Il modello latte nobile

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Proprietà letteraria riservata © 2014 Anfosc Onlus

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IL MODELLO LATTE NOBILE

Un’altra via è possibile

a cura di Roberto Rubino

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Proprietà letteraria riservata © 2014 Anfosc Onlus

Finito di Stampare 30/09/2014

ISBN 978-88-901965-7-7

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Redazione e impaginazione Di Stefano & Partners

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INDICE

PARTE PRIMA: IL MODELLO LATTE NOBILE IN ITALIA E MESSICO. LA

REAZIONE DEL SETTORE LE STRATEGIE DI TRASFERIMENTO, IL RUOLO DEI

CONSUMATORI. _________________________________________________________ 5 IL LATTE NOBILE: UN MODELLO IN VIA DI EVOLUZIONE ROBERTO RUBINO _________ 7 IL SIGNIFICATO DEI FORAGGI PRATIVI NEI SISTEMI ZOOTECNICI PER LA PRODUZIONE DEL

LATTE BRUNO RONCHI _____________________________________________ 36 RISORSE FORAGGERE, ALIMENTAZIONE ANIMALE E PAESAGGI AGRARI PER I PRODOTTI DI

QUALITÀ ANDREA CAVALLERO, GIAMPIERO LOMBARDI _____________________ 51 EL MODELO DE “LATTE NOBILE” UNA VÍA ALTERNATIVA PARA LA PRODUCCIÓN DE LECHE

DE CALIDAD EN MÉXICO DR. MIGUEL ANGEL GALINA _____________________ 73 IL PRIMO PASSO DI UNA LUNGA MARCIA. CADUTE, RIASSESTAMENTI, LINEE PER IL FUTURO

GIANFRANCO NAPPI ___________________________________________________ 89 STORIA BREVE DI UN PERCORSO ANNUNCIATO IL DETERMINANTE RUOLO DELLA REGIONE

CAMPANIA ADRIANO GALLEVI _____________________________________ 98

PARTE SECONDA: I RISULTATI DELLA RICERCA IL LATTE NOBILE STRUMENTO PER MIGLIORARE LA COMPETITIVITÀ DELLE AZIENDE

AGRICOLE DELL’APPENINO CAMPANO.S. LA TERRA1, G. CAMPISI

1, L. CORALLO

1, A. DI

FALCO1, G. FARINA

1, G. GIURDANELLA

1, C. GUARDIANO

1, M. OTTAVIANO

1, G. AZZARO

1, G.

LICITRA2. __________________________________________________________ 103

COMPONENTI SALUTISTICHE E AROMATICHE DEL LATTE NOBILE DELL’APPENNINO

CAMPANO S. LA TERRA1, V. M. MARINO

1, T. RAPISARDA

1, G. BELVEDERE

1, F. LA

TERRA1, S. CARPINO

1, G. LICITRA

2. ______________________________________ 108

RAPPORTO OMEGA6/OMEGA3 E GPA NEL LATTE NOBILE IN MOLISE GIAMPAOLO

COLAVITA, CARMELA AMADORO, ROSSELLA MIGNOGNA _______________________ 118 IL LATTE NOBILE DELLE ALPI PIEMONTESI COME STRUMENTO PER MIGLIORARE LA

COMPETITIVITÀ DELLE AZIENDE AGRICOLE MONTANE: PRIMI RISULTATI GIAMPIERO

LOMBARDI, LUCA BATTAGLINI, PAOLO CORNALE, CAROLA LUSSIANA, VANDA MALFATTO,

ANTONIO MIMOSI, MASSIMILIANO PROBO, SIMONE RAVETTO ENRI, MANUELA RENNA

LUCIA DECASTELLI, SARA ASTEGIANO, ALBERTO BELLIO, DANIELA MANILA BIANCHI,

SILVIA GALLINA, GRAZIA GARIANO _______________________________________ 129 UNA PROPOSTA DI MISURAZIONE DELLA QUALITÀ DEL FIENO F. INFASCELLI, S.

CALABRÒ, MONICA I. CUTRIGNELLI, R. TUDISCO, M. GROSSI, P. LOMBARDI ________ 139

PARTE TERZA: NUOVI INDICATORI E NUOVI PARAMETRI ESSENZE FORAGGERE E QUALITÀ AROMATICO- NUTRIZIONALE DEL LATTE

SALVATORE CLAPS E LUCIA SEPE _______________________________________ 153 LE COMPONENTI NUTRIZIONALI E AROMATICHE DEL LATTE: LA COMPLESSITÀ DELLE

MISURAZIONI E I POSSIBILI FATTORI DI VARIAZIONE LUCIA BAILONI E ROBERTO

MANTOVANI ________________________________________________________ 161 IL LATTE NOBILE NON È SOLO UNA BUONA IDEA, MA UN MODELLO CHE FUNZIONA

RONCORONI C.1, CALABRÒ S.

2, GALLI T.

1, MUSCO N.

2, GROSSI M.

2, FAGIOLO A.

173

QUANDO IL LATTE VALORIZZA IL TERRITORIO MAURIZIO RAMANZIN E ENRICO STURARO 181

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Parte Prima

Il Modello Latte Nobile in Italia e

Messico. La reazione del settore, le

strategie di trasferimento, il ruolo dei

consumatori.

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Il Latte Nobile:

un modello in via di evoluzione

Roberto Rubino

Presidente Anfosc Onlus

Un giorno un tassista spagnolo mi disse:

mio padre aveva otto vacche, ma,

hombre, non ci faceva bere il latte di tutte

e otto ma solo quello della vacca più

grassa e che produceva meno latte.

Dal modello unico alla diversità

Il mondo zootecnico è attraversato da una serie di piccole e grandi

questioni che stanno agitando e non poco i sogni dei piccoli come

dei grandi allevatori di vacche da latte. In primis, la fine delle quote

latte, la scomparsa di quell’ombrello che ha permesso, negli ultimi

venti anni, alle grandi aziende di consolidare la propria posizione,

naturalmente a scapito dei piccoli allevamenti, che sono stati

decimati, e di spostare i problemi per almeno un ventennio. Problemi

che ora stanno venendo al pettine. Ci riferiamo alla direttiva sul

benessere animale, allo spandimento dei liquami e al nuovo metodo

di valutazione della disponibilità dei suoli agricoli, all’aumento

dell’inincrocio verso percentuali di non ritorno per un abuso

incredibile della F.A. e di semi di pochi tori, ed alla persistenza di

un’infertilità che ormai è l’unica causa di eliminazione delle vacche

dall’azienda. A tutto questo si è aggiunta, nel mese di luglio, la

notizia del crollo del 6%dei consumi di latte alimentare nei primi sei

mesi del 2014. Verrebbe da dire che il settore è in crisi, se non fosse

che questa parola era già all’ordine del giorno quando ero

all’Università agli inizi degli anni settanta e che l’ho sentita ripetere

per tutti questi anni. Questa volta però, più che di crisi c’è

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un’atmosfera di panico, d’impotenza. Gli allevatori sentono che i

cambiamenti non saranno indolori, che i nuovi regolamenti dovranno

essere applicati, che la concorrenza sarà ancora più spietata, ma

non riescono a reagire. Una soluzione non si vede all’orizzonte, se

non la solita e oramai obsoleta litania: ridurre i costi per abbassare

ancora i prezzi. Curioso che un settore che ha avuto a disposizione e

che ha utilizzato a piene mani il massimo dell’innovazione

tecnologica e tutto il mondo della ricerca, non riesca nemmeno ad

elaborare un modello teorico di sviluppo per uscire dalla crisi. Il

miglioramento genetico continua stancamente a selezionare gli

animali più per perpetuare e tenere in piedi un impianto economico-

occupazionale che per migliorare un qualche aspetto

dell’allevamento e della vita dell’animale. Queste macchine da latte

così potenti dovrebbero almeno avere a disposizione

un’alimentazione in grado di salvaguardare prima la salute

dell’animale e poi la qualità del latte e della carne, ma entrambi sono

ai minimi termini perché la buona alimentazione costa troppo e non

possiamo permettercelo. E cosi spingiamo verso la monocoltura, i

sottoprodotti e gli integratori, e non ci accorgiamo che nel frattempo

sono scomparsi i prati permanenti, la foraggicoltura polifita, la

biodiversità floristica. Bel paradosso nel momento in cui la nuova

PAC mette il greening come obiettivo primario della politica europea.

Pregi (pochi) e limiti (molti) del modello “Alta

Qualità”

L’ultima àncora sembra il marchio di Alta Qualità, che può essere

preso a simbolo e paradigma della debolezza del settore e

dell’incapacità che questo ha di individuare nuove soluzioni. Questo

marchio fu fortemente voluto dagli addetti ai lavori dopo l’avvio delle

quote latte per frenare l’importazione di latte dall’estero,

notoriamente meno costoso. Poiché il latte impiegava più di qualche

giorno per arrivare sul mercato italiano e doveva anche essere

pastorizzato due volte, si scelse di individuare parametri che quel

tipo di latte non poteva rispettare. Per prima cosa il latte doveva

essere raccolto e imbottigliato dopo ventiquattro ore dalla mungitura,

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e poi doveva avere una carica batterica e un contenuto di cellule

somatiche talmente bassi da poter sostenere una sola

pastorizzazione senza che vi fossero conseguenze negative per la

qualità del latte. A questi due parametri vennero aggiunti anche

grasso e proteine, a quel tempo considerati determinanti per la

qualità del latte. A un latte così definito venne data la scadenza di 4

giorni, poi portata a 6 e fu dato il marchio di Alta Qualità. Il successo

fu enorme, non a caso l’Italia è fra i pochi paesi europei ad avere un

alto consumo di latte fresco pastorizzato. Ed è stato anche un bene

per il consumatore, perché, come si è visto in ricerche effettuate alla

fine degli anni novanta, il trattamento termico, la sterilizzazione,

deprimono la qualità aromatica e nutrizionale del latte. Però ogni

medaglia ha il suo rovescio e, nel nostro caso, gli effetti sono

rimbalzati come un boomerang sul settore latte. Nel momento in cui

si è preteso di produrre Alta Qualità con un sistema altamente

intensivo, in cui la selezione inseguiva la qualità e dava un premio

alla vacca che faceva più latte e che questa quantità veniva

supportata da un sistema alimentare pessimo, basato su una sola

erba e soprattutto su molti concentrati, nel momento cioè in cui si è

cercato di conciliare l’inconciliabile, allora il danno è stato

incomparabile e su più direzioni.

Il consumatore gradualmente ha perso la percezione del sapore del

latte e va verso l’elogio dell’insapore. Oggi grazie alla deriva della

qualità, i formaggi sono sempre più banali e caratterizzati da un

difetto di ossidazione che rimanda all’alimentazione squilibrata,

quando il latte è giallo i caseifici non lo vogliono e ricorrono allo

sbiancamento con clorofilla, i consumatori non vogliono i formaggi

gialli.

I trasformatori continuano a confondere la resa, e quindi il contenuto

di grasso e proteine, con la qualità. Spingono gli allevatori a tenere

alti questi parametri e non si accorgono che in questo modo la

qualità dei formaggi è drammaticamente crollata. Un esempio è

quello della ricotta. Per recuperarne il sapore, visto che era ridotto ai

minimi termini, i casari hanno ben pensato di aggiungere la panna. E

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così la ricotta, che stranamente per la gran parte dei dietologi passa

per un formaggio magro, ora è più che grassa ma non certo più

aromatica. Sul mercato vi è una ricotta light che, pur essendo più

magra, ha, tra gli ingredienti, la crema, a dimostrazione che quel

latte di sapore e profumi ne aveva molto pochi.

E poi, l’industria che imbottiglia il latte per uso alimentare si è

adagiata sulla rendita del marchio dell’Alta qualità e si è limitata a

pretendere solo una qualità igienica del latte. Alla fonte il latte

raccolto viene miscelato, poi viene portato in azienda dove subisce

trattamenti vari per poter immettere sul mercato una gamma la più

variegata possibile( sottrazione di grasso, aggiunta di vitamine,

omega3, ecc.). E così il latte, alimento principe della dieta che

accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, ha perso il legame con

il territorio, non ha una sua specificità, è tutto uguale, l’etichetta è

praticamente simile al Nord come al Sud, l’unica diversità la fa

l’industria. All’allevatore il latte, quando viene pagato in relazione alla

qualità, lo è solo in funzione di quei quattro parametri: grasso

proteine, carica batterica e cellule somatiche. Numerose ricerche

hanno dimostrato che questi parametri non hanno alcuna relazione

con la complessità aromatica e nutrizionale del latte. Ma a volte non

bisogna aspettare i risultati di ricerche costose e lunghe per arrivare

a considerazioni attendibili. Nel nostro caso basta vedere il burro. Un

burro di animali al pascolo ha la stessa quantità di grasso di un burro

di animali alla stalla. Se il grasso fosse sinonimo di qualità, i due

burri sarebbero simili. Invece le distanze sono enormi, e lo stesso si

potrebbe dire per la ricotta. Quindi, grazie a questo metodo gli

allevatori che hanno prodotto un buon latte, in questi anni, i piccoli

allevamenti di montagna e di collina, o quelli che testardamente

hanno deciso che con l’intensivo non volevano avere niente a che

fare, non hanno visto premiato i loro sforzi, al contrario quelli che

hanno adottato appieno il metodo intensivo, sono stati premiati. Le

conseguenze erano prevedibili, ma tutti hanno fatto finta di non

vedere: i piccoli allevamenti hanno chiuso, in Basilicata, dove vivo,

negli ultimi dieci anni hanno chiuso tremila stalle (se avesse chiuso

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la Fiat di Melfi ci sarebbe stata la rivoluzione) fra l’indifferenza

generale, la qualità del latte è quella che è, del benessere animale e

della qualità dell’ambiente ne abbiamo già parlato.

Infine, l’allevatore ha perso il contatto con i fattori della produzione e

la relazione che intercorre fra di essi. Continua a preoccuparsi di

grasso e di proteine, di carica batterica e di cellule somatiche, senza

rendersi conto che questi sono tutti parametri che niente hanno a

che fare con la qualità. Burro docet. Assiste inerme al crollo della

fertilità della mandria, a un turnover accelerato delle vacche, al

rischio continuo d’impatto ambientale all’anonimato del suo prodotto,

e all’impossibilità di intervenire nella formazione del prezzo. Continua

a produrre nella speranza che il prezzo salga per effetto di

congiunture internazionali favorevoli, non certo per un aumento della

qualità del suo prodotto, cosciente che la chiusura è dietro l’angolo

se “la situazione dovesse continuare”.

Di qui l’incapacità del settore di individuare strade nuove, un modello

diverso di sviluppo. La debolezza, culturale ed economica è tale da

lasciarsi impiccare sull’Alta Qualità piuttosto che rimettere tutto in

discussione e ricominciare daccapo.

Come diceva Einstein: non si risolve un problema utilizzando la

stessa logica che lo ha prodotto. Occorre cambiare modello e

soprattutto la logica che è stata alla base del sistema intensivo: la

riduzione dei costi e dei prezzi. Noi ci abbiamo provato.

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Il modello Latte Nobile

Noi siamo partiti dalla considerazione che, in un mercato dove

esiste una variabilità più o meno ampia delle quasi totalità delle

produzioni alimentari e non solo, l’anacronismo del latte alimentare

che rinuncia ad una diversità dell’offerta basata sulla materia prima

fosse facilmente superabile e che non sarebbe stato difficile

intercettare consumatori non solo in grado di pagare di più ma felici

di accedere ad un prodotto di una evidente qualità elevata. Quale

mamma, ci chiedevamo, si farà condizionare da un prezzo più

elevato nella scelta di un alimento di cui conosce le caratteristiche

nutrizionali e aromatiche? La sfida era tutta qui: abbiamo dato per

scontato che ci fosse spazio per un prodotto più caro e che la

domanda fosse il minore dei problemi, anche perché il successo di

Slow Food e la vivacità con la quale le comunità locali si muovono

per promuovere e portare alla luce le specificità territoriali lasciavano

ben sperare in un consumatore attento e desideroso di un prodotto

con una personalità spiccata.

Messo da parte quello che ad altri sembrava un problema insolubile,

occorreva costruire il modello di sviluppo, immaginare e

programmare i vari segmenti della filiera, perché il latte alimentare,

contrariamente al vino o ai formaggi o all'olio, ha una sua

caratteristica dalla quale non si può prescindere: il giorno che viene

munto deve essere immesso sul mercato e venduto. Quindi, non

solo ci si deve preoccupare di produrre un buon latte, separarlo dalla

massa e imbottigliarlo a parte, ma occorre immediatamente

intercettare quel consumatore già informato che quella qualità merita

un prezzo abbastanza superiore a quello del latte più caro che al

momento trova sul mercato.

La Regione Campania ha subito sponsorizzato il progetto fornendo

all’Anfosc un finanziamento per attivare i vari segmenti della filiera.

Nella prima fase abbiamo individuato il nome, Latte Nobile(non

sapevamo come fare perché la legge 189 aveva già sbarrato la

strada a nomi che includessero la parola “qualità”), abbiamo

abbozzato un disciplinare di produzione, sondato eventuale partner

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per l’imbottigliamento e approfondito la bibliografia sulla qualità del

latte. In corso d’opera l’Anfosc ha messo insieme diversi attori fra cui

il Corfilac di Ragusa ed ha partecipato a un bando di ricerca della

Regione Campania(124HC). Questo progetto ha permesso di

monitorare e meglio definire il disciplinare di produzione e le

caratteristiche organolettiche del latte, di approfondire anche la

qualità dei derivati come yogurt e formaggi e, soprattutto, di affinare

le strategie di approccio con i vari attori della filiera. Siamo alla fine

del progetto, i risultati sono riportati in questo libro e li abbiamo

raccontati al Salone del Gusto di Torino alla presenza sia degli

allevatori partner del progetto e sia dei nuovi allevatori, ormai oltre

venti, che via via hanno chiesto di aderire al disciplinare del Latte

Nobile. Ma il risultato più soddisfacente è che il modello funziona e

che il Latte Nobile non solo è presente sul mercato ma che è

diventato un prodotto di élite, ricercato dai consumatori e dai

distributori. Ecco come è stato possibile.

Una qualità superiore certificabile

Se il latte non è tutto uguale e se io voglio offrire al consumatore un

latte di qualità, che deve essere pagato di più, che livello di qualità

devo produrre affinché l’evidente differenza sia tale da spingere il

consumatore a superare la barriera del prezzo più alto attualmente

sul mercato? E poi, che garanzie, oltre al sapore, do al consumatore

che quel latte risponde alle caratteristiche raccontate e riportate sulla

confezione?

Il primo passo è stato quello di individuare il livello di qualità e di

scegliere la cornice in cui inquadrare i vari fattori di produzione.

Insomma bisognava abbozzare il disciplinare di produzione e

verificarne i risultati. Questo percorso è stato abbastanza agevole

perché l’esperienza che ci derivava da oltre un ventennio di ricerche

sulla qualità del latte e da continui scambi con chi, soprattutto in

Italia e in Europa, si era occupato di qualità del latte, ci ha permesso

di portare a sintesi estrema i tanti studi fatti: la qualità del latte e dei

formaggi è l’espressione di una serie di molecole aromatiche:

terpeni, fenoli, flavonoidi e nutrizionali: antiossidanti, vitamine, acidi

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grassi insaturi. Tutte queste componenti dipendono essenzialmente

dalla quantità di erba che l’animale ingerisce e, ancora di più, dal

numero di erbe, perché, come abbiamo notato in numerose ricerche,

ogni erba apporta componenti diverse al latte. Anzi, più le erbe sono

selvatiche, spontanee, naturali, direi persino infestanti e più questa

complessità è importante. Questa è stata l’unica certezza di tutto il

modello che avevamo ed è stato gioco facile metterla in pratica.

Dovevamo a questo punto fissare i paletti: quanta erba e quante

erbe il disciplinare dovesse prevedere per avere una qualità

percepibile, una diversità che il consumatore potesse cogliere,

sapendo che il latte è un liquido molto diluito e difficile da “leggere”.

Avevamo, negli anni novanta, effettuato alcune ricerche sull’uso dei

concentrati in animali al pascolo ed alla stalla. Avevamo capito che

in effetti questa tipologia di alimento aveva essenzialmente un effetto

diluente sulla complessità aromatica e nutrizionale del latte.

Avevamo anche visto che l’influenza sulla riduzione della produzione

non era automatica e costante, e che molto dipendeva anche dalla

qualità dei fieni. Sulla base di questi dati ci siamo orientati su un

rapporto foraggio/concentrati di 70/30, rapporto che si è rivelato

efficace sia per la qualità del latte, la cui diversità è percepibile dal

consumatore e dagli strumenti analitici e sia per il benessere

animale( i risultati sono riportati nella seconda parte del libro).

Più difficile e per certi aspetti più sorprendente si è rivelata la scelta

del numero di erbe. Se sappiamo che più alto è il numero e più la

qualità del latte allora si poteva partire subito con un numero elevato.

In fondo, qualsiasi prato permanente, anche il più scadente, ha

almeno una ventina di essenze. Però in Italia ci sono gli erbai,

spesso monocolturali o limitati a due sole erbe. Due però erano

troppo poche per dare una “scossa” al latte, occorreva partire

almeno con quattro, a costo di costringere l’allevatore a comprare o

seminare due tipologie di fieno. E così è stato. Siamo partiti con

quattro erbe e poi, mano a mano che si andava avanti e che si

accumulavano le conoscenze relative ai diversi territori italiani, si è

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visto che si può arrivare a sei, sapendo comunque che l’obiettivo

resta quello di spingere ogni allevatore ad avere almeno un

appezzamento a prato polifita in modo da poter allestire una razione

di fieno con diverse erbe. Purtroppo ci siamo subito resi conto che la

monocultura aveva fatto più danni di quelli che avevamo

immaginato. I prati polifiti sono quasi scomparsi, la stessa parola

prato dice poco a molti allevatori, le essenze foraggere sono ormai

ridotte a poche specie, la biodiversità è praticamente nulla. Allora

abbiamo cambiato strategia privilegiando questo aspetto negli

incontri con gli allevatori. Lo stato dell’arte sarà raccontato da

Cavallero in questo libro.

Abbiamo anche inserito il divieto degli OGM e degli integratori, inutili

se non dannosi con un’alimentazione ben equilibrata.

Infine restava da definire il livello produttivo. Occorreva prevederlo o

no? In fondo se ne poteva fare a meno, perché se un animale

utilizza quel tipo di razione per forza deve ridurre la produzione e poi

non tutti gli animali danno la stessa risposta e quindi per alcuni

poteva rappresentare una ulteriore limitazione. Abbiamo preferito

mettere comunque un limite a 5000 litri per lattazione, sapendo che il

disciplinare è qualcosa che può essere migliorato in itinere se i

risultati che si vanno conseguendo lo dovessero suggerire.

Ci siamo preoccupati anche di inserire alcune clausole relative

all’ambiente, come la lontananze da discariche e l’uso limitato di

concimi e diserbanti.

Gli indici di qualità

A questo punto si poneva il problema della tracciabilità. E’ vero che

la diversità del latte è abbastanza riconoscibile da tutti ma quali

parole ho a disposizione per raccontare questa diversità e come

posso garantire al consumatore che l’allevatore rispetta il

disciplinare? E poi, cosa posso scrivere in etichetta, visto che il

Regolamento 1069/2011 che va in vigore alla fine del 2014 è molto

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rigoroso ed è stato concepito per l’industria, non certo per produzioni

di qualità?

Il latte, i formaggi e la stessa carne sono alimenti e, per questo,

vengono acquistati o per ragioni edonistiche, per il piacere di

mangiare qualcosa di buono e/o per ragioni squisitamente

nutrizionali. Il gusto è legato a una serie di molecole complesse, i

fenoli, i terpeni, gli idrocarburi aromatici, gli stessi flavonoidi; gli

esteri, gli alcoli, le aldeidi. Il valore nutrizionale dipende dalla qualità

dei grassi e non dal grasso, dalla presenza degli acidi grassi insaturi,

dalle vitamine, dagli antiossidanti. Stiamo parlando di centinaia di

molecole le cui analisi sono difficile e costose. Occorre pensare a

degli indici sintetici che facilitino il racconto e il cui controllo permetta

di monitorare il rispetto del disciplinare. Più facile a dirsi che a farsi,

ma non ci stiamo tentando.

Il rapporto omega6/omega3

In passato, in collaborazione con Laura Pizzoferrato e Pamela Manzi

dell’ex Inran ora CRA-Nut, avevamo iniziato a mettere a punto

qualche indice. Grazie ad alcune intuizioni di Laura Pizzoferrato,

avevamo lavorato sul Grado di Protezione Antiossidante(GPA) e sul

rapporto Omega6/omega3. Il primo è importante perché ci da la

misurare del grado di protezione del colesterolo dall’ossidazione dei

radicali liberi(a parità di contenuto di colesterolo la sua ossidabilità

aumenta con la diminuzione del GPA). Il secondo è molto studiato

nel mondo della medicina tanto che ormai ne è stato precisato anche

il valore raccomandabile per la salute umana. Una recente ricerca

americana ha fermato l’asticella su 2,8, ritenuto ideale e da

perseguire. Noi sapevamo, quando siamo partiti, che occorreva

restare al di sotto di 5. E questo abbiamo scritto nella prima stesura

del disciplinare. Poi, con l’entrata di altri allevatori e mano a mano

che arrivavano i risultati dei prelievi periodici, abbiamo visto che

quasi tutti si attestavano intorno a 3, per cui abbiamo abbassato a 4

il valore del rapporto omega6/omega3.

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Il GPA (Grado di protezione antiossidante) Più complicato rimane il GPA. Dai dati pubblicati insieme a Laura

Pizzoferrato sapevamo che questo indice varia da circa 4 negli

animali alla stalla a oltre venti in quelli al pascolo, ma dove

posizioniamo l’asticella? E poi stiamo parlando di beta-carotene e di

alfa-tocoferolo le cui analisi sono più complesse di quello che

potrebbe sembrare. Per fortuna, nel periodo in cui si andava

sviluppando il progetto in Campania, dove le ricerche venivano

effettuate dal Corfilac, altri due progetti sono stati avviati in Piemonte

ed in Molise. E’ stato così possibile mettere insieme l’Università di

Torino e quella del Molise per poter effettuare anche un ring test sul

GPA. In questo libro verranno presentati tutti i risultati ma ci siamo

accorti subito che mentre il beta-carotene è abbastanza stabile e

risponde all’alimentazione, la vitamina E risponde meno perché è

una vitamina liposolubile, perché ha diversi isomeri con diversa

biodisponibilità e, soprattutto, viene sistematicamente data come

integratore nei sistemi intensivi, quindi difficile sapere se la sua

presenza nel latte, al momento in vengono effettuate le analisi,

dipende dalle erbe o dall’integrazione.

MA questi due antiossidanti non sono importanti solo perché capaci

di bloccare l’ossidazione del colesterolo. Negli ultimi anni va

aumentando la frequenza e la percentuale di formaggi industriali e, a

volte, anche aziendali, caratterizzati da un retrogusto metallico

fastidioso e spesso molto persistente. Il responsabile di questo

difetto è un’ossidazione che, a sua volta, può dipendere da uno

squilibrio fra radicali liberi e vitamine antiossidanti presenti nel latte.

Jensen(1999) ha dimostrato che la produzione di beta-carotene e di

alfa- tocoferolo prescinde dalla quantità giornaliera di latte che un

animale produce. Quindi, se con la selezione alziamo sempre più il

livello produttivo, lo squilibrio fra molecole bersaglio dell’ossidazione

ed antiossidanti aumenta sempre più. E’ vero che si interviene con

gli integratori(il disciplinare del Latte Nobile li vieta perché questo

equilibrio deve avvenire naturalmente con i foraggi), ma

evidentemente ormai la situazione è fuori controllo, anche perché

per i nutrizionisti la razione deve rispondere solo alle esigenze del

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metabolismo e della produzione di grasso e proteine, non della

qualità del latte e dei formaggi.

Quindi, noi continuiamo a pensare che questo indice sia fra i più

interessanti, ma al momento l’unica cosa che si può fare è quella di

continuare a studiare per avere dati più stabili, per comprendere il

ruolo degli integratori e per poter, infine, definire il valore del GPA da

inserire nel disciplinare.

Il GIR (Grado di isomerizzazione del retinolo) Pe restare agli aspetti nutrizionali, Laura Pizzoferrato aveva anche

definito un altro indice, il GIR (grado d’isomerizzazione del retinolo)

perché aveva visto che i trattamenti termici del latte determinavano

un aumento della forma cis con conseguente riduzione della

biodisponibilità. E’ certamente un Indice interessante, però nel nostro

caso inutile perché ci limitiamo alla qualità della materia prima in

azienda, tutto quello che viene dopo, attiene a un altro segmento, è

industria, è tecnica.

Forse si può fare a meno di un indice di complessità aromatica

E il gusto, il sapore, come lo raccontiamo, da cosa dipende,

possiamo individuare un indice di sintesi? Anche qui le cose sono

abbastanza complicate. Le molecole interessate sono centinaia e,

soprattutto, con soglie di percezione diverse non solo fra loro ma

anche fra i consumatori. Forse un aiuto potrà darcelo l’analisi Smart

nose, perché la presenza di un operatore addestrato vicino al Gas

massa permette di rilevare sole le note percepibili dall’uomo. Si

potrebbe in questo modo rilevare il numero di note aromatiche e

l’intensità. In questo libro il Corfilac presenta i risultati, certo non

definitivi, ma sapremo se almeno questa parte merita un ulteriore

approfondimento.

Al momento quindi abbiamo inserito nel disciplinare e si continua a

monitorare solo il rapporto omega6/omega3, che deve essere sotto

4. Le numerose analisi che sono state fatte e la variabilità dei dati ci

hanno confermato che questo dato è abbastanza sensibile alla

razione alimentare ed alla presenza di erba tanto è vero che ogni

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qualvolta è stato registrato un aumento del valore è stato possibile

accertare che l’allevatore aveva modificato la razione.

Un argomento in evoluzione Un solo indice è sufficiente per rassicurare il consumatore e la

stessa filiera? Certamente no, anche perché si può intervenire

artificiosamente, per esempio con l’uso di pannelli di semi oleaginosi,

per cambiare questo rapporto. Occorre quindi insistere per

individuare altri indici altrettanto efficaci.

Al momento due sono i punti fermi che ci permettono di guardare

con sufficiente tranquillità la filiera e la sua tracciabilità. Il primo fa

riferimento ai controlli che l’Anfosc effettua nelle aziende e che

riguardano il livello produttivo degli animali, l’uso dei concentrati e la

qualità dei fieni. Il secondo, il più importante, parte dal presupposto

che l’organismo è un sistema in equilibrio, dove “tutto si tiene” e,

quindi, se l’animale mangia un buon fieno, il latte deve essere di

buona qualità e le molecole saranno tutte in equilibrio fra loro.

Possiamo quindi anche non monitorarle. Sullo sfondo, la seconda

regola di Newton: due effetti devono avere sempre la stessa causa.

Tradotto per noi: se con una buona alimentazione migliora un indice,

tutti gli altri devono muoversi nella stessa direzione.

A questo punto avevamo gli strumenti per avviare la produzione di

un latte diverso, di qualità superiore a qualsiasi latte alimentare

presente sul mercato. Come ottenerlo? Avevamo a disposizione due

strade: provare a convincere qualche allevatore che, stanco e

disilluso dal modello intensivo, non avrebbe avuto molte remore a

provare il nuovo modello oppure individuare allevatori che, con

piccoli aggiustamenti, si trovavano già nelle condizioni previste dal

disciplinare. Per accelerare i tempi optammo per la seconda

soluzione. In accordo con il Sesirca, il Servizio di Sviluppo della

Regione Campania, facemmo un inventario dei modelli di

allevamento della regione e, dopo alcuni sondaggi, optammo per

Castelpagano, un Comune dell’alto beneventano, a vocazione quasi

Page 22: Il modello latte nobile

esclusivamente zootecnica, con piccoli allevamenti prevalentemente

a gestione familiare.

Fra i tanti ne selezionammo 4 o 5, analizzammo il latte e ci

rendemmo conto che in quell’area vi erano tutte le condizioni per

avere la qualità che cercavamo. Una delle conditio sine qua non che

ci eravamo posti e che successivamente anche Slow Food ci pose

quando chiedemmo loro di collaborare al progetto, era che agli

allevatori fosse riconosciuto un prezzo alla stalla più equo, più

remunerativo. In quel momento il prezzo di mercato era intorno ai

40-43 centesimi/litro, decidemmo di tenero come punto fermo 0,60

centesimi/litro.

Avevamo il latte, avevamo gli allevatori, ma non bastava per poter

vendere bene un buon latte. Il percorso era ancora lungo. Occorreva

trovare un imbottigliatore, un trasportatore che si facesse carico di

far arrivare il latte all’industria, un distributore e dei negozianti

disponibili, tutti, ad entrare sul mercato con un prodotto più caro e

non meno caro come era ed è la prassi.

Attivazione dei vari attori della filiera

Il primo ostacolo fu l’imbottigliamento. In Campania, come nelle altre

regioni, i centri d’imbottigliamento sono pochi e, come abbiamo

potuto verificare anche per gli altri protagonisti della filiera, operano

quasi tutti con il proprio marchio, non hanno alcun interesse a

entrare in un’iniziativa che si configura, a prima vista, come un

concorrente per la propria produzione. In sostanza, mentre un

produttore di vino amplia la gamma dell’offerta puntando soprattutto

sulla diversità della materia prima, le uve, ricercando varietà

autoctone di uve oppure tecniche di raccolta particolari, l’industria del

latte si limita a variare l’offerta solo in funzione della tecnica di

imbottigliamento e ignorando la specificità della materia prima. Un

atteggiamento simile hanno avuto i raccoglitori del latte, che al Sud

hanno un ruolo determinante, in pratica gestiscono e controllano il

prezzo ed il rapporto con l’industria. La debolezza del sistema è tale

che un seppur minima variazione dello status quo crea il panico e

Page 23: Il modello latte nobile

21

spesso siamo stati oggetto di un’accoglienza fredda, quasi

minacciosa. Un’analoga risposta avevamo ottenuto da un importante

ipermercato di Napoli quando abbiamo cercato di far capire al

responsabile degli acquisti che quel latte andava venduto a un

prezzo alto perché la qualità era di livello superiore : “noi vendiamo

scatole e non siamo interessati a quello che c’è nella confezione”.

Dopo un primo tentativo di imbottigliamento subito abortito, abbiamo

capito che se volevamo andare avanti non dovevamo dialogare con

gli attori della filiera tradizionale.

Per fortuna sulla nostra strada abbiamo incontrato la Compagnia

della qualità, una società appena formata e composta da piccoli

imprenditori neofiti, che ha “sposato” la filosofia del progetto e, pur

senza aver alcuna esperienza di latte, del mercato e della

distribuzione, ha accettato la sfida. Un piccolo imbottigliatore si è

impegnato a offrire questo servizio per conto terzi, essendo egli

stesso produttore di latte di Alta Qualità, e a questo punto il latte era

pronto. Nel frattempo avevamo definito il nome, Latte Nobile, perché

volevamo far capire subito al consumatore che si trattava di

qualcosa di diverso e di livello superiore a quello che si trova

normalmente sul mercato, e abbiamo registrato nome e marchio.

Naturalmente non era e non è nostra intenzione fare del Latte Nobile

un marchio commerciale. Noi volevamo offrire al settore un modello

di sviluppo alternativo a quello attuale che fosse più remunerativo

per l’allevatore, più rispettoso dell’ambiente e del benessere animale

e che potesse dare al consumatore la libertà di scegliere la qualità

del latte. In qualche modo vuole essere un marchio simile al

biologico con la differenza che il biologico è stato concepito per

ottenere un sistema di allevamento più compatibile per l’ambiente e

più rispettose della salute degli animali. Non si preoccupa della

qualità del latte, non a caso la sua diversità è difficile da dimostrare.

La filosofia che è alla base del latte nobile parte dalle qualità del latte

e dai fattori presi in considerazione per renderla diversa. Se un

animale mangia più foraggio e più erbe diverse, se l’allevamento è

lontano da fonti d’inquinamento, il latte è di migliore qualità, l’animale

Page 24: Il modello latte nobile

mangia meglio, produce meno latte ed ha una qualità della vita

decisamente migliore.

A questo punto avevamo gli allevatori ai quali veniva riconosciuto un

prezzo interessante e decisamente incoraggiante, avevamo

l’imbottigliatore ed avevamo la confezione di latte, un altro passaggio

seppur meno importante ma comunque da fare, da pensare, da

formulare. Oggi le confezioni e le etichette sono tutte uguali. Noi

dovevamo raccontare non solo una diversità della materia prima ma

anche le motivazioni per le quali il consumatore avrebbe dovuto

pagare quel latte a un prezzo superiore a tutti i latti che si , trovano

sul banco dei supermercati. E poi, con la nuova legge

sull’etichettatura, per la cui interpretazione occorre una laurea

specifica, bisogna fare molta attenzione perché non si è mai certi su

cosa si possa o non si possa scrivere. Comunque abbiamo anche

dovuto ottemperare a quest’obbligo apparentemente secondario.

Avendo deciso, sulla base dell’esperienza precedente, che i

supermercati andavano evitati e che occorreva percorrere strade

nuove, non restava ora, a noi dell’Anfosc, di creare l’attesa presso i

consumatori per questo latte Nobile e, alla Compagnia della qualità,

di attivare il circuito della distribuzione.

La comunicazione L’Anfosc, all’interno del modello, ha assunto, nella fase iniziale, il

ruolo di animatore, di trascinatore dei protagonisti della filiera. Oltre

che di controllo e di diffusione delle conoscenze che mano a mano si

andavano acquisendo. La ricerca e gli studi sugli indici sono stati

prima effettuati dal Corfilac di Ragusa a cui si sono via via aggiunti

L’Università del Molise con Giampaolo Colavita, l’Università di Torino

con Andrea Cavallero e Giampiero Lombardi, l’Università di Napoli

con Federico Infascelli e Serena Calabrò e l’Istituto Zooprofilattico di

Lazio e Toscana con Antonio Fagiolo e Cristina Roncoroni. Avevamo

quindi tutti i supporti tecnico-scientifici per mettere a punto un

metodo di comunicazione e di diffusione del modello da far

conoscere prima ai consumatori e poi a tutti gli altri attori della filiera.

Page 25: Il modello latte nobile

23

A chi rivolgersi e come?

Per il latte alimentare bevuto tal quale, il diretto interessato era il

consumatore. Come preparare l’attesa, sapendo anche che la

Compagnia della qualità, non avendo a disposizione un caseificio,

non poteva permettersi la tentata vendita e riprendere il latte non

venduto? Tutto il latte consegnato doveva essere venduto e, per

questo, gli ordini erano precauzionalmente bassi.

Per prima cosa attivammo il sito www.lattenobile.it ed

incominciammo a partecipare a tutte le manifestazione importanti:

Cheese (Bra), Salone del Gusto (Torino), Terra Felix (Napoli),

Agrosud (Napoli), Saperi e Sapori (Genova). Contemporaneamente,

a Napoli e nell’interland, andavamo organizzando seminari, serate di

degustazione, incontri nelle sedi più diverse in modo da coinvolgere

il maggior numero di consumatori e le categorie professionali le più

diverse. Dal mondo della medicina, con seminari alla Facoltà di

Medicina e di Veterinaria, alle scuole, ai Gas, al mondo della

ristorazione.

Le informazioni che scaturivano dai seminari e gli articoli sulla

stampa nazionale che periodicamente facevano riferimento alla

nostra attività e al latte Nobile, hanno contribuito a determinare la

curiosità per questo nome altisonante, il desiderio di provare un latte

che per la prima volta diceva di essere diverso perché più gustoso e

nutrizionalmente importante.

Contemporaneamente, la Compagnia della qualità contattava tutti i

piccoli negozianti di Napoli facendo bene attenzione a non creare

concorrenza nella stessa area. Nel giro di pochi mesi le gastronomie

più importanti ne hanno fatto un motivo di prestigio poter vendere un

latte diverso, più costoso e che piaceva molto ai consumatori. Dopo

le gastronomie, l’attenzione è stata rivolta ai bar, alle pasticcierie e

alle cioccolaterie. In questo caso il racconto era quasi pleonastico. Il

latte ha un gusto delicatamente più marcato senza eccessi, il

contenuto di grasso è di poco più alto così come più elevato è il

Page 26: Il modello latte nobile

contenuto di acidi grassi insaturi. Il barista ha potuto subito verificare

che il cappuccino ha un sapore e una consistenza diversa, resta

colpito dal fatto che il consumatore individua subito la differenza.

Alcune industrie selezionano e propongono per i bar latti con una

tensione superficiale e una schiumabilità più alta perché, come nel

caso dell’Alta Qualità, pensano che questo parametro permetta di

avere un cappuccino con più schiuma. I responsabili del marketing, e

forse anche molti baristi, sono convinti che un buon cappuccino si

caratterizza per la quantità di schiuma che lo ricopre e non per il

sapore e il gusto. Il Latte Nobile ha una schiumabilità non diversa

dagli altri latti, eppure il cappuccino è diverso e con più personalità.

Dopo i bar è venuta la volta dei gelatai, dei pasticcieri e dei

cioccolatieri. L’accoglienza, anche in questo caso, è stata entusiasta

soprattutto da parte dei gelatai, che trovano il gelato con un gusto

più deciso, più spatolabile, a parità di temperatura, perché più ricco

di acidi grassi insaturi. Inoltre, dal momento che il Latte Nobile ha

sempre un titolo in grasso più alto, il gelataio può usare meno panna.

Gelatai e pasticcieri, avendo verificato la diversità del latte, insistono

ora per avere la panna e il burro da latte Nobile.

Da parte sua, Slow Food Campania, partner nel progetto di ricerca

della 124 della Regione Campania, avvia la procedura per far

diventare il Latte Nobile dell’Appennino Campano, unico prodotto

liquido, un Presidio Slow Food. E, attraverso i suoi fiduciari

territoriali, avvia un’attività d’informazione sul territorio regionale e

nazionale.

All’inizio di questo percorso l’accordo fra la Compagnia della qualità

e gli allevatori era che solo il latte venduto come Nobile sarebbe

stato pagato al prezzo fissato di 0.60 a litro. La restante parte

sarebbe stata acquistata dall’imbottigliatore a un prezzo superiore a

quello di mercato di circa 5 centesimi/litro. Con questo meccanismo,

gli allevatori che hanno aderito al progetto e all’iniziativa non hanno

subito alcuna penalizzazione e la Compagnia della qualità ha potuto

affrontare l’avvio incerto senza costi aggiuntivi. In questo modo, nel

Page 27: Il modello latte nobile

25

giro di un paio d’anni la totalità del latte di 8 allevatori di

Castelpagano è diventata ed è stata venduta come Latte Nobile, il

mercato si è allargato all’intera Campania, anche se Napoli resta il

bacino più importante. La gamma dell’offerta va dal latte, ai gelati,

allo yogurt, ai formaggi e a breve si passerà alla panna ed al burro.

Ma la cosa più curiosa è che il Latte Nobile, almeno a Napoli, è

diventato un cult, una moda, un prodotto che una buona salumeria

non può non avere, un pasticciere che si considera importante non

può non usare la Fuscella, una specie di ricotta tipica della zona.

A una domanda crescente normalmente si risponde con

l’adeguamento dell’offerta. E poi se, come ho detto all’inizio, il Latte

Nobile non è un marchio ma un modello di sviluppo e se il modello è

valido, questo si deve diffondere in tutto il territorio nazionale e non

solo. E se c’è bisogno di nuovo latte non dovrebbe essere difficile

trovarlo, visto anche che gli allevatori ricevono un prezzo superiore

al 50% rispetto a quello di mercato.

E allora, come si può attivare il modello in aree diverse da quella

iniziale, da dove si comincia e chi devono essere gli interlocutori?

I punti critici della filiera La debolezza di alcun segmenti della filiera

Alla fine dello scorso anno i punti fermi erano: l’alimentazione con

erba ed erbe diverse ed un livello produttivo al di sotto di 20 litri per

capo/giorno garantiscono un latte qualitativamente diverso ed in

linea con le nostre aspettative, il sistema permette di offrire agli

allevatori un prezzo significativamente superiore a quello di mercato,

gli utilizzatori intermedi e finali(baristi, gelatai, negozianti e

consumatori) mostrano di gradire questa diversità pur pagando un

prezzo che potrebbe essere anche di 50 centesimi/litro superiore al

prodotto di Alta Qualità.

La domanda incominciava a essere superiore all’offerta, bisognava

trovare altro latte.

Page 28: Il modello latte nobile

Proviamo in Basilicata dove ci sono ancora piccoli allevatori che, con

piccole modifiche, avrebbero potuto adeguare il sistema di

allevamento al disciplinare del Latte Nobile. Incominciamo a

organizzare alcune riunioni con gli allevatori in due diversi bacini

lattiferi della regione: il Marmo-Melandro e il Vulture. La proposta era

abbastanza semplice: voi adeguate il sistema alimentare al nostro

disciplinare e la Compagnia della qualità vi riconosce un prezzo di

circa il 50% superiore a quello da voi oggi percepito. All’inizio ci

sembrava di essere i “portatori della buona novella”, in un settore in

crisi profonda, dove la prossima abolizione delle quote sta creando il

panico, la proposta di un prezzo decisamente superiore avrebbe

dovuto apparire come un’àncora di salvezza. Invece dopo qualche

riunione avemmo l’impressione di aver creato il panico, tanto che mi

venne in mente la frase che Freud pronunciò al momento dello

sbarco a New York: “gli americani non sanno che gli stiamo portando

la peste”. Le indicazioni che vennero da queste riunioni furono:

allevatori con al massimo 20 vacche in lattazione distribuivano agli

animali una quantità di mangimi talmente alta da creare forti

problemi di fertilità, oltre che evidenti danni economici; i raccoglitori

di latte, che nel Sud hanno in mano il mercato del latte perché

fungono da primi acquirenti, sono interlocutori privilegiati e possono

diventare l’elemento chiave della filiera.

Decidiamo allora di dialogare con alcuni di essi. Veniamo bene

accolti, rifacciamo alcune riunioni, ma quando capiscono che, in

questo modo, il loro ruolo potrebbe diventare secondario, visto che la

leva del prezzo passerebbe dalle loro mani a quelle della Compagnia

della Qualità, allora ci fanno terra bruciata e si pone fine agli incontri.

Ci rendiamo conto a questo punto che la strategia va cambiata.

Il raccoglitore di latte, almeno in molte aree del Centro e del Sud, dal

momento che è anche primo acquirente ed è quindi lui a decidere il

prezzo, non può accettare di raccogliere il Latte per una industria

disponibile a pagare prezzi superiore a quelli che lui sta garantendo

in quell’area. Occorre quindi scavalcare questa figura utilizzando

Page 29: Il modello latte nobile

27

mezzi propri per la raccolta del latte. Come superare poi la sfiducia

innata e spesso giustificata degli allevatori verso chi ti offre un

prezzo più alto, visto che le truffe in questo settore sono all’ordine

del giorno? La Compagnia della qualità allora decide di dotarsi di

una cisterna per la raccolta del latte e di predisporre un contratto

chiaro con le modalità di pagamento e con le fideiussioni per

superare la diffidenza degli allevatori.

Resta ancora un elemento chiave da definire e lo faremo nei

prossimi mesi: il latte Nobile non è tutto uguale e il prezzo dovrebbe

premiare la qualità del latte. Nei prossimi mesi definiremo un metodo

di pagamento in base a parametri che riguardano il rapporto

omega6/omega 3 ed alla qualità sensoriale dei fieni. Tutto questo è

stato inserito nel contratto e solo la parte relativa ai fieni sarà decisa

a breve.

Con la cisterna e il contratto il dialogo con gli allevatori ha avuto il

risultato atteso. La Compagnia della qualità, proprio mentre scrivo

queste note, ha chiuso in Molise, nel bacino lattifero del Titerno,

alcuni importanti contratti con tre allevatori, uno dei quali ha appena

avviato una stalla con vacche Jersey e da subito ha voluto produrre

Latte Nobile. Un ottimo latte per avviare nel modo più appropriato la

produzione di panna e di burro.

Il settore della bufala è nelle stesse condizioni Ma il modello non ha interessato solo l’allevamento della vacca da

latte. Per motivi sostanzialmente simili, la bufala sta vivendo la

stessa crisi del bovino, anche se il problema non è l’abolizione delle

quote latte bensì la deriva della qualità del latte, che a sua volta

determina una concorrenza al ribasso, quindi una crisi del prezzo,

per molti non più remunerabile. Per alcuni allevatori il modello latte

Nobile è apparso l’ultima spiaggia. Nel settore della bufala non

avevamo alcuna esperienza ma la seconda regola di Newton ci

faceva dormire sonni tranquilli. Un allevatore in provincia di Caserta

ha voluto provare, destinando solo 15 bufale al Latte Nobile.

L’alimentazione è stata cambiata, adeguandola al disciplinare e dopo

Page 30: Il modello latte nobile

un paio di mesi sono stati fatti i controlli analitici del latte. Come c’era

da aspettarsi, non solo il rapporto omega6/omega 3 è sceso sotto 4,

attestandosi intorno a 3, ma le mozzarelle hanno manifestato in

pieno la propria diversità: un gusto più persistente e variegato ed

una maggiore cremosità rispetto alle mozzarelle fatte con il latte del

gruppo di bufale alimentate con il sistema tradizionale. A quel punto

è intervenuta la Compagnia della qualità con il metodo ormai

consolidato: un contratto con un prezzo superiore a quello del

mercato locale con opzioni sull’attivazione di un meccanismo

premiativo della qualità.

La qualità dei fieni è precaria e modesta Se la qualità del latte dipende dal foraggio e dalle diverse erbe,

allora, quando ci chiedono di aderire al Latte Nobile, la prima cosa

che facciamo è una visita al fienile. Ormai l’esperienza è tale,

abbiamo fatto tante analisi in condizioni di alimentazione diverse e

con tanti livelli produttivi delle vacche, che ci basta una analisi

sensoriale dei fieni ed il riscontro della produzione media giornaliera

di latte per fare una ipotesi attendibile della qualità aromatica e

nutrizionale del latte. Tali visite però finiscono per confermare quello

che è diventato evidente già all’inizio di questo percorso, quando

abbiamo iniziato a dialogare con gli allevatori di vacche da latte e di

bufale: il fieno è un semplice foraggio abbandonato, se va bene,

sotto una tettoia, con un colore quasi mai verde, come dovrebbe

essere, ma variabile dal giallo al marrone e di variabilità di erbe e di

biodiversità nemmeno l’ombra. Mano a mano che il numero delle

visite aumentava, ci accorgevamo che oramai il fieno era diventato

un “male necessario”, lo si falcia e lo si raccoglie quando si ha

tempo, il ricovero non è necessario. Chi produce fieno sa che il

compratore è interessato alla quantità, l’allevatore che deve

distribuirlo agli animali è convinto che il fieno è solo un alimento che

deve apportare fibra e proteine. Può bastare una sola erba, anche se

di colore giallo. Non a caso l’unità di misura della qualità del fieno è il

“camion”, l’autotreno. Naturalmente non dappertutto la situazione è

Page 31: Il modello latte nobile

29

come quella descritta. Al Sud è drammatica, al Centro un po’ meno,

al Nord, e soprattutto sulle Alpi, la tradizione è decisamente diversa.

D’altronde c’era da aspettarselo. Per anni il mondo della ricerca ha

incoraggiato la monocoltura con la motivazione che fosse meno

costosa e, soprattutto, che migliorasse la qualità del latte e del

formaggio. Erano e in parte sono, i tempi di grasso e proteina nel

latte e di fibra e proteine del fieno e con questi parametri si

esprimevano giudizi definitivi sulla qualità. Ero studente e

utilizzavamo il metodo Van Soest per valutare e misurare la qualità

dei foraggi. Sono in pensione, e questo metodo è ancora considerato

l’unico attendibile. Come se ci fosse una relazione fra la carica di

aromi e profumi e l’apporto in termini nutrizionali di un buon fieno e il

suo contenuto in fibra, cellulosa, e proteina. E allora, perché coltivare

i prati polifiti, che danno meno produzione, perché falciare in

anticipo, visto che si ha meno erba, perché raccogliere nei tempi

giusti il fieno e conservarlo in fienili costosi, visto che la proteina e la

fibra non ricevono grandi danni?

Un appunto per la prossima PAC e per la programmazione dei piani

di sviluppo regionali: la qualità del latte e della carne si recupera

essenzialmente attraverso il fieno e i fienili. Occorre quindi mettere in

atto azioni in questa direzione: finanziamenti ai fienili, nel greening

dovrebbe rientrare anche una classificazione della qualità dei fieni. In

Francia c’è persino un fieno DOP, le Foin de la Crue. E tutto questo

si potrà ottenere se il fieno sarà anch’esso pagato a qualità.

Per quello che ci riguarda, abbiamo messo a punto un metodo di

valutazione sensoriale dei fieni e i primi risultati saranno riferiti in

questo libro dal gruppo di Infascelli dell’Università di Napoli.

Inizia la lunga marcia Ma un modello non è tale se non può prescindere dai protagonisti

che ne hanno determinato lo sviluppo e se non può trovare

applicazione in altri territori e con altri soggetti. E siamo alla seconda

fase del modello Latte Nobile.

Page 32: Il modello latte nobile

Finora il modello di sviluppo ha avuto due protagonisti chiave:

L’Anfosc e la Compagnia della qualità. Potrà sembrare un

paradosso, ma il successo del modello sarà totale e definitivo se il

settore potrà fare a meno dei soggetti che ne hanno avviato lo

sviluppo. In sostanza, se il modello potrà trovare applicazione in

qualsiasi parte del mondo, purché si rispetti il disciplinare di

produzione, allora vorrà dire che lo sviluppo sarà, come si diceva

negli anni ottanta, autopropulsivo.

L’Anfosc al momento svolge il ruolo di coordinamento, di

promozione, soprattutto di controllo e di certificazione. MA l’Anfosc è

un’Associazione senza fine di lucro e ha competenze soprattutto

tecniche. Mano a mano che le adesioni aumenteranno, il suo ruolo

diventerà sempre più marginale e limitato alla consulenza scientifica.

La funzione di controllo potrà essere e sarà effettuata dai tanti

organismi di Certificazione che già operano in tutte i sistemi

produttivi del mondo. Il raccordo fra i soggetti che operano nel

settore del Latte Nobile e di comunicazione e marketing sarà

facilitato e monitorato dalla SILN, una società che l’Anfosc ha

contribuito a creare e di cui non fa parte.

La Compagnia della qualità è una società privata per ora localizzata

in Campania e le regioni circostanti. Ha svolto un ruolo determinante,

continuerà a svolgerlo, ma in altre regione ed anche nella stessa

regione, altri soggetti potranno intervenire ed utilizzare il marchio

Latte Nobile per avviare e creare un’attività economica di successo.

E’ quello che sta avvenendo.

L’attivazione del sito web, i numerosi seminari organizzati in giro per

l’Italia e gli articoli apparsi sulla stampa nazionale hanno intercettato

non solo consumatori alla ricerca di novità gastronomiche e, nel

nostro caso, del latte di “una volta”, come è riportato sulla

confezione, ma allevatori stanchi di un modello che, almeno per loro,

appare senza futuro e senza prospettive. Siamo stati allora contattati

da allevatori del Piemonte, del Lazio, della Puglia, del Molise, della

Page 33: Il modello latte nobile

31

Basilicata e della Sicilia. La caratteristica di tutti questi allevatori è

che possono agire in maniera individuale in quanto riescono a

chiudere la filiera in azienda. Non hanno cioè bisogno di vendere ad

intermediari per far arrivare sul mercato il latte per uso alimentare o

per la trasformazione. Ma sta cambiando anche la tipologia di

allevatore. In Campania e Molise si tratta di piccoli allevatori il cui

sistema di allevamento già si avvicinava al disciplinare del latte

Nobile, per cui le modifiche non sono state sostanziali. Adesso

invece entrano nel settore soggetti che vogliono drasticamente

cambiare, perché le prospettive non lasciano intravvedere sbocchi

positivi. Riporto a titolo esemplificativo due casi molto interessanti

anche per i risultati tecnico-scientifici che ci hanno permesso di

acquisire.

A volte ritornano. I prati polifiti in pianura padana A Villastellone, in provincia di Torino, i fratelli Masera gestivano la

classica azienda intensiva di Frisone basata, come la quasi totalità

delle aziende della pianura padana, su insilato di mais e concentrati.

La situazione era al limite, il modello non piaceva alla nuova

generazione che ha preso in mano l’azienda e, ad un seminario che

abbiamo tenuto a Bra in occasione di Cheese, ci sentono parlare di

latte Nobile. La richiesta di adesione arriva dopo qualche mese.

Senza remore e indecisioni, arano l’intera azienda e, sotto la

direzione del prof. Cavallero dell’Università di Torino(ne parlerà in

questo libro), seminano 25 ettari di prati polifiti, adottano il

disciplinare del latte Nobile, ottengono la certificazione dopo un anno

perché occorreva aspettare la formazione del prato permanente ed

ora producono e vendono Latte Nobile, gelati e yogurt a Villastellone

e nella gelateria al Centro di Torino.

La Frisona, una macchina da latte capace di

rallentare la corsa Nel Lazio, a Segni, l’agronomo Andrea Colagiacomo si trova a

gestire l’azienda familiare che è impostata sul modello intensivo con

Frisone che producono latte di Alta Qualità. Ha un piccolo

Page 34: Il modello latte nobile

imbottigliamento e produce anche gelati e yogurt. E’ giovane,

dinamico, aperto alle novità. Viene a conoscenza del modello e

decide di provare. Alleva 150 vacche in lattazione, quindi un

allevamento non proprio piccolo, e avvia la prova separando un

gruppo di 48 vacche ed alimentandole secondo il disciplinare del

latte Nobile. Tutta la fase di preparazione e di controllo viene

effettuata dall’Unità diretta da Antonio Fagiolo dell’Istituto

Zooprofilattico di Lazio e Toscana e dal prof. Infascelli dell’Università

di Napoli. Il primo gruppo effettua il monitoraggio del benessere

animale, il secondo quello della qualità dei fieni e del latte. I risultati

sono riportati in questo libro. Io aggiungo solamente che l’allevatore

è soddisfatto, riesce a vendere contemporaneamente sia latte di Alta

Qualità sia Latte Nobile, naturalmente a prezzi diversi. Vedremo se

nel futuro tutta l’azienda sarà destinata a latte Nobile. Al momento

questo modello è per noi di grande interesse perché ci permette di

studiare e approfondire le tematiche e gli effetti del “ritorno” alle

tecniche di una volta sul benessere animale, sulla fertilità dei suoli e

sulla qualità del latte. Un campo scuola a cielo aperto, impagabile di

questi tempi. Il primo dato scientifico importante è che le Frisone,

contrariamente a quanto viene sentenziato dal mondo della

selezione, hanno ridotto il livello produttivo non solo senza problemi

ma recuperando quote di benessere.

Il Latte Nobile non è più una buona idea ma un

modello che funziona

La lezione che ci viene dal modello Latte Nobile è che lo sviluppo di

qualsiasi prodotto può essere possibile se la sua diversità, la sua

specificità, possono essere ripetibili, attraverso il disciplinare di

produzione, certificabili, attraverso controlli mirati e raccontabili,

attraverso l’estrapolazione e l’uso sia dei fattori che determinano tale

differenza e sia delle parole chiavi che permettono di raccontarla.

Spesso ci dicono che abbiamo scoperto l’acqua calda, che in fondo

lo sanno tutti che alimentando bene gli animali, che ritornando al

passato, la qualità del latte migliora. Certo, rispondiamo ma, a parte

che ancora adesso il mondo della vacca da latte pretende di

Page 35: Il modello latte nobile

33

produrre latte di Alta Qualità con una selezione spinta degli animali e

con razioni alimentari basate su una sola erba ed una quantità

sproporzionata di concentrati e sottoprodotti ed integratori, e quindi,

per questo mondo, anche l’acqua calda è una rivoluzione, ma non

basta produrre un buon latte per vendere “bene” un buon latte.

Soprattutto quando non hai a disposizione risorse economiche da

destinare alla comunicazione. Questo modello ci dice che lo sviluppo

non lo ottieni se coinvolgi solo un segmento della filiera e che non ti

verrà riconosciuta la diversità se non fai diventare protagonista il

consumatore, l’unico in grado di stimolare e attivare la filiera,

permettendo di scavalcare i vari Ghino di Tacco che si trovano sul

percorso.

Negli anni ottanta si diceva -e per la verità molti lo dicono ancora

adesso- che agli allevatori della montagna va riconosciuto e pagato il

ruolo di presidio del territorio e di mantenimento delle frane e del

dissesto. Insomma un poco di elemosina per fare stare bene noi che

stiamo in pianura. Basterebbe invece che il consumatore pagasse

bene, il giusto, i prodotti di questi allevatori non per far vivere bene

loro, ma per vivere bene egli stesso, perché questi prodotti sono

nutrizionalmente e aromaticamente più importanti.

Non a caso il risultato finale di questo modello è un consumatore

felice di pagare un prezzo alto per un buon prodotto e un l’allevatore

felice di ricevere un prezzo giusto per il suo lavoro ed i suoi sforzi.

Aggiungo che questo modello, se dovesse avere successo, sarebbe

un’àncora di salvezza per tanti piccoli e grandi allevatori che sono

destinati a scomparire e, soprattutto, è l’unica alternativa per tutti

quei paesi in via di sviluppo dove il prodotto locale è penalizzato da

importazioni che vengono apprezzate di più e meglio dai

consumatori locali. Ma questa è un’altra storia che speriamo di

raccontare nel prossimo futuro. Non a caso il Latte Nobile ha avviato

i primi passi nello Stato di Colima in Mexico e Miguel Galina,

dell’Università di Città del Messico ne racconta il tentativo in questo

libro.

Page 36: Il modello latte nobile

Se ogni lunga marcia presuppone un primo passo, il modello Latte

Nobile di passi ne ha fatti già più di uno.

Il gruppo di lavoro dell’Anfosc è composto dal sottoscritto e da:

Michele Pizzillo, Adriano Gallevi, Daniela Princigalli, Mimmo Pontillo,

Mariolina Boscarelli e Antonio Doronzio.

Bibliografia L’argomento trattato in questa nota affronta un argomento troppo

vasto e richiederebbe una bibliografia che mal si concilierebbe con la

voluta brevità del testo. Riporto solo qualche pubblicazione che è

stata determinante per la scelta di alcuni passaggi chiavi del

percorso che abbiamo intrapreso ed un libro che abbiamo scritto per

raccontare le motivazioni che ci hanno portato a concepire un

modello diverso di sviluppo della filiera da latte.

Soren Krogh Jensen, Anna Kirstin Bjornbak Johannsen, Jonn E.

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Page 38: Il modello latte nobile

Il significato dei foraggi prativi nei sistemi

zootecnici per la produzione del latte

Bruno Ronchi

Universtità degli Studi della Tuscia

Presidente Associazione per le Scienze e le Produzioni Animali

(ASPA)

Introduzione Riscoprire il significato di quell’ampia varietà di foraggi proveniente

da pascoli e da prati può sembrare fare un tuffo indietro nel passato,

quando l’alimentazione degli erbivori di interesse zootecnico, ma

anche di molti altri animali che oggi non consideriamo più erbivori,

quali il suino, l’oca, l’anatra, etc., era prevalentemente o

esclusivamente basata sull’impiego di tali risorse alimentari, per lo

più mediante il pascolamento. La tematica risulta invece

estremamente attuale e oggetto di numerose ricerche anche nei

paesi che hanno sviluppato per primi le forme più intensive di

allevamento in condizioni di stabulazione. La rinnovata attenzione

verso forme meno intensive di allevamento è dettata in primo luogo

da ragioni economiche, a fronte di una sempre più evidente

insostenibilità dei sistemi intensivi che si sono diffusi negli ultimi

decenni. Ma esistono anche motivi legati alla possibilità, attraverso

l’impiego di foraggi di buona qualità e all’applicazione di buone

pratiche di gestione, di migliorare le condizioni del benessere

animale e la qualità dei prodotti di origine animale. La qualità dei

foraggi non è semplicemente il risultato di una naturale e casuale

combinazione di eventi, quanto piuttosto il risultato di un serio

programma di pianificazione e gestione delle risorse foraggiere per

le necessità degli animali allevati.

L’attenzione sui foraggi è anche giustificata dalla rilevanza che

assumono sulla superficie agricola mondiale. Basti pensare che,

considerando l’Europa, i prati e i pascoli coprono oltre il 33% della

superficie agraria (EUROSTAT, 2008). Tali aree assumono un

Page 39: Il modello latte nobile

37

grande significato non solo per la possibilità che offrono di ricavare

biomassa foraggiera per gli animali domestici e selvatici, ma anche

per un’ampia pluralità di funzioni legate al loro valore estetico,

ambientale ed ecologico. Una corretta gestione della superficie

prativa fornisce, infatti, un contributo determinante alla prevenzione

dei fenomeni erosivi, alla prevenzione del degrado del paesaggio e

al mantenimento della fertilità del suolo.

In questa nota verranno presi in considerazione aspetti relativi al

significato dei foraggi per il benessere animale e alla valutazione

della qualità dei foraggi prativi per l’alimentazione del bestiame.

Verranno inoltre fatti alcuni cenni sul significato economico e sul

valore ambientale dei foraggi prativi.

Consumo di foraggi e benessere animale Aspetti generali

Il tema del benessere animale è sempre più frequentemente

all’attenzione dell’opinione pubblica e oggetto di ampia produzione

normativa in molte parti del mondo. I ricercatori che operano nel

campo delle produzioni animali lo stanno indagando nei molteplici

aspetti scientifici, dall’etologia, all’immunologia, al metabolismo, etc.

Forte attenzione è anche posta agli aspetti etici. Molto

frequentemente il tema si arricchisce di considerazioni che non

hanno solide basi scientifiche, ma sono sostenute da pregiudizi

ideologici o, più semplicemente, da false convinzioni. Molti sono i

luoghi comuni, quali il pensare che l’allevamento intensivo del

bestiame sia sempre e comunque sinonimo di grave perturbazione

del benessere animale e, sul fronte opposto, il credere che gli

animali che vivono allo stato brado godano indubbiamente di ottima

salute. Ma rimanendo nell’ambito più contenuto, riguardante la

valutazione dell’utilizzazione dei foraggi prativi sul benessere

animale, le questioni fondamentali da analizzare sono: l’effetto

dell’attività di pascolamento sul benessere animale, così come

influenzata dal movimento, dalle condizioni climatiche, dalla qualità

sanitaria dell’ambiente, dal tipo di gestione, etc.; l’effetto delle

Page 40: Il modello latte nobile

disponibilità alimentari e di acqua rispetto alle esigenze nutrizionali

del bestiame. Si ritiene utile precisare che queste varie componenti

presentano un elevato livello di interazione tra loro, in quanto, per

esempio, la capacità di ingestione alimentare non è solo influenzata

dalla qualità del foraggio, ma anche dalle condizioni ambientali,

climatiche in particolare.

Ed è proprio sull’ingestione alimentare che occorre soffermare

principalmente l’attenzione, in quanto rappresenta uno dei parametri

più strettamente collegati con il benessere dell’animale. Tra i fattori

che influenzano la capacità di ingestione, ai primi posti vanno inseriti

l’appetibilità e la digeribilità del foraggio. L’appetibilità, che può

variare sensibilmente da una specie animale all’altra, è strettamente

collegata alla composizione botanica del foraggio e allo stadio di

sviluppo vegetativo. Nel caso dei foraggi conservati, si aggiungono

evidentemente altre importanti variabili, legate alle modalità di

raccolta e c di conservazione. I foraggi di alta qualità, siano essi

freschi o conservati, stimolano la capacità di ingestione e permettono

di soddisfare, in tutto o in buona parte, le esigenze nutrizionali degli

animali. Al contrario, foraggi di mediocre qualità risultano poco

appetibili e poco digeribili, determinando così carenze nutrizionali,

perdite di peso, cali produttivi e problemi metabolici. Nel caso di

bovini da latte diverse ricerche hanno permesso di prevedere il livello

potenziale di ingestione di foraggi e di produzione lattea in funzione

della qualità dei foraggi. A titolo di esempio, con foraggi di buona

qualità è possibile prevedere un livello di ingestione che si avvicina

al 3,5% di sostanza secca sul peso vivo dell’animale (Kolver &

Muller, 1998). Con foraggi di scarsa qualità il livello di ingestione non

supera il 2% del peso vivo (Noller, 1997). A questo punto entrano

chiaramente in gioco anche aspetti legati alla gestione agronomica e

alle modalità di pascolamento. Senza entrare nel merito degli aspetti

agronomici, vale solo la pena sottolineare come, nel caso di sistemi

zootecnici che sono basati fortemente sull’utilizzazione del

pascolamento, siano da preferire soluzioni che permettano di

ottenere un’ampia catena di foraggiamento, una buona permanenza

Page 41: Il modello latte nobile

39

negli anni e una buona resistenza al calpestio del bestiame. Per

questo, risultano più idonee e sostenibili soluzioni agronomiche

basate sulla realizzazione di prati misti poliennali (Combs, 2001), i

quali presentano anche vantaggi sul fronte ambientale ed ecologico.

Sembra sempre più evidente che l’impiego di varietà foraggere locali

offra una maggiore resistenza ai contrasti dovuti alla variabilità

climatica, siccità in modo particolare, in quanto più facilmente

adattabili alle caratteristiche del suolo (Brunetti, 2003). La presenza

di una diversità vegetale permette di migliorare sensibilmente

l’offerta di nutrienti per le esigenze degli animali allevati.

Ma un grande vantaggio derivante dalla biodiversità dei foraggi

risiede anche nel fatto che ciò potrebbe consentire agli animali di

selezionare, a seconda delle necessità, piante dotate di proprietà

medicamentose, contenenti cioè sostanze utili per disintossicare

l’organismo o per svolgere una funzione antiparassitaria. I foraggi

contengono molto di più che energia e proteine per la nutrizione

animale. Molte piante contengono, infatti, composti bioattivi, definiti

anche metaboliti secondari, che possono svolgere delle interessanti

funzioni nutraceutiche o comunque benefiche per l’organismo

animale. È il caso di comuni piante foraggere, quali, ad esempio, la

sulla (Hedysarum coronarium), che presentano valori elevati di

tannini condensati, utili per contenere la carica di endoparassiti

(Niezen et al., 2002). Molte sono le segnalazioni pratiche di

comportamenti alimentari degli animali al pascolo orientati ad

assumere in alcuni periodi dell’anno particolari tipi di erbe. Restano

da comprendere, su base scientifica, le ragioni di questi

comportamenti, anche ai fini di un’eventuale applicazione.

Per sgomberare però il campo dall’idea che l’alimentazione degli

animali al pascolo o l’utilizzazione dei foraggi sia sempre e

comunque utile per garantire condizioni di benessere degli animali,

vanno sottolineati i seguenti aspetti:

Page 42: Il modello latte nobile

- i foraggi vanno inseriti all’interno di un piano alimentare che possa

permettere di ottenere un equilibrato apporto di nutrienti per gli

animali, prevedendo l’impiego di idonei supplementi e integrazioni

quando necessario;

- i foraggi presentano una grande variabilità di composizione e valore

nutritivo, che deve essere attentamente valutata al fine di

considerare il loro corretto impiego alimentare;

- non sempre gli animali hanno la possibilità di “autoregolarsi” in

un’alimentazione basata esclusivamente sui foraggi;

- in alcune fasi del loro sviluppo i foraggi possono presentare una

composizione “critica”, favorevole per lo sviluppo di alcune

dismetabolie (sindrome uremica per esempio, da eccesso di

sostanze azotate).

Il contenuto vitaminico dei foraggi: carotenoidi e tocoferolo

Il consumo di foraggi prativi, specialmente se freschi, è

comunemente associabile a una colorazione giallastra del latte, del

burro, del formaggio e talvolta anche del grasso animale. Questo

fatto viene generalmente valutato dal consumatore e dall’allevatore

come una condizione di “naturalità” dell’allevamento e anche di

benessere animale. Tali colorazioni assunte dai prodotti di origine

animale dipendono essenzialmente dalla presenza nei foraggi di

pigmenti naturali, chiamati carotenoidi. Tali sostanze vengono

almeno in parte trasferite nella frazione lipidica dei prodotti di origine

animale. Alcuni carotenoidi, particolarmente il beta-carotene, sono

precursori della vitamina A propriamente detta (retinolo), che

solitamente è contenuta solo in alcuni alimenti animali, e svolgono

un’importante funzione antiossidante. Tale funzione non riguarda

esclusivamente proprietà nutraceutiche per il consumatore, ma

coinvolge anche la stabilizzazione di molti composti del latte

ossidabili, rendendo quindi il latte più stabile e gradevole. I

carotenoidi più importanti rinvenibili nei foraggi sono, in ordine

decrescente di concentrazione, la luteina, la zeaxantina e il trans-

Page 43: Il modello latte nobile

41

beta-carotene. In minore quantità si rinvengono neoxantina,

violaxantina, anteraxantina e cis-beta-carotene (Kalac, 2012). Non

tutti i carotenoidi possiedono lo stesso valore biologico e

nutrizionale. Da ciò deriva che la determinazione del contenuto totale

di “carotene” nei foraggi non offre sufficienti informazioni di carattere

qualitativo. Sarebbe dunque preferibile differenziarle, per esempio

mediante cromatografia liquida ad alta risoluzione (HPLC), le singole

molecole e le differenti forme isomeriche. Particolare attenzione

deve essere posta alle modalità di campionamento dei foraggi, in

quanto i contenuti in carotenoidi sono influenzati, oltre che dalle

differenti specie botaniche, dalla fase vegetativa, parte della pianta e

addirittura dal momento del prelievo nell’arco della giornata.

Tab.1. Contenuto di carotenoidi (mg/kg-1

) in foraggi freschi (da P. Kalac,

parzialmente modificato).

Tipo di foraggio

Beta-carotene totale

Trans-beta carotene

Luteina

Epiluteina

Zeaxantina

Referenze

Pascolo Montano

29,0 47,3 193,0 36,0 49,8 Calderon et al., 2006

Trifoglio pratense (primo sfalcio)

29,9 16,0 136,0 40,0 -

Cardinault et al., 2006

Prato permanente

44,7 - 167,0 - - Muller et al., 2007

I trattamenti di conservazione dei foraggi determinano un forte

perdita del contenuto di carotenoidi. Le perdite nel corso della

fienagione sono tanto più pronunciate quanto più l’erba rimane in

campo, a causa dell’effetto negativo dei raggi ultravioletti. Anche

l’insilamento determina una riduzione del contenuto in carotenoidi e

Page 44: Il modello latte nobile

del loro valore biologico, tanto più accentuata quanto più alterati

sono i processi fermentativi.

Il tipo e la qualità del foraggio consumato dai ruminanti condiziona

fortemente il contenuto di carotenoidi nel latte e nei grassi di

deposito. Con l’aumento della concentrazione ematica di carotenoidi

aumenta la quantità che viene catturata dalla ghiandola mammaria e

riversata nel latte. Altri fattori sono tuttavia da considerare, ivi

compresa ovviamente l’eventuale aggiunta di carotenoidi alla dieta

mediante integratori.

I foraggi freschi rappresentano, inoltre, una considerevole fonte di

tocoferoli, tra i quali l’isomero alfa-, la più importante forma di

vitamina E. Analogamente a quanto succede per i carotenoidi, i

trattamenti di conservazione dei foraggi determinano una forte

perdita di tocoferoli (Shingfield et al., 2005). Il trasferimento della

vitamina E nel latte è influenzato da fattori nutrizionali, dalla

stagione, dal management aziendale, dalla genetica e della fase di

lattazione. All’aumento del contenuto di tocoferoli nei foraggi si

verifica un aumento nel latte, anche se con un’efficienza di

trasferimento non particolarmente elevata, quantificata dagli stessi

autori sopra menzionati intorno al 2,8%. Ma più recentemente alcuni

autori svedesi hanno riscontrato valori prossimi al 6% (Hojer et al.,

2012). Ai cambiamenti di dieta, per esempio nel passaggio dal

regime alimentare a base di foraggi freschi al regime a base di fieni,

segue in pochi giorni (da una a due settimane) il cambiamento della

concentrazione di tocoferolo nel latte. Al di là degli effetti ben

conosciuti sulla salute dell’animale e dell’uomo, l’α-tocoferolo riveste

un ruolo di grande interesse come fattore antiossidante nella

prevenzione degli attacchi ossidativi a carico degli acidi grassi

insaturi (Juhlin et al., 2010).

L’alimentazione a base di foraggi, soprattutto se freschi, fornisce

dunque un grande apporto di nutrienti per l’animale e non soltanto in

termini di apporto energetico e proteico, ma anche in termini di

apporto di vitamine e sali minerali, non considerati nella trattazione.

Page 45: Il modello latte nobile

43

Tali nutrienti hanno, in primo luogo, un significato positivo per il

benessere animale e, fatto non trascurabile, arricchiscono anche i

prodotti di origine animale. Si potrebbe dunque concludere, se pur

con una semplificazione, che benessere animale e benessere del

consumatore sono strettamente collegati, nel senso che in una

condizione di benessere, l’animale è in grado di produrre meglio, sia

in termini quantitativi che qualitativi.

Come definire la qualità dei foraggi

La definizione della qualità del foraggio è tematica largamente

affrontata da specialisti sia del settore foraggiero, sia

dell’alimentazione e nutrizione animale. Nel corso del tempo molti

sono stati i contributi rivolti a comprendere sempre meglio il

significato da attribuire alla qualità del foraggio per le diverse

destinazioni. La qualità del foraggio è stata soprattutto associata alla

composizione chimica e alla stima del valore nutrizionale,

riguardando quindi il “valore nutritivo del foraggio”. I parametri

usualmente indagati sono: umidità, energia, proteine grezze, fibra.

Da altri punti di vista la “qualità del foraggio” è intesa come un

termine più ampio del semplice valore nutrizionale, includente, per

esempio, anche aspetti relativi all’interazione con l’animale

(ingestione volontaria, performance produttive). Per tentare di tenere

conto sia del valore nutrizionale, sia della capacità di un foraggio di

essere assunto dagli erbivori, alcuni ricercatori americani hanno

proposto il calcolo della “qualità relativa dei foraggi” (relative forage

quality – RFQ) e hanno proposto una scala di valori idonei per le

diverse categorie funzionali di animali (Undersander et al., 2010).

È ormai abbastanza evidente che la qualità di un foraggio non può

essere unicamente definita sulla base di analisi di composizione

chimica. Basti pensare che uno dei parametri di composizione

chimica più largamente utilizzato per definire la qualità di un

foraggio, la fibra grezza o NDF, viene messa sempre più

frequentemente in discussione. Il tradizionale assunto “la digeribilità

diminuisce con l’aumentare del contenuto di fibra (NDF)” non sempre

Page 46: Il modello latte nobile

è dimostrabile, poiché non tutta la fibra presente nei foraggi presenta

uguali livelli di digeribilità, e addirittura ciò riguarda anche la frazione

ligninica (Mandebvu et al., 1999).

Riteniamo che sia necessario considerare, ai fini di una corretta

valutazione della qualità dei foraggi, il loro significato per il

benessere animale, preso in esame nel capitolo precedente, e il loro

significato per le produzioni, sia in termini di “quantità”, sia in termini

di “qualità”. A partire dal tradizionale detto popolare “non fare di tutta

l’erba un fascio” la qualità del foraggio, fresco e conservato,

dovrebbe pesare e considerare tutti questi aspetti, in modo che il

valore del foraggio sia strettamente legato al suo significato per la

salute dell’animale, per le produzioni che è in grado di sostenere e

per la qualità dei prodotti di origine animale.

Va evidenziato, a questo proposito, il modello “latte nobile”,

sviluppato di recente nel nostro paese a partire da alcune esperienze

condotte in Campania e poi riprodotte in altre regioni (Rubino, 2014).

Tale modello è fortemente incentrato sul ruolo dei foraggi di alta

qualità nell’alimentazione dei bovini da latte, foraggi freschi da

pascolo in modo particolare, ai fini di ottenere una qualità superiore

del latte certificabile.

Qualche considerazione economica In diversi paesi del Mondo dove è diffuso l’allevamento del bovino da

latte, tra i quali gli Stati Uniti, si sta sviluppando un crescente

interesse per sostituire in tutto o in parte l’alimentazione in stalla del

bestiame con l’utilizzazione del pascolamento intensivo (Fontaneli et

al., 2005). Il concetto di base è quello di sostituire l’animale nel

complesso e dispendioso sistema di raccolta, conservazione,

preparazione e distribuzione dei foraggi. Dove il pascolamento fino a

pochi anni fa veniva considerato come l’antitesi dello sviluppo

tecnologico, ora sta diventando pratica diffusa. La tecnica di

pascolamento che viene adottata è tuttavia a carattere intensivo, di

tipo parcellare. È prevista l’utilizzazione di piccole superfici di

Page 47: Il modello latte nobile

45

pascolo, che vengono cambiate giornalmente, e di alti carichi

istantanei.

La gestione dell’animale al pascolo avrebbe dunque anche il

significato di aumentare i margini di reddito dell’impresa zootecnica,

sia riducendo considerevolmente alcune voci di costo (strutture,

macchine, carburanti, personale, gestione delle deiezioni), sia

migliorando le condizioni di benessere e di efficienza riproduttiva del

bestiame (Staples et al., 1994). Oltre a contribuire, in buone

condizioni di gestione, alla riduzione del rischio economico, il

pascolamento avrebbe anche il significato di aumentare la flessibilità

dell’impresa zootecnica. Condizioni di base per una razionale

utilizzazione del pascolamento per l’allevamento da latte sono: una

regolare disponibilità di foraggio nel corso dell’anno, una buona

appetibilità del foraggio con modeste variazioni della qualità e

mancanza di importanti fenomeni di stress termico, da caldo in modo

particolare. Man mano che ci si scosta da tali condizioni, allevando

animali a medio-alto livello produttivo, aumenta il rischio di squilibri e

carenze alimentari, con comparsa di problemi di salute del bestiame

e riduzione consistente delle produzioni.

I sistemi intensivi di allevamento dei bovini da latte sono stati

fortemente basati su una foraggicoltura orientata verso due principali

produzioni: l’erbaio di mais per l’insilamento e il prato di erba medica

per la fienagione. In molte aree, anche a livello nazionale, queste

colture risultano sempre meno sostenibili, sia per le condizioni del

suolo, sia per le condizioni climatiche e, soprattutto nel caso del

mais, per la forte richiesta di acqua di irrigazione (Chase, 2012).

Vanno dunque ricercate o recuperate altre soluzioni, più economiche

e a più elevato grado di adattabilità all’ambiente di produzione.

Una ulteriore considerazione potrebbe riguardare la relazione tra

qualità del foraggio e costo dell’alimentazione animale, la voce più

importante del costo di gestione dell’impresa zootecnica. È

ampiamente dimostrato che all’aumentare della qualità del foraggio

si riduce la necessità di ricorrere all’impiego dei concentrati, con una

Page 48: Il modello latte nobile

sensibile miglioramento della redditività e anche del benessere

animale. In prove recenti condotte su vacche da latte in condizioni di

pascolamento intensivo è stato dimostrato che è possibile, con

l’impiego di foraggi di alta qualità, ridurre in lattazione l’apporto di

concentrato fino al 12% sulla sostanza secca complessivamente

ingerita, senza compromettere il benessere animale e il livello

produttivo (Daley et al., 2010).

Va anche sottolineato che l’impiego di foraggi di buona qualità può

contribuire a migliorare sensibilmente alcuni aspetti della qualità dei

prodotti, latte in modo particolare. Ciò può e dovrebbe tradursi in un

maggiore valore e in una maggiore remunerazione del prodotto.

Si evidenzia, infine, che la PAC 2014-2020 prevede il cosiddetto

“pagamento ecologico” (greening). Per accedere a tale misura gli

agricoltori dovranno rispettare alcune pratiche agricole benefiche per

il clima e per l’ambiente: la diversificazione delle colture; il

mantenimento dei prati permanenti; la presenza di aree ecologiche.

Fig. 1: chiavi di successo della produzione del latte mediante il pascolo

Quantità di

foraggio

disponibile

Valore nutritivo del

pascolo

Ingestione

di foraggio

Gestione agronomica e

tecnica pascolamento

Supplementi

di foraggio

Supplementi di concentrati

integratori

Benessere animale Performance produttive

Qualità dei prodotti

Page 49: Il modello latte nobile

47

Il significato ecologico dei foraggi prativi

Una riserva di biodiversità I pascoli e i prati permanenti presentano, in aggiunta agli effetti

positivi sul bestiame e sui prodotti di origine animale, un grande

significato ecologico e ambientale. Ciò è legato alla grande ricchezza

floristica che, oltre ad offrire un quadro estetico di grande attrazione,

richiama anche una grande presenza di artropodi e di tanti altri

esseri viventi. Molto interessante è anche il significato della rizosfera,

che rappresenta un substrato straordinario per batteri, funghi,

artropodi, vermi, etc. (Brunetti, 2003). Il valore biologico del suolo

aumenta notevolmente man mano che si passa dalla monocoltura al

mosaico, come nel caso dei pascoli, e risente ovviamente anche

delle modalità di gestione del bestiame allevato e di eventuali

interventi agronomici.

La corretta valutazione dell’impatto ambientale Gli allevamenti estensivi degli erbivori, ruminanti in modo particolare,

che sono basati prevalentemente sull’utilizzazione dei foraggi,

vengono sempre più frequentemente chiamati in causa per

responsabilità sull’emissione di gas serra. Nel caso specifico si tratta

di emissioni di metano. È evidente che se si considera solo un

aspetto della complessa questione “impatto ambientale”, allora è

facile dimostrare che i ruminanti al pascolo rappresentano un grande

danno ambientale. Ma considerare un solo aspetto appare

estremamente scorretto e fuorviante. È d’altra parte dimostrato,

prendendo in considerazione più aspetti dell’impatto ambientale, che

il bilancio finale dell’allevamento estensivo su superfici foraggiere sia

addirittura positivo, nel senso che riesce a catturare più gas serra-

equivalenti di quanti ne emette. I prati contribuiscono infatti a

sequestrare una notevole quantità di carbonio atmosferico (CO2)

attraverso le foglie e gli apparati radicali.

Page 50: Il modello latte nobile

Conclusioni I foraggi hanno un significato fondamentale per l’alimentazione e per

il benessere degli animali erbivori, ruminanti in modo particolare. È

sempre più diffuso l’impiego dei foraggi prativi per l’alimentazione dei

bovini da latte, anche mediante forme intensive di pascolamento. I

contenuti nutrizionali dei foraggi freschi giovano alla salute

dell’animale e possono essere trasferite nel latte e in altri prodotti per

la salute del consumatore.

La qualità dei foraggi non può essere completamente valutata e

misurata solamente attraverso le classiche analisi chimiche. Ulteriori

parametri di composizione meritano di essere considerati, così come

il valore del foraggio per la capacità produttiva e il benessere

animale, nonché per la qualità dei prodotti. Di particolare interesse

appare il recente modello “latte nobile”, orientato all’ottenimento

mediante l’impiego di foraggi di alta qualità di un valore nutrizionale

superiore certificabile del latte bovino.

Poiché la qualità dei foraggi non è il risultato di una fortuita

combinazione di eventi, vanno messe a punto, anche con un forte

supporto delle ricerca, le soluzioni agronomiche più idonee per

ciascun contesto produttivo e per i diversi sistemi di allevamento,

unitamente alle tecniche ottimale di utilizzazione.

I foraggi prativi presentano anche un grande valore ecologico ed

ambientale, contribuendo ad arricchire la biodiversità vegetale ed

animale, il valore paesaggistico del territorio e contribuendo,

attraverso buone pratiche di gestione, alla mitigazione dei fenomeni

di inquinamento ambientale.

L’impiego dei foraggi prativi nella alimentazione del bestiame, anche

mediante il pascolamento, può concorrere a migliorare la redditività

dell’impresa zootecnica, riducendo i costi di gestione, migliorando il

valore commerciale dei prodotti e permettendo di accedere alle

misure di carattere ambientale previste dalla PAC 2014-2020.

Page 51: Il modello latte nobile

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Undersander D., Moore J., Scheider N. (2010). Relative forage

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Page 53: Il modello latte nobile

51

Risorse foraggere, alimentazione animale e

paesaggi agrari per i prodotti di qualità

Andrea Cavallero, Giampiero Lombardi

Università degli Studi di Torino

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari

La lettura attenta di un paesaggio agrario segnala la potenzialità del

luogo alla produzione agraria e zootecnica di qualità. Quanto più il

paesaggio presenta coperture vegetali e colture diversificate, tanto

più è probabile che siano esaltati dall’attività umana le diversità e i

contrasti che ogni ambiente può esprimere, garantendo le migliori

produzioni vegetali e animali derivate. Soprattutto in questi ultimi

decenni, in molti luoghi, dalle pianure alle Alpi, dagli Appennini ai

sistemi collinari, non si riscontrano più queste condizioni di

potenziale eccellenza e quindi spesso il paesaggio “tace”, secondo

un’efficace espressione di Pandakovic (1).

Le “forme” dei luoghi e la vegetazione spontanea e antropizzata che

li ricoprono non comunicano più a ciascuno di noi e alla comunità le

ragioni della loro diversità e dei loro segni, che modellano e

differenziano il paesaggio stesso. Si osserva frequentemente la

perdita di significati un tempo espliciti, lo svuotamento dei

“messaggi” dei territori stessi a favore di una omologazione

produttiva, che tende alla standardizzazione dei prodotti e quindi

anche del paesaggio.

Si va forse perdendo anche la nostra capacità di cogliere e

comprendere i vari messaggi dei territori, spesso così

profondamente alterati rispetto alla tradizione locale, ma è indubbio

che il paesaggio “tace” per la scomparsa o la riduzione di molte delle

“diversità” che le tradizionali attività agricole avevano indotto.

Osserviamo sempre più l’omologazione delle forme, delle scelte e

dei comportamenti, imposta dallo sviluppo economico degli ultimi

decenni, applicato con troppa leggerezza.

Page 54: Il modello latte nobile

La diversità e la ricchezza del paesaggio sono sostanzialmente il

risultato del processo di insediamento dell’uomo sul territorio e della

sua occupazione di tanti spazi particolari, di tante nicchie. Le nicchie

hanno nutrito la diversità e i vari gruppi umani hanno trovato in esse i

propri adattamenti, dando vita a tante comunità e alla loro cultura (2).

I sistemi produttivi così introdotti e affermati erano fondati sulla

valorizzazione delle diversità e dei contrasti delle risorse

caratterizzanti i territori, con una grande varietà di soluzioni

adattative. Oggi, invece, molti dei sistemi produttivi agricoli sono

sempre più intensivi, specializzati, sempre più orientati alla

monocoltura o quasi, sempre più difficilmente sostenibili dal punto di

vista ambientale, ecologico e fruitivo, privi di originalità e spesso di

autenticità.

L’allevamento degli animali si è in gran parte allineato a questa

impostazione produttiva, unificando sistemi di allevamento e

soprattutto di alimentazione, specie e razze allevate. Anche i prodotti

ottenuti, magari ancora formalmente diversi per nome, forme,

stagionatura e confezioni, sono sostanzialmente simili per

caratteristiche qualitative intrinseche, perché l’alimentazione è

fondamentalmente basata su una o due colture foraggere come il

mais insilato, integrato con importanti quantità di mangimi composti

di elaborazione industriale.

In questo contesto, i consumatori sembrano sempre più apprezzare i

prodotti animali (latte, trasformati caseari e carni) derivanti da animali

alimentati tradizionalmente con l’erba o il fieno dei prati e dei pascoli.

Gli animali che alleviamo per il latte e la carne sono erbivori e in gran

parte ruminanti, capaci di trasferire nei loro prodotti molte delle

sostanze di pregio ritrovate nei foraggi, alimenti che per natura sono

prevalentemente derivanti da formazioni erbacee polifite, utilizzate

naturalmente con il pascolamento o, attraverso l’intervento umano,

con il più antico sistema di conservazione che è l’essiccamento

all’aria e al sole del foraggio precedentemente sfalciato.

Page 55: Il modello latte nobile

53

Le caratteristiche di queste risorse foraggere, che definiamo semi-

naturali perché derivanti dalla combinata azione degli ambienti e dei

processi di utilizzazione da parte degli animali domestici allevati,

sono molto varie e la diversità è il risultato dell’interazione appena

descritta. Ogni ambiente, per la posizione geografica, l’altitudine,

l’esposizione, le caratteristiche climatiche e del suolo, e i possibili e

differenti processi di utilizzazione delle stesse risorse erbacee,

esprime foraggi diversi per composizione vegetazionale (numero e

caratteristiche delle specie presenti), per stagionalità del ciclo

produttivo, per produttività complessiva.

A fronte di tipologie di risorse foraggere così diverse fra loro, è facile

spiegare la differente gamma di prodotti caseari ottenuti in passato,

in combinazione con le svariate tecnologie casearie messe a punto

nei secoli e nei territori. Tali prodotti sono ancor oggi ottenibili a

determinate condizioni di alimentazione degli animali.

Dalle pianure, ai colli, alle montagne, le risorse foraggere tradizionali

impiegabili nell’alimentazione animale sono così numerose e diverse

che è in pratica impossibile descriverle compiutamente, se non in

opere specializzate e riferite a settori territoriali ben definiti, anche se

piuttosto ampi. Può essere esempio un volume redatto per le Alpi

piemontesi (3).

Tutte le risorse foraggere semi-naturali degli ambienti italiani, prati e

pascoli, alle differenti latitudini e altitudini, sono caratterizzate dal

polifitismo, ovvero da una complessità compositiva più o meno

accentuata, con specie diverse, appartenenti ad alcune o a molte

famiglie botaniche, fra loro integrate nella valorizzazione delle risorse

naturali espresse dall’ambiente e da quelle indotte dalla stessa

presenza degli animali utilizzatori con la brucatura diretta, lo sfalcio

per l’intervento dell’uomo, l’apporto di fertilità al suolo diretto con le

deiezioni, o tramite l’intervento antropico con le letamazioni.

Le pianure, per la maggiore uniformità ambientale che in genere le

caratterizza, esprimono formazioni polifite prative e pascolive meno

Page 56: Il modello latte nobile

ricche di specie, ma non per questo meno interessanti, anche per la

più elevata produttività. Il loro foraggio è comunque sempre in grado

di trasferire ai prodotti animali derivati, sostanze e molecole dette

funzionali, di gran pregio per l’alimentazione umana (aromi,

antiossidanti, CLA, acidi grassi a catena corta, vitamine A ed E ecc.).

Non è poi trascurabile la ricaduta ambientale (vere colture di

protezione delle falde acquifere per il modestissimo rilascio di

nutrienti) e paesaggistica della prateria permanente che, con le sue

fioriture e il verdeggiare nelle diverse stagioni, connota

positivamente determinati ambienti di pianura atti alla sua

coltivazione e a una fruizione multiuso del territorio che la include.

Nella collina e soprattutto nella montagna alpina e appenninica, le

vegetazioni prative e pascolive sono un patrimonio di grande valore

dal punto di vista eco-sistemico, del paesaggio e della fruibilità

turistico-ricreativa, per le molteplici valenze compositive e

cromatiche. Molti hanno vissuto e vivono la bellezza di questi luoghi,

ma non tutti, forse, hanno avuto l’opportunità di correlare le

caratteristiche delle vegetazioni prative e pastorali alla loro genesi

semi-naturale e comprenderne l’importanza paesaggistica ed

economico-produttiva. Quelle praterie sono testimoni e archivi viventi

della storia dell’insediamento umano sugli Appennini e sulle Alpi

(prima ancora che nelle pianure malariche): veri segni d’erba di un

passato, anche produttivo, ormai lontano, ma che abbiamo oggi il

dovere di conservare o far rivivere nel nostro interesse generale.

Le vegetazioni prato-pascolive di monte esprimono al massimo il

polifitismo, accentuando nei prodotti animali derivati le caratteristiche

di pregio di cui si è detto.

E’ dunque possibile cogliere il collegamento fra il paesaggio agricolo

di un territorio e la potenziale qualità dei prodotti animali derivati e

lavorati in loco. In un territorio, la presenza rilevante di formazioni

prative e pascolive, esprime una disponibilità di foraggi,

potenzialmente di qualità, in grado d’influire positivamente sui

prodotti zootecnici, anche in funzione di un auspicabile e razionale

Page 57: Il modello latte nobile

55

collegamento fra lo stesso territorio e il suo prodotto. Il paesaggio

può essere la bandiera di un prodotto di pregio derivato, così come

un prodotto può essere la bandiera di un territorio.

Principali formazioni prato-pascolive polifite semi-

naturali italiane Una breve disamina, anche se un po’ scolastica, sulle formazioni

prato-pascolive più importanti nell’ambiente italiano, riassunta da

una più completa trattazione (4), consente di comprendere le

notevoli diversità e i contrasti sfruttabili nella produzione lattea e

casearia del Paese.

Al nord, tra le formazioni polifite semi-naturali delle pianure,

segnaliamo i Lolieti permanenti, a Lolium multiflorum, prati pingui

dalla vegetazione fortemente influenzabile dal livello di

intensificazione produttiva. Quanto più è equilibrata la gestione

colturale, tanto più aumenta il polifitismo, con numerose altre

graminacee, espressione di differenze ambientali fra le praterie,

alcune leguminose di pregio, composite, plantaginacee,

ranuncolacee, labiate. La tempestiva utilizzazione di queste risorse

offre ottimo foraggio fresco per l’alimentazione verde, per il

pascolamento, che arricchisce il cotico erboso di altre specie, se

ripetuto costantemente, o per la fienagione, che può essere

effettuata 3 o 4 volte nella stagione.

Nelle aree collinari e nella bassa montagna si afferma l’Arrenatereto,

derivante da inerbimento naturale condizionato dalle operazioni di

sfalcio e letamazione. Sono molte le specie che caratterizzano

questa formazione, graminacee, leguminose, asteracee,

ombrellifere, labiate, cariofillacee, con uno spettro floristico

veramente ampio. Anche in questo caso la tempestiva utilizzazione

offre foraggi di alta qualità e ricchissimi di componenti di pregio e

molecole funzionali.

Nella media montagna si afferma in buone condizioni di fertilità il

Triseteto, ottimo prato subalpino ricchissimo di specie, anche di

Page 58: Il modello latte nobile

grande valore estetico-paesaggistico, in grado di produrre dell’ottimo

foraggio per il pascolamento o la fienagione.

Nella collina e nella montagna sono anche presenti su terreni poveri

e a volte mal gestiti, formazioni prato-pascolive oligotrofiche a

Bromus erectus, che possono in parte evolvere verso Arrenatereti e

Triseteti, se sottoposti a razionali interventi di fertilizzazione organica

e tempestive utilizzazioni pascolive. Si tratta senza dubbio di

formazioni foraggere più adatte ad animali meno esigenti di quelli in

lattazione.

Le formazioni sommariamente descritte assumono, passando dalla

bassa, alla media e all’alta montagna delle Alpi e dell’Appennino

centro settentrionale, connotazioni gradualmente più pascolive in

funzione delle condizioni di giacitura e di prevalente utilizzazione. La

diversificazione vegetazionale si accentua notevolmente con il

moltiplicarsi delle situazioni ambientali e gestionali. I tipi

vegetazionali riscontrabili sono moltissimi, con varianti locali ancor

più numerose a costituire un “unicum” fra i vari massicci montuosi

del mondo. Le vegetazioni alto-montane per le loro caratteristiche

particolari, per l’incomparabile polifitismo che generalmente

esprimono, sono in grado di sostenere produzioni casearie

particolari, ad alto valore aggiunto, perché ottenute da foraggi

naturali con qualità uniche, in grado di conferire, ai prodotti derivati,

caratteristiche di pregio e di identificazione (5).

Negli ultimi decenni, le notevoli trasformazioni sociali ed economiche

verificatesi nel mondo rurale e montano hanno modificato in parte la

situazione con l’abbandono o la gestione inadeguata di vaste

superfici, determinando una graduale involuzione vegetazionale

verso forme impoverite a più ridotta biodiversità. Tuttavia, anche se

ridotte per superficie, rispetto a quella occupata nella metà del

secolo scorso, sono ancora in gran parte riscontrabili sul territorio

vegetazioni di gran valore e diversità, mentre s’intravede, in questi

ultimi anni, una ripresa d’interesse per la loro conservazione e

maggiore valorizzazione.

Page 59: Il modello latte nobile

57

Si ricordano soltanto alcune delle formazioni più importanti per

superficie occupata, iniziando dalle formazioni pascolive delle basse

altitudini e via via passando a quelle degli ambienti sommitali:

i brachipodieti, formazioni impoverite su suoli a modesta

fertilità, a ridotto polifitismo, ma sicuramente migliorabili in

molti ambienti con una razionale gestione del loro potenziale

produttivo;

i lolieti-cinosureti, formazioni pastorali d’elezione della bassa

montagna e collina, produttivi, ricchi di specie e adatti ad

animali esigenti;

i festuceti a Festuca gr. rubra, formazioni tra le più

significative della fascia altitudinale montana e sub-alpina,

dal corteggio floristico molto vario ed equilibrato, adatto a

tutte le utilizzazioni e dal notevole significato ambientale;

nelle situazioni meno favorevoli domina la Festuca gr. ovina

con inferiori livelli di produttività, ma sempre con un ricco

corteggio floristico;

i nardeti secondari, formazioni derivanti prevalentemente

dalla degradazione gestionale dei festuceti; comunque

interessanti per il corteggio floristico, in parte anche

arbustivo, e suscettibili di miglioramento con adeguate

pratiche gestionali.

Al limite superiore della vegetazione forestale, la gamma delle

tipologie pastorali si amplia ulteriormente, in relazione ad una

crescente influenza delle condizioni ambientali e in particolare

dell’esposizione.

Tra le formazioni più estese e più adatte all’utilizzazione pastorale

con animali da latte si ritrovano, nelle aree meno acclivi, ancora

festuceti particolarmente ricchi di specie e produttivi (festuceti a F.

nigrescens), trifoglieti a Trifolium alpinum dal particolare significato

pastorale e paesaggistico, formazioni a Poa alpina, Phleum alpinum

e Taraxacum alpinum, molto utilizzate e in grado di esprimere ottimi

prodotti caseari. Sui pendii soleggiati e su rocce calcaree,

Page 60: Il modello latte nobile

interessanti sono le formazioni a Onobrychis montana, riconoscibili

dalle splendide fioriture rosa intenso, ed eccellente alimento per gli

erbivori di tutte le specie e le categorie. Ancor più in alto, nella fascia

altitudinale alpina e nivale, si riscontrano formazioni di elevato

significato pastorale oltre che ambientale: quelle a Plantago alpina e

Festuca gr. rubra, dal ricco corteggio floristico con vari trifogli e

Leontodon hispidus, sicuramente tra i migliori pascoli della fascia

altitudinale superiore; più discontinue per l’articolata morfologia alto-

alpina sono le formazioni a Nardus stricta e Plantago alpina

arricchite da T. alpinum, Ligusticum mutellina e altre specie ancora;

quelle sempre a Plantago alpina, con Alopecurus gerardi, Poa

alpina, Carex foetida, che, nonostante il nome, presenta

caratteristiche foraggere di elevato interesse, già note da secoli.

Le formazioni naturali di prateria degli ambienti a influenza

mediterranea, per la più accentuata variabilità climatica e per il

maggior influsso antropico, sono più frammentarie e quindi più

difficilmente definibili rispetto a quelle alpine e appenniniche centro-

settentrionali. Dal livello del mare verso le fasce altimetriche poco più

elevate, si ritrova tipicamente la steppa mediterranea con molte

specie del genere Stipa (capensis, gr. pennata, offneri) e altre

graminacee per lo più annuali, appartenenti ai generi Bromus,

Vulpia, Avena, Hordeum, Aegilops, Laguru, in grado di assicurare a

fine inverno-inizio primavera, a seconda dei luoghi, un periodo

relativamente breve di foraggi di qualità. Nelle macchie

mediterranee, più fresche, si possono trovare andropogoneti ad

Adropogon distachyus con Dasypyrum villosum, Avena barbata,

erbe mediche e trifogli annuali, con un polifitismo non trascurabile. Di

maggior valore pabulare sono le associazioni a leguminose

autoriseminanti che su terreno siliceo sono essenzialmente a

Trifolium subterraneum, , T. yanninicum, T. hirtum, T. cherleri, T.

nigrescens, T. glomeratum, Ornithopus compressus, Scorpiurus

muricatus, mentre su terreni subalcalini o calcarei sono a T.

brachycalycinum, Medicago polymorfa, M. orbicularis, M. murex, M.

rigidula, M. truncatula, M.tornata, M. litoralis e affini. Le due serie di

Page 61: Il modello latte nobile

59

leguminose sono sempre accompagnate da alcune graminacee

(Lolium rigidum, Phalaris sp.pl., Avena sp.pl., Bromus spp, Hordeum

sp.pl.) secondo gli andamenti termo-pluviometrici). Il polifitismo delle

formazioni è sempre assicurato dall’autunno alla primavera, mentre

in estate sono disponibili residui secchi con molti legumi maturi

appetiti soprattutto dagli ovini.

Nelle aree collinari a suoli calcareo–argillosi, ritroviamo formazioni a

Phalaris coerulescens, Ph. truncata, Festuca gr. ovina e Cynosurus

echinatus con molte leguminose appartenenti ai generi Hedysarum,

Melilotus, Trigonella, Vicia, Lotus e Lathyr,. e specie dei generi

Crepis, Inula, Cichorium, Echium, Geranium. Adeguatamente gestite

queste formazioni possono offrire foraggi di qualità medio-elevata, in

grado di esprimere prodotti caseari particolari. In certe situazioni

inoltre, la moltiplicazione degli ecotipi locali di Hedysarum spp. e

Onobrychis spp. con un’adeguata produzione di semente, potrebbe

offrire un ricco contributo alla qualità dei cotici descritti, migliorati con

l’apporto di tali ecotipi, adatti ai diversi ambienti.

Sull’Appennino meridionale e in Sicilia, nella fascia altitudinale

superiore, dominano i seslerieti a Sesleria nitida, con Bromus

erectus e Dactylis hispanica, unitamente a diverse specie foraggere

mediocri.

Negli areali di altitudine dell’Appennino centrale le vegetazioni

pastorali si avvicinano a quelle descritte per l’Appennino

settentrionale con alcune formazioni caratteristiche come i seslerieti-

cariceti a Sesleria tenuifolia e Carex Kitaibeliana, con presenze

irregolari di Alopecurus gerardii e Trifolium thalii. Nell’insieme le

vegetazioni sono sempre polifite e assai complementari fra loro.

In questi ambienti non si può dimenticare il ruolo delle specie

legnose, costituenti pascoli arborati con essenze quercine

caratteristiche della Sardegna, o con componenti arbustive a

costituire pascoli a macchia evoluta (Mirthus communis, Pistacia

lenticus, Arbutus unedus, Phillirea latifolia, Erica arborea, Olea

Page 62: Il modello latte nobile

europea, alcune specie di quercia), in grado di assicurare agli

animali un complemento alimentare importante, oltre alle specie

erbacee presenti. Le formazioni a macchia bassa con rosmarino,

lavanda, cisti e ginestra offrono invece foraggio d’interesse solo per

la componente erbacea, nel complesso piuttosto povera.

In generale tutte le formazioni descritte presentano un assortimento

di specie importante con differenti specializzazioni funzionali

(produttiva, anti-erosiva, difensiva dall’eccesso di prelievo da parte

degli erbivori mal gestiti, complementari per la presenza di

leguminose che rilasciano nutrienti, di fiori o di piante aromatiche che

richiamano pronubi, ecc), in equilibrio con le sollecitazioni esterne

provenienti dagli animali utilizzatori, che a loro volta influenzano il

cotico per l’azione di brucatura, di calpestamento e per l’apporto di

deiezioni solide e liquide.

Ai fini della qualità dei prodotti di origine animale, in particolare per il

latte, le formazioni pascolive seminaturali utilizzate correttamente e

nella stagione appropriata assicurano le migliori qualità ottenibili.

Formazioni foraggere artificiali polifite Non tutti gli allevamenti però possono sostenersi con sole risorse

semi-naturali. Condizioni ambientali diverse, situazioni aziendali,

fondiarie, agronomiche, soggettive dei conduttori, possono rendere

necessarie altre scelte tecniche più intensive, con l’introduzione

dell’avvicendamento delle diverse colture proponibili in un

determinato ambiente. Anche in questi casi, per l’allevamento

animale di qualità sono utilizzabili colture diverse, ma sempre

rispondenti alla caratteristica di base necessaria, espressa dal

polifitismo, con le migliori specie e varietà adatte, consapevolmente

consociate per ciascun ambiente.

Assume quindi importanza la coltivazione di prati polifiti avvicendati

di differente durata da 2 a 5 o 6 anni, secondo le condizioni

ambientali e le esigenze dell’allevamento, costituiti da consociazioni

di varietà selezionate delle migliori specie prative, appartenenti alle

famiglie botaniche delle graminacee e delle leguminose. Lolium

Page 63: Il modello latte nobile

61

multiflorum, L. perenne, L. hybridum, Festulolium, Dactylis

glomerata, Festuca pratensis, F. arundinacea, Phleum pratense,

Bromus inermis, Poa pratensis, sono le diverse specie graminacee

più regolarmente impiegabili nei prati avvicendati di pianura del

centro-nord; regolarmente consociate con alcune varietà di specie

leguminose in funzione di ambiente, tipo di suolo, esigenze aziendali

e dell’allevamento (Trifolium repens, T. pratense, T. hybridum,

Medicago sativa, M. Lupulina, Onobrychis viciifolia, Lotus

corniculatus).

I miscugli da predisporre con le diverse specie e varietà di

graminacee e leguminose possono prevedere per le specie da

consociare differenti rapporti in termini di numero di semi per m2 di

suolo; rapporti che devono tener conto della competitività delle

specie e varietà impiegate per ottenere una massa foraggera,

consumabile dagli animali nelle diverse forme (erba pascolata, erba

sfalciata e somministrata fresca agli animali, erba sfalciata e

affienata), il più possibile polifita nei diversi periodi stagionali.

Nelle aree collinari, montane e subalpine del centro-nord, si possono

impiegare, oltre alla maggior parte delle specie indicate, per le

graminacee, Arrenatherum elatius e, in zone collinari siccitose, B.

willdenowii, evitando in genere l’impiego di loiessa e loglio ibrido; tra

le leguminose si può aggiungere Anthyllis vulneraria.

Per un’utilizzazione prevalentemente pascoliva le consociazioni

polifite saranno formulate escludendo Lolium multiflorum, L.

hybridum, Festuca pratensis, scegliendo per le altre specie varietà

adatte al pascolamento.

Negli ambienti mediterranei, la scelta dei miscugli per i prati

avvicendati è più complessa per la necessità di far fronte a periodi

critici di siccità normalmente più pronunciati. Per l’utilizzazione a

sfalcio, la scelta delle specie da consociare dovrà necessariamente

prevedere, in tutti i casi con particolare attenzione alle varietà

impiegate, Festuca arundinacea, Dactylis glomerata, Bromus

Page 64: Il modello latte nobile

willdenowii, Phalaris aquatica, Festulolium, fra le graminacee, e

Medicago sativa, Onobrychis viciifolia, Hedysarum coronarium, fra le

leguminose. Per un’utilizzazione pascoliva è possibile aggiungere fra

le graminacee Lolium rigidum, Cynodon dactylon, Eragrostis curvula;

fra le leguminose: Trifolium subterraneum, T. brachycalycinum,

T.yanninicum e Medicago polymorfa.

L’impiego di questo tipo di risorse non è così generalizzato e

generalizzabile nelle zone di allevamento centro-meridionali, dove

spesso le esigenze alimentari sono invece soddisfatte con erbai

annuali per differenti ragioni.

Gli erbai annuali, più frequentemente inseriti nel sistema colturale-

foraggero centro-meridionale, spesso non presentano le

caratteristiche del polifitismo, essendo prevalentemente formulati

con Avena sativa consociata a Vicia sativa, o con altre specie

sempre consociate in formazioni bifite (Trifolium incarnatum, oppure

T. alexandrinum, oppure T. squarrosum, e altri ancora).

L’impiego di più specie da erbaio consociate può, in analogia con il

prato avvicendato, consentire la produzione di foraggio polifita con

sufficiente equilibrio fra i componenti e con caratteristiche di qualità

generalmente superiori. In certe situazioni poco adatte alla semina

diretta di erbai polifiti e in attesa di acquisire le conoscenze

necessarie, è possibile, in alternativa, assicurare un‘alimentazione

polifita agli animali direttamente in mangiatoia, moltiplicando negli

appezzamenti aziendali alcuni tipi di erbaio costituiti da differenti

consociazioni bifite fra le specie potenzialmente più adatte all’areale

di coltivazione.

Il modello produttivo foraggero razionalmente

imposto dal Latte Nobile

Tutti i dati analitici e tecnologici sulla qualità del latte Nobile

concordano sul ruolo primario e irrinunciabile del foraggio polifita

utilizzato dagli animali. Tale requisito s’impone nel relativo

disciplinare produttivo come il principale condizionatore del risultato

Page 65: Il modello latte nobile

63

qualitativo atteso. Le risorse polifite permanenti esistono ancora e

potranno anche migliorare ed espandersi nuovamente; le risorse

polifite avvicendate sono ovunque coltivabili, ma non è comunque

immediato un rapido e diffuso ritorno a una foraggicoltura di qualità.

Nel momento in cui la produzione di un latte di qualità superiore

come il Latte Nobile si afferma come alternativa produttiva, si

evidenziano nettamente i molti problemi da risolvere nel settore

foraggero in tutte le aree interessate, per giungere ai necessari

adeguamenti in termini di polifitismo delle risorse impiegabili, siano

esse risorse permanenti, avvicendate prato-pascolive, o erbai.

Problematiche della foraggicoltura permanente e

avvicendata italiana L’agricoltura italiana risente, da alcuni decenni, degli orientamenti,

per ora vincenti, di una parte della ricerca, di molti tecnici e del

mercato, verso la monocoltura maidicola anche in campo foraggero.

Ne sono derivate la semplificazione produttiva e la

standardizzazione dei relativi processi (e dei prodotti), che hanno

sottratto interesse per la praticoltura in genere, assai più complessa

da gestire, riducendone drasticamente l’importanza in termini di

superficie occupata e trascurando gli effetti positivi sulla qualità dei

prodotti zootecnici, intesa, questa, nei termini, radicalmente diversi,

proposti da ANFOSC.

Sono state invece assai poco ascoltate altre acquisizioni della

ricerca ottenute negli ultimi 50 anni, che hanno indicato opportunità,

scelte tecniche e criteri operativi nei diversi areali italiani, a favore

del polifitismo in foraggicoltura e della gestione conservativa delle

risorse seminaturali. Le ragioni dell’insuccesso sono molteplici e di

diverso peso. Nei paragrafi seguenti saranno esaminati gli aspetti più

significativi del problema.

1) Assistenza tecnica alle Aziende

Nel mancato sviluppo di una foraggicoltura nuova orientata

prevalentemente alla qualità dei prodotti ottenibili, ha indubbiamente

ha avuto un ruolo molto importante l’insufficiente trasferimento delle

Page 66: Il modello latte nobile

conoscenze acquisite dalla ricerca. È mancata sostanzialmente in

tutte le Regioni, un’assistenza tecnica aziendale competente e

adeguata, non legata a interessi mercantili, come si osserva in

alcune Nazioni confinanti l’Italia, in grado di accompagnare, nelle

stesse aziende interessate, l’evoluzione tecnica per comprendere e

conservare la foraggicoltura prato-pascoliva permanente e

l’avanzamento della foraggicoltura da prato avvicendato e da erbaio.

Anche negli areali montuosi, dalle Alpi agli Appennini, dove

predominano per ragioni ambientali le formazioni permanenti (prati e

pascoli), analogamente, non c’è stata la diffusione a livello aziendale

delle conoscenze tecniche per interpretare le diverse risorse,

apprezzarne le diversità e i contrasti e quindi conservarle in funzione

di una razionale valorizzazione. Nel sud della penisola, dove il mais

non è entrato in modo preponderante fra le colture,

fondamentalmente per ragioni climatiche, sono gli erbai autunno-

primaverili monofiti o bifiti ancora a prevalere, quale conseguenza di

orientamenti produttivi verso la semplificazione produttiva e per

insufficienti conoscenze sulle possibilità alternative e sui risultati

attendibili in termini di qualità del latte.

Alla mancata assistenza tecnica, si aggiunge la tradizionale

diffidenza degli imprenditori anziani nel recepire innovazioni più

impegnative nella gestione aziendale, che trova giustificazioni

nell’abbandono in cui spesso è stata lasciata l’agricoltura, soprattutto

quella condotta da piccole aziende, e spesso anche da medie e

grandi aziende che evidenziano insufficienti conoscenze tecniche nel

settore della foraggicoltura al di fuori della monocoltura maidicola,

del prato di erba medica, dell’erbaio di loiessa o dell’erbaio di avena

e veccia o poco altro.

Tutti gli aspetti di programmazione del sistema foraggero prato-

pascolivo permanente o avvicendato prativo o con erbai polifiti, con

valutazione dei risultati e individuazione degli interventi correttivi a

tutto campo, richiedono specifiche conoscenze raramente

riscontrabili per ora fra gli operatori del settore e anche in molti

Page 67: Il modello latte nobile

65

tecnici agricoli (dal semplice riconoscimento delle specie a tutti gli

stadi vegetativi, al rilievo dei rapporti quantitativi fra le specie

consociate, agli effetti delle diverse pratiche agronomiche e

gestionali sui rapporti vegetazionali). Occorre quindi un’integrazione

fra attività: l’apporto qualificato di tecnici preparati, eventualmente a

tal fine formati, per impostare gli accertamenti tecnici e trasferire le

conoscenze necessarie e la volontà e la disponibilità di imprenditori

aperti e interessati a recepire l’innovazione.

Alcune recenti iniziative incoraggianti con giovani imprenditori del

“Consorzio Formicoso Alta Irpinia - Agricoltura e Sviluppo

Sostenibile”, che hanno accettato di provare e verificare i risultati

ottenibili, inducono a proseguire celermente nelle attività di

integrazione delle diverse risorse e di trasformazione dei sistemi

foraggeri.

L’eccellente qualità di alcuni prodotti caseari ottenuti in un’azienda

del Consorzio Alta Irpinia con l’integrazione foraggera fra erbai e

pascoli permanenti, pone l’accento sull’importanza della

valorizzazione di risorse diverse nello stesso ambiente.

Con personale preparato occorre poi sviluppare le conoscenze per

migliorare i numerosi sistemi foraggeri in conformità ai parametri di

qualità del latte prodotto, da definire come “parametri obiettivo”.

Nelle diverse situazioni occorre dunque organizzare e controllare il

sistema foraggero al fine di stabilizzare il più possibile, durante le

diverse stagioni, le caratteristiche compositive e nutrizionali del latte,

prendendo come riferimento i valori delle produzioni primaverili, ma

sempre rispettando le differenze indotte dal mutare dei foraggi con le

stagioni. Differenziare i prodotti caseari con le stagioni potrebbe

anche aumentare i motivi d’interesse per gli stessi prodotti.

L’integrazione fra le differenti tipologie di risorse può ulteriormente

contribuire al miglioramento della foraggicoltura nei termini indicati.

2) La scelta varietale nella foraggicoltura avvicendata

Oggi più che in passato, è rilevante il problema della scelta varietale

per le diverse specie foraggere suggerite, sia da prato, sia da erbaio.

Page 68: Il modello latte nobile

L’unico strumento proponibile per porre rimedio al problema è

l’organizzazione, in numerosi ambienti e ad altitudini diverse, di un

sistema di adeguati confronti varietali, di specie, varietà differenti,

coltivate in purezza e variamente consociate. Solo così si potrà

offrire supporti tecnici importanti per il miglioramento diffuso dei

sistemi foraggeri italiani. I criteri di valutazione non devono esaurirsi

con la produttività delle cultivar, ma occorre che sia valutata la

persistenza, la precocità, la capacità di ricaccio, la rispondenza alle

diverse modalità di utilizzazione e le caratteristiche qualitative in

termini di abbondanza di composti funzionali (caroteni, polifenoli,

vitamine, ecc.). Volendo poi attuare delle consociazioni fra alcune

specie, occorre valutare nelle stesse condizioni indicate, il

comportamento delle specie e cultivar variamente consociate, per

verificare tutti gli aspetti tecnici necessari a stabilizzare, nei prati, il

più possibile nel tempo, i rapporti fra le specie scelte, pur con le

variazioni stagionali immodificabili e negli erbai per garantire nel

prodotto finale l’apporto complementare desiderato fra le varie

specie incluse nel miscuglio.

L’abbandono in molte aziende della praticoltura avvicendata è anche

la conseguenza d’insuccessi derivanti da scelte errate indotte dal

settore commerciale, senza altri adeguati supporti tecnici. Analogo

discorso può essere fatto per gli erbai, dove prevalgono quelli

monofiti o bifiti proprio per la difficoltà di ottenere foraggi polifiti

equilibrati fra le specie seminate.

Le singole aziende possono o potranno saggiare il comportamento di

specie e cultivar nel proprio ambiente, ma non potranno mai

sostituirsi a un programma di assistenza tecnica, adeguatamente

programmato e condotto da esperti.

3) Valorizzazione degli ecotipi locali

Nel contesto indicato, deve essere anche considerato

adeguatamente il valore di molti ecotipi locali, di grande significato

foraggero, che richiederebbero soltanto una verifica

comportamentale e la produzione di adeguate quantità di seme

nell’areale di provenienza per un utile impiego aziendale.

Page 69: Il modello latte nobile

67

Quest’aspetto, già oggetto di significative ricerche specialmente

nell’areale sardo, non può che essere affrontato da enti di ricerca per

l’individuazione delle specie pregevoli, per organizzare la raccolta

semi e la moltiplicazione della semente, da utilizzare nello stesso

ambiente o in ambienti similari, fino alla eventuale costituzione di

nuove cultivar a più ampia valenza ambientale.

Sono molte le specie che si presentano nei vari ambienti con ecotipi

spontanei interessanti. Tra le leguminose più interessanti si citano

Onobrychis viciifolia e O. montana, Hedysarum coronarium, Trifolium

pratense,Trifolium subterraneum, T. brachycalycinum, Medicago

sativa, Medicago polymorfa; tra le graminacee Lolium perenne, L.

rigidum, Dactylis glomerata, Festuca arundinacea.

4) Meccanizzazione della semina delle consociazioni polifite.

Spesso nelle aziende zootecniche che desiderano tornare alla

praticoltura o agli erbai polifiti si aggiunge, al problema varietale,

quello della semina dei miscugli con semi di differenti dimensioni e in

percentuali definite fra le specie e le varietà seminate. Si riscontra,

infatti, la ridotta diffusione nelle aziende delle seminatrici adatte a

due tramogge, mentre è poco conosciuto il rimedio del diluente

secco (segatura di legno setacciata) per stabilizzare il miscuglio

durante le operazioni di semina. Sono inoltre assai rare nelle

aziende le seminatrici a doppio rullo scanalato, anteriore e posteriore

alla caduta del seme, per ottimizzare il ricoprimento dello stesso e

migliorare l’emergenza delle plantule anche in terreni soggetti alla

formazione di crosta. Considerando il modesto impiego temporale di

queste macchine in azienda, il loro acquisto cooperativo o consortile

potrebbe contribuire a risolvere il problema.

5) Lotta alle specie infestanti dei prati avvicendati

La lotta alle infestanti nella coltura dei prati polifiti avvicendati è assai

più complessa che in quella di altre colture annuali, soprattutto se il

prato polifita segue colture maidicole ripetute. Volendo escludere il

diserbo in presemina per evidenti ragioni di salubrità dell’ambiente e

dei foraggi ottenuti, l’unica soluzione proponibile è la tecnica della

falsa semina con distruzione meccanica delle plantule infestanti

germinate prima della vera semina delle foraggere.

Page 70: Il modello latte nobile

6) Gestione del manto erbaceo nella praticoltura avvicendata.

A semina riuscita del prato polifita, assume notevole importanza la

valutazione periodica del manto erbaceo (in termini di copertura e

rapporti quantitativi fra le specie), per poi correggere le cause di

eventuali squilibri vegetazionali determinati da scelte specifiche e

varietali, da scorretti rapporti in fase di semina o di emergenza fra i

componenti, da modalità e severità delle utilizzazioni, da pratiche

colturali scorrette (concimazione e irrigazione eventuale). Solo così

sarà possibile prevedere anticipatamente gli interventi correttivi e

conservare nel tempo la tipologia vegetazionale desiderata e

rispondente ai diversi ruoli previsti per il prato (produttivi, ambientali,

paesaggistici), sempre considerando che modeste variazioni

compositive stagionali sono da ritenersi normali. La tecnica colturale

da applicare ai prati deve essenzialmente assumere il carattere di

tecnica correttiva degli squilibri vegetazionali precocemente

osservati. Modalità di utilizzazione, integrazione fra differenti

tecniche (dal pascolamento, allo sfalcio in differenti stadi delle specie

presenti), concimazione organica ed eventualmente minerale, con

funzioni prevalentemente correttive, trasemina delle specie di pregio

diradatesi precocemente o di altre interessanti in aggiunta, sono tutte

tecniche che, in combinazione fra loro, possono allungare la vita di

un prato avvicendato. È anche possibile, in certe condizioni,

procedere “all’invecchiamento guidato dei cotici consociati” per

trasformare il prato avvicendato in permanente, migliorando

ulteriormente la gamma delle risorse disponibili. Questo è ottenibile

con periodici interventi di miglioramento con specie, varietà ed

ecotipi di pregio traseminati, accettando via, via, l’inserimento di

specie spontanee di buona qualità e in grado di esaltare nel latte i

contenuti di alcune sostanze aromatiche e nutrizionali di pregio.

Nella valutazione periodica del manto vegetale, la struttura delle

specie di un prato assume un significato diagnostico importante.

Quando la dimensione dei cespi delle graminacee a lamina larga e

produttive è notevole e questi appaiono gradualmente sempre più

spaziati fra loro, l’equilibrio vegetazionale è compromesso, in quanto

le altre specie sono destinate ad un progressivo diradamento.

Page 71: Il modello latte nobile

69

Occorre intervenire con utilizzazioni più frequenti, con il

pascolamento anticipato, per contenere la competitività delle specie

dominanti, ridurre o eliminare gli apporti azotati, incrementare quello

fosfatico a favore delle leguminose, intervenire con la trasemina di

specie adatte. Se questo non fosse sufficiente, nella ricostituzione

successiva del prato dovrà essere riconsiderata la composizione

della consociazione, la scelta varietale delle specie dominanti e

dominate, le quantità rispettive di seme, la tecnica di semina, che

potrebbe aiutare a conservare l’equilibrio seminando a file separate

le graminacee e le leguminose (è anche possibile una semina a file

doppie separate fra i due gruppi di specie, per ridurre ulteriormente

la competitività interspecifica).

7) Valutazione del manto erbaceo negli erbai per la corretta

formulazione delle consociazioni.

Nel caso degli erbai, esaminare correttamente il manto vegetale

assume essenzialmente il significato di valutare la riuscita dell’erbaio

polifita; eventuali variazioni compositive sono logicamente da

introdurre nell’erbaio successivo. Durante il breve ciclo dell’erbaio è,

infatti, molto difficile intervenire per modificare i rapporti quantitativi

delle specie consociate, salvo il caso in cui siano carenti le

graminacee, favorite da un modesto apporto azotato in copertura a

fine inverno.

8) Gestione delle formazioni prato-pascolive permanenti

Per queste risorse ancora esistenti, di grande significato produttivo e

ambientale, si potrebbe suggerire prioritariamente un’analisi

accurata per Regione, secondo modelli già applicati per le Alpi

occidentali (3) e più recentemente per le praterie francesi (6), con lo

scopo di evidenziare le tipologie più promettenti e suscettibili di

miglioramento e conservazione, da integrare con le risorse

avvicendate. A livello aziendale, sia per le praterie sfalciate, sia per

quelle pascolate, valgono le precedenti considerazioni sulla

valutazione del manto vegetale al fine di individuare gli interventi

gestionali correttivi. L’interpretazione delle variazioni vegetazionali e

l’individuazione degli squilibri che le determinano in tutti gli ambienti

non sono facili da accertare, richiedendo conoscenze ecologiche

Page 72: Il modello latte nobile

generali e specifiche per le principali specie del cotico.

L’applicazione dei suggerimenti correttivi è poi alla portata dei singoli

imprenditori soltanto con adeguati supporti tecnici iniziali.

Possibili ricadute degli interventi per il miglioramento

della foraggicoltura Il superamento delle carenze tecniche riguardanti l’impianto dei prati

polifiti, potrebbe dunque favorire in molti areali il passaggio da una

foraggicoltura a ciclo breve o brevissimo, a una foraggicoltura polifita

di più lunga durata o stabile.

Gradualmente i prodotti caseari derivati potrebbero migliorare per

qualità intrinseche, gustative e anche visive, come il colore giallo che

assumono alcuni derivati (burro, ricotta, formaggi) quando il foraggio

consumato fresco è ricco di caroteni. I prodotti di qualità superiore,

così distinguibili, potrebbero ritornare a essere universalmente

apprezzati, innescando il ritorno a una nuova foraggicoltura di

qualità.

Ricadute economiche importanti potrebbero essere l’autonomia

foraggera aziendale a supporto di prodotti di qualità superiore, con

valore aggiunto in gran parte trasferibile agli attori primari della

filiera.

Le ricadute ambientali attese sono essenzialmente collegate al

miglioramento dell’azotofissazione in molte consociazioni, alla

protezione delle falde acquifere per i modesti rilasci di nutrienti delle

praterie, alla conservazione e all’incremento delle formazioni

permanenti seminaturali prato-pascolive, pregevoli per l’aspetto

paesaggistico e per la loro fruibilità, senza dimenticare il collegato e

notevole incremento di biodiversità.

Le nuove e attese risposte del comparto agricolo foraggero-

zootecnico di molti ambienti potrebbero dunque riconciliare

efficacemente aspetti economici produttivistici con aspetti socio-

ambientali sempre più importanti.

Page 73: Il modello latte nobile

71

Realtà operative in evoluzione Dalla Campania al Molise, dal Lazio al Piemonte, alcune Aziende

pilota hanno avviato la trasformazione del proprio sistema foraggero.

Nelle prime due Regioni, gli erbai saggiati con 4 o 6 specie hanno

fornito risultati incoraggianti per l’importante opera del citato

Consorzio Formicoso Alta Irpinia - Agricoltura e Sviluppo Sostenibile,

mentre sono in fase di definizione gli inserimenti di prati avvicendati

polifiti da trasformare eventualmente in permanenti. In provincia di

Benevento nove aziende producono Latte Nobile per alcuni negozi di

Napoli. Nel Lazio sono in fase di programmazione i tipi di erbaio e

prati proponibili, possibilmente in integrazione fra loro. In Piemonte,

un’Azienda della pianura torinese ha abbandonato la monocoltura

maidicola e l’allevamento intensivo per passare a una foraggicoltura

prato-pascoliva avvicendata polifita, seminando sull’intera superficie

aziendale (20 ha) miscugli appositamente formulati per prati-pascoli

a 5-7 specie di graminacee e leguminose. Nell’anno in corso,

durante il quale gli animali hanno iniziato a pascolare dalla primavera

e si è iniziato a produrre Latte Nobile, una serie di accertamenti sul

manto vegetale ha consentito di valutare i differenti miscugli seminati

e di predisporre gli interventi correttivi per fronteggiare le difficoltà

della trasformazione colturale attuata, prevalentemente da ricondurre

al difficile controllo della vegetazione infestante dopo decenni di

monocoltura maidicola. Nei prossimi anni sarà controllata la

longevità dei differenti cotici polifiti con l’obiettivo di farli evolvere,

con l’invecchiamento controllato, in permanenti, con un significativo

contributo di specie spontanee. Sempre in Piemonte, ma nella zona

alpina, quattro Aziende in alta Valle Susa, Val Chisone e Val Sesia

hanno iniziato il percorso di valutazione del latte prodotto con i

foraggi e con il pascolamento di prati e pascoli di differente altitudine.

Tutte le tipologie dei cotici permanenti polifiti utilizzati hanno risposto

positivamente in termini di qualità del latte ottenuto, garantendo la

produzione di Latte Nobile e confermando per quest’aspetto le

notevoli possibilità delle aziende montane. La spinta all’innovazione

nella tradizione continua.

Page 74: Il modello latte nobile

Sembra dunque emergere timidamente nell’agricoltura italiana anche

la necessità di affrontare la scelta dei sistemi foraggeri aziendali su

basi nuove, ponendo operativamente al primo posto la correttezza

produttiva, la valorizzazione delle diversità e il trasferimento delle

conoscenze, considerando vecchie e nuove risorse foraggere e

l’integrazione fra queste con quelle naturali, da recuperare almeno in

parte, con l’obiettivo finale di un netto incremento della qualità e della

qualificazione dei prodotti caseari e carnei nazionali.

Originata da attente intuizioni e considerazioni (7), ha forse inizio

una piccola rivoluzione tecnica e culturale, verso la tradizione, la

genuinità, la sostenibilità ambientale, la fruibilità dei territori e il loro

paesaggio, il collegamento degli stessi prodotti ai territori, ma con

ben altre conoscenze rispetto al passato e più precisi e concreti

obiettivi.

Bibliografia principale 1. Pandakovic’ D., 1996. Il disagio della rimozione. In:

Paesaggio Perduto. Disagio e progetto. Quattroventi, Urbino.

2. Turri E., 1996. Viaggio verso Atopia. In: Paesaggio Perduto.

Disagio e progetto. Quattroventi, Urbino.

3. Cavallero A., Aceto P., Gorlier A., Lombardi G., Lonati M.,

Martinasso B., Tagliatori C., 2007. I tipi pastorali delle Alpi

piemontesi. Perdisa Editore. Bologna.

4. Autori vari. Coltivazioni erbacee. Foraggere e tappeti erbosi,

a cura di Baldoni R. e Giardini L., 2002. Pàtron Editore.

Bologna.

5. Cavallero A., Contarini G., Piano E., 2011. Progetto Pro-

Alpe: conclusioni e prospettive sulla tracciabilità e sulla

conservazione del sistema alpeggio negli anni 2000. Pascoli

e Formaggi d’Alpe. Progetto FISR. CRA, Roma.

6. Launay F., Baumont R., Plantureux S., Farrié J.P., Launay

F., Michaud A., Pottier E., 2011. Prairies permanentes. Des

références pour valoriser leur diversité. Edité par l’Institut de

l’Elevage. Paris.

7. Rubino R., 2014. Il Latte Nobile: un modello in via di

evoluzione. Stesso volume.

Page 75: Il modello latte nobile

73

El modelo de “Latte Nobile” una vía

Alternativa para la producción de leche de

calidad en México

Dr. Miguel Angel Galina

FES-Cuautitlán Universidad Nacional Autónoma de México

Situación de la Producción de Leche en México,

Problemas fundamentales y desarrollo de modelos

alternos

La leche representa la quinta parte del valor total de la producción

pecuaria, en México siendo la tercera en importancia, en nuestro

país se ordeñan 11 millones de litros de leche diariamente, de los

cuales el 80% se proviene de las altas o medianas productoras, en

aproximadamente 50 mil establos, de 100 vacas o más, solo el 20%

lo producen estacionalmente ganaderos de menos de 50 vacas

principalmente en los trópicos. El sistema de manejo tradicional de

lechería no especializada concentra al 67 % del hato lechero

nacional y participa tan sólo con el 20% de la producción del lácteo a

nivel nacional. Este sistema utiliza ganado Cebú criollo o con cruzas

con Suizo, Holstein y/o Simental, las vacas son ordeñadas

principalmente en las épocas de lluvia. El ganado criollo se

encuentra en praderas siendo ocasionalmente alimentado con

suplementos alimenticios. Los hatos en las unidades productivas

tienen entre 30 y 40 cabezas. La infraestructura es escasa y la

rentabilidad baja. La producción es estacional y se destina

fundamentalmente a la venta directa al consumidor. La dispersión de

la oferta, la presencia de la leche rehidratada, los costos del

combustible y la inseguridad en el campo, hacen que este sistema

de producción sea muy vulnerable (SAGARPA, 2014).

Las políticas gubernamentales en México y en mayoría de los

países de América Latina, quizás con la excepción de Argentina,

Uruguay, Brasil y Cuba es mantener un estricto control a la baja, del

precio de la leche mediante la importación de leche en polvo, de

Page 76: Il modello latte nobile

Estados Unidos y Nueva Zelanda, en México prácticamente de los

16 millones de litros que se consumen al día, por los más de 100

millones de mexicanos, 5 millones provienen de la importación o sea

el 31.7% mientras que se producen 11 millones o sea el 68.3% del

consumo nacional, con una politica de subsidio para las clases

marginadas a costa de lo productores, que no tienen sostenibilidad

económica, por ello a las grandes industrializadoras de leche, se les

dan cuotas de importación de leche en polvo, para regular la oferta,

con perjuicio de los productores del lácteo. Si los ganaderos exigen

un mejor precio los industrializadores recurren a sus cuotas de

importación de leche en polvo, manteniendo los precios bajos a los

productores, que en ocasiones han tirado volúmenes importantes de

leche para demostrar su descontento.

En México el 95% de los ganaderos tienen menos de 50 vacas y

muchos de ellos las tienen básicamente en pastoreo,

particularmente en los trópicos, donde se ordeñan alrededor de 2

millones de litros de leche diarios, con enormes desviaciones

estándar, dependiendo de la época del año, en el invierno sube el

precio que se le paga al ganadero, pero pocos tienen leche,

mientras que en el verano baja cuando todos los productores

dependientes de los pastizales se ordeñan, las vacas en promedio

dan 10 a 15 litros diarios, en lactancias de 150 a 210, días se calcula

que son más un millón de ganaderos que emplean entre 3 a 4

millones de trabajadores fijos o eventuales, (CONILEC, 2014).

Pese a que no existe en México un estudio con un enfoque de

organización empresarial para el mercado de la leche, con el objeto

de determinar su estructura, es claro que ésta tiende a observar un

cierto grado de concentración por la industria. Las decisiones de

localización de las transformadoras dominantes han determinado la

concentración de la producción en algunas regiones productivas del

país (Comarca Lagunera, Jalisco, Guanajuato, Querétaro e Hidalgo)

cerca de las grandes urbes. Sin embargo, pese a que la

disponibilidad de los insumos de producción a través de una

integración horizontal de diferentes empresas se ha desarrollado

acorde con las necesidades de la industria, la intensidad con la que

Page 77: Il modello latte nobile

75

el sistema productivo de la leche, tecnificado o familiar, utiliza

recursos naturales; plantea una seria limitante para un incremento

sostenido de la escala de la producción (CONILEC, 2014).

Uno de los problemas estructurales es la importación de leche en

polvo, En nuestro país se hidratan diariamente 5 millones de litros

de leche en polvo, lo que en los últimos 5 años ha mantenido el

precio de la leche de vaca con moderados incrementos, que no son

comparables a los aumentos en los insumos. El modelo es

totalmente dependiente de los forrajes de corte y un altísimo uso de

concentrados, que son más del 50% del alimento de los bovinos, el

precio de los suplementos se ha incrementado 45% en los últimos

cinco años, la gasolina 75% mientras que la leche solamente un

15%. Lo márgenes de rentabilidad se han disminuido por lo que los

ganaderos sobrevivientes tienden a incrementar el número de vacas

o la producción de las mismas, que se traduce generalmente en

bajos índices de fertilidad, las vacas literalmente son usadas dos o

tres años y remplazadas por novillas gestantes (CONILEC, 2014).

Recientemente el Dr. Roberto Rubino de ANFOSC en Italia,

cuestionaba el sistema de cuotas de leche que ha beneficiado a los

grandes productores (en México a los industrializadores), pero que

ha dañado severamente a los pequeños ganaderos, que cada día

con mayor frecuencia abandona la actividad, a pesar de las

diferencias entre sistemas y productores los problemas son muy

similares, los costos se incrementan los beneficios disminuyen, hay

desaliento y abandono de la actividad por los pequeños productores.

(Rubino, 2014).

En México no tenemos a la vista una solución o una propuesta

alternativa, sino la letanía habitual y ahora obsoleta: “reducir los

costos de producción, para disminuir los precios a la venta, para

poder competir con los precios de la leche en polvo rehidratada, que

en Estados Unidos, cuenta con un importante subsidio

gubernamental, decía Albert Einstein “si aplicamos la misma

solución para el mismo problema, tendremos el mismo resultado”.

Curioso que una industria que ha estado en permanente desarrollo y

que utiliza hasta el máximo de la innovación tecnológica y el mundo

Page 78: Il modello latte nobile

de la investigación, ni siquiera ha sido capaz de desarrollar un

modelo teórico para salir de la crisis, del 95% de los ganaderos en

México, que esperan alternativas, abandonando la actividad,

desapareciendo gradualmente. La mejora genética continúa con la

misma premisa para seleccionar los animales, para perpetuar y

mantener vivo un sistema económico, que ha llevado a la ganadería

a una crisis permanente, que en el principal de los escenarios,

mejora algún aspecto de la producción animal (Rubino, 2014). Estas

vacas altas productoras, al menos deberían tener acceso a una

fuente de alimentación capaz de salvaguardar la salud del animal,

mejorando la calidad de la leche y la carne, pero ni este objetivo

tiene viabilidad económica, debido a que una buena nutrición es

demasiado cara, siendo lo más importante la rentabilidad, que en

México se hace viable solo con 500 vacas, en línea de ordeña, de

producciones de 8 o 10 mil litros por lactación, recordamos cuando

iniciamos nuestra práctica profesional en los 60´s un establo de 100

vacas era un buen negocio, con animales de 4 o 5 mil litros ordeña,

por lo tanto han desaparecido miles de ganaderos, concentrando la

producción en un menor número de operarios, que se encuentran

también en “crisis” por el precio de la leche, que deja márgenes muy

pequeños de rentabilidad y que no puede competir con los precios

subsidiados de la leche en polvo de importación, en nuestro caso

particularmente de los Estados Unidos, los ganaderos siguen en la

producción porque no encuentran quién les compre las unidades de

producción, los establos eventualmente por la urbanización,

producto del constante fenómeno de migración del campo a las

ciudades, venden sus ranchos como terrenos urbanos, para el

desarrollo de las grandes metrópolis, abandonando la actividad. El

equilibrio económico es por lo tanto, de baja rentabilidad, debido al

precio de la leche, para sobrevivir, se mantienen por las enormes

cuotas de producción, dependientes de forrajes de corte y

concentrados lo que les crea una deuda impagable a los

proveedores, lo que ha reducido la calidad de la leche, de la carne y

el número de ganaderos en el campo mexicano. Los grandes

productores no abandonan el negocio porque no encuentran quién

Page 79: Il modello latte nobile

77

les compre mil o más vacas, se mantienen con múltiples deudas y a

su vez con aparentemente muchos ingresos, sin embargo los

márgenes de ganancia se reducen por los altísimos costos de la

alimentación. Y así nos han empujado hacia el monocultivo

principalmente de alfalfa, con altas cuotas de subproductos y

suplementos, en detrimento de las praderas y la biodiversidad

florística. Paradoja cuando la nueva ecologización a nivel global,

busca el mantenimiento de la biodiversidad (Rubino, 2014).

Nuestros Gobiernos, incluyendo el Mexicano pregona que debemos

producir “amigablemente con cuidado de los animales y el medio

ambiente” sin dar herramientas por lo que los condena por la vía de

costos de producción y precios de la leche, a su extinción. Es

curioso observar que en la Italia meridional y en México, países

distantes con economías distintas, los problemas de los pequeños

productores en el campo son muy similares.

El pequeño ganadero, no es solamente en nuestra apreciación un

ser económico, es un ente social, el abandono del campo

incrementa la inseguridad, afecta las vías de comunicación,

disminuye la mano de obra de los campesinos, que se van en la

obligación de migrar hacia el extranjero o hacia las grandes urbes en

busca de trabajo. La mayor parte de las fuentes de trabajo en el

campo en México la genera los pequeños ganaderos, siendo en

muchas ocasiones mano de obra familiar.

Antecedentes de la calidad de la leche de pastoreo

en México

Se han realizado por el presente grupo de trabajo una serie de

investigaciones sobre la calidad nutricional de la leche en México,

que nos han permitido certificar las bondades del pastoreo tanto en

vacas, como en cabras y recientemente en borregas (Galina et al.,

2012; 2013). Un contenido mínimo de ácidos grasos saturados

(AGS) se observó en la leche procedente de los animales en

pastoreo, contrastado con una presencia significativa de AGS en

leche de animales en estabulación (Galina et al., 2012; 2013; 2014).

Recientemente ha sido probado en la literatura que un menor

Page 80: Il modello latte nobile

contenido de AGS favorece la salud humana, debido a su papel en

las enfermedades coronarias (Pfeuffer., Schrezenmeir., 2000). Los

resultados de nuestro equipo de investigación en México, permiten

suponer que el sistema de alimentación, en general, y en particular

el pastoreo libre, en un ambiente silvopastoril, permite que cada

vaca como individuo, componer una dieta de acuerdo a sus propias

necesidades, que tienen un efecto positivo sobre el aroma, sabor y

características nutricionales de la leche (Galina et al., 2012; 2013).

Un resultado interesante fue que se demostró un mayor contenido

de ácidos grasos trans, presentes en la leche de pastoreo. Hasta

hace poco un efecto negativo de los ácidos grasos trans en la salud

fueron considerados similares a los documentados para los ácidos

grasos saturados (Pedersen, 2001; Sicchiari, 2008). Los efectos

negativos de los ácidos grasos trans en patología coronaria y

citotoxicidad, se determinó a partir de observaciones de los ácidos

grasos hidrogenados producidos durante la manufactura de

alimentos industriales. Los trans derivados de los procesos de

biohidrogenación ruminal, como los producidos por el rumen, han

mostrado en cambio, efectos positivos sobre la salud humana

(Váradyová et al., 2008). Por lo tanto, a la luz de este conocimiento

relativamente novedosos, el papel de los ácidos grasos trans en el

sistema de alimentación de los rumiantes en pastoreo libre tienen

que ser revaluados en el marco de producir una “mejor” leche desde

el punto de vista de la salud del consumidor. Salud, que en México,

es una gran preocupación debido a que una parte significativa de la

población del 65% al 70% sufre de obesidad o sobrepeso (ENSNUT,

2014), que se traduce en las enfermedades crónico degenerativas,

particularmente los trastornos coronarios.

Nuestro primer paso en México, era certificar si la leche de pastoreo

tenía calidad similar a la reportada en numerosos estudios en

Europa, particularmente en Italia donde habían probado el nivel de

calidad de la leche y queso como la expresión de una serie de

moléculas aromáticas: terpenos, fenoles, flavonoides, antioxidantes,

vitaminas y ácidos grasos insaturados (Galina et al., 2007). Todos

estos componentes dependen esencialmente de la cantidad de

Page 81: Il modello latte nobile

79

pasto que el animal ingiere, y, aún más, el número de hierbas, ya

que, como hemos señalado en numerosos estudios, cada hierba

trae diferentes componentes de la leche. De hecho, la mayoría de

las hierbas son silvestres, denominadas genéricamente "malas

hierbas", esta complejidad es importante porque se refleja en una

leche “diferente”, de calidad superior, el consumidor poco a poco

empieza a diferenciar entre una leche de pastoreo y una de

estabulación, por su aroma y sabor.

Una primera premisa demostrada es que los sistemas de producción

ganaderos que se manejan en pastoreo, pueden impactar en forma

positiva en la salud de la población, produciendo leche, queso o

carne de mejor calidad nutricional para el consumidor (Galina et al.,

2019a; 2009b). Los alimentos de origen animal provenientes de

estos sistemas, pueden ser considerados como alimentos

funcionales y/o como fuente de compuestos nutracéuticos (Galina et

al., 2007; 2014). En segundo lugar ha sido ampliamente demostrado

en la literatura científica la insostenibilidad de los sistemas

productivos de estabulación con vacas productoras de 40 litros o

más por día, desde el punto de vista de calidad de la leche, o de

bienestar animal, para lograr una oferta de mayor calidad nutricional

a los consumidores, evitando paralelamente la destrucción y

degradación de los ecosistemas.

En trabajos previos se ha demostrado que los sistema

silvopastoriles son una alternativa biosostenible de producción que

permite una repoblación vegetal de gramíneas y leguminosas dentro

de un entorno biodiverso que contribuye a la protección y

mejoramiento del medio ambiente (Galina et al., 2012). Otra premisa

estudiada sería la producción orgánica, que ha surgido como

respuesta a la degradación del medio ambiente, para sostener los

sistemas hemos desarrollado una alternativa orgánica con formación

de proteína de los microorganismos ruminales y liberación de la

energía de los forrajes fibrosos, con sistemas de soporte, debido al

natural desbalance de energía de los sistemas silvopastoriles

producto de la alternancia de una producción abundante de biomasa

Page 82: Il modello latte nobile

forrajera en la época de lluvias, contrastada con la escasez de la

época de secas (Galina et al., 2009a; 2009b).

Otro mecanismo que pudiera contribuir a la producción de leche de

calidad sería la suplementación con probioticos de bacterias lácticas

(LAB). Esto se debe a su efecto sobre la biohidrogenación (BH)

ruminal, que se traduce en una saturación de los ácidos grasos no

saturados, abundantes en las plantas, para ello suplementamos con

LAB, que no BH, o lo hacen en menor volumen (Galina et al., 2012;

2013). Los resultados de biohidrogenación con LAB fueron similares

a los obtenidos en dietas suplementadas con ácidos orgánicos o

plantas con aceites (Váradyová et al., 2008) lo que permite suponer

que las bacterias lácticas es una forma de fermentación ruminal que

permite tener el mismo efecto, que se traduce en una mejor calidad

de la leche, (Galina et al., 2012). Para ello hemos realizado varias

observaciones comparando sistema de alimentación en estabulación

o pastoreo con o sin el uso de suplementos de bacterias lácticas.

Las diferencias significativas en el perfil de ácidos grasos benéficos

entre las leches de pastoreo con la adición de un suplemento de

bacterias lácticas comparados con la leche comercial, demuestra la

importancia de la biohidrogenación en el metabolismo ruminal, para

la calidad de la leche, en relación a la salud del consumidor, desde

luego los animales en sistema silvopastoril con suplementación de

promotores de la fermentación y probioticos, fueron las que

significativamente produjeron una leche de mejor calidad

comparadas con las de pastoreo sin probioticos o las de

estabulación con o sin probióticos, (Galina et al., 2013).

Otros factores como la presencia de flavonoides, antioxidantes y

ácidos aromáticos aumentan significativamente en pastoreo,

particularmente en sistemas silvopastoril. Cuando se habla de

calidad de la leche, la ordeñada de animales en pastoreo presenta

un contenido variado, pero en general más bajo en elementos como

el colesterol, porque proviene de un origen vegetal diverso

comparado con productos de animales en estabulación, contenido

que se podría sintetizar en:

Page 83: Il modello latte nobile

81

i) La Leche de animales en pastoreo tiene un contenido de

ácidos grasos no saturados mayor que el de animales en

estabulación. Los ácidos grasos saturados son los implicados en la

mayor parte de las enfermedades cardiovasculares asociados con la

obesidad, disminuyendo la concentración de alfa tocoferol en los

tejidos de los animales en pastoreo. La calidad de los productos

pecuarios, leche o carne es superior cuando los rumiantes son

manejados en pastoreo, superando significativamente a los

animales en estabulación (Sima et al., 2000; Rubino, 2002).

ii) El ácido linoleico conjugado que tiene propiedades

antitumorales, y anticolesterémicas, se encuentra solamente en

productos de origen animal, particularmente en la leche y carne de

animales en pastoreo, en concentraciones cuatro veces mayor que

en animales en estabulación. Se acumula particularmente en el

queso. (Rubino, 2002; Rubino et al., 2012).

iii) Siempre la leche de pastoreo contiene un nivel inferior de

colesterol y un nivel mayor de antioxidantes. Esto se traduce en una

capacidad antioxidante mayor, uno de los elementos probados

contra el crecimiento de tumores, acompañados de derivados del

alcohol como los monoterpenos que reducen la formación de células

tumorales (Cuchillo, 2005).

iv) El componente aromático es mucho más fuerte en la leche

de pastoreo.

Modelo de “Latte Nobile” en México

“Latte Nobile” México es un sistema de identificación de calidad de

producto de pastoreo que iniciamos en asociación con “Latte Nobile”

Italia, desarrollando un reglamento de acuerdo a los niveles de

producción y sistemas de manejo de praderas de nuestro país,

respetando los principios del reglamento italiano, pero sobretodo

tiene el objetivo de aumentar el valor de la leche de los ganaderos

en el proyecto, para incentivar la producción de leche y queso por

los productores de menos de 50 vacas. La pequeña ganadería en

México está en crisis “permanente” mientras los investigadores y

Page 84: Il modello latte nobile

técnicos no hemos sabido desarrollar alternativas para los

productores de leche y carne.

Alternativamente “Late Nobile” México es un proyecto que trabaja en

dos direcciones, aumentar el precio de la leche para los ganaderos y

ofertar un producto de alta calidad a los consumidores.

La leche en México se paga actualmente en relación con la calidad

que pide la industria, esta es sólo en función de cuatro parámetros,

proteínas, grasa, carga bacteriana y células somáticas, que no

tienen prácticamente ninguna relación con la calidad aromática y el

perfil nutricional de la leche. Numerosos estudios han demostrado

que estos parámetros no tienen relación con la complejidad

aromática y/o calidad de leche desde el punto de vista de contenido

de elementos benéficos para la salud (Rubino, 2014).

Estábamos convencidos de dos preceptos, primero era necesario

producir una leche de mayor calidad, producto de pequeños

ganaderos con menos de 50 vacas que tuvieran como base de

alimentación la pradera, preferentemente el sistema silvopastoril,

con el incentivo de agregar plusvalía a la leche de pastoreo,

segundo era necesario encontrar un grupo de ganaderos que

quisieran participar en el proyecto, ambas cosas las encontramos

con la Unión Ganadera de Colima y particularmente la Asociación

Ganadera de Cuauhtémoc en Colima que tiene a ganaderos que

producen leche en pradera. El incentivo con el que partimos es que

venderían su leche un peso mexicano más del que les pagaban los

acaparadores del lácteo.

El trabajo científico que lo probaba lo habíamos iniciado con el Dr.

Fernando Pérez Gil y la Dra. Claudia Delgadillo Puga del Instituto

Nacional de Ciencias Médicas y Nutrición Salvador Zubirán, Los

Dres Fernando Osnaya, Ma. de los Angeles Ortíz y Magdalena

Guerrero de la UNAM, el Dr. Jorge Pineda de la Universidad de

Colima y lo continuamos con el Dr. Pedro A. Vázquez Landaverde

Investigador el CICAT del Instituto Politécnico Nacional de

Querétaro en México, con ellos demostramos la calidad de la leche

de pastoreo en vacas y cabras era comparativamente similar al

observado en Italia.

Page 85: Il modello latte nobile

83

A los productores los invitamos a participar obteniendo el “Logo

Internacional de Latte Nobile” porque el poder pertenecer a un

proyecto internacional y aparecer en las páginas de internet de Italia

era un gran incentivo, para ello teníamos que certificar igualmente la

calidad del producto, para ello elaboramos un manual de

procedimientos que contenía una serie de reglas que garantizarán el

nivel de producción no mayor a 5 mil litros y el sistema de

alimentación 80% en pradera. La certificación mediante el logo

¨Latte Nobile¨se otorga por un año a los productores que reúnen los

requisitos de la reglamentación de ¨Latte Nobile¨México.

En una primera fase La Universidad de Colima y La Universidad

Nacional Autónoma de México mediante la Facultad de Estudios

Superiores Cuautitlán participaron en la elaboración del reglamento

mediante el Dr. Carlos Izquierdo y el Dr. Jorge Pineda de la

Universidad de Colima y la Dra Ma de los Angeles Ortíz, el Dr.

Fernando Osnaya y la Dra Magdalena Guerrero de la UNAM. La

UNAM y la U de C, son las dos instituciones que mediante sus

estudiantes certifican las unidades de producción como ¨Latte

Nobile¨.

Contamos por parte de la Asociación Ganadera de Cuauhtémoc,

pequeño municipio de Colima, México, con la entusiasta

participación del Dr. José María Rodríguez Preciado Presidente de

la Asociación y varios ganaderos, los problemas a resolver son

similares, a los discutidos por Roberto Rubino en Italia, por el

momento encontrar un mecanismo de embotellamiento de la leche

de los productores participantes o la elaboración de un queso que

garantice la calidad del producto.

El queso ya lo hemos elaborado y lo presentamos en Bra en Italia en

el 2012, tenemos ya una pequeña quesería en Colima y el proyecto

de embotellamiento estamos buscando fuentes de financiamiento en

la actualidad,

Para ello iniciamos un sistema de promoción y certificación de

calidad de producto, la certificación se llevará a cabo con el Dr.

Pedro Vázquez Landaverde investigador del CICATA perteneciente

a una de las instituciones más prestigiadas en México, el Instituto

Page 86: Il modello latte nobile

Politécnico Nacional. Los productores que reciben la certificación

Latte Nobile México tienen que tener sus instalaciones abiertas a los

certificadores que pueden tomar muestras de leche o queso en

cualquier momento y llevarlas al laboratorio, la certificación es anual.

Uno de los problemas fundamentales que hemos encontrado en

Latte Nobile México es la dispersión de productores que hasta el

momento ha dificultado el embotellamiento de leche para su venta y

certificación, el costo de transporte y la manutención de la cadena

de frío en los trópicos dificulta la empresa, una alternativa sería que

en México es tradicional la elaboración de quesos directamente en

la unidad de producción, con una pasteurización lenta 63°C por

media hora con cuajado con bacterias lácticas, por ello hemos

hecho una serie de investigaciones para garantizar la calidad y

persistencia del patrón de ácidos grasos particularmente omega 3

en los quesos elaborados bajo esas circunstancias en caprinos y

bovinos (Galina et al., 2007).

Buscamos con la banca de desarrollo (FIRA, FIRCO) nacional, los

organismos gubernamentales SAGARPA y SEDER y las

instituciones UNAM, IPN infraestructura y financiamiento para el

proyecto.

Otras Instituciones internacionales como Slow Food podrían jugar un

papel importante en la difusión de productos artesanales de calidad

nutricional permitiendo expandir a futuro el mercado de la “Latte

Nobile”. Podría colaborar financiando la participación de miembros

del proyecto en Ferias Nacionales, Cursos de capacitación,

Congresos y otros eventos, además de la difusión a través de la

infraestructura en México ya existente de Slow Food, para poder

presentar las bondades del proyecto.

Este es un pequeño resumen de un trabajo de varios años, que

inicia a dar frutos.

Proyecto financiado con fondos de PAPIIT IT202014 y Cátedra

PIAPIVC05 de la Universidad Nacional Autónoma de México y

de la FES-Cuautitlán UNAM.

Page 87: Il modello latte nobile

85

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Page 91: Il modello latte nobile

89

Il primo passo di una lunga marcia. Cadute,

riassestamenti, linee per il futuro

Gianfranco Nappi

Presidente de La Compagnia della Qualità

L’esigenza di un modello alternativo

L’esperienza del Latte Nobile, a saperle vedere, propone tante cose.

E davvero, ex post, si può apprezzare ancora di più tutto il valore

della ricerca e dell’impegno di Anfosc unito ad una dose importante

di coraggio.

La prima e più importante in termini di riflessione per la mia

sensibilità culturale è che un’alternativa al produttivismo applicato

all’agroalimentare, a questo ‘fordismo’ alimentare che ha piegato

tutto alla logica delle quantità prodotte è possibile ed è praticabile.

Se guardassimo solo all’esperienza del Latte Nobile sarebbe poca

cosa, certo.

Ma il Latte Nobile si inserisce a pieno titolo in un percorso di

sperimentazione e innovazione di processo e di prodotto che

traguardando pienamente il postfordismo potremmo dire supera

l’anonimato e riafferma la personalità.

Supera l’anonimato e la serialità di prodotti tutti uguali a se’ stessi,

senza gusto o con gusto aggiunto. Supera l’anonimato di processi

produttivi in campo agroalimentare in cui la chimica diventa più

importante della natura.

E restituisce un valore alla diversità, alla differenza : di origine, di

territorio, di alimentazione, di gusto, di cultura. Anzi, fa della

differenza un punto di forza, un plus per prodotti a cui restituisce

,insieme al lavoro in essi incorporato , un valore aggiuntivo fino a

prima sconosciuto. Costruisce ‘cittadinanza’ potremmo dire e non la

nega in una massa indistinta e uniformemente indirizzata.

Page 92: Il modello latte nobile

Insomma questo è uno dei terreni dove più esplicitamente si può

misurare quanto il cambio di paradigma produttivo, se agito con

coerenza e determinazione, possa avere effetti benefici per aree,

soggetti, produzioni che invece erano considerati, fino al perdurare

dei luccichii della modernità produttivistica, marginali, puri residui di

un passato finito, destinati ad essere superati.

Se non esagero la lezione che pure viene dal Latte Nobile, possiamo

prendere questa esperienza come pietra di paragone di questo

cambiamento che ha indicatori più vasti e articolati ma che qui mi

appare in un’evidenza solare.

In altri termini è di modelli di sviluppo che stiamo discutendo.

Stiamo lasciando, si spera, un modello di sviluppo che assorbiva

dentro le sue logiche e dentro le sue priorità tutto e tutto subordinava

ad esse: territori, vecchie produzioni e modalità produttive, settori

diversi.

E’ anche da questo modello che è nata una lettura del dualismo nello

sviluppo del paese per il quale c’è un Nord che tira ed un Sud che

segue e che è in ritardo esattamente perché non riesce a riprodurre

fino in fondo il modello del Nord. E dunque una lettura del “ritardo”

del Mezzogiorno come ‘ritardo’ nell’imitazione’ di un modello di

sviluppo altrui. Determinando in questo modo la stessa irresolubilità

della questione del Mezzogiorno: se il problema del Sud è sempre

quello di fare come altri fanno risulta evidente che il Sud sarà

sempre un passo indietro a quelli che ‘fanno’.

A me, produzioni di qualità, eccellenze agroalimentari, riscoperta

delle culture enogastronomiche e con esse crescere di un nuovo

appeal dei territori e delle comunità che le esprimono parlano di

questo nuovo paradigma in formazione. E dentro c’è un’attenzione

nuova per il valore del territorio, del paesaggio, per la sua bellezza, e

dunque per la sua conservazione dinamica, per la sua sicurezza. E

c’è un recupero di centralità per le mille storie dei borghi, le mille

Page 93: Il modello latte nobile

91

abilità, i mille saper fare, i mille prodotti, i mille modi di cucinarli, i

mille modi di raccontarli... tutto questo s’incontra con una domanda

del tutto moderna di qualità, di conoscenza, di senso persino, di

curiosità nei confronti del mondo che è l’effetto diretto di questo

stesso mondo più interconnesso, nel quale le informazioni si

scambiano su scala planetaria e le distanze pure si accorciano nel

quadro di una mobilità crescente. Solo a saper fare leva su tutto ciò,

ad organizzarla questa domanda, a veicolarla s’immagina cosa

potrebbe rappresentare per milioni di persone potenzialmente

desiderose di ‘imparare’ e fare esperienze nel paese più ricco del

mondo da questo punto di vista, l’Italia, e, se ci è consentito, in

questo Sud dove è nata la Dieta Mediterranea?

In un paesaggio di collina e di montagna segnato dallo

spopolamento, dalla chiusura di tutte le attività e da uno

scivolamento a valle drammatico, sotto forma di frane e disastri

ambientali, di tanta parte di territorio alto, i pascoli e gli allevamenti di

Latte Nobile possono rappresentare una delle vie per restituire

centralità a territori invece destinati appunto all’abbandono con

conseguenze sociali ed economiche che già oggi sono pesantissime.

Insomma, nel crescere di un’attenzione grande per il cibo, per la sua

qualità, per la sua produzione, di cui l’esperienza di Slow Food

rimane un riferimento imprescindibile e di valore assoluto, non ci

vedo il vagheggiamento di un bel tempo che fu, di un nostalgico

richiamo ad un mondo e ad un tempo che mai ci fu: il rapporto con la

terra sempre è stato espressione di crudi e duri rapporti di forza. Di

servaggio anche delle persone per tutta una fase. E poi di

dipendenza vitale legata al raccolto, alle condizioni atmosferiche e

poi, con l’industrialismo, è venuta la fase invece dello

sradicamento...

E bene ha fatto Roberto Rubino nel suo saggio iniziale a mettere in

luce quanto il modello produttivistico, continuiamo a chiamarlo così

per sintesi di ragionamento, abbia inciso nel profondo nella

coscienza degli stessi allevatori che in alcuni casi, pur lamentandosi,

Page 94: Il modello latte nobile

preferiscono rimanere ‘prigionieri’ dei vecchi rapporti nei quali

centrale è la figura del mediatore...

Di tutto questo parla a noi l’esperienza del Latte Nobile. Un processo

produttivo la cui riflessione è maturata nel Sud del paese e che

diventa ora, con il concorso di tante e qualificate esperienze ,

compiutamente nazionale.

Ma se il tema del Latte Nobile è quello di territori che si riappropriano

di temi e tempi produttivi di cui erano stati privati e che per questa

via danno corso ad elementi di uno sviluppo più solido, fondato su un

più alto livello di remunerazione e un più alto livello di dignità del

lavoro, risulta anche immediatamente evidente che siamo in

presenza di un modello replicabile ovunque nel mondo ci siano da

recuperare storie, culture, capacità di sviluppo radicate sul territorio:

in questo senso davvero il suo è un valore più generale.

Io penso che ci sia una ‘politicità’ profonda in questa esperienza. Ci

siano messaggi e richieste per la politica. Proprio in questi anni di

crisi acuta, di caduta dell’economia reale, di ricerca di vie nuove per

lo sviluppo per le quali prevalentemente ci si ostina a battere strade

già note e inconcludenti, troviamo su questo terreno indicazioni

importanti. Esse reclamano e sollecitano un orientamento del

"pubblico", delle sue ‘politiche’ capace di investire su questa

prospettiva, di assumerla come prioritaria per lo sviluppo del paese,

un paese che abbia voglia di puntare sulla emersione delle sue mille

energie positive, aiutandole a mettersi in rete e ad acquisire quella

forza capace di parlare al mondo intero.

L’esperienza de La Compagnia della Qualità Quando cominciammo circa quattro anni fa a lavorare con il Latte

Nobile sicuramente non avevamo chiare tutte queste implicazioni.

Sentivamo però che c’era molto di nuovo e di corrispondente a

domande attualissime.

E così, anche con l’orgoglio di chi ama la propria terra, ci siamo

buttati a capofitto nel promuovere e organizzare la

Page 95: Il modello latte nobile

93

commercializzazione del latte imbustato e poi a far nascere una linea

completa di latticini e formaggi derivati.

Partendo dal lavoro primario degli allevatori, con la capacità di

comunicare contenuti nuovi che veniva dall’Anfosc e dal suo lavoro

di ricerca che ha incrociato del resto via via tante Università, e con la

spinta decisiva che è venuta dalle scelte di Slow Food, abbiamo dato

corso ad un lavoro di costruzione quotidiana di una rete

commerciale ex-novo che oggi serve in Campania oltre 200 punti

vendita con la sua gamma di prodotti a Latte Nobile: una piccola

cosa, certo. Ma concreta e vitale.

Ed oggi, questa realtà pensa ad una sua espansione: nascono i

formaggi e latticini nobili fatti ad Agerola e secondo la tradizione

casearia agerolina, realizzati con ICLA Agerolatte. Agerola è famosa

per il suo fior di latte, per il Provolone del Monaco.

E’ stato siglato un accordo con l’importante, coraggiosa e nuova

esperienza di Eccellenze Campane che porta a produrre

direttamente lì una quota dei prodotti agerolini nobili.

In accordo con una delle più importanti e storiche cioccolaterie

napoletane, Gay Odin, si sta andando alla produzione di gelati nobili.

E proprio in accordo con pasticcieri e gelatai si sta lavorando ad un

appuntamento sui dolci e sui gelati fatti a latte nobile che coinvolge

direttamente anche gli Istituti Alberghieri del territorio.

In intesa con un altro appartenente alla Comunità in crescita del

Latte Nobile, la Fattoria la Frisona a Segni nel Lazio, si va alla

produzione di yogurt e panna nobili.

I nostri stessi locali di ristorazione, ne gestiamo uno nel centro

storico di Napoli, la Taverna a Santa Chiara, ed uno nel centro antico

di Castellabate, in Cilento, il Chiostro, sono diventati luoghi di

racconto e degustazione del Latte Nobile. E il riscontro è stato così

significativo che abbiamo deciso di trasformare il nostro locale di

Page 96: Il modello latte nobile

Napoli nel primo Ristorante-Latteria-Sala degustazione interamente

dedicato a tutta la gamma dei prodotti a Latte Nobile. Senza

rinunciare al meglio della tradizione culinaria e pasticcera

napoletana... preparate uno zito spezzato a mano con il ragù

napoletano e fuscella nobile (la sorella... nobile della ricotta proprio

perché fatta direttamente dal latte), e vedrete che intensità e

delicatezza di sapori... oppure preparate una crema pasticcera con

latte nobile...

Quattro anni in salita e in crescita nei quali si è rafforzata la

collaborazione con imprese già operanti nel settore del Latte, come

la Vallepiana di Eboli. E quattro anni nei quali si è dovuto anche

contrastare quello che molto spesso uccide la capacità del Sud di

risollevarsi pienamente: le furbizie, l’idea che ‘fregando’ chi ti è più

vicino cresci di più. Non nascondiamocelo, c’è stato già e ci sarà

ancor di più nel futuro il tentativo di comportamenti agli antipodi

rispetto allo spirito e alla lettera del progetto di inserirsi, di insinuarsi.

Occorrerà essere sempre vigili per sconfiggerli.

E’ anche per questo che abbiamo costruito un modello contrattuale

che prevede il rapporto diretto con i singoli allevatori a cui si chiede

di stare sul livello di qualità del disciplinare; nei cui confronti ci si

impegna ad un miglioramento di prezzo in presenza del

raggiungimento dei nuovi standard di qualità che Anfosc via via

delineerà; a cui si riconosce, per quello che vale oggi, un prezzo di

0.60 euro a litro + iva e senza alcun gravame per i costi di trasporto

nel raggio di 200 chilometri dal nostro centro di trasformazione.

Nasce la SILN

Oggi siamo ad un cambio di fase. Ad un passaggio. Da esperienza

sostanzialmente ‘locale’, il Latte Nobile diventa compiutamente

nazionale. Sicilia, Lazio, Molise, Piemonte sono partiti e sono in

procinto di farlo, in Veneto, in Emilia Romagna in Friuli se ne sta

discutendo concretamente.

In questo cambio di passo c’era bisogno anche di una capacità di

gestione del progetto, non nelle sue chiavi culturali e scientifiche

Page 97: Il modello latte nobile

95

perché lì il tutto è in ottime mani, ma proprio in chiave commerciale e

di valorizzazione piena del marchio. Un marchio che a breve

‘parlerà’: si sta implementando, infatti, il progetto di realtà aumentata

che consentirà, oltre l’esperienza del QRCode, ad ogni etichetta di

ciascun prodotto a Latte Nobile di raccontare direttamente, tramite lo

smartphone, la sua storia.

Ed anche qui, per impulso sempre dei nostri noti di Anfosc (quanto

possa la determinazione di un gruppo seppur piccolo nel perseguire

un obiettivo giusto in termini di risultati è davvero sorprendente...), è

stata sollecitata la creazione di un nuovo soggetto, la Società Italiana

del Latte Nobile, nata in queste settimane, a cui è stata affidata la

gestione del marchio Latte Nobile e la sua valorizzazione

commerciale.

E la SILN è costituita proprio da alcuni dei protagonisti del percorso

sin dai suoi inizi.

La SILN dovrà dare vita alla Comunità del Latte Nobile, qualcosa di

più di un semplice Consorzio di tutela.

L’idea è quella di far vivere alcune regole semplici che facciano

crescere la filiera tenendola al riparo di ogni intento rapace; di

realizzare una strategia comune e integrata di comunicazione che

sostenga lo sforzo dei singoli produttori in ogni parte del paese

collocati; di costruire la rete nazionale di commercializzazione del

Latte Nobile e dei suoi derivati, fino a costituire un vero e proprio

Paniere Nobile con tutti i prodotti italiani così realizzati

promuovendone la commercializzazione sia a livello nazionale sia

all’estero; di offrire un supporto ai singoli produttori in termini di

servizio e di logistica; di produrre anche direttamente per le aree

dove nasce la domanda di mercato ma non è ancora presente

l’offerta produttiva. Il tutto a partire da un’idea base: esaltare il

presupposto di fondo del progetto, non un grande operatore che

ingloba tutti i soggetti e i ‘piccoli’ in modo particolare, ma una forte

rete all’interno della filiera per fare in modo che l’insieme dei ‘piccoli’

Page 98: Il modello latte nobile

si muova e ragioni con un’ambizione grande sollecitando di continuo

nuovi protagonismi.

La sfida continua.

Forse sta partendo l’esperimento più bello ... Proprio in queste ore sta muovendo un’esperienza che nasce

sempre dall’incrocio di capacità di ricerca e conoscenza in rapporto

diretto con i produttori e disponibilità a investire in nuovi progetti da

parte di un soggetto che opera sul mercato.

Sta nascendo la nostra sfida alla Terra dei Fuochi, perché non è

giusto che una Terra come quella di Lavoro sia penalizzata

ulteriormente.

Ovviamente qui non c’è da chiudere gli occhi di fronte a niente: la

camorra, in associazione con poteri locali spesso infiltrati e con la

partecipazione a distanza di imprese del Nord in cerca di risparmi

facili nello smaltimento dei propri rifiuti, ha devastato un pezzo di

territorio della provincia di Caserta. Un fazzoletto di territorio rispetto

alla vastità della provincia. Non cambia la gravità del fatto fosse stato

anche un solo metro quadro. Il tutto poi si ritrova aggravato da un

male antico dei meridionali: lo scarso amore per tutto ciò che non è

privato o proprio ed è invece pubblico. Laddove invece per quello

che è ‘fuori’, che è poi lo spazio dove lavoriamo, passeggiamo,

giocano i nostri figli, dovremmo coltivare la stessa religiosa cura che

dedichiamo alle nostre case, perché quello ‘pubblico’ di spazio è

‘nostro’ quanto la nostra casa, e più, e dovremmo essere noi i primi

a tutelarlo in quanto nostro spazio di vita... Ma qui il discorso ci

porterebbe lontano...

Ebbene a Caserta, nasce uno dei nostri prodotti a più alto grado di

riconoscibilità nel mondo : la Mozzarella di bufala. Ovviamente l’altro

polo produttivo parimenti importante è nella piana del Sele.

Ma è qui che il contraccolpo è stato forte.

Page 99: Il modello latte nobile

97

Ed è proprio da qui, da Caserta, che nasce il progetto della prima

Mozzarella di Bufala Nobile, prodotta cioè applicando il disciplinare

del Latte Nobile adattato alle Bufale. E di questa mozzarella si saprà

tutto : il terreno dove hanno pascolato le bufale, le sue caratteristiche

ambientali, le caratteristiche delle erbe e dei fieni che le hanno

alimentate, il trasformatore e i processi di qualità che adotta. Tutto.

Anche questo è il segno di un processo che va avanti e ci fa piacere

farlo proprio qui, in questa terra così carica di storia e di cultura che

deve trovare la forza di recuperare una dimensione di futuro.

Page 100: Il modello latte nobile

Storia breve di un percorso annunciato

Il determinante ruolo della Regione Campania

Adriano Gallevi

ANFoSC Se, in un tempo relativamente breve, il modello Nobilat è riuscito ad

assumere l’importanza attuale, molto lo si deve alle disponibilità

finanziarie che è stato possibile attingere dalla Regione Campania.

La scintilla che ha innescato il corto circuito è partita nel 2010 da una

telefonata tra il Presidente Anfosc e la Dirigente dell’allora Sesirca,

dr.sa Mariella Passari e poi da un colloquio con l’allora Assessore

all’Agricoltura dr. Nappi, ai quali Rubino espose le sue tesi in tema di

cosa dovesse intendersi per qualità del latte e di come fosse

possibile ottenerla. Il messaggio fu immediatamente recepito ed al

primo bando della Misura 124 HC l’Anfosc, in qualità di Capofila,

presentò il suo Progetto, denominato Nobilat, che aveva, come

protagonisti, 6 allevatori di Castelpagano, 2 trasformatori, il

Consorzio di allevatori di Castelpagano, Slow Food Campania e, in

qualità di Ente scientifico, il Corfilac di Ragusa.

Il Progetto fu valutato positivamente e risultò primo con 85 punti del

lotto dei progetti presentati. La dotazione finanziaria iniziale è stata di

circa 750 mila euro ed il Progetto prevedeva azioni di Campo presso

gli allevatori con interventi volti a migliorare sia le attrezzature di

gestione dell’allevamento che di miglioramento delle tecniche

foraggere con impianto di erbai e prati polifiti; azioni di Laboratorio,

totalmente affidate al Corfilac, per l’esame diagnostico del latte e dei

foraggi tesi alla ricerca, man mano che procedevano le azioni di

miglioramento in Campo e presso gli allevamenti, dei parametri che

permettessero al latte, secondo il Disciplinare varato, di essere

qualificato come Nobile; tali parametri venivano poi ricercati anche

sui prodotti della trasformazione del latte conseguiti dai due

trasformatori i quali avevano anche il compito, attraverso esperti

casari messi a loro disposizione dal Progetto, di ricercare anche

Page 101: Il modello latte nobile

99

prodotti innovativi a più elevato valore aggiunto come yogurt, creme

spalmabili, ecc. A tal fine, il Progetto ha reso anche possibile che

venisse studiato un prototipo, il “Mininobilat” che, dopo un travagliato

lavoro di messa a punto, ha di recente iniziato a funzionare.

Gran parte del budget di Progetto faceva capo alle attività di

Diffusione e Divulgazione dei risultati, completamente affidate a

Slow Food Campania e all’Anfosc la quale, peraltro, era anche

impegnata nell’attività di Assistenza Tecnica presso gli allevatori e

nel lavoro di raccordo e sintesi delle attività svolte dagli altri partner.

L’intenso e produttivo lavoro svolto da questi due partner, possiamo

dire che è stato il vero motore che ha consentito di far arrivare la

conoscenza del metodo Nobilat ad una vasta e variegata platea di

persone, come in altra parte del libro è descritto. Complessivamente

l’Anfosc ha compiuto più di 400 gg di missioni su e giù per la

Campania ed il resto d’Italia al fine di presentare il metodo Nobilat a

consumatori, studiosi ed esperti del settore, attraverso riunioni,

convegni scientifici, laboratori, partecipazioni a fiere e mostre, ecc. In

questo ultimo scorcio di anno l’attività si è vieppiù intensificata in

quanto il lavoro propedeutico di Divulgazione ha cominciato a

produrre effetti concreti presso gli allevatori, uno degli obiettivi

primari del Progetto, per cui ora non esiste più il solo latte Nobile

Campano ma vi è quello Piemontese, Molisano, Laziale e dal latte

vaccino siamo ora passati anche a quello bufalino. Anche in questo

settore, il Progetto ha reso possibile, accanto al funzionamento del

sito www.lattenobile.it , anche lo studio e la messa a punto della

Realtà Aumentata, attraverso la quale ogni prodotto a marchio Latte

Nobile potrà raccontare, avvicinando un tablet o uno smartphone,

oltre la filosofia di fondo del prodotto, anche la storia di chi e come lo

produce.

Dal canto suo, Slow Food Campania con il suo budget destinato alla

Divulgazione, ha dapprima creato il Presidio del Latte Nobile e,

quindi, attraverso i suoi laboratori e le attività delle Condotte, ha

contribuito significativamente alla diffusione del prodotto fra i

consumatori. La sintesi di tutto questo lavoro l’avremo al Salone del

Gusto di Torino, quando tutti i protagonisti di questo esaltante e

Page 102: Il modello latte nobile

corale lavoro, italiani ed stranieri, presenteranno i risultati raggiunti e

le prospettive future.

Durante tutto questo percorso, iniziato il 21 gennaio 2011 e che

terminerà il 22 novembre 2015, l’Assessorato all’Agricoltura della

Regione Campania, attraverso la sua qualificata Struttura tecnico-

amministrativa, ed anche l’INEA, non ci hanno mai fatto mancare il

loro appoggio aiutandoci a muoverci tra leggi e regolamenti che,

molte volte loro malgrado, appesantiscono non poco il lavoro di chi è

abituato, come l’Anfosc, a guardare più alla sostanza che alla forma.

Pensiamo e speriamo, però, che l’andamento di questa esperienza

possa essere servita perché, già nella prossima programmazione

che inizierà il primo gennaio 2015, alcuni punti del Regolamento più

intransigenti e che molte volte frenano l’azione, vengano riadattati

alla realtà con la quale ognuno di noi operatori deve fare i conti.

Page 103: Il modello latte nobile

101

Parte Seconda

I risultati della ricerca

Page 104: Il modello latte nobile
Page 105: Il modello latte nobile

103

Il Latte Nobile strumento per migliorare la

competitività delle aziende agricole

dell’Appenino Campano.

S. La Terra1, G. Campisi

1, L. Corallo

1, A. Di Falco

1, G. Farina

1, G.

Giurdanella1, C. Guardiano

1, M. Ottaviano

1, G. Azzaro

1, G.

Licitra2.

1Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia, Regione Siciliana.

2 DISPA, Università degli Studi di Catania.

Il progetto “Un nuovo modello per rivitalizzare la filiera del latte

bovino-NOBILAT”, supportato dalla Regione Campania ha avuto

come scopo la caratterizzazione del latte “Nobile” dell’Appennino

Campano. In questo capitolo vengono riassunti i risultati relativi alle

attività svolte nelle aziende oggetto di studio che sono state

monitorate per l’intera filiera, dal management aziendale,

all’alimentazione animale ed alla qualità del latte prodotto, mediante

formulazione e applicazione di piani agronomici ed alimentari ad hoc,

analisi fisico-chimiche, aromatiche e microbiologiche del latte, per

tutta la durata (2012-2014) del progetto. Sono stati effettuati controlli

sulla filiera produttiva (tabella 1) al fine di migliorare il management

aziendale e di monitorare i punti critici su cui effettuare eventuali

azioni correttive.

Page 106: Il modello latte nobile

Tabella 1: controlli effettuati nella filiera

Materiali e metodi

Analisi foraggi

Analisi foraggi con Foss XDS near-infrared acquisendo gli

spettri tra 400 e 2498 nm;

Sostanza secca 103°C (ISO 6496: 1999);

Fibra insolubile in detergente neutro – NDF;

Fibra insolubile in detergente acido – ADF;

Lignina – ADL;

Analisi latte con MilkoScan™

Grasso;

Proteine (TN);

Analisi latte con Fossamatic

Cellule somatiche;

Analisi microbiologiche latte

Staphylococcus aureus;

Escherichia coli AOAC 991.14 (2010);

S. aureus UNI EN ISO/TS 6888-2: 2004;

Analisi microbiologiche con BAX

E. coli O157:H7;

L. monocytogenes;

Salmonellae spp.

Filiera Produttiva Controlli di Filiera

Allevamento e Qualità Latte

1 - Body Condition Score (BCS)

2 - Controllo impianto di mungitura misurazione del numero delle pulsazioni

utilizzo di un prodotto schiumogeno pre-dipping

corretta applicazione del gruppo di mungitura

applicazione del post-dipping

4 - Cellule somatiche individuali controllo mediante prelievi individuali

5 - Modello epidemiologico individuazione vacche subcliniche e croniche

Alimentazione

6 - Qualità foraggi: anticipazione sfalcioCampionamento e valutazione foraggi in azienda

7 - Verifica razionamento modello CNCPS (CPM-Dairy V. 3.10)

3 - Fase di mungitura

Page 107: Il modello latte nobile

105

Risultati e discussione La figura 1 riporta i valori medi di proteina grezza rilevati nei fieni. I

campioni presentano un tenore proteico medio compreso tra 4.68 e

10,95 %. I valori più bassi sono correlabili ai campioni con un più alto

contenuto di NDF (> 60 %). Valori proteici più elevati sono stati

registrati nei campioni appartenenti alle aziende B ed H, indicando

una migliore qualità del foraggio di partenza e presumibili buone

condizioni di raccolta e di conservazione. In generale, i risultati

ottenuti sono in linea con valori di medio/alta qualità dei fieni.

Figura 1: Valore medio proteine grezze

La figura 2 riporta i risultati delle frazioni fibrose, NDF, ADF e ADL,

rilevati nei campioni di fieno. I valori di NDF sono risultati pari o

maggiori del 60 % SS in 5 aziende, questo probabilmente è dovuto

ad uno sfalcio più tardivo dei foraggi da destinarsi alla fienagione che

consente di massimizzarne le rese. Le aziende E e L hanno

mostrato valori più bassi di NDF (53,31 e 50,07 %). Simili

considerazioni vanno fatte per le frazioni ADF e ADL.

Proteine % SS

6,76

10,95

4,68

7,188,12

9,03

7,30

A B D E G H L

Page 108: Il modello latte nobile

Figura 2. Valori medi NDF, ADF e ADL % SS

I campioni di latte di tutte le aziende monitorate durante il periodo di

studio hanno mostrato valori medi di grasso, proteine equiparabili a

quelli riferiti al latte di buona qualità (tabella 2).

Tabella 2: valori medi grasso, proteine campioni di latte

Il controllo del management di tutte le aziende ha migliorato le

condizioni igenico-sanitario del latte presentando valori di cellule

somatiche nei limiti consentiti dalla legge.

La determinazione dei patogeni Stafilococcus aureus, Salmonella,

Listeria monocytogenes ed E. coli O157:H7, hanno permesso di

63,38

50,07

60,0862,46 62,00

53,31

60,76

38,61

32,29

37,6639,81

37,9434,75

37,81

6,80 6,82 5,907,38 6,86 6,47 6,65

A B D E G H L

NDF % SS ADF % SS ADL % SS

Aziende grasso% proteine% cellule*1000

A 3,45 3,26 542

B 4,1 2,5 558

C 3,87 3,40 938

D 3,73 3,47 149

E 4,19 3,22 546

F 3,65 3,29 957

G 4,13 3,53 527

H 3,79 2,49 179

I 4,1 3,37 198

L 3,25 3,23 322

Page 109: Il modello latte nobile

107

rilevare la buona qualità microbiologica del latte Nobile di tutte le

aziende sottoposte a monitoraggio: Stafilococcus aureus è risultato

essere inferiore a 1 (UFC/ml); Salmonella, Listeria monocytogenes

ed E. coli O157:H7 assenti (UFC/25 ml).

Conclusione Le indagini effettuate sul latte Nobile hanno permesso di valutare la

qualità dei foraggi impiegati negli allevamenti e dei campioni di latte

dal punto di vista nutrizionale e microbiologico. I mangimi e i foraggi

impiegati nell’alimentazione animale sono risultati di buona qualità, i

campioni di latte hanno mostrato valori di grasso, proteine molto

simili tra loro nei differenti prelievi mensili. Dal punto di vista igienico-

sanitario si è visto che tutte le aziende sono rientrate nei limiti

consentiti dalla legge.

In conclusione possiamo affermare che il controllo di filiera e le

azioni correttive applicate al management aziendale hanno

permesso il miglioramento dello stato di benessere animale e della

qualità finale del latte.

Page 110: Il modello latte nobile

Componenti salutistiche e aromatiche

del Latte Nobile dell’Appennino Campano

S. La Terra1, V. M. Marino

1, T. Rapisarda

1, G. Belvedere

1, F. La

Terra1, S. Carpino

1, G. Licitra

2.

1Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia, Regione Siciliana.

2 DISPA, Università degli Studi di Catania.

Il latte è considerato un alimento funzionale perché, oltre a

possedere un elevato valore nutrizionale, contiene sostanze con

proprietà benefiche per la salute umana. Tra queste ultime troviamo

acido coniugato linoleico (CLA) gli omega 3 e gli omega 6 e le

vitamine liposolubili (tocoferoli, vitamina A e il suo precursore beta-

carotene). L’alimentazione dei ruminanti svolge un ruolo importante

sulla produzione quali-quantitativa del latte influenzando fortemente

le caratteristiche chimico-fisiche, organolettiche e salutistiche dei

prodotti lattiero caseari, che ne derivano. In questo capitolo si

focalizza l’attenzione sulle proprietà salutistiche del latte Nobile

illustrando sia i risultati relativi al rapporto omega 6/omega 3, al

contenuto di CLA, alle vitamine, agli antiossidanti ed un confronto tra

latte Nobile ed Alta Qualità Campano (sia crudo che pastorizzato).

Materiali e metodi Determinazione degli acidi grassi PUFA e CLA.

Per l'estrazione degli acidi grassi polinsaturi (PUFA) e del CLA dal

latte è stata utilizzata la metodica descritta da Banni et al. (1996).

Determinazione delle vitamine liposolubili.

L’estrazione del β-carotene è stata eseguita in accordo al protocollo

di Palozza and Krinsky (1992). L’estrazione dell’alfa tocoferolo

(vitamina E) è stata eseguita in accordo al protocollo di Palozza and

Krinsky (1992) modificato da Marino et al. (2010).

Page 111: Il modello latte nobile

109

Determinazione sostanze volatile: Smart Nose GCO e GC massa

L’estrazione delle componenti volatili con SmartNose è stata

effettuata come riportato in Rapisarda et al., 2013. L’analisi delle

profilo volatile è stata effettuata mediante gas cromatografia

olfattometrica e spettrometria di massa, previa estrazione delle

componenti volatili con odore attivo (OACs) mediante distillazione in

corrente di vapore come riportato in Rapisarda et al. 2014.

Latte Nobile verso Alta Qualità

Nel valutare la qualità del latte oggetto di studio si è voluto

analizzare la qualità di origine e l’influenza dei trattamenti termici.

Sono stati, quindi, messi a confronto campioni di latte crudo

destinato all’Alta Qualità, latte Alta Qualità, latte Nobile crudo e

pastorizzato.

Risultati e discussione

Latte Nobile – 6/3. Nella tabella 1 sono riportati i valori medi di

omega 6/omega 3 dei campioni di latte di massa prelevati, nelle

aziende oggetto di studio, durante il periodo sperimentale (2012 al

2014). Dall’osservazione dei dati possiamo affermare che il rapporto

6/3 per le singole aziende ha subito un’evoluzione positiva

durante gli anni del progetto rientrando nel limite raccomandato dalla

FAO/WHO (1994) inferiore a 5.

Page 112: Il modello latte nobile

Tabella 1: valori medi di 6/3 dal 2012 al 2014

6/3

Aziende 2012 2013 2014

A 5,2 4,4 2,8

B 7,0 5,0 3,1

D 6,0 5,0 3,2

F 4,7 8,3 2,4

G 4,0 3,6 3,5

H 4,0 4,0 3,0

I 4,0 4,4 4,2

L 5,1 4,8 2,7

Latte Nobile - Vitamine e PUFA

Nei campioni di latte analizzato i livelli di -carotene e -tocoferolo

(Figure 1 e 2) hanno mostrato un andamento stagionale con picchi

nel mese di Aprile.

Figura 1: andamento beta carotene nei campioni di latte (2013)

beta-carotene

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

dicembre gennaio aprile maggio

mg/

L

Page 113: Il modello latte nobile

111

Figura 2: andamento alfa tocoferolo nei campioni di latte (2013)

Parallelamente alle vitamine liposolubili, anche i livelli dei precursori

degli omega 3 e 6 (18:3 e 18:2, rispettivamente ) e dell’isomero 9,11

del CLA (Figura 3) variano durante l’anno con un picco nel mese di

Aprile.

Figura 3: andamento di PUFA e CLA nei campioni di latte (2013)

La concentrazione di molecole nutraceutiche dipende infatti da

diversi fattori come la specie, la stagione, l’alimentazione. Questi dati

confermano, anche in accordo con quanto riportato in letteratura,

alfa-tocoferolo

0

0.4

0.8

1.2

dicembre gennaio aprile maggio

mg/

L

Andamento dei PUFA nel latte

0

1

2

3

4

Gennaio Aprile Maggio Giugno Settembre Ottobre

g/1

00

g d

i g

rass

o

n3 18:3

n6 18:2

9,11 CLA

Page 114: Il modello latte nobile

che la tipologia e la qualità del foraggio influenzano la qualità

nutrizionale del latte. Il pascolo fresco disponibile soprattutto in

primavera arricchisce il latte di queste vitamine liposolubili di CLA

incidendo su un basso rapporto (2:1), principalmente attribuibile a

una maggiore presenza nel foraggio di acido alfa-linolenico (18:3).

Latte Nobile – GCO e GC Massa e SmartNose

L’analisi olfattometrica e di spettrometria di massa effettuate su

campioni di latte Nobile prelevato dalle diverse aziende oggetto di

studio hanno permesso di identificare molecole con odore attivo

appartenenti alle seguenti classi chimiche: acidi grassi, alcoli, aldeidi,

chetoni, esteri, idrocarburi, pirazine, pirroli, sulfurei, terpeni e tiazoli.

In tabella 2 sono riportati i risultati.

Page 115: Il modello latte nobile

113

Tabella 2: componenti volatili con odore attivo campioni di latte prelevati

Nei campioni di latte oggetto di studio sono state identificate

specifiche classi chimiche volatili la cui presenza può essere

imputabile alla dieta animale. E’ il caso ad esempio delle aldeidi e

nello specifico il decadienale la cui origine è dovuta al processo di

ossidazione degli acidi grassi insaturi presenti nelle piante. La classe

chimica dei terpeni, la cui presenza è stata rilevante nei campioni

analizzati, deriva dai processi metabolici secondari. Come

Compound Chem Class Odour perception LRIa

Identb A B D E F G H I L M

butyric acid acid rancid 818 PI x x x x x

phenyl acetic acid acid soap,spicy 1267 PI x x

methyl-2-butenol alcohol herbaceous 779 PI x x

heptanol alcohol onion 926 PI x x

2-ethyl hexanol alcohol green 1032 PI,MS x

2-phenyl ethyl alcohol alcohol honey,floral 1116 PI x

2,6-nonadienol alcohol cucumber 1163 PI x x x

2-octenal aldehyde green 1061 PI x x

3,6-nonadienal aldehyde floral 1096 PI x

perilla aldehyde aldehyde spicy 1274 PI x

decadienal aldehyde rancid,fat 1322 PI x x

o-amino acetophenone aromatic hyd sweet 1313 PI x x

ethyl butyrate ester apple 798 PI x x x x x

butyl acetate ester pear 816 PI x x x x x x x x x x

ethyl methyl butyrate ester apple 848 PI x x x x

methyl-2-(methylthio)-acetate ester fried,potato 891 PI x x x x

ethyl isohexanoate ester fruity 967 PI x x

ethyl hexanoate ester honey,floral 1001 PI x

hydroxy pentanone ketone mushroom,earth 824 PI x x x x

octadienone ketone floral 980 PI x x

2-nonanone ketone hot milk 1104 PI x x

ethyl dimethyl pyrazine pyrazine potato 1087 PI x x

acetyl pyrroline pyrrole fried,nut 924 PI x x

propionyl pyrrole pyrrole roast 1026 PI x

dimethyl disulfide sulfur garlic 777 PI x x

mercapto pentanone sulfur onion 899 PI x x

thenylthiol sulfur sulfur 1077 PI x x

sulfurol sulfur garlic 1260 PI x

methylfuranthiol sulfut garlic 865 PI x x

limonene terpene floral 1035 PI x x x

(Z)-linalool oxide terpene soap,floral 1070 PI x x x x

(E)-rose-oxide terpene green 1132 PI x

(Z)-limonene oxide terpene citrus 1136 PI x x x x x

carveol terpene fresh 1198 PI x

linalool oxide terpene floral 1214 PI x x x x x x x

myrtenal terpene floral,spicy 1235 PI x

1,3-p-menthadien-7-ol terpene spicy 1292 PI x

acethyl thiazole thiazole green,earthy 1019 PI x

Totale 9 8 6 10 11 17 14 4 10 7a LRI, Linear Retention Index, capillary column HP-5.

b Identification: MS (Wiley library);

PI (Internet database:flavornet); ST (standard solution); * LRT calculated on the normal alkans RT

Page 116: Il modello latte nobile

dimostrato da precedenti studi, il profilo aromatico del latte è

influenzato dall’alimentazione animale. Le sostanze aromatiche

ingerite con la dieta possono infatti essere assorbite e trasferite

inalterate dal sangue all’apparato mammario e quindi al latte.

Latte Nobile verso Alta Qualità Campano - Vitamine e PUFA

In tabella 3 sono riportati i risultati delle analisi di due tipologie di

latte crudo e pastorizzato: latte Nobile e latte Alta Qualità Campano.

I valori analitici riguardano in particolare il contenuto nel latte di -

tocoferolo, -carotene, colesterolo e del rapporto 6/3.

Tabella 3: valori medi di -tocoferolo, -carotene, colesterolo e 6/3

I risultati mostrano che nel latte di Alta Qualità Campano l’alfa-

tocoferolo e il beta-carotene sono più alti nel latte pastorizzato

rispetto al crudo, mentre nel latte Nobile non c’è variazione tra crudo

e pastorizzato. Anche se i campioni di latte presentano valori molto

diversi in contenuto vitaminico e di colesterolo, il latte Nobile

presenta un rapporto 6/3 simile tra latte crudo e latte pastorizzato.

Il trattamento termico non ha avuto effetti sul rapporto 6 e 3

confermando i dati riportati in bibliografia. Il latte Nobile però mostra

un valore di 2.7 rispetto ai limiti raccomandati dalla FAO/WHO

(1994) di 5, di contro il latte campano di Alta Qualità sia crudo che

pastorizzato mostra un valore superiore al limite massimo

raccomandato. Il valore del rapporto 6/3, è un valore importante

e dimostra la qualità del latte Nobile, rappresenta l'equilibrio infatti di

questi due acidi grassi essenziali è importante per la prevenzione e il

trattamento di diverse patologie: l’eccessiva assunzione di -6 può

Tipologie latte -tocoferolo

(μg/100 g)

-carotene

(μg/100 g)

colesterolo

(mg/100 g)

6/ 3

Crudo destinato Alta Qualità

Campano 47.2 5.1 18.5 7.2

Alta Qualità Campano 52.0 5.7 20.8 7.1

Nobile crudo 28.6 2.1 15.3 2.6

Nobile pastorizzato 29.4 2.1 16.1 2.7

Page 117: Il modello latte nobile

115

compromettere la formazione degli -3 a partire da acido Linolenico

e viceversa.

Latte Nobile verso Alta Qualità Campano -SmartNose

Andando a valutare i risultati relativi alle componenti volatili ottenute

con l’analisi allo SmartNose possiamo osservare che una differenza

tra le componenti volatili dei campioni di latte analizzati (Figura 4) è

dovuta al processo di termizzazione (PC1 88,14%; PC2 10,13%) a

differenza di ciò che avevamo osservato per le componenti

salutistiche.

Figura 4. Score plot dei campioni di latte (AQ_C= Alta Qualità Campano (past =

pastorizzato).

Focalizzando poi l’attenzione sulle due tipologie di latte (Nobile e

Alta Qualità Campano), nel grafico si nota una vicinanza tra le due

tipologie di latte indicandone un’analoga composizione volatile. Tale

andamento è stato registrato sia nei campioni di latte crudo che

Nobile crudo

Page 118: Il modello latte nobile

pastorizzato. Questi risultati mostrano che in generale per quanto

riguarda le componenti aromatiche il latte Nobile ha un profilo simile

a quello del latte Alta Qualità Campano.

Conclusioni I dati presentati in questo capitolo, relativi al latte Nobile analizzato

sia sotto il profilo salustico che aromatico hanno mostrato un latte

qualitativamente buono soprattutto se si fa riferimento al rapporto

6/3 del latte Nobile che è molto al di sotto dei valori massimi

raccomandati dalla FAO/WHO (1994). I risultati relativi alle

componenti aromatiche del latte Nobile mostrano inoltre un latte

ricco di sostanze attribuibili alla dieta degli animali ed una

significativa similitudine al latte Alta qualità Campano per le sue

componenti volatili.

Page 119: Il modello latte nobile

117

Bibliografia

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Rapisarda, T., Pasta, C., Belvedere, G., Schadt, I., La Terra, F.,

Licitra, G., Carpino, S. 2013. Variability of volatile profiles in milk

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and cultivated Hyblean pasture. Anim. Feed Sci. And Tech. 191, 34-

96.

Page 120: Il modello latte nobile

Rapporto omega6/omega3 e GPA nel Latte

Nobile in Molise

Giampaolo Colavita, Carmela Amadoro, Rossella Mignogna

Università del Molise - Campobasso

Premesse

Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono anche acidi grassi

essenziali, in quanto il nostro organismo deve necessariamente

assumerli con la dieta. Quelli di maggiore interesse alimentare sono

gli omega-3 e gli omega-6, che differiscono tra di loro per la

posizione dell’ultimo (omega) doppio legame della catena. Nei primi,

che sono dei derivati dell’acido α-linolenico (18:3 - ω3), l’ultimo

doppio legame è in posizione 3, mentre nei secondi, derivati

dell’acido α-linoleico (18:2 - ω6), in posizione 6. Nel latte questi acidi

grassi non sono molto abbondanti rispetto ad altri alimenti.

Il nostro organismo è in grado di trasformare l’acido α-linoleico in

acido eicosapentanoico (EPA) ed in misura minore in acido

docosaesaenoico (DHA). Il primo è il principale precursore delle

prostaglandine della serie 3 (attività antiaggregante) e che insieme al

DHA ha un’azione protettiva contro l’arteriosclerosi e nella

prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Dal metabolismo degli omega-3 e degli omega-6 si formano

prostaglandine, trombossani, leucotrieni, eicosanoidi ed

endocannabinoidi, sostanze importanti nella stabilità delle membrane

cellulari, nella coagulazione del sangue, nella flogosi e nella

riparazione delle ferite.

Diversi studi epidemiologici e sperimentali suggeriscono che gli

omega-3 PUFA (Polyunsaturated fatty acids) possono espletare un

effetto favorevole nel controllo e nella prevenzione delle malattie

Page 121: Il modello latte nobile

119

cardiovascolari e dell’arteriotrombogenesi, riducendo il livello di

colesterolo LDL e aumentando quello HDL.

Importanza di un corretto rapporto omega-6:omega-3

Ci sono evidenze scientifiche che dimostrano come l’interazione tra

omega-6 e omega-3 nella dieta abbia dei riflessi sulle malattie

metaboliche tra cui l’obesità. Negli ultimi decenni nella nostra dieta

è incrementato il rapporto omega-6:omega-3, che è passato da 6:1

nel 1998, a 12:1 nel 2006, fino a valori, in alcune diete, di 17:1. Si è

visto che il largo utilizzo di oli vegetali porta ad una maggiore

assunzione di omega-6, così pure nel fastfood dove gli oli vegetali

sono frequentemente aggiunti alle preparazioni.

Una elevata assunzione di omega-6 favorisce i fattori della flogosi

derivanti dall’acido arachidonico, molto probabilmente l’omega-6 più

importante per le nostre difese contro le infezioni e in diversi

processi metabolici.

Una elevata assunzione di omega-6 comunque può contribuire allo

stato infiammatorio che caratterizza diverse delle malattie legate allo

stile di vita. L’acido arachidonico stimola la trasformazione degli

adipociti intervenendo nell’eziopatogenesi dell’obesità nei bambini.

Alcuni studi riportano elevati valori ematici di omega-6 e bassi livelli

di omega-3 nei bambini obesi,. Prove sperimentali sugli animali da

laboratorio hanno dimostrato che quando dopo la nascita i piccoli

assumono con la dieta omega-6 e omega-3 in rapporto 9:1,

frequentemente da adulti sviluppano obesità, pressione alta,

trigliceridi aumentati, insulina alta (Simpoulos, 2002).

Negli ultimi anni dati scientifici riportano lo stesso fenomeno nei

bambini. (Strandvik, 2011). Risulta , quindi, di grande interesse

produrre alimenti, e nello specifico latte e formaggi, che abbiano un

corretto rapporto omega-6:omega-3, aderendo in tal modo agli

orientamenti e al parere dell’Accademia della Nutrizione e Dietetica

(2014).

Page 122: Il modello latte nobile

Materiali e metodi Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto Aria di

Molise, inserito nel PSR Molise 2007/1013, Mis. 124, per lo sviluppo

di metodologie produttive tese alla produzione di un latte con elevate

proprietà salutistiche. Il progetto è stato svolto nell’azienda Di Vaira

di Petacciato (CB). Dopo una “ristrutturazione” del management

aziendale e la stabilizzazione dei fattori produttivi, si è proceduto al

prelievo (con cadenza mensile) di campioni di latte massale, nella

prima fase per ottenere dei dati baseline e successivamente

collezionare dei dati sperimentali inerenti il tenore in acidi grassi

polinsaturi essenziali, i composti antiossidanti ed il colesterolo.

Al fine di effettuare un’analisi comparativa, sono stati raccolti

campioni di latte di alta qualità in aziende da latte del Molise.

Determinazione della capacità antiossidante

idrosolubile con il metodo TEAC Il metodo TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity) selezionato

per la determinazione della capacità antiossidante totale è basato

sulla neutralizzazione del catione radicalico ABTS+, formato

dall’ossidazione di un cromoforo di origine sintetica, l’ABTS, dalla

forte capacità assorbente (700-750nm), in accordo con la reazione

ABTS – e-

=> ABTS

+. Il radicale è preparato a partire da una

reazione di ossidazione dell’ABTS con il persolfato di potassio. Il

radicale reagisce velocemente con un donatore di elettroni/ioni

idrogeno a formare l’ABTS incolore. Un aumento della

concentrazione di ABTS

è linearmente dipendente dalla

concentrazione degli antiossidanti, incluso il Trolox (6-hydroxy-

2,5,7,8,-tetramethylchromane-2-carboxylic acid), standard usato per

la calibrazione. I risultati finali sono espressi come nmoli di Trolox/g

campione.

Determinazione degli acidi grassi in latte e formaggio

Per la determinazione degli acidi grassi del latte e del formaggio è

stata utilizzata un’idrolisi basica per il latte e un’idrolisi acida per il

Page 123: Il modello latte nobile

121

formaggio, seguita poi da estrazione con solvente della frazione

lipidica secondo il metodo riportato in Gazzetta Ufficiale delle

Comunità Europee n° L407/92: Decisione del Consiglio del

14/11/1992 e nella Gazzetta Ufficiale n°229 del 2/10/1986, che

prevede un’analisi gascromatografica.

L’identificazione degli acidi grassi è stata effettuata mediante

confronto dei tempi di ritenzione dei composti rivelati con quelli di

una miscela standard di acidi grassi. Per la quantificazione i dati

sono stati espressi come rapporto percentuale tra l’area del singolo

acido grasso e l’area totale degli acidi grassi.

Determinazione delle vitamine liposolubili e del

colesterolo Le vitamine liposolubile e il colesterolo sono state determinate

secondo il metodo cromatografico (HPLC) secondo Manzi et al.,

1996, previa estrazione con metodo Panfili et al., 1994. I risultati

sono stati elaborati tramite un computer provvisto di software

Chromeleon 6.60.

Determinazione del Grado di Protezione

Antiossidante (GPA) Il grado di protezione antiossidante (G.P.A.) è stato calcolato come

rapporto molare tra le molecole antiossidanti (M.A.) beta-carotene +

alfa-tocoferolo ed il bersaglio dell’ossidazione del colesterolo (B.O.):

M.A. n° moli+B.O./n° moli (Manzi e Pizzoferrato, 2006).

Risultati

Nella tabella n.1 sono riportati i risultati relativi ad alcuni (per ragioni

di spazio) campioni di latte massale dell’azienda Di Vaira. Come è

possibile rilevare i valori della composizione centesimale possono

rientrare nei parametri di un latte che, in base al D.M. 185/89, può

essere definito di “alta qualità”. Tali valori sono coerenti con un

management aziendale e un’alimentazione sostanzialmente corretti

della mandria. Il tenore in grasso e proteine si è stabilizzato su valori

Page 124: Il modello latte nobile

piuttosto elevati e stabili negli ultimi mesi, a testimonianza del

raggiungimento degli obiettivi produttivi conseguentemente alla

ristrutturazione aziendale e al nuovo regime alimentare, che ha visto

un rapporto foraggio/concentrato arrivare a 80/20.

Nella tabella n. 2 sono riportati i tenori in composti antiossidanti del

latte di massa, i cui valori si sono dimostrati ampiamente nella media

riportata in letteratura per il latte bovino. Gli stessi valori sono mano

mano aumentati nel prosieguo dell’attività sperimentale. Anche i

valori del GPA risultano soddisfacenti e stante la stabilità del tenore

in colesterolo del latte, presentano un andamento parallelo a quello

degli antiossidanti, da cui evidentemente sono fortemente

dipendenti.

Nella tabella n. 3 sono riportati i dati relativi al tenore in acidi grassi

polinsaturi (PUFA) della serie omega-6 ed omega-3. Come è

possibile evincere dalla tabella, anche se i valori assoluti non sono

molto elevati, risulta ottimale il rapporto omega-6:omega-3,

significativamente al di sotto del valore soglia di 5:1. I dati

dimostrano come da valori baseline di 7,5:1 (all’inizio del progetto), il

rapporto sia sceso e si sia stabilizzato su valori compresi tra 2,48 e

3,31, che certamente si possono definire ottimali.

Nelle tabelle n. 4 e n. 5 sono riportati i dati (ancorché poco

rappresentativi), relativi a campioni di latte di “Alta qualità” prelevati

presso alcune aziende molisane. Si può rilevare come a dei tenori in

grasso certamente ragguardevoli, corrispondano tenori in PUFA

alquanto eterogenei, ma soprattutto il rapporto omega-6:omega-3

risulta molto elevato rispetto a quello riscontrato nel latte nobile,

oscillando tra 6,67 e 11,25, ben oltre il valore soglia di 5:1.

E’ verosimile che tali differenze siano riconducibili ai diversi regimi

alimentari delle bovine, che negli allevamenti considerati avevano un

rapporto concentrati/foraggi su valori di 60 : 40.

Dalla tabella n. 7 è possibile rilevare come la scarsa presenza di

foraggi nella razione delle lattifere incida negativamente sul tenore in

composti antiossidanti nel latte di “Alta qualità” e, di conseguenza,

anche sui valori del GPA. Questi dati dimostrano che per ottenere un

Page 125: Il modello latte nobile

123

latte nobile è fondamentale un regime alimentare delle bovine basato

sulla preponderanza dei foraggi.

Considerazioni conclusive I dati ottenuti nel corso dello studio dimostrano che si può produrre

un Latte nobile con un corretto management dell’allevamento e con

una alimentazione in gran parte basata sui foraggi e rispettosa della

fisiologia e del biochimismo ruminale. Inoltre appare evidente che a

parità di tenore in grasso, la differenza tra i latti risiede nel contenuto

in sostanze antiossidanti e nella composizione acidica, soprattutto

per quanto riguarda il rapporto omega-6:omega-3, per cui il concetto

della qualità si sposta dal parametro qualità a quello di un corretto

equilibrio dei vari costituenti, in particolare acidi grassi polinsaturi e

antiossidanti quali tocoferoli e beta-caroteni. Questi ultimi trovano la

loro fonte primaria nei foraggi e possono contenere

significativamente i processi ossidativi del colesterolo.

Se gli integratori a base di omega-3 e di antiossidanti rappresentano

la risposta “chimica” per un’alimentazione moderna, il Latte nobile ne

rappresenta la via naturale.

Data prelievo Umidità Proteine% Grasso % Ceneri% Lattosio % pH Densità

07.02.13 86,82± 0,03 3,38 ± 0,01 4,2 ± 0,02 0,80 ± 0,01 4,8 6,63 1.030

14.01.14 86,63 ± 0,19 3,57 ± 0,02 4,30± 0,20 0,80 ± 0,02 4,7 6,6 1.030

12.02.14 86,49 ± 0,23 3,65 ± 0,30 4,35± 0,07 0,81 ± 0,01 4,7 6,68 1.031

14.04.14 86,30 ± 0,21 3,80 ± 0,07 4,40± 0,14 0,80 ± 0,00 4,7 6,64 1.030

09.06.14 86,46 ± 0,11 3,70 ± 0,4 4,34± 0,22 0,80 ± 0,02 4,7 6,66 1.031

Tab.1: Composizione centesimale di campioni di latte di massa (Latte Nobile) dell’azienda Di Vaira

Page 126: Il modello latte nobile

Data prelievo μg/ml di latte μg/100g di grasso GPA

09.03.14

β-carotene 19.50 ±0,21 437,50±5,1

α-tocoferolo 130,30±1,70 3080,72 ±21,3

13-cis-retinolo 22,60 ±0,12 532,2± 17,1

Trans-retinolo 22,10 ±1,50 540,54± 18,2

Colesterolo mg/ml 10,9±0,10 _ 18,57

14.04.14

β-carotene 18.70 ±0,11 419,55±3,1

α-tocoferolo 121,50±1,70 2862,66 ±13,1

13-cis-retinolo 21,7 0±0,09 511,00± 14,3

Trans-retinolo 22,10 ±1,50 535,65± 16,2

Colesterolo mg/ml 10,7±0,8 _ 17,7

Tab. 2: Contenuto in antiossidanti nel latte di massa (Latte Nobile)

dell’azienda Di Vaira

β-carotene: range letteratura 3,4-29,0 µg/100ml (Lucas et al., 2006)

α- tocoferolo: range letteratura 16,9-143,7 µg/100ml (Lucas et al.,2006)

trans-retinolo: range letteratura 15,6-29,2 µg/100g (Panfili et al., 2006)

Page 127: Il modello latte nobile

125

Data prelievo μg/ml di latte μg/100g di grasso GPA

06.05.14

β-carotene 20,20 ±0,13 453,20±5,2

α-tocoferolo 132,3±2,30 3113,08 ±11,7

13-cis-retinolo 21,7 ±0,09 511,0± 14,3

Trans-retinolo 23,3 ±1,90 548,67± 10,2

Colesterolo mg/ml 10,9±0,11 _ 18,9

09.06.14

β-carotene 21,70 ±0,10 486,85±6,1

α-tocoferolo 139,3±1,90 3066,01 ±9,2

13-cis-retinolo 22,2 ±1,03 522,77± 10,6

Trans-retinolo 23,8 ±1,20 560,44± 8,9

Colesterolo mg/ml 10,7±0,20 _ 20,32

Tab. 2: Contenuto in antiossidanti nel latte di massa (Latte Nobile)

dell’azienda Di Vaira

β-carotene: range letteratura 3,4-29,0 µg/100ml (Lucas et al., 2006)

α- tocoferolo: range letteratura 16,9-143,7 µg/100ml (Lucas et al.,2006)

trans-retinolo: range letteratura 15,6-29,2 µg/100g (Panfili et al., 2006)

Page 128: Il modello latte nobile

Campione media Ac. linoleico ω6 Ac. linolenico ω3 ω6 : ω3

07.02.13 media 2,12±0,04 0,28±0,01 7,5

13.03.13 media 1,87±0,02 0,36±0,01 5,2

17.05.13 media 1,71±0,03 0,38±00,0 4,5

03.06.13 media 1,73±0,04 0,41±0,04 4,2

18.07.13 media 1,53±0,09 0,46±0,04 3,2

02.09.13 media 1,60±0,00 0,63±0,00 2,54

03.10.13 media 1,43±0,04 0,52±0,01 2,75

05.11.13 media 1,52±0,06 0,60±0,01 2,53

10.12.13 media 1,57±0,03 0.55±0,01 2,85

14.01.14 media 1,47±0,03 0,59±0,00 2,49

12.02.14                    media 1,59±0,02 0,48±0,01 3,31

09.03.14                    media 1,49±0,01 0,51±0,00 2,92

14.04.14                    media 1,53±0,02 0,49±0,02 3,12

06.05.14                    media 1,62±0,00 0,62±0,01 2,6

09.06.14                    media 1,59±0,01 0,64±0,02 2,48

Tab. 3: Contenuto in omega-6 e omega-3 in campioni di latte di massa

(Latte Nobile) dell’azienda Di Vaira

Data prelievo Umidità Proteine% Grasso % Ceneri% Lattosio % pH Densità

17.12.13* 87,4 ± 0,37 3,60 ± 0,07 4,10 ± 0,07 0,74 ± 0,01 4,2 6,55 1.031

14-01-14* 87,6 ± 0,37 3,20 ± 0,01 3,90 ± 0,12 0,72 ± 0,01 4,6 6,52 1.030

10.02.14* 86,72 ± 0,01 3,30± 0,40 4,60 ± 0,26 0,78 ± 0,01 4,6 6,61 1.030

21.03.14** 87,50 ± 0,08 3,2 0± 0,10 4,3 0± 0,13 0,70 ± 0,01 4,3 6,56 1032

24.04.14*** 87,60 ± 0,13 2,70 ± 0,03 4,60 ± 0,15 0,63 ± 0,03 4,5 6,6 1.031

Tab. 4: Composizione centesimale di campioni di latte di Alta Qualità di aziende molisane (* azienda A; **

azienda B; ***azienda C) utilizzati come confronto con il Latte Nobile

Page 129: Il modello latte nobile

127

Bibliografia

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Campione Ac. linoleico ω6 Ac. linolenico ω3 ω6/ ω3

17.10.13 media* 3,15±0,03 0,28±0,00 11,25

14.01.14 media* 2,88±0,08 0,31±0,03 9,29

10.22.14 media* 2,95±0,18 0.31±0,01 9,51

21.03.14 media** 2,30±0,04 0,40±0,01 5,75

24.04.14 media*** 3,20±0,08 0,48±0,01 6,67

Tab. 5 : Contenuto in omega-6 e omega-3 in campioni di latte di Alta qualità di

aziende molisane (*azienda A; **azienda B; *** azienda C)

Page 130: Il modello latte nobile

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Page 131: Il modello latte nobile

129

Il Latte Nobile delle Alpi piemontesi come

strumento per migliorare la competitività

delle aziende agricole montane: primi risultati

Giampiero Lombardi, Luca Battaglini, Paolo Cornale, Carola

Lussiana, Vanda Malfatto, Antonio Mimosi, Massimiliano Probo,

Simone Ravetto Enri, Manuela Renna

Università degli Studi di Torino

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari

Lucia Decastelli, Sara Astegiano, Alberto Bellio, Daniela Manila

Bianchi, Silvia Gallina, Grazia Gariano

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte,

Liguria e Valle d'Aosta

Premesse Nelle montagne piemontesi la superficie agricola utilizzabile è per il

90% circa costituita da prato-pascoli permanenti e pascoli

(187000 ha; ISTAT, 2013). Essi sono utilizzati da 7.800 aziende

agricole, 3.000 delle quali dedite all’allevamento di bovini e, tra esse,

il 50% dedite all’allevamento di vacche da latte. Queste ultime

ammontano a circa 19.300 (Sistema Piemonte, 2009) e

corrispondono al 10% del patrimonio bovino regionale. Le bovine

allevate in tali aziende forniscono il 9% della produzione regionale di

latte, quasi completamente trasformato in circa 2800 t anno-1

di

prodotti caseari (oltre l’80% della produzione casearia piemontese;

Brun et al., 2005), mentre la produzione di latte destinato al consumo

diretto, in termini quantitativi e di impatto economico, è al momento

poco rilevante.

Anche in Piemonte è però in continua crescita l’interesse verso il

latte alimentare proveniente da allevamenti estensivi, quali sono

quelli montani. I consumatori sono alla ricerca di un latte il più

Page 132: Il modello latte nobile

possibile simile a quello che esce dalla mammella della bovina,

come testimoniato dalla diffusione dei distributori di latte crudo, il cui

successo non dipende esclusivamente dal più ridotto costo per litro.

Inoltre il latte di allevamenti non intensivi nei quali è più rispettata la

fisiologia dell’animale, gode presso i consumatori di un’immagine di

naturalità ed evoca il ricordo della tradizione. Da parte dei produttori

la riscoperta dell’interesse verso la produzione di latte per il consumo

diretto è legata alla necessità di differenziare le produzioni al fine di

far fronte alle fluttuazioni della domanda di prodotti tipici, contrastare

la riduzione dei prezzi all’ingrosso, che talora scendono sin sotto il

punto di equilibrio tra costi e ricavi per effetto di disponibilità di

prodotto spesso superiori alla domanda (almeno stagionalmente),

ridurre il capitale immobilizzato sotto forma di formaggio nelle celle di

stagionatura, ridurre l’onerosità delle lavorazioni, soprattutto nei

momenti di picco della produttività della stalla, e disporre di un bene

primario di largo consumo che richiami il consumatore presso il

punto vendita, spingendolo ad acquistare anche altri prodotti.

Tuttavia, tanto le esigenze dei produttori quanto le aspettative dei

consumatori possono essere soddisfatte solo con difficoltà

nell’attuale situazione del comparto latte. Infatti il latte, come bene

primario, ha sul mercato un valore che dipende in larga parte dalla

quantità e solo in piccola parte da parametri qualitativi (grasso,

proteine, carica batterica e cellule somatiche), che non sono quasi

mai l’espressione di una qualità nutrizionale. Quest’ultima invece può

variare molto in funzione dell’alimentazione degli animali produttori,

della loro razza, delle condizioni di allevamento e mungitura, dei

processi di lavorazione attuati dopo la mungitura, ecc. (Chilliard et

al., 2007; Dewhurst et al., 2006). In particolare la ricerca ha

evidenziato che l’alimentazione delle bovine con foraggi freschi o

con foraggi conservati secchi da prati polifiti (fieni) è in grado di

conferire al latte un profilo in acidi grassi, vitamine e molecole

antiossidanti più favorevole per l’alimentazione e la salute umana

rispetto al latte di animali alimentati a unifeed, insilati o mangimi

(Van Dorland et al., 2006). Il latte ottenuto impiegando soprattutto

Page 133: Il modello latte nobile

131

erba fresca e foraggi provenienti da prato-pascoli a elevata

biodiversità si propone quindi come mezzo sia per superare le

difficoltà del mercato, sia per migliorare la dieta e la salute di chi lo

consuma.

In questo contesto il marchio Latte Nobile nasce nell’Appennino

campano con l’obiettivo di promuovere un modello di produzione del

latte alimentare che parte dal presupposto che il latte prodotto da

animali alimentati prevalentemente a fieno e erba ha caratteristiche

intrinseche che lo rendono riconoscibile e superiore sotto il profilo

nutrizionale e salutistico da quello normalmente presente in

commercio. Tale modello ha già trovato applicazione in diverse

regioni del centro e sud Italia, ma finora non è stato adottato nelle

regioni temperate. In questo lavoro sono presentati i primi risultati del

progetto Làit Real, finanziato nell’ambito del Programma di Sviluppo

Rurale 2007-2013 di Regione Piemonte, che mira ad adattare il

modello proposto alla realtà montana piemontese che, rispetto a

quella campana, presenta evidenti differenze di sistemi di

allevamento e gestione delle bovine, caratteristiche delle risorse

foraggero-pastorali utilizzate, razze animali allevate e relativo

potenziale produttivo.

Le filiere del Latte Nobile in Piemonte Le imprese potenzialmente interessate alla produzione di Latte

Nobile in Piemonte sono sostanzialmente organizzate secondo due

filiere: una che fa riferimento ad aziende agricole in grado di

eseguire in proprio i processi di lavorazione e di commercializzare

direttamente il latte e una con aziende che conferiscono la propria

produzione a imprese casearie di trasformazione, quali caseifici

industriali o caseifici cooperativi, per la lavorazione in forma

associata. Per entrambe le tipologie, il progetto ha valutato tutte le

fasi della filiera, dalle risorse alimentari utilizzate per l’allevamento, al

prodotto finito ed è stata verificata la risposta dei consumatori nei

confronti del prodotto stesso. Le attività hanno coinvolto due imprese

in provincia di Torino (piccoli allevamenti riconducibili al primo tipo di

Page 134: Il modello latte nobile

filiera) e tre in provincia di Vercelli (due piccoli allevamenti e il

caseificio cooperativo al quale essi conferiscono).

La base delle filiere: risorse foraggere ad alta

biodiversità ed estremamente diversificate La vegetazione destinata alla produzione di fieno per l’alimentazione

in stalla e/o al pascolamento delle vacche da latte è stata

caratterizzata in termini di composizione e potenzialità foraggera.

L’analisi dei dati provenienti da 156 rilievi effettuati con il metodo

fitopastorale (Daget e Poissonet, 1972) su 200 ha di prato-pascoli

delle quattro aziende ha consentito di riconoscere 15 differenti tipi di

vegetazione. Quelli maggiormente rappresentati sul territorio sono a

Festuca gr. rubra e Agrostis tenuis (28% della superficie), a

Brachypodium rupestre (13%) e a Bromus erectus (10%). Nel primo

caso si tratta di una vegetazione fertile e fresca tipica dei pianori,

delle pendici moderate e degli alti fondovalle. Gli altri due tipi sono

tipici dei ripidi versanti esposti a Sud, soggetti a forti escursioni

termiche, a importanti variazioni della disponibilità idrica e con

moderata disponibilità di nutrienti del suolo. Tutti i tipi sono

caratterizzati da un’elevata biodiversità: complessivamente sono

state rilevate circa 340 diverse specie vegetali, peraltro in ambienti

tra loro simili, e una media di 27 specie per rilievo (con un massimo

di 51 in un brachipodieto del piano subalpino). Di ogni tipo sono state

valutate la produttività e la qualità foraggera, determinate sia con

analisi chimico-bromatologiche, sia con il Valore Pastorale (VP), un

indice che consente di esprimere un giudizio sintetico sul potenziale

foraggero ed è in grado di stimare in modo accurato la qualità e la

produttività della vegetazione complessa. I fieni e l’erba di pascolo

con i quali gli animali sono alimentati sono in media di buona qualità

(VP medio 31), oltre che ricchi di specie (soprattutto dicotiledoni).

Dal foraggio al latte: le vacche e la loro dieta Nelle quattro aziende zootecniche del progetto sono allevati da 20 a

45 capi di diverse razze (Valdostana Pezzata Rossa, Grigio Alpina,

Bruna Alpina, Montbéliarde, Abondance). Di questi 15-35 sono in

Page 135: Il modello latte nobile

133

lattazione e producono quotidianamente 15-20 kg per capo di latte

(20-27 kg al momento del picco di lattazione), corrispondenti a 4000-

6000 kg per lattazione. Nel periodo invernale queste produzioni sono

ottenute con una razione prevalentemente composta da fieno, con

limitate integrazioni a base di mangime e/o materie prime (mais,

orzo) in quantità inferiore al 20% s.s.. Nel periodo estivo di alpeggio

le bovine si alimentano esclusivamente al pascolo o talora con

limitate integrazioni a base di mangime e/o materie prime. Nel

periodo primaverile di passaggio da alimentazione secca a verde si

verifica una contemporanea assunzione di foraggi conservati ed erba

di pascolo aziendale di fondovalle (in varie proporzioni e con o senza

integrazioni, a seconda dell’azienda). Nel periodo autunnale si

verifica nuovamente una contemporanea assunzione di foraggi

conservati ed erba di pascolo aziendale di fondovalle, per il

passaggio da alimentazione verde ad alimentazione secca invernale.

Il latte: qualità microbiologiche e nutraceutiche Del latte prodotto dalle bovine delle quattro aziende sono stati

valutati i parametri generali di qualità per verificare il rispetto dei limiti

fissati dalla normativa europea vigente (Reg. CE 853/2004). In

particolare sono state valutate la carica batterica totale e le cellule

somatiche del latte crudo. Questi due parametri sono utilizzati come

indicatori rispettivamente delle condizioni igieniche di allevamento,

mungitura e conservazione del latte e delle condizioni sanitarie della

mammella. La normativa nazionale, inoltre, fissa alcuni parametri

merceologici (tenore in grasso e proteine) che vengono utilizzati

come indicatori di qualità del latte in termini di valori nutritivi. Le

aziende sono state monitorate durante tutto il periodo in cui hanno

prodotto latte alimentare, in particolare sono stati eseguiti almeno

due prelievi al mese di latte massale. Al fine di valutare la salubrità

del prodotto è stata valutata l’assenza di aflatossina M1 e di

microrganismi patogeni quali Salmonella spp., Lysteria

monocytogenes, Escherichia coli verocitotossici, Campylobacter

termofili e stafilococchi coagulasi positivi. I risultati ottenuti hanno

mostrato il rispetto dei limiti fissati per i parametri indicatori di igiene

Page 136: Il modello latte nobile

e di stato sanitario della mammella. Nella maggior parte dei casi i

parametri merceologici hanno mostrato valori superiori a quelli fissati

per il latte Alta Qualità. Tutti i campioni di latte crudo analizzati sono

risultati negativi alla ricerca di aflatossina M1 e dei microrganismi

patogeni, mentre hanno mostrato livelli accettabili di stafilococchi

coagulasi positivi.

Dato che il regime alimentare ha un effetto rilevante sulla

composizione della materia grassa del latte, per le quattro aziende è

stato determinato il profilo completo in acidi grassi del latte massale

nei diversi periodi dell’anno. La composizione in acidi grassi del latte

è stata determinata tramite analisi gascromatografica (Renna et al.,

2012) e i dati ottenuti sono stati trattati statisticamente mediante

analisi della varianza al fine di individuare le differenze tra periodi. A

titolo di confronto le stesse analisi sono state effettuate anche per

campioni dei principali tipi di latte reperibili presso la grande

distribuzione.

Nel periodo estivo (figura 1) il Latte Nobile presenta le maggiori

concentrazioni medie di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 e

di acido linoleico coniugato (CLA). Rispetto al latte invernale, anche

il latte prodotto in primavera e autunno presenta concentrazioni

mediamente più elevate di omega-3 e CLA. Questi risultati

dipendono senza dubbio dall’impiego di erba nella razione delle

bovine (Couvreur et al., 2006). Rispetto al Latte Nobile del periodo

estivo, la concentrazione degli stessi acidi nel latte commerciale è

mediamente 3-4 volte inferiore e comparabile a quella del Latte

Nobile prodotto in inverno. Nel Latte Nobile il rapporto tra acidi grassi

polinsaturi delle serie omega-6 e omega-3 (PUFA n6/PUFA n3),

nonché il rapporto tra acido linoleico e acido α-linolenico (LA/ALA),

non variano significativamente in funzione della stagione e si

avvicinano a valori auspicabili da un punto di vista nutrizionale e

salutistico (1:1–4:1), che erano tipici delle diete dei nostri

predecessori (Simopoulos, 2011). Il latte in commercio invece ha

rapporti decisamente meno favorevoli (3.82-5.50).

Page 137: Il modello latte nobile

135

Il latte dalla stalla al consumatore: nasce Nobile ma… … solo con un trattamento termico, un imbottigliamento e una

conservazione adeguati conserva tutte le qualità nutrizionali che

derivano dalla particolare alimentazione delle vacche. Per definire le

lavorazioni che meno alterano le caratteristiche del latte nel corso

del progetto sono stati verificati gli effetti di diversi tempi e

temperature di pastorizzazione, utilizzando come indicatore

parametri microbiologici (Enterobatteriaceae: < 10 ufc/mL) ed

enzimatici (Fosfatasi alcalina: negativa; Perossidasi: positiva). La

pastorizzazione a bassa temperatura e per un tempo prolungato

consente di ottenere un prodotto sicuro e idoneo alla

commercializzazione come latte Alta Qualità secondo la vigente

normativa. Il latte è stato imbottigliato utilizzando diversi tipi di

Figura 1 – Contenuto di acidi grassi del

latte (PUFA: acidi grassi polinstaturi; LA:

acido linoleico; ALA: acido α-linolenico;

CLA: acido linoleico coniugato).

Valori espressi in g/100 g di grasso.

Lettere uguali identificano trattamenti tra

loro non significativamente differenti.

Page 138: Il modello latte nobile

bottiglia (vetro e PET) e diverse temperature di imbottigliamento e

sono state monitorate nel tempo la carica batterica psicrofila e

mesofila. Questi batteri, se presenti in cariche elevate, possono

determinare alterazioni organolettiche in termini di gusto, odore e

aspetto limitando la vita commerciale del prodotto (shelf-life). I

risultati ottenuti evidenziano come tali parametri sono inferiori ai limiti

considerati accettabili, durante l’intera shelf-life dichiarata dal

produttore, nonostante le bottiglie siano state conservate ad una

temperatura di leggero abuso termico (+ 8°C).

Le risposte dei consumatori Nella proposta di un nuovo prodotto, quale il Latte Nobile in

Piemonte, la capacità dei consumatori di percepire le differenze

rispetto a prodotti simili normalmente disponibili in commercio è un

elemento fondamentale per il successo del prodotto stesso. Con

l’obiettivo di valutare tale capacità, nell’ambito del progetto sono

state organizzate due giornate dedicate alle valutazioni sensoriali.

Due differenti panel non addestrati di circa 120 persone ciascuno

hanno effettuato oltre 450 test triangolari di confronto tra campioni di

latte pastorizzato delle quattro aziende partecipanti al progetto e

campioni di un latte Alta Qualità proveniente dalla grande

distribuzione. Tra i campioni proposti anonimamente l’88% degli

assaggiatori ha correttamente individuato il Latte Nobile, al quale

sono stati attribuiti maggiori intensità del gusto, persistenza,

freschezza e sapidità rispetto al latte di riferimento, oltre a note

lattiche, animali, di burro e di crema più intense.

Conclusioni Gli allevamenti piemontesi estensivi dispongono di foraggi con una

composizione diversificata, un’elevata diversità specifica e, in

generale, una buona qualità foraggera. Tutti questi aspetti sono ben

valorizzabili soprattutto attraverso il pascolamento che consente di

ottenere un latte con valori nutrizionali indiscutibilmente superiori a

quello prodotto da sistemi intensivi. Grazie all’abilità degli allevatori si

ottiene un latte di ottima qualità non solo nutrizionale, ma anche

Page 139: Il modello latte nobile

137

igienica e queste qualità possono essere conservate per diversi

giorni dopo la vendita del prodotto confezionato con semplici

pratiche in fase di lavorazione. Esse sono adottabili anche in aziende

o caseifici di piccole dimensioni, cioè anche senza impiego di

impianti di pastorizzazione-imbottigliamento di tipo industriale.

La conclusione delle attività del progetto Làit Real permetterà di

ottenere maggiori informazioni in merito alle diverse fasi delle filiere

e di valutare gli effetti della variabilità stagionale. I risultati ottenuti

evidenziano fin da ora la possibilità di utilizzare la produzione del

Latte Nobile come strumento per aumentare la competitività e

diversificare le produzione delle aziende di montagna. Inoltre i

modelli che saranno messi a punti per le zone montane potranno,

dopo adeguate verifiche, essere trasferiti anche ad altri allevamenti

gestiti estensivamente.

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27-43

Page 141: Il modello latte nobile

139

Una proposta di misurazione della qualità del

fieno

F. Infascelli, S. Calabrò, Monica I. Cutrignelli, R. Tudisco, M.

Grossi, P. Lombardi

Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni animali

Università di Napoli Federico II

L’aumento delle produzioni unitarie nel comparto bovino da latte,

oltre che frutto del miglioramento genetico, è ascrivibile all’adozione

di piani alimentari caratterizzati da basso rapporto

foraggi/concentrati. Tali diete, tuttavia, per l’influenza negativa

esercitata sul benessere animale, sono ritenute responsabili dello

scadimento qualitativo delle derrate e del peggioramento del ritmo

riproduttivo. Il disciplinare di produzione del latte Nobile prevede,

invece, diete con rapporti foraggi/concentrati pari a 70/30 ed

eliminazione degli insilati; risulta evidente quindi che, per soddisfare i

fabbisogni nutritivi degli animali, è necessario disporre di ottime

risorse foraggiere. In merito, nell'ambito delle attività previste dal

protocollo di collaborazione tra la Cattedra di Nutrizione e

Alimentazione animale del Dipartimento di Medicina Veterinaria e

Produzioni Animali dell'Università Federico II di Napoli e i promotori

del Progetto Nobilat, si è ritenuto utile lavorare su diversi aspetti. In

primis si è pensato di fornire agli allevatori e ai tecnici una scheda di

facile interpretazione (figura 1) per operare una valutazione di campo

dei fieni.

Page 142: Il modello latte nobile

Figura 1 - Scheda Valutazione Fieno (punti)

1) Colore

Marrone scuro: 2; Marrone chiaro: 5; Giallo paglierino: 6;

Verde chiaro: 7; Verde: 8; Verde intenso: 10

2) Numero di essenze presenti

da 1 a 3: max 3 da 4 a 7: max 7; da 8 a 10: max 10

3) Polvere

Assenza: 10; poca: 8-9; media: 5-7; molta: 1-4

4) Valutazione tattile

Morbido: 8-10; croccante: 5-7; rigido: 1-4

5) Valutazione flaoviur

odore di fresco: 8-10; odore medio: 5-7; odore scarso: 1-4

6) Rapporto Graminacee/Leguminose

50/50: 10; 60/40: 8; 70/30: 6; 80/20: 4; 100/0: 2; 0/100: 5

7) Fogliosità

scarsa: 1-3; media: 4-6; molto foglioso: 7-10

Valutazione totale punti: ____________

Valutazione di Campo Nel corso degli ultimi due anni, le schede sono state utilizzate

sempre dallo stesso panel di operatori in diverse aziende

zootecniche delle province di Avellino e Benevento. Nelle tabelle 1 e

2 vengono riportate le correlazioni significative ritrovate tra i diversi

parametri della scheda e i valori di alcune caratteristiche chimiche

determinate presso i nostri laboratori (AOAC, 2000; Van Soest et al.,

1991) di fieni polifiti prodotti nelle due province.

Page 143: Il modello latte nobile

141

Tabella 1. Correlazioni parametri scheda/composizione chimica (Avellino)

Ceneri PG NDF PG/NDF

colore 0.6507* 0.8171* -0.6551* 0.8106*

essenze 0.1955 0.4556 -0.3720 0.4804

polvere -0.0351 0.3213 0.0825 0.1980

tattile 0.6733* 0.6377* -0.3423 0.5809*

odore 0.0109 0.4724 -0.1723 0.4202

L/G 0.7693* 0.5322 -0.8442* 0.6975*

fogliosità 0.9324 0.8283 -0.8119 0.9595

Totale 0.7874 0.8283 -0.7193 0.8595

* P<0.05

Tabella 2. Correlazioni parametri scheda/composizione chimica,

(Benevento)

Ceneri PG NDF PG/NDF

colore -0.0797 -0.3048 0.6324* -0.4387

essenze 0.2932 -0.3729 0.4354 -0.4457

polvere 0.4609 0.1067 -0.0220 0.0755

tattile -0.3570 -0.2287 0.4004 -0.3545

odore 0.1966 -0.1410 -0.0184 -0.1385

L/G 0.5628 0.5322 -0.6331 0.5175

fogliosità -0.3518 -0.4115 -0.4625 0.9776*

Totale 0.0906 -0.4115 0.5780* -0.5315

* P<0.05

Come si evincere dalla lettura delle tabelle, mentre per la provincia di

Avellino buona parte dei parametri soggettivi è risultato correlato con

le caratteristiche chimiche, per Benevento soltanto per il colore e la

fogliosità dei fieni sono stata trovate correlazioni significative,

rispettivamente con il contenuto di NDF e con il rapporto protidi/NDF.

Page 144: Il modello latte nobile

Il non soddisfacente risultato di Benevento e soprattutto le differenze

tra le due province, ci ha indotto ad apportare alcune modifiche alla

scheda impiegata che sono attualmente in corso di effettuazione.

Indice di metanogenicità Un altro aspetto su cui si è ritenuto utile indagare – e che vuole

essere la proposta di cui al titolo della presente relazione - è

rappresentato dalla misurazione del metano di origine ruminale

prodotto dall'impiego di diversi fieni, consci che la produzione di

questo gas oltre a diminuire l’efficienza di utilizzazione dell’energia

dell'alimento, rappresenta un problema ambientale e la sua riduzione

rientra nelle finalità delle produzioni zootecniche eco-sostenibili,

quale il latte Nobile si prefigge di essere. Il metano, infatti, è

responsabile del 20% dell'incremento dell'effetto serra (Moss, 1993).

A confronto dell’anidride carbonica, la sua presenza in atmosfera è

molto inferiore; tuttavia, il metano ha un potenziale di riscaldamento

globale 23 volte superiore. In particolare, la quota derivante dagli

allevamenti è considerata, significativa: autori diversi hanno stimato

che il metano prodotto dai microrganismi ruminali incide con

percentuali comprese tra 7.4 e 23.3%. L’energia per la crescita

microbica in ambienti anaerobi deriva dall’ossidazione dei substrati,

con trasferimento di elettroni ad accettori finali diversi dall’ossigeno

molecolare e spesso derivati dagli stessi substrati. Nel rumine i

principali prodotti che ne derivano sono gli acidi grassi volatili ed il

metano. L’energia ancora disponibile nel metano può essere liberata

da un’ossidazione, con il trasferimento degli equivalenti riducenti

all’O2. La produzione e l’eliminazione del metano dunque se da un

lato concorre a mantenere condizioni ossidative in un ambiente

anaerobio attraverso la riossidazione dei cofattori trasportatori di

elettroni, come il NADH, il FADH2 e la ferredossina, dall’altro

rappresenta una perdita di energia per il ruminante (dal 2 al 12% in

funzione del rapporto foraggio/concentrato). I responsabili della

metanogenesi sono degli archeobatteri, gruppo di microrganismi

unico dal punto di vista filogenetico caratterizzati da lento sviluppo e

stretta anaerobiosi. I metanogeni nell’ecosistema ruminale

Page 145: Il modello latte nobile

143

rappresentano uno dei passaggi conclusivi della catena di

degradazione dell’alimento, di cui sono responsabili tre differenti

gruppi di microrganismi:

1° stadio – degradazione dei polisaccaridi: dovuto all’azione di batteri

che idrolizzano cellulosa, emicellulose, pectine, amido e altri polimeri

a mono ed oligosaccaridi, successivamente metabolizzati ad acidi

grassi volatili, idrogeno, anidride carbonica e alcoli;

2° stadio – produzione di idrogeno molecolare: ne sono responsabili i

batteri acetogenici (degradano i prodotti del primo stadio in acido

acetico, idrogeno ed in alcuni casi in anidride carbonica), i protozoi e

i miceti che possiedono gli idrogenosomi.

3° stadio – metanogenesi: i batteri metanogeni utilizzano i prodotti

ottenuti nei primi due stadi, soprattutto idrogeno e anidride

carbonica.

I tre stadi risultano strettamente collegati tra di loro: l’efficienza

metabolica di un gruppo dipende da quella degli altri due. Gli

zuccheri semplici derivati dalla degradazione dei polisaccaridi,

attraverso la glicolisi sono trasformati in piruvato che occupa una

posizione chiave da cui prendono avvio reazioni chimiche che

differiscono sia per le specie batteriche anaerobiche coinvolte sia per

le differenti condizioni ambientali di crescita delle popolazioni

ruminali. Il piruvato può essere metabolizzato ad acetato, anidride

carbonica, idrogeno, oppure a butirrato o etanolo o ancora a

propionato tramite lattato e succinato. Parte del propionato, degli

acidi grassi a catena lunga e degli acidi aromatici vengono ossidati

anaerobicamente fino ad acetato oppure ad acetato e anidride

carbonica, o formiato, a seconda dei diversi substrati. I metanogeni

utilizzano come substrato principalmente idrogeno molecolare e

anidride carbonica, secondo la seguente equazione: 4 H2 + CO2 →

CH4 + 2 H2O. Essi, tuttavia, sono anche in grado di utilizzare

formiato ed altri precursori di minore importanza, come l’acetato e

gli alcoli primari a catena corta, fra cui il metanolo che si forma nella

degradazione delle pectine, e l’n-butanolo. Il formiato può essere

Page 146: Il modello latte nobile

utilizzato dai batteri metanogeni direttamente o previa degradazione

ad anidride carbonica ed idrogeno da parte di altri batteri. In vitro, gli

alcoli primari di basso peso molecolare (fino all’n-butanolo) e

soprattutto il metanolo, possono essere efficienti donatori di elettroni

nella metanogenesi, ma in vivo, mano a mano che la digestione della

pectina procede, il metanolo tende piuttosto ad accumularsi e

l’etanolo a donare i propri elettroni nella sintesi di acidi grassi volatili.

Il Methanobacterium subossidans ossida il butirrato ad acetato in

presenza di anidride carbonica e idrogeno molecolare, formando

contestualmente CH4: 2 butirrato + CO2 + 2 H2 → 4 acetato +

CH4

Non solo il metano non è utilizzabile per il metabolismo dell’animale

ospite, ma la metanogenesi e la produzione di acidi grassi volatili

sono antagoniste. I principali meccanismi responsabili

dell’eliminazione di metano sono due: il primo legato alla quantità di

carboidrati della dieta che fermentano nel reticolo-rumine ed al

rapporto tra questa e la velocità di passaggio dell’alimento. Il

secondo meccanismo regola la disponibilità di idrogeno e la

conseguente produzione di metano dagli AGV. E’ principalmente il

rapporto acetico/propionico (A/P) ad influenzare la produzione di

metano; generalmente A/P è compreso tra 0.9 e 4. Diversi fattori

esogeni intervengono nella regolazione della produzione di metano:

l’ingestione di alimento, il tipo di carboidrati ingeriti, i foraggi

somministrati, l’aggiunta di lipidi alla razione, la manipolazione della

microflora. Il tipo di carboidrati fermentati influenza la produzione di

metano principalmente attraverso l’impatto che essi hanno sul pH

ruminale e sulla popolazione microbica. La fermentazione dei

carboidrati della parete cellulare produce più acetato rispetto al

propionato e quindi più metano (Moe e Tyrrell, 1979). La

fermentazione dei carboidrati solubili, produce meno metano rispetto

ai carboidrati di struttura e allo stesso amido. Indipendentemente dal

tipo di carboidrati, il metano prodotto diminuirebbe all’aumentare

della sostanza organica fermentata. Moe e Tyrrell (1979) riportano

che, al di fuori di un certo range di ingestione (20.7-22.9 kg s.s./d) la

Page 147: Il modello latte nobile

145

produzione di metano/grammo di cellulosa digerita è pari a 3 volte

quella delle emicellulose e a 5 volte quella della frazione solubile.

Thomson e Lamming (1972) hanno registrato una maggiore

produzione di metano in una dieta a base di cereali combinata con

un fieno grossolano probabilmente perchè la presenza di particelle

più grossolane nel rumine aumenta la velocità di passaggio di quelle

più piccole favorendo così favorendo la produzione di acetato a

scapito del propionato. La gascromatografia risulta il metodo

maggiormente impiegato per misurare la composizione dei gas

prodotti nel rumine. Tra le tecniche in vitro in grado di accumulare

gas durante il processo di fermentazione per poterlo poi iniettare nel

gas cromatografo, quella a nostro avviso maggiormente vantaggiosa

risulta la tecnica della produzione cumulativa di gas (IVGPT)

descritta da Theodorou et al. (1994). Questo sistema si basa sul

presupposto che la fermentazione anaerobica dei carboidrati da

parte dei microrganismi ruminali produce acidi grassi volatili, anidride

carbonica, metano e tracce di H2; quindi la misurazione della

produzione di gas durante la fermentazione in vitro degli alimenti, in

bottiglie da siero, in condizioni di anaerobiosi con un opportuno

inoculo può essere usata per studiare la velocità e l’entità del

processo fermentativo (Calabrò et al., 2001, Calabrò et al., 2009).

Un campione rappresentativo del gas prodotto viene prelevato con

una siringa in vetro a tenuta, munita di un sistema (valvola o

rubinetto) che consente di chiuderne l’uscita una volta prelevato il

gas e conservare il campione al suo interno. Il campione di gas può

essere prelevato direttamente dallo spazio di testa della bottiglia di

fermentazione; assumendo che il campione prelevato ha una

composizione uguale a tutto il gas prodotto. Successivamente, il gas

è iniettato nel gas-cromatografo.

Di seguito vengono discussi i risultati di una prova (Guglielmelli et

al., 2011) che abbiamo effettuato, con la IVGPT, incubando (48 h)

con liquido ruminale bovino quattro campioni di fieno di lupinella

(Onobrychis viciifolia Scop.) raccolti a stadi fenologici diversi - inizio

fioritura con fusti in accrescimento (LUP_1); comparsa

Page 148: Il modello latte nobile

dell’infiorescenza (LUP_2); infiorescenza senza fiori aperti (LUP_3);

fine fioritura con comparsa dei semi (LUP_4) - e un fieno di medica.

Su tutti i campioni, oltre alla composizione chimica (AOAC, 2000;

Van Soest et al., 1991) sono stati determinati i tannini condensati

(CT) poiché diversi autori hanno descritto il ruolo svolto dai tannini

sulla produzione di metano (Woodward et al., 2001; Puchala et al.;

Patra et al., 2005; Waghorn e McNabb, 2003). Il contenuto in

proteine grezze è risultato superiore nel fieno di medica rispetto al

valore medio del fieno di lupinella nel quale esso è andato

diminuendo con l’avanzare dello stadio vegetativo. Trend opposto ha

mostrato il contenuto in NDF (tabella 3).

Tabella 3. Composizione chimica (% s.s.) fieno i lupinella e di medica

LUP_1 LUP_2 LUP_3 LUP_4 Medica

Proteine grezze 21.9 20.7 17.5 12.2 22.6

NDF 39.1 43.3 44.1 51.4 52.3

NSC (carboidrati non strutturali) 28.8 27.2 29.72 28.8 12.8

Mentre sul campione di fieno di medica non sono stati rilevati tannini

condensati, il fieno ottenuto dalla lupinella raccolta ad inizio fioritura

(LUP_1) ha mostrato valori significativamente (P<0.01) più elevati

rispetto a quello da stadi successivi (fig. 2).

Page 149: Il modello latte nobile

147

Figura 2.

Contenuto in

tannini

condensati nel

fieno di lupinella

espresso in CT

eq mg/g

Nel fieno di lupinella, durante le 48 h di incubazione il metano

prodotto in funzione della sostanza organica sia incubata che

degradata è aumentato, sebbene in maniera non significativa, con il

progredire dello stadio vegetativo; per il fieno di medica sono stati

registrati valori minori (20.4 mL g−1

iSO e 39.4 mL g−1

dSO) rispetto

alla lupinella (28.2 mL g−1

iSO and 45.49 mL g−1

dSO) e le differenze

sono risultate significative (P < 0.01) in funzione della SO incubata

(tabella 3). Molto interessante appare la correlazione negativa quasi

significativa (r = −0.932; P = 0.068) tra il contenuto in tannini e la

produzione di metano, che indica una consistente diminuzione di

CH4 all’aumentare del contenuto in CT. Inoltre, nei campioni di

LUP_1 sono state rilevate contestualmente produzioni basse di CH4

ed elevate di AGV, ad indicare che, nonostante una iniziale riduzione

di produzione di gas, non sono avvenute inibizione delle

fermentazioni. Pertanto, in vivo una bassa produzione di metano non

riduce la disponibilità di energia per l’animale. Negli stadi vegetativi

successivi, la relazione tra CT e produzione di CH4 non sembra

altrettanto diretta. La elevata produzione di metano registrata con il

LUP_4 è probabilmente dovuta alla bassa quantità di CT m anche

allo scarsa qualità del fieno. Lovett et al. (2006) riportano una

correlazione positiva tra produzione di CH4 e contenuti in NDF; nella

nostra indagine è stato riscontrato simile trend (r = 0·766)

probabilmente non significativo a causa della numerosità non

sufficientemente elevata dei dati. L’avanzamento dello stadio

Page 150: Il modello latte nobile

vegetativo e la presenza di tannini condensati hanno, in conclusione,

mostrato effetto significativo sulla fermentazione dei carboidrati e la

produzione di metano in vitro. A nostro avviso risulta molto

interessante il fatto che quest’ultima sia risultata inferiore nel LUP_1

(con contenuto in CT significativamente superiore) rispetto ai due

stadi successivi, che hanno mostrata maggiore degradabilità della

sostanza organica. Resta da stabilire entro quale limite di impiego i

tannini, peraltro noti come fattori antinutrizionali, possano avere un

effetto benefico sull’attività dei microrganismi ruminali e quindi sulle

produzioni animali. La tecnica in vitro della produzione cumulativa di

gas, infine, è apparsa strumento utile per la valutazione del valore

nutritivo degli alimenti e per la stima della produzione di metano.

Bibliografia

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Early indications that feeding Lotus will reduce methane emission

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Page 152: Il modello latte nobile
Page 153: Il modello latte nobile

151

Parte Terza

Nuovi indicatori e

nuovi parametri

Page 154: Il modello latte nobile
Page 155: Il modello latte nobile

153

Essenze foraggere e qualità aromatico-

nutrizionale del latte

Salvatore Claps e Lucia Sepe

Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura

Unità di Ricerca per la Zootecnia Estensiva – CRA-ZOE

Alimentazione dell’animale e qualità del latte Tra i fattori in grado di influire sulla qualità del latte, l’alimentazione

riveste un ruolo fondamentale. Negli ultimi 30 anni, l’equipe del CRA

– ZOE (ex Istituto Sperimentale per la Zootecnia) di Bella (PZ) ha

studiato dapprima il sistema produttivo foraggero, per passare quindi

all’influenza dell’erba e della singola specie sulla qualità nutrizionale

e sensoriale del latte e del formaggio. I risultati qui presentati si

riferiscono soprattutto all’erba allo stato fresco, così come la può

brucare al pascolo l’animale, ma con le opportune riflessioni, li

potremo traslare anche al foraggio affienato.

Quali sono le classi di molecole che caratterizzano il latte? È stato

già accennato nelle pagine precedenti. Ma qual è la loro origine? C’è

un legame diretto o indiretto fra molecole e caratteristiche del latte?

Vediamone alcune un po’ nel dettaglio, mettendole subito in

relazione all’origine e all’influenza sulla qualità del latte.

Legame diretto e indiretto

Ben poche molecole, fra quelle ingerite dall’animale con l’erba, e col

foraggio in generale, passano direttamente dall’apparato dirigente al

latte, attraverso il flusso sanguigno. Fra queste molecole, nei

numerosi studi effettuati sui possibili marcatori di un pascolo o di

un’area specifica, è stato verificato un legame diretto per i caroteni e

per alcuni composti volatili.

Page 156: Il modello latte nobile

I caroteni sono i principali responsabili del colore giallo del latte, che

è direttamente proporzionale al contenuto di caroteni nell’erba e del

foraggio, a parità di specie animale e di razza [a tale riguardo,

ricordiamo che il latte di capra è più bianco di quello ovino o bovino,

per la sua limitata capacità di trattenere il beta-carotene nel latte]. Di

conseguenza, la biodiversità del pascolo o erbaio è fondamentale

per contribuire alla quantità di beta-carotene ingerito. Se, da un lato,

le graminacee sono note come grandi apportatrici di fibra e zuccheri,

e le leguminose sono i carrier privilegiati di proteina, le cosiddette

“Altre”, considerate quasi specie neglette, definite agronomicamente

“infestanti” delle coltivazioni intensive, proprio queste specie sono la

fonte più interessante di “molecole della qualità”.

Oltre alla biodiversità, la stagionalità (periodo di comparsa della

pianta e suo decorso fenologico) gioca un ruolo cruciale nella qualità

del foraggio e quindi del latte. Al ricaccio primaverile ed autunnale,

essa si presenta ricca di acqua e zuccheri, passando ad uno stadio

maturo, latore di fiori, semi e foglie ricche in sali minerali, vitamine e

polifenoli. Avremo così, ad esempio, un latte con un colore più

intenso, con riflessi avorio, da una vacca di razza Pezzata Rossa,

che produce circa 15 litri di latte al giorno e si alimenta su un pascolo

polifita in tarda primavera-inizio estate.

Un altro componente del latte, l’alfa-tocoferolo (precursore della Vit.

E), è influenzato dalla stagione sia in termini di composizione

botanica del pascolo e sia di stadio fenologico delle piante ingerite

(Fig. 1). In un’alimentazione in stalla, a base di unifeed, il contenuto

è pressoché costante nel corso dell’anno, e sempre inferiore rispetto

all’alimentazione al pascolo. Per il consumatore è un vantaggio

questa monotonia o non è meglio credere, come dicono i Francesi,

“Vive la différence”?

Page 157: Il modello latte nobile

155

Fig. 1. Stagione e

alfa-tocoferolo nel

latte

Ponendo a confronto 5 sistemi alimentari, di cui uno in stalla, con

fieno e concentrato (ZG), due al pascolo (collina, GH, e montagna,

GM) e due al pascolo di collina ma con livelli diversi di integrazione

con concentrati (600 e 900 g rispettivamente), è stato osservato che

fino a 600 g di concentrato non peggiorano il contenuto di tocoferolo

nel formaggio, portando il suo livello poco al di sotto di quello del

pascolo di collina; al contrario, 900 g riducono il tocoferolo al di sotto

del sistema alla stalla (Fig. 2). Come a dire che un’adeguata e mirata

integrazione con concentrati è necessaria per non “vanificare”

l’effetto dell’erba sul suo contenuto.

Fig. 2. Alfa-tocoferolo

nel formaggio di capra

da diversi sistemi

alimentari

Passando dall’erba verde allo stato secco (erba affienata) si ha una

perdita di “molecole della qualità”, in percentuale diversa. Si stima,

ad esempio, una perdita del 65-75% delle vitamine. E non solo

quelle. Si ha un calo fino al 50-60% dei composti volatili, detti così

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

ZG GH GM G600 G900

g/

100

mg

SS

0,0

50,0

100,0

150,0

200,0

250,0

300,0

Mar

Fin

Apr

In

Mag

In

Mag

Fin

Giu

Met

Giu

Fin

Lug

In

Lug

Met

ug

/100

g

Pascolo

Stalla

Page 158: Il modello latte nobile

perché vengono rilasciati facilmente dal substrato, liberandosi

nell’aria e contribuendo in buona parte all’odore dell’erba e, quindi,

del latte e del formaggio.

Un altro caso di legame diretto fra ingestione e qualità dell’erba e del

latte riguarda alcune molecole volatili, responsabili in gran parte

dell’aroma del latte. Si tratta, ad esempio, dei terpeni (come il

limonene, odore dell’erba tagliata). L’apporto cambia a livello di

singola specie e, in particolare, sono le specie “selvatiche”, come ad

es. la cicoria e l’asperula, che contribuiscono maggiormente al

contenuto di terpeni nel latte (Fig. 3).

Fig. 3. I Terpeni nel latte

variano per effetto della pianta

e della quantità di erba ingerita

Ben più complesso è l’effetto dell’alimentazione quando esiste un

legame indiretto: le piante ingerite dagli animali subiscono delle

trasformazioni ad opera della microflora ruminale durante la

digestione, e influenzano significativamente sia il metabolismo (sono

capaci di fare la differenza fra disequilibrio alimentare o benessere

dell’animale) sia nella composizione del latte, e quindi del formaggio.

Basti pensare al contenuto in fibra, al profilo degli acidi grassi (ac.

linoleico, linolenico, ecc.) o al contenuto in polifenoli o proteine, che

attraverso la lipolisi e la proteolisi, danno luogo al profilo di acidi

grassi del latte e a quelle molecole aromatiche come esteri, aldeidi e

alcoli, che caratterizzano l’odore del latte.

Gli acidi grassi presenti nelle essenze foraggere sono metabolizzati

e bio-idrogenati nel rumine. La bio-idrogenazione, combinata con la

Loietto Cicoria Asperula Caglio giallo 0

50

0

100

0

150

0

200

0

250

0

300

0

350

0

400

0

450

0

Erba

mazzolina

Erba

Latte

Unità

are

a

Page 159: Il modello latte nobile

157

lipogenesi mammaria e l’attività della Δ-9 desaturasi, modifica

considerevolmente il profilo acidico della dieta ingerita dall’animale e,

di conseguenza, la composizione del latte. Nel formaggio entrano in

scena altri protagonisti importanti, i batteri: lattici o caseari, essi

rivestono un ruolo chiave nella caratterizzazione del sapore, della

struttura e dell’odore di un formaggio.

Specie foraggera e qualità nutrizionale del latte

Alla luce delle recenti sperimentazioni, il profilo acidico dell’erba

costituisce un valido strumento per discriminare la qualità del latte

proveniente da diverse specie ingerite.

Fig. 4. Il contenuto

percentuale di ALA (ac. alfa-

linolenico), LA (ac. linoleico) e

ac. palmitico varia in sette

specie da erbaio allo stato

fresco

La composizione acidica del latte varia in modo significativo in

funzione, ad esempio, del contenuto nell’erba dell’acido alfa-

linolenico (Fig. 4). Mettendo a confronto otto essenze foraggere allo

stato fresco (quattro graminacee e quattro leguminose), è stato

osservato il variare del contenuto di omega6 e omega3, e quindi il

loro rapporto (Fig. 5). In generale, le leguminose (erba medica,

ginestrino, veccia) danno luogo ad un rapporto omega6/omega3 nel

latte inferiore al 3.

Contenuto % di ALA, LA e Acido palmitico

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Avena

Loiet

to

Med

ica Orzo

Trifog

lio

Tritica

le

Veccia

C16:0

LA

ALA

Page 160: Il modello latte nobile

Fig. 5 e 6. Il latte di capre, alimentate in purezza con ciascuna delle otto specie allo

stato fresco, presenta valori diversi rispettivamente di omega3, omega6 e CLA

Un altro composto, il CLA (acido linoleico coniugato, che

contribuisce alla protezione dallo sviluppo di neoplasie), varia in

base alla specie ingerita, con valori più elevati per orzo e trifoglio

incarnato (Fig. 6). Pur stimando una riduzione del 50% del CLA nel

latte qualora le specie siano ingerite come fieno, un “piatto misto” di

buon fieno contribuisce alla qualità nutrizionale del latte.

Nel corso degli studi, il CRA-ZOE ha collaborato con la compianta

Laura Pizzoferrato dell’ex INRAN (ora CRA-NUT di Roma) per

studiare e validare il Grado di Protezione Antiossidante (GPA),

inteso come la capacità di una sostanza (ad es. l’alfa-tocoferolo del

latte) di proteggere dall’ossidazione un’altra molecola (ad es. il

colesterolo). È stato rilevato che il GPA varia sensibilmente in base

al sistema alimentare e che un’opportuna integrazione può

migliorarne il valore. Ad esempio, nel latte è stato osservato che in

un sistema al pascolo integrato con un concentrato a base di mais e

favino, il GPA è maggiore di quello del solo pascolo (Fig. 7). Come a

dire che non solo la scelta del fieno o del pascolo (quando

disponibile) è determinante per la qualità del latte, ma anche la

scelta del concentrato, in termini di materie prime e la loro qualità

nutrizionale, oltre che alla quantità. A questo punto, non ci sorprenda

sapere quanto è anche più saporito e avvolgente un bicchiere di latte

o un formaggio ottenuto da animali alimentati al pascolo e con

foraggi di qualità!

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

4,5

5

Ave

na s.

Ginest

rino

Lolie

tto

Erb

a med

ica

Orz

o se

lv.

Trif. I

ncarn

ato

Seg

ale

Vec

cia

Omega-3

omega-6

w6 / w3

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

g/1

00

g F

A

Avena Ginestrino Loietto Erba medica Orzo

selvatico

Trif. Incarnato Segale Veccia

Page 161: Il modello latte nobile

159

Fig. 7. Grado di protezione antiossidante del latte di capre allevate secondo quattro sistemi alimentari (S = stalla, P = pascolo, PMF = pascolo + concentrato mais-favino, POC = pascolo + orzo-ceci)

I test sensoriali hanno evidenziato una maggiore “personalità”

olfattiva e gustativa del latte proveniente da animali al pascolo

rispetto al sistema alla stalla, ed un maggiore grado di accettabilità

globale.

Risultati della ricerca consolidati L’esperienza degli allevatori ci raccontava della diversa qualità del

latte e del formaggio se gli animali pascolavano su un prato piuttosto

che un pascolo o mangiavano fieno d’inverno nella stalla. Oggi

quelle affermazioni sono avvalorate da risultati della ricerca ormai

consolidati, e anche se la parola fine non è stata scritta, essi danno

una buona misura di come una specie foraggera arricchisca in

determinate molecole il latte, dando il giusto risalto alla biodiversità e

alla qualità della dieta della lattifera.

E la ricerca della biodiversità, unita a salubrità e qualità nutrizionale

delle produzioni, fanno ormai parte delle aspettative del consumatore

informato di oggi, che sarà disposto a riconoscere il giusto prezzo al

prodotto, contribuendo così ad una filiera zootecnica sempre più

sostenibile.

----------------§§§----------------

Il gruppo di ricerca del CRA-ZOE (ex Istituto Sperimentale per la

Zootecnia di Potenza) ha visto coinvolti molti collaboratori, a vario

titolo, nel corso del tempo: oltre ai sottoscritti, ricordiamo Roberto

Rubino, Vincenzo Fedele, Michele Pizzillo, Emilia Agoglia, Emilia

Cogliandro, G. Francesca Cifuni, Anna R. Caputo, Maria Antonietta

0 0,002 0,004 0,006 0,008 0,010

POC

PM

F PMF

S

Gru

ppi

Grado di protezione antiossidante

a

b

b

b

Page 162: Il modello latte nobile

di Napoli, Giuseppe Morone, Francesco Paladino, Domenico

Rufrano.

Per approfondimenti, si riporta una selezione bibliografica:

Claps S., Rubino R., Fedele V., Morone G., Di Trana A. 2005. Effect

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Claps S., Sepe L., Annicchiarico G., Fedele V. 2011. Prodotti caseari

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Di Napoli M.A., Di Trana A., Caputo A.R., Sepe L., Claps S. 2012.

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species on fatty acid profile and nutritional index of milk and cheese.

Book of Abstract XI International Conference on Goats, Las Palmas,

Gran Canaria, Spain, 23-27 September p. 249.

Autori:

Claps Salvatore, direttore incaricato

Sepe Lucia, ricercatore

Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura

Unità di Ricerca per la Zootecnia Estensiva – CRA-ZOE

Via Appia, Bella-Scalo, sn, 85054 Muro Lucano (PZ), www.entecra.it

Page 163: Il modello latte nobile

161

Le componenti nutrizionali e aromatiche del

latte: la complessità delle misurazioni e i

possibili fattori di variazione

Lucia Bailoni e Roberto Mantovani

Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione - BCA

Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e

Ambiente – DAFNAE Università di Padova

Riassunto

Diverse prove sperimentali sono state effettuate presso l’Università

di Padova per la messa a punto di metodi per la determinazione

delle componenti nutrizionali e aromatiche nel latte bovino e nei

derivati e per la definizione dei fattori alimentari che possono

influenzare queste caratteristiche. In particolare, per quanto riguarda

gli aspetti nutrizionali, i principali studi hanno riguardato la

componente lipidica e, in particolare, i coniugati dell’acido linoleico

(CLA), il rapporto fra gli acidi grassi della serie omega 6:omega 3 e,

infine, il contenuto di alfa-tocoferoli (vitamina E). Per quanto

concerne invece il flavour, sono state identificate alcune sostanze

aromatiche che possono essere percepite favorevolmente dal

consumatore e, infine, sono stati valutati alcuni componenti,

appartenenti al gruppo dei sesquiterpeni, da utilizzare come possibili

marcatori di tracciabilità del prodotto. Sulla base dei risultati ottenuti

da queste ricerche pluriennali, si può affermare che il tentativo di

definire un indice sintetico in grado di caratterizzare il latte e i derivati

dal punto di vista nutrizionale e aromatico, valorizzando anche il

territorio di produzione, è un obiettivo auspicabile, raggiungibile però

con tecniche analitiche innovative (rapide e poco costose).

Page 164: Il modello latte nobile

Gli aspetti nutrizionali del latte I coniugati dell’acido linoleico (CLA)

Gli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA) rappresentano

componenti bioattive del latte, particolarmente interessanti per

l’uomo dal punto di vista nutraceutico considerati i loro effetti, ormai

accertati, sull’inibizione della carcinogenesi, sulla riduzione della

deposizione lipidica e dei trigliceridi ematici, per l’attività antidiabetica

e antiaterogenica (Secchiari, 2014). Da un’indagine effettuata su 250

aziende del Veneto è emerso che il contenuto di CLA nel latte è

legato al livello produttivo degli allevamenti, con valori che passano

da 0.415 a 0.522 g/100 g di acidi grassi rispettivamente per aziende

che producono oltre 3000 q.li/anno di latte, caratterizzate da sistemi

di allevamento intensivi e per quelle con una produzione inferiore ai

200 q.li/anno, collocate prevalentemente nelle aree montane e

pedemontane (Figura 1) (Bailoni et al., 2005b).

Figura 1.Contenuto di CLA nel latte in aziende con diversi livelli produttivi (Bailoni et

al., 2005b)

Prove effettuate invece in Valle d’Aosta (Figura 2) hanno evidenziato

come l’altitudine del pascolo delle bovine influenzi il contenuto di

CLA nel latte e quindi nel formaggio, dove aumenta da 1.65 a 1.90,

fino a 2.13 g/100 g di acidi grassi quando le bovine passano

Page 165: Il modello latte nobile

163

rispettivamente dal piede d’Alpe a 1600 m s.l.m. a tramuti via via più

alti (T1 a 2300 e T2 a 2550 m s.l.m.) (Mantovani et al., 2003). Va

però ricordato che i CLA possono aumentare nel latte e nel

formaggio anche attraverso opportune strategie alimentari come

l’impiego di alimenti ricchi di precursori (acido linoleico), quali ad

esempio la soia estrusa (Bailoni, 2004a).

Figura 2.Contenuto di CLA in formaggio Fontina prodotto in pascoli a diversa altitudine

(Mantovani et al., 2003).

Il profilo acidico e il rapporto fra gli acidi grassi insaturi omega

6:omega 3

Come è noto, il profilo acidico del latte e dei derivati si discosta molto

da quello raccomandato dai nutrizionisti nella dieta giornaliera

dell’uomo, che prevede un apporto di acidi grassi saturi non

superiore al 25% ed un elevato apporti di acidi mono- e polinsaturi.

L’impiego del pascolo e di diete ad alto contenuto di foraggi può

migliorare il rapporto saturi/insaturi nel latte come dimostrato in molte

ricerche (Bailoni et al., 2005a; Secchiari, 2014).

Nel latte, inoltre, l’apporto di acidi grassi della serie omega 3, e

specificamente dell’EPA e del DHA, che svolgono importanti azioni

nell’uomo, con particolare riguardo alla riduzione del rischio di

0

0,5

1

1,5

2

2,5

PA T1 T2

1,65 1,90

2,13

CLA

(%

of

tota

l FA

)

Page 166: Il modello latte nobile

malattie cardio-vascolari, è molto basso. L’adozione di strategie di

ordine nutrizionale in grado di modificare il rapporto omega 6:omega

3 nel latte rappresenta una tematica di ricerca attuale e di grande

interesse. Il rapporto omega 6:omega 3 è più favorevole nel latte

ottenuto da allevamenti di montagna rispetto a quello rilevato in

aziende più grandi e con più alto utilizzo di concentrati (1.692 e

5.155 in aziende di piccole e grandi dimensioni rispettivamente,

Bailoni et al., 2005b) e nel latte ottenuto nei pascoli più alti (da 1.64 a

1.31 al piede d’alpe e ai tramuti più alti, Mantovani et al., 2003).

L’impiego di alimenti ricchi di omega 3 può migliorare il contenuto di

questi acidi grassi sia nel latte che nel formaggio, come

recentemente dimostrato da Cattani et al. (2011, 2014). In questa

prova l’aggiunta alla dieta di vacche in lattazione di 500 g/d di lino

estruso ha ridotto nel latte il rapporto fra acidi grassi omega 6 e

omega 3 che è passato da 9.68 a 5.54 rispetto alla dieta di controllo

(Figura 3).

Figura 3.Contenuto di acidi grassi omega 6, omega 3 e rapporto omega 6:omega 3

nel latte ottenuto con la supplementazione di 0 (CTRL), 500 (L500), e 1000 (L1000)

g/d di lino estruso (Cattani et al., 2014).

Livelli di inclusione di lino estruso più alti (1000 g/d) non hanno

prodotto un ulteriore miglioramento di questo rapporto, indicando

come il trasferimento degli acidi omega 3 dall’alimento al latte non

sia linearmente correlato alla quantità di omega 3 introdotti con la

0,0

1,5

3,0

4,5

6,0

7,5

9,0

10,5

Omega 6 Omega 3 Omega 6:Omega 3

CTRL L500 L1000

Page 167: Il modello latte nobile

165

dieta. Risposte del tutto sovrapponibili a quelle ottenute nel latte

sono state osservate nel formaggio ottenuto con processi di

caseificazione standardizzati dopo 90 giorni di stagionatura. Va

considerato che sia nel latte che nel formaggio, la supplementazione

di lino non ha però mai permesso di raggiungere i livelli minimi di

acidi grassi omega 3 (0.3 g di acido alfa-linolenico per 100 g di

alimento) indicati dal Regolamento UE n. 116/2010 per poter

riportare sulla confezione il claim “Fonte di acidi grassi omega-3”.

Gli alfa tocoferoli (vitamina E)

La vitamina E svolge diverse funzioni biologiche nell’’organismo

umano ma è conosciuta prevalentemente per il suo ruolo di sostanza

antiossidante. Mediamente il latte alimentare prodotto in Italia

contiene 0.70 µg/g di vitamina E (INRAN, 2014). In prove effettuate

presso 16 aziende zootecniche e 3 caseifici collocati nell’area

montana veneta (altopiano del Cansiglio) sono state monitorate nel

corso di un intero anno le caratteristiche qualitative, tra cui il

contenuto di vitamina E, del latte di vacche allevate con metodo

biologico e convenzionale. Il contenuto di vitamina E, sia nel latte

pastorizzato che nel formaggio proveniente da aziende biologiche, è

risultato significativamente più elevato rispetto a quello dei prodotti

ottenuti in allevamenti convenzionali (0.83 vs 0.78 µg/g, P<0.05 per il

latte e 7.23 vs 5.13µg/g, P>0.01 per il formaggio). Tuttavia nei

campioni di latte (sia latte alimentare che latte di caldaia) provenienti

da aziende biologiche, dove non sono consentite integrazioni

vitaminiche nei mangimi, sono stati evidenziati dei livelli di vitamina E

molto variabili nel corso dell’anno e più alti nel corso del periodo

primaverile-estivo, quando gli animali usufruivano del pascolo, che in

autunno-inverno, come risulta dalla Figura 4 (Miotello et al., 2008). Il

ruolo delle essenze foraggere assunte con il pascolo

sull’arricchimento del latte di questa vitamina è quindi ulteriormente

confermato.

Page 168: Il modello latte nobile

Figura 4. Contenuto di vitamina E nel latte biologico prelevato in caldaia e in

confezioni di latte pastorizzato da marzo 2007 a marzo 2008 (Bailoni et al., 2008)

Le componenti aromatiche del latte Profilo aromatico

Le componenti aromatiche del latte (“flavour” nella dizione

anglosassone) comprendono sia l’odore che il gusto, caratteristiche

sensoriali legate rispettivamente alla presenza di sostanze volatili (di

basso peso molecolare) e non volatili (con peso molecolare più

elevato). Le prime sono sostanze liposolubili, presenti in quantità

generalmente molto basse (ppb) caratterizzate ciascuna da una

specifica soglia di percezione odorosa che dipende non solo dalla

concentrazione della sostanza ma anche dalla matrice,

dall’interazione con altri composti volatili e dalla sensibilità

individuale (Bailoni et al., 1998). L’approccio metodologico agli studi

dell’aroma del latte, utilizzato presso l’Università di Padova, è stato

di tipo strumentale ed ha previsto la messa a punto di metodi di

estrazione e concentrazione delle sostanze aromatiche (Purge and

trap) e di successiva quantificazione (gascromatografia, GC) (Bailoni

et al., 1998). La sperimentazione pluriennale condotta in

collaborazione con il Parco Adamello-Brenta su bovine di razza

Page 169: Il modello latte nobile

167

Rendena, ha avuto come obiettivo la valutazione del contenuto di

sostanze aromatiche in campioni di latte prelevato durante l’alpeggio

e durante la permanenza in stalla. Fra le diverse sostanze

identificate (chetoni, alcoli, aldeidi, esteri, composti solforati),

l’esanale e il dimetilsolfuro, che sono responsabili di un piacevole

odore di erba fresca appena tagliata, sono stati rilevati in

concentrazioni tali da poter essere percepite all’olfatto solo nei

campioni di latte prelevati in alpeggio (Figura 5) (Bailoni et al.,

2000a; 2000b).

Figura 5. Livelli di esanale e di dimetilsolfuro in campioni di latte raccolti in stalla (8

giugno e 16 ottobre) o durante l’alpeggio (3 e 30 luglio, 20 agosto). SP= soglia di

percezione olfattiva (Bailoni et al., 2000a; 2000b).

Basandosi su esperienze precedentemente effettuate sui vini,

Versini et al. (2000) hanno messo a punto una tecnica di

determinazione delle sostanze aromatiche più complessa, basata

sulla Solid-Phase Micro-Extraction (SPME) e successiva analisi in

cromatografia abbinata a spettrometria di massa (HRGC-MS). Le

analisi effettuate sui formaggi Puzzone di Moena e Nostrano hanno

rilevato nei due formaggi sia analogie (tenore elevato in acido

Page 170: Il modello latte nobile

propionico e, in generale, in acidi grassi) che differenze in alcune

sostanze (nel Puzzone maggior presenza di acido alchilico ramificato

a C6 e acido isovalerianico) (Figura 6).

Figura 6. Profilo acidico del formaggio Puzzone di Moena e Nostrano (Versini et al.,

2000)

Altri approcci agli studi dell’aroma del latte sono stati effettuati

considerando l’analisi sensoriale o tecniche miste (strumentali e

sensoriali) in grado di quantificare le sostanze aromatiche,

caratterizzandole anche direttamente dal punto di vista della

percezione odorosa.

La tracciabilità del latte Contenuto di terpeni

I terpeni, oltre a conferire al latte un odore gradevole, possono

essere considerati a tutti gli effetti dei “marcatori endogeni” in quanto

sono in grado di trasferirsi dagli alimenti (essenze foraggere,

specialmente degli areali alpini) al latte (e ai derivati) senza subire

sostanzialmente alcuna modificazione chimica. Dopo le prime

esperienze condotte da Bosset (Bosset et al. nel 1994), molte

Page 171: Il modello latte nobile

169

ricerche sono state pubblicate per verificare la possibilità di

identificare, attraverso l’analisi dei terpeni, l’origine del latte e il

sistema di allevamento adottato. In questo ambito presso l’Università

di Padova sono state condotte alcune prove per valutare i terpeni in

campioni di latte di diversa provenienza. Dal confronto fra latte

prelevato in diverse malghe dell’altopiano di Asiago e da aziende di

pianura che praticavano l’unifeed è emerso un diverso profilo dei

terpeni (Bailoni et al., 2004b) (Figura 7).

Figura 7. Contenuto di terpeni (aree evidenziate) nel latte prodotto in pianura

(Agripolis) e in due malghe dell’altopiano di Asiago (Laste Manazzo e Mandrielle)

(Bailoni et al., 2004b)

Un lavoro successivo sul formaggio Asiago ha identificato fra i

diversi composti presenti nelle essenze foraggere (Tabella 1), due

terpeni, il -cariofillene e l’ α-umulene, che sono in grado di trasferirsi

dalle essenze foraggere, al latte e al formaggio, costituendo anche

degli ottimi marcatori di tracciabilità per il formaggio d’alpeggio

(Favaro et al, 2005).

Conclusioni Sulla base dei risultati ottenuti in questi anni, si può affermare che il

tentativo di definire un indice sintetico in grado di caratterizzare il

latte e i derivati dal punto di vista nutrizionale e della loro

componente aromatica, valorizzando anche il territorio di produzione,

è un obiettivo assolutamente auspicabile, ma sarà raggiungibile solo

Page 172: Il modello latte nobile

attraverso l’impiego di tecniche innovative, rapide e poco costose,

applicabili su vasta scala.

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Page 175: Il modello latte nobile

173

Il Latte Nobile non è solo una buona idea, ma

un modello che funziona

Roncoroni C.1, Calabrò S.

2, Galli T.

1, Musco N.

2, Grossi M.

2,

Fagiolo A.1

1Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni

Lazio e Toscana M. Aleandri 2Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali,

Università di Napoli Federico II

Introduzione La preparazione, la lungimiranza e l’entusiasmo di un allevatore

hanno consentito al team di ricerca costituito da ANFoSC, Istituto

Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana e

Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali (DMVPA)

di realizzare una prova sperimentale in un’azienda agro-zootenica

sita a Segni (Roma), che produce e commercializza da quasi cinque

anni Latte di Alta Qualità. In particolare, è stato effettuato un

confronto in termini di benessere animale e qualità nutrizionale del

latte, tra due sistemi di produzione del latte: il Latte Nobile ed il Latte

di Alta Qualità.

L’azienda interessata si estende su una superficie di circa 110 ha,

dove alleva 340 capi bovini di razza Frisona Italiana; gli animali sono

tenuti a stabulazione libera e per sei mesi l’anno le vacche in

asciutta dispongono di quattro ha di pascolo su prato polifita. Le 150

vacche in lattazione hanno una produzione media di stalla pari a 25

litri/die. L’azienda è autosufficiente per la produzione di silomais,

fieno di medica e alcuni erbai che contengono numerose essenze

foraggiere (triticale, loietto, avena, medica, trifoglio spp.); per quanto

riguarda i concentrati ne acquista l’80% tra mais granella e fonti

proteiche.

Page 176: Il modello latte nobile

Materiale e metodi La prova sperimentale è stata realizzata tra marzo e agosto 2014,

utilizzando 40 animali omogenei per tipo genetico, numero di parti,

stadio di lattazione e produzione di latte, nonché stabulati e gestiti

nelle stesse condizioni di allevamento. In particolare, sono stati

individuati due gruppi di 20 animali ciascuno (A: gruppo aziendale;

LN: gruppo Latte Nobile), omogenei per numero di parti (media

gruppo A: 3.3; media gruppo LN: 3.4), distanza dal parto (media

gruppo A: 122 gg; media gruppo LN: 131 gg) e produzione di latte

individuale (media gruppo A: 27,8 litri; media gruppo LN: 28,9 litri).

Durante il periodo sperimentale, gli animali sono stati stabulati in due

recinti adiacenti con pari densità (1 cuccetta/capo); tuttavia, per

rispettare le indicazioni del Disciplinare, il gruppo LN aveva

saltuariamente a disposizione anche un paddock esterno (m

200x100).

Il piano di razionamento sperimentale (formulato previa analisi del

fieno aziendale) è iniziato in seguito ad un periodo di adattamento

della durata di 15 gg, dopo il quale è iniziata la raccolta dei campioni

(latte, sangue, alimenti), ripetuta con frequenza mensile fino ad un

totale di quattro controlli.

Le analisi effettuate vengono di seguito riportate:

– latte: parametri qualitativi ed igienico-sanitari (residuo secco

magro, grasso, proteine, lattosio, cellule somatiche, carica

batterica totale, pH, caseina e urea, aflatossina M1), profilo

acidico del grasso;

– sangue: esame emocromocitometrico, profilo glicolipidico

(glucosio, NEFA, beta-idrossibutirrato o BHB, trigliceridi,

colesterolo), profilo proteico (proteine totali, albumina, azoto

ureico, creatinina), minerale ed elettrolitico (Ca, P, Na, K,

Mg, Zn), stress ossidativo (metaboliti reattivi dell’ossigeno o

d-ROMs e barriera all’ossidazione o OXY), profilo

immunitario (battericidia, lisozima, complemento,

aptoglobina, CD4 e CD8);

Page 177: Il modello latte nobile

175

A LN

Silomais 25 -

Fieno misto 7.0

Fieno di medica 6.0 8.5

Crusca di frumento 1.6 1.0

Farina di mais 3.5 3.0

Triticale 1.5 1.0

Favino - 2.0

Girasole panello 1.6 -

Soia f.e. 1.8 -

Gruppo

– alimenti: composizione chimico-nutrizionale (sostanza secca,

proteine grezze, estratto etereo, fibra grezza, NDF, ADF,

ADL, ceneri) e valore nutritivo (UFL).

Risultati e discussione La razione del gruppo LN è stata preparata seguendo le indicazioni

fornite dal Disciplinare e si differenzia da quella del gruppo A per il

rapporto foraggio:concentrato pari a 70:30 (60:40 nel gruppo A) e

per l’assenza di alcuni alimenti (insilato di mais, farina di estrazione

di soia e panello di girasole), vietati dal disciplinare (tabella 1). Di

conseguenza, come era previsto, il livello proteico e la

concentrazione energetica della razione LN risultano inferiori rispetto

al gruppo A (Tabella 2).

Tabella 1:Ingredienti delle razioni (kg t.q.) impiegate in azienda durante la sperimentazione

Tabella 2: Composizione chimica delle diete impiegate in azienda durante la sperimentazione

% s.s. Ceneri Proteine Estratto Fibra NDF ADF ADL Amido UFL

grezze etereo grezza /kg s.s.

Gruppo A

6.36 15.01 2.91 19.27 38.64

26.26

7.92 13.79 0.86

Gruppo LN

7.89 12.09 1.88 28.19 49.06

40.25

10.30

9.64 0.76

Page 178: Il modello latte nobile

Per quanto riguarda la produzione di latte, come c’era da attendersi,

essa è fisiologicamente calata in entrambi i gruppi col progredire

della lattazione (Tabella 3); il gruppo LN ha mostrato in tutti i prelievi

un calo rispetto al gruppo A, anche se statisticamente significativo

(P<0.01) solo nel terzo prelievo. Per quanto riguarda il tenore lipidico

del latte, la maggiore quantità di foraggio della razione del gruppo

LN, nonché il calo produttivo, ne hanno di certo favorito un maggior

contenuto in tutti i prelievi, che risulta statisticamente apprezzabile

(P<0.01) in corrispondenza del terzo prelievo. La percentuale di

proteina del latte nei due gruppi non ha mostrato differenze

significative durante tutto il periodo sperimentale, a differenza del

contenuto in urea. Quest’ultima, infatti, si è mostrata inizialmente

(primi due prelievi) più elevata nel latte del gruppo LN, probabilmente

a causa di una minore concentrazione energetica della razione o di

una prolungata fase di adattamento della popolazione microbica

ruminale al cambio di dieta. Quest’ultima ipotesi sarebbe rafforzata

dalla maggior possibilità di scelta degli alimenti da parte degli animali

del gruppo LN, il cui unifeed, in virtù della sua minore umidità

potrebbe aver causato ripercussioni sulla stabilità del pH ruminale.

Comunque, già al terzo prelievo si è registrata una sensibile

diminuzione, per arrivare a valori significativamente (P<0.01) più

bassi rispetto al gruppo A al quarto prelievo. Inoltre, è stato

osservato che, la condizione corporea degli animali (BCS) degli

animali, anche se lievemente calato negli animali del gruppo LN, si è

mantenuto complessivamente soddisfacente.

Per quanto riguarda l’aspetto igienico-sanitario del latte, non si sono

evidenziate differenze significative fra i due gruppi in termini di

cellule somatiche e carica batterica totale.

Il profilo acidico del grasso del latte, riportato in tabella 4, risulta

alquanto interessante mostrando, in media, valori minori di acidi

grassi saturi (SFA) e maggiori di acidi grassi mono-insaturi (MUFA) e

poli-insaturi (PUFA) nel gruppo Latte Nobile rispetto al gruppo

aziendale, anche se non sono emerse differenze statisticamente

significative. Questi risultati, molto importanti dal punto di vista

Page 179: Il modello latte nobile

177

nutrizionale, sono di certo una conseguenza del maggior contenuto

in foraggio della razione somministrata al gruppo Latte Nobile (70%)

rispetto a quella del gruppo Aziendale (60%).

Tabella 3. Produzione quanti-qualitativa di latte nei due gruppi nei quattro

prelievi

Produzione

Kg

Grasso

%

Proteine

%

Urea

mg/dl

Gruppo A LN A LN A LN A LN

I 15.5 13.9 3.44 3.82 3.29 3.37 23.1B 38.2A

II 10.1 8.96 3.62 3.73 3.23 3.28 23.3B 38.2A

III 11.0A 7.98B 3.39B 3.83A 3.20 3.16 27.6 27.1

IV 9.23 7.63 3.36 3.40 3.22 3.24 29.0A 21.6B

Per ciascun parametro, lungo le righe: A,B differiscono per P<0.01.

Tabella 4. Profilo acidico del latte nei due gruppi

SFA

%

MUFA

%

PUFA

%

Gruppo A LN A LN A LN

I 74.54 73.00 21.39 22.83 4.07 4.17

II 74.80 72.74 21.24 23.02 3.96 4.24

III 73.95 74.39 22.45 22.03 3.60 3.58

IV 70.11 67.64 23.45 27.78 4.43 4.58

Riguardo il profilo metabolico (Tabella 5), tutti i parametri hanno

mostrato valori medi fisiologici in entrambi i gruppi probabilmente

perché l’azienda già adottava un tipo di razione non con

concentrazione energetica non elevata. L’azoto ureico conferma

l’andamento dell’urea del latte con valori significativamente più

elevati nei primi prelievi nel gruppo LN. I valori del BHB (Beta-

idrossibutirrato) indicano che l’eventuale deficit energetico del

gruppo LN nelle prime fasi sperimentali non abbia comunque

determinato squilibri metabolici, il che viene confermato dai valori dei

NEFA (acidi grassi non esterificati) che non indicano una

lipomobilizzazione e non significativamente diversi dal gruppo A,

nonostante le differenze elevate. Anche colesterolo, nonchè

Page 180: Il modello latte nobile

trigliceridi, calcio e glucosio (dati non riportati) sono risultati compresi

nei range fisiologici in entrambi i gruppi.

I parametri relativi allo stress ossidativo e alla competenza

immunitaria, sono stati valutati perché intimamente connessi allo

stato di welfare dell’animale. Per quanto riguarda lo stress

ossidativo, la capacità ossidante del siero (d-ROMs), più

comunemente nota come radicali liberi, si innalza, fra le altre cose, in

caso di diete sbilanciate e sindromi metaboliche, mentre, la capacità

antiossidante del siero (Oxy), rappresenta la difesa dell’organismo

contro i danni causati dai primi. Si tratta di parametri che vanno

valutati contestualmente (Tabella 6); nella presente sperimentazione,

i livelli di d-ROMs si mantengono bassi nel corso della prova con un

significativo, ma non cospicuo, aumento nel tempo, nel gruppo A;

tuttavia, non si sono evidenziate differenze significative fra i gruppi;

di contro il potere antiossidante (Oxy), partendo da uguali livelli nei

due gruppi, si innalza significativamente solo nel gruppo LN al

secondo prelievo e subisce un calo consistente al terzo e ancora al

quarto prelievo. L’andamento degli Oxy nel gruppo LN potrebbe

essere dovuto ad un’iniziale azione di efficace contenimento dei

radicali liberi seguita da una normalizzazione. Invece, nel gruppo

aziendale l’andamento degli Oxy manifesta una tendenza alla

diminuzione. Tuttavia, nel gruppo A i valori sono sempre

significativamente (P<0.01) più elevati rispetto al gruppo LN. Tali

differenze, nei prelievi II e III, rispecchiano l’andamento di alcuni

parametri relativi all’immunità aspecifica, ossia alla capacità

dell’organismo di reagire ad insulti di varia natura (chimica, fisica,

infettiva). Tali parametri sono utilizzati nella valutazione del

benessere perché influenzabili dall’azione immuno-depressiva dello

stress.

Lo zinco è un parametro comune alla valutazione dello stress

ossidativo, in quanto cofattore di antiossidanti enzimatici (SOD), e

della risposta immunitaria aspecifica perché influenzante la capacità

fagocitaria dei leucociti. L’andamento dello zinco, pur senza

differenze significative fra gruppi, è sovrapponibile a quello degli

Page 181: Il modello latte nobile

179

antiossidanti con differenze significative fra il secondo e il terzo

prelievo. Un analogo andamento hanno mostrato la battericidia, il

lisozima e l’attività del complemento, che per semplicità di

esposizione non vengono mostrati tutti ma che denotano anch’essi

una iniziale difficoltà di adattamento degli animali che si traduce in

immunodepressione.

Tabella 5. Alcuni parametri del profilo emato-chimico nei due gruppi

nei quattro prelievi

Produzione Grasso Proteine Urea

Kg % % mg/dl

Gruppo A LN A LN A LN A LN

I 15.5 13.9 3.44 3.82 3.29 3.37 23.1B 38.2A

II 10.1 8.96 3.62 3.73 3.23 3.28 23.3B 38.2A

III 11.0A 7.98B 3.39B 3.83A 3.20 3.16 27.6 27.1

IV 9.23 7.63 3.36 3.40 3.22 3.24 29.0A 21.6B

Per ciascun parametro, lungo le righe: A,B differiscono per P<0.01.

Tabella 6. Alcuni parametri immunitari nei due gruppi nei quattro

prelievi

d-ROMs Oxy Zn Battericidia

U CARR HclO/ml %

Gruppo A LN A LN A LN A LN

I 52 49 412 404 107 105 94 95

II 52 31 396B 478A 95 85 86 88

III 78 73 334A 250B 161 166 93 93

IV 78 65 300A 98B 113 101 94 93

Per ciascun parametro, lungo le righe: A,B differiscono per P<0.01.

Page 182: Il modello latte nobile

Conclusioni Gli animali hanno reagito positivamente ed in linea con le

aspettative; i primi dati ottenuti da questa prova sperimentale

mostrano che, a fronte di un irrilevante calo di produzione

quantitativa di latte nel gruppo Latte Nobile, la qualità nutrizionale del

prodotto ottenuto rispetto a quello aziendale risulta migliore,

soprattutto in termini di grasso e del suo profilo acidico. Per quanto

riguarda gli indicatori di benessere alcuni parametri, l’Oxy primo fra

tutti, hanno risposto in maniera interessante.

Un ultimo aspetto da considerare è la convenienza economica del

sistema Latte Nobile, che ha visto per ora un minor costo della

razione, ma che si prevede porterà anche ad una maggiore longevità

degli animali che vengono allevati con un sistema meno spinto.

In futuro, si auspica di poter migliorare la qualità dei fieni prodotti in

azienda, che prevedibilmente porterà ad un miglioramento di tutti i

parametri relativi alla qualità del latte. Al momento della stesura della

presente pubblicazione, i dati relativi al comportamento animale

erano ancora in corso di elaborazione.

Complessivamente, solo prolungando il periodo di osservazione e

applicando il protocollo in altre aziende tali risultati potranno essere

confermati.

Ringraziamenti Si desidera ringraziare il personale tutto dell’Azienda “Fattoria la

Frisona” per la collaborazione entusiastica e competente e la

Dott.ssa Maria Ferrara del DMVPA per la sua collaborazione tecnica.

Page 183: Il modello latte nobile

181

Quando il latte valorizza il territorio

Maurizio Ramanzin e Enrico Sturaro

DAFNAE-Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse

Naturali e Ambiente Università degli Studi di Padova

Qualità del latte: diverse prospettive (finora)

Nel corso degli anni, il concetto di qualità del latte si è evoluto, anche

in funzione delle aspettative del consumatore e delle esigenze della

filiera di trasformazione. Tra i parametri di qualità intrinseca del

prodotto gli aspetti igienico-sanitari e la composizione chimica

rappresentano gli indicatori di riferimento più utilizzati per i sistemi di

pagamento latte-qualità, e gli studi condotti in questi anni hanno

permesso di migliorare tali parametri lavorando sulla genetica e sulla

gestione aziendale. Per quanto riguarda la filiera di trasformazione,

negli ultimi anni è stata prodotta una ricca letteratura scientifica sulle

caratteristiche tecnologiche del latte, con studi approfonditi sui

parametri lattodinamografici e sullo sviluppo di metodologie

innovative per studiarli (Bittante et al., 2012) Infine, sta aumentando

sempre più l’interesse sul ruolo del latte e dei prodotti alimentari in

genere sulla salute umana, nell’ambito del settore della nutraceutica

(Bava et al; 2013; Spietsberg, 2005).

Con il termine qualità estrinseca si identificano invece quei parametri

non oggettivabili attraverso l’analisi del prodotto, che finora sono stati

riferiti soprattutto alla percezione che il consumatore ha di aspetti

particolari del suo processo produttivo. Per il latte i fattori considerati

sono stati soprattutto la “qualità di filiera”, con l’attenzione ai modi di

produzione e alla tracciabilità lungo le fasi di produzione. In questo

senso, lo sviluppo di marchi certificati, come ad esempio il biologico

(Krystallis e Chryssohoidis, 2005) o i presidi Slow Food (Petrini e

Padavoni, 2007) va incontro alle esigenze di un mercato sempre più

attento all’origine dei prodotti. Anche l’attenzione all’ambiente,

nell’accezione più ampia del termine, rientra nelle caratteristiche

Page 184: Il modello latte nobile

estrinseche di un prodotto, e per quanto riguarda il latte i principali

aspetti ambientali considerati finora sono stati il rispetto delle

normative e dei limiti vigenti (vedi ad esempio la Direttiva Nitrati).

Solo di recente gli studi si sono focalizzati su approcci integrati per la

valutazione della sostenibilità dei sistemi di produzione, ponendo

particolare attenzione alla quantificazione delle emissioni in

atmosfera e alla definizione delle “best practices” per aumentare

l’efficienza del sistema e ridurre l’impatto ambientale (De Vries and

De Boer, 2010), anche nel nostro Paese (ASPA, 2012). Nell’ultimo

decennio, tuttavia, l’approccio all’”ambiente” è stato rivoluzionato dal

riconoscimento che i diversi ecosistemi sono in grado di fornire

diversi tipi di benefici (MEA, 2005), denominati “ecosystem services”

o servizi ecosistemici, al genere umano. Questi servizi sono stati

codificati in servizi di approvvigionamento che forniscono i beni veri e

propri, quali cibo, acqua, legname e fibra, servizi di regolazione, che

regolano il clima e le precipitazioni, l'acqua (ad es. le

inondazioni), i rifiuti, la diffusione delle malattie e la produzione

primaria, servizi di supporto, che comprendono la formazione del

suolo, la fotosintesi e il ciclo nutritivo alla base della crescita e

della produzione, servizi culturali, relativi alla bellezza, all'ispirazione

e allo svago che contribuiscono al nostro benessere spirituale. La

loro valutazione può essere applicata a tutti gli ecosistemi, quindi

anche agli agro-ecosistemi (Giupponi et al., 2009). L’approccio

seguito per definire i “servizi ecosistemici” è stato poi integrato

nell’analisi e nella pianificazione territoriali (de Groot et al., 2010),

dato che ogni “territorio” (un’area relativamente omogenea per

caratteristiche ambientali e socio-economiche) si caratterizza per

comprendere diversi ecosistemi naturali, semi-naturali o artificiali.

Tramite i suoi ecosistemi, un territorio può svolgere diverse funzioni

per l’umanità (dette “landscape functions”), che in maniera molto

simile ai servizi ecosistemici sono generalmente raggruppate in

quattro categorie (de Groot, 2006): la funzione produttiva (alimenti

per l’uomo da fauna e piante selvatiche ma soprattutto da agricoltura

e zootecnia, legname e prodotti forestali, energia da fonti fossili e

rinnovabili, risorse genetiche animali e vegetali allevate e coltivate,

Page 185: Il modello latte nobile

183

ecc.), la funzione di regolazione (del clima, tramite la

fissazione/liberazione di CO2, CH4 e altri gas serra, dei rischi

naturali, tramite la protezione da inondazioni, valanghe, frane,

incendi, ecc., idrica, tramite la disponibilità/sottrazione di acqua per

le varie esigenze naturali e umane, di depurazione da inquinanti

dell’aria, del suolo e delle acque, di prevenzione dall’erosione, di

controllo biologico, come l’impollinazione, il controllo di parassiti e

specie invasive, ecc.), la funzione di conservazione degli habitat

naturali, della loro biodiversità animale e vegetale e dei processi

evolutivi naturali, la funzione culturale, tramite la fruizione estetico-

ricreativa, culturale e artistica del paesaggio naturale e culturale.

Queste funzioni sono fortemente influenzate dall’azione dell’uomo

sull’uso del suolo e sulle attività produttive, e interagiscono tra loro,

potendo risultare a seconda dei casi antagoniste (ad esempio la

massimizzazione della produzione di cibo tramite l’agricoltura

intensiva è in antagonismo alla conservazione di habitat naturali), o

sinergiche (ad esempio la conservazione di un particolare habitat

naturale può migliorare la godibilità estetica e la fruizione culturale di

un’area). Il ruolo della zootecnia nel determinare le funzioni di un

territorio non è certo trascurabile: il 46% della SAU italiana è gestito

da aziende con allevamenti o è costituito da prati/pascoli (il 78% in

montagna). In questa prospettiva, i sistemi di produzione del latte,

per i quali il rapporto con il territorio e le materie prime che se ne

ricavano è fondamentale, dovranno porre sempre più attenzione alle

funzioni che essi sono in grado di fornire in relazione con gli agro-

ecosistemi in cui si inseriscono. E’ infatti il complesso di queste

funzioni che, in sostanza, definisce la qualità estrinseca del prodotto.

Produzione di latte e funzioni del territorio La tabella 1 riporta una sintesi, necessariamente semplificata, delle

principali forme con cui i sistemi di produzione del latte possono

contribuire alle funzioni del territorio. La distinzione tra sistemi

intensivi ed estensivi si basa sul concetto generale per cui nei

sistemi estensivi l’animale si adatta all’ambiente (uso di risorse

foraggere locali, livelli produttivi adattati alle risorse disponibili,

Page 186: Il modello latte nobile

pascolamento, etc) mentre nei sistemi intensivi è l’ambiente che si

adatta all’animale (alti livelli produttivi con forti input esterni

all’azienda e al territorio). Tab. 1 – potenziale ruolo dei sistemi zootecnici di produzione del latte per le “funzioni

del territorio”

Sistemi di produzione

Tipo di funzione

Servizi forniti Intensivi Estensivi

Produttiva Produzione di latte e derivati +++ +

Salvaguardia della biodiversità genetica allevata

-- +++

Regolazione Emissioni di gas serra e nutrienti ? ?

Protezione dagli incendi -- ++

Protezione dai dissesti idrogeologici ?/+ ?/++

Conservazione Conservazione di habitat e specie prioritari ?/+ +++

Culturale Conservazione della qualità estetica e degli elementi tradizionali del paesaggio

?/+ +++

Conservazione di saperi tradizionali e folklore

?/+ +++

Offerta di elementi per la fruizione turistico-ricreativa

?/+ +++

? = effetto potenzialmente negativo

-- = servizio molto limitato o assente;

+, ++, +++ = servizio di crescente livello di importanza

Non c’è dubbio che la gran parte della produzione nazionale di latte

deriva dai sistemi intensivi, senza i quali la domanda interna del

prodotto sarebbe ancora meno soddisfatta dalla già deficitaria

offerta, e che questa produzione avviene con crescente efficienza

(ASPA, 2012). Tuttavia, sono i sistemi zootecnici estensivi, basati

sull’utilizzo di prati e pascoli, quelli che possono maggiormente

contribuire ad una conservazione in situ, integrata in allevamenti

economicamente sostenibili, della biodiversità animale domestica

(Panella, 2011).

Page 187: Il modello latte nobile

185

Considerando la funzione di regolazione, per il latte la letteratura

scientifica più recente è incentrata soprattutto sul tema della ”Carbon

footprint” e, meno, su quello della “Water footprint”, analizzate

utilizzando l’approccio LCA (life cycle assessment, o “valutazione del

ciclo di vita” in italiano). Si tratta di un metodo oggettivo di

valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e

degli impatti potenziali associati ad un prodotto/processo/attività

lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine

vita (“dalla Culla alla Tomba”). A livello internazionale la metodologia

LCA è regolamentata dalle norme ISO della serie 14040’s in base

alle quali uno studio di valutazione del ciclo di vita prevede: la

definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione dell’analisi, la

compilazione di un inventario degli input e degli output di un

determinato sistema, la valutazione del potenziale impatto

ambientale correlato a tali input ed output e infine l’interpretazione

dei risultati (ISPRA, 2014). L’applicazione di questa metodologia agli

allevamenti è comunque ancora controversa (Pirlo, 2012), e, anche

se le strategie per ridurre l’impronta ecologica della zootecnia sono

numerose (ASPA, 2012), per implementarle efficacemente è

necessario un approccio che consideri i diversi flussi e le loro

interazioni a scala territoriale (de Vries e de Boer, 2010). Inoltre,

mancano soprattutto studi sugli allevamenti estensivi, che, se da un

lato sono svantaggiati dalla limitata produttività individuale, dall’altro

sono favoriti dal ricorso a prati e pascoli invece che seminativi, dal

minore input di alimenti extra-aziendali e di energia fossile, dalla

densità di animali/ha più bassa. Invece, gli allevamenti, soprattutto

quelli estensivi, possono contribuire positivamente ad altre funzioni

di regolazione. Le superfici a prateria (non abbandonate) hanno un

ridotto potenziale d’incendio rispetto alle aree coperte da arbusti o da

foresta, e quindi riducono il rischio d’innesco e l’estensione degli

eventi (Hocthl et al., 2005). L’abbandono delle pratiche di gestione

delle praterie e di manutenzione di prati e pascoli posti in aree

morfologicamente a rischio aumenta il rischio di dissesti

idrogeologici, che si riduce solo quando, e se, la vegetazione

arbustiva alta o quella arborea colonizzano i versanti abbandonati,

Page 188: Il modello latte nobile

stabilizzandoli (Newesely et al., 2000; Tasser et al., 2003). D’altra

parte, la gestione zootecnica se mal condotta può essere negativa: i

fenomeni di sovrapascolamento predispongono all’erosione e ai

dissesti (Newesely et al., 2000).

Figura 1. Correlazione

tra carico (UBA per

ettaro) e ricchezza di

specie sedentarie di

farfalle su malghe

pascolate da vacche da

latte in Provincia di

Trento (Klimeck et al.,

2013)

Ai fini dei servizi di conservazione degli habitat e della biodiversità il

ruolo principale che possono svolgere i sistemi di produzione del

latte è il mantenimento di praterie gestite in maniera estensiva, che

sono fortemente diminuite negli ultimi decenni in tutte le aree rurali

del Paese, e rappresentano spesso habitat prioritari per la Rete

Natura 2000 che offrono inoltre ospitalità a invertebrati e vertebrati,

fra cui vari anfibi, farfalle e uccelli anch’essi prioritari (EEA, 2010).

Un recente lavoro condotto in provincia di Belluno tramite approccio

GIS (Geographic Information Systems) (Cocca et al., 2012), ha

evidenziato come, tra il 1980 e il 2000, circa il 40% delle aree aperte

siano state rimboschite, in particolare nelle zone di versante dove

esse sono maggiormente importanti per il paesaggio e più ricche di

biodiversità. Il principale fattore in grado di contenere l’avanzata del

bosco, fra una serie di fattori socio-economici, è stato il

mantenimento di allevamenti bovini da latte tradizionali (mandrie di

medie dimensioni, produzione moderata, utilizzo di prati e dei

pascoli), mentre sia l’abbandono che la trasformazione in intensivi di

0

5

10

15

20

25

0 0,5 1 1,5 2

ricchezza m

edia

carico (UBA/ha)

Page 189: Il modello latte nobile

187

questi allevamenti non hanno contribuito a rallentare la perdita di

aree aperte. Analisi più focalizzate dimostrano, inoltre, come

l’intensità di gestione delle praterie sia legata anche alla biodiversità

a scala locale di specie vegetali e animali. Ad esempio, in figura 1

viene riportato quanto osservato in un recente studi condotto su un

campione di malghe trentine, dove emergeva che il pascolamento

con vacche da latte condotto con carichi bassi garantiva una

maggiore ricchezza di specie di farfalle rispetto a un carico elevato.

In molte aree del Paese, gli assetti socio-economici, i moduli

architettonici, i modelli culturali e i metodi di utilizzo delle superfici

agro-forestali si sono storicamente definiti sulle esigenze

dell’allevamento, costituendo un variegato patrimonio tangibile

(architetture e manufatti tradizionali, caratteristiche e integrazione

degli elementi naturali e semi-naturali del paesaggio, strumenti e

attrezzi di lavoro, ecc.) e non-tangibile (conoscenze e saperi empirici

tradizionali, linguistica, folklore, ecc.). Questo patrimonio è

ovviamente in rapida evoluzione, ed è stato nell’ultimo cinquantennio

fortemente intaccato sia dall’abbandono che dall’intensivizzazione

delle forme tradizionali di allevamento che lo avevano creato.

Quanto di esso rimane è però una ricchezza culturale per l’identità

delle popolazioni locali e per tutta la comunità in genere, ma anche

un valore economico per l’attrattiva turistica di molte aree. Al

contributo della zootecnia per la gestione del “Paesaggio

Zootecnico” l’Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali

(ASPA) ha dedicato recentemente un volume (Ronchi et al., 2014),

cui rinviamo il lettore desideroso di approfondimenti.

Come evidente dalla tabella 1, i sistemi intensivi sostengono la

funzione produttiva, ma le loro forme attuali di utilizzo delle risorse

del territorio ne riducono la possibilità di offrire altri tipi di servizi. In

realtà, riteniamo che in futuro anche questi sistemi potranno, e

dovranno, svolgere un ruolo maggiore per le funzioni di

conservazione e culturale del territorio. Essi, infatti, sono diffusi in

paesaggi molto antropizzati dove, se aumentassero l’attenzione

Page 190: Il modello latte nobile

verso gli elementi che possono migliorare la naturalità e fruibilità

estetico-ricreativa degli agro-ecosistemi, potrebbero fornire quei

servizi di agricoltura urbana o periurbana la cui richiesta è in

continua crescita (Biasi, 2014). E’ per questo che in tabella 1 viene

indicata una potenziale funzione positiva anche per gli allevamenti

intensivi. Inoltre, va rilevato come la suddivisione in sistemi intensivi

ed estensivi, ancorché necessaria per la discussione in questa sede,

semplifichi notevolmente la realtà Ad esempio, uno studio condotto

nella provincia di Trento (Sturaro et al., 2013) ha messo in luce come

le 610 aziende da latte esaminate possano essere suddivise in

almeno quattro sistemi, che presentano diverse interazioni fra

numerosità della mandria, livello produttivo, biodiversità delle razze

impiegate, capacità di gestione delle risorse foraggere locali e del

paesaggio, output di nutrienti per litro di latte, capo allevato e unità di

superficie, destinazione e valorizzazione economica del latte

prodotto.

Conclusioni

Le relazioni tra allevamento, territorio e ambiente finora sono state

considerate principalmente in funzione delle normative finalizzate

alla mitigazione dell’impatto ambientale. Con l’evoluzione delle

politiche comunitarie (vedi svolta verso il Greening della PAC 2014-

2020) e la crescente attenzione dell’opinione pubblica nei riguardi

della sostenibilità ambientale delle produzioni, diventa importante

considerare anche le esternalità positive sugli agro-ecosistemi in cui

gli allevamenti operano. Nonostante il crescente interesse per i

servizi ecosistemici, sia a livello scientifico che politico, è ancora

poco chiaro come misurarli e quantificarli. Ciò richiede infatti un

approccio sistemico che consideri come essi sono generati dalle

interconnessioni fra sistemi sociali ed ecologici, come interagiscono

fra loro a scala globale e locale, e come un cambiamento nell’offerta

complessiva influenzi il nostro benessere (Reyers et al., 2013). E’

anche necessario integrare diversi approcci e strumenti di analisi,

come ad esempio analisi geo-statistiche (Burkhard et al., 2009),

misurazione e/o stima di indici di biodiversità animale e vegetale

Page 191: Il modello latte nobile

189

(Swift et al., 2004), valutazioni della qualità estetica e del significato

culturale degli ecosistemi (Schaich et al., 2010), ecc. Non c’è però

dubbio che, dopo la definizione dell’impianto teorico, si sta ora

rapidamente passando alla fase della implementazione dei servizi

ecosistemici nella pianificazione territoriale e nelle valutazioni

economiche. L’individuazione di indicatori attendibili e possibilmente

non troppo complessi da misurare deve essere sviluppata con una

prospettiva che, oltre all’approccio tipico della ricerca applicata,

tenga conto anche del processo di trasferimento della conoscenza al

settore produttivo. Per un effettivo coinvolgimento di tutti gli “attori”

della filiera, è necessario che la ricerca individui degli indicatori per i

servizi ecosistemici, che gli enti preposti alla pianificazione

territoriale li utilizzino e li propongano ai produttori come riferimento,

e che il consumatore sia educato ad apprezzare e ricercare il latte “a

servizio del territorio”.

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