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IL MUSEO EBRAICO “GERUSALEMME SULL’ISONZO” Fin dal momento della riapertura nel 1984 la sinagoga è stata sede di una esposizione permanente dedicata all'ebraismo goriziano, predisposta, aggiornata e integrata con mostre tematiche dall'Associazione Amici di Israele, i cui soci garantiscono anche l'apertura al pubblico della struttura, e per un periodo anche dall'Istituto per gli studi ebraici della Mitteleuropa. Nel 1998, con l'inserimento della sinagoga nel Parco culturale goriziano, è stato realizzato uno spazio espositivo moderno e funzionale, con isole informatiche e pannelli didattici a corredo dell'esposizione permanente. In questo modo il Comune di Gorizia ha dato nuovo impulso e soprattutto continuità nel tempo alla attività culturale della sinagoga, inserendola nel circuito museale cittadino e in particolare nel progetto del Museo civico articolato su più sedi. Il rapporto con l'Associazione Amici di Israele è stato istituzionalizzato tramite una apposita convenzione, e la sezione espositiva nell'atrio del tempio è stata trasformata in un museo dedicato all'ebraismo e alla comunità ebraica goriziana denominato “Gerusalemme sull'Isonzo”, a cui è stata affiancata una saletta dedicata a Carlo Michelstaedter. Strutture mobili e bacheche disposte lungo le pareti dell’atrio permettono l’allestimento di esposizioni tematiche temporanee su argomenti della storia e della cultura ebraica e israeliana. Il museo è estato realizzato in base a un’impostazione didattica, tenendo conto da un lato che parte dell’utenza è costituita da classi scolastiche, dall’altro che, a causa dell’asportazione degli arredi nel corso della seconda guerra mondiale e dell’assenza di una Comunità a Gorizia, gli oggetti storici facenti parte del patrimonio museale sono necessariamente limitati. Il percorso di visita è strutturato pertanto in una serie di pannelli di facile lettura, riccamente illustrati e intervallati da ariose vetrine in cui sono disposti oggetti significativi (tra i pochi elementi originali, uno shofar anticamente appartenuto alla sinagoga; altri sono moderni, o riproduzioni di oggetti d’epoca; altri ancora vengono acquisiti tramite donazioni o mediante acquisti in antiquariato). Tra le vetrine inserite nel percorso espositivo, di particolare effetto sono quelle delle tavole apparecchiate per il sabato e per la cena pasquale (il seder di Pesach). Il museo della sinagoga, realizzato dall'Assessorato alla cultura del Comune di Gorizia con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio, e il cui allestimento è stato curato dall'associazione culturale “Il Millennio” e dall'Associazione Amici di Israele, illustra la storia del popolo di Israele dai tempi biblici alla diaspora, con la descrizione dei riti e delle celebrazioni, della vita quotidiana e delle principali festività religiose. Ampio spazio è dedicato quindi alla storia della comunità ebraica goriziana: il primo insediamento ebraico in epoca medioevale, l'istituzione del ghetto, i pregiudizi nei confronti degli ebrei, la "Patente di tolleranza" di Giuseppe II, l'emancipazione, la vita economica e sociale, l'irredentismo, il sionismo, la deportazione, i personaggi illustri. In una sala a parte sono esposte le più significative opere pittoriche e

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IL MUSEO EBRAICO “GERUSALEMME SULL’ISONZO”

Fin dal momento della riapertura nel 1984 la sinagoga è stata sede di una esposizione permanente dedicata all'ebraismo goriziano, predisposta, aggiornata e integrata con mostre tematiche dall'Associazione Amici di Israele, i cui soci garantiscono anche l'apertura al pubblico della struttura, e per un periodo anche dall'Istituto per gli studi ebraici della Mitteleuropa. Nel 1998, con l'inserimento della sinagoga nel Parco culturale goriziano, è stato realizzato uno spazio espositivo moderno e funzionale, con isole informatiche e pannelli didattici a corredo dell'esposizione permanente. In questo modo il Comune di Gorizia ha dato nuovo impulso e soprattutto continuità nel tempo alla attività culturale della sinagoga, inserendola nel circuito museale cittadino e in particolare nel progetto del Museo civico articolato su più sedi. Il rapporto con l'Associazione Amici di Israele è stato istituzionalizzato tramite una apposita convenzione, e la sezione espositiva nell'atrio del tempio è stata trasformata in un museo dedicato all'ebraismo e alla comunità ebraica goriziana denominato “Gerusalemme sull'Isonzo”, a cui è stata affiancata una saletta dedicata a Carlo Michelstaedter.Strutture mobili e bacheche disposte lungo le pareti dell’atrio permettono l’allestimento di esposizioni tematiche temporanee su argomenti della storia e della cultura ebraica e israeliana.Il museo è estato realizzato in base a un’impostazione didattica, tenendo conto da un lato che parte dell’utenza è costituita da classi scolastiche, dall’altro che, a causa dell’asportazione degli arredi nel corso della seconda guerra mondiale e dell’assenza di una Comunità a Gorizia, gli oggetti storici facenti parte del patrimonio museale sono necessariamente limitati. Il percorso di visita è strutturato pertanto in una serie di pannelli di facile lettura, riccamente illustrati e intervallati da ariose vetrine in cui sono disposti oggetti significativi (tra i pochi elementi originali, uno shofar anticamente appartenuto alla sinagoga; altri sono moderni, o riproduzioni di oggetti d’epoca; altri ancora vengono acquisiti tramite donazioni o mediante acquisti in antiquariato). Tra le vetrine inserite nel percorso espositivo, di particolare effetto sono quelle delle tavole apparecchiate per il sabato e per la cena pasquale (il seder di Pesach).Il museo della sinagoga, realizzato dall'Assessorato alla cultura del Comune di Gorizia con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio, e il cui allestimento è stato curato

dall'associazione culturale “Il Millennio” e dall'Associazione Amici di Israele, illustra la storia del popolo di Israele dai tempi biblici alla diaspora, con la descrizione dei riti e delle celebrazioni, della vita quotidiana e delle principali festività religiose. Ampio spazio è dedicato quindi alla storia della comunità ebraica goriziana: il primo insediamento ebraico in epoca medioevale, l'istituzione del ghetto, i pregiudizi nei confronti degli ebrei, la "Patente di tolleranza" di Giuseppe II, l'emancipazione, la vita economica e sociale, l'irredentismo, il sionismo, la deportazione, i personaggi illustri.In una sala a parte sono esposte le più significative opere pittoriche e

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grafiche di Carlo Michelstaedter, messe a disposizione dalla Biblioteca Civica di Gorizia dove è conservato il “Fondo Carlo Michelstaedter” con i manoscritti del filosofo goriziano e tutta la documentazione che lo riguarda. Una postazione video consente al visitatore un approfondimento sulla figura di Michelstaedter artista, ma soprattutto filosofo, inquadrato nell’ambiente goriziano tra fine Ottocento e primo Novecento.I testi dei pannelli sono stati redatti da Antonella Gallarotti, Beatrice Micovilovich e Manuela Tomadin.

STORIAA Gorizia non c'è più una comunità ebraica. C'è una sinagoga, un luogo di memorie storiche, culturali e religiose che ripropongono al visitatore il ricordo di un passato che la follia degli uomini ha pensato di poter cancellare. Gli ebrei di Gorizia sono - quasi tutti - morti o lontani: ma la città di Gorizia conserva il ricordo degli uomini e delle donne di religione ebraica vissuti qui. Questa è la loro storia: e dal momento che fa parte della città, è anche la nostra.

GLI EBREI E LA DIASPORALa storia degli ebrei comincia 4000 anni fa, quando Abramo, il capostipite del popolo di Israele, lasciò la città di Ur per stabilirsi nella terra di Canaan, dove, secondo la promessa del Signore, la sua discendenza “sarà più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare”.Nella Bibbia sono narrate le vicende di Abramo, il patriarca riconosciuto come uomo buono e pio dalle tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo), e dei suoi discendenti,

che si mantennero fedeli all'alleanza con il Signore, Dio di Israele, anche se intorno a loro vivevano popolazioni pagane.I comandamenti della religione ebraica sono contenuti nelle Tavole della Legge che Mosè ricevette sul monte Sinai: i Dieci Comandamenti, precisati da una serie di regole contenute nella Torah (la Legge).Nella terra di Canaan, i discendenti di Abramo fondarono il regno di Israele. Nella capitale, Gerusalemme, il re Salomone fece costruire il Tempio dove onorare il Signore.Nel corso dei secoli, la terra degli ebrei venne invasa da assiri, persiani, egiziani, siriani e romani. Sotto la dominazione romana, nel 70, il Tempio fu distrutto. Ne restò solo un muro: il Muro del Pianto. Ebbe allora inizio la Diaspora, cioè la dispersione degli ebrei al di fuori del loro paese, che non esistette più come stato indipendente fino al 1948.

Dispersi nelle altre nazioni, gli ebrei mantennero la loro religione e le loro tradizioni, e costituirono una minoranza, spesso oggetto di pregiudizi, discriminazioni e persecuzioni. Nel Medioevo dovettero portare un segno distintivo: un cerchio di stoffa gialla sugli abiti, un cappello giallo o una cordella arancione intorno al cappello. Vennero obbligati ad abitare in

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un quartiere chiuso, chiamato “ghetto”, poterono esercitare solo alcune professioni e furono spesso espulsi dai paesi in cui risiedevano.Gli ebrei che si stabilirono in Spagna e nei paesi dell'Europa mediterranea parlano il ladino e vengono chiamati sefarditi. Quelli della Germania e dell'Europa centro-orientale sono detti ashkenaziti e usano una lingua derivata dall'ebraico e dal tedesco: lo yiddish. L'ebraico resta sempre la lingua della preghiera. La comunità ebraica goriziana era composta da ebrei ashkenaziti.

LA RELIGIONE E LA VITA QUOTIDIANA“Non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah, il resto è commento.” Così il rabbino Hillel sintetizzò l'essenza della religione ebraica.Oltre ai Dieci Comandamenti, la Torah contiene 613 precetti (azioni da compiere e divieti). A queste disposizioni si aggiungono i commenti e le interpretazioni della Legge: la Mishnà e il Talmud.La preghiera quotidiana individuale si ripete al mattino, al pomeriggio e alla sera. Le preghiere si recitano in ebraico, a capo coperto. Per pregare l'ebreo indossa il tallith, lo scialle da preghiera, e si applica sulla fronte e sul braccio sinistro i tefillin (filatteri) contenenti dei versetti biblici. Il giorno dello shabbath e in occasione delle festività la preghiera comunitaria ha luogo nella sinagoga, dove vengono letti brani della Torah.Solo l'uomo è tenuto ad osservare il precetto della preghiera, studiare la Torah e frequentare la sinagoga. La donna ha il compito di mantenere le tradizioni e di applicare le norme nella vita quotidiana e familiare (particolarmente importante, e non sempre semplice, è l'osservanza delle regole alimentari).

Otto giorni dopo la nascita, il bambino ebreo viene circonciso e riceve il proprio nome. A tredici anni il ragazzo conferma la sua adesione alla comunità ebraica, di cui entra a far parte, e diventa bar mitzvà (figlio del precetto). All'interno della sinagoga l'ebreo tiene il capo coperto, in segno di rispetto, con la kippah (zucchetto) o con un cappello. Gli ebrei ortodossi, di stretta osservanza, non si tagliano la barba e indossano sempre la kippah. Lo shabbath, il settimo giorno della settimana, giorno di riposo e di festa, inizia al tramonto del venerdì e termina la sera del sabato, all'apparire della prima stella. Come il Signore, nella Bibbia, dopo la creazione del mondo riposò il settimo giorno, così anche l'uomo deve interrompere il lavoro e dedicare un giorno alla preghiera, alla lettura dei libri sacri, alla propria famiglia. Per sottolineare l'importanza di questo fatto, durante lo shabbath l'ebreo deve evitare una serie di azioni che rientrano nell'ambito del “lavoro” (non necessariamente materiale): viaggiare, scrivere, cucinare, accendere o spegnere qualunque apparecchiatura, maneggiare

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denaro. Lo shabbath si apre con la funzione religiosa in sinagoga. La cena è preceduta dall'accensione delle candele dello shabbath da parte della padrona di casa, e dalla benedizione del vino e del pane da parte del capofamiglia. E' consuetudine invitare a tavola un ospite: un povero, uno straniero, una persona sola, per condividere la gioia dello shabbath.

LE FESTEL'anno ebraico, che segue il calendario lunare, inizia in autunno. Il giorno di Capodanno è chiamato Rosh ha-Shanah. In questo giorno, che è l'anniversario della creazione del mondo, il Signore scrive nel libro della vita e della morte le azioni compiute da ognuno nell'anno trascorso. In sinagoga si suona lo shofàr, uno strumento a fiato ricavato da un corno d'ariete. A Rosh ha-Shanah segue un periodo di pentimento che culmina con il digiuno di Yom Kippur, il giorno dell'espiazione, in cui si implora il perdono divino per le proprie colpe e per quelle di tutto il popolo.Sukkoth, la festa delle capanne, ricorda i quarant'anni trascorsi dagli ebrei nel deserto. Durante la festa si trascorre la giornata in una capanna di frasche. E' una festa gioiosa, che ricorda la presenza del Signore che guidava gli ebrei verso la Terra Promessa.Simchat Torah, la festa della gioia della Torah, conclude il ciclo annuale della lettura dei libri del Pentateuco nella sinagoga, che riprende di nuovo dall'inizio. I rotoli della Torah vengono portati in processione, mentre i fedeli cantano e danzano in segno di gioia. Hanukkah ricorda la rivolta dei Maccabei contro gli invasori siriani che avevano profanato il Tempio, e il miracolo avvenuto quando il poco olio consacrato rimasto, appena sufficiente a tenere acceso il lume per un giorno, durò per otto giorni, il tempo necessario a consacrarne dell'altro. Hanukkah è la festa delle luci: dura otto giorni, in ognuno dei quali si accende una candela, e i bambini ricevono regali.Purim rievoca l'episodio biblico in cui la regina Ester, ebrea, salvò il suo popolo dallo sterminio progettato dal ministro persiano Haman. Viene letto il libro di Ester (meghillah Ester) e vengono preparati dolci che portano il nome del malvagio Haman (orecchie di Haman, tasche di Haman), che viene così simbolicamente mangiato e distrutto. I bambini si mettono in maschera e fanno festa, e portano in dono i dolci alle famiglie di amici. Anche i poveri ricevono doni in questa occasione. Pesach (Pasqua) ricorda la liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto. E' detta anche la festa degli azzimi (pani non lievitati), dal momento che nella fretta della partenza gli ebrei non ebbero il tempo di far lievitare il pane: a Pesach il lievito è proibito, e prima della festa la dispensa viene ripulita da ogni cosa che possa conservare una traccia di lievito o di fermentazione. Durante la cena pasquale, o sedèr, si mangia pane azzimo senza sale insieme a cibi simbolici: agnello, uovo sodo (simbolo di morte e di immortalità), erbe amare che ricordano la schiavitù, haroset, un impasto di frutta che ricorda l'impasto con cui gli schiavi ebrei fabbricavano mattoni, sedano (simbolo di rinnovamento). Si legge l'Haggadah, che descrive l'uscita dall'Egitto; il più giovane della famiglia pone domande, per sapere “perché questa notte è diversa dalle altre notti”.Shavuot, la festa delle primizie e della mietitura, ricorda il dono della Torah fatto dal Signore a Israele quando diede le Tavole della Legge a Mosè sul monte Sinai.

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LA COMUNITà EBRAICA GORIZIANA LE ORIGINILa presenza di ebrei a Gorizia coincide con l'inizio della storia della città. Nel Medioevo è documentata da riferimenti contenuti in pergamene ed atti notarili. Si tratta prevalentemente di contratti di acquisto e di vendita o di prestiti di denaro: infatti gli ebrei esercitavano l'attività di prestatori su pegno, vietata ai cristiani.I primi nomi che si conoscono risalgono alla fine del Duecento e all'inizio del Trecento: Isacco (prima del 1299), Bonaventura detto Eisel (1307), Israel (prima del 1313), Bonissachus (1316). Quest'ultimo abitava in una delle case della “città bassa”, nella “piazza inferiore” ai piedi del colle del castello.

A quell'epoca a Gorizia non esisteva ancora il ghetto, i n t e s o c o m e q u a r t i e r e separato dal resto della città in cui gli ebrei fossero o b b l i g a t i a r i s i e d e r e . Accadeva però spesso che le persone accomunate dalla s t e s s a r e l i g i o n e o dall'esercizio della stessa professione concentrassero le loro abitazioni e le loro botteghe nella medesima via. L'obbligo per gli ebrei di risiedere in un quartiere separato dal resto della città venne introdotto però solo più tardi. A Gorizia gli ebrei abitavano

prevalentemente in Cocevia e in alcune delle vie adiacenti, cioè nella parte vecchia della città. Lì si trovavano le loro case, le agenzie di pegno, l'oratorio dove avevano luogo le funzioni religiose e una fontana, che era conosciuta come “fontana degli ebrei”.Nel corso del Cinquecento furono emanati diversi editti di espulsione degli ebrei da tutti i territori dell'impero asburgico, anche se i governanti goriziani chiesero che venissero fatte delle eccezioni. Nel 1624 Giuseppe (o Gioele) Pincherle e la sua famiglia ricevettero la qualifica di “Hofjuden” (ebrei di corte): così venivano chiamati gli ebrei che, prestando denaro alle case regnanti, erano ammessi a godere di uno status particolare. Gli “Hofjuden” non erano obbligati a portare il segno distintivo imposto agli ebrei, potevano viaggiare e commerciare liberamente, avere banchi di pegno e acquistare beni immobili, ed inoltre erano esclusi da ogni ordine di espulsione.

ISTITUZIONE DEL GHETTOIl 24 marzo 1696 l'imperatore Leopoldo I firmò il decreto con cui istituiva il ghetto di Gorizia. Ciò accadeva piuttosto tardi. Infatti in area mediterranea e mediorientale quartieri ebraici chiusi da muri e portoni erano esistiti già dall'XI secolo, mentre del XIII secolo in Europa erano stati emanati decreti con cui si imponeva agli ebrei la residenza coatta. Forse sulla scia di analoghi provvedimenti attuati nell'impero asburgico (il ghetto di Trieste era stato istituito l'anno prima), forse a causa del malumore popolare dovuto al fatto che gli ebrei goriziani erano rimasti immuni dalla pestilenza che aveva colpito la città pochi anni prima, nel 1682, venne

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stabilito che anche gli ebrei di Gorizia dovessero risiedere in un quartiere a parte, anche “per miglior separazione e venerazione dei riti cristiani del Sacramento a processioni che passano“.I nobili goriziani Ludovico Formentini e Giacomo Antonio Morelli di Schönfeld furono incaricati di individuare l'area destinata al ghetto. Fu scelta la parte nord della Contrada di San Giovanni. La zona era delimitata da due lati dal torrente Corno; la via venne chiusa con un portone dopo la chiesa di San Giovanni e furono murate le finestre delle case che davano verso l'esterno. Nonostante le proteste degli ebrei, tutto fu concluso velocemente e nel maggio 1698 il ghetto era pronto. Una lapide a ricordo dell'avvenimento fu posta a fianco del portone: in essa si ricordava come i Giudei fossero stati “collocati et clausi” in un quartiere separato dal resto della città. Qui erano obbligati a risiedere, dovevano rientrarvi prima del calar della notte, non potevano uscirne le domeniche e le festività cristiane.

LA “PATENTE DI TOLLERANZA”Soltanto nel 1781 l'imperatore Giuseppe II emanò la cosiddetta “patente di tolleranza”, un decreto che vietava ogni discriminazione basata su motivi religiosi in tutto il territorio dell'Impero. Un decreto riguardante in particolare gli ebrei della contea di Gorizia e Gradisca fu pubblicato il 1790. La sua applicazione non fu facile nè immediata. L'arcivescovo di Gorizia, Rodolfo d'Edling, si rifiutò di darvi seguito, entrò in conflitto con l'imperatore e venne per questo costretto a rassegnare le dimissioni dalla sua carica.

L'EMANCIPAZIONESolo all'epoca della dominazione francese, però, agli ebrei vennero riconosciuti tutti i diritti civili. Del consiglio comunale insediato nel 1797, dopo l'entrata a Gorizia delle truppe di Napoleone, fecero parte per la prima volta anche due ebrei: Abramo e Raffaele Luzzatto. Gli ebrei poterono scegliere di nuovo liberamente il luogo di residenza: nel 1810 il ghetto venne formalmente abolito, e nel 1812 il cancello che lo chiudeva fu rimosso e la lapide che ne rievocava l'istituzione distrutta, mentre la zona riprendeva l'antico nome di “Contrada di San Giovanni”. A quello stesso anno (1812) risale la costruzione della casa dei banchieri Senigaglia in via San Giovanni, all'esterno, sia pure per poche decine di metri, dal perimetro del ghetto. Al r i torno dell'Austria, sia pure con qualche difficoltà, i diritti acquisiti furono quasi tutti confermati. Il quartiere fu di nuovo chiamato Ghetto, ma gli ebrei benestanti continuarono a risiedere altrove, mentre le loro case diventavano abitazione di cristiani appartenenti ai ceti inferiori della popolazione.

I PREGIUDIZI La diffidenza nei confronti di chi non condivideva la religione della maggioranza della popolazione non era però del tutto eliminabile. Come accadde spesso, anche nella storia di Gorizia si registrarono episodi di contrasto e di intolleranza, per quanto in città non si verificassero

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battesimi segreti, rapimenti di bambini ebrei per allevarli nella religione cristiana o conversioni forzate.All'inizio del Trecento alcuni ebrei goriziani furono denunciati all'Inquisizione da un loro correligionario di nome Venturino. Alcuni ritenevano che durante i riti ebraici venissero profanate le ostie consacrate: nel 1678 alcuni eretici offrirono in vendita delle particole, sottratte in una chiesa di Lubiana, agli ebrei di Gorizia, che però accusarono i venditori alle autorità, evitando così di essere perseguiti. Anche dopo l'istituzione del ghetto vi furono delle polemiche. Nel 1714 un religioso, il carmelitano Casimiro della Passione, si lamentò che gli ebrei goriziani non rispettavano l'obbligo di portare il “segno”, continuavano a “tener bottega” all'esterno del ghetto ed avevano al loro servizio donne cristiane. Ci fu anche un episodio che nel 1718 vide contrapposti un gruppo di studenti cristiani che volevano entrare nella sinagoga “per curiosità” durante le funzioni del sabato e alcuni ebrei che glielo impedirono.Un editto del 1769 che invitava i cittadini di Gorizia a non molestare gli ebrei fa supporre che si fosse stato qualche problema anche in quell'epoca.Ancora alla fine dell'Ottocento il giornale “L'Eco del Litorale” dava notizia di un presunto omicidio rituale avvenuto a Tisza-Ezlar per usare il sangue di un bambino cristiano nei riti pasquali. Benedetto Morpurgo replicò alla calunnia antiebraica con due opuscoli in cui confutava l'accusa.

LA VITA ECONOMICA E SOCIALEUna delle industrie più fiorenti del ghetto era la filatura della seta, che nel Settecento dava lavoro a molti operai ebrei e cristiani. Da uno dei laboratori che si trovavano qui, quello di Lazzaro Norsa, proviene la grande torcitrice a 144 fuselli, oggi esposta ai Musei Provinciali. Ancora pochi anni fa venivano rinvenuti nelle soffitte delle case di via Ascoli i bozzoli dei bachi da seta, o “gallette”. Altri laboratori, di proprietà di imprenditori ebrei, si trovavano fuori dai confini del ghetto: quello di Moisè Morpurgo aveva sede nell 'ex monastero di Santa Chiara. I fratelli Morpurgo possedevano anche una fabbrica di cera.I banchi di pegno si trasformarono con il tempo in agenzie d i pres t i to e d i cambiavalute, i cui titolari erano anche rappresentanti di compagnie di assicurazioni. Nelle agenzie di cambiavalute si potevano anche acquistare biglietti di lotterie e fare le giocate del lotto.G l i e b r e i g o r i z i a n i e r a n o a n c h e commercianti. Nel Settecento le loro botteghe si trovavano in ghetto: vi si vendevano “ferravezza”, “strazzerie”, “effetti c o n t a d i n i ” , g e n e r i c o m m e s t i b i l i . Nell'Ottocento invece molti dei loro negozi erano situati in via Rastello e in Piazza Grande: in molti casi si trattava di negozi di chincaglierie, cioè di articoli vari. Alcuni si specializzavano in un settore (manifatture, telerie). La famiglia Jona gestiva la dispensa distrettuale tabacchi.I nomi dei più ricchi ebrei goriziani sono entrati nei modi di dire popolari. Il detto “non ho io la borsa del Senigaglia!”, usato quando veniva richiesto qualcosa di costoso, che si riteneva superiore al tenor di vita dell'interpellato, si riferiva alla ricchezza del banchiere e commerciante Jacob

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Senigaglia, uno dei primi ad acquistare case all'esterno del ghetto. Analogo significato aveva l'altro detto, riferito alla cassaforte della ditta Jona: “cosa credi, che abbia la cassa del Jona?” Dopo l'emancipazione, gli ebrei intrapresero anche altre professioni. Giovanni Jona (1815-1878) fu il primo avvocato ebreo della contea (esercitò prima a Rovigno, poi a Gorizia) e fu consigliere comunale dal 1861 al 1877 per il partito cittadino. Molti altri ebrei furono consiglieri comunali e presero parte attiva alla vita culturale, sociale e associativa della città. Aronne Luzzatto, protomedico del Comune, redasse i rapporti sanitari dal 1876 al 1901 e pubblicò diverse monografie di carattere sanitario. Altri stimati medici furono Oscar Morpurgo, Vittorio Pavia e Silvio Morpurgo. Agli architetti Emilio e Girolamo Luzzatto, fratelli, si devono i progetti di molti edifici goriziani tra la fine dell'Ottocento e il primo Novecento.

IL SIONISMOGli ebrei goriziani erano tutto sommato ben inseriti nella realtà cittadina, consapevoli della propria appartenenza religiosa ma senza eccessi. Solo dopo la prima guerra mondiale si costituì in città un gruppo sionista, che teorizzava il ritorno degli ebrei nella terra dei padri. Il gruppo giovanile si chiamava “Tikvah-Hechaluts” (la speranza del pioniere). I giovani associati si preparavano a trasferirsi in Palestina, dove avrebbero lavorato la terra: per questo si allenavano al lavoro agricolo e facevano escursioni a contatto con la natura nei dintorni di Gorizia.Alcuni emigrarono davvero e realizzarono il loro sogno. Altri furono fermati per sempre dalla guerra e dalla persecuzione, e non videro mai lo Stato di Israele.

L'IRREDENTISMODopo il 1848, con i primi moti nazionali e le guerre del Risorgimento, si affermò anche a Gorizia una coscienza della propria identità nazionale italiana, che si proponeva il

congiungimento politico della città con il Regno d'Italia.Si trattava di una scelta culturale ed ideologica più che di un fattore di ereditarietà: in particolare, molti ebrei goriziani erano di origine tedesca, come risulta evidente dai loro cognomi (Herzenau, Marpurg, Michelstaedter).Molti ebrei di Gorizia erano irredentisti, al punto che nei rapporti di polizia austriaci che segnalavano gli elementi sospetti e i nazionalisti italiani spesso veniva riportato testualmente “quasi tutto il ghetto”. Veniva citato frequentemente anche l'“avvocato giudeo” Giovanni Jona. Negli anni successivi furono soprattutto le donne a tenere alta la fiaccola dell'irredentismo: la giornalista Carolina Luzzatto più di ogni altra. Ma non fu la sola. Nei primi mesi del primo conflitto mondiale, prima dell'entrata in guerra dell'Italia, operò a Gorizia un gruppo di patrioti che raccoglieva notizie su movimenti e posizioni di truppe per comunicarle allo Stato Maggiore italiano. Del gruppo facevano parte anche Olga Lopez Perera Pincherle e le sue giovani figlie, Emilia e Lea. La famiglia fu “discriminata” all'epoca delle leggi razziali, ma ciò non impedì ai nazisti di deportare ad Auschwitz Olga ed Emilia.Giovani ebrei goriziani si arruolarono volontari nell'esercito italiano e combatterono le truppe austriache. Tra essi Edgardo Bolaffio, morto sul Calvario il 19 luglio 1915.

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La scelta liberal-nazionale della borghesia ebraica goriziana e la sua integrazione nei circoli intellettuali laici della città provocò in diverse occasioni gli attacchi della stampa lealista e clericale, che usava l'antisemitismo in chiave antirredentista.

LA PERSECUZIONE IN EUROPALe persecuzioni nei confronti degli ebrei si ripeterono periodicamente nel corso dei secoli. Espulsioni, pogrom, accuse infondate di omicidi e profanazioni erano il modo di esprimere la propria diffidenza ed ostilità verso chi era considerato diverso.Nel XX secolo queste forme di ostilità raggiunsero il culmine in Germania con l'avvento al potere di Adolf Hitler e con il mito della razza ariana, “pura” e superiore alle altre, considerate “inferiori”. Prime vittime di questa assurda teoria furono gli ebrei.

Iniziata come discriminazione razziale con la propaganda antisemita e con la legislazione antiebraica delle leggi di Norimberga che nel settembre 1935 esclusero gli ebrei dalla vita pubblica e dalle attività economiche, la persecuzione nei confronti degli ebrei diventò drammatica con la Kristalnacht (notte dei cristalli) del 9 novembre 1938: in tutta la Germania le sinagoghe vennero incendiate, i negozi di proprietà di ebrei saccheggiati e devastati, molti ebrei arrestati e deportati in campi di concentramento. Le azioni di violenza contro gli ebrei si moltiplicarono, e quando i nazisti occuparono i Paesi vicini, si rivolsero anche contro gli ebrei di quelle comunità, con il proposito di rendere l'Europa Judenrein (libera dagli ebrei). Vennero così istituiti ghetti per gli ebrei, mentre nei lager si attuava freddamente lo sterminio di una “razza inferiore”. Gli ebrei (insieme a zingari, omosessuali, oppositori politici, ecclesiastici, prigionieri di guerra) venivano uccisi con il gas o morivano di sfinimento e a causa dei maltrattamenti. Auschwitz, Dachau, Bergen Belsen, Mauthausen sono i nomi più tristemente famosi dei campi di sterminio dove sei milioni di ebrei vennero uccisi durante l'Olocausto.

LA DEPORTAZIONEL'emanazione delle leggi razziali nel 1938 comportò tra l'altro la perdita della cittadinanza italiana per gli ebrei che la avevano acquisita successivamente al 1919: a Gorizia, quanti provenivano dall'Europa centrale. Alcuni tornarono nei loro Paesi d'origine.Gli ebrei goriziani subirono la sorte dei loro correligionari del resto d'Italia: in quanto “non ariani” i loro diritti civili vennero ridotti, fino alla perdita del lavoro e all'allontanamento dalle scuole.

La situazione peggiorò quando, il 15 ottobre 1943, Gorizia entrò a far parte del Litorale Adriatico e fu sottoposta alla giurisdizione tedesca, al cui territorio ora apparteneva. La notte del 23 novembre 1943 davanti al portone della sinagoga si fermò un camion su cui i nazisti costrinsero a salire gli ebrei che erano rimasti a Gorizia. Molti si erano trasferiti, vivevano nascosti o avevano raggiunto i partigiani: tra questi ultimi i f r a t e l l i G iacomo e Tu l l io Dona t i , che successivamente caddero in combattimento. Erano rimaste a Gorizia poco più di una trentina di

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persone, in prevalenza donne, quasi tutte anziane, e alcuni ragazzi. Credevano di non avere niente da temere. Altri ebrei goriziani furono arrestati lontano da qui. Furono settantasei quelli che morirono nei lager, quasi tutti ad Auschwitz. La più anziana, la madre del filosofo Michelstaedter, aveva ottantanove anni; il più piccolo, Bruno Farber, figlio di goriziani nato a Ferrara, solo tre mesi.La Comunità di Gorizia non si riprese, e dal 1969 è confluita nella Comunità di Trieste. La sinagoga di Gorizia è uno dei pochi casi di un tempio israelitico conservato come museo e centro culturale in una città dove non è rimasta una Comunità Ebraica, nel ricordo dei goriziani di religione ebraica che, insieme ai goriziani di altra origine e religione, parteciparono alla vita e alla storia della loro città.

L’OLOCAUSTO VISTO DA MUSICL'artista goriziano Anton Zoran Music (1909-2005) non è ebreo, ma con gli ebrei ha condiviso prigionia e sofferenze nel campo di sterminio di Dachau.Le opere esposte fanno parte del ciclo intitolato “Non siamo gli ultimi”, in cui l'artista, rievocando l'Olocausto vissuto attraverso la propria esperienza, lancia un monito universale contro tutte le persecuzioni, i razzismi, i genocidi che si ripetono anche dopo l'orrore dell'Olocausto. Le tragiche immagini delle vittime dello sterminio viste con la sensibilità e l'arte di Music rappresentano qui anche la partecipazione dell'intera comunità cittadina alla vita e al destino di ognuno dei suoi componenti, senza distinzione di religione, cultura, lingua, opinioni. Music ha donato i tre quadri alla sinagoga tramite il Lions Club Gorizia Host il 21 giugno 1997.

IL CIMITERO DI VALDIROSEPoco oltre il confine italo-sloveno, in Valdirose (Rozna dolina), si trova il cimitero ebraico di Gorizia. È un luogo quasi irreale, fuori dal tempo, nonostante si trovi a poche decine di metri dal valico internazionale della Casa rossa e di diverse strutture viarie e confinarie. Al suo interno ci si trova in un altro mondo, dove dalle parole ormai sbiadite delle lapidi tombali emerge il ricordo degli uomini e delle donne che facevano parte della comunità ebraica goriziana.Non più in uso dal 1947, il cimitero è stato conservato intatto, se si esclude il degrado causato dal trascorrere del tempo: la manutenzione ordinaria è curata dal Comune di Nova Gorica.

PERSONAGGILa partecipazione dei membri della comunità ebraica ai vari aspetti della vita cittadina è sempre stata una costante nella storia di Gorizia. Sei pannelli sono dedicati ai profili biografici di alcuni di loro: i rabbini Abramo Vita e Isacco Samuele Reggio, il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, la giornalista Carolina Luzzatto, il filosofo Carlo Michelstaedter, il giornalista Enrico Rocca, il pittore Vittorio Bolaffio. Sono personaggi che appartengono alla storia della cultura goriziana.

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PERSONAGGI ILLUSTRI: I REGGIOI due rabbini Abramo Vita Reggio (1755-1841) e Isacco Samuele (1784-1855) Reggio, padre e figlio, si dedicarono allo studio e all'insegnamento della Torah (i libri sacri). Entrambi aderivano all'Haskalah, o illuminismo ebraico, che sosteneva la possibilità per gli ebrei di integrarsi nella più vasta comunità cittadina senza la necessità di rinunciare alle loro tradizioni. Scrissero diverse opere di carattere religioso e letterario. Abram Vita fu rabbino della Comunità di Gorizia per ben quarantatre anni. Isacco Samuele, biblista, traduttore e commentatore dei libri sacri, fu tra i promotori del Collegio Rabbinico di Padova. Il suo almanacco intitolato “Strenna israelitica” veniva distribuito in tutta l'Europa centrale. Tra le sue opere: Guida per l'istruzione religiosa della gioventù israelitica, HaTorà wehafilosofia, Sefer Behinat haDat, Igerot

Iosher, Yalkut YoSheR.

PERSONAGGI ILLUSTRI: GRAZIADIO ISAIA ASCOLIGraziadio Isaia Ascoli (1829-1907) pubblicò il suo primo saggio, Sull'idioma friulano e sulla sua affinità con la lingua valaca, a soli diciassette anni. Due anni dopo dava alle stampe l'opera Gorizia italiana, tollerante concorde. Verità e speranze nell'Austria del 1848, in cui sosteneva l'identità italiana della città nell'ambito della multinazionalità dell'impero austroungarico. Appena trentaduenne, fu chiamato ad insegnare all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, dove si stabilì.Glottologo e linguista, autore di innumerevoli saggi scientifici (tra cui gli Studi orientali e linguistici e i Saggi ladini), fu il fondatore della rivista “Archivio glottologico italiano”. E' sua l'ideazione del termine “Venezia Giulia”, a designare il territorio della Contea di Gorizia e del Litorale.Non fu solo insigne studioso, ma partecipò anche attivamente alla vita della comunità ebraica, della quale fu a capo per un triennio.La via che attraversa il ghetto, e dove al n. 1 si trova la sua casa natale, venne intitolata al suo nome, come riconoscimento dei goriziani al loro concittadino affermato e famoso, già nel corso della sua vita. Per il suo operato accademico venne nominato senatore del Regno d'Italia.

PERSONAGGI ILLUSTRI: CAROLINA LUZZATTOCarolina Luzzatto Coen nata Sabbadini (1837-1919) fu l'anima dell'irredentismo goriziano. Giornalista appassionata ed instancabile, collaborò a varie testate liberal-nazionali e fu redattrice e direttrice del “Corriere di Gorizia” dal 1883 al 1899, e poi del “Corriere friulano” dal 1901 al 1914.

Oltre agli articoli, scrisse anche commedie per l'infanzia, poesie e alcuni saggi di argomento goriziano.Carolina Luzzatto realizzò nella sua vita e nella professione l'emancipazione femminile con piena parità di diritti e doveri. Fu oggetto di ripetuti attacchi sulla stampa da parte dei suoi avversari politici, e nel 1915, dopo che il suo giornale era stato soppresso dalla censura, venne internata nel penitenziario di Göllersdorf, nonostante l'età avanzata e il cattivo stato di salute. Dopo l'internamento e il confino, al termine della prima guerra mondiale tornò a Gorizia finalmente “redenta”, e morì poco dopo aver visto realizzata l'aspirazione della sua vita.

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PERSONAGGI ILLUSTRI: CARLO MICHELSTAEDTERCarlo Michelstaedter nacque a Gorizia il 3 giugno 1887. I suoi genitori appartenevano a stimate famiglie ebree cittadine: Alberto Michelstaedter era rappresentante delle Assicurazioni Generali e faceva parte di varie associazioni culturali goriziane; Emma Luzzatto Coen era cognata della giornalista Carolina Luzzatto. Carlo era il più giovane di quattro figli: Gino, Elda, Paula, Carlo.Dopo aver compiuto gli studi superiori allo Staatsgymnasium di Gorizia, Carlo Michelstaedter si iscrisse alla facoltà di matematica dell'Università di Vienna, ma non frequentò i corsi: soggiornò invece a Firenze, per studiare arte e prendere lezioni di disegno. Era molto bravo a disegnare, specialmente caricature. Frequentò l'Istituto di studi filosofici (l'Università di Firenze) e arrivò alle soglie della laurea.Durante gli anni universitari fu quindi a stretto contatto con la cultura italiana che lui e la sua famiglia sentivano come propria pur vivendo in una città dell'impero austro-ungarico. Ma furono anche anni di esperienze tragiche e dolorose: nel 1907 morì suicida Nadia Baraden, una giovane signora russa con la quale aveva instaurato un rapporto intellettuale ed affettivo; il progetto di fidanzamento con una compagna di studi, Jolanda De Blasi, fu duramente contrastato dalla famiglia; nel 1909 morì a New York, dove si era trasferito, il fratello maggiore, Gino.In questo periodo, dal 1905 al 1910, Carlo Michelstaedter, oltre a sostenere con successo gli esami, scriveva, disegnava, dipingeva e andava elaborando la sua filosofia della “persuasione”, contrapposta alla facile scelta dell'accontentarsi, del ricercare il facile piacere, dall'adattarsi all'inconsistenza della “rettorica”. Questi concetti vengono espressi nella sua tesi di laurea, intitolata appunto La persuasione e la rettorica, ma anche in operette minori, non pensate per la pubblicazione né per la discussione accademica, come il Dialogo della salute ed altri dialoghi di struttura leopardiana, e in alcune poesie, come il poemetto I figli del mare e l'emblematica Il canto delle crisalidi in cui il significato di “vita” e quello di “morte” si intrecciano, si confondono e si identificano.Il 17 ottobre 1910, dopo aver finito la stesura della tesi di laurea e dopo un diverbio con la madre, della quale ricorreva il compleanno, Carlo, rimasto solo in casa, si uccise con un colpo di pistola alla tempia. Aveva ventitre anni. Non lasciò nessun messaggio a spiegare il suo suicidio.In uno dei suoi fogli manoscritti, accanto al disegno della lampada ad olio che si sta spegnendo, aveva annotato: “La lampada si spegne per mancanza d'olio,io mi spensi per traboccante sovrabbondanza”.

PERSONAGGI ILLUSTRI: ENRICO ROCCAEnrico Rocca (1895-1944) sentì drammaticamente le contraddizioni dell'epoca in cui visse. Fervente interventista nel 1914, volontario di guerra, fu tra i fondatori dei Fasci di combattimento, condividendo le istanze di rinnovamento sociale sostenute dal fascismo della prima ora. Si allontanò ben presto dal fascismo al potere e si dedicò al giornalismo. Svolse la sua attività lontano da Gorizia: giornalista al “Popolo d'Italia”, direttore di “Roma futurista”, responsabile della pagina culturale de “Il Lavoro fascista”, fu anche traduttore dal tedesco e autore di saggi e racconti.

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I suoi meriti “antemarcia” lo protessero per qualche tempo dalle leggi razziali: dal '38 al '42 fu uno dei dieci giornalisti ebrei che potevano ancora pubblicare, sia pure solo siglandoli, i propri articoli. Poi anche questo gli fu impedito. Dopo il 25 luglio 1943 fu direttore de “Il Lavoro italiano”, quindi collaborò alla radio antifascista di Napoli. Rientrato a Roma liberata, nel 1944, si suicidò.

PERSONAGGI ILLUSTRI: VITTORIO BOLAFFIOIl pittore Vittorio Bolaffio (1883-1931), allievo di Fattori e di Segantini, amico di Matisse e di Modigliani, che conobbe durante il suo soggiorno a Parigi, aderì alla corrente neoimpressionista. Goriziano di nascita, si stabilì a Trieste, inserendosi in un ambiente artistico e culturale di più ampia portata. Nella sua non abbondante produzione, particolarmente efficaci sono i ritratti di vari componenti della comunità ebraica goriziana e triestina. Diverse sue opere - tra cui si possono ricordare "Primavera con le rondini" e i ritratti del padre, della madre e di Carlo Morpurgo - sono conservate nella Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia. “Fu grande artista - sognò la fratellanza universale” è l'epitaffio dettato da Umberto Saba per la sua tomba.