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Lezione 23 DIAGRAMMA FORZA-VELOCITA’ Allora, diagramma forza-velocità, abbiamo visto il diagramma forza-tempo e l’abbiamo chiamato miogramma della scossa singola, del clono o del tetano a seconda del tipo di fenomeno che siamo andati ad osservare. Poi ne abbiamo visto un altro che è il diagramma forza-lunghezza, che ci ha spiegato qual è il comportamento del muscolo sia dal punto di vista del comportamento passivo, sia del comportamento attivo del muscolo (cioè durante la contrazione) quando facciamo contrarre il muscolo a diverse lunghezze: abbiamo visto che questo ha un significato anche dal punto di vista funzionale, ovviamente. Andiamo avanti a descrivere il comportamento meccanico del muscolo con questo diagramma, che mette insieme un po’ di cose e che sarà propedeutico, in un certo senso, ad un diagramma che vedremo più avanti. Figura 1 Questo si chiama diagramma forza-velocità: mette in relazione la forza con cui il muscolo si contrae rispetto alla velocità di contrazione. Qui vedete c’è la forza in ordinata e in ascissa c’è la velocità: la velocità zero oppure positiva oppure negativa. La velocità viene identificata come positiva se ci si riferisce ad una velocità di accorciamento, mentre la velocità negativa viene riferita ad un fenomeno di allungamento, quindi in pratica è semplicemente una convenzione. Rispetto allo stato isometrico, in cui la velocità è uguale a zero perché nell’isometria, abbiamo visto l’altra volta, il muscolo viene fatto contrarre nella leva isometrica ma non gli si dà modo né di allungarsi né di accorciarsi. Quindi la variazione di lunghezza del muscolo in toto è uguale a zero e siccome la velocità è uguale a variazioni di lunghezza diviso il tempo impiegato per allungarsi o accorciarsi, essendo la variazione di lunghezza uguale a zero, zero 1

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Lezione 23

DIAGRAMMA FORZA-VELOCITA’

Allora, diagramma forza-velocità, abbiamo visto il diagramma forza-tempo e l’abbiamo chiamato miogramma della scossa singola, del clono o del tetano a seconda del tipo di fenomeno che siamo andati ad osservare. Poi ne abbiamo visto un altro che è il diagramma forza-lunghezza, che ci ha spiegato qual è il comportamento del muscolo sia dal punto di vista del comportamento passivo, sia del comportamento attivo del muscolo (cioè durante la contrazione) quando facciamo contrarre il muscolo a diverse lunghezze: abbiamo visto che questo ha un significato anche dal punto di vista funzionale, ovviamente. Andiamo avanti a descrivere il comportamento meccanico del muscolo con questo diagramma, che mette insieme un po’ di cose e che sarà propedeutico, in un certo senso, ad un diagramma che vedremo più avanti.

Figura 1

Questo si chiama diagramma forza-velocità: mette in relazione la forza con cui il muscolo si contrae rispetto alla velocità di contrazione. Qui vedete c’è la forza in ordinata e in ascissa c’è la velocità: la velocità zero oppure positiva oppure negativa. La velocità viene identificata come positiva se ci si riferisce ad una velocità di accorciamento, mentre la velocità negativa viene riferita ad un fenomeno di allungamento, quindi in pratica è semplicemente una convenzione. Rispetto allo stato isometrico, in cui la velocità è uguale a zero perché nell’isometria, abbiamo visto l’altra volta, il muscolo viene fatto contrarre nella leva isometrica ma non gli si dà modo né di allungarsi né di accorciarsi. Quindi la variazione di lunghezza del muscolo in toto è uguale a zero e siccome la velocità è uguale a variazioni di lunghezza diviso il tempo impiegato per allungarsi o accorciarsi, essendo la variazione di lunghezza uguale a zero, zero diviso un tempo è uguale a zero. Quindi la condizione isometrica è quella identificata da questo punto, V (velocità)=0. Sulla destra è la velocità di accorciamento, sulla sinistra è la velocità di allungamento. Nel quadrante di destra abbiamo la descrizione del diagramma forza-velocità mentre il muscolo compie un’azione motrice e compie un lavoro positivo, e qui mi ricollego all’immagine che avevamo visto la settimana scorsa (fig.12 –nell’ordine delle slide della prof.- lezione 21): vi ricordate che avevamo parlato di lavoro motrice e lavoro frenante? Questa spiegava la condizione motrice del muscolo e qui avevamo parlato di lavoro meccanico che può essere positivo se spostamento e forza sono applicati non solo nella stessa direzione ma anche

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nello stesso senso di applicazione, mentre il lavoro negativo è quello che rappresenta l’azione frenante del muscolo in cui lo spostamento e la forza sono applicati, magari anche nella stessa direzione come in questo caso, ma in senso opposto. Quello che adesso stiamo studiando è il comportamento del muscolo nelle due condizioni andando a vedere qual è la forza che il muscolo è in grado di sviluppare in relazione alla sua velocità di accorciamento se si tratta del muscolo che sta compiendo lavoro positivo (cioè che si sta accorciando esercitando la sua funzione motrice), oppure qual è la velocità con cui è in grado di contrarsi quando l’azione del muscolo è frenante. Esempio: l’azione motrice è quella della salita, l’azione frenante è quella della discesa. Torniamo alla nostra figura: questa (linea continua) è la forza espressa dal muscolo a velocità zero cioè il punto in cui la forza espressa è quella che il muscolo ha quando ad una certa lunghezza viene posto nella leva isometrica, quindi questa è la forza di contrazione isometrica. Se al muscolo viene dato modo di accorciarsi durante la contrazione vedrete che, qualunque sia la velocità a cui il muscolo viene fatto contrarre, la forza espressa dal muscolo è inferiore rispetto alla forza isometrica. Viceversa se diamo modo al muscolo di allungarsi durante l’accorciamento, la forza espressa dal muscolo durante la contrazione, in condizioni di allungamento, è una forza che è sempre superiore alla forza isometrica e quindi è sempre superiore alla forza espressa durante l’accorciamento. Questo è un fenomeno che ha delle conseguenze molto importanti: per esempio prendiamo questa velocità qui, 1.5 cm/sec, se io consento al muscolo di accorciarsi mentre si contrae ad una velocità di 1.5 cm/sec la forza che sviluppa è questa, per esempio se questi sono 30g. di forza sarà circa 1/3, 10-15 g. Se io però faccio contrarre il muscolo e nel contempo lo tiro: per esempio se io mi metto a fare una gara di braccio di ferro con uno di voi e lo faccio con un ragazzo più forte di me, io sono lì che contraggo il bicipite con tutta la forza ma lui, più forte di me, mi sposta il braccio piano piano e mi allunga il muscolo. Il muscolo in quelle condizioni lì esprime, per esempio se si contrae e si allunga ad una velocità di 1.5 cm/sec, esprime questa forza qua. Allora guardate che razza di differenza: se io allungo il muscolo che si sta contraendo ad una velocità di 1.5 cm/sec questo esprime una forza di 90 g., se lo faccio accorciare alla stessa velocità invece esprime una forza di soli 10-15 g. Perché? Intanto il meccanismo che sta dietro questo fenomeno è ancora largamente da comprendere, soprattutto non si è ancora capito come mai l’allungamento determina un’espressione della forza superiore a quanto non sia quella dell’accorciamento. Come mai varia la forza di contrazione durante l’accorciamento è abbastanza facile da capire: dipende dall’efficienza con cui vengono fatti avvicinare e interagire i ponti di actina e di miosina. Tanto più tempo si dà ai ponti di actina e miosina di affacciarsi, di prendere contatto tra di loro, tanto maggiore sarà, ad una certa lunghezza, la forza espressa. Allora se io prendo un muscolo ad una certa lunghezza, ad esempio lunghezza L0 (=lunghezza di riposo alla quale abbiamo il picco di espressione di forza) e lo faccio contrarre molto lentamente questo muscolo potrà esprimere una forza maggiore di quella che esprime facendolo contrarre partendo dalla stessa lunghezza ma a velocità superiore, semplicemente perché se io lo faccio contrarre a velocità bassa do agio ai ponti di actina e di miosina di interagire nella maniera migliore tra di loro. Se io invece lo faccio accorciare molto rapidamente tutti questi processi biochimici e meccanici che richiedono tempo non riescono ad esprimersi nella maniera più efficiente, quindi la forza espressa è minore. Questo è il motivo per cui tanto maggiore è la velocità, tanto minore è la forza che il muscolo è in grado di esprimere, nella fase di accorciamento; viceversa, è molto più complesso descrivere quello che succede nella fase di allungamento: sembra che una parte di questa forza così tanto più grande della forza isometrica e della forza espressa in accorciamento sia da attribuire ad una restituzione dell’energia elastica operata negli elementi elastici non smorzati, cioè negli elementi elastici in serie che sono situati nei ponti di actina e di miosina. Quindi questo surplus di forza espresso quando facciamo allungare il muscolo dipende dal fatto che allungando il muscolo quando il muscolo è contratto e quando i siti di actina e miosina sono legati l’uno all’altro mette in tensione gli elementi elastici non smorzati; quindi questo contribuisce a sommare alla forza espressa dalla interazione actina-miosina anche la forza espressa dagli elementi elastici non smorzati che sono stati tirati. Vi è chiaro questo? Oh!Vedete che qui ci sono più curve, non ce n’è una sola: ogni curva rappresenta il diagramma forza-velocità ottenuto ad una certa lunghezza. Vi ricordate che l’altra settimana abbiamo visto questo diagramma qua (fig. 20 lezione 22) che ci diceva che se facciamo contrarre il muscolo a questa lunghezza L0, la forza espressa è massima; mentre se lo facciamo contrarre in condizioni isometriche a lunghezza superiore o inferiore a L0, la forza espressa è più bassa. Questo fenomeno pesa sulle curve forza-velocità perché se io prendo lo stesso muscolo e lo faccio contrarre consentendogli di accorciarsi facendolo partire da una lunghezza L0, questa sarà la forza isometrica che il muscolo esprime e la linea continua ci descrive l’andamento del

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diagramma forza-velocità in accorciamento. Se io faccio partire la contrazione quando il muscolo è mantenuto ad una lunghezza un po’ inferiore, per quanto visto prima nel diagramma forza-lunghezza, la forza espressa in condizioni isometriche sarà più bassa. Quindi se io lo faccio contrarre partendo da una lunghezza superiore o inferiore, la forza isometrica sarà più bassa, per quanto abbiamo appena detto; perciò l’andamento della curva sarà identico. Siccome sto osservando lo stesso identico muscolo la velocità massima sarà la stessa, ma sarà diversa la forza isometrica di partenza, perché sto partendo da una lunghezza più bassa. Quindi non c’è per ogni muscolo soltanto una curva, ma ci sono tante curve che dipendono da quale sia la lunghezza dalla quale io sto partendo per fare la mia prova. Prima di proseguire e fare un’analisi più dettagliata della curva che osserviamo durante l’accorciamento, voglio dirvi qual è il significato funzionale di questa curva. Lo possiamo comprendere facendo due esempi:

1. andiamo a paragonare quello che succede nella curva a destra rispetto al braccio di sinistra. Vi faccio notare che qua la forza espressa durante l’allungamento non è soltanto di poco più elevata rispetto alla forza espressa nella condizione isometrica, è quasi il doppio. Qui non si vede bene ma questo braccio può andare su anche molto di più. Questo per dirvi come la forza espressa durante l’allungamento sia molto più elevata della forza espressa durante l’accorciamento. Questo che cosa comporta dal punto di vista fisiologico? Beh, tutti sappiamo, per esperienza più o meno diretta, che se ci mettiamo lo zaino in spalla o dobbiamo spostare un peso e lo vogliamo spostare in salita, a parità di peso che ci mettiamo sulle spalle, facciamo più fatica a salire che a scendere (anche senza lo zaino in spalla). Se saliamo 10 piani di scale arriviamo su che siamo stravolti, mentre non ci sono problemi a scendere a piedi, mentre a salire 10 piani a piedi uno ci pensa su, perché si fa fatica. Come mai? In fondo, provate a pensarci, come mai si fa fatica a salire le scale? Perché io devo spostare il mio baricentro: io salendo le scale compio lavoro (come abbiamo visto che lo compio se io vado da qui a lì, perché sposto il punto d’applicazione della mia forza peso di 3 m., quindi io faccio un lavoro che sarà la forza (che è la forza peso) per lo spostamento). Se oltre a spostarmi di 3 m. sul piano orizzontale io salgo anche in cima alle scale, mi sposto di 3 m. ma devo anche vincere la forza gravitazionale che tende a tirarmi giù. Quindi io devo fare lavoro in senso orizzontale, ma c’è anche una componente di lavoro in senso verticale, tanto maggiore quanto più salgo, quindi quanto più sarà pendente la salita. Quando io scendo, il lavoro è diverso? […] No! Lavoro=forza x spostamento, la forza è la forza peso (è uguale), lo spostamento sono i 1000 m. di dislivello più il tragitto del sentiero che fa tutte le curve. Comunque facciamo soltanto il dislivello di 1000 m. vado in su e sposto in su il mio peso di 50 kg. per 1000 m., torno giù e sposto il mio peso, 50 kg. per 1000 m., il lavoro è uguale, identico. Perché si fa più fatica in salita che in discesa? Perché vale questa regola qui. Il muscolo in salita (provate a mettervi una mano sul quadricipite mentre salite) si contrae e si accorcia, quindi piano o veloce che saliamo, comunque rimaniamo su questo braccio della curva. Se siamo dei bravi atleti saliremo velocemente, se siamo degli atleti scarsi saliremo più lentamente. Perché l’atleta meno bravo sale più lentamente? Perché così, ci mette più tempo, però i suoi muscoli sviluppano più forza e quindi ha un vantaggio. Un atleta invece già allenato può sviluppare meno forza salendo più velocemente. Comunque salendo rimaniamo in questo braccio della curva, esprimiamo forza in questo range, tutto inferiore alla forza isometrica. Se volessimo salire con la forza isometrica dovremmo salire a passo di lumaca in modo che la velocità di contrazione sia quasi uguale a zero e allora la forza sia massima. Quando scendiamo invece la prima cosa che si fa è far cadere il proprio peso secondo la legge di gravità: le articolazioni si distanziano un pochino, allungano il muscolo che si contrae facendo un lavoro frenante e si contrae però sviluppando una forza superiore. Ogni fibra del nostro muscolo, mentre allunghiamo il muscolo in discesa, si trova in questa zona qui, quindi ogni fibra, a parità di velocità anche, svilupperà in discesa una forza superiore di quella che sviluppa la stessa fibra alla stessa velocità in discesa. Ma allora se la forza totale che il muscolo deve sviluppare è la forza peso (che è la nostra, il nostro peso, una volta lo sposta in su una volta in giù), se la forza totale da frenare in discesa è il nostro peso e se ogni fibra del muscolo sviluppa una forza molto più alta, siccome abbiamo visto da una delle immagini viste l’altra volta, che la forza totale del muscolo è la sommatoria della forza espressa da ogni singola fibra, se ogni fibra sviluppa più forza, mi ci vorranno meno fibre per arrivare alla forza che mi serve, cioè la forza peso. Se in salita ogni fibra mi sviluppa questa forza, per esempio 20 g., pensate quante fibre ci vogliono per arrivare ad uno sviluppo di 50

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kg. Se invece nell’allungamento le fibre mi sviluppano una forza di 90 g. ci vorranno (90/15=6) 6 volte meno fibre durante l’allungamento che durante l’accorciamento. Allora il motivo per cui facciamo meno fatica non è perché è cambiato lavoro, perché a meno che in discesa portiamo giù un bel masso di cemento armato il lavoro non cambia, soltanto se ci mettiamo un extra peso nello zaino facciamo più lavoro, altrimenti non cambia. Facciamo meno fatica scendendo che salendo perché ogni fibra durante l’allungamento sviluppa più forza: quindi utilizzerò meno fibre per sviluppare lo stesso lavoro e di conseguenza avrò un risparmio dal punto di vista energetico, utilizzerò meno ATP, avrò bisogno di un minor consumo di ossigeno.

2. Un’altra cosa importante da vedere qui riguarda la fase di accorciamento perché vedete che è diversa la forza espressa in relazione alla velocità: si raggiunge la velocità massima di contrazione quando la forza è zero. Viceversa, si raggiunge la massima forza di contrazione a velocità zero. Quindi, se devo sollevare un peso, sarà più efficace se lo sollevo lentamente o velocemente? Dipende dal peso che devo sollevare. Se ho bisogno di esprimere tutta la forza che posso perché devo spostare un baule, non andrò lì a cuor leggero a dargli uno strattone per sollevarlo il più velocemente possibile, lo solleverò piano piano. Questo non perché si faccia meno fatica, ma perché sviluppo più forza, perché ricado intorno a questo punto qua. Viceversa, se devo fare un movimento veloce, per esempio se voglio spostare velocemente un oggetto, lo posso fare, ma non posso farlo su oggetti pesanti, perché in questo caso, la forza (cioè il peso dell’oggetto) è bassa, perciò il muscolo può contrarsi spostando l’oggetto in maniera molto veloce.

Su questa forma della curva che è iperbolica (e adesso per vostro gaudio analizzeremo questo braccio della curva) è basato anche il funzionamento del cambio della bicicletta […]: il cambio impone una velocità di accorciamento del muscolo sempre uguale, il movimento è sempre uguale. Invece con il cambio voi adeguate la velocità della pedalata in modo tale che se siete in salita la velocità è ridotta, essendo ridotta la velocità il cambio vi consente di pedalare a basse velocità e quindi esprimendo una forza elevata (questo è il cambio che utilizzerete se volete andare in salita). Se invece andate in discesa potete permettervi di sviluppare una forza bassa andando a velocità elevate. Quindi gli ingranaggi del cambio riconoscono alla base un fenomeno fisiologico che è questo qua, cioè di questo andamento di tipo iperbolico. Adesso andiamo ad analizzare nel dettaglio questo aspetto qui di azione motrice:

Figura 2

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Questa immagine vi condensa l’insieme di passaggi che ci consentono di descrivere dal punto di vista matematico questa parte della curva forza-velocità, cioè la fase di accorciamento. Arriveremo a definire quella che si chiama equazione di Hill, fisiologo inglese […] .Vediamo questa equazione: questa è un’esemplificazione di quella che è un’iperbole equilatera, che è una forma geometrica la cui equazione è xy = cost: nel nostro caso x = velocità, y = forza. Quindi se noi avessimo un diagramma di questo genere la sua equazione sarebbe V*F= cost. Però l’iperbole equilatera è caratterizzata dal fatto che, proprio per il fatto di essere un’iperbole, non ha mai punto di intersezione sui due assi: ha per x che tende a zero y = infinito e per y che tende a zero x = infinito. Non c’è mai un punto di intersezione né sull’asse x né sull’asse y. Per ottenere la curva che abbiamo visto prima quindi non possiamo solo limitarci a dire “va beh, ha la forma di un’iperbole equilatera” perché in realtà la forma corretta è quella di un’iperbole equilatera traslata, traslata in modo che questi due parametri b e a, che sono le due componenti della traslazione, immaginate di traslare la curva a sinistra di una quantità b e in basso di un fattore a e vedete che la curva viene spostata in modo da incontrare i due assi e quindi avremo due punti di intersezione che sono esattamente i punti di intersezione che abbiamo visto prima nel braccio dell’accorciamento della curva forza-velocità. Cioè, questo punto (F0) è il punto in cui a velocità = 0 la forza è massima ed è la forza che abbiamo ottenuto in condizioni isometriche. Da qui (e non l’ho disegnato in questo grafico) la curva non finisce, la nostra curva sperimentale salirebbe verso l’alto per descrivere quella parte che abbiamo visto si riferisce all’allungamento, qui non l’ho indicata perché quella parte ha un andamento del tutto differente che nulla ha a che fare con l’iperbole equilatera traslata. Quindi qui è semplicemente l’analisi dell’aspetto dell’accorciamento. Allo stesso modo si ha un’intersezione qui (Vmax) quando la forza = 0, V diventa uguale a Vmax che è la velocità massima alla quale il muscolo può essere contratto. Allora quale sarebbe l’equazione di questa iperbole? L’equazione di questa iperbole differisce da V*F= cost e differisce per questi due fattori: qui, in questo punto qui che potrebbe essere F avremo F+a e V è V+b. Vedete questo sarebbe V e abbiamo aggiunto un pezzo che è quello della traslazione. Quindi la differenza tra l’iperbole equilatera e l’iperbole equilatera traslata consta in questi due fattori: invece di F*V avremo (F+a) * (V+b) = cost. Ma adesso per V=0, quanto è F? F=F0. Quindi potremmo scrivere che per V=0, questo V diventa =0 (non c’è più, perché è =0) e quindi (F+a)*b lo chiamiamo (F0+a)*b perché per V=0 il valore F è un valore che noi conosciamo già, è il valore F0 che è la forza isometrica. Allora vedete che questa costante qui per V=0 ha un valore che è (F0+a)*b. Quindi in questo punto la costante vale F0 di a*b. Allora invece di chiamarla costante, che non mi dice niente, è una roba generica, adesso abbiamo attribuito un valore reale alla costante, quindi possiamo sostituire in questa equazione, al posto di F+a metteremo F0+a, e al posto della costante metteremo (F0+a)*b. Quindi l’equazione generale è diventata:

(F+a) * (V+b) = (F0+a) * b EQUAZIONE DI HILL

L’equazione di Hill descrive la fase dell’accorciamento del diagramma forza-velocità esplicitando il parametro importante che è questo F0. Adesso sulla base di questa equazione possiamo derivare alcuni parametri importanti, per esempio (vd. fig. 2):Se F=0 => V=Vmax Vediamo se riusciamo in qualche modo a quantizzare per un dato muscolo quale sarà la sua velocità massima (importante per caratterizzare un muscolo dal punto di vista biomeccanico). Cosa faremo? Cerchiamo di capire: se F=0, allora questo F se ne va via perché è =0 e questa equazione, (F+a)*(V+b), possiamo esplicitarla moltiplicando a*(V+b) ed esplicitando questo prodotto, quindi a*(V+b) diventerà V che essendo F=0 adesso diventa =Vmax quindi Vmax*a+ab = F0*b +ab. Adesso vedete che qui ho messo queste stanghette per sottolinearvi che ab e ab se ne vanno via e quindi Vmax=F0*b/a. Hanno fatto molte indagini su vari tipi di muscolo e quello che si è visto è che a (che vi ricordo essere una forza: vedete F0 ha le dimensioni di una forza ovviamente, a ha le dimensioni di una forza perché è questo pezzettino qui sotto) quindi F*b/a (a e F0 dimensionalmente sono uguali) per cui il prodotto F0*b/a è una velocità, è la dimensione della velocità b. Siccome a=circa 0.25 F0 cioè la forza di cui ho dovuto traslare l’iperbole equilatera per renderla simile all’equazione reale vale circa il 25% di F0 per tutti i muscoli in cui è stato studiato, più o meno quella quota lì è abbastanza riproducibile vale 0.25, il 25% di F0. Quindi siccome F0*b/a dà la Vmax potremmo dire che Vmax=F0*b/0.25 => Vmax=4b (a sarebbe 0.25 F0 quindi Vmax = 4b). A 0°C, che è la temperatura a cui in genere si fanno queste prove per consentire che il muscolo rimanga nella sua condizione di integrità il più a lungo possibile, b=circa 0.33 L0/sec, cioè dato un muscolo ogni muscolo ha una sua condizione di riposo L0, questo b che sarebbe il fattore di velocità di cui abbiamo dovuto traslare l’equazione iperbolica è abbastanza

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riproducibile tra i muscoli se lo normalizziamo alla lunghezza di riposo, è circa 0.33 volte L0/sec dove L0 è la lunghezza di riposo. Quindi se adesso sostituiamo questo valore qui dentro, troveremo che la Vmax può essere messa in relazione alla lunghezza di riposo del muscolo, perché la Vmax sarà = 4/3*L0/sec. Quindi nonostante i muscoli si comportino in maniera molto dissimile, nonostante abbiano funzioni dissimili, però tutti quanti possono essere ricondotti nella loro Vmax di contrazione nel caso in cui, ovviamente, si parli di accorciamento. Se prendete un muscolo e lo sottoponete a zero carico, cioè lo ponete in una leva isotonica, senza nessun peso che il muscolo debba sollevare, la Vmax alla quale potete aspettarvi che il muscolo si contragga dipende da L0. Tanto maggiore è la lunghezza L0 del muscolo, tanto più sarà la velocità di accorciamento. Tanto più il muscolo è tanto, tanto più si accorcia e quindi tanto più sarà la sua velocità massima di accorciamento. Avete capito?

POTENZA

F=m*a Dove: F=forza m=massa a=accelerazione

V = l / t Dove: V=velocità l= lunghezza t=tempo

se io moltiplico F*V cosa salta fuori?F*V = m*a * l/t = W/t = Ẇ = POTENZA

m*a ovviamente è la forza (F), F*l è un lavoro (W) e W/t è una potenza (si scrive W puntato) e allora vediamo la potenza cos’è.

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Figura 3

Questo è di nuovo il diagramma forza-velocità in cui a sinistra sull’ordinata avete la forza, sull’ascissa la velocità (ovviamente soltanto il braccio iperbolico), sull’ordinata di destra invece c’è la potenza che si riferisce all’ordinata del diagramma tratteggiato. Quindi il diagramma tratteggiato è una roba stranissima, è il risultato del prodotto punto per punto del valore di F * il valore di V. Vediamo se è vero? Per esempio, qua (punto zero), come mai la potenza è zero? E’ zero perché siccome F e V sono entrambe zero la potenza è ovvio che sia zero. E qui, perché la potenza è zero? Qui la velocità è massima, ma la forza è zero e siccome F*V=potenza se una delle due è uguale a zero allora sarà zero anche la potenza. Vedete che il picco di potenza ce l’abbiamo ad un valore di velocità (di contrazione) che è circa 1/3 della velocità massima (di contrazione). Quindi ecco spiegato perché se voi dovete scegliere a che velocità sollevare un peso, scegliete automaticamente e fisiologicamente una certa velocità. Se la potenza che dovete esprimere è massima, sceglierete una velocità che è circa 1/3 rispetto al massimale, alla velocità massima.

DIAGRAMMA FORZA-LUNGHEZZA DINAMICO

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Figura 4

Giovanni Cavagna […], dal cui libero è stata presa questa figura, ha studiato la locomozione, in tante condizioni, sia degli uomini sia degli animali, con una piattaforma dinamometrica, lunga circa 3 m., formata da tante piastre d’acciaio, sotto le quali ci sono dei sensori che rilevano la forza che viene impressa alla piastra sia in senso verticale che in senso longitudinale e quindi questi sensori consentono di dare delle ricostruzioni delle forze implicate nel moto se uno cammina tranquillamente su questa piastra o se invece uno corre sulla piastra. Quindi è possibile grazie a questa piattaforma dinamometrica andare a studiare le implicazioni biomeccaniche della locomozione, qualunque sia, quindi ad esempio la marcia o la corsa nell’uomo o l’andamento di vari animali. Nello studio della locomozione dobbiamo considerare di mettere insieme tutto quello che abbiamo visto finora, cioè che il muscolo si sta contraendo: può contrarsi o accorciandosi o allungandosi e può allungarsi o accorciarsi durante la contrazione partendo da lunghezze diverse. Quindi noi abbiamo visto il diagramma forza-lunghezza e abbiamo detto, se si contrae isometricamente esprime questa forza, se lo allungo o se lo accorcio ne esprime una più piccola. Ma i muscoli in situ si contraggono isometricamente o a lunghezze inferiori o superiori alla forza isometrica? Non solo, il muscolo si contrae sempre accorciandosi o solo allungandosi? Dipende. Perché io posso fare una corsetta al Sacro Monte, andando su accorcio, venendo giù allungo. Quindi non è spiegabile soltanto con le curve forza-velocità o forza-lunghezza il comportamento meccanico del muscolo durante la locomozione, è più complessa la cosa. Questo diagramma si chiama diagramma forza-lunghezza dinamico e mette insieme tutti i fenomeni che abbiamo visto finora. Mette insieme il fatto che il muscolo si contrae accorciandosi e allungandosi, e ci consente di vedere se la forza che il muscolo esprime durante un movimento complesso esprime una forza più alta o più bassa rispetto a quella isometrica. Questo diagramma è particolarmente difficile da capire per cui devo farvi una spiegazione alla lavagna. L’altra volta abbiamo parlato del diagramma forza-lunghezza e abbiamo detto:

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Figura 5

se questo è L0, il diagramma forza-lunghezza è una roba del genere, poi qui cominciano a essere messi in tensione gli elementi elastici in parallelo, quindi se vado a vedere il muscolo in toto ha una ripiegatura verso l’alto che dipenderà dal tipo di muscolo (in alcuni è meno accentuato in altri di più, dipende da come è fatto il muscolo). L’esperimento si fa così: si prende un muscolo e lo si mette in una leva isometrica ad una certa lunghezza per esempio a L1.

Figura 6

Il muscolo alla lunghezza L1, che è inferiore a L0, viene stimolato, se viene stimolato in condizioni tetaniche svilupperà la massima forza che sviluppa in condizioni tetaniche e quindi finirà ad arrivare qua, svilupperà una forza che è questa. Quindi voi vedrete se avete un oscilloscopio in cui visualizzare la forza, che la forza arriva a questo punto qua. Quindi, voi tenete il muscolo contratto, in contrazione isometrica, e il muscolo sviluppa quella forza che vi aspettavate sviluppasse grazie al fatto che conoscete il diagramma forza-lunghezza. In questa condizione il muscolo è in condizione isometrica (cioè lo avete bloccato ai due capi e lo avete fatto contrarre stimolandolo in modo che però non possa né allungarsi né accorciarsi). Domanda: se io adesso sgancio il blocco e permetto al muscolo di allungarsi o di accorciarsi, che forza sviluppa? Più grande o più piccola, visto che sappiamo che c’è una relazione strana tra forza e velocità che ci dice che la forza varia in relazione a come è la velocità di accorciamento e di allungamento? Allora l’esperimento si fa così: una volta che voi siete arrivati qua (fig. 6 parte rossa), sempre tenendo contratto il muscolo, quindi lo stimolatore è sempre lì che stimola tetanicamente il muscolo, voi potete allungare il muscolo e quindi avete sempre il muscolo contratto ma allungato: per esempio lo allungate da L1 a L2 (fig. 5-6). Se lo allungate da L1 a L2 la forza fa una roba così (fig. 5 linea rossa tratteggiata), sale fino ad un certo valore superiore a quanto previsto dal forza-lunghezza isometrico e quando vi fermate perché avete raggiunto la lunghezza che volevate raggiungere, per esempio L2, il puntino sul vostro schermo torna giù e si porta sul diagramma forza-lunghezza dei massimi isometrici. L’avete capito perché? Vedo sconcerto… Allora, l’altro giorno abbiamo detto: ho il mio muscolo, vado a L1, lo faccio contrarre ed esprime questa forza; rilascio il muscolo, lo tiro un pochino, lo porto a questa lunghezza, lo faccio contrarre ed esprime questa forza. Quindi, lo faccio contrarre, questo sviluppa quella forza lì, poi il muscolo viene rilasciato, lo allungo quando è rilasciato, lo contraggo di nuovo ad una lunghezza superiore e mi dà una forza un po’ più alta e via di seguito. Ogni volta passando da una lunghezza a quella successiva, io ho rilasciato il muscolo, l’ho tirato passivamente e l’ho fatto contrarre di nuovo. La curva che è venuta fuori

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era questa qui (fig. 5 curva nera) che abbiamo visto ha due componenti: quella legata all’attività contrattile e quella legata agli elementi elastici in parallelo. Io adesso NON vado a guardare gli elementi elastici in parallelo! Avrete visto che mi sono messa ad una lunghezza inferiore a L0 perché da L0 tirerei dentro anche gli elementi elastici in parallelo che mi complicano di più la vita. Però io questa volta allungo il muscolo ma non facendolo rilasciare e poi contraendolo ad una lunghezza superiore, lo tengo contratto e mentre lo tengo contratto lo tiro per portarlo ad una lunghezza L2.

Figura 7

Se sono partita qua (fig. 7 punto A) tirandolo arrivo sul pezzo sinistro della curva (fig. 7 punto B), perché abbiamo visto un istante fa che se io faccio contrarre il muscolo mentre lo tiro (come quando scendo il gradino) il muscolo esprime una forza maggiore, per cui se io ho il muscolo contratto e lo tiro non può descrivermi una forza che è quella che mi aspetto da questa curva tratteggiata che è la curva che descrive valori isometrici, i valori isometrici sono qua (fig. 7 parte cerchiata). Io invece lo tiro mentre è contratto e il muscolo mi esprime una forza superiore a quella isometrica, ecco perché vedo che la curva va su così. Quando mi fermo, perché sono arrivata alla lunghezza che volevo, riporto il muscolo in condizioni isometriche, mi fermo perciò non sto né allungando né accorciando. Mi sono portata di nuovo in una situazione in cui la lunghezza del muscolo è fissa, è di nuovo in condizione isometrica. Ma se è di nuovo in condizione isometrica il muscolo, che intanto che si muove è su questo braccio della curva, nel momento in cui torna in condizione isometrica tornerà qua: un po’ più su o un po’ più in giù dipende dalla nuova lunghezza che ha raggiunto, ma comunque siamo in questa zona e quindi vedete il vostro puntino che ritorna qua. E io lo sto sempre facendo contrarre il muscolo, perché se io rilasciassi il muscolo quello mi svilupperebbe una forza uguale a zero, rilasciato. Invece no, è contratto! Se adesso io volessi ritornare alla lunghezza iniziale L1, cosa dovrei fare? Dovrei accorciare il muscolo, quindi io sono qua che tengo il muscolo allungato e adesso tiro in su questa levetta e il muscolo ritorna alla lunghezza iniziale. Secondo voi dove va? Va sotto e infatti descriverà una roba così. Quando mi fermo perché ho deciso che sono arrivata alla lunghezza che volevo, il muscolo si riporta in condizioni isometriche e quindi vedrete che il vostro puntino torna qua. A questo punto il muscolo lo rilascio e la forza andrà giù. Ora questo andamento vale anche se io mi sposto da L1 a L3, semplicemente non l’ho fatto perché qui devo tenere conto del fatto che la forza avrà anche una componente in più, che mi complica la vita, che mette in tensione gli elementi elastici in parallelo, ma vale in tutto l’ambito delle lunghezze. Io ve l’ho messa qui per comodità, per togliere di mezzo la componente degli elementi elastici in parallelo. Questo loop è legato a questo fenomeno del diagramma forza-velocità ed è soggetto alle caratteristiche di questa relazione. Quindi se io allungo il muscolo lentamente nella fase di allungamento (fig. 5-7 grafico azzurro) e accorcio il muscolo lentamente nella fase di accorciamento, vuol dire che ho una velocità bassa. Vedete che se io faccio il movimento lentamente non mi allontano tanto dalla forza isometrica; quindi se io faccio il movimento lentamente il loop si riduce. E’ un po’ più alta della forza isometrica durante l’allungamento, ma di poco, ed è un po’ più bassa della forza isometrica durante l’accorciamento, ma di poco. Se io invece l’allungo velocemente, allora la velocità di accorciamento (fig. 5 grafico verde) sarà elevata e la forza bassa e la velocità di allungamento sarà elevata e la forza molto alta e allora avrò che questo loop aumenta. Quindi ci sarà una notevole differenza tra la forza espressa durante l’allungamento e quella espressa durante l’accorciamento. Adesso allora vediamo questo (fig. 4) che è esattamente la stessa cosa. Questo è il grafico finale, che si chiama diagramma forza-lunghezza dinamico, perché mentre il forza-lunghezza rappresenta soltanto la componente statica ottenuta in condizione isometrica, questo invece

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rappresenta l’aspetto dinamico, quello che in effetti si verifica nella locomozione normale, che è un susseguirsi di fasi di allungamento e di accorciamento. Un esempio è quando dovete fare un salto in avanti, come partite? Con le gambe dritte rigide o vi accovacciate? Vi accovacciate e spingete in avanti. Perché? Perché accovacciandovi avete stirato il muscolo e con un previo stiramento il muscolo, che esprime forza contraendosi se è sovraccaricato da un pre-stiramento, sviluppa una forza più alta e quindi siete in grado di saltare un pochino più in là di quanto non potreste fare se invece partite da una condizione isometrica. Questo comportamento vale nella locomozione in natura.

CALORE DI ATTIVAZIONE E CALORE DI RILASCIAMENTO

Vi dicevo l’altra volta che alla base della contrazione muscolare c’è l’accoppiamento di vari fattori: fattori nervosi, fattori meccanici, tutti mediati da substrati biochimici ad alta energia, cioè ATP e creatin-fosfato. Parlavamo di rendimento meccanico e dicevamo che il rendimento meccanico è il rapporto tra il lavoro meccanico sviluppato e l’energia totale spesa e vi dicevo che il muscolo scheletrico ha il rendimento massimo evidenziabile in natura che è del 25%. Il che significa che se il 25% dell’energia utilizzata viene in effetti usata dal punto di vista meccanico, il 75%, che è la maggior parte, viene disperso sotto forma di calore.

Figura 8

Allora questo andamento qui vi evidenzia come il calore prodotto dal muscolo sia assolutamente da mettere in relazione all’aspetto della forza esplicata. Qui avete: a destra la forza e sull’ascissa la lunghezza, 0 è il valore di L0 (che oramai conoscete bene). Il diagramma tratteggiato è il diagramma forza-lunghezza del muscolo, quello dei massimi isometrici, quello che abbiamo appena visto; mentre la curva sopra (nera) ci dice qual è il cosiddetto calore di attivazione espresso dal muscolo. Vedete che c’è una relazione assolutamente univoca: aumenta la forza espressa, aumenta il calore prodotto; diminuisce la forza espressa, diminuisce il calore, il che ci dice in effetti che il calore dissipato, elaborato nel muscolo si riferisce alla fase di contrazione. C’è anche un calore detto calore di rilasciamento del muscolo (che qui non è rappresentato) che altro non è che calore dissipato per vincere le resistenze viscose all’interno del muscolo quando il muscolo rilasciandosi fa scorrere i propri filamenti di actina e di miosina nel gel del citoplasma che sta intorno a questi filamenti. Il ritorno nella loro posizione iniziale, questo spostamento, determina attrito e l’attrito determina la liberazione di calore. Sono tutti però aspetti meccanici.

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LOCOMOZIONE: MARCIA E CORSA

Vi dicevo prima della locomozione e allora vi parlo brevemente (anche se bisognerebbe rimanerci un po’ di più) di due aspetti della locomozione umana: la marcia e la corsa.

Figura 9

Tutti sappiamo per esperienza che possiamo camminare tante ore, ma non possiamo correre tante ore (ci sono matti che lo fanno… […]). Normalmente (a parte gli eccessi tipo la corsa Firenze-Faenza) sia che uno sia allenato o no c’è una grossa differenza dal punto di vista energetico tra la marcia e la corsa, come mai? Questo è il baricentro, il centro di gravità, e con delle osservazioni che si sono sempre più raffinate negli anni (adesso ci sono dei marker che vengono piazzati ad esempio su varie articolazioni e consentono ad alcuni rilevatori piazzati nella stanza di andare a seguire nel tempo il movimento di questi laser, per avere la cinetica di questi puntini che sono poi le cinetiche delle articolazioni) si è in grado di ricostruire in modo 3D qual è il movimento sia del baricentro sia della articolazioni. Si chiama lavoro esterno il lavoro che viene fatto per spostare il baricentro, quindi se io cammino da qui a lì faccio un lavoro esterno; mentre si chiama lavoro interno il lavoro che gli arti compiono rispetto al centro gravitazionale. Se voi provate a pensare quando camminate, voi, per bilanciarvi, non è che camminate con le braccia rigide, queste si muovono e il movimento degli arti rispetto al centro di gravità richiede un dispendio energetico e questo è un lavoro che non può essere misurato in forma di lavoro del baricentro per andare da qui a lì, perché sia che io tenga le mani ferme, sia che io muova le braccia il lavoro esterno è lo stesso, però al lavoro esterno se ne somma uno interno. Con questo tipo di rilevatori, che misurano questo andamento, si misura soltanto il

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lavoro esterno che è un pochino inferiore al lavoro totale che tiene invece conto anche del lavoro interno. Se andate a vedere come è il profilo della traiettoria del baricentro quando si cammina con la marcia (= normale cammino umano, non la marcia olimpica) vedete che il baricentro descrive una linea che ha un andamento oscillatorio di questo tipo. Questo andamento oscillatorio è legato al tipo di articolazioni tipiche dell’uomo (è un po’ diverso nei quadrupedi) ed è il risultato, vedete c’è una fase in cui il baricentro si alza e una fase in cui il baricentro si abbassa (lo capite bene se pensate come si fa a camminare: c’è una fase di spinta in cui c’è un piede sollevato e l’altro piede spinge un po’ in avanti e un po’ in alto; poi c’è una fase in cui un piede va avanti, cade sotto il peso gravitazionale, c’è una fase di stallo e la spinta dal piede che prima era in spinta). Quindi c’è un andamento di tipo oscillatorio, questo andamento ha varie componenti:

Una componente di energia cinetica (Ec); Una componente di energia potenziale (Ep).

L’en. cinetica, Ec = 1/2 m V2 ed è legata alla massa (m) e alla velocità di progressione (V); mentre l’en. potenziale è legata al fatto che il baricentro si alza, quindi il lavoro che dobbiamo fare per andare da qui al computer deve coprire entrambe queste componenti. Una componente di en. cinetica perché io devo impartire una velocità di progressione al mio baricentro e una componente di en. gravitazionale perché, anche se non me ne rendo conto quando cammino normalmente, il baricentro subisce delle oscillazioni anche in senso verticale. Ora, con la piattaforma dinamometrica è possibile, con questi sensori della piattaforma, risalire alle componenti di en. potenziale e di en. cinetica, si possono misurare. Ecco quindi quello che succede (fig. 9): quello sopra è il tracciato che descrive l’andamento dell’en. potenziale, quello sotto è quello che descrive l’andamento dell’energia cinetica. La prima cosa che vi viene all’occhio è che sono in opposizione di fase, quando una sale, l’altra scende; quando l’en. potenziale sale (siete nella fase di spinta e il baricentro si sta alzando un po’) l’en. cinetica è al minimo e viceversa, cioè quando poi ricadete si abbassa l’en. potenziale ma siccome state aumentando un po’ di velocità aumenta l’en. cinetica. Questa è un’immagine ideale, in realtà l’en. potenziale e l’en. cinetica non sono perfettamente in opposizione di fase, ma hanno un lieve sfasamento che dipende dalla biomeccanica articolare e che è diversa in ogni soggetto. Però la cosa importante è che (se vedete) l’en. totale è costante ed è dovuta al fatto che l’en. potenziale istante per istante si trasforma in en. cinetica. Questo è il grosso vantaggio della nostra cinetica di marcia. Grazie alla meccanica articolare di cui disponiamo, è possibile trasformare, nella marcia, istante per istante l’en. cinetica in en. potenziale e viceversa, come fa l’uovo (una volta che gli avete dato un colpetto per farlo andare questo continua a ruotare) e anche come il pendolo (quando si ferma è perché ci sono gli attriti) perchè in ogni giro si trasforma l’en. cinetica in en. potenziale. Perchè facciamo poca fatica a camminare? Perché una volta partiti ci basta continuare a convertire en. meccanica cinetica in en. meccanica potenziale. Dovremo passo per passo fornire pochissima energia, perché grazie alle articolazioni possiamo utilizzare questa conversione di en. cinetica in en. meccanica. Per farvi capire bene come questo fatto sia importante guardate cosa succede nella corsa. Qui la cinetica è del tutto diversa.

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Figura 10

Nella corsa ogni volta appoggiate un piede diverso e poi ripartite col piede dopo; se andate a studiare con la piattaforma dinamometrica come variano l’en. cinetica e l’en. potenziale vedete che l’en. potenziale è questa qui (fig. 10), questo (punto 1) è un piede che si appoggia, questo (punto 2) è lo stesso piede che si appoggia dopo e via così e quest’altra è l’en. cinetica. Vedete che ogni volta che il piede si appoggia sia l’en. cinetica sia l’en. potenziale vanno a zero. Provate a pensare: io salto, appoggio giù il piede e c’è poco da restituire, sono ferma, per 1ms sono ferma: en. cinetica zero, en. potenziale zero (perché sono arrivata al punto di partenza). Allora se io voglio spingere e fare il passo successivo, devo ricreare le condizioni per avere di nuovo un aumento dell’en. cinetica e potenziale, non posso contare sul passo precedente, non posso convertire l’en. potenziale in cinetica, devo ricreare entrambe. In effetti l’en. totale, che nell’immagine prima era costante, qui (fig. 10) non è affatto costante, anzi è la somma delle due. Mentre prima la conversione di en. cinetica in potenziale e viceversa mi garantiva che l’en. totale fosse quasi costante, per cui io per ogni passo dovevo aggiungere soltanto un pochino di energia per rimpolpare un po’ quella che avevo già disponibile, in questo caso ogni volta devo partire da zero. Quindi ecco perché l’en. totale richiesta per sostenere la corsa è molto più elevata dell’en. totale richiesta per mantenere la marcia. Questo è il motivo per cui possiamo correre per poco tempo (anche se siamo allenati), mentre potremmo camminare per tutta una giornata (sì saremmo stanchi, ma è fattibile).

FREQUENZA OTTIMALE E VELOCITA’ OTTIMALE

Una cosa interessante di tutti questi andamenti è che esiste una frequenza ottimale del passo, una frequenza ottimale della corsa ed esiste una velocità ottimale sia della marcia che della corsa. Questo fenomeno è dovuto soprattutto all’effetto pendolare, mi rifaccio alla figura 9. Nella marcia noi adottiamo, senza accorgercene, una frequenza che è quella ottimale, anche nella respirazione respiriamo ad una frequenza che è ottimale, e in entrambi i casi questa frequenza è legata alla frequenza di oscillazione delle strutture che compongono le articolazioni osteo-articolari e nel caso della respirazione la gabbia toracica. Nel caso della marcia abbiamo una frequenza dettata dalla lunghezza delle leve ossee e da come è messa l’articolazione coxo-femorale. Questa velocità di marcia è di circa 5 km/h. Se voi camminate a 5 km/h voi camminate nella condizione in cui l’en. totale della marcia è minima: ognuno di noi ha la sua, c’è chi cammina agevolmente a minor en. totale (4.5 km/h), c’è chi cammina a 5.5 km/h […]. La velocità è legata alla frequenza, perché siccome le nostre gambe sono sempre lunghe

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uguale e funzionano da pendolo, a seconda della velocità dovremo camminare con una certa frequenza di passi. Quindi nel momento in cui abbiamo definito qual è la velocità ideale, cioè quella che dal punto di vista biomeccanico ci garantisce il dispendio energetico inferiore, automaticamente è definita la frequenza dei passi. La cosa interessante è che la frequenza dei passi, così come la frequenza di oscillazione di un pendolo, dipendono dalla gravità: allora sono stati fatti tanti studi su come varia la deambulazione in condizioni di gravità alterata. Per esempio lo stesso Cavagna (con Patrick) ha fatto degli studi in condizione di iper e micro gravità […]: hanno messo a punto una piattaforma dinamometrica come quella che c’è a Milano ma più piccola che hanno messo a bordo di questo airbus, che fa delle cose allucinanti, cioè fa degli esperimenti con dei voli parabolici. Questo airbus viene portato ad un certo livello, tipo 10˙000 m. e si sta lì per un po’. Poi per un periodo che varia dall’ora alle 2/3 ore, questo disgraziato di airbus comincia a salire e scendere di 5-6000 m., fa 20/30 parabole, si chiamano voli parabolici: questi servono per studiare l’effetto transitorio di una variazione di gravità su certi sistemi. Quando sale e quando scende l’accelerazione di gravità aumenta (aumenta g, è 1.8, poco meno di 2), perché all’accelerazione di gravità viene aggiunta l’accelerazione della salita e della discesa; mentre quando arriva in cima che fa la parabola, dura poco, in cui siamo a 0 g. La cosa divertente è che quando aumenta g diminuisce il periodo di oscillazione del pendolo, voi vedete il prof. Cavagna che cammina come un pinguino, perché 1.8 g vuol dire che il peso aumenta quasi del doppio, per cui non potete fare il passo lungo come prima! Viceversa se siete a 0 g non c’è più peso e quindi in realtà fate fatica a tornare giù, per cui quando si è a 0.4 g (perché non è proprio zero) vedete che fanno questi passi lunghissimi. Volevo citarvelo per farvi capire che lo studio della fisiologia è anche divertente.

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