prioresse della festa succedutisi

dal 1979 al 1989 (Emilio e Caterina Comotto 1979; Salvatore e AnnaMaria Mula 1980, etc...), il

secondo i nomi dei priori succedutisi dal 1990 al 1995 (Tonino e Francesca Capozzi 1990; Paolo e

Antonietta Pira 1991, etc...), mentre il terzo ricorda che il Coro Istelotte organizza la festa da ben

dieci anni: dal 2002 al 2012.

Presso la grotta, due ragazzi si occupano di preparare il pranzo per tutti coloro che al mattino hanno

contribuito ai lavori di organizzazione: accendono un grande fornello a gas sul quale viene messo a

bollire un pentolone di carne di pecora, mentre un altro giovane si occupa di pelare le patate che

successivamente verranno messe a cottura con la carne. In disparte è stato acceso un fuocherello,

protetto da alcuni blocchetti in cemento, sui quali sono poggiate per la cottura due cordeddas,

infilzate da alcuni spiedi in legno. Una volta pronto, il pranzo viene servito a tutti i collaboratori

accomodatisi nella tavolata in cemento, apparecchiata all'ultimo momento, sotto il grande albero.

Verso le 13.30, terminato il pasto, i soci sparecchiano il tutto, lasciano il santuario e rientrano a

Dorgali per preparare i thermos di caffè che a sera verrà servito a tutti gli ospiti e per prepararsi alla

messa del pomeriggio. Il pomeriggio è soleggiato, alle 17.30 in Piazza Santa Caterina, davanti alla

chiesa parrocchiale, i cavalieri vestiti in pantaloni di velluto nero e camicia bianca, radunano i cavalli

tirati a lucido, ben sellati e bardati a festa con la collana 'e sonajolos. Due membri del coro

consegnano loro, già in groppa ai cavalli, le sei pandele dei Santi. Le pandele sono degli stendardi

di stoffa, dipinti e ricamati a mano, montati su un'asta di legno decorato e arricchito da ornamenti di

nastri e fiori. I fantini, ad un segnale prestabilito, si avviano in processione lungo le due strade

principali del paese: percorrono un tratto di Corso Umberto, poi via La Marmora, dove, quasi

all'altezza dell'uscita dal paese, i cavalieri si fermano e cedono le pandele ai ragazzi del coro che

procederanno in auto verso la località di Su Anzu. L'auto nella quale sono stati trasferiti gli stendardi

giunge presso il santuario verso le 18.30, e i giovani portano i vessilli all'interno della chiesa dove

la celebrazione della Messa è già cominciata: il sacerdote infatti, forse per un'incomprensione con i

cavalieri riguardo all'orario del corteo, non ha atteso l'arrivo delle pandelas per svolgere in

processione i tre giri rituali attorno all'edificio religioso. Nonostante questo strappo alla norma

consuetudinaria e il disappunto di alcuni fedeli, i tre giri sono stati comunque accompagnati dal

canto del Deus ti sarvet Maria intonato sia dal Coro Istelotte, organizzatore della festa, sia dalla

Polifonica Lorenzo Perosi. La Polifonica, disposta a semicerchio a sinistra dell'altare, intona diversi

73

canti nel corso della funzione. La cerimonia, seguita con il massimo raccoglimento, è scandita da

tre letture incentrate sulla figura di S.Giovanni Battista. Don Argiolas narra la storia del Santo

ricordando ai fedeli che egli è il profeta che ha un ruolo di cerniera tra Antico e Nuovo Testamento,

focalizza poi l'omelia sull'importanza della buona educazione dei figli additando ad esempio il ruolo

di Zaccaria ed Elisabetta, genitori di San Giovanni. La messa è finita, sono circa le 20.00, e all'uscita

dalla chiesetta gli ospiti affluiscono lentamente alla tavolata dell'invito e, conversando tra loro,

gradiscono il caffè caldo accompagnandolo con i biscotti della tradizione dorgalese e

successivamente degustano gli altri ottimi prodotti esposti: dolci tipici e frolleria mista, spicchi di

pecorino, salsicce e moddizosu. Dietro la tavolata si adoperano i membri del Coro, distinguibili per

le loro maglie viola “d'ordinanza”, i quali sostituiscono via via i vassoi vuoti con quelli pieni e

provvedono a versare caffè, vino rosso, acqua, aranciata, sprite...

Sulla stessa tavolata sono disposte, a debita distanza l'una dall'altra, le tre scatole di cartone per la

raccolta delle offerte in favore del Coro. Dalla tavolata la gente, dopa essersi servita, si disperde in

diversi gruppi nel vasto spiazzo antistante alla chiesa coperto di erba bassa e compatta, il quale ben

presto diviene anche pista da ballo per i componenti del gruppo folk Don Milani e per tutti coloro

che si vogliono unire alla danza, siano essi vecchi, giovani o bambini. La musica risuona dagli

altoparlanti fissati sin dal mattino sul lato sinistro della chiesa. Incominciano a formarsi le coppie e

i passi dei ballerini si fanno via via più eleganti e i movimenti di gruppo armoniosi, anche alcuni

turisti provano a cimentarsi in Su Ballu a tres passos. Ai balli sardi si alternano poi gli struggenti

canti del Coro Istelotte, il cui repertorio di canti in sardo attinge ai versi dei poeti locali. Intanto al

santuario sono giunti anche i cavalieri, che avevamo lasciato all'uscita di Dorgali al momento dello

scambio delle pandele, e alcuni dei bambini presenti alla festa accorrono con grida gioiose ad

ammirare ed accarezzare i cavalli, mentre altri sono intenti ad acquistare torrone e caramelle presso

la bancarella dei turronarzos di Desulo. In disparte, vi è il gruppo di giocatori di morra: mentre un

uomo conta in qualità di arbitro, gli altri cinque uomini con le maniche rimboccate si sfidano nel

gioco con grande accanimento, il viso contratto per la concentrazione, le battute e i gesti ben ritmati.

La festa dunque prosegue tra chiacchiere, degustazioni, canti e balli; solo verso la mezzanotte la

gente comincia a scemare e lasciare il santuario, gli organizzatori iniziano a ritirare ciò che, se

lasciato all'aperto, potrebbe rovinarsi nell'arco della notte mentre tutto il resto verrà risistemato e

ripulito con calma il mattino seguente.

74

Diario di campo del 28.07.2012: la festa di pandela di San Pantaleo a Dorgali.

A Dorgali, comune in provincia di Nuoro, si svolgono ogni anno sei feste di pandela, ossia

celebrazioni annuali delle festività relative alle numerose chiesette antiche disseminate nel territorio

comunale, con la cadenza di una ogni due settimane circa a partire dal primo sabato di maggio sino

a metà settembre. La festa di stendardo in onore di San Pantaleo è, nell'ordine, la quinta ed è

attualmente organizzata dal Comitato Santu Pantaleo.

Una settimana prima della festa si indice una riunione dell'associazione e, nel corso della settimana,

si pubblicizza la festa mediante la stampa locale e manifesti affissi nei bar, nei supermercati e nei

vari locali del paese che invitano l'intera comunità e chiunque voglia partecipare. Si prendono inoltre

contatti con coloro che hanno dato in precedenza la disponibilità a prestare le loro imbarcazioni e il

loro stesso servizio per la festa: la chiesa di San Pantaleo sorge infatti in una collina sovrastante

l'invaso del fiume Cedrino, isolata dagli anni Ottanta a causa della chiusura definitiva della diga di

Preda Ottoni quando l'acqua del lago aveva sommerso e cancellato l'unica strada che costeggiava il

fiume e portava sino al santuario.

La mattina del 28 luglio è afosa, sin dalle prime ore della giornata i membri del Comitato sono al

lavoro per offrire agli ospiti della festa il servizio di trasporto in barca sino alla riva del colle in cui

sorge la chiesetta. Invece tutto il materiale necessario all'organizzazione della festa (tavoloni,

cavalletti, pali, legna, spiedi, viveri e accessori per imbandire il buffet) è stato già portato a

destinazione il giorno prima e accuratamente sistemato. I pellegrini attendono ansiosi il loro turno

per salire sulle imbarcazioni, una volta a bordo si godono il suggestivo paesaggio. All'arrivo al

pontile d'attracco quattro operatori aiutano gli ospiti a sbarcare e li indirizzano alla tavolata in cui

viene servito un primo invito: una colazione di caffè, dolci tipici e crostate alla marmellata. Inoltre

ad ogni ospite viene consegnata una bottiglietta d'acqua fresca, utile ad idratarsi e sopportare il caldo

nella breve ma ripida salita che dai pontili conduce alla chiesetta e alle due cumbessias, restaurate

dall'associazione. Alle 10.00 tutti entrano compunti in chiesa segnandosi la fronte e facendo una

genuflessione; ha inizio la messa. Qui la funzione religiosa è molto sentita, soprattutto dalle persone

anziane: San Pantaleo era infatti molto venerato perché medico; il sacerdote nella sua omelia ricorda

appunto ai fedeli l'importanza del credo e della speranza, gli stessi che i malati ripongono nei poteri

taumaturgici del Santo. Davanti al parroco, nella prima fila di banchi stanno i membri del Comitato,

mentre dietro l'altare il coro Ilune è disposto a semicerchio e intona i suoi suggestivi canti in sardo,

di accompagnamento alle varie fasi della celebrazione. Lo spazio retrostante all'altare, sotto la statua

di San Pantaleo è infiorato da tre composizioni di girasoli; sul muro adiacente un piccolo quadretto

raffigurante le rive del fiume Cedrino, nella parete opposta un altro rappresenta la stessa chiesetta e

le sue cumbessias. La cerimonia è seguita con compostezza. Una giovane donna sposatasi nell'anno

in corso assiste alla funzione con due alte candele bianche che, come è usanza, donerà alla chiesetta,

affinché vengano accese durante la prossima messa in onore del Santo. Al termine della messa, si

assiste ad una particolare pratica devozionale: quasi tutti i fedeli si mettono in fila ordinatamente e

75

via via si avvicinano alla statua del Santo per toccare, con la sua immaginetta distribuita all'ingresso

in chiesa o con un semplice fazzoletto, la polverina – ritenuta curativa e miracolosa – contenuta nel

cofanetto che il Santo tiene nella mano sinistra, invocandone così la protezione dalle malattie per sé

e per i propri cari. Vicino alla statua è inoltre posta la sola pandela di San Pantaleo, non sono presenti

i vessilli delle altre cinque feste (questa scelta è dovuta alle difficoltà dello spostamento in barca).

La pandela è lo stendardo di stoffa, dipinto e ricamato a mano, montato su un'asta di legno decorato

e arricchito da ornamenti di nastri e fiori.. Al termine del rito di benedizione, a partire dalle 11.30

viene servito il rinfresco con degustazioni. Gli ospiti affluiscono lentamente alla tavolata dell'invito

conversando in un vocìo continuo, sorseggiando del vino rosso e degustando le varie delizie esposte:

pane carasau, spicchi di pecorino, trizza chin mele, moddizzosu, dolci tipici dorgalesi, pasticcini e

frolleria mista. La fase pagana della festa entra nel vivo. Dietro la tavolata si adoperano i membri

del Comitato, distinguibili per le loro maglie bianche con scritta blu dell'associazione, che

sostituiscono via via i vassoi vuoti con quelli pieni e provvedono a versare caffè, vino rosso, acqua,

aranciata, sprite...

Sulla stessa tavolata sono disposte, a debita distanza l'una dall'altra, le tre scatole di legno per la

raccolta delle offerte in favore dell'associazione. Accanto ad esse le immaginette raffiguranti San

Pantaleo che chiunque può prendere e portar via con sé, per ricordo. Dalla tavolata la gente, dopa

essersi servita, si disperde in diversi gruppi nel vasto spiazzo antistante ad essa, e si dedica alle

chiacchiere e alle degustazioni. Molti ospiti visitano incuriositi le due cumbessias restaurate,

all'interno gli organizzatori vi hanno allestito una mostra di fotografie delle passate edizioni della

festa, quando ancora essa era a carico del priorato. Gli invitati dorgalesi conversano animatamente

nel tentare di riconoscere dalle foto visi noti, vecchi o lontani parenti. I turisti dal canto loro sono

affascinati dalla storia di una festa così antica e dal suggestivo paesaggio: dall'alto del colle si domina

tutto il corso del Cedrino. Verso le 13.00, quando il caldo diviene quasi soffocante, gran parte degli

invitati raggiunge i pontili di attracco e risale sulle imbarcazioni per il ritorno. La festa sembra

terminata, ma i pochi ospiti rimasti sono invitati dai membri del Comitato anche al pranzo, allestito

solo per coloro che hanno collaborato all'organizzazione ma in realtà aperto a chiunque voglia

rimanere ancora in compagnia e parteciparvi. Quattro uomini per l'intera mattinata si sono infatti

occupati dell'arrostitura delle carni, in un basso recinto semicircolare di blocchetti di cemento

all'interno del quale è distribuita la brace ardente. Ogni pezzo di carne di maiale è infilzato con due

spiedi di legno di mirto, ed è poggiato a cuocere con gli altri, disposti ordinatamente sul bordo

interno del recinto. I quattro arrostitori, nonostante il gran caldo, vegliano sulla carne e con tecnica

sapiente e gesti misurati ne controllano lo stato di cottura concedendosi ogni tanto qualche

chiacchiera e un sorso di vino rosso, sino al momento di cominciare a togliere la carne dal fuoco e

tagliarla. A quel punto la carne viene via via tolta dal fuoco, da ogni suo pezzo vengono sfilati i due

spiedi di legno di mirto che hanno consentito che essa venisse girata con facilità durante la cottura,

una volta sfilati gli spiedi si procede al taglio della carne sopra un pesante e spesso asse di legno.

76

Essa viene velocemente ridotta in grossi cubi da una grande mannaia, adoperata con forza e

precisione, e poi servita nelle teglie. Si pranza all'ombra di antiche querce e tra chiacchiere, risate e

scambio di opinioni sull'esito della festa vengono serviti asino in umido e porcetto arrosto, trizza

chin mele, spicchi di pecorino, pomodori e insalata, salsicce, casu muchidu31, moddizzosu e pane

carasau; infine un buon caffè per tutti. Al termine del pranzo un uomo imbraccia la fisarmonica,

suona, la comitiva si rianima e iniziano a formarsi le coppie per il ballo sardo, il tutto con una

spontaneità dal sapore arcaico; nulla di tutto ciò era programmato. Solo verso le cinque del

pomeriggio si comincia a ricaricare in barca tutto il materiale da riportare in paese e a rassettare e

ripulire l'area in cui si è svolta la festa. Due giorni dopo sulla stampa locale si può leggere l'articolo:

“Dorgali rinnova con successo i riti in onore di San Pantaleo”32, che riconosce il merito dei volontari

del Comitato.

31Formaggio marcio. 32In La Nuova Sardegna di mercoledì 1 agosto 2012.

77

Immagine n°1. Il taglio della carne destinata al banchetto della festa di pandela della Madonna di

Buon Cammino. (9.06.2012)

Immagine n°2. L'arrivo in barca degli ospiti al pontile d'attracco, alla festa di pandela di San

Pantaleo. (28.7.2012)

78

Immagine n°3. I cavalieri portano le pandelas in processione alla festa di Buon Cammino.

(9.06.2012)

Immagine n°4. I membri del Coro Istelotte arrivano al santuario di San Giovanni con le pandelas.

(23.06.2012)

79

Immagine n°5. I tre giri rituali attorno alla chiesa della Madonna di Buon Cammino. (9.06.2012)

Immagine n°6. Il particolare rituale di devozione a San Pantaleo. (28.07.2012)

80

Immagine n°7. L'uscita dei fedeli al termine della messa celebrata in onore di San Pantaleo.

(28.07.2012)

Immagine n°8. Uno dei momenti del consumo festivo. Il banchetto offerto alla festa di Buon

Cammino. (9.06.2012)

81

Interviste

Intervista n°1 a Paola M., 48 anni, sposata; membro del Comitato San Pantaleo,

organizzatore della festa di pandela di San Pantaleo. Intervistata nella sua abitazione, al

mattino, il 30 ottobre 2012.

Qual è stato il tuo primo incontro con il Comitato e perché vi hai aderito?

Ci è stata proposta da un amico che abita vicino alla chiesa di San Pantaleo che resosi conto delle

cattive condizioni in cui versava la chiesa ci ha proposto se potevamo aderire tutti a dare una mano

a restaurarla. Lo abbiamo fatto volentieri, diversi anni fa, otto o nove anni fa, di preciso non ricordo

l’anno.

Quale scopo si prefigge il vostro Comitato?

In primis aggiustare la chiesa e recuperarla, perché essendo una chiesa del 1400 era un peccato

vederla cadere e poi appunto recuperare la parte religiosa, riproponendo il rito della messa almeno

una volta l’anno in questa chiesa.

Quanti iscritti conta il Comitato?

Io penso una ventina di persone che aiutano saltuariamente.

Ogni quanto vi riunite?

Le persone che vanno proprio a fare il restauro della chiesa riescono a vedersi più volte l’anno; noi

che aderiamo più che altro a fare la festa il giorno, un mese prima facciamo le riunioni per

organizzare tutto e poi un paio di riunioni dopo la festa per concludere le cose.

Quindi quando tu sei entrata a far parte del Comitato, questo si occupava già dell’organizzazione

della festa ed è nato proprio per questo motivo?

Sì, è sorto per questo motivo, per riorganizzare tutto.

Avevi mai partecipato alle feste quando ancora si reggevano sul sistema del priorato? Ricordi

qualcosa in particolare? E qualcuno della tua famiglia è mai stato priore?

No, più che altro andata come invitata a qualche festa sì, non a tutte e non sempre, ripeto, solo come

invitata.

Ricordi qualcosa che ti ha colpito o qualche differenza fondamentale rispetto all'organizzazione

attuale?

L’organizzazione cadeva più che altro su una famiglia solo ed era abbastanza pesante sia come oneri

di costi ed anche di organizzazione. Ora si è divisa è molto meno gravosa sia come spese che come

organizzazione perché divisa tra varie persone.

L’organizzazione di questa festa dà anche un contributo alla socializzazione e alla cooperazione

tra i membri del vostro comitato stesso, quindi in che misura?

Io ho avuto l’opportunità di conoscere persone nuove che non conoscevo per niente; è stata per me

una bellissima esperienza e spero che duri fino a quando posso farlo e, anche con gli invitati, ho

82

potuto comunque socializzare con molte più persone che non conoscevo proprio.

Come nasce la collaborazione tra voi organizzatori e ad esempio il coro, che di volta in volta canta

e contribuisce alla buona riuscita della festa?

Ogni anno chiediamo ad un coro diverso di allietarci la messa con i loro canti, o il coro Istelotte, o

il coro Tiscali. Quest’anno è stato il coro Ilune, ma proprio a livello di volontariato, senza alcuna

remunerazione.

C’è un rapporto tra il vostro Comitato e le associazioni che si occupano delle altre feste? Voi

partecipate anche alle altre feste?

Se ci sono familiari coinvolti direttamente nelle altre feste allora ci si dà una mano in questo senso,

però come associazione proprio no, in genere noi non collaboriamo con le altre, ci si va come invitati

e basta.

Il vostro è un comitato laico, come può coniugare la sua laicità con la componente religiosa della

festa? Le due dimensioni convivono senza alcun tipo di conflitto?

No, nessun conflitto abbiamo imparato ad assistere alla messa con entusiasmo, e comunque abbiamo

imparato anche ad essere devoti a San Pantaleo quando ci serve…

Quindi anche la collaborazione tra il Comitato e il parroco o il viceparroco è sempre stata serena?

Sì, abbastanza. Un anno ricordo abbiamo chiesto se poteva celebrare la messa un sacerdote che non

era dei nostri, di Dorgali, ed è stato contento e ce lo ha fatto venire volentieri.

Pensa che la risposta della comunità dorgalese a questo tipo di organizzazione della festa, che non

è più fondata sul priorato, sia stata positiva?

Sì, io penso di sì. Anche alla nostra festa ne viene tanta di gente, viene molto volentieri proprio

perché non deve stare seduta ad un pranzo di quattro o cinque ore… Sì, penso sia stata una bella

cosa riprenderle in questa maniera.

Quindi l’affluenza e la partecipazione da parte dei dorgalesi è molto buona, è così anche per i

turisti?

Anche dei turisti vengono volentieri anzi rimangono proprio contenti, devo dire ci lasciano sempre

un'offerta anche loro, proprio non prendono niente se non lasciano prima un’offerta. Quelli che sono

venuti, prima di prendere anche un minimo dolcetto, hanno lasciato un’offerta.

E si sono informati sulla festa?

Sì, tutti quanti. Quelli che si sono fermati hanno chiesto informazioni di tutta l’organizzazione.

Che tipo di rapporto si crea tra gli organizzatori e gli ospiti? Un rapporto di scambio in questo

senso oppure…?

Sì, di scambio, anche di informazioni: le persone anziane che ci raccontano di quanto la comunità

dorgalese era devota a San Pantaleo, di come venivano prima, di come si facevano prima le feste e

quanto la trovano bella ora.

Secondo te qual è la motivazione principale della partecipazione alla festa oggi? E' ancora

prevalentemente religiosa o..?

83

Molto religiosa, molta devozione a questo Santo – “Santo Pantaleo dottore” - essendo invocato per

la guarigione delle malattie.

Per questo santo si seguono riti particolari durante l’occasione della cerimonia?

Si. Alla fine della messa tutti o quasi si avvicinano alla statua del santo per toccare con un fazzoletto

una scatola dove ci dovrebbero esserci delle polveri con proprietà mediche che poi si portano dietro

diciamo come una specie di reliquia che dovrebbe aiutarli a guarire.

Questo si verifica tutti gli anni?

Tutti gli anni sì, quest’anno l'ho sentito in modo particolare perché si è creata una fila per tutta la

chiesa, perché si sono avvicinate anche persone che pensavo non fossero molto religiose e chiunque

avesse un problema di salute si è avvicinata a toccare la statua del Santo.

Che cosa può rappresentare invece la pandela? Da un lato c’è la statua del Santo, dall’altra c’è la

pandela.. che cos’è la pandela?

Probabilmente mentre la statua rimane in chiesa, la pandela la porti in giro, la porti a far vedere!

Invece la statua rimane ferma lì quindi è per far conoscere probabilmente il santo anche al di fuori

dalla chiesa, all’esterno…penso!

Per quanto riguarda l’organizzazione pratica della festa avete convocato una riunione

espressamente per pianificare l’organizzazione? Quanto tempo prima della festa?

Sì, in genere ci vediamo un mese prima. Ognuno si occupa del suo compito specifico: comprare le

bibite, il pane, le salsicce, i dolci, il ghiaccio per rinfrescare le bibite, e tutto quello che serve: portare

i tavoli i cavalletti, carburante per i gommoni, chiedere i gommoni. Perché San Pantaleo appunto ha

questa differenza dalle altre feste che bisogna arrivarci in barca, quindi questo tragitto bisogna

comunque che il comitato lo organizzi al meglio. In genere ci ha sempre dato una mano chi ha un

gommone, chi ha una piccola barca la porta direttamente lì, almeno sei o sette persone se ne

occupano.

Quindi danno sempre la propria disponibilità, fanno parte dell’organizzazione oppure vengono

coinvolta tramite conoscenze?

Molti no, vengono appunto solo il giorno per aiutarci in questo senso..

E non chiedono un..

No, noi paghiamo solo il carburante per il trasporto.

Quindi per il resto sono volontari?

Sì, sono tanti volontari che appunto ci danno una mano volentieri anche in offerte sia in denaro o in

cose da usare il giorno, che so?! Un formaggio, un pezzo di carne o una bottiglia di vino…

Quindi anche per l’invito c’è un contributo in prodotti direttamente, non soltanto in denaro o in

manodopera?

Si.

Per quanto riguarda invece proprio il contributo economico il Comune partecipa oppure..?

Il Comune dà un contributo economico uguale a tutte le feste di pandela indistintamente.

84

Ricorrete anche al sistema delle offerte per finanziare la festa?

No, le offerte in genere vengono usate appunto per la ristrutturazione. Adesso la chiesa è già

restaurata, abbiamo ristrutturato una cumbessia, adesso le offerte le stiamo mettendo insieme per

restaurare l‘altra cumbissia, che è già in fase di ristrutturazione, speriamo quest’anno di finirla.

Così si prosegue di questo passo..?

Si prosegue di questo passo perché ci saranno sempre cose da aggiungere e da sistemare con la

volontà delle persone del comitato che mettono a disposizione il loro tempo.

L’invito viene esteso a tutta la comunità e ai turisti, in che modo? Cioè ci sono delle partecipazioni

o..?

In genere si fanno delle locandine che si appendono per tutto il paese e quindi la gente è invitata

tutta, chi vuole partecipare. Qualche partecipazione viene fatta specifica che so ai carabinieri, al

sindaco, ai barracelli, qualcosa del genere, ma abbastanza poche perché l’invito è aperto a tutti

indistintamente.

Nell’organizzazione avete coinvolto familiari o amici anche se estranei all’associazione? Così come

avete coinvolto il coro o gli autisti dei gommoni...

Sì, anche io per esempio quest’anno non potevo andare a pulire la chiesa e ho chiesto a mia sorella

se poteva andare al mio posto e c’è andata volentieri, o che ne so i mariti o le mogli, in questo caso

se ci sono i mariti in comitato le mogli vengono volentieri a dare una mano.

Quindi c’è anche un’estensione familiare?

Sì, familiare sì.

Magari questo aiuto c’è stato anche quando è stata ristrutturata la chiesa la prima volta, anche per

la difficoltà di…?

Molte difficoltà, tante, perché è un posto impervio e difficoltà ce ne sono state tantissime per la

ristrutturazione della chiesa, anche solo per portare i materiali su perché è sopra una collina e bisogna

portare tutto prima in barca, poi dal laghetto su in braccio tutti i materiali che son serviti: travi,

cavalletti, sacchi di cemento e tutte le cose che sono servite e quindi c’è stata la richiesta di aiuto da

tante persone anche se non erano in comitato.

Anche perché la ristrutturazione ha impegnato tempo..

Ha impegnato tempo e ripeto, diverse persone che prima magari erano in comitato poi si sono

stancati e se ne sono andati, però è un comitato aperto a tutti.

E ci sono stati nuovi ingressi, magari una volta conosciuta la festa?

Sì, nuovi ingressi, diversi Pantaleo...(ride!)

85

Intervista n°2 a Manlio M., 54 anni, sposato e a Tonio S., 52 anni, sposato, entrambi soci

dell'AVIS che organizza la festa di pandela di Buon Cammino e membri del Comitato di

Solidarietà dorgalese che organizza la festa di San Cornelio e San Cipriano. I due

informatori sono stati intervistati nel corso dello stesso colloquio, nella sede dell'AVIS di

Dorgali, la sera del 31 ottobre 2012.

Qual è stato il tuo primo incontro con l'associazione e perché vi hai aderito?

Manlio: Noi abbiamo creato l’associazione per dare una mano ad un nostro amico che purtroppo

aveva un serio problema di salute doveva fare un trapianto ai reni e doveva andare in America perché

qui non riusciva a farlo. Allora gli amici hanno deciso di fare una raccolta fondi a Dorgali creando

delle manifestazioni e con quei soldi speravamo di riuscire a trovare la soluzione perché lui avesse

questo trapianto. Purtroppo quando è andato in America e ha fatto i controlli non gli hanno potuto

fare il trapianto perché era incompatibile, più che altro perché aveva gli anticorpi troppo forti che

non avrebbero consentito al rene che doveva ricevere di sopravvivere, per cui non l’ha potuto fare e

quindi è tornato e noi avevamo comunque a disposizione questi soldi, raccolti da tutto il paese, e

quindi ci sembrava giusto che da lì nascesse un’associazione che andasse avanti, visto che non era

servita per lui quanto meno che servisse per altri dorgalesi che ne hanno necessità.

Quindi da qui il Comitato di Solidarietà. Invece per quanto riguarda l’AVIS?

Manlio: L’AVIS, non ricordo se l’abbiamo formata prima o dopo, sicuramente nello stesso periodo.

Comunque sempre lo stesso gruppo di persone o variano i soci dall’una all’altra?

Tonio: Siamo due gruppi di amici diversi che poi noi siamo entrati a far parte dell’associazione e

anche dell’AVIS, perché è capitato un incidente ad un nostro amico e volevamo fare praticamente

la stessa cosa: una colletta per mandarlo a …

Quindi un gruppo che si è unito ad un altro gruppo perché avete avuto la stessa esperienza?

Manlio: Sì, ci siamo uniti a loro e quindi l’abbiamo ingrandito e siamo andati avanti sempre di più.

Quindi accettando sempre nuove iscrizioni, infatti l’associazione è aperta a tutti, per cui chiunque

può partecipare anche per quanto riguarda l’AVIS, noi seguivamo sia l’una che l’altra. Nel periodo

in cui comunque è nata la prima associazione eravamo in contatto con l’allora dott. Fancello che

c’era, era il medico condotto di Dorgali, che ci aveva fatto questa proposta di fondare anche a Dorgali

l’AVIS comunale, ne avevamo approfittato ormai ne facevano una, abbiamo detto le affianchiamo e

le portiamo avanti. Per cui anche loro come amici di questo loro amico che appunto aveva avuto

questo problema si sono uniti a noi, è cresciuta lì l’associazione e porta avanti tutte e due sia

l’associazione che l’AVIS.

E in che anno era?

Manlio: Mi sembra nel 1985 che abbiamo fondato l’associazione.

Comunque da molto tempo…

Manlio: Se non sbaglio siamo ai trent’anni, mi sembra che nel 2013 siano trent’anni sia della

86

fondazione dell’AVIS che dell’associazione.

Quanti iscritti contano le vostre associazioni? Quanti effettivamente attivi?

Manlio: L’Associazione di Solidarietà conta una cinquantina di iscritti e tra una cosa e l’altra quasi

tutti e cinquanta partecipiamo alle manifestazioni e tutto. Mentre gli iscritti come AVIS perché sono

donatori e quindi ce ne sono tanti siamo centosessantadue.

Però quanti soci attivi?

Manlio: Soci attivi anche lì nell’AVIS, purtroppo... noi abbiamo tanti iscritti però quando si fanno

le riunioni se andiamo poi a vedere i verbali ci rendiamo conto che quindici o venti persone massimo

sono quelle che effettivamente la portano avanti.

Quindi anche all’organizzazione delle due feste di Buon Cammino e San Cornelio e Cipriano?

Manlio: Diciamo che per la festa di Buon Cammino specialmente quando c’è proprio da dare una

mano allora arriviamo anche a cinquanta o sessanta. Però voglio dire che la maggior parte

dell’associazione c’è quasi sempre, quei cinquanta – potremmo essere trenta o quaranta – quasi ci

siamo sempre mentre invece per l’AVIS i centosessantadue soci sono quelli che vanno a donare il

sangue, però quelli che partecipano attivamente saremo una ventina.

Ogni quanto vi riunite più o meno?

Manlio: Per quanto riguarda l’AVIS ci riuniamo tre o quattro volte all’anno generalmente quando

facciamo e approviamo il bilancio facciamo le assemblee per poi mandare tutto all’AVIS provinciale

e generalmente una volta ogni due mesi diciamo il consiglio di amministrazione si vede per

preparare i manifesti che dobbiamo esporre per l’arrivo dell’autoemoteca. Mentre invece per quanto

riguarda l’altra associazione ogni volta che ci viene chiesto un aiuto a Dorgali di qualcuno che

effettivamente ha dei problemi di salute molto gravi, allora ci vediamo.

Quindi in un certo senso sopperite anche a servizi offerti anche dall’assessorato dei servizi sociali

del Comune da quel punto di vista voi date un aiuto..

Manlio: Noi abbiamo anche un accordo tacito con loro con il quale noi siamo intervenuti diverse

volte per dare delle sovvenzioni che erano già stabilite dal Comune che però non aveva la

disponibilità monetaria al momento..

Immediata, liquida..

Manlio: Immediata, per cui intervenivamo noi, potevano in questo caso fare un assegno per una

persona che aveva necessità e poi il Comune ce la riversava nelle nostre casse.

Una sorta di anticipo?

Manlio: Sì abbiamo una sorta di collaborazione comunque che va avanti da un bel po’ di tempo.

Da quando l'associazione si fa carico dell'organizzazione della festa? E perché la scelta di prendervi

carico delle due feste tra l’altro una come Comitato di Solidarietà e una come AVIS?

Manlio: Non perché l’abbiamo iniziata noi ma comunque perché le feste di pandela come sai bene

che c’era un priore che portava avanti la festa e organizzava tutto. Poi purtroppo quando le feste

sono diventate esageratamente dispendiose e quindi il priore non ce la faceva più hanno iniziato ad

87

abbandonarle per cui per diversi anni Dorgali le feste non le faceva più, c’era il parroco giusto che

faceva la messa, si andava lì, andavano i fedeli, ascoltavano la messa e tutto finiva lì. Poi dopo un

po’ di tempo abbiamo detto ma perché abbandonarle del tutto? Troviamo una soluzione che potrebbe

essere anche un aiuto per l’associazione e allo stesso tempo riprendere poi le feste di pandela.

Tonio: Nel 1997 quando siamo entrati noi...

Manlio:Abbiamo iniziato..

L’avete ripristinata?

Manlio: Sì abbiamo ripristinato quella di San Cipriano e poi da lì abbiamo invitato…

Tonio: Senza sovvenzione del Comune e niente, proprio per essere precisi, ci eravamo messi

d’accordo solo con il parroco.

Manlio: Che lui organizzava la messa e noi avevamo deciso di fare un invito all’esterno, finita la

messa, quindi organizzare un invito per tutti i fedeli che c’erano e qualche ballo. E abbiamo iniziato

così e piano piano sono cresciute. Oltretutto da lì abbiamo chiesto alle altre associazioni di

impegnarsi per ripristinarle tutte e quindi siamo riusciti a coinvolgere anche le altre e ogni

associazione ne ha preso una nuova.

Quindi anche questo coinvolgimento delle altre è partito comunque da voi che avete ripristinato

questa?

Manlio: E questo ci ha fatto un enorme piacere anche perché siamo riusciti intanto a ripristinare tutte

le feste e allo stesso tempo dare un impulso alle associazioni che comunque erano ferme.

Voi avete mai partecipato alle feste quando ancora si reggevano sul sistema del priorato? Cosa

ricordate in particolare? Proprio di quelle feste cosa c’è di profondamente diverso con le nuove, a

parte il fatto che si regga solo con il priorato, la famiglia e il fatto che sia più dispendiosa?

Manlio: Devi considerare che quelle feste oltretutto erano molto, molto più grandi ed è stato forse

quello il danno poi che le abbia fatte cessare perché lui, il priore, si doveva impegnare ad organizzare

una festa non indifferente invitando mille, millecinquecento persone per cui c’era il bisogno di un

aiuto non indifferente di cento o centocinquanta persone, dovevano essere tutte a disposizione

almeno almeno una ventina di giorni per riuscire ad organizzare tutto. La differenza con noi è che

comunque noi l’abbiamo voluta tenere abbastanza ridotta per evitare che comunque poi crescendo

degenerasse e poi si andasse a chiudere nuovamente.

Di nuovo al punto zero..

Tonio: Poi di diverso c’è anche una cosa, perché prima il priore lo faceva per invitare i parenti, gli

amici ecc. senza un tornaconto, noi invece le abbiamo riattivate anche per avere dalle offerte, un

piccolo introito per sovvenzionare la nostra associazione perché è l’unico modo che abbiamo di

recuperare i fondi perché non ci finanzia nessuno in altro modo, soltanto l’aiuto della popolazione.

Qualcuno della vostra famiglia è mai stato anche priore della festa? E quindi questo può in un certo

senso influire? Vi porta ad un maggiore coinvolgimento nell'organizzazione attuale?

Tonio: Ti dico perché. Nella festa di Buon cammino la prima volta che ci sono stato nel '66 o nel '67

88

perché l’aveva fatta mio nonno poi nell’Ottanta l’ha fatta mio zio, cioè il figlio, ed io ero sicuro di

non farla mai per il casino che c’è… E sono dieci o dodici anni che la facciamo, ma non era a quei

livelli perché, come ha detto lui, era un mese di casino.

Manlio: Anch’io devo dire che neanche la ricordo perché potevo avere cinque anni, ero andato a

cavallo e l’aveva fatta mio nonno, aveva fatto quella di San Giovanni e poi invece nell’Ottanta mia

suocera aveva fatto quella di San Pantaleo. Lì veramente ci siamo fatti un mazzo non indifferente

perché bisognava portare tutta la roba ed ancora c’era la stradina! Però la festa era fatta sempre con

pochissimi invitati cento o centocinquanta persone quelli che andavano lì, invece lui aveva deciso

di farla... aveva invitato... c’erano millecento persone sedute e quindi ha dovuto portare una ruspa

per cercare di fare uno sterrato dove poter fare tutte le tende, organizzare tutto, mi ricordo che

c’erano una decina di freezer per mettere dentro tutta la roba, c’erano più di cento persone ad aiutare

e devo dire che…

Era impervio anche il posto quindi..

Manlio: Sì, pulire tutto, mettere a posto, portare tutta la roba lì. Ma il problema era che ogni giorno

a casa c’era la festa. E’ bello in un certo senso, però tu immagina che chi faceva la legna tornava a

casa e c’erano magari venti persone che facevano legna e gli dovevi fare il pranzo, poi c’erano quelli

che dovevano preparare il bestiame, la carne e gli dovevi fare il pranzo, poi c’erano le donne che

stavano preparando il sugo e gli dovevi fare il pranzo, insomma per una ventina di giorni a casa c’era

un andirivieni incredibile!

Quindi l’invito in realtà non era soltanto il giorno stesso cioè il giorno della festa vero e proprio

era anche per gli invitati per coloro che aiutano c’è sempre anche il pranzo e la cena offerta…

Manlio: Devi considerare una cosa che tu come priore poi devi ridare il cambio a quelli che ti hanno

dato una mano quindi noi per cinque o sei anni eravamo sempre impegnati coni gli altri priori. Erano

venuti a dare una mano a noi e quindi noi dovevamo aiutarli, noi ci siamo trascinati sette anni di

feste incredibili. Tutto sommato era una cosa che si faceva, però con il senno del poi anche io come

lui non la rifarei mai! Venti milioni mio suocero aveva speso! Io mi sarei fatto una gita con la

famiglia tranquillamente, me ne sarei andato dall’altra parte del mondo.

Proprio per le feste come erano prima con il priorato voi avete mai sentito parlare di carvas delle

feste di pandela? Non carvas nel senso di sos Anghelu o sos Pipiu, ma carvas legate a quella

determinata chiesa e quindi a quella determinata festa?

Tonio:Mah... di roba del genere non ne ho mai sentito.

Manlio:Dovremmo chiedere a qualcuno che ne sa molto più di noi.

Dallo studio che è stato fatto su una delle ultime feste di pandela, quella fatta da Graziano Sedda,

col sistema del priorato, lui dice che una sua zia a casa loro, sosteneva che loro facessero parte de

sa carva di Baluvirde quindi lui aveva scelto di fare la festa di Valverde per questo motivo. Non ne

avete mai sentito parlare neanche quando hanno fatto le feste?

Manlio: No, potrei parlare con gente più anziana anche per una curiosità nostra.

89

Il fatto che il tipo di festa con il priorato coinvolgesse i familiari ogni sera quindi ci fossero tutte

queste persone che aiutavano e poi dovessero..

Tonio: Guarda che quello è diventato negli anni moderni perché prima le feste di priorato non erano

fatte in quel modo.

Manlio: Fino agli anni Sessanta c’erano centocinquanta o duecento invitati.

Tonio: Massimo! E poi magari chi ci andava. Ci poteva andare tutto il paese però ognuno si faceva

il suo spuntino.

Manlio: E però poi c’era un priore che poi alla fine dava un caffè o un invito così. Lo faceva in

offerta.

Però per il pranzo ogni gruppo si portava il suo?

Manlio: Sì, anche perché non c’erano i soldi per poter fare una cosa del genere.

Invece dagli anni Sessanta in poi il boom economico...

Tonio: Hanno cambiato le feste, le hanno cambiate, migliorate e poi rovinate…

Manlio: Ha cambiato la testa alle persone, hanno esagerato perché per farsi vedere che avevano

magari qualche soldo in più invitavano invece di cento, duecento poi cinquecento, mille,

millecinquecento persone...

Questioni di prestigio economico, sociale…?

Tonio: Alle feste di San Cipriano, specialmente, c’era il pranzo il giorno, il pranzo uguale o quasi

il giorno dopo, e poi per nove giorni c’erano i balli e ogni sera c’era da bere e quasi sempre da

mangiare.

Manlio: Tiravano fuori la carne perché comunque ne rimaneva tanta quindi c’era la carne fredda di

maialetto e altre cose e facevano…

Tonio: E a s’ottava rifacevano di nuovo la festa per il cambio de sa pandela.

L'organizzazione della festa oggi, come la fate voi, dà ancora un contributo alla socializzazione e

alla cooperazione tra i membri dell'associazione stessa? Crea ancora più gruppo o …?

Manlio: Sì, molto anche, perché ci sono molti nostri amici che non fanno parte dell’associazione

però sanno che stiamo lavorando e.. ti faccio un esempio: tutti gli imbianchini si sono offerti e ci

hanno imbiancato la chiesa, poi sono venuti i muratori e ci hanno dato una mano ad organizzare le

altre cose e quindi il giorno della festa.

Come nasce la collaborazione tra voi organizzatori e l'Associazione ippica che partecipa alla

processione con le pandelas, i gruppi folk e i cori di Dorgali che di volta in volta contribuiscono

alla buona riuscita della festa e alla sua animazione?

Manlio: Quella è un’organizzazione che fa il servizio sociale del Comune di Dorgali, perché noi

prima che vengano organizzate le feste si fa una riunione fra l’assessore e i servizi sociali, i

rappresentanti di ogni associazione e il parroco in modo da decidere il giorno in cui si farà la festa

perché deve comunque corrispondere che non ci siano altri impegni da parte della chiesa e altre

manifestazioni che comunque porterebbero fuori la gente e quindi avremmo meno persone. Per cui

90

c’è una sorta di collaborazione con i servizi sociali del Comune e da lì si discute fra tutte le

associazioni quando si fa e chi è disponibile a partecipare, sia dei cori che dei gruppi di ballo.

Si viene poi a creare un rapporto tra la vostra associazione e le associazioni che si occupano delle

altre feste di pandela? Cioè solo in questa riunione o avete un rapporto più…?

Manlio: Si parte da lì poi chiaramente sappiamo che comunque non solo noi facciamo la festa ma

anche le altre associazioni che comunque tutte raccolgono fondi che servono per poterle portare

avanti. E quindi anche noi ci sentiamo poi in dovere di andare il giorno che fanno loro la

manifestazione e partecipare con le nostre offerte.

Le vostre associazioni AVIS e Comitato di Solidarietà sono laiche, in che modo vi pare che esse

coniughino la loro laicità con la componente religiosa della festa? Le due dimensioni riescono a

convivere bene o si crea qualche conflitto?

Manlio: Chiaramente dipende un po’ dalle persone quindi da chi fa parte dell’associazione e dal

parroco in particolare e purtroppo dobbiamo dire che ultimamente abbiamo avuto non pochi

problemi… ma dovuti più che altro dall’età del parroco e ai suoi problemi anche di salute...

Tonio: Ma anche all’inizio, perché il fatto che noi raccogliessimo le offerte per una cosa che non era

la Chiesa non gli andava molto a genio...

Manlio: Effettivamente lui avrebbe voluto che tutti i soldi andassero alla Chiesa però non aveva

capito qual era l’impegno dell’associazione, che chiaramente noi i soldi non è che ce li portavamo

via per poi spartirlo e farci lo spuntino o per andarcene in giro, ma ci servivano per aiutare la gente

che era in grave difficoltà.

Tonio: Bisogna dire che pian piano poi lo ha capito, ci ha creato altri problemi…

Manlio: Però purtroppo gli scontri ci sono stati perché aveva una certa età e quindi non riusciva ad

andare molto d’accordo…Quando l’avevamo iniziato c’era Don Corrias che chiaramente è della

nostra età per cui con lui si andava d’accordo e c’era ancora Don Cugusi e con lui i problemi non li

abbiamo mai avuti perché non ci ha mai detto che i soldi andavano alla Chiesa anzi erano felicissimi

di quello che stavamo facendo perché abbiamo... loro l’hanno presa bene, è lui che...

Una volta arrivato Don A.?

Manlio: Sì, che vista l’età e tutto, abbiamo una mentalità completamente diversa e via... abbiamo

avuto un po’ di scontri...

Ma lui protestava soltanto per quanto riguarda le offerte della questua all’interno della Chiesa?

Oppure...

Manlio: No, quelle rimangono a lui ancora oggi, rimangono a lui quelle all’interno della chiesa! Sì,

è che lui pretendeva anche quelle della festa, noi mettevamo le cassette fuori per le offerte per la

festa, lui non voleva…Ma allora perché ci stiamo a fare? Allora se la organizza la Chiesa

direttamente…Se fosse stata un’associazione a scopo di lucro sono d’accordo, ma non lo è!

Tonio: Noi ci impegniamo anche per la festa di San Cipriano, per la processione siamo noi che ci

occupiamo di tutto, di portare proprio materialmente…

91

Manlio: Intanto di portare giù i santi e di metterli a posto, poi di prenderli e portali in processione,

anche l’addobbo delle chiese è compito nostro perché anche i fiorai se la sono presa a cuore e quindi

addobbano la chiesa gratuitamente.

Sì, ho visto sia quella di Buon Cammino che quella di Santa Caterina…

Manlio: Sì, ma anche le altre feste comunque anche le altre chiese..

Tonio:Sì, si sono spartiti le feste anche i fiorai e quindi ci aiutano anche loro..

Quindi c’è un’offerta anche da parte loro..

Manlio: Noi effettivamente spendiamo quasi niente per organizzarla, perché ad esempio anche per i

dolci sì li compriamo ma ogni pasticceria una o due scatole di dolci ce le regalano, la cantina sociale

come il caseificio il primo periodo ci regalavano i loro prodotti ora, con la crisi hanno problemi, ce

ne regalano un po’ meno, però partecipano!

C’è il contributo quindi di tutto il paese: chi con la mano d’opera come i muratori, chi con prodotti

con ciò che produce o come gli ospiti economicamente. Quindi pensate che la risposta della

comunità dorgalese a questo tipo di organizzazione della festa, non più fondata sul priorato, sia

stata positiva cioè che abbiano apprezzato questo cambiamento?

Manlio: Io penso di sì perché anche loro si sono resi conto che queste feste stavano andando a morire,

e quindi è stato già qualcosa il fatto di riprenderle, e quando se ne discute, tutti partono dall’idea che

abbiamo fatto bene a tenerla così bassa con giusto un invito e qualcosa da mangiare perché se no

saremmo ricaduti nell’errore che è stato fatto prima ed è bello che si vada avanti così.

Si cadrebbe nella degenerazione quindi circolo vizioso e si tornerebbe al punto zero..

Tonio: Adesso si fanno solo la sera. Prima era dalla mattina che la festa si iniziava adesso è solo la

sera.

Comunque il vostro lavoro c’è fin dalla mattina…

Tonio: Per organizzarla, ma quello che noi facciamo dalla mattina fino alla sera prima bisognava

farlo in una settimana.

Manlio: Sì, c’erano tutte le persone che preparavano per millecinquecento posti a sedere quindi

immaginati ci voleva solo un giorno per fare i tavoli e quindi a quelli dovevi far da mangiare, poi ci

voleva un giorno per mettere le tende…

Mentre ora in realtà anche l’affluenza non è la mattina ma la sera..

Manlio: Sì, c’è il pomeriggio prima il vespro poi c’è la festa..

L'affluenza e la partecipazione alla festa da parte dei dorgalesi quindi sembra buona?

Manlio: Sì, noi dobbiamo dire che...

Tonio: Specialmente quella di San Cipriano che è al centro del paese ci poteva venire un po’ di più

di gente, ma comunque...

Manlio: Ma siamo contenti anche perché siamo riusciti a coinvolgere anche i giovani, perché invece

di fare la solita festa di balli sardi che molti giovani non la vedono bene abbiamo deciso in questi tre

giorni il venerdì di dedicarlo proprio ai ragazzi o portiamo un complessino sempre gratuitamente

92

perché si offrono loro o facciamo altre manifestazioni di musica leggera, con gruppi di ballo. Ci

siamo resi conto che comunque anche il venerdì la serata ha successo..

Questo alla Festa di San Cornelio e San Cipriano, però ho visto che anche alla festa di Buon

Cammino poi c’era la consolle e quindi anche lì non ci si limita a...

Tonio: Sì, praticamente anche quello l’abbiamo obbligato ad entrare nell'associazione, anche se

molto più giovane di noi…

Quindi oltre ai balli sardi abbiamo musica di vario tipo?

Manlio: Sì, anche al karaoke ho visto che ogni tanto si scatenano…

E per quanto riguarda l’affluenza dei turisti?

Manlio: Sì, diciamo da parte di tutte e due. Anche perché quella di Buon Cammino è all’inizio

dell’estate, ai primi di giugno, considerando che comunque la valle di Oddoene è un buon passaggio

di turisti che vanno giù a Gorropu ogni tanto arriva anche del turismo. Poi anche a quella di San

Cipriano ho visto qualche anno che anche a Gonone sia al Palmasera che gli altri alberghi cercano

di pubblicizzarla e mandavano un po' la gente.

Che tipo di rapporto si crea tra voi organizzatori e gli ospiti della festa, siano essi dorgalesi che

turisti?

Tonio: Di amicizia. Forse perché ci conosciamo tutti, ma anche con i turisti si avvicinano quasi

sempre timidamente, andiamo noi a cercarli offrendo un bicchiere di vino o un dolcetto, poi dopo

diventa più semplice...

Manlio: Ci rendiamo conto, questo lo abbiamo visto in questi anni, che il dorgalese la sente in modo

particolare perché comunque è coinvolto, intanto perché ci conosciamo e perché sanno qual’è

l’impegno che diamo, e ci rendiamo conto dalle offerte anche visive perché c’è la cassetta però dal

rumore che fanno dai dieci euro ai dieci centesimi ti rendi conto che il turista è un po’ braccino

corto..nonostante apprezzino il vino, i dolcetti, la festa e tutto.

Tonio: Non tutti, qualcuno contribuisce, ma una buona parte...

Ma i dorgalesi sono più partecipi perché sanno che comunque è un aiuto sempre al paese?

Tonio: E’ un aiuto che si spera sempre che non serva a nessuno però..

Però non si sa mai e quindi…

Qual è secondo voi la principale motivazione di partecipazione alla festa oggi? E’ ancora una

motivazione religiosa o più che altro sociale o folcloristica?

Manlio: Ma per me tutte e due. Perché comunque la gente di una certa età, specialmente le donne

di una certa età vanno lì proprio per la messa e ci tengono in modo particolare e, tornando sempre

al discorso, magari si fermano giusto per prendersi un caffè o un dolcetto e ti lasciano una offerta

sostanziosa rispetto a quelli che comunque vengono si fanno la festa, poi magari ti danno una buona

offerta, però rimangono cenano, bevono, per cui ti rendi conto che anche questa gente di una certa

età è contenta della festa religiosa ed allo stesso tempo è contenta dell’impegno che stiamo portando

avanti noi.

93

Quindi anche non partecipando alla fase più “pagana” della festa sono contenti e quindi anche con

le offerte sono molto generose. Che cos'è e cosa rappresenta per voi per la vostra associazione la

pandela in sé?

Tonio: Lo stendardo? Un segno di riconoscimento.

Manlio: Rappresenta effettivamente il modo di far vedere a tutto il paese l’impegno che abbiamo

noi, anzi forse fa vedere in modo particolare quanto ci siamo impegnati a far ripristinare le feste..

Il fatto che associate lo stendardo della festa cioè del Santo lo stendardo della madonna del Buon

Cammino e quello di San Cornelio e Cipriano ma avete anche lo stendardo, come chiamarlo,

profano o civile dell’AVIS stesso che viene comunque portato in processione?

Manlio: Sì, viene portato in processione anche per ricordare che comunque c’è un’associazione che

aiuta chi veramente ha bisogno in quel caso chi ha bisogno del sangue e quindi è sempre una

soddisfazione per noi che l’abbiamo portata avanti e che siamo riusciti in questo periodo di tempo,

ad aiutare non solo i cittadini ma anche le persone che hanno bisogno del sangue .

Per quanto riguarda l’organizzazione pratica, gran parte è emerso già nel discorso oltre a

convocare la riunione con i servizi sociali convocate poi una riunione espressamente come

associazione per pianificare la festa o sfruttate, uno dei vostri incontri mensili di cui si è detto

prima?

Manlio: No, generalmente proprio in preparazione della festa ci vediamo due volte alla settimana

perché dobbiamo organizzare intanto le varie fasi, gli impegni che ogni gruppetto all’interno

dell’associazione si prende, per esempio un gruppo che cerca la carne per fare lo spuntino, un gruppo

che organizza i manifesti ecc. e quindi ci dobbiamo vedere molto più spesso, un paio di settimane

prima.

Tonio: Alla festa di San Cipriano dal primo anno abbiamo cercato di coinvolgere tutti i musicisti

dorgalesi, chi suona la chitarra, fisarmonica, organetto, tenores, mandiamo una lettera scritta cioè

portiamo di persona un invito ufficiale a queste persone per coinvolgerli direttamente, perché sono

loro che animano la festa.

Manlio:Sì, perché chiaramente quando c’è uno che suona dal vivo la gente ha più interesse,

l’apprezza meglio e c’è più gente che balla, mentre invece quando poi mettiamo i dischi, perché non

viene nessuno a suonare, già ballano ma più che altro ballano quelli del gruppo folk.

Quindi l’invito e la partecipazione in senso stretto c’è soltanto per un gruppo di persone e per il

resto l’invito come si fa?

Manlio: L’invito per tutto il paese viene fatto con i manifesti. E chiaramente poi per quanto riguarda

anche la parte del parroco, lui per un paio di settimane lo dice anche in chiesa “ricordatevi che ci

sarà la festa di San Cipriano o ci sarà la festa di San Giovanni”...

Ricevete ora dal Comune un contributo per la festa? Perché mi avete detto prima che inizialmente

non avete ricevuto nessun contributo.

Manlio: Sì, quando siamo riusciti a coinvolgere anche le altre associazioni ne abbiamo parlato con

94

il parroco che ha detto che bisognava anche coinvolgere il Comune. E quando se n'è parlato abbiamo

detto: “sì siamo d’accordo! Noi le stiamo portando avanti però visto e considerato che lo stiamo

facendo con uno scopo ben preciso sarebbe opportuno che il Comune, che dà un patrocinio alle altre

feste, lo dia anche per le nostre”. E da lì è partita la cosa, purtroppo tornando sempre al discorso

della crisi anche quest’anno avremo la metà del contributo perché non ci sono soldi in Comune. Però

è già qualcosa...

Tonio: C’è, anche se simbolico.

Manlio:Riusciamo quasi ad azzerare le spese.

Più o meno da quanto tempo viene dato questo contributo?

Manlio: Dal 2002, da quando hanno iniziato a farle tutte, quattro o cinque anni dopo che abbiamo

iniziato.

Più o meno a quanto ammonta o ammontava?

Manlio: Non consideriamo quest’anno per la crisi, fino all’anno scorso intorno ai 900/1000 euro ...

considera però che rispetto alle altre feste che sono di un giorno, noi la facevamo per tre giorni e ci

davano il doppio. Tre serate tra vino, dolci e qualche cosa da mangiare, così ci volevano molti più

soldi.

E quindi ovviamente ricorrete al sistema delle offerte oltre a questo.

Tornando al fatto che abbiate coinvolto amici anche se estranei all’associazione nell’organizzazione

della festa, avete coinvolto anche familiari più stretti? Cioè non solo…

Manlio: Sì, generalmente mio cognato ogni volta viene, i suoi parenti (di Tonio) lo stesso, poi i

parenti di tutti. Sì, se c’è bisogno di una mano vengono volentieri, anzi alla fine sono loro che ci

chiedono: “ma quando si organizza ci chiamate? Fateci sapere”...

Quindi sono loro stessi a proporsi e anche qui poi si rivela quella socializzazione e cooperazione

non solo tra soci ma ..

Manlio: Non solo tra soci ma tutto il paese.

Tonio: Specialmente per la festa di Buon Cammino non solo i soci o i parenti ma anche i vicini di

terreno di Buon Cammino. Ogni anno ci tengono molto, vengono, aiutano e ci aiutano

economicamente e prestano i mezzi lì ad Oddoene.

Per quanto riguarda l’organizzazione pratica per come vi siete divisi i compiti, ogni anno avete

ognuno sempre lo stesso compito?

Manlio: No, ci si incontra qui in sede e si decide chi fa questo e chi fa quello.

E quindi dal giorno prima…

Manlio: No, per il sabato mattina della festa noi, già dal giovedì sera sappiamo chi deve fare cosa,

ad esempio chi porta i camioncini per caricare la roba, chi si organizza per ritirare la spesa nei vari

negozi... Tutte queste cose le sappiamo già dal giovedì proprio per organizzarci meglio.

Poi lì quando arrivate dovete pulire, dovete..

Manlio: Dobbiamo sistemare tutto, pulire tutto, specialmente lì a BonuCamminu c’è tutto il cortile

95

da pulire dalle erbacce e tutte queste cose…

Tonio: Lì a BonuCamminu, proprio perché la mattina c’è parecchio da fare, questo gruppo di ragazzi

confinanti, di solito ogni anno puliscono anche la strada proprio per non essere... con i

decespugliatori per le siepi che invadono la strada...

Quindi è anche un’occasione per tenere il santuario in ordine, cosa che magari nel periodo in cui

le feste erano state abbandonate non accadeva…

Manlio: Sì, in quel periodo andava solo il parroco giusto il giorno per celebrare la messa e via.

Quindi era proprio in totale abbandono il santuario stesso.

Tonio: Sì, anche altri santuari, tipo quello di San Pantaleo stava cadendo e un gruppo di ragazzi ha

ristrutturato la chiesa e la cumbessia.

Cosa che avete rifatto anche voi. Avete ricostruito…

Manlio: Sì, noi abbiamo ristrutturato la cumbessia anche perché ci serviva per iniziare a sistemarci

le cose quando dovevamo preparare. Poi da lì l’idea è partita e si spera di risistemare anche le altre

anche se purtroppo…

A risistemare l’intero santuario, tra l’altro quello di Bonucamminu è quello più ampio di tutti,

quindi anche il più impegnativo dal punto di vista di…

Manlio: Anche se purtroppo è una cosa... perché sarebbe un sito molto interessante anche per il

turismo perché come detto andando a Gorropu ci vanno tantissimi turisti, anche le cumbessias

potrebbero essere utilizzate dai turisti, dai ragazzi...

Ho visto che l’avete ripristinata molto fedelmente, anche l’interno con le canne, l’illuminazione..

Manlio: Sì, abbiamo cercato di conservarla com’era…

96

Intervista n°3 a Ignazio M., 51 anni, sposato; membro del Coro Istelotte, organizzatore

della festa di pandela di San Giovanni Battista. Intervistato nella sua abitazione, la sera del

1 novembre 2012.

Quale è stato il tuo primo incontro con il coro e perché vi hai partecipato?

Con il coro il primo incontro è stato un’unione che si è creata fra appassionati. Si è cercato un

maestro, poi è diventata una famiglia nel senso che molta gente la conoscevo solo di vista poi è

diventato un fattore di amicizia e di allargamento della sfera sociale. La passione! E' la passione che

lega, perché io sono stato appassionato fin da piccolo però non ho mai avuto occasione o quando

mi hanno chiamato non ho avuto tempo per poterci andare e poi quando mi sono deciso e mi sono

impegnato e ci sono dal primo giorno della fondazione forse sono l’unico rimasto del gruppo

originario.

Da quando esiste il coro?

Da sedici anni, nel febbraio del 1996 è iniziata l’attività del coro.

Quanti iscritti conta la vostra associazione? Quanti effettivamente attivi ?

Mediamente siamo sulle venti persone, qualche volta si supera e qualche volta si abbassa, dipende

dagli impegni di ciascuno.

Ogni quanto vi riunite?

Due volte alla settimana.

Quando avete fondato il coro vi siete occupati subito dell’organizzazione della festa di Pandela o

quando vi siete presi carico della festa e perché?

Noi alla fondazione. Il coro fa parte anche del volontariato e rientra anche nel nostro statuto, abbiamo

cercato il recupero delle poesie locali per poter cantare qualcosa di effettivamente nostro. Poi pian

piano le cose si sono evolute quando abbiamo iniziato a fare le uscite fuori nel Continente o in

Europa e ci siamo accorti anche di altre culture e di altri modi di cantare, quindi abbiamo cercato

di organizzare una rassegna internazionale a Dorgali in cui ospitavamo un coro estero, un coro

italiano e parecchi cori della Sardegna, tutto in due giorni di attività che coinvolgeva tutto il coro e

tutto il paese. I primi anni è stato un bel successo. Questo è durato dal 2001 fino al 2006 finché non

sono bastati più i soldi. Quando non ti aiuta nessuno diventa un bel problema.

Quindi non c’era un finanziamento da parte del Comune? Invece per la Festa di pandela de Su

Anzu?

Le feste abbiamo iniziato a farle nel 2002 mi sembra, penso sia l’undicesimo anno di feste che

facciamo. Quello è stato un accordo con il Comune, con la Parrocchia, ad ogni associazione che

voleva farsene carico assegnare una festa e quindi quella di San Giovanni...

Il Coro Istelotte ha…

Si l’abbiamo scelta noi. E la portiamo avanti noi.

Quindi è partita dal Comune questa proposta?

97

Sì, dal Comune e dalla Parrocchia. Sì perché quando sono state assegnate così non si facevano più

le feste, veniva celebrata solo una messa. Si era perso il senso della riunione della gente.

Perché non c’era più il priorato e quindi poi non si creava …

Sì, prima era troppo esagerata ed é andata a morire.

Tu hai mai partecipato alle feste quando si reggevano ancora sul sistema del priorato?

Sì, da quando avevo sedici anni. Insomma che si veniva invitati e si iniziava ad andare alle feste e

si faceva il servitore.

Ah si andava ad aiutare…anche soprattutto..

Sì, era una cosa normalissima per tutti.

Ma perché eravate magari amici del priore o familiari? O semplicemente perché..

Chi veniva invitato, i ragazzi generalmente venivano reclutati e venivano assegnati alle squadre dei

camerieri.

Quindi era un invito ma anche…

Per il giovane sì, però ripeto come ho detto anche prima per il coro, era un modo per fare amicizia

con gli altri ragazzi, perché tanti anni fa non funzionava come adesso che siamo aperti a tutti, prima

si usciva con gli amici e solo con gli amici se non c’erano gli amici non si usciva nel senso di

squadra e di appartenenza al gruppo.

E quindi l’occasione della festa, anche aiutando insomma, si riusciva ad allargare i rapporti?.

Con altra gente, ragazzi o ragazze.

Qualcuno della tua famiglia è mai stato priore di una festa di pandela ?

No.

Hai mai sentito parlare dagli anziani di carvas delle feste di pandela? Di queste famiglie originarie?

No, perché le feste di pandela sono feste di santi da calendario quindi…chi lo sa?! Non mi risulta e

non ne ho mai sentito parlare….

L'organizzazione della festa dà anche un contributo alla socializzazione e alla cooperazione tra i

membri dell'associazione stessa? Se sì, in che misura?

Sì. Perché quando si organizza la festa ci dividiamo in gruppi e ognuno ha il suo compito da sbrigare.

E poi quando è il giorno della festa, si va lì e pranziamo tutti insieme perché poi vengono anche...

che forse sia l’unica festa di pandela in cui vengono sos turronarzos… e quindi pranziamo con loro

e anche con gente di passaggio. Facciamo una piccola festa con gli organizzatori, siccome è una

meta della gente per le terme o per il fresco, quindi c’è sempre gente di passaggio.

Come nasce la collaborazione tra voi coristi, in questo caso che organizzate la festa, l’associazione

ippica, i gruppi folk e gli altri cori di Dorgali che di volta in volta contribuiscono alla buona riuscita

della festa e alla sua animazione? Voi stessi siete invitati a cantare anche alle altre feste?

Si noi cantiamo le feste. Poi noi la nostra ce la organizziamo, è una cosa a parte. Ma non c’è bisogno

neanche della festa perché ormai essendo associazioni presenti nell’ambito del territorio dorgalese

siamo in buoni rapporti per via di molte iniziative che si susseguono a Dorgali, perché a Dorgali ne

98

abbiamo una o due al mese di queste occasioni. In ogni caso si socializza e si collabora con tutte le

associazioni.

C'è un rapporto tra la vostra associazione e le associazioni che si occupano delle altre feste di

pandela?

Sì, noi per esempio ci siamo andati anche prima che ce le assegnasse il Comune, non abbiamo

nessun obbligo anche per la festa di San Cipriano, però ci hanno chiamato già qualche anno fa, poi

ci hanno richiamato.

La Festa di San Cipriano come festa è stata riabilitata prima?

Sì, almeno tre o quattro anni prima quella.

E lì non c’era stato interessamento del Comune?

No, lì un'associazione si è interessata per una raccolta fondi per la solidarietà dorgalese e loro

l’avevano ripristinata da prima, essendo una festa realizzata al centro urbano era molto più facile

da… e loro l’avevano fatta da prima, in ogni caso la gente che è molto attenta a queste problematiche

della popolazione ha partecipato e anche le associazioni prestano volentieri la loro opera.

Già lì avevate avuto un rapporto con il Comitato di Solidarietà?

Ci conosciamo tutti, poi entrano le classi di fedales, ci si conosce l’uno con l’altro, l’uno chiama

l’altro e così ci si coinvolge tutti.

Quindi si crea una rete di rapporti? Sì.

La vostra associazione è un gruppo laico perché un coro, cantate anche canzoni religiose

ovviamente, ma è laico. In che modo vi pare che essa coniughi la sua laicità con la componente

religiosa della festa? Come coniugate le due dimensioni , cioè voi organizzate l’invito quindi magari

quella parte più profana più civile, con la parte religiosa e i suoi riti? Ci sono stati conflitti? Sono

stati risolti?

Lì più che altro ci si coordina ché si organizza perché la festa segue un modello standard. Quindi si

fa la processione, bisogna avere due delegati del coro che stanno attenti che tutto funzioni bene: si

devono portare le pandelas, si devono riprendere, poi ci sono i cavalieri che devono seguire quel

ruolo, il sacerdote che segue le sue funzioni ed infine la Polifonica, perché la festa di San Giovanni

la canta la Polifonica. Loro sapevano il programma che c’era da fare, le canzoni da cantare perché

ormai quando si arriva a cantare per tanti anni diventa una cosa normalissima.

Quindi insomma c’è una sorta di programma standard, che si ripete via via con gli anni, in cui

ognuno ha il proprio ruolo?

Sì, ogni festa può avere qualche piccola variazione ma generalmente minima.

Pensi che la risposta della comunità di Dorgali a questo tipo di organizzazione della festa, non più

fondata sul priorato, sia stata positiva?

Sì, molto. Devo dire che la festa di San Giovanni è la festa più sentita dai dorgalesi, perché

nonostante molte manifestazioni concomitanti con la festa la gente partecipa e c’è sempre molta

affluenza.

99

Quindi non vi siete mai trovati con poca gente?

No. La gente è molto contenta del fatto che adesso non ci sono più sprechi, si fa una festa più sobria

e sempre accogliente, senza esagerazioni di spese o troppo impegno della gente per organizzarla.

Che tipo di rapporto si crea tra voi organizzatori e gli ospiti stessi della festa? Tra voi organizzatori

si crea un rapporto di cooperazione proprio per l’organizzazione? E con gli ospiti?

E’ uguale perché imparano subito come funziona. Adesso ho visto anche che danno un'offerta. Tu

vedi i turisti che arrivano e chiedono “ma si può andare alla festa?” e magari si spiega loro che si

può andare e prendere tutto, basta lasciare una piccola offerta. Infatti arrivano lasciano prima

l’offerta e poi… Magari per loro sembrerà strano che si dia da mangiare gratis, per noi sardi invece

è semplicemente un concetto di ospitalità.

E c’è buona affluenza anche dei i turisti o...? Sì, molti.

Perché in effetti è fatta il periodo di giugno, quindi magari questo aiuta l’affluenza...

Sì, il 24 giugno.

Secondo te qual’è la principale motivazione di partecipazione alla festa oggi? È ancora prettamente

religiosa oppure…

Ho notato che per la messa viene più che altro gente anziana, anche quelle persone che hanno magari

problemi motori si fanno aiutare però non vogliono mancare all’appuntamento, ma anche molti

giovani che sentono qualcosa per la religione e comunque tanti ragazzi perché, come detto, è un

motivo di incontro per familiarizzare fra di noi.

Che cos’è per te e per il coro e che cosa rappresenta proprio la pandela di per sé?

Lo stendardo? A me fa sempre piacere e infatti anche quando si fanno le altre feste cerco di

individuare subito la nostra pandela e sono curioso di vedere chi la porta e soprattutto come la porta.

Quindi se ha un portamento solenne in processione?

Sì, per me quella è “Sa pandela nostra”. Magari per qualcun altro non gli importa niente, però a me

fa piacere vederla .

Per quanto riguarda l’organizzazione pratica della festa avete convocato una riunione

espressamente per pianificare l'organizzazione della festa o avete sfruttato le prove del coro stesso

in uno dei vostri incontri settimanali? Quanto tempo prima della festa?

Come coro no, prendiamo un mese di tempo, dopo che finiscono le prove del coro si parla degli

acquisti e ognuno del suo incarico.

Intervista n°4 a Ignazio M., 51 anni, sposato; membro del Comitato San Pantaleo,

organizzatore della festa di pandela di San Pantaleo. Intervistato nella sua abitazione, la

sera del 1 novembre 2012.

Quale è stato il tuo primo incontro con il Comitato Santu Pantaleo o se ci sei dalla fondazione e

perché vi ha aderito?

La prima proposta è stata fatta a Canales all’agriturismo di Nanni Nieddu durante una festa che

100

avevano organizzato, loro l’hanno chiamata Santu Pantaleo ma era stata fatta all’agriturismo. Nanni

in quell’occasione mi ha parlato della possibilità di creare un comitato per recuperare la chiesa in

quanto l’ultima volta che c’ero stato nel 2000, una pasquetta, era in pessime condizioni ed erano già

passati quasi dieci anni dal giorno, quindi la chiesa era molto malandata.

E quindi voi vi siete proposti per..

Si noi abbiamo cercato di creare questo comitato per fare i lavori e per rifare la festa perché era

l’unica festa che avevano fatto per quattro o cinque anni, poi era stata abbandonata perché la più

disagiata per via del lago artificiale che era stato creato era praticamente impossibile per….

Per la difficoltà di arrivare sino al colle, alla chiesa...

Sì, per come si facevano le feste prima sì.

Quanti iscritti conta il comitato di San Pantaleo? Quanti effettivamente attivi?

Ma grosso modo siamo sui venti, fra alti e bassi si partecipa tutti.

Sia ai lavori di ristrutturazione che all’organizzazione della festa?

Sì, ai lavori di ristrutturazione partecipano anche agli amici, ognuno, chi può. Se trova un amico o

un fratello o un compagno lo chiama, viene, e presta la manodopera per i giorni.

Anche perché lì servirà fare lavori di muratura o di imbiancatura, no?

Sì, per questo motivo.

Ogni quanto si riunisce il Comitato?

Il Comitato si riunisce un paio di volte d'inverno per decidere sui lavori da eseguire o il modo per

autofinanziarsi e poi quando si iniziano le feste ci si vede nel periodo più caldo per prepararla perché

c’è sempre da fare, essendo il posto disagiato, che si deve andare in barca ... ci sono più problemi.

Il Comitato si è fatto carico dell'organizzazione della festa da subito o prima ci è voluto un po’ di

tempo per recuperare la chiesa?

No, la chiesa l’abbiamo recuperata in un anno.

E quindi la festa è stata fatta quell’anno?

Sì, lo stesso anno abbiamo fatto la festa: nel 2008.

L'organizzazione della festa dà anche un contributo alla socializzazione e alla cooperazione tra i

membri del comitato stesso? Se sì, in che misura?

Sì, perché nel comitato di San Pantaleo c’è un sacco di gente che non conoscevo, abbiamo fatto

conoscenza lì. E' molto variegato, ci sono piccoli e grandi, c’è qualche signora anche più grande di

me, però si va d’accordo non c’è stato mai motivo di discussioni fuori dall’ordinario.

Quindi crea proprio una comunione il fatto di stare tutti insieme per uno scopo: appunto per la

festa... Sì.

Come nasce la collaborazione tra voi organizzatori e i cori, o con coloro che vi aiutano nel

trasporto con le imbarcazioni, che di volta in volta contribuiscono alla buona riuscita della festa?

Diventa un volontariato anche per chi ha queste piccole barche o gommoni: le prestano volentieri,

ci sono anche cooperative che vengono avvicinate per il periodo della festa e si chiede loro se

101

possono prestare le barche e tutti quanti le offrono volentieri, addirittura ti mandano l’operatore. Il

comitato ha due imbarcazioni che utilizziamo il giorno della festa e che usavamo per andare a fare i

lavori.

C'è un rapporto tra la vostra associazione e le associazioni che si occupano delle altre feste di

pandela? Se sì, di che tipo è questo rapporto?

C’è perché adesso che San Pantaleo è entrato nel circuito delle feste - perché per due anni è rimasta

fuori, è stata proprio realizzata con le offerte della popolazione senza il contributo del Comune -

adesso è due anni che il Comune ci assegna un contributo. Ci siamo divisi il budget tra tutte le feste,

abbiamo rinunciato noi a qualche euro delle altre feste così che una parte vada anche a Santu

Pantaleo. E' così anche per il canto: il nostro coro [il coro Istelotte] ha cantato per tre anni così ho

spiegato anche al coro femminile [il coro Ilune] che Santu Pantaleo non era del coro Istelotte perché

era giusto che le cantassimo tutti. E quest’anno ha cantato il coro femminile, mi hanno detto che è

stata una bella festa, l’anno scorso invece ha cantato un coro amatoriale.

Quindi anche lì non c’è remunerazione, è proprio un'offerta dei vari cori ...

Anche il comitato Santu Pantaleo è un'associazione laica, non dipende dalla Chiesa, in che modo

coniuga la sua laicità con la componente religiosa della festa? Come si configura la collaborazione

tra l'associazione e il parroco o il viceparroco, e anche il fatto che il santuario sia proprio più

difficoltoso da raggiungere?

Quando è nato il Comitato è nato per aggiustare la chiesa in collaborazione con il parroco ma nei

fatti non è accaduto. Il fatto è che non c’è gente più o meno religiosa, o più religiosa di altri comitati,

il recupero stesso della chiesa è stato..

Non è una cosa esclusivamente religiosa è anche storica?

Sì, anche storica. Per il fatto che non ci andava giù che questa chiesa che è stata realizzata nel 1630

– e chissà come hanno fatto per realizzarla, per portare su tutta questa roba con tutte le difficoltà che

c’erano – e noi la stavamo lasciando cadere a pezzi e quindi abbiamo voluto dare una smossa e la

gente è stata molto sensibile ed ha partecipato.

Avete attirato l’attenzione della comunità su questo problema …

Sì, e la gente ha partecipato.

Quindi è stato dato uno scossone in realtà all’istituzione Chiesa, alla Parrocchia di Dorgali, perché

lì si stava abbandonando una costruzione di cui si sarebbero potuti interessare?

Sì, la Parrocchia ci ha abbandonato, si è tirata indietro senza darci nessun sostegno.

Non hanno aiutato economicamente, in questo senso?

No, non hanno aiutato economicamente e non c’è stato neanche il sostegno come istituzione Chiesa.

Non stava approvando che voi la steste recuperando?

Non approvavano, siccome c’erano dei problemi, essendo chiese molto antiche rientrano nella sfera

della Sovrintendenza ai Beni Culturali. Però se avessimo aspettato la Sovrintendeza non ci sarebbe

stato più nulla da restaurare.

102

Pensa che la risposta della comunità dorgalese a questo tipo di organizzazione della festa, non più

fondata sul priorato, sia stata positiva? E in particolare proprio per questa festa, per quella di Santu

Pantaleo che è in una posizione molto ...

Molto, perché ogni anno c’è sempre più gente.Anche quest’anno ci sono state almeno seicento

persone, e seicento persone in un posto del genere che bisogna trasportare con le barche non è poco.

Quindi vuol dire che è molto sentita. Ricordo che da bambino mi portava mia madre si andava a

piedi giù ad Iriai. Mi diceva che San Pantaleo era un dottore che guariva gli arti.

Quindi per una benedizione per la salute? Ed infatti a San Pantaleo ho notato una vera e propria

processione verso la statua del santo per toccare il cofanetto che contiene le polveri “medicinali

miracolose”...

Sì, è un rito molto sentito. Ricordo che sia nel 2000 che quando siamo andati per il restauro io ho

potuto vedere tutti gli arti fatti in cera.

Gli ex-voto in cera?

Sì, sono stati raccolti e conservati in Parrocchia. Un anno hanno fatto anche un’esposizione, non

ricordo in quale occasione.

Sono ex-voto in cera che rappresentano le parti del corpo per chiedere la guarigione?

Sì, per chiedere la grazia al Santo. Per questo credo sia molto frequentata da molta gente anziana,

perché quando l’abbiamo ristrutturata la gente ci ha detto “saranno quarant’anni che non potevo

venire!” e malgrado le difficoltà c’è voluta andare, anche se in un periodo molto caldo e con quella

salita…

Però la fanno volentieri per questo Santo?

Sì, ripeto ogni anno sempre di più quindi vuol dire che la gente ci tiene.

E poi si diffonde anche la voce?

Ma anche per il fatto delle locandine tutti sanno che si lavora e molti offrono la loro prestazione.

La manodopera per aiutare nonostante non facciano parte del Comitato?

No, è aperto a tutti.

Quindi l'affluenza e la partecipazione alla festa da parte dei dorgalesi è buona. E da parte dei

turisti?

Sì, anche loro vengono e chiedono e li affascina il fatto che bisogna fare la traversata in barca.

Quindi è suggestivo?

Sì, molti non sanno dov’è la chiesa perché si vede solo dopo l’imboccatura del ponte.

Che tipo di rapporto si crea tra voi organizzatori e gli ospiti della festa? In questo senso i dorgalesi

ma anche i turisti appunto che ritengono suggestivo il...

Devo dire che rimangono sorpresi anche ... forse perché non immaginano che esistono questi posti

da noi. Sicuramente è gente che vive in posti ... perché un posto del genere è molto bello, a parte il

fatto dell’acqua – che è un peccato, basterebbe depurare bene le acque e si risolverebbe il problema

- è un luogo bello e suggestivo, io ogni volta che vado rimango estasiato.

103

E loro si informano su come voi avete recuperato la festa, sul perché vi prendiate carico dell’invito?

Magari più i turisti perché i dorgalesi già lo sanno ...

Molta gente è curiosa. No ma anche i dorgalesi ce lo chiedono “ma come mai vi è venuto in mente

di...?“ Sai molte volte basta una scintilla e subito si passa la voce e si parte! Noi siamo fatti così,

saremo anche invidiosi l’uno dell’altro, però se c’è da muoversi riusciamo uniti a realizzare qualcosa

che nemmeno noi potevamo immaginare!

Quindi come comunità di Dorgali: magari non ci si pensa, nel momento in cui uno ci pensa

collaborano tutti quanti e ci si dà una mano? Sì.

A Santu Pantaleo, la motivazione di partecipazione alla festa oggi qual’è la più importante? Perché

abbiamo detto ci sono questi ex voto che sicuramente sono antichi, però le signore anziane lo

sentono, anche le altre persone …?

Sì, forse qualcuno ancora per quel motivo, molti per passare una giornata diversa; perché hai visto

che abbiamo organizzato il pranzo per chi vuole rimanere, e molti non lo so... Forse perché dall’'82

avevano chiuso e non è conosciuto da molti dorgalesi.

Che cos'è e cosa rappresenta per voi la pandela? Ho notato che a Santu Pantaleo non vengono

portate le altre pandelas, come mai?

Perché è impossibile fare la processione con i cavalli, il Comitato organizza, si prende la sua pandela.

E' l’unica che si fa sempre di domenica mattina per via del fresco, in effetti il sabato sera ci sarebbe

troppo caldo perché è a fine luglio. Crea problemi il fatto che è molto disagiato il posto..

Sì, anche il fatto di doverla portare in barca? E anche tutto il materiale comunque…

Sì, perchè comunque tutto va trasportato in barca: tavoli, tovaglie, devi portare anche il ghiaccio

perché ti tenga la roba fresca dalle nove di mattina fino all’una ... perché hai visto che ad ognuno

viene consegnata una bottiglietta d’acqua.

Sì, dall’ormeggio, per affrontare la salita fino alla chiesa. Li avete fatti voi i pontili?

Sì, ogni anno rifacciamo i pontili cioè dobbiamo riancorarli in base all’altezza dell’acqua; c’è da

fare poi la pulizia del piazzale - anche se piccolo va pulito - tutta la salita viene pulita perché ci

sono le capre o altri animali che sporcano o qualche pietra. E i cespugli vanno tagliati e puliti perché

poi si pulisce dalla chiesa fino giù al pontile.

In modo da rendere più agevole la salita a tutti. Tra l’altro avete ristrutturato non soltanto la chiesa

ma anche la cumbissias...

Una l’abbiamo finita, già chiusa con porta e finestra, dell’altra è già quasi pronto il tetto.

Ho visto che siete stati fedeli nella ricostruzione a come erano prima le cumbessias.

Sì, praticamente non l’abbiamo toccata, solo dove c’era qualche ritocco da fare gli è stata data una

rinzaffata lasciando la struttura com’era.

L’avete recuperata com’era. Adesso pensate di fare successivamente lo stesso con le altre, se ci

saranno i mezzi sia economici che di manodopera?

Sì, se ci saranno i soldi sì, perché ce ne sono altre due.

104

Ho visto che c’è una ricerca di foto e una lista di quando la festa era fatta dai priori quindi un

recupero della tradizione...

Sì, un recupero della memoria della festa. Sì, è stato un lavoro fatto un po’ di fretta perché è stato

fatto all’ultimo momento quindi ognuno ha portato quello che ha potuto recuperare, per quest’anno

speriamo che il lavoro sia più meticoloso, più cospicuo il materiale da...

Quello lo lasciate li nella cumbessia o lo riportate di volta in volta?

No, la nostra idea è quella di creare una piccola mostra permanente lì perché ci va gente in tutti i

periodi dell’anno, basta andare all'agriturismo Canales e chiedere a Nanni se ha la disponibilità con

la barca oppure a mio cognato Masuri. Nanni ne porta molti clienti su, gente che vede la chiesa

dall’agriturismo e quindi si informa, chiede e molti lasciano anche belle offerte...

Sempre per recuperare il luogo perché le offerte che voi raccogliete sono per la festa o per

ricostruire la …

Sono tutte destinate per i lavori della chiesa.

Abbiamo detto che il Comitato Santu Pantaleo tra l’altro riceve solo da due anni il contributo dal

Comune.

Sì, solo da due anni.

Per quanto riguarda la pianificazione e l’organizzazione della festa avete convocato una riunione

prima, cioè quanto tempo prima oltre ai due incontri nel corso dell’inverno?

La prima riunione che si fa è quella di aprile prima che inizino tutte, in collaborazione con il Comune

e le altre associazioni si assegnano le date, l’orario della messa, chi deve cantare, chi ha la

disponibilità per quel periodo ecc. Poi si fanno altre due o tre riunioni per l’assegnazione dei compiti,

generalmente il fine settimana, come per esempio quello di procurare i prodotti per il banchetto,

come vino, formaggio, pane, ecc. che generalmente ci viene dato in offerta, anche la carne che viene

cucinata il giorno ci viene data tutta in offerta. Perché non avrebbe senso se non ti rimangono i soldi

per restaurare sas cumbissias.

Quindi anche per l’aiuto durante l’organizzazione vengono coinvolti familiari ed amici non soltanto

coloro che vengono convocati per le imbarcazioni?

E’ un comitato molto familiare, si lavora molto in simbiosi con i parenti.

105

Intervista n°5 a Margherita D., 73 anni, sposata; ospite assidua delle feste di pandela.

Intervistata nella sua abitazione, al mattino, il 3 novembre 2012. Il colloquio si è svolto in

sardo, in dialetto dorgalese. Riporto qui la traduzione in italiano.

A quale festa siete andati quest’anno?

Quest’anno siamo andati alla festa di San Giovanni. No anzi la prima fra tutte a quella de Bonu

Camminu. Siamo andati a questa messa e dopo la messa c’era l’invito, poi i balli e quest’anno oltre

ai balli c’erano anche i canti a tenores e poi c’era anche un cantante che ha cantato belle canzoni in

italiano, insomma un pomeriggio splendido, bello quanto come se si fosse fatta la festa intera, più

bella di così non poteva riuscire essendo stata fatta in un pomeriggio.

E poi a quale festa siete andati?

E poi alla festa … stiamo parlando di quella di Bonu Camminu...No siamo andati anche alla festa di

Su Anzu, qui la festa quest’anno non era come quella dell’anno scorso. L’altro anno è venuto un bel

gruppo dal Continente hanno cantato canzoni popolari, ma erano splendidi e belli hanno fatto un

coro non so di quale città fossero. E poi si sono fatti i balli tradizionali, i balli sardi, alcune persone

erano vestita con le camicie del costume sardo e con tutto l’oro – metà costume si dice in questi casi

– poi c’erano le priori che indossavano il costume completo...

Le priori del..? Le priori dell’associazione, quattro giovinette in costume...

Quindi del gruppo folk? Queste hanno ballato con il costume completo.

Invece quest’anno...

Si quest’anno ce n'è stata molto di meno. Non era come l’anno scorso che era molto di più, però

anche il banchetto era molto ricco: c’erano le salsicce, il pane carasau persino le casadinas, i dolci,

caffè, c’erano pure sos turronarzos…Quindi bello perché hanno anche giocato alla morra anche

questa è una bella cosa perché ci ha ricordato la vecchia festa dove si giocava alla morra, si ballava

e si cantava.

Tu vai ad una festa di pandela in particolare?

A me piacciono tutte e tutte sono belle, l’importante che sia festa. Non si va solo per la festa ma

anche per la messa, però a volte ci dimentichiamo della messa, entriamo in chiesa metà Avemaria e

poi andiamo a ballare...

E quindi passa in secondo piano la parte religiosa?

E’ bello anche il rito dei tre giri intorno alla chiesa, io da ragazza non lo seguivo, ora lo trovo

bellissimo, forse è brutto dirlo, ma per me è un momento di devozione e di fede più della messa

forse perché sono cantati con il “Deus ti sarvet Maria” che noi sappiamo cantare..

Quindi tu hai un legame con tutte le feste? Ti piacciono tutte quante?

L’unica alla quale non ho più potuto partecipare è quella di San Pantaleo perché c’è il tragitto in

barca e non mi sento di affrontarlo. Quest’anno non sono andata neanche a quella di Valverde né a

quella de Su Babbu Mannu, non mi sono ricordata ... Eh! Questo succede perché non si va in chiesa

106

perché se andiamo alla messa tutte le domeniche il parroco ci dice: “domani c’è la festa de Su Babbu

Mannu o Baluvirde”, ma se non andiamo alla messa…

A te piace questo nuovo modo di fare la festa? Lo hai apprezzato?

Sì, l’ho apprezzato. Era bello anche all’antica. Quando io ero giovane erano belli i preparativi perché

ci si divertiva minimo minimo quindici giorni: dovevamo fare la raccolta dei piatti, delle posate (si

chiedevano alle famiglie), ecc. In questa organizzazione si rideva e si giocava, ci si rincontrava con

i parenti, cugine di primo o secondo grado che non vedevi magari da un anno intero erano proprio

belli i preparativi era più divertente della festa, così come per i matrimoni perché l’impegno era

uguale, non cambiava niente solo che alla festa c’era più gente.

Però comunque considerato che ormai erano state abbandonate ed ora riprese dalle associazioni...

Come festa è bellissima perché il divertimento è uguale come allora, anche se è solo per un

pomeriggio, anche perché il divertimento in sé e per sé era anche allora il pomeriggio.

Cioè i balli la morra e tutte queste cose..? Sì.

Pensi, secondo te, che anche gli altri dorgalesi lo abbiano apprezzato o qualcuno è contrario e

avrebbe preferito che andasse a morire del tutto?

No, lo hanno apprezzato tutti perché almeno non ci si dimentica che ci sono le chiese per prima cosa,

per tenerle aperte come quelle de Su Babbu Divinu, de Santu Pantaleo, di S.Giovanni Battista e

quelle dedicate alla Madonna, perché tutte quelle persone che hanno le chiavi di queste chiese

dovrebbero ogni tanto aprirle e tenerle pulite. Perché sono cose belle fatte nell’antichità chissà con

quali sacrifici, perché avrei voluto vedere come avranno fatto solo la chiesa di San Pantaleo ancora

oggi difficoltosa solo per la salita che si deve fare a piedi, per portare le cose, poi come avranno

fatto per fare quella di Bonucamminu quando era difficile anche arrivarci a cavallo. Ora la gioventù

di adesso non solo non ne vogliono ricostruire nuove ma stanno lasciando cadere quelle esistenti.

Invece adesso con le associazioni si è riuscito a ristrutturarle, anche sas cumbissias…

Mah! Non è che stanno facendo molto, perché anche sa cumbissia de su Babbu Mannu … quelle

antiche non esistono più, le nuove che son state fatte da poco, chissà trentacinque anni, non di più,

sono già utilizzate come pagliaio, con le porte spalancate insomma…non le stanno custodendo

mentre sarebbe bello tenerle ...

Mi è stato detto che è dipeso dal fatto che il parroco non voleva che si toccasse niente almeno fino

a quando lui ne era responsabile, infatti loro hanno chiesto di restaurarla e lui non voleva neanche

che si intonacasse la chiesa…

Sì è vero, un po’ di colpe le ha il sacerdote per molti punti di vista, questa storia di Valverde io in

vita mia non ho mai visto così l’abbandono di Baluvirde e se il sacerdote lo avesse voluto questo

non sarebbe successo ... per non parlare del bestiame che non deve entrare nel terreno di un

santuario.

Però queste associazioni da un lato riescono a tenerle in ordine perché per le feste puliscono e la

riprendono...

107

Si altrimenti sarebbero state abbandonate del tutto.

Tu hai mai partecipato alle feste col sistema del priorato? E qualcuno della tua famiglia ha mai

fatto una festa di pandela? E' stato mai priore?

Sì, noi abbiamo fatto la festa de BoNucamminu, io ero già madre di due figli quando l’aveva fatta

mia madre. Era una festa non come si faceva negli ultimi anni, ma nel 1963 si utilizzavano i piatti

in porcellana, tovaglioli di lino... La festa era bella perché si faceva con meno persone, allora si

diceva “poca gente buona festa”. Eravamo in pochi ma la festa riusciva più bella, con meno

confusione...

Quanti invitati c’erano?

Mah...Credo più o meno trecentocinquanta, poi hanno cominciato cinquecento, poi settecento, poi

mille ed anche millecinquecento, alcuni dicono perfino duemila ma io sinceramente non credo che

si sia arrivati a duemila. Il bello di allora, nel 1963, è che non si usava più andare a cavallo ma si

faceva la sfilata con le moto, cioè da Dorgali alla festa si andava in moto, questo sin dal 1958 e si

portavano anche sas pandelas in moto. Ricordo che in queste occasioni – perché era una festa del

santo - c’era più libertà anche per noi allora ragazze. Per esempio anche io nel '58 che ero fidanzata

avrei potuto avere il permesso da mia madre di andare in moto con il mio fidanzato a condizione

che ci fosse un fratello che mi accompagnasse anch’esso in moto.

Quindi eravate più liberi ed avevate anche un’occasione per conoscervi come coppia?

Sì, non è che ti lasciavano da sola col fidanzato perché c’era sempre il fratello che vigilava.

E quindi anche per gli orari?

Noi le ragazze ovviamente dovevamo tornare prima. Però era bello anche quando si andava a cavallo

perché al rientro dalla festa, ricordo anche a quella di San Giovanni, la gente tornava a piedi, ogni

tanto si facevano le pause, ci si fermava, almeno quatto o cinque volte, per suonare e ballare. Infine

si facevano gli ultimi balli all’ingresso di Dorgali…

Poi al rientro si tornava dal nuovo priore?

No, lì andavano solo i parenti più stretti del priore che aveva fatto la festa e portavano sa pandela al

nuovo priore, che a sua volta invitava per l’occasione i suoi parenti più vicini per ricevere sa

pandela.. Però per portare ufficialmente la festa si faceva un bel ricevimento il mese successivo,

nella casa del nuovo priore, per aver portato la festa in quella famiglia.

Hai mai sentito parlare di carvas delle feste di pandela? Cioè carvas familiari ..cioè la stessa festa

passata in qualità di eredi?

No, come eredi no. Ma di feste fatte da tre fratelli, sos Pudata, per esempio , uno successivo all’altro

sì.

Cioè un fratello che passa la festa all’altro fratello?

No. Perché uno ha fatto la festa de su Babbu Mannu, il fratello ha fatto quella di San Giovanni e la

sorella quella di Bonucamminu, sempre in periodi diversi magari un anno dopo, ma non legati alla

terna.

108

E sai di una famiglia che faceva sempre e solo la festa di Babbu Mannu e un’altra famiglia magari

faceva sempre e solo quella di Bonu Camminu?

No che io sappia no.

Quindi di questo fatto de sas carvas non si sa…

No di carvas non ne ho mai sentito ... che andasse da una parentela all’altra, cioè di passare la festa

a mia cugina, per esempio potevo inserire il suo nome fra quelli da sorteggiare, poi lei, se sorteggiata,

poteva accettarla o rifiutarla, ma non passarla…

E qual è secondo te la motivazione, sia prima che dopo, per andare alla festa di pandela? Religiosa

o sociale o...?

La motivazione è sì religiosa, perché ogni festa è un quadro: il centro è la parte religiosa, la cornice

è il divertimento, incontrarsi con tutta quella gente che non vedevi da tempo parenti e amici, ecc.

Secondo te è sempre stato così oppure adesso...?

E’ sempre così. Anzi si diceva che se una persona che veniva invitata a fare la festa e questa rifiutava

sgarbatamente o deridendone, veniva qualche volta punita, facendo meditare ... Come se la divinità

non avesse accettato questa risposta…

Qual è il momento della festa in cui tu ti senti più partecipe?

Il momento per me più commuovente è proprio l’inizio della festa cioè l’arrivo dei priori in chiesa

perché penso subito “chissà se andrà tutto bene”. Perché è capitato purtroppo alcune volte che la

festa è andata male, senza dipendere dal priore. Pensa, un anno intero di lavoro, di preoccupazione,

di grandi spese senza sapere fino al termine della festa come andrà a finire! Basta una giornata di

maltempo e rovina tutto oppure una disgrazia in famiglia in prossimità della festa, come una volta

ricordo che ad un priore era morta la mamma un po’ di tempo prima del giorno del ricevimento e

doveva fare comunque la festa di San Cipriano, purtroppo non si poteva rinviare perché era tutto

pronto ed avrebbe dovuto buttare via tutto, hanno dovuto continuare e fare anche i balli come si

usava. Certamente il priore non ha ballato e la festa era comunque rovinata, però...

Quindi l’arrivo dei priori o comunque l’inizio della festa per te era il momento più emozionante ed

invece alle feste di oggi?

No, oggi non c’è più quell’emozione perché non ce n’è motivo. Cioè il lavoro per fare la festa oggi

è modesto rispetto a prima perché si tratta solo dell’organizzare un banchetto e i balli e via…

A parte il rito dei tre giri intorno alla chiesa ecc..

Certo quel momento religioso è importante ma per quanto riguarda la festa non c’è molto da

preoccuparsi ... Certo se piove rovina il banchetto e finisce la festa e ti dispiace per chi la organizza,

però non è che distrugge il lavoro di un anno intero con tutto ciò che ne consegue…

Per te la pandela cos’è o cosa rappresenta?

Per me è un simbolo, cioè rappresenta la Madonna se appartiene alla Madonna o se è di San Giovanni

rappresenta questo santo. Insomma per me la pandela è il simbolo!

Solitamente con chi vai a queste feste?

109

Mah con mio marito, poi magari ci cerchiamo tra amiche. Se siamo in tanti, ognuno va con la propria

macchina e poi ci riuniamo lì. Di solito invito mia sorella, come quest’anno, che però a differenza

di me preferisce partecipare alla messa e poi andare via. Io al contrario vado sia per la messa ma

anche per il divertimento. Anche quest’anno ad una festa dopo la funzione religiosa ci siamo

trattenuti per sentire sia i canti sardi a tenores che canti italiani ed anche per vedere i balli sardi. E

mi fa sempre piacere vedere anche persone della mia età che ballano e si divertono. Inoltre, come

ho detto, è un'occasione d’incontro con le persone che vediamo di tanto in tanto e con le quali posso

passare una serata a chiacchierare sia dell’andamento della festa che di altro. Anche perché prima ci

si incontrava più spesso direttamente nelle proprie case, ora non si va più e ci si incontra solo in

queste occasioni.

Come hai saputo della festa? Prima eravate invitati con le partecipazioni ora?

No, come ho detto si viene a sapere con il passaparola e comunque se una va a messa viene a saperlo

dal sacerdote.

Prima c’erano solo gli invitati con la partecipazione ora che invece sono invitati tutti...

Sì, ora possono andare tutti. Prima potevano andare solo gli invitati e anche lì c’era quella persona

che faceva un bel regalo al priore che compensava un po’ le spese e c’era l’altro che andava a

mangiare e non dava nessun presente. Inoltre non mancavano le critiche, cioè malgrado gli sforzi

del priore che tutto andasse bene c’era sempre chi aveva da ridire. Ora invece chiunque va a questa

festa dà un'offerta e si beve un caffè o anche dà semplicemente l’offerta per la festa e magari non

partecipa neanche al banchetto o altro…

Quindi secondo te è bello che siano invitati tutti?

Sì certo, all’antica era già così: partecipava l’intero paese, non c’erano inviti, solo il priore con i

fratelli, i vecchi priori e qualche conoscente faceva uno spuntino a base di arrosto, formaggio e

moddizzosu. Mentre gli altri portavano da sé il proprio pranzo, ci si riuniva seduti per terra sotto un

albero da sei a otto persone ogni gruppo poi di sera si facevano i balli e si passava lì la giornata.

Quindi il priore che ruolo aveva? Lui offriva solo le messe, una di mattina e una di sera.

Poi come hanno cominciato? Hanno cominciato con un caffè?

Questo era fino ai primi del 1900. Poi nel dopoguerra hanno cambiato organizzando le tavolate e

facendo il pranzo a molti invitati, si arrivava più o meno a trecentocinquanta invitati. Poi nel '58

quando la festa è stata fatta dalla famiglia Putzu non si andava più a cavallo ma in moto, e gli invitati

già potevano essere quattrocento, poi hanno cominciato ad aumentare fino agli anni Ottanta con

millecinquecento invitati e poi finì.

110

Intervista n°6 a Michele C., 41 anni, celibe; membro della Polifonica Lorenzo Perosi, che

organizza la festa di pandela dello Spirito Santo. Intervistato a casa mia, la sera del 4

novembre 2012.

Quale è stato il tuo primo incontro con il coro, con la Polifonica e perché vi hai partecipato?

L’incontro con la Polifonica è avvenuto in un viaggio organizzato a Barcellona per “Europa cantat”,

in cui io ero ospite perché mancavano dei coristi. Così io mi sono avvicinato all’associazione.

Qual è lo scopo che si prefigge la polifonica?

Di promuovere la cultura musicale in tutte le sue forme e di avvicinare i giovani sia alla musica che

al canto quando ancora c’era la scuola di musica, perché adesso non è più patrocinio solo della

Polifonica, per oggi è solo patrocinio comunale...

Quanti componenti conta la vostra associazione?

Ventotto effettivi coristi ma trentacinque, quaranta con gli amici collaboratori o soci esterni.

Ogni quanto vi riunite?

Due volte la settimana per le prove di canto, poi per le assemblee quando c’è da discutere sul bilancio

o su qualche iniziativa.

Quando sei entrato a far parte della Polifonica essa si occupava già dell’organizzazione della festa

di pandela? Sì, dal 2002.

Tu sai perché se ne era presa carico?

In realtà no. Ma dalla prima riunione, quando vennero distribuite le quattro feste di pandela, più o

meno le varie associazione avevano espresso delle preferenze e quindi o per motivi di vicinanza

logistica, per esempio per Valverde o su Babbu Mannu, in realtà erano già delineati i gruppi che

avrebbero preso le feste.

Tu hai mai partecipato alle feste quando si reggevano ancora sul sistema del priorato?

Sì, a diverse feste invitati come amici dei priori o come amico dei figli dei priori; mi ricordo di aver

servito a diverse feste. Seduto pochissime volte, i ragazzi in genere venivano impiegati per servire

ai tavoli.

Che cosa ricordi in particolare di quest'esperienza?

Molta allegria, molti ragazzi, c’era almeno metà delle cricche ed era trasversale, non era riservata

ad una fascia di età. C’era tutto il paese, uno spaccato dei gruppi del paese..

Quindi si creavano nuovi incontri?

Sì, era facile incontrarsi, mescolare le cricche, avvicinarsi ragazzi e ragazze, poi c’erano i balli, poi

se uno faceva parte del gruppo dei familiari era coinvolto anche nelle giornate precedenti e quindi

era un modo per conoscere molte persone anche molti adulti che aiutavano la famiglia del priore.

Qualcuno della tua famiglia è mai stato priore di una festa di pandela?

Sì, mio zio di quella di Bonu Camminu, una delle ultime terne. Forse l’ultima terna di Buon

Cammino.

In che anno? Forse nel 1993 o nel 1994, una delle ultime.

111

Quindi verso la fine, quando poi si è andata a perdere...

Sì, due anni, una terna successiva poi ha chiuso.

Questo ti porta adesso ad un maggiore coinvolgimento nell’organizzazione della festa? Cioè il fatto

che qualcuno a casa tua l’abbia fatto, adesso ti coinvolge di più o è indifferente… O tu sei coinvolto

a prescindere?

No, è molto diverso. Allora era una cosa ciclopica invece fatta dall’associazione è molto ristretta,

perché in realtà se vengono, passano quattrocento persone – parlo anche per le altre feste, perché noi

andiamo anche le altre feste – è molto, a cinquecento possiamo arrivare... La sappiamo più o meno

dalle offerte che raccogliamo l’affluenza. Invece le altre feste erano molto frequentate, c’erano mille,

milleduecento persone sedute, però il passaggio delle persone era superiore. Sì, perché comunque

c’era la messa precedente – questo era il giovedì e il venerdì - e quindi le cumbessias erano già

abitate, perché c’erano quelli che stavano montando le tende – sto parlando delle feste di priorato -

quelli che portavano i tavoli, bisognava preparare i tavoli per milletrecento persone quindi dovevano

esserci dei custodi, quindi era già abitata. Invece adesso si fa una messa qualche giorno prima, forse

una settimana prima, ora non ricordo, noi possiamo andare lì la mattina e montare tutto e la sera, al

massimo l’indomani mattina, abbiamo sbaraccato, un freezer, quattro tavoli... Prima era un pranzo

adesso è solo un invito di caffè, dolci, salsicce e formaggio.

Hai mai sentito parlare dagli anziani di carvas delle feste di pandela? Proprio perché a casa tua è

stato fatto?

Ho chiesto. E’ probabile che in origine fosse così, nel senso che ci fossero famiglie che avessero

contribuito a costruire ad erigere...probabilmente si, o che ci fossero degli ex-voto che fossero legati

alle feste. Però, dalla fase che almeno abbiamo conosciuto noi, no... Ma ho chiesto anche agli altri

membri dell’associazione, si era completamente perso ogni riferimento. Cioè noi l’abbiamo scelta.

E' vero che qualcuno del coro ha avuto la festa, non perché fosse della carva ma perché era entrato

nella terna degli amici e quindi non perché ci fosse una discendenza degli eredi.

L'organizzazione della festa dà anche un contributo alla socializzazione e alla cooperazione tra i

membri della polifonica stessa? Se sì, in che misura?

Sì, anche se in qualche anno ha rischiato di essere eccessivamente pesante perché anche nelle

associazioni c’è un gruppo ristretto su un gruppo di trenta e se ci sono molti ragazzi pochi possono

avere una macchina, perché Su Babbu Mannu e Bonu Camminu comportano degli spostamenti,

quindi si fa nei ritagli di tempo o chi ha il giorno libero, qualcuno addirittura è costretto a prendere

il giorno libero per poter aiutare il sabato – perché la festa è di sabato – però contribuisce se la festa

va bene. Nelle associazioni piccole è logico che ci sono quelli che lavorano di più e quelli che

lavorano di meno.

E vi sentite più uniti grazie allo svolgimento della festa?

Sì, perché alla fine è una festa anche per noi, sì ci divertiamo...

Quindi si configura anche quando..

112

Sì, in genere l’associazione che fa la festa se è una corale non canta, ma chiama anche un’altra corale

ospite, è quindi comunque un modo per rinsaldare i legami e viceversa la corale che ha fatto la festa

è ospite di altre feste...

Voi per esempio quest’anno avete organizzato la festa di Su Babbu Mannu ma avete cantato a…

A San Giovanni e a Buon Cammino perché è venuto a mancare l’altro coro, quindi è un “do ut des”.

Non c’è nessun contributo né per il coro che anima la messa né per il gruppo folk che anima i balli,

però è cortesia andare alle feste degli altri, non è un obbligo però sarebbe bello andare...

Come hai detto è un “ do ut des”..

Sì, perché non ci sono i contributi. Quando sono nate ricevevamo 800.000 lire poi è salito ad un

milione, cioè 800.000 lire sto parlando dell’ultimo anno della lira poi è diventato anche mille euro,

poi è dovuto scendere perché prima c’era un piccolo contributo magari al coro, adesso non ricordo,

al gruppo che animava, poi sono stati tolti. Adesso con il contributo che dà il Comune bisogna

assicurare tutte le spese, dalla corrente alle cose che vengono impiegate.

Quindi nel 2002, più o meno quando vi è stata affidata, era 800.000 lire e poi dopo?

Sì, non di più.

Quindi abbiamo una collaborazione tra voi organizzatori, la corale che eventualmente canta, il

gruppo folk e anche con l’associazione ippica, questa collaborazione nasce proprio

spontaneamente?

Nella riunione di aprile si decidono i turni, fermo restando che le feste non sono per forza attribuite

a quelle associazioni, in realtà nessuno si è fatto avanti per cambiare la turnazione.

Quindi inizialmente si supponeva che..

Che dovessero turnare, in realtà poi le associazioni che non potevano farsi carico, alcune hanno

contribuito magari ad animare e non ad organizzare... e in quella sede si decidono gli abbinamenti,

in genere per esempio la mia associazione è abbinata alla Don Milani, ma se la Don Milani ha una

uscita allora Don Milani e Tiscali si scambiano e stessa cosa per le associazioni ippiche. Quindi era

un modo per vedersi, altrimenti le associazioni non si incontravano mai, e si sovrapponevano le

cose, e allora in questo modo quando c’era un po’ di distanza per esempio tra due gruppi folk

dovevano parlarsi per forza perché se in quell’uscita il Tiscali aveva un’altra esibizione passava

l’animazione al Don Milani e quindi si scambiavano le feste.

Quindi c’è proprio necessità d’incontro per..

Per forza, per programmare, anche perché le date le decide il sacerdote in base alla decisione del

vescovo su quando far cadere la prima comunione e le cresime perché non si possono fare le feste

se ci sono avvenimenti del genere.

Poi sono sempre a maggio e giugno..

Oppure in genere la domenica successiva, oppure se c'è qualche avvenimento. Come quando c’era

l’incontro diocesano, il parroco non ci ha fatto la ricorrenza tipica per Su Babbu Mannu perché lui

era impegnato a Nuoro e non poteva celebrare la messa .

113

Quindi a questa riunione di aprile partecipano tutte le…

Gli assessori, i Servizi sociali, l’assessore alla Cultura, le associazioni che più o meno si fanno carico

delle feste e le associazioni che dovrebbero animare e il parroco.

Quindi, abbiamo detto, partecipate anche alle altre feste? Sì.

La vostra è un'associazione laica, una polifonica, in che modo vi pare che essa coniughi la sua

laicità con la componente religiosa della festa? Cioè le due dimensioni convivono senza nessun

tipo di conflitto? Se sì, questi conflitti sono stati risolti?

No anzi, noi cantiamo spesso le messe, in ogni caso ormai c’è un affetto particolare quindi si

contribuisce alla processione, ormai è quasi l’associazione che ha adottato la chiesa…Infatti anche

quest’anno otterremo un piccolissimo contributo dal Comune e proveremo a... mettendo il materiale

noi, la manodopera noi, a ristrutturare noi le cumbessias, quella che è più pericolante.

Della chiesa di Su Babbu Mannu?

Abbiamo avuto più o meno la garanzia che per i prossimi anni comunque la terremo noi quindi

inizieremo i lavori e potremmo continuare. Quindi è proprio un fatto... se dobbiamo fare uno

spuntino lo facciamo lì… perché è proprio una questione di…

Ora avete quasi un senso di appartenenza al santuario? Sì, esattamente!

Pensi che la risposta della comunità dorgalese a questo tipo di organizzazione della festa, non più

fondata sul priorato, sia stata positiva?

Forse questo andrebbe chiesto a..

E' stata mossa qualche critica che tu sappia?

Noi vediamo più o meno le stesse persone che ruotano alle quattro feste, parlo dei fedeli, dei

pellegrini, non vengono i giovani, non sono più attirati, parlo dei ragazzi della tua età, non hanno

conosciuto la fase che abbiamo visto noi, hanno perso il senso forse perché non attirano i balli sardi

o forse perché non c’è il pranzo, però non è più sentita come prima e i numeri sono ristretti, se arrivi

a quattrocento persone è molto. Io ho visto molte più persone a volte al Motoclub, per il motoraduno

o al Vitella Party, la gioventù la si può incontrare là, nelle altre manifestazioni – parlo dei ragazzi

dai quindici ai venticinque – è raro che li veda.

E tra l’altro nella vostra Polifonica c’è una certa componente di ragazzi?

Adesso c’è un ricambio, però ci sono stati anni in cui era veramente difficile.

Più o meno quanti ragazzi ci sono di quell’età?

Ci sono nove persone sotto i vent’anni, però solo da due anni, altrimenti ci sono stati periodi in cui

stavamo cercando disperatamente di reclutare giovani perché mancava il ricambio: la persona più

giovane ormai era sopra i quaranta, adesso noi abbiamo avuto un ricambio. E nelle altre feste è più

o meno così come affluenza, le offerte non… l’anno che è andata benissimo sono stati 600 euro di

offerta, ma è stata eccezionale. Hanno provato a portare un gruppo musicale, gli Istelotte, a portare

un coro ospite o i tenores, però forse la formula non so se sia perdente, non lo so. Io sono andato ad

altre feste, sagre paesane, di paesi più piccoli che non hanno tante associazioni, non hanno tanti

114

divertimenti, lì la gente va. Qua abbiamo tante di quelle possibilità... c’è il saggio della Mistral per

esempio, c’è il motocross, il gruppo autosport, i ragazzi vanno lì o sono concomitanti...

Quindi si rischia anche la sovrapposizione..

Spesso è successo, non parlo di matrimonio o battesimo perché quello è normale, perché questo

succedeva anche alle feste col priorato, anche se si stava attenti, si cercava di non pestare i piedi, sì

perché altrimenti mancava qualcuno o alla festa o al matrimonio, per forza...

Invece ora c’è comunque questo rischio di sovrapposizione?

Il Comune ha fatto tutti gli sforzi, non è una questione di amministrazione, però non è facile mettere

d’accordo all’inizio dell’anno le associazioni e far sì che non combacino le manifestazioni, non sono

mai riusciti ad evitare sovrapposizioni. Io mi ricordo che è successo due volte per la festa di Buon

Cammino, di sicuro alla festa di San Giovanni perchè a giugno capita qualche manifestazione a

Gonone o a Dorgali.

Da un certo punto di vista è negativo perché va a discapito di qualche associazione, dall’altro

potrebbe essere visto positivamente nel senso che Dorgali è molto attivo dal punto di vista delle

manifestazioni, no?

E’ sicuramente molto attivo però forse la ricchezza dell’offerta va poi a discapito della qualità della

manifestazione. Non è una questione politica, le associazioni si stanno impegnando, sono tre

associazioni che vengono coinvolte: una anima, una organizza e una canta, quindi sono una

sessantina di persone, più i cavalieri quando ci sono che qui sono anche diminuiti di numero. Se si

vogliono salvare bene... altrimenti se continua cosi...

Però per coloro che partecipano sembra positiva.

Bhè, se venisse più gente è meglio.

E per quanto riguarda l’affluenza dei turisti invece?

E’di più a San Giovanni perché è posizionata a fine giugno, però non siamo mai riusciti a

raggiungerli, il punto di passaggio di su Babbu Mannu è relativo, abbiamo poche persone, in genere

stranieri o magari amici che portano conoscenti. Però è un peccato perché pochi vengono coinvolti,

non attira, non riusciamo a portare i gruppi da Cala Gonone anche se la pubblicità viene fatta,

istituzionale e non solo, con locandine ecc... Non lo so, bisognerebbe più collaborazione anche da

parte degli esercenti di Gonone, ma non penso che a loro interessi.

Che tipo di rapporto comunque si crea tra voi organizzatori e gli ospiti della festa?

Eh, un po’ ti senti priore! Devi fare in modo che la persona stia bene, abbia il bicchiere, prenda i

dolci, prenda il caffè, eccetera eccetera.

E gli ospiti si informano su quello che comporta l’organizzazione?

In genere no, sanno o hanno vissuto anche loro la festa dei priorati quindi sanno più o meno ciò che

comporta. Noi giorni prima però chiamiamo tutti come se fosse la nostra festa: “mi raccomando

sabato venite a…”, e poi regolarmente non vengono.

Qual è secondo te la principale motivazione di partecipazione alla festa oggi? E' ancora

115

profondamente religiosa o più sociale ?

No, c’è una forte componente religiosa. Le messe sono sempre affollate, sempre, anzi molta gente

viene alla messa poi dopo il caffè va via. Però la messa è una cosa sentita perché comunque non

sono così anziane le persone che hanno vissuto il periodo delle feste precedenti, in effetti il buco di

mancanza della festa è di sei o sette anni. E poi molte persone vengono a piedi sia a Buon Cammino,

sia a San Giovanni e, passando a Toloi, anche a Su Babbu Mannu, poi Valverde sì, perché è più

vicino, sì la gente si muoveva a piedi. Io sono andato anche presto a Buon Cammino perché

dovevamo andare a provare prima a cantare e ho visto persone anche di una certa età che scendevano

a piedi fino a Buon Cammino, poi magari al rientro no; persone di una certa età o persone

appartenenti all’AVIS .

Che cos'è e cosa rappresenta per te e magari per la polifonica stessa la Pandela in sè?

L’ho spiegato, adesso un po’ l’abbiamo adottata, è un simbolo identitario: noi siamo quelli della festa

de Su Babbu Mannu, quindi ci piacerebbe che fosse la migliore, ci piacerebbe poter mettere le mani

ed aggiustarla o poter lasciare lì per esempio il freezer o una parte delle cose anziché fare... Ieri ad

esempio è stata utilizzata per un matrimonio, perciò ristrutturarla non sarebbe male.

Voi vi prendereste carico volentieri di questa…

Sì, però purtroppo ci sono molti vincoli, e poi giustamente l’amministrazione mette le mani avanti

perché è la Sovrintendenza che deve dare l’ultima parola siccome sono chiese molto vecchie, credo

risalga al 1600 e quindi non si può, e poi perché c’è quell’enorme albero, un enorme olivastro, forse

uno dei più grandi, che ci sia che bisognerebbe ripulire…

Per quanto riguarda l'organizzazione pratica della festa avete convocato una riunione

espressamente o avete sfruttato...?

Sì, lo dobbiamo fare perché dobbiamo fare i turni: chi prepara l’impianto luci, chi si occupa della

spesa, chi va una settimana prima a pulire – soprattutto la cumbessia perché è in situazioni disastrate

all’interno – e poi fare il turno per andare a prendere le pandelas, che poi vanno prese tutte adesso,

anche quella di San Pantaleo, e come organizzare per i dolci, il caffè, portare i tavoli.

Ricevete dal Comune un contributo economico per la festa?

Sì, e va fatturato cioè tutte le spese vanno fatturate, in modo tale che non vada disperso il soldo

pubblico ma tutto sta a dimostrare che l’hai impiegato per quello, da presentare non ricordo se alla

Proloco o direttamente al Comune, comunque tutto ciò con relativa fattura.

Abbiamo detto che ricorrete al sistema delle offerte per finanziare la festa?

Sì, anche se abbiamo l’affluenza ma è un periodo di magra, gli ultimi tre anni è stato veramente

poco, anche quando era davvero affollata la gente consuma e non lascia soldi detto papale papale...

L’invito adesso viene esteso a tutti, a tutta la comunità dorgalese e anche ai turisti tramite

locandine?

Sì, le faceva il Comune. Anche quest’anno hanno fatto un invito accattivante anche con fotografie,

con una descrizione di tutte le feste. Qualche segno entrambe le amministrazioni lo hanno dato, ma

116

non c’è corrispondenza con la folla. Non vengono.

Adesso comunque partecipazioni non ce ne sono più, non si ricorre più al quel sistema?

No, già dal 2002.

Quindi vi siete divisi i compiti nell’organizzazione e in questa avete coinvolto familiari o amici

anche se estranei all’associazione?

Sì, perché o ci lasciano qualcosa o ci danno un’offerta come una pecora o ci lasciano un camion, per

forza qualche amico deve aiutare anche perché molti magari partecipano alla messa quindi qualcuno

deve stare fuori. Una sorta di vicinanza c’è , non è allargata come al periodo del priorato però c’è,

in genere per esempio quando uno deve rimanere molto tardi, quando rimangono, gli ultimi non

sono necessariamente dell’associazione ma un amico o un familiare.

Quindi in un certo senso anche questo recupera quella che poteva essere una funzione di coesione

sociale che avevamo con il priorato?

Sì, però per chi ha conosciuto le altre era un altro clima, era tutto gigantesco al confronto! Io ero un

ragazzino e quindi mi colpiva, però si parla di centinaia di persone che rimanevano sino a tardi dal

pranzo, tutto il giorno, c’erano un migliaio di persone dall’una fino almeno alle nove di sera. Quindi

era diverso, cioè non come ora dalle sei alle otto la messa, alle cinque e mezza le persone arrivano,

verso le sei si prendono le pandelas dalla chiesa, la festa è ristretta a quelle tre o quattro ore, massimo

alle dieci e mezzo è tutto finito. A questo quadro bisogna aggiungere altre sei ore nel vecchio, ho

reso l’idea? Prima la giornata era molto più lunga perché la messa era al mattino, poi c’era il pranzo,

tutto questo era dalle undici e mezza come se fosse un matrimonio. Per rendere l’idea: si entrava in

chiesa alle undici e mezza, dalla messa si usciva a mezzogiorno e un quarto con i relativi giri, con

le pandelas, con tutta la processione, con le persone che sostavano fuori, tutti gli aiutanti e poi

c’erano gli auguri, poi la gente cominciava ad arrivare a frotte, e dopo le quattro e mezza c’era il

caffè poi iniziavano i balli, allora venivano portati via i tavoli e si facevano i balli, la gente

chiacchierava fino a tardi…

Quindi era quello il momento di comunione maggiore?

Sì, però sono molte ore in più rispetto ad oggi.

Dimensione più piccola anche di comunione non solo in termini di consumi e di organizzazione?

Sì, cambia sia perché non ci sono posti a sedere, bisogna vedere come è organizzata, si possono

portare delle panche però non è la stessa cosa: tra un invito e un pranzo è diverso! Allora si poteva

sostare a lungo, io mi ricordo nelle vecchie feste...

Quindi anche nell’aiuto c’è una prestazione gratuita, non solo nei prodotti? O vengono date le

offerte anche con la manodopera?

Sì, per esempio il titolare del villaggio vicino, sempre gratuitamente, ci fa allacciare la corrente la

sera e noi prepariamo l’impianto, ecc.

117

Intervista n°7 a Nino M., 56 anni, sposato; membro sia dell'AVIS, che organizza la festa di

pandela della Madonna di Buon Cammino, sia del Comitato di Solidarietà dorgalese che

organizza la festa dei Santi Cornelio e Cipriano. Intervistato nella sua abitazione, la sera

del 30 novembre 2012.

Qual è stato il tuo primo incontro con l’associazione, e perché vi hai aderito, sia con l’AVIS che

con il Comitato di solidarietà?

Con l’AVIS ho aderito nel 1974, avevo 18 anni, ed erano venuti a cercarci i soci dell’AVIS di Nuoro

- perché io studiavo a Nuoro allora - per chiederci se volevamo andare a donare il sangue. Mi è

sembrata subito un'esperienza da fare, avrei dovuto chiedere ai miei genitori l’autorizzazione, perché

allora la maggiore età era a ventun anni. Ricordo che siccome anche loro avevano sentito parlare

dell’AVIS, che c’erano dei luoghi comuni sull’AVIS, ho dovuto insistere ma alla fine mi hanno

firmato l’autorizzazione.

Magari c’era un rischio di malattie…?

Sì, magari sapevano che non era sicuro, che magari lo vendevano, però alla fine mi hanno firmato

l’autorizzazione e sono andato a donare il sangue. Quella è stata la mia prima esperienza e sono

rimasto iscritto all’AVIS di Nuoro fino al 1989 quando mi hanno chiesto, visto che ero l’unico di

Dorgali iscritto, se volevo impegnarmi a fondare la sezione di Dorgali. Ho subito pensato ai miei

amici, con i quali facciamo tutto insieme, li ho coinvolti subito e ci siamo dati da fare. Abbiamo

dovuto lottare appunto, come dicevo, con della gente che non ne voleva sapere ma siamo riusciti a

raggiungere il numero di trenta iscritti che era il numero che serviva per la costituzione dell’AVIS

di Dorgali. Da allora sono stato per pochi mesi, prima - non si dice presidente - ma commissario

straordinario dell’associazione e poi abbiamo fatto le elezioni, e non so se posso vantarmi di essere

stato l’unico presidente che sopravvive da tanti anni, [...] ci sono io. Un presidente di lunga data. Ci

ha coinvolto al punto che siamo ben felici di fare il lavoro che stiamo facendo anche se c'è bisogno

di ricambio e lo stiamo dicendo da tanto. Nel frattempo abbiamo avuto un problema, purtroppo

nell’81 si era ammalato un nostro amico e nell’85 abbiamo fondato un comitato, Comitato pro Tore

Nonne - tanto si può dire perché lui poverino non c'è più - per cercare fondi, perché lui aveva bisogno

del trapianto dei reni e doveva andare in America. Purtroppo ad un certo punto gli hanno detto che

per lui era impossibile sperare nella riuscita dell’operazione e quindi avevamo dovuto sospendere

per un po’, ma avevamo già raccolto un po’ di fondi che avevamo tenuto in banca. Qualche anno

dopo, potrei sbagliarti l’anno, comunque negli anni Novanta è successo a Dorgali un altro incidente

di un giovane, che aveva bisogno di un aiuto economico per poter fare delle cure. I suoi amici erano

venuti a chiederci come avevamo fatto, perché volevano costituire a loro volta un comitato e li

abbiamo invitati non a costituire un altro comitato, perché sarebbe stato dispersivo, ma se erano

d’accordo coinvolgerli nel comitato che già esisteva, che aveva già a disposizione un certo fondo

disponibile immediatamente, e farlo come associazione che sarebbe potuta servire poi per continuare

questa pratica. Noi eravamo tutti d’accordo, loro son stati tutti d’accordo e siamo diventati un gruppo

118

unico che poi, siccome moltissimi di noi fanno parte sia dell’AVIS sia dell’Associazione Solidarietà

dorgalese e collaboriamo quasi quotidianamente nelle due associazioni.

Siete lo stesso gruppo più o meno che vi date comunque una mano…

Sì, diciamo che i veterani e più pazzi siamo noi.

Qual è lo scopo che si prefigge il Comitato ora?

Lo scopo che si prefigge l’AVIS - parliamo dell’uno e dell’altro - è noto, ed è quello della raccolta

del sangue, perché c'è sempre bisogno di sangue per chi ne ha bisogno e questo si sa già. Invece lo

scopo dell’Associazione Solidarietà dorgalese è appunto raccogliere fondi per le famiglie in

difficoltà per motivi di salute; cioè quando capita in una famiglia che ci sono problemi gravi di salute

come possono essere tumori o gravi incidenti, insomma che una persona ha bisogno di andare fuori

dall’ospedale più vicino, anche se va in una struttura pubblica dove il malato è comunque coperto

dalla sanità nazionale, dove però molte volte serve anche l’appoggio per i familiari che devono

accompagnarlo, visto che a volte bisogna stare anche un mese fuori di casa quindi pagare un affitto,

pagare da mangiare. Sono problemi logistici che sono sempre legati a questo problema di salute. Ci

siamo messi il limite appunto di non dover e non poter dare aiuti economici per altri motivi anche

se capiamo che ci sono altri motivi, ma abbiamo stabilito che è solo per motivi di salute.

Che cosa distingue i servizi offerti dal comitato di solidarietà rispetto a quelli offerti ad esempio

dall’Assessorato dei Servizi sociali del comune? C'è qualcosa che dal comune si lega a questo o

collaborate col comune?

No, noi non collaboriamo con il comune. Abbiamo collaborato in qualche occasione quando il

comune ci ha chiesto – perché il cittadino a volte capita che si rivolge al comune perché ha bisogno

di un aiuto economico per problemi legati solo ed esclusivamente alla salute – il comune ci ha

chiesto, è successo anche da poco, di poter intervenire noi come anticipo e poi il comune ci ha

rimborsato per riutilizzarli nuovamente per nuove esigenze. Infatti noi per avere nuovi fondi

facciamo firmare al familiare che ci chiede l’intervento una liberatoria per quanto riguarda un

minimo di certificazione che il familiare ha bisogno di cure - anche se non dobbiamo sapere di che

cosa si tratta per la privacy - e poi facciamo firmare una sorta di promessa che, qualora l’Ente o lo

Stato restituisca loro i soldi, loro si impegnino a restituirli all’associazione, anche se purtroppo capita

di rado perchè non c'è mai comunque disponibilità dal Comune o dallo Stato di restituire soldi ai

familiari che accompagnano il malato.

Quanti iscritti contano le due associazioni e quanti sono quelli realmente attivi?

Se parliamo dell’AVIS abbiamo appena superato da quest’anno i duecento soci, che per Dorgali non

è una cifra elevata rapportata comunque agli 8000 abitanti del paese.

Di questi duecento, per quanto riguarda l’organizzazione della festa o l’organizzazione della

raccolta del sangue con l’automoteca, quanti partecipano attivamente?

In consiglio direttivo dell’AVIS siamo in 5 che però collaboriamo anche con gli altri

dell’associazione che si prestano volentieri anche per organizzare le feste, visto che in queste

119

occasioni siamo un gruppo di una trentina, tra tutt’e due le associazioni, che collaborano ad entrambe

le feste.

Ogni quanto vi riunite per quanto riguarda l’AVIS e per quanto riguarda il Comitato di Solidarietà?

Diciamo la verità, per l’AVIS e anche per quanto riguarda l’altra associazione non abbiamo una

riunione, non abbiamo stabilito un giorno di riunione. Quasi succede più spesso di doverci riunire

per l’associazione e all’improvviso, visto che il primo di noi che viene contattato da un familiare di

una persona che ha bisogno, fa un giro di telefonate e ci si riunisce la sera stessa. E all’AVIS sì,

abbiamo una riunione importantissima ogni anno per fare i bilanci e cose così. Poi ci si vede appunto

alla riunione dell’AVIS provinciale quindi anche lì è un'occasione di riunirsi. Come associazione a

Dorgali abbiamo occasione di riunirci ogni due o tre mesi, anche per organizzarci per quando arriva

l’autoemoteca.

Quando tu sei entrato a far parte del Comitato e poi dell’AVIS entrambe si occupavano già

dell’organizzazione della festa di pandela?

No no, è nato tutto dopo.

E da quando le associazioni si fanno a carico delle feste di pandela ?

Abbiamo iniziato come Associazione Solidarietà dorgalese e avevamo pensato di poter fare qualche

iniziativa per poter racimolare dei fondi perché non siamo finanziati da nessuno, se non dal buon

cuore della gente. Quindi avevamo pensato di fare una sorta di festa di S.Cipriano in piazza, dove

avremmo fatto balli e schiamazzi vari offrendo un bicchiere di vino per chiedere una piccola offerta

alla gente. Avevamo iniziato circa dodici anni fa, verso il 2000, e dopo tre, quattro anni che noi

stavamo facendo la festa di S. Cipriano il Comune o meglio, l’Assessore ai Servizi sociali ci aveva

chiamato, tutte le associazioni di Dorgali, prendendo spunto appunto da questa festa, aveva pensato

di rifare tutte le feste di pandela del paese. Poi è stata un po’ fra scelta e casualità che all’AVIS sia

capitata proprio la festa di Buon Cammino che tra l’altro, sarà anche perché la facciamo noi, ma è

anche quella che ci piace di più. Il Comune appunto aveva deciso di dare uno sponsor di 1000 euro

alle associazioni che hanno rifatto appunto queste feste di pandela. Dopo qualche anno questi soldi

sono scesi a 800 euro e chissà che quest’anno non scendano a 500 perché si sa che la crisi si fa

sentire anche in quest’ambito. Poi però la gente, visto che noi nel banco dove facciamo l’invito

mettiamo le cassette delle offerte, dove la gente per fortuna collabora, e alla festa di S. Cipriano

facciamo in più una specie di lotteria estemporanea perché la organizziamo proprio sul momento e

che comunque ci aiuta perché riusciamo a racimolare un po' di soldi, se capitano diversi anni come

questo, visto che quest’anno in particolare abbiamo avuto diverse richieste e abbiamo dovuto tirar

fuori un bel po’ di soldi.

Comunque i dorgalesi partecipano perché sanno che comunque serve? Anche se è meglio che non

serva a nessuno….

Sì, infatti alla fine è il paese stesso che aiuta chi sta male.

Tu avevi mai partecipato alle feste quando ancora si reggevano sul sistema del priorato? Che cosa

120

ne ricordi in particolare, anche di diverso rispetto ad adesso?

Ora è tutto diverso perché prima non c’erano comitati ma c’era un priorato e organizzavano a

“trennas”, come si dice da noi. C’erano tre priori per i tre anni, e nell’ultimo anno della terna,

diciamo così, estraevano a sorte i tre priori del triennio successivo. Naturalmente ogni singolo priore

uscente indicava una o due persone da estrarre per il triennio successivo. Io mi ricordo quando sono

stati priori mio padre e mia madre ed era ancora una festa molto spesosa diciamo, come

organizzazione molto più pesante perché diciamo che la famiglia dei priori rimaneva un anno intero

a pensare, ad organizzare, comprare tutte le cose che servivano. Immagina che per la festa che

abbiamo fatto noi servivano circa seicento chili di carne di porcetto, trecento chili di carne di vitello

e vino, acqua e poi tutte le altre cose, e tutto a carico di una sola famiglia. Però poi naturalmente il

paese contribuiva con un presente, normalmente soldi e a volte chi ti regalava un oggetto, anche se

normalmente ti davano un aiuto economico e così si recuperava se non tutto, una parte della spesa.

Normalmente chi accettava di fare queste feste lo faceva con lo spirito di un voto, fare la festa come

un voto alla Madonna, per cui metteva anche in conto che non recuperasse la spesa che metteva. Era

bello fare queste feste perché nel momento in cui tu eri priore iniziavi a coinvolgere i parenti e ti

accorgevi che la gente ti voleva bene perché uno poteva anche essere milionario però se non ha gente

vicino che lo aiuti non riesce a fare una festa bella come chi ha pochi soldi ma tanta gente che lo

aiuta.

Quindi contava molto anche l’aiuto dato da amici e parenti, anche nell’organizzazione?

Soprattutto nell’organizzazione! Perché il priore la spesa, prima di accettare, la metteva in conto,

c'era. Tu potevi avere anche i soldi pronti e se recuperavi è bene, ma uno non poteva pensare di fare

tutto da solo. Poi è chiaro che ci voleva una persona, tipo quando l’abbiamo fatta noi mi ero preso

il carico dell’organizzazione, magari più per la capacità gestionale che non potevo certo lasciare a

mio padre, che poi ha lui affidato a me - anche se ho fratelli e sorelle più grandi che però non

vivevano qui - per cui mi sono occupato io e mi è servito dal punto di vista organizzativo, tant’è

vero che l’anno dopo i priori che l’hanno avuta da noi hanno voluto che io organizzassi in tutto la

loro festa.

Quindi sia dal punto di vista della raccolta del cibo e delle cose necessarie?

Sì, ma poi mi hanno chiamato per la gestione della festa il giorno stesso come quando l’abbiamo

fatta in casa, c'era un'altra persona che ha fatto da direttore. Si riusciva a dare da mangiare, per

esempio nella festa che abbiamo fatto noi c'erano milleseicento persone sedute, quindi mi immagino

ci fossero centoventi, centoquaranta persone tra servitori, chi cucinava la carne, chi lavorava in

cucina per la pasta e gli antipasti, i capitavola, chi era incaricato per il vino, chi per l’acqua, insomma

per riuscire a servire la gente nell’arco di un’ora e mezza, due ore, e tutti nello stesso momento,

quindi bisognava saper gestire quasi come nella ristorazione.

Quindi il fatto che tu sei figlio di uno che è stato priore della festa e che tu stesso abbia organizzato

le feste con il sistema del priorato, ti porta ad un maggior coinvolgimento nell’organizzazione

121

attuale delle feste ?

L’organizzazione la facciamo tutti insieme, adesso come la facciamo noi che siamo un gruppo di

ultra ventenni diciamo, ormai anche con l’esperienza che abbiamo fatto quando andiamo lì, ci si

riunisce prima per decidere cosa comprare e tutto, però quando andiamo lì io per esempio faccio

l’elettricista e faccio l’impianto di illuminazione, poi ci sono due o tre che sono particolarmente

bravi nel cucinare la carne e loro si occupano di preparare la carne perché poi alla fine siamo sempre

una trentina di persone che lavorano lì e a mezzogiorno devi comunque mangiare, quindi ci si

organizza. Normalmente questo per la festa di Buon Cammino visto che a San Cipriano non

facciamo niente di tutto questo. E non sprechiamo soldi visto che si cucina la carne che ogni pastore

ha deciso di regalarci, infatti tra un po' cominceranno a chiamare: “ricordati che ti dò una capra,

ricordati che ti dò un porcetto, segnami che ti dò 50 litri di vino...”

Quindi anche offerte in natura possiamo dire, prodotti della nostra economia?

Sì, poi nella festa di Buon Cammino anche se l’organizziamo come AVIS, i fondi li destiniamo al

Comitato di Solidarietà Dorgalese.

Hai mai sentito parlare – proprio perché magari sei stato coinvolto nelle feste di pandela con il

priorato – hai mai sentito di “carvas delle feste di pandela”?

Carvas?!

Sì, carvas ma nel senso di famiglie legate in particolare a quella chiesa come eredi della festa e

costruttori della chiesa in origine…

Sì, ne ho sentito parlare ma non esisteva più questo sistema quando io ho conosciuto le feste. Un

tempo pare che c'era una famiglia a “carvas” appunto che ricadeva sempre nella loro famiglia, che

ne so, la festa di Buon cammino invece che la festa di San Cipriano, però già da prima che iniziassi

io non era più così, perché saltava da una famiglia a un'altra: per esempio il priore del 1981, che

aveva voluto che mio padre e mia madre fossero i priori del 1982, non c'è un filo di parentela, come

non c'è un filo di parentela tra noi e i priori a cui è stata poi passata, ma semplicemente perché mio

padre e mia madre conoscevano questa famiglia e la stimavano, perché chiaramente devi avere la

stima, e questo è importantissimo, ma non parentela.

Quindi è andato a perdersi questo legame familiare? E quindi magari si trattava di stima e di

prestigio della famiglia?

Si guardava anche, quando pensavi di dare la festa ad una famiglia, volevano che avesse un po’

anche la possibilità economica, perché magari se una famiglia era completamente in ristrettezze

economiche non lo proponevano neanche. Anche se questo è stato il danno che ha portato alla fine

delle feste così, perché, non so perché ha preso questa deriva diciamo, se io avessi fatto quest’anno

la festa di Buon cammino con millecinquecento persone, il priore che veniva dopo di me doveva per

forza farla da milleseicento perché altrimenti non poteva stare dietro di me, e l’altro la doveva fare

da millesettecento, ecc.

Una sorta di competizione dunque?

122

C'è stata questa competizione per cui chi davvero per voto voleva fare questa festa ma non aveva la

possibilità economica di farla da millecinquecento persone ma avrebbe voluto farla lo stesso – e

secondo me sarebbe stato giustissimo farla – per duecento o trecento persone, avrebbe dovuto

poterla fare e invece la gente poi mormorava e quindi le famiglie non si sentivano in grado e

lasciavano perdere e si evitava.

Oggi l’organizzazione della festa proprio da questo punto di vista magari dà anche un contributo

alla socializzazione e alla cooperazione tra i membri del comitato stesso e dell’associazione stessa

di cui fai parte? Nel senso, se prima creava anche l’occasione di stabilire quanto appoggio si aveva

da amici e parenti, ora vi aiuta anche nella socializzazione tra voi stessi?

Sì, perché prima di tutto abbiamo o c'è sempre un rapporto, con le altre associazioni, per esempio

fra noi in primis, perché noi ci sentiamo davvero amici. Poi c'è un divario perché noi andiamo dai

trenta ai sessanta anni e passa e siamo tutti amici, ma a parte questo ci sono per esempio le

associazioni di canto, i cori o i tenores, che vengono a cantare la messa, e quasi è sempre una gara

per chi può venire a cantare. Poi, quando dobbiamo fare la festa di Buon Cammino, di solito c'è una

fioraia che ogni anno ci regala la fioritura di tutta la chiesa e poi, naturalmente abbiamo stabilito che

siccome ci sono da fiorire anche sas pandelas “ci regali la fioritura della chiesa però sas pandelas te

le paghiamo” e non le portiamo da un altro ma chiaramente le portiamo da lei. Per la festa di San

Cipriano sono tre i fiorai che si mettono d’accordo per fiorire la chiesa di Santa Caterina e sas

pandelas, quindi si dividono il lavoro.

Riuscite quindi a creare cooperazione tra attività economiche dorgalesi?

Sì, infatti perché anche questi tre fiorai che dovrebbero essere in competizione tra loro invece per

l’occasione collaborano e questo a noi fa piacere.

Come nasce poi la collaborazione appunto tra voi e i gruppi folk, i cori di Dorgali, che di volta in

volta contribuiscono alla realizzazione della festa e quindi anche all’animazione?

Allora, dall’inizio si è pensato, quando facevamo le riunioni in Comune, di coinvolgere anche le

associazioni, ad esempio i gruppi di ballo, i cori, l’associazione ippica dorgalese, in modo che il

comune dia loro un contributo all’anno per partecipare a queste feste, però anche senza contributo,

noi quando facciamo la riunione ogni anno per le feste dicono: “Allora alla festa di Buon Cammino

quest’anno associamo la polifonica...” poi magari la polifonica non va bene e quindi ci si arrangia,

se loro non possono ne cerchiamo un altro, ma non siamo mai rimasti senza cori. E' capitato che

molte volte un gruppo che aveva già dato l’assenso alla partecipazione alla nostra festa e poi si è

trovato a non poter venire, ci siamo interessati noi di cercarne un altro e sono venuti subito anche

senza dire: “Ma no, io l’ho fatto di là!” o “Il Comune non mi dà niente”, non si pongono manco il

problema. E' un'occasione per stare tutti insieme e per offrire un servizio a tutto il paese.

E quindi c'è anche un rapporto tra la vostra associazione e le altre associazioni che si occupano

delle altre feste di pandela? Voi partecipate anche alle altre feste?

Sì, noi partecipiamo come tutto il paese, non come associazione, partecipiamo come ospiti. E' raro

123

che noi non andiamo a berci un bicchiere di vino per fare la presenza.

Entrambe le vostre associazioni sono associazioni laiche, in che modo ti pare che esse coniughino

la loro laicità con la componente religiosa della festa? E queste due dimensioni convivono senza

alcun tipo di conflitto? O magari l’inevitabile collaborazione tra l’associazione, il parroco e il

viceparroco nell’organizzazione della festa può aver portato ad episodi di conflittualità? Se si sono

verificati, sono stati risolti?

No, nel nostro caso no. Era successo all’inizio proprio quando alla prima riunione l’allora Assessore,

se non sbaglio Bacchitta, aveva fatto per iniziare queste feste: c'era l’allora parroco di Dorgali che

nel sentir parlare che chiaramente le associazioni che facevano queste feste si facevano carico di

tutto, di tutta l’organizzazione, quindi con la speranza di racimolare qualche soldo, il parroco aveva

mosso l’obiezione che se fossero stati raccolti soldi quelli erano di diritto della Chiesa. Il primo anno

infatti gli abbiamo detto: “Che lei allora si faccia le feste!” e infatti per il primo anno non abbiamo

fatto niente. Per il secondo anno abbiamo ripreso in mano il discorso, ne abbiamo parlato e abbiamo

detto che un'associazione come la nostra – io parlo per la nostra, ma metti anche la Croce Verde che

sappiamo bene l’impegno che ha per la gestione del servizio che offre – come potrebbe fare a vivere

come associazione se non raccogliendo dei soldi?! A noi serve proprio raccogliere dei soldi perché

altrimenti l’associazione non ha senso. Noi cosa diamo alla gente? Una pacca sulle spalle quando

sta male?! Se non gli dai almeno un aiuto economico non fai niente! Per cui abbiamo avuto all’inizio

questa divergenza che poi si è risolta, e abbiamo anche collaborato, giustamente anche se, almeno

io parlo per me, non penso che siamo tutti dei buoni cristiani nel senso della parola, però nel

momento in cui abbiamo deciso di organizzare queste feste che hanno anche il loro aspetto religioso

ecc., partecipiamo anche dal punto di vista religioso con il massimo impegno, in modo solenne alla

parte religiosa della festa, visto che noi siamo anche un gruppo abbastanza eterogeneo, per cui c'è

chi crede molto, chi crede poco, o chi non crede per niente, chi è praticante o chi non è praticante,

però pensiamo tutti di fare del bene per cui riusciamo a fare tutte e due le cose.

Pensi che la risposta della comunità dorgalese a questo nuovo tipo di organizzazione della festa,

quindi non più basata sul sistema del priorato ma con l’associazionismo, sia positiva? Oppure pensi

che dalla comunità ci sia stata una risposta negativa?

Al 99% abbiamo avuto direi risposte positive, e ci hanno tutti detto che finalmente era un modo

intelligente di fare la festa . Tu considera che prima, quando le feste si facevano anche prima di

quando le abbiamo fatte in famiglia, il priore andava lì, offriva la messa nel senso che dava un

contributo alla Chiesa per fare la messa e faceva un invito. Tutti gli invitati andavano perché tutti

quanti volevano partecipare dal punto di vista religioso, e si portavano da mangiare al sacco, per cui

diciamo che siamo ritornati quasi alle origini, anche se non chiediamo alla gente di portarsi da

mangiare al sacco perché noi in mezzo all’invito mettiamo, giusto perché si consuma un bel po’ di

vino, per equilibrare il consumo, mettiamo un po' di pane e formaggio, un po’ di salsicce, e diciamo

che la gente cena così in questo modo. Quindi non è più l’esagerazione che c'era prima con il pranzo

124

seduti, no?! E' una sorta di buffet dove ci sono i dolci, un bicchiere di vino, il caffè, chi vuole si

prende solo il caffè con il biscotto e poi se ne va, alcuni vengono semplicemente per il momento

religioso e altri per il momento conviviale, perché poi chiaramente viene allietata la serata con i

balli, perché noi chiaramente abbiamo sempre invitato un gruppo folk che - con una puntina di

polemica per la verità - finora non abbiamo avuto il riscontro, a parte i primi anni, che la festa si

merita. Perché noi avremmo preferito che venissero in costume per fare la figura poi non

pretendiamo che nei balli, a Buon Cammino che è terra battuta, non possiamo pretendere che ballino

con il costume perché si capisce che si rischia di rovinare il vestito. Però almeno per i tre giri intorno

alla chiesa, per il folclore...

Quindi l’affluenza e la partecipazione dei dorgalesi alla festa è buona ?

Sì, possiamo dire che abbiamo sempre un riscontro eccezionale sia alla festa di Buon Cammino che

alla festa di San Cipriano, perché alla festa di Buon Cammino finiamo sempre che è notte fonda, gli

ultimi che rimangono sono le cricche che stanno lì a bere un bicchiere di vino, perché abbiamo anche

il merito di essere dei buoni assaggiatori di vino: prima di quella festa, andiamo ad assaggiare i vini

che ci propongono in modo da scegliere quello migliore, perché se piace a noi piace a tutti.

E da parte dei turisti invece come sembra l’affluenza?

Non è eccezionale perché forse non abbiamo trovato il modo giusto per pubblicizzarlo. L’abbiamo

anche detto nei vari alberghi però non sempre danno le informazioni ai turisti, ormai li tengono

chiusi nei villaggi e alberghi dove hanno tutto dalla mattina alla sera e purtroppo non riescono a

vedere niente al di fuori. Potrebbero anche dare queste indicazioni, e noi dal nostro punto di vista

facciamo il massimo per pubblicizzare la festa, con i volantini, però ci vorrebbe anche una mano

dagli operatori turistici. Abbiamo notato che quando i turisti vengono comunque vanno via

soddisfatti di una festa così sobria e suggestiva allo stesso tempo, parlando della festa di Buon

Cammino in un certo senso, parlando della festa di San Cipriano in un altro senso, perché la festa di

San Cipriano è proprio un esplosione di balli di grida, poi sono tre giorni rispetto alle altre, ed

essendo in paese riusciamo anche ad avere un po' più di presenza rispetto alle altre.

Che tipo di rapporto si crea tra voi organizzatori e gli ospiti della festa sia dorgalesi che turisti?

Noi - parlando del nostro gruppo - riusciamo a fare come i camaleonti, un po’ da una parte un po’

dall’altra, ci confondiamo un po' anche in mezzo alla gente che beve il bicchiere di vino, che canta,

che balla, per cui diventiamo un tutt'uno anche con gli ospiti, per cui funziona sempre tutto a

meraviglia.

Quindi non state sempre dietro alle tavolate del buffet?

No no, e forse è anche per questo che tra le feste di campagna quella di Buon Cammino è quella più

frequentata, forse anche perché noi riusciamo a coinvolgere la gente in un rapporto diretto.

Qual è secondo te, e quindi anche secondo i membri dell’associazione in generale, la principale

motivazione di partecipazione alle due feste oggi? Una motivazione più religiosa, o non so, sociale,

folcloristica...?

125

Purtroppo vedi stavamo parlando prima del punto di vista religioso, a noi dispiace che la festa di

San Cipriano, che era il vecchio patrono di Dorgali, ed un tempo era molto sentita come festa, c'è la

processione con i santi, ecc. non riusciamo a coinvolgere tanta gente alla processione. Ci sono degli

anni che ci siamo solo noi organizzatori e pochissima altra gente. Invece ci sarebbe piaciuta anche

in quel caso lì, dal punto di vista per i gruppi folcloristici, dove per quella festa noi li invitiamo tutt’e

due, perché lì non ci dev’essere competizione: per la festa di San Cornelio e Cipriano dovrebbe

partecipare la maggior parte possibile di gente in costume per fare del folclore e per dare solennità

alla processione stessa. Quindi penso che alla fine prevalga più della convivialità appunto, quindi

non più il fatto religioso. A Buon Cammino devo dire che c'è anche il fatto religioso perché

moltissima gente viene solo per partecipare alla messa, e molti poi non partecipano all’invito o

prendono solo un caffè. Molta è gente anziana che viene più per la messa, i giovani invece per il

momento conviviale.

Che cos’è e cosa rappresenta per te, e per i membri dell’associazione, la pandela? Quindi la pandela

di Bonu camminu”, cioè della Madonna per voi dell’AVIS e, per il Comitato di solidarietà, la

pandela di San Cornelio e Cipriano?

Ecco ci sono queste pandelas, io non ti so dire, il simbolo della festa per cui hai una sorta di affezione

anche a queste due pandelas. Non possiamo dire che ci appartengono, ma ci sentiamo legati diciamo,

emotivamente, sentiamo che ci appartengono per una questione, anche se è a mettere “deu chi su

cuccu” diciamo in sardo, il sacro con il profano, noi quando facciamo la festa di Buon Cammino

portiamo sempre anche il labaro dell’AVIS perché crediamo che chiunque doni sangue fa del bene,

per cui pensiamo che ci stia bene in mezzo a tutte queste pandelas di santi anche la nostra. L’abbiamo

sempre fatto ed è sempre stato accettato dalla chiesa e anche dalla comunità.

Il fatto che ci sia il vessillo profano dell’AVIS, insieme ai vessilli religiosi…

Poi le pandelas di San Cipriano e di Buon Cammino, ormai ripeto, son tanti anni che le facciamo..

E c'è proprio l’identificazione magari della vostra associazione con quel determinato vessillo. Per

quanto riguarda invece l’organizzazione pratica proprio della festa, avete convocato – al di là della

riunione con tutte le altre associazioni per le date ecc. – avete convocato una riunione

espressamente per l’organizzazione della festa o magari avete sfruttato uno degli incontri del

comitato?

Subito dopo che facciamo la riunione in Comune che si decide la data, dal giorno che si decide la

data, iniziamo a fare le prime riunioni per decidere i gruppi che dobbiamo contattare perché poi non

basta che ci sia solo la rappresentanza in Comune, perché poi dobbiamo parlare tra noi. Quindi

facciamo le riunioni che possono essere due o tre o quattro prima della festa.

E quanto tempo prima più o meno?

Normalmente le riunioni in comune vengono convocate da due mesi a due mesi e mezzo prima. Un

anno è successo che quando hanno fatto la riunione in comune eravamo già a ridosso della prima

festa, che è BaluVirde e non andava bene perché poi gli organizzatori chiaramente dicono: “insomma

126

noi abbiamo bisogno di tempo per organizzare!”. Noi che di solito facciamo la seconda o la terza

festa, perché a seconda del calendario religioso, a volte capita che facciamo la seconda Buon

Cammino e poi Su Babbu Mannu perché come San Giovanni hanno date precise, date fisse, che poi

chiaramente si spostano al sabato più vicino. Quindi ai primi di giugno c'è la festa di Su Babbu

Mannu, mi sembra che l’anno scorso l’abbiamo fatta intorno al 7 di giugno, e quindi noi abbiamo

sempre un paio di mesi di tempo per fare le riunioni.

Quindi abbiamo detto, ricevete dal comune anche un contributo economico, dopo che è stata fatta

la festa, dovete portare un resoconto delle spese oppure no ?

Sì, il Comune ci dà il contributo tramite la Proloco, quindi le cose che compriamo le facciamo

fatturare per conto della Proloco. Per cui portiamo le fatture alla Proloco, e poi la Proloco ci dà i

soldi che ha stanziato il Comune.

Però abbiamo detto ricorrete principalmente al sistema delle offerte per finanziare, non tanto la

festa ma quanto l’associazione, cioè le offerte vengono usate solo per l’associazione o per

organizzare la festa dell’anno successivo ?

Sì, bhè le offerte servono anche per pagare l’organizzazione della festa, noi andiamo da Berritta e

da Zizzone, di solito cerchiamo di dividere da una parte e dall’altra, ordiniamo tutto il materiale che

ci serve e non è che pretendano di pagarglielo subito, per cui dopo che abbiamo fatto la festa dai

soldi che prendiamo paghiamo il pane, la spesa nei supermercati, il vino.

Per lo più i prodotti abbiamo detto che vengono offerti dai pastori…

Si, per quanto riguarda la carne sì, però per esempio da dove prendiamo il pane o su moddizzosu,

metà te lo regalano e metà lo paghi. I dolci cerchiamo sempre di coinvolgere tutte le pasticcerie di

Dorgali, e tutti per esempio quando compri due vassoi uno te lo regalano, quindi tutte le associazioni

economiche di Dorgali collaborano, chi più chi meno ma tutte collaborano.

L’invito ora viene esteso a tutta la comunità e ai turisti, mentre prima sappiamo che c’erano le

partecipazioni con il sistema del priorato, ancora oggi fate delle partecipazioni? Estendete l’invito

a tutti?

No, per una questione di maggiore coinvolgimento facciamo le partecipazioni scritte al Comune e

al sindaco, ai vigili urbani, ai carabinieri, ma perché sono le autorità istituzionali. Tutta l’altra gente

è invitata con dei volantini, che mettiamo da una settimana, dieci giorni prima lungo le vie del paese,

e tutta la gente è invitata, nessuno escluso.

I compiti dell’organizzazione abbiamo detto che ve li dividete durante la riunione e poi magari in

base anche alle vostre capacità stesse o al lavoro che magari svolgete quotidianamente, e in questo

caso coinvolgete anche familiari o amici, anche se estranei all'associazione nell’organizzazione

della festa?

Sì, diciamo che ormai fanno parte dell’associazione anche le mogli, sì diciamo le mogli perché siamo

un'associazione a prevalenza “maschile” e ormai partecipano tutte, per esempio per pulire la chiesa

vengono le donne perché non si fidano di come potremmo farlo noi, e però noi siamo ben felici che

127

lo facciano loro perché lo fanno davvero molto meglio, e ci alleviano un po’ dagli altri compiti.

Quindi permane una sorta di dimensione familiare o di amicizia per pulire, per aiutare...?

Quando sanno che dobbiamo fare la festa di Buon Cammino sono molti gli amici, chi lavora per

esempio con i trattori perché hanno macchinari per falciare l’erba, tantissimi si offrono per pulire il

santuario, infatti c'è un gruppo di gente come me che ha il terreno a Oddoene, che il giorno della

festa dalla mattina presto si prendono decespugliatori, zappe, falci e puliscono tutta la strada di

Oddoene per renderla un po’ più libera dalle erbacce. E tutta quella gente lì non fa parte

dell’associazione però hanno piacere perché conoscono noi dell’associazione e ci aiutano in questo

modo. Il coinvolgimento degli amici c'è sempre, anche senza richiesto, come succedeva prima.

Quindi in un certo senso Dorgali viene coinvolto in toto, cioè da chi ha una pasticceria, dai fiorai,

chi ha invece il terreno lì vicino e pur non avendo un attività economica legata…

Sì, per esempio c'era il pastore che adesso quando facciamo la festa di Buon Cammino - che

purtroppo adesso non c'è più - ci regalava una pecora con la frue, con due bei recipienti di frue per

l’invito e questo era il suo modo di partecipare, senza aspettarsi nulla in cambio, tutta la gente si

sente coinvolta senza andare a chiedere: “Mi aiuti?”.

128

Intervista n°8 a una coppia di turisti di Mantova, sessantenni, sposati, ospiti occasionali

della festa della Madonna di Buon Cammino. Intervistati nel corso dell'evento, il 9 giugno

2012.

Da dove provenite?

Da Mantova.

Siete già stati prima in questa zona?

Sono ormai sette anni che veniamo in vacanza in questa zona.

Siete già stati in passato a questa festa?

Sì, due anni fa.

Come siete venuti a sapere dell'esistenza di questa festa? In base a quale circuito di informazione?

Siamo ospiti di un agriturismo e il proprietario ci ha informato sui vari eventi che si svolgono in

questo periodo nella zona di Dorgali e ci ha consigliato di assistere a questa festa.

Vi è piaciuta la festa? Perché?

Avendovi già partecipato due anni fa, stavolta l'abbiamo rivissuta sicuramente con animo diverso

perché sapevamo già cosa aspettarci, ma è comunque sempre bella e davvero suggestiva, in

particolare i tre giri rituali intorno alla chiesa.

E nella vostra zona c'è qualche festa simile o comunque paragonabile a questa?

No, ci sono sagre paesane ma niente di simile, anche alle feste che organizzano da noi le sezioni

locali dell'AVIS è vero che si mangia, ma non così tanto e, soprattutto non si beve così tanto (Ride!).

Aldilà di ciò non sono suggestive come questa.

129

Intervista n°9 a Kristoffer G., 38 anni, turista danese, sposato, ospite occasionale della festa

della Madonna di Buon Cammino, il 9 giugno 2012. Il colloquio si è svolto in inglese, nel

corso dell'evento stesso. Riporto qui la traduzione in italiano.

Da dove proviene?

Sono danese, ma attualmente vivo a Cala Gonone.

E' mai stato a questa festa in passato?

Non a questa in particolare, ma ad altri eventi come questo.

Come è venuto a sapere dell'esistenza di questa festa? In base a quale circuito di informazione?

Tramite Graziella, un'amica di mia moglie.

E nella zona da cui lei proviene, in Danimarca, c'è qualche festa simile o comunque paragonabile

a questa?

No, non come questa.

Intervista n°10 a Maria Caterina T., 53 anni, sposata, turista, ospite occasionale della festa

di San Giovanni Battista. Il colloquio si è svolto nel corso dell'evento stesso, il 23 giugno

2012.

Da dove proviene?

Roma.

E' già stata in questa zona?

Si, anche l’altro anno.

E' mai stata prima a questa festa?

No mai, questa è la prima volta.

Come è venuta a conoscenza di questa festa?

Dalla Proloco, giù a Calagonone.

Cosa l'ha colpita di più?

La messa e il coro, veramente bravissimi, mi sono piaciuti tantissimo anche perché noi siamo abituati

dalla nostra parrocchia, dove c'è un coro, e appunto le mie orecchie sono abituate a 'sta cosa.

Da voi c'è qualche festa simile?

No, noi da tre, quattro anni facciamo una festa patronale di San Cipriano a settembre, però il parroco

ha preferito farla dopo la Pentecoste...

E' organizzata in modo simile a questo?

Sì sì, in modo diverso, da noi dura una settimana...

130

Intervista n°11 a Brigida, 44 anni, sposata, emigrata originaria di Dorgali, ospite

occasionale della festa di San Pantaleo. Il colloquio si è svolto nel corso dell'evento stesso,

il 29 luglio 2012.

Da quanto è fuori da Dorgali?

Da vent’anni.

Torna spesso per le vacanze?

Circa un mese all’anno, da metà luglio a fine agosto.

E' mai stata prima a questa festa?

Sì, ci sono già stata quando si poteva venire a piedi, non mi ricordo di preciso quanti anni fa, forse

venti. Poi sono venuta sette anni fa e abbiamo preso le canoe. E' stato bellissimo, abbiamo disceso

il fiume e poi abbiamo preso questo sentiero con mio marito e i miei fratelli.

La chiesa com’era?

La chiesa era praticamente abbandonata, era aperta e c'erano solamente pipistrelli e basta.

Quindi non era stata ancora ripristinata la festa?

No eravamo ancora nel 2006, forse 2005.

E alle altre feste di pandela è mai stata recentemente?

Sì, avevamo fatto la festa di San Giovanni nel 1983.

Quindi lei ha conosciuto la festa sia con il priorato che con le associazioni. Ha notato qualche

cambiamento?

Un cambiamento mi sembra che, non so come dire, l’atteggiamento, il modo di porsi è sempre molto

intenso, la preparazione da quello che ho visto è sempre molto attenta.

Sempre suggestivo allo stesso modo oppure...?

Sì, io mi ricordo mia madre che già da quando c’era stata la consegna de sa pandela c’era tutta la

preparazione, che so, il corredo per quelli che preparavano in cucina il sugo, la carne arrosto, dal

grembiulino allo strofinaccio.

Nella vostra zona, dove vivete adesso, c'è qualche festa simile?

C'è la festa dei Cristi a Lecco, c'è la festa della Madonna di Monteallegro dove si porta la statua in

spalla da un santuario, e poi che io sappia non ci sono altre feste così se non nei piccoli centri ma

non cosi, non con questo sentore.

131

Intervista n°12 a Nina, 36 anni, turista belga, sposata, in vacanza con il marito e tre figli;

ospite occasionale della festa di San Pantaleo, il 29 luglio 2012. Il colloquio si è svolto in

inglese, nel corso dell'evento stesso. Riporto qui la traduzione in italiano.

Da dove provenite?

Dal Belgio.

Siete mai stati a questa festa in passato?

No, è la prima volta.

Come siete venuti a conoscenza di questa festa?

E' stato un caso, stavamo facendo un'escursione in canoa lungo il corso del fiume e, vedendo

movimento vicino ai pontili, ci siamo avvicinati e alcuni ragazzi ci hanno invitato a partecipare alla

festa. Così abbiamo lasciato le canoe vicino al pontile e siamo saliti.

Ci sono feste simili a questa nella vostra zona, in Belgio?

Non come questa. In passato c'erano, venti o trent'anni fa.

Vi siete divertiti alla festa? Vi è piaciuta?

Ci è piaciuta davvero molto, è veramente autentica, genuina!

132

Bibliografia

Aime, M., 2008, Il primo libro di antropologia, Torino, Einaudi.

Augé, M., Colleyn, J.P., 2006, L'antropologia del mondo contemporaneo, Milano,

Elèuthera.

Bianco, C., 1988, Dall'evento al documento. Orientamenti etnografici, Roma,

Cisu, pp.161-189.

Caillè, A., 1998, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Torino,

Bollati Boringhieri.

Colomo, S., Ticca, F., 1985, Guida di Dorgali e Cala Gonone, Sassari, Editrice

Archivio Fotografico Sardo Nuoro.

Corda, E., 1990, Storia di Dorgali e della Marina di Cala Gonone 1833-1953,

Milano, Rusconi.

Da Re, M.G., 1993, Gli eredi della Santa. Una festa di parenti a Baunei

(Sardegna), in “La Ricerca Folklorica”, n.27, aprile 1993, p.45.

Deledda, G., 1892, Fior di Sardegna, “La biblioteca dell'identità de L'Unione

Sarda”, n.32, p.107.

Fronteddu, A., 1987, tesi di laurea Le feste popolari nel comune di Dorgali,

Università degli studi di Perugia, Facoltà di lettere e filosofia, Istituto di etnologia

e antropologia culturale, relatore Tullio Seppilli.

Gallini, C., 2003 (1971), Il Consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna, Nuoro,

Ilisso.

133

Godbout, J.T., 1993, Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri.

Lanternari, V., 1984, Preistoria e folklore. Tradizioni etnografiche e religiose

della Sardegna, Sassari, L'Asfodelo Editore.

Malinowski, B., 2004 (1922), Gli Argonauti del Pacifico occidentale, Torino,

Bollati Boringhieri.

Mauss, M., 1965 (1922), Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle

società arcaiche, Torino, Einaudi.

Mele, S., 2009, Gallura Felix . Il sud del Giudicato di Gallura e il territorio del

castro nel Medioevo. Dorgali, Sassari, Isola Editrice.

Murru Corriga, G., 2007, La festa come dono. Antenati, cibo e memoria culturale

a Dorgali., in “Lares”.

Pisanu, G., 1997, Dorgali. Storia e memorie della comunità (1340-1946),

Cagliari, Edizioni della Torre.

Taramelli, A., 1985, Scavi e scoperte 1922-1939 vol.IV, collana Sardegna

Archeologica Reprints, Roma, Carlo Delfino Editore.

Tiragallo, F., 2007, Il dono della festa e la sua memoria visiva. Solidarietà,

circolazione di cibo e di immagini in una festa religiosa della Sardegna centrale,

in “Religioni e società”, pp.31-44 .

Useli, D., 2004, Storia di un giornalaio: racconti e memorie - II volume, Dorgali,

Artigrafiche Su Craminu.

Warnier, J.P., 2005, La Cultura Materiale, Roma, Meltemi.

134

©RIPRODUZIONE RISERVATA.