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IL MIO NOME È AURELIO PER GLI AMICI VRELIO Autobiografia di Aurelio GOVI A cura di Deanna Montruccoli

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IL MIO NOME È AURELIO PER GLI AMICI VRELIO

Autobiografia di Aurelio GOVI

A cura di Deanna Montruccoli

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Ai miei figli e ai nipoti che ho amato e tanto amo ancora

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PREFAZIONE

Aurelio e io ci conosciamo da tempo perché siamo compaesani di Fogliano. Mi ha raccontato la sua biografia e siamo diventati amici.

Il giorno stabilito con lui per l’intervista, Aurelio aveva l’influenza e abbiamo rimandato di alcuni giorni l’appuntamento.

Al primo incontro era ancora un po’ indisposto, tuttavia mi ha accolto amabilmente nella sua casa in cui vive da solo dopo la morte della moglie.

Di fianco a lui abita la famiglia di Marta, sua figlia. Mi chiederà più volte il motivo del mio interesse per la “Storia della sua

vita… e dove andrà a finire questa”. Per tranquillizzarlo, nel corso delle interviste, gli ripeterò più volte, quali sono

le finalità di questo ‘lavoro’ e come si svolgerà. Aurelio, che ha una memoria formidabile, mi ha raccontato di sé, dei tempi

passati e del suo presente. E’ un po’ della sua vita che arriva a me e a chi la leggerà attraverso il suo

racconto fatto di parole, silenzi, sorrisi, emozioni. Ne faremo tesoro. Grazie Aurelio. Deanna

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ALBERO GENALOGICO DI AURELIO

Giovanni Govi 1850- 1917 mezzadro

sp. Virginia Rinaldini – sec. nozze Maria Bertoldi

Claudia 1879 – 1946

sp.Giovanni Bertoldi

Natale 1881 –1963 mezzadro

sp. Clementa Bartoli

Giuseppe 1886 – 1968

mezzadro sp. Elvira Gilioli

Ida 1912- 1964 sp. Marino

Ruozzi

Riccardo 1913

sp.Anna Menozzi

Vittorio 1915 – 1976

sp. Celsa Ruozzi

Maria 1917 – 2000 sp. Casimiro

Menozzi

Giovanni 1920 - 1942

Emilio 1911 – 1993 sp. Giovanna

Bonacini

Aurelio 1921

colt. Diretto sp. Elena Barbieri

Santina 1924

sp. Vincenzo Prandi

Marta 1956

sp.Gianluca Denti

Graziella 1960

sp.Silvano Bigi

Giovanni 1962

Gabriele 1990

Alessandro 1994

Francesco 1990

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RICORDI SPARSI SUL TAVOLO

Eccoci qui, seduti l’uno di fronte all’altra nel soggiorno. Aurelio teme di esprimersi in modo inadeguato, ha preso appunti su

di un ‘notes’ in modo da ricordare gli avvenimenti con ordine e per non tralasciare le cose più importanti e significative.

Mi chiamo Aurelio Govi, sono nato qui a Fogliano nel Podere

Sant’Antonio, nella casa che c’è ancora. Dopo abbiamo fatto San Martino nel 1929.

Sono nato il 12 settembre del 1921. (Aurelio da seduto si alza, prende un mazzetto di fogli, foto e

documenti ingialliti dal tempo e li mostra). Qui ciò tutto: questo è mio fratello che è morto, aveva 22 anni;

questo è mio padre; qui è quando gli americani hanno bruciato la casa…eccola qua, la casa vecchia, la casa colonica sulla strada.

(Ricordi sparsi sul tavolo, memorie di eventi tragici legati all’ultima guerra escono come un fiume in piena: la casa colpita, la morte del giovane fratello).

Vede cosa è rimasto della camera di mio padre? Questa roba qua. Qui c’è la villa della Curli che erano i nostri padroni, c’è il viottolo. Io sono nato dietro a quella casa lì (villa dei Curli) nella casa di mio

nonno Giovanni. Hanno bruciato tutte le case delle tre famiglie Govi qui vicino, ma la

nostra è stata la peggio, la più rovinata. Sono venuti i vigili e hanno spento il fuoco, non è rimasto niente, si è salvata questa roba qua, un po’ bruciata ma è arrivata; queste qua erano foto che erano in cucina: c’era la foto di mia mamma è andata, di mia nonna è andata.

E’ bruciato tutto, per quaranta minuti… se domanda a Fogliano…è tutto bruciato, anche la mobilia… c’è scritto tutto, qua. (nel notes)

Era il 19 Marzo del 1945, prima del 25. Qui c’era un deposito di munizioni dei tedeschi dentro la casa e tutto

fuori nel prato. Erano due giorni che erano andati via i tedeschi. Prima gli americani

hanno bombardato, circa quaranta giorni prima hanno mollato le bombe sul ponte e hanno ucciso anche un cavallo.

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E dopo hanno visto che tutto è rimasto fermo, sono tornati e i han bombarde con quattro apparecchi per quaranta minut seimper continuameint. Io ero a casa mi ricordo bene sa? C’era tutto un pasticcio qui!

Gli americani volevano far saltare tutto, credevano che ci fossero ancora le munizioni, per fortuna i tedeschi le avevano portate via, sennò saltava per aria tutto Fogliano.

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UNA FAMIGLIA PATRIARCALE Mi ricordo di quando avevo sei anni, eravamo in famiglia e

c’eravamo in sedici figli. C’era Govi Natale, (lo zio) ne aveva otto e Govi Giuseppe mio padre

ne aveva otto. Govi Natale aveva cinque femmine e tre maschi e Govi Giuseppe

aveva cinque maschi e tre femmine; con i genitori eravamo in venti, più la nonnina ventuno, la Bertoldi Maria.

Io ero il più giovane dei fratelli, poi mia sorella, del resto i maschi sono dal 1911 al 1921.

Ho un fratello, Riccardo, che c’è ancora, va per i 96; mia sorella abita a Reggio, lei è vedova. Di otto siamo rimasti in tre e gli altri sono andati via tutti.

Mio nonno era vedovo e si è sposato con una signorina che era la

Bertoldi Maria e lei era quella che ci faceva da mangiare a tutti noi. La mia prima nonna io non l’ho conosciuta, è morta il tempo della

prima guerra, io non ero nato, mio nonno era rimasto vedovo allora, nel 1917.

Mio nonno aveva tre figli: Natale, Giuseppe e la Claudia, la Claudina che è andata poi in casa dei Bertoldi.

E’ morto Giovanni che era mio nonno e sono rimasti Natale e Giuseppe e i sedici figli e la nonnina. Ci voleva bene eh! Lei veniva da Regnano.

La nonnina era piccola, analfabeta, era stata a Milano quindici anni da una famiglia di signori. Lei diceva sempre: “I signori mi dicevano: ‘I poveri, i contadini non c’è bisogno che vadano a scuola!’”.

Ripeteva ogni tanto quella frase lì. E’ morta a 100 anni nel 1968. Allora, quando eravamo ancora tutti insieme, tante volte la nonnina

ci faceva mangiare fuori in mezzo all’aia, specialmente d’estate quando c’era la bella stagione.

Quando avevo sei, sette anni, mio padre mi parlava dei ‘garibaldini’. Allora c’erano i vagabondi che andavano nelle stalle, qualcuno era

garibaldino, mio padre diceva: “Col le’ l’e un garibaldein”.

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Uno è morto nella stalla in d’la paieda, (sacco sopra alla paglia) eravamo nel 1926-1927, allora i ragazzi dormivano nella stalla fino a quando si sposavano.

Govi Enrico il cugino di mio padre dormiva vicino a lui, si è svegliato e ha visto che era morto. Mio padre lo raccontava sempre.

Mi ricordo che eravamo tutti assieme in famiglia, tutta questa gioventù!

Allora non c’era l’asilo. A sei anni sono andato a scuola qua a

Fogliano. Giocavo spesso con la Gabriella, la figlia della mia padrona la

Ferrari, che veniva a scuola con me. Si giocava nel suo giardino lì, con del fil di ferro, delle scatole, si

costruiva dei trattorini. Lei forse aveva più giochi di noi, aveva delle bamboline.

La Gabriella c’è ancora, è mal messa ma c’è ancora, da me a lei ci sono venti, trenta giorni… so che l’allattava mia mamma e mia zia che aveva Silvio, che adesso è morto, lui è nato in Agosto, la Gabriella è nata a fine Agosto e io il 12 Settembre.

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CONTADINI E PADRONI Noi Govi eravamo i mezzadri; i signori Curli Ferrari erano i nostri

padroni. Loro avevano i fondi, cento biolche di terra, la villa, il giardino. Una volta c’era l’Ente Veneri, dopo è venuto Riccò. Lo raccontava

mio padre, io non c’ero. Dopo ha comprato Curli Merli, la Ferrari Camilla.

I signori sono sempre stati gentili con noi, altrochè! Dopo della Gabriella è nato Giovanni, poi è nato Antonio, poi la

Mimma. La Gabriella è a Bologna, ha sposato un notaio; gli altri, una parte

sono a Milano. L’ingegner Giovanni è andato giù a Perugia, ha trovato una di là.

Poi la terra è andata ai contadini. Adesso i proprietari della villa sono i Miari.

Dopo, nel 1929 abbiamo diviso e siamo venuti qua. C’erano tre fondi qui, sempre sotto lo stesso padrone: uno di là

dal ponte, il podere San Prospero dove c’era Govi Alfredo il cugino di mio padre, c’è ancora la casa là; uno in mezzo, il podere Sant’Antonio, mio padre mi ha detto che aveva due anni quando è venuto lì, sotto i Veneri, allora. (abitazione famiglia Govi di 21 membri).

In casa nostra eravamo tutta

una famiglia. Comandava Natale mio zio, al rezdor, il fratello che era più vecchio di mio padre, mio nonno era morto.

E qui (abitazione attuale di Aurelio) c’era il podere San Nicolò che c’era poi Iori, è andato via del 1929 e siamo venuti noi: mio padre con la sua famiglia.

Avevamo la terra sopra e sotto.

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OH! IL PANE ERA UN PROFUMO…

Mia mamma Giglioli Elvira, è nata il 8.8.1888, andava in chiesa a insegnare il catechismo ai ragazzi della scuola elementare; io andavo sempre con lei.

Le due donne d’inverno aiutavano la rezdora, filavano e d’estate stavano nei campi, c’era da lavorare nei campi e nella stalla.

Mia zia si chiamava Bartoli Clementa, che ha partorito un figlio mentre era su ‘alla foglia’, pelava la foglia degli olmi per le bestie, ne ho pelata anch’io della foglia!

Ha partorito Silvio, allora si partoriva in casa, c’era lei e l’Elvira tutte due le cognate. Io sono nato dopo quindici giorni.

Andavano proprio d’accordo che guai! Anche la nonnina era brava, era buona.

Da mangiare a casa mia ce n’era: dei gnocchi di patate, delle uova

fritte, dei radicchi. Al mattino, a colazione la polenta, da ottobre andare a marzo.

C’era della miseria ma comunque il mangiare c’era. Oh! Il pane era un profumo che era una meraviglia, lo facevano una

volta ogni otto giorni, c’era il forno, ogni casa aveva il suo forno. Mi ricordo l’odore di quando facevano i ‘ciccioli’ e del pesto dei

salumi. Veniva, da che mi ricordo io, un Bertoldi da Pratissolo, il macellaio, al bcher, dopo ha imparato mio fratello e faceva lui. Si uccidevano sempre due, tre maiali.

Si uccidevano le pecore. Tanti anni le avevamo noi e tanti anni le compravamo qui da Prati o a Scandiano per Santa Catareina.

C’era della miseria ma comunque il mangiare c’era. Ricordo benissimo quando filavano nella stalla vecchia, mia mamma

e mia zia e le figlie più vecchie quando facevano la tela, con il telaio d’inverno.

Il telaio era in una stanzina vicino alla cucina, me lo ricordo bene. Tutte si imparava, le donne, le ragazzine come avevano 13-14 anni. Adesso vanno a giocare a palla, allora imparavano a lavorare. Preparavano la dote per tutti. oh! eren in sedes! Ci voleva la dote per tutti uomini e donne! Lenzuola, tovaglioli... Lavoravano!

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I miei fratelli poi si sono tutti sposati, la prima a sposare è stata

l’Ida, poi gli altri. Fino al 1967 io e mio fratello Emilio, il più vecchio, siamo rimasti insieme.

C’era il podere San Nicolò che c’era poi Iori, è andato via del 1929 e

siamo venuti noi, mio padre con la sua famiglia. E così… la grande famiglia patriarcale dove Aurelio ha vissuto da

bambino, si andrà trasformando nel corso degli anni, sull’onda di esigenze nuove.

11 Novembre 1929, San Martino, divisione famiglia fratelli Govi (Giuseppe, Natale)

Documenti di Bilancio scorte dotali al Fondo Ferrari Curli

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LE PERSONE PIÙ IMPORTANTI A scuola andavo qui a Fogliano e ho cominciato a fare la prima

elementare, ho fatto fino alla quinta. Mi ricordo bene che c’era la Miari Maria, era una maestra suora, era buona, buonissima. Siccome facevo il chierichetto, quando andavo a scuola e c’era anche un morto oppure una Messa cantata, andavo là con un bigliettino che me lo dava Don Bernardi e lei mi lasciava andare.

A scuola prima eravamo alla Palazzina in via Beato Angelico, poi siamo venuti là, da Viani, dietro all’officina dei Braglia, e la quinta l’ho fatta a Gavasseto.

Andavamo di qua oppure in bicicletta, giù per la stazione; si attraversava la ‘botte’, un muretto che sotto c’è un profondo, c’è il Rodano, c’è ancora.

Di lì passava anche il parroco Don Ximenes in bicicletta quando è venuto del 1940; prima era curato di Gavasseto e veniva a Fogliano, perché Don Bernardi era ammalato.

A volte andavo a scuola a Gavasseto a piedi, a volte mi accompagnavano con il cavallo da Due Maestà; quando c’era il cattivo tempo c’erano i Bigi lassù dalla Noce, adesso sono tutti morti, in tre o quattro ci caricavano sopra la biroccina o il biroccio.

Nella mia vita da bambino, sono stati importanti prima la mia

maestra e Don Bernardi Adeodato, e, nella mia famiglia, la mamma, il papà, i fratelli, tutti quanti.

Solo c’era una cosa: ero poi un po’ più piccolo ancora, avevo quattro anni così, che non sapevo mica dividere bene i fratelli, che eravamo tutti mescolati. Dicevo da me stesso: “Quando sarò più grande vedrò quali sono i miei fratelli, quali sono le mie sorelle”. Ragionavo così. I nostri genitori ci trattavano tutti uguali.

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TRA CASA E PARROCCHIA C’era la casa e la parrocchia, si andava in parrocchia, si faceva festa

per S. Antonio e per S. Colombano, allora c’erano i cantori, c’erano delle gran feste in chiesa.

Eh!..guai, guai!.. Per le feste, a Natale e a Capodanno, c’erano tanti di quei tortelli, tortellini di tutte le qualità: tortelli fritti, tortelli cotti, tortelli di zucca, di castagne cun l’aieda. C’era la nonnina che era brava a farli!

Faceva il panettone, faceva tagliare il ‘tortello’ per la ‘fine dell’anno’ o per la Befana. Ci faceva divertire. Chiudevo gli occhi, tagliavo il tortello, tutti sti ragazzi e via!

Si passava le Feste così. C’era da mangiare, da divertirsi; i più grandicelli scappavano da una famiglia all’altra. Così. Cominciavano a girare. Si faceva il presepio con qualche statuina, roba da poco, di gomma o roba fatta in casa dalle ragazze con la stoffa.

Ricordo bene nel 1929 quando si è sposata la mamma di Zanichelli

che era poi la sorella di mia mamma, che gli hanno fatto la ciocouna, perché lui era vedovo. Giravano di notte con degli imbuti, dei tamburi.

Io ricordo che ero un bambino, mia mamma non voleva perché era sua sorella che l’ha tot Zanichelli, sai c’erano poi Emilio, Riccardo, Vittorio, i ragazzi più grandicelli, i miei fratelli. Correvano di notte giù dalla Palazzina poi giù dalla stazione e da per tot.

C’era il matrimonio il giorno dopo e loro facevano del rumore, cantavano: “Roberto al fiol ed Gianii…Barbareina sposa un vedovo…”

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DOVE VAI FALCE?.. Ricordo, quando ho lasciato la scuola che mi dispiaceva. Mi piaceva studiare, ma sa una famiglia così… Ha studiato solo un

po’ quella che è andata nelle suore, la figlia di Natale, la Giovannina. Ho cominciato a lavorare a 12 anni, dopo la scuola. Con l’aiuto dei

fratelli incominciai il lavoro del contadino, li seguivo piano piano nel lavoro dei campi, a falciare l’erba.

Ricordo un giorno, traversando la strada con la falce in spalla, un ciclista scherzando disse: “Dove vai falce con quel bambino?”. Si andava a arare con le mucche, adesso vanno coi trattori, allora si andava con le bestie. Mi piaceva mietere, solo che era una campagna lunga, quindici, venti giorni, dipende dalla stagione. Aiutavo mio fratello Riccardo quello che c’è ancora, nella stalla che eravamo già nella casa qua. Erano anni difficili, gelo e freddo. Per andare nella stalla al mattino dovevamo scaldare la porta perché era ghiacciata, col freddo si inchiodava la porta della stalla.

Nella casa senza riscaldamenti, le ragazze, le donne portavano le brace a letto, c’era la stufa e il camino.

Nel 1929 il Duce ha messo la quota novanta. Si vede che i soldi

erano andati giù di valore. So che si lamentavano, ne sentivo parlare dai genitori, dai vecchi, ma io ero piccolo.

I vecchi dicevano dei Proverbi: Santa Lucia la nota più longa ca seg sia (13 Dicembre) Per Nadel un pe’ d’nimel (25 Dicembre) Per Pasquetta un selt ed cavrèta (6 Gennaio) Per Sant’ Antoni un’ora tonda, cag n’in manca ne in sema ne’ in fonda (17 Gennaio)

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APPUNTI DI GUERRA (1941 – 1945)

(Dagli appunti scritti da Aurelio su notes)

“All’età di anni 17 cominciai il pre-militare, a 18 anni mi hanno dato la patente di 2° grado. Il 22 Gennaio 1941 partii per il militare, ero il terzo fratello sotto le armi: Vittorio classe 1915 partito per la Russia, Giovanni 1920 autista per il 4° Centro Automobilistico Verona, io Aurelio parto per il 3° Centro Automobilistico Milano, da Milano Autoblindato come ‘autista autoblindato’ aggregato al Genio Pavia. Da Pavia a Pordenone con la Divisione Corazzata Littorio in partenza per l’Africa. Verso la metà di ottobre da Pordenone siamo andati a Pompei pronti per l’imbarco. A Pompei eravamo alloggiati nella ‘Casa dei Pellegrini’, pronti per partire…dove è avvenuta la grazia”.

Tutte le sere andavo nella chiesa della Madonna di Pompei. L’ultima sera sono andato in chiesa poi, sembra una storia e forse

uno non ci crede, un po’…un po’ con le lacrime, pensando a due fratelli in Russia e io dover partire per l’Africa non sapevo neanche nuotare.

Dopo sono andato a dormire, allora dormivamo sul pavimento così. Mi sono addormentato, ho fatto un piccolo sogno. Ho sognato che avevo la febbre e mi mandavano all’ospedale.

Mi sono svegliato. Tutte le mattine passava il Sergente d’Ispezione, ho marcato visita e m’ha mandato all’ospedale di Napoli. Avevo un po’ di febbre, gli altri son partiti, io son rimasto all’ospedale.

(Dagli appunti)

“Era il 21 dicembre 1941, fui operato di appendicite il 18 gennaio 1942.

Il 25 gennaio venni a casa in convalescenza 40 giorni. Rientrai a Pavia al Genio, dopo qualche giorno rientrai a Milano al

mio Reggimento. Venne la primavera, a giugno son venuto a casa in licenza agricola.

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Passa luglio, agosto…mi chiamarono in fureria: “Devi andare a casa in licenza 20 giorni perché tuo fratello Vittorio (rientrato dalla Russia) è rimasto ferito e ora si trova all’ospedale militare ‘Putti’ di Bologna.

Arrivai a casa, mia madre mi disse: “Giovanni sono due mesi che non scrive”. Proprio in quei giorni arrivò la notizia della sua morte”.

Infatti dopo io vidi un ufficiale che veniva su dalla stazione di

Fogliano, allora si andava in treno, e poi è andato prima dai genitori di Iotti, dritto lì dove c’è il forno, dopo è andato dal parroco Don Ximenes e dopo sono venuti da mia mamma a dare la notizia che era morto Giovanni.

Andai a Bologna io e mio fratello Emilio, arrivati al ‘Putti’, Vittorio sofferente, le prime parole che disse furono: “Non pensate a Giovanni perché è in Ucraina, è lontano dal fronte”.

Non abbiamo potuto dirgli che era morto, i dottori ce l’hanno proibito.

Rientrando al mio reggimento il colonnello mi ha mandato a Carugate di Cernusco vicino Milano nella ‘Compagnia di Completamento’ come cuciniere.

Dopo che ci hanno comunicato la morte di Giovanni in Russia,

abbiamo dato ai parenti il suo ‘ricordino’. Lo ha scritto il notaio Bonoli Viscardo, il marito della Gabriella

In terra di Russia anche tu immolasti la tua fiorente giovinezza

ai supremi ideali della patria, o Giovanni!

La coscienza della tua morte gloriosa sia di conforto nella luce suprema della fede

a tua madre, a tuo padre, di orgoglio ai tuoi fratelli e di esempio a tutti.

Dal cielo degli eroi, con tutti i nostri prodi benedici anche tu l’Italia e invoca la pace.

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IL RASTRELLAMENTO E I NASCOSTI

(Il racconto di Aurelio è intervallato di pause per l’emozione che sta rivivendo)

Venne l’8 settembre 1943, Badoglio si era ritirato. Io sono arrivato a casa da militare, da Milano a piedi. Sono partito l’8 settembre e arrivato il 12 settembre. Ci ritrovammo a Fogliano io e mio cugino Silvio, entrambi disertori, e Mario Govi reduce da 24 mesi in Russia. Non potevamo muoverci da casa. Stavamo nascosti.

Nel 1944 i tedeschi fecero il rastrellamento. Io e mio fratello Vittorio eravamo a casa, e allora si stava attenti. Quando di notte ho visto che giravano le pattuglie, verso le tre, io ho

preso la falce in spalla per andare da mio zio, là in fondo per andare a Gavasseto, per far vedere che andavo a lavorare.

Contro quella cabina lì, c’era un tedesco che mi ha fatto: “Alt!”. Mi ha fermato, m’ha detto: “Niente arbeiten oggi! Niente lavorare

oggi!”. Mi ha chiesto dove abitavo. Io andavo a segni per dirgli: “Io abitare

qui”. Mi ha lasciato andare a casa. Dopo, verso le dieci o le undici, sono venuti a cercarmi. Fortuna che

si è presentato mio fratello Vittorio che era mutilato della Russia e ha detto: “Sono io”.

Invece io ero su nel fienile, nascosto, sennò mi mandavano in Germania nei campi di concentramento con tutti gli altri.

Era un rastrellamento, cercavano tutti, ne hanno portati di Fogliano, altroché se ne hanno portati! E’ anche morto qualcheduno.

Ricordo un altro fatto di quei tempi di guerra. L’onorevole Marconi era amico di Don Ximenes e di notte, da

Castelnuovo Monti, ha portato giù in canonica due ufficiali inglesi, era tempo di guerra, erano gli ultimi mesi; lui non li voleva mica, c’erano i tedeschi. Era gennaio o febbraio, era in inverno del 1945. Ricordo bene: erano su un apparecchio sinistrato. Ricordo proprio, sono rimasti lì un quattordici-quindici giorni.

Dopo sono andati a Modena, si sono vestiti da donna, in bicicletta.

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I BOMBARDAMENTI E GLI SFOLLATI (Siamo alla fine della seconda guerra mondiale. Il fatto qui

raccontato, ripetutamente evocato da Aurelio, si riferisce al bombardamento ad opera degli americani mirato alla distruzione di materiale bellico depositato dai tedeschi in zona poderi Ferrari Curli.

Il tragico avvenimento, di cui Aurelio è stato spettatore, ha sconvolto in quei giorni le famiglie Govi e quella dei loro padroni, e ha lasciato in lui un segno indelebile.

Egli dirà più avanti: “E’una cosa un po’ tremenda… uno scossone… Me lo ricordo sempre anche adesso, mi ricordo sempre”).

La prima volta hanno bombardato con gli aerei nel febbraio del

1945. Due bombe ma grosse. Hanno fatto due buche: una qui, (prato antistante la casa podere S. Nicolò) una sul ponte.

Il primo colpo c’erano tutte le munizioni qui, però non hanno fatto niente, si vede che non hanno mica centrato. Invece la seconda volta, il 21 marzo, gli apparecchi hanno mitragliato: andavano e venivano, andavano e venivano per quaranta minuti, fin che la nostra casa si è bruciata. Ma sono bruciate anche la Villa Curli e le altre due case coloniche dei Govi. Secondo loro (americani) prendevano tutto, invece i tedeschi se ne erano andati, erano due giorni che erano andati.

Noi eravamo nei campi; invece mia mamma e la Giuseppina

Bonacini, la sorella di mia cognata, erano in casa; c’era mia sorella, erano tre o quattro donne che gridavano: “ Aiuto! Aiuto!”.

Dopo quando hanno visto che cominciava a bruciare la casa, hanno attraversato la ‘porta morta’, come c’era nelle vecchie case, per andare nella stalla dove c’era il fieno sopra, per stare più riparate; nell’attraversare la Giuseppina ha preso una mitragliata a una gamba.

Dopo gliela hanno tagliata e hanno fatto una gamba di legno; per fortuna che il suo fidanzato l’ha sposata lo stesso. Erano ‘sfollati’ qui da noi, tutti erano sfollati, erano a S. Maurizio quando hanno bombardato il ‘Campo Volo’ li abbiamo ricevuti noi in casa: sia lei, (Giuseppina) suo padre, suo fratello, sua moglie, la madre Catellani Irma di Canali.

C’era l’ospedale qui alle scuole di Fogliano, c’era i dottori che aspettavano. Loro gridavano: “Aiuto! Aiuto! Aiuto!”.

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I dottori che erano lì dalla chiesa, dicevano: “Aspettate, che adesso veniamo!”.

Noi eravamo di là dalla strada; c’erano quelle buche del tempo di guerra per stare nascosti, per salvataggio. C’eravamo io, mio fratello, mio padre, abbiamo visto tutte le nostre case bruciare. Si aspettava che andassero via.

E’una cosa un po’ tremenda…uno scossone…Me lo ricordo sempre anche adesso, mi ricordo sempre.

Dopo il mitragliamento avevamo portato via tutto il bestiame. (Le mucche delle tre famiglie Govi). Noi dormivamo da Davoli, tutti e tre i Govi, nella vecchia villa Riccò alla Palazzina, in quel fabbricato che ha comprato Boni dopo. Noi eravamo lì dentro perché le case erano tutte sinistrate.

Eravamo ‘sfollati’. Per quarantacinque giorni siamo stati là. Il bestiame era un po’ da uno, un po’ dall’altro.

Casa agricola “Podere San Nicolò” - località Villa Fogliano Già abitazione dei fratelli Aurelio ed Emilio Govi dal 1929 e demolita nel 1983

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LIBERAZIONE, RICOSTRUZIONE Dopo quaranta giorni quando è venuto il 25 aprile siamo ritornati in

casa, riparata come si poteva. La famiglia era unita ma i dispiaceri non mancavano. Il 25 aprile noi eravamo da Davoli, si sentiva dire: “ Ci son gli americani! Ci son gli americani!”. Infatti sono arrivati loro, sono passati di volo sulle carrozzine; buttavano giù dei cioccolatini, delle caramelle, non si sono fermati, loro andavano avanti, non ci ho parlato io.

L’unico ostacolo l’han trovato lì, a Due Maestà, che non so chi sia stato, o i partigiani, oppure loro che hanno ucciso un tedesco sul ponte. Lui ha resistito. Ma è morto e l’hanno portato al cimitero qui a Fogliano. Dopo abbiamo cominciato di nuovo a lavorare.

Mio padre e mia madre erano un po’ giù di morale, perché vedevano bruciare tutto: la biancheria… tutto è bruciato. Avevamo nascosto in un tino… tutto è bruciato!

I foglianesi hanno aiutato un po’ anche loro, i parenti, i Zanichelli ci hanno dato gli armadi, i letti. Tutto quello che si poteva recuperare, insomma.

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LA GIOVINEZZA, AMICIZIE, AMORI Allora si andava alle ‘Sagre’. Di solito andavo sempre con il

parroco; andavo in chiesa alla sera, dicevamo il rosario e poi dopo si giocava, ci si divertiva così. C’era poi un certo Salati che abitava al ‘Casone’, era figlio del sindaco di Albinea, era uno studente, veniva sempre qui, eravamo in tre o quattro o cinque e si giocava a carte nella canonica, perché allora non c’era mica il salone ancora, in casa di Don Azzolini Ximenes e della signorina Domenica, che era una brava donna, era sua sorella, era maestra ma era bravissima.

Poi c’erano i suoi nipoti che studiavano: c’era Riccardo Azzolini che adesso è su a Castelnovo, ed è in pensione; c’era Abdon che è morto, era preside a Casalgrande; il fratello del dentista Genitoni Piergiorgio, figlio di una Azzolini, che è morta l’anno scorso di 103 anni.

Don Azzolini aveva ereditato la casa vecchia dove abitava Ronchetti e tre o quattro biolche di terra, dopo ha fatto fabbricare. Quando ha lasciato la parrocchia è andato lì. E’ andato quindici, venti giorni su a Castelnovo, là a Cola, dove avevano un fondo i suoi fratelli, poi è tornato a Fogliano.

Quando eravamo giovani, di solito alla domenica si andava in parrocchia. Qualche sera, quando proprio c’era brutto, si andava nelle stalle a giocare, un po’ da una parte un po’ dall’altra. C’erano i cugini lì. Nelle sagre si andava nei ‘festival’ a ballare alla Bersana, oppure anche qui a Fogliano, prima della ‘Casa della carne’, in mezzo lì c’era

un festival, lo mettevano per le sagre a Fogliano due volte l’anno al massimo. Io sapevo ballare un pochino, mi piaceva, c’era il tango, il valzer, la mazurca.

Piazzale chiesa di Fogliano, anni 40 –Aurelio con gli amici della parrocchia

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(Una luce si accende negli occhi di Aurelio, sorride alla domanda sul suo primo amore).

Altroché se mi ricordo! La prima simpatia è stata quella della Gabriella, la Curli. Avevo dieci-undici anni. Qualche ‘bacetto innocente’, diceva Don Bernardi che lo sapeva, ce lo siamo dato. Era lei che mi provocava, andavo là a fare i compiti. Era sempre profumata!

Dopo, un po’ l’una un po’ l’altra, come si è da giovinotti. Con le ragazze, quelle dell’Azione Cattolica ci trovavamo lì alla chiesa, sempre. C’era poi mia moglie. Altre ragazzine si trovavano nei festival, si trovavano in giro, nelle stalle. Allora era così.

Dopo la Benedizione alla domenica ci trovavamo sul Sagrato della chiesa, perché allora il salone non c’era ancora. La sala l’abbiamo fatta noi, è stata la prima.

Ricordo bene che abbiamo guastato il vecchio cimitero, il muro che guardava verso qua confinava con i nostri campi. Quando facevo il chierichetto i morti li portavamo qua; dopo ricordo del 1934-35 siamo andati lassù (attuale cimitero). Eravamo io, Don Azzolini, Giglioli Giuseppe che era un ragazzino. Abbiamo tirato via i primi mattoni. Nel 1949-50 abbiamo cominciato a costruire il salone.

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QUAND’ È CHE PRENDETE MOGLIE? Mia moglie si chiamava Barbieri Elena. L’ho conosciuta quando era a Gavasseto, viveva lì. Era una

ragazzina. Poi dopo lei è andata a Roma a servizio dai signori, i signori Rossi, aveva 13 o 14 anni. E’ stata là cinque o sei anni, dopo è venuta a casa, e abitava a Bosco. In casa sua c’era sua sorella, due dei suoi fratelli, c’era sua mamma, suo papà. Erano gli anni 1950-52.

Prima di lei, ce n’erano altre due o tre in giro. Fra quelle c’era anche l’Angiolina Iori, è andata nelle suore, adesso è morta anche lei. Abitava vicino alla chiesa, dove c’è il salone. Lì prima c’era una casetta, c’era Enrico Iori, c’era Gino che adesso abita ad Albinea. Io ero un po’ fidanzato per qualche mese con l’Angiolina e dopo ci siamo lasciati con lei e…

(Aurelio ricorda quando si è dichiarato). E’ stato quando siamo andati a Roma per l’Anno Santo, c’era anche

lei l’Elena… (pausa) sul treno mentre si andava… insomma… ricordo che lei mi ha detto (allora ci davamo del Voi ancora): “Quand’è che prendete moglie?”.

Io ci ho detto: “ Quando Vi sposate Voi! ”. Volevo dire “Quando sposo Voi”, ma lei ha capito. A ‘moroso’ andavo in bicicletta a Bosco, di solito la domenica sera,

qualche volta veniva lei qua… facevamo il cinema nel salone, io ero ‘bigliettario’ e non potevo andare là e lei veniva al cinema e stava qua, dopo l’accompagnavo a casa. Delle volte lei veniva anche a piedi, per la stazione là… Fogliano, la stazione

Veniva su dalla ferrovia fino a Bosco e da Ruozi

sul ponte veniva a Fogliano.

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Quando andavo a casa sua eravamo soli, la mamma era nella cucina e noi eravamo nella saletta… avevamo un’età… anche lei…aveva ventinove anni! Certo che sono diverse adesso. C’è una mia zia che adesso è morta che mi diceva: “ Al don dal gioren d’in co’ in come al galeini” (ride). Le galline col gallo… senza pudore, senza niente…beh! fa niente! “… Lei veniva anche a piedi, per la stazione là…”

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IN CASA GOVI ARRIVA ELENA Mi sono sposato il 6 Febbraio del 1954…a ghera tant ed neiva! Il

salone parrocchiale era già stato inaugurato nel 1951-52. Io avevo 32 anni e mia moglie ne aveva 30. Dopo uno o due anni di fidanzamento abbiamo detto: “ Qui bisogna sposarsi, cosa facciamo qua? ”.

Coi vecchi abbiamo parlato dopo, quando io e lei avevamo deciso di sposarci, lei l’ha detto a sua mamma e a suo papà, e io ai miei genitori. Noi avevamo un’età matura! Mio papà diceva sempre: “Ma sposati, sposati! cosa vuoi aspettare” .

Ci ha sposati Don Ximenes. Abbiamo fatto un pranzo qui a casa mia.

C’era Giovanni Curli, il fratello della Gabriella a fare da testimone per me, il fratello di lei, Renato, ha fatto da testimone per lei. Eravamo una cinquantina e più! Lei cantava, cantava con il coro e aveva anche un disco. I miei nipoti me l’hanno perso, non so dove sia andato, è andato perso e non l’ho più trovato o che l’hanno rotto, chissà!

Quello era un bel ricordo, ciò pensato tante volte! Mi piaceva averlo, è andato perso così. Lei cantava l’Ave Maria sempre in chiesa ai matrimoni, ma cantava benissimo, con Zanichelli che suonava il violino. A quanti matrimoni li chiamavano. Cantava l’Ave Maria di Schubert.

Eh! A casa cantava sempre lei! Solo che poveretta aveva molti disturbi.

Poi sono arrivati i figli:la Marta è nata il 10 dicembre, dopo è nata la Graziella, poi è nato Giovanni e l’ultimo l’ha perso.

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“TOC TOC” CON STÀ GAMBA… Ricordo bene gli ultimi anni, prima che arrivasse il Dottor Corradini,

amministrava la Curli Camilla (madre di Gabriella). Era vedova, era morto suo marito il 25 Aprile del 1951. Prima da lei ci andava mio padre a fare i conti, e negli altri poderi ci andava Giuseppe che è morto anche lui, il figlio di Natale. E di là ancora c’era Alfredo, un’altro Govi.

(Aurelio esita nel descrivere aspetti inediti che riguardano la vita

della signora, a quel tempo sua padrona). La Camilla era un po’… era un po’…era piena di debiti insomma. Gli piaceva…gli piaceva vivere la vita un po’… era un po’

sbarazzina via! Gli piaceva girare avanti indietro…era un po’ allegra. Il Prevosto gliela aveva detto, perché si parlavano sempre, ma lei

voleva prendere un amministratore: “ Signora, ma ha dei bravi contadini, perché non fa lei?”. “ No, no! Io prendo Corradini perché a me piace la vita libera, mi piace”.

Quando eravamo tutti insieme nella famiglia grossa, mio fratello Emilio non ci andava mica dalla Camilla, era più vecchio, era sempre occupato, faceva il macellaio.

Mio padre non si sentiva più e mi diceva: “Vacci te”. La tenevo io l’amministrazione allora, nel 1948, dopo la guerra.

Dopo è morto suo marito e andavo là a farci i conti. Lei si alzava al mattino, in pigiama veniva lì tutta sbarazzina: “Oh! Oh!”

Alfredo me l’aveva detto quando ha saputo che mio padre mi aveva dato in consegna la contabilità: “Attento! Attento perché lei cerca sempre...”

Mio padre non si trovava mai coi conti, perché lei faceva un po’ per conto suo.

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DA MEZZADRI A COLTIVATORI DIRETTI Siamo stati nella casa da contadini assieme a mio fratello Emilio

fino del 1967. C’era mio fratello con il figlio, la figlia, la moglie, c’ero io, la moglie e i tre figli e il papà e la mamma, eravamo una famiglia grossa.

La Curli ha messo in vendita i fondi, ventidue biolche. Mio fratello ha cominciato a dire: “Io non compro mica”. Il figlio andava a lavorare fuori con la trebbiatrice. Allora io ho detto: “Io tento di comperare ”. Mio padre non voleva: “Mo ch’se vet a fer?” Allora i soldi erano pochi.

Ho avuto del coraggio, perché avevo mio padre, mia madre, mia moglie che aveva qualche disturbo e tre figli piccoli, io solo a lavorare. Eppure ce l’ho fatta. Però mi alzavo al mattino alle tre - tre e mezza e fino alla sera alle nove sempre si lavorava.

I primi anni avevo quarantadue biolche di terra, mi aiutava un po’ anche mio padre ma dopo tre mesi è morto; mi aiutava un po’ Giovanni Mattioli, il marito della Maria quella che c’è ancora, ha più di cent’anni. Dopo Giovanni, si è ammalato e non è più venuto, poi è morto. Ho trovato qualcheduno del Bosco, uno della montagna che era venuto ad aiutarmi.

A comprare il podere e la casa ho speso …mancava qualcosa a 20 milioni, ma ho fatto il mutuo; allora c’era il ‘Quarantennio’, un mutuo per quarant’anni all’uno per cento, scadeva qui nel 2008. Adesso, dovevo pagare l’ultima rata. Adesso!

Io l’ho riscattato quando ho potuto vendere, con il tempo. C’era da lavorare. Mia moglie lavorava anche lei ma faceva quello

che poteva perché aveva dei disturbi. Zanichelli Rino, mio cugino, mi ha detto: “Non puoi mica continuare così! Te ti ammali!”. Loro avevano fatto la stalla nuova. Mi disse: “Facciamo una cosa. Facciamo una società di fatto. Te porti nella stalla le bestie, le stimiamo”. Siamo andati dal notaio e abbiamo fatto una società di fatto. Ho messo le bestie là da Zanichelli, tutto quello che avevo. Gli ho dato la terra, però io risultavo proprietario, pagavo i contributi. Al mattino mi alzavo alle tre per andare nella. C’era una “stallata” di bestie che faceva paura eh! Ce ne erano 90-95 da mungere e tutti i vitelli. Io ero il ‘bifolco’ insomma…

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Fino al 1975. Dopo sono venuto fuori. Lavoravo nella stalla, veniva anche la Cicci, suo marito Giovanni…e via. Però andavo nella stalla due, tre ore e sapevo che gli altri andavano nei campi a fare gli altri lavori, io ci andavo se potevo.

Davanti alla legge eravamo una società di fatto, invece tra noi avevamo il contratto che loro pagavano tanto di affitto della terra. Eravamo figli di sorelle ma erano galantuomi tutti, sia Rino, Giovanni, la Cicci, la Maria...guai, guai!

Ricordo che andavo via presto e mia mamma poveretta mi diceva sempre: “Ma come fai a resistere così?”. E sono ancora qua! Sono 33 anni che curo il cuore.

Però i bambini… c’erano la Graziella e Giovanni che verso le sette e

mezzo mi portavano la colazione là nei campi o nella stalla. Verso la metà del 1975 ho cominciato a sentire un po’ di disturbi. Il veterinario Costi, che abitava al Buco del Signore, veniva nella stalla, c’erano le bestie da visitare, c’erano i parti. Una mattina gli ho detto: “ Sgnor dotor, come mai io dopo un’ora che sono qui nella stalla mi sento a venire a meno il fiato?”. Lui mi ha detto: “Ma non hai niente al cuore?”. “ Io non ho mai provato!” Allora sono andato dal dottore, che mi ha mandato dal cardiologo. Mi ha trovato dei disturbi nel cuore. C’era Casali, mi ha detto: “Dunque che mestiere fai?” .

Allora io gli ho detto la storia…la stalla… “Dunque: niente stalla, niente lavorare” mi ha detto e ho dovuto poi

ricoverarmi. Sono venuto a casa l’ho detto a Rino, era lui il capo famiglia, che mi ha detto: “Adesso andiamo dal notaio, sciogliamo subito la società”. L’abbiamo sciolta e ciao.

E dopo, nel 1976 mi hanno passato la pensione di invalidità, mi ha aiutato la moglie del Morini, l’Onorevole della Democrazia Cristiana. Lei era di Castellarano, era una dottoressa e lavorava alla Previdenza Sociale.

Dovevo curarmi e basta! Non ho più lavorato. Nella stalla non potevo più lavorare. Facevo dei lavoretti, andavo là,

aiutavo Zanichelli nei campi a vendemmiare. Andavo a Sesso da un certo Fontanesi, mio amico che ora è in America e prima abitava qui a Fogliano. Aveva una gran tenuta là, c’erano delle mele, dei pomodori. Andavo là a fare qualche ora, roba leggera.

E sono ancora qua! Sono 33 anni che curo il cuore. Qualche

volta ho dei disturbi, vado sempre al controllo, delle volte mi viene meno il fiato di notte.

Sono stato ricoverato là da Casali. Poi quando Casali è andato in pensione, sono andato da Guiducci. Adesso mi cura Brandi, che tra

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l’altro avrebbe poi sposato una figlia di una sorella di un mio cugino di là, l’ho trovato là.

Quanti ricoveri ho fatto sempre in Cardiologia! Mi sentivo male, respiravo male. Sto meglio, però sono andati su con quei palloncini per tentare di allargare…sto meglio! Però non posso mica far fatica. Hanno ceduto le gambe, sempre per la circolazione.

Sono contento insomma. Ho lavorato molto, adesso mi riposo.

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GLI IMPEGNI NELLA COMUNITÀ DI FOGLIANO

Dopo la guerra, abbiamo cominciato nel 1946 le votazioni: o

repubblica o monarchia, c’era da scegliere. Poi nel 1948 le politiche, a Fogliano è venuto Dossetti, sono venuti

anche l’Onorevole Marconi e la Nilde Iotti qui alle scuole, a fare i comizi.

Dossetti, che dopo si è fatto prete, è venuto qui da Iotti dove c’è il forno, ha parlato lì.

Invece Marconi ha parlato nel nostro ‘casello’ dove c’è Rossi adesso, e la Nilde Iotti invece ha parlato nelle scuole.

Dal 1946 al 1948 c’era un po’ di battaglia con gli amici, con i nemici e via! Ah! I’om fat dal batagli un po! C’era il comunismo e la DC qui.

L’impegno era per la chiesa e per la politica, un pochino. Dove si poteva arrivare. Allora c’era Salati che era il figlio del Sindaco di Albinea, era un mio amico, lui collaborava. C’era il Parroco, c’era Iotti. Ero anche iscritto ai ‘Coltivatori Diretti’, sono ancora iscritto, vado da loro per la denuncia dei redditi.

Ho fatto anche il Segretario della Democrazia Cristiana a Fogliano nel 1953-54, facevamo le Feste dell’Amicizia a Canali. Ma io ero amico coi comunisti! Quando c’erano le votazioni, si preparava il teatrino, si facevano le conferenze e venivano i politici. Si andava

nelle case per insegnare a votare a uno, all’altro, agli amici. 1 Maggio 1961 – Don Ximenes benedice i mezzi di trasporto davanti al piazzale del teatrino parrocchiale (salone)

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A VOI CHE SAPETE PREGARE! Nel 1948 sono andato a Roma per l’80° dell’Azione Cattolica. C’era

anche Camillo Rossi, il papà della Gabriella Prati. Siamo andati in treno. Di Fogliano eravamo in quattro.

E a Roma c’era poi Carlo Carretto che ha parlato. (E le parole udite da Aurelio in quel convegno, scritte nella sua

memoria, ritornano cariche di quella forza ideale che animava gli spiriti dei giovani uomini sopravissuti alla guerra, ad operare per un’Italia pacificata).

Ricordo ancora la fiaccolata verso l’una - l’una e mezzo dopo mezzanotte dopo il lungo discorso che aveva fatto. Ricordo che lui ha detto: “Siamo qui quasi in trecentomila…” . Eravamo dopo la guerra…allora ha detto: “Quanti ne abbiamo perduti!”. Questo qui io lo ricordo sempre… so che io avevo mio fratello! “Ed erano i migliori!” ha detto. “ Ed è per questo che siamo qui. Ci rivolgiamo a voi, uomini del governo, a voi che sapete pregare, a voi che siete lì perché la carità cristiana vi ha portati”.

Mi è rimasto nella testa. Queste parole qua…Dopo ha continuato il suo discorso e via… Allora Carlo Carretto era Presidente dell’Azione Cattolica, dopo è andato in America, non so se è ancora vivente.

Eravamo in trecentomila da tutta l’Italia, da Castel Sant’Angelo, via Conciliazione a tutto San Pietro, tutto pieno era di notte.

Qualche politico c’era! Dossetti me lo ricordo bene. Ma allora si lavorava di più, c’erano più giovani. Eravamo in meno

parrocchiani ma alla chiesa ce ne andava di più. C’era mica ancora i mezzi che ci sono adesso, perché le macchine sono arrivate nel 1959- 60, prima ce n’erano poche. Dopo abbiamo cominciato a guastare il cimitero per fare il salone. E’ stato fatto in poco tempo, perché lì c’erano tutti campi, c’era un gran fossato, c’era tutto mal messo. Abbiamo messo a posto tutto.

Poi piano piano don Ximenes pescava tutti i muratori di Fogliano, perché lui andava d’accordo con tutti, sia con i comunisti sia con i socialisti, sia con i democristiani, per lui andavano tutti bene. Tutti son venuti, tutti son venuti; in più parte andavamo il sabato, poi, nell’ultima settimana abbiamo fatto tutto il giorno. Io ricordo che ho fatto quaranta giorni di fila, andavo presto il mattino.

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Il salone è stato fatto così, con la ‘meno spesa’, diciamo così. I contadini coi cavalli portavano la ghiaia, la sabbia, tutto quello che ci voleva. Si è comprato il cemento e poi i mattoni che mancavano. Del resto tutto Fogliano ha collaborato.

Don Ximenes povret con la sua bontà, piano piano, chiamava uno a uno tutti, perfino quelli del Casonem anche se erano all’incontrario. Anche loro… Notari, tutti quelli lì… venivano anche loro.

Il capo era poi Emilio Prati, in poco tempo l’abbiamo fatto su, nella primavera del 1950. Lì si faceva il cinema, e poi le adunanze dei ragazzi, dei giovani, le cene, qualunque cosa. Prima andavamo in canonica, dopo si andava nel salone e dopo, questo l’hanno allargato.

Eh!.. C’era la domenica sera poi, c’era sempre pieno così! Io facevo i biglietti, c’era da caricare il ‘borderò’ (lista degli incassi serali del cinema). Ogni volta che si faceva i biglietti c’era da caricare il ‘borderò’ perché c’era la Finanza che veniva a vedere per i diritti d’autore. Veniva a controllare i biglietti. C’era poi il Prevosto che anche lui caricava il ‘borderò’. Lui sorvegliava insomma. C’era Iotti, che dopo è andato militare, Don Umberto, che adesso è a S. Giuseppe, abitava qui dal forno.

I giovani stavano più uniti, qui a Fogliano eravamo molti contadini. Gli operai molti che abitavano in via Beato Angelico, sono andati tutti in via Wibicky, hanno fabbricato là, dopo la guerra.

Eh! Ce n’erano tanti di Fogliano lì. Qui ed la Palasein. Erano operai, lavoravano in officina. In via Wibicky abitavano tanti

foglianesi! Molti adesso sono morti. E qui a Fogliano erano rimasti molti contadini. Iotti, Zanichelli, Bigi, Ferrari, Prati, Giglioli, Boni. Ce n’erano di famiglie, di contadini… i Tirelli, i Fantini …ah! ricordare tutti i foglianesi!…

Anni 60 – Villa Fogliano, chiesa parrocchiale dedicata a San Colombano

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I FIGLI MARTA, GRAZIELLA, GIOVANNI Ricordo quando ha avuto la emorragia la moglie (Elena) dopo si è

salvata e chiuso. E’ nata la Marta, è nata a casa e poi ha cominciato la emorragia e non si fermava più. C’era mia cognata che era ostetrica, la Menozzi Anna, c’è ancora, ha 90 anni, è poi la moglie del fratello che ha 96 anni.

C’era il Dottor Panciroli, allora non aveva ancora moglie. E allora aspettavano, aspettavano, sta emorragia sembrava che si fermasse, mo quand la se invieda da boun, qui bisogna andare alla svelta all’ospedale.

Allora, chiama la Croce Verde e via e me in sem a la cros veirda. Ricordo sempre mia cognata, l’ostetrica, che diceva: “Almeno potessimo arrivare là! Almeno potessimo arrivare!”. Perché ormai era alla fine. All’ospedale, una infermiera ha detto: “Sa portev che na’ morta?”. Perché era proprio già lì in… Per fortuna che c’era uno che aveva il sangue suo, si vede che hanno fatto alla svelta, gli hanno messo il sangue subito.

Si è ripresa piano piano e via. Dopo per gli altri figli è andata all’ospedale. La Graziella è nata all’ospedale, ha avuto un intervallo di quasi

cinque anni dalla Marta. Poi è venuto Giovanni. Mio nonno si chiamava Giovanni, e mio

fratello che è morto in Russia si chiamava Giovanni. Giovanni, mio figlio, è nato nel 62. Si vede che c’era venuto un po’ di ‘scombuglio’, non so come sia. Perché noi abbiam mai cercato, io e lei, di evitare i figli. Ci siamo sposati per i figli.

Allora passa un anno, due, tre, quattro, cinque, io volevo il maschio e non veniva!

Siamo andati da Bernini, si vede che gli ha fatto una cura e dopo è rimasta per lei, la Graziella del 60, del 62 Giovanni, poi l’ultimo l’ha perso che era il quarto.

Era di circa due mesi e mezzo, che poi è venuta la Gabriella, la Ferrari Gabriella, la mia amica (sorride quando parla di lei), perché mia moglie si è sentita male, eravamo lì in Luglio, così…Allora si è messa a letto.

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Siamo andati dall’Emma la custodia per chiamare il dottore, allora c’era la Gabriella che ha detto: “ Vengo io adesso!”. Eravamo affiatati. Sa, mia moglie era un po’ spaventata. La Gabriella ha detto: “Ma lascia perdere! Guarda c’è tuo marito e ci sono io, siamo donne! Fai vedere”. Ha scoperto, era un aborto. Dopo è andata all’ospedale.

E’ proprio stata lei la Gabriella; abitava sempre qui nella villa, fin che non ha venduto, anche da sposata. Ha sposato un notaio. D’inverno andava a Bologna. Si è sposata a diciotto anni. Quando è morta sua mamma lei è andata a Bologna ma d’estate veniva sempre in campagna.

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SONO IO MAMMA CON TE! Marta era la prima, guai per questa bambina! Ricordo che andavo

delle volte a Scandiano, avevo la macchina, io, mia moglie e lei in mezzo. C’era delle donne che dicevano: “Avete solo quella lì voialtri due eh!”. Dico ‘guai’ perché era anche una bella bambina, era mora, la Graziella è bionda.

Io di solito andavo alla chiesa alla sera, lì c’era il Prevosto, la signorina Domenica, e mia moglie un po’ qualche volta brontolava e lei ci diceva: “Sono io mamma con te veh! sono io mamma con te! sono io mamma con te!”.

Non cera mica ancora la Graziella, e poi andava dalle suore la Marta, all’asilo di Fogliano.

Invece con la Graziella (la moglie) è andata via verso l’una dopo mezzanotte, all’ospedale c’ero anch’io là con lei, è venuta poi la Risveglia, la contadina che era lì, la moglie di mio cugino.

Siamo andati via con la Croce Verde, lei è rimasta là. Hanno detto: “Adesso poi quando partorisce… perché ci vorranno delle ore…”. Io dovevo venire a casa, perché eravamo in marzo e c’era la stalla piena di vitelli. Sono venuto a casa a piedi, sono arrivato verso le tre, ho fatto tutti i miei lavori di casa.

Avevo la ‘Lambretta’ allora. La Risveglia aveva telefonato alla custodia dicendo: “Tutto è andato bene, è una femmina!”. Sono andato a Reggio con la ‘Lambretta’, mi ricordo sempre. Quando sono arrivato là me ne presentano due in un lettino. Io det: “Mo do propria” (ride). Invece dopo era poi una, mi avevano fatto uno scherzo. Per la Graziella, guai!

Dopo, Giovanni è nato a Villa Verde.

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ANDIAMO GIOVANNI ! La Graziella è andata all’asilo anche lei ma meno, perché piangeva

sempre e non ci voleva mica andare. Una volta è venuto il dottor Panciroli da mia mamma che era vecchia e allora ha detto: “Mo c’se gala c’la putina da pianser acsè”. Sua mamma, mia moglie, gli ha detto: “Non vuol mica andare all’asilo!”. “Mo lasela a ca’… è una donna! Ne avrà dei dispiaceri, anche troppi”.

Dopo l’abbiamo tenuta a casa e poi anche Giovanni, tutti e due. Giocavano insieme. La Marta era un po’ più grandina. Aveva delle

amiche: la Maria, la Mara. Andava sempre là, come facevamo noi, erano le cuginette: la Mirella, ha due anni in meno ma comunque, invece la Mara è della sua età, la Maria aveva un anno in più, giocavano loro.

Dopo ha cominciato le scuole: la Graziella e Giovanni qua, la Marta andava già a Reggio. Io ho sempre pensato al lavoro e basta. Si lavorava. Quando erano piccoli, quando mi son diviso (dalla famiglia del fratello Emilio) la Lella aveva sei, sette anni. La nonnina,“Al Mariet”, noi la chiamavamo così, dopo è rimasta con mio zio Natale; delle volte veniva qui da noi e la Graziella le correva incontro.

Prima avevo abbastanza tempo quando c’era mio fratello, c’era mia cognata e si era là tutti assieme, allora avevo più tempo da coccolare un po’ sti figli, ma dopo son rimasto solo. Ero sempre impegnato.

La Marta aveva dodici, tredici anni, la Graziella aveva sette, Giovanni aveva cinque. C’era mio padre e mia madre, che aveva un po’ di disturbi, e io che lavoravo dal mattino fino alle dieci la sera.

Finchè un bel giorno, Rino Zanichelli mio cugino, mi ha detto: “Ma non puoi andare avanti così!”. L’ho già raccontato no?

Ricordo sempre la Camilla (mamma di Gabriella). Eravamo sempre affiatati eh! La Camilla è venuta qui una volta, ha detto: “La Marta son convinta che è studiosa e brava, quella lì” con la Graziella poi una pagnottona lì, aveva sette anni. Dopo la Camilla è andata via, è andata a casa e lei ha detto alla sera: “Cosa ha detto quella là?”. E sua mamma gli ha detto: “Ma chi è quella là?”

“Ma la Camilla cosa ha detto?” . “Ha detto che io sono così così per studiare, se ne accorgerà quando vado a scuola io!”. Faceva già la prima elementare. Era brava a scuola. Guai, guai!

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Avevano sempre da bisticciare lei e Giovanni. Giovanni non era mai pronto. “Andiamo Giovanni!”. Lui faceva la prima e lei la terza. “Andiamo Giovanni!”. Perché lei guai! La puntualità!

E lui: “Ma facciamo in tempo, facciamo in tempo!”. “Dopo mi sgridano me!”

Dopo hanno fatto anche le medie in Viale Monte Grappa. Certe

volte li portavo, sennò andavano alla stazione poi in treno, il tram non c’era mica. Ricordo che la Graziella era così brava al Liceo e dicevo: “Fai ragioneria e basta! E poi fermati”. “No, no!”. Invece sua mamma l’ha spinta per andare avanti.

Io non volevo che facesse il Liceo, volevo che facesse ragioneria, per finire prima!

La Marta invece ha fatto l’Istituto d’Arte, è maestra d’arte, lei a diciotto anni è andata a lavorare in ceramica.

Invece la Graziella si è laureata in luglio, e ad agosto si è sposata. Si è laureata a Parma in chimica, tecnologia e farmaceutica, con centodieci più lode. Si è laureata, si è laureata al martedì, siamo andati a Parma. Quando doveva nascere il suo primo figlio, erano gli ultimi mesi, suo marito l’ha portata a Bologna per fare il Concorso e ha vinto il Concorso a Scandiano, è ancora là adesso, ha la cattedra a Scandiano, son già diciotto anni e più che lavora a Scandiano alle Superiori.

Alla domenica sera andavo a Messa a Sant’Antonio, c’era lei poi anche Giovanni, allora ho visto l’Ingegner Iotti, era vice Preside della scuole. Allora parlando così, mi ha chiesto: “E i tuoi figli?”. Era bravissimo Iotti. Ho detto: “La Graziella si è laureata a Parma, ha preso dieci e lode”.

Dopo tre, quattro giorni, mi ha telefonato: “Manda qui tua figlia”. E’ andata lì supplente, e deve ancora lasciar stare. Adesso è andata in pianta. A lei piace insegnare, poteva aprire anche una farmacia. Lei è nata per insegnare. Io non ho potuto studiare, lei è nata nel momento giusto.

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LA VITA ADESSSO Dopo la morte di mia moglie mi sono trovato da solo con le figlie, il

figlio. E’ morta la sera verso le undici, è stata qua due notti, è morta a casa. All’ospedale è andata due o tre volte, in agosto e poi dopo in settembre. Ero preparato alla sua morte, i dottori lo dicevano ormai.

Qualche volta ho pensato di prendere moglie ma così di passaggio. Mi sento di averne più bisogno adesso di allora perché sono vecchio. Qualche volta ne parlavo con la figlia, con la Graziella. “Ma va là! Non sai che una donna ti prende per i soldi e basta?”. Così in scherzo si parlava.

Invece adesso mi sento più il bisogno di quando è morta mia moglie, allora avevo 76 anni.

Ormai qualche cosa devo decidere insomma, non posso rimanere così, perché ormai la vecchiaia mi butta a terra, oh!.. Fin che posso tiro avanti. Insomma! Vorrei qualcheduno di notte. Va bene che ho la figlia vicina, ma sa, lei ha il marito, ha il figlio.

Una moglie o una badante. Penserò a qualcosa. Quando non sono più autosufficiente, cosa faccio? Una infermiera? Alla moglie ormai non ci penso più neanche. Può darsi anche che vada tutto in una volta, è già finita. Quello che penso di più adesso è come farò per andare avanti.

La Graziella mi sgrida: “Puoi accontentarti non vedi?”. Ma se mi fermo? Non posso mica chiamare le figlie per… Bisogna che progetti qualche cosa. O una infermiera a casa, oppure una Casa di Riposo. Quando uno non è più autosufficiente cosa fa? Però sono arrivato fino adesso! Potevo fermarmi anche prima! Se fossi in una carrozzina, chi è che mi serve? Posso mica andare sempre dalle figlie!

Ora passo così i giorni: alla mattina fino alle otto o le nove sono

mica pronto perché ci vuole un’ora a vestirmi, farmi la barba, lavarmi. Alla domenica son sempre a posto. Come ieri, è venuta la Graziella

alle due da Scandiano, è venuta dentro, allora io sono salito sulla macchina e poi siamo andati là. Alla domenica vado a mangiare un po’ qua e un po’ là. Gli altri giorni faccio io, a militare gli ultimi mesi li ho fatti in cucina, solo che là è un mangiare diverso; comunque si combina, via. La Marta la vedo sempre, abita qui, verso le sei arriva a casa. Mi allunga sempre il brodo, la carne, le verdure cotte.

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Poi ho l’orto, facciamo l’orto con la Monica Zobbi, adesso lei è in America, sta un po’ a Fogliano e un po’ in America. Gli ortaggi non mi mancano, ce n'è ancora qua.

A casa i parenti non mi trovano mai quando c’è la bella stagione, solo questo inverno sono rimasto bloccato dal freddo, dalla vecchiaia. Ho l’abbonamento del tram. Vado a Reggio tutti i giorni, anche due volte, vado al mercato, dal Dottor Bosi lì al Mirabello, vado a Messa in Ghiara o a S. Antonio. Tante volte vado a Messa qui a Fogliano.

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E I SIGNORI DI UNA VOLTA ? La Camilla è morta anche lei, è venuta nel cimitero a Fogliano con

suo marito; ha venduto i fondi del 1947, la villa del 1950. Viscardo, il marito della Gabriella, saranno già vent’anni che è

morto. La Gabriella adesso abita a Bologna, ha quattro figli anche lei. Io e

lei siamo rimasti sempre affiatati, ecco. E’ difficile che accada per i contadini. L’ultima volta che l’ho vista saranno due anni. Veniva sempre tutti gli anni alla Messa qua nel suo “chiesolino della Madonna”; dopo l’ha dato alla Curia. Quando mi vedeva la Gabriella mi diceva: “Ti ricordi Aurelio quando andavamo a scuola?”. Allora i miei compagni mi prendevano in giro: “Aurelio al ga la morosa!” .

Eravamo bambini. Sono venuto qua nel 1929, io avevo otto anni. Dopo che ero venuto qua le cose sono un po’ cambiate. Sì, ci andavo alla villa perché Don Bernardi quando venivo via da scuola per fare il chierichetto, lui dava i compiti alla Gabriella, andavamo a scuola

assieme, allora lei sempre mi chiamava là. C’era poi una sua zia, l’Anita, che guai per sti ragazzi almeno per me. “Maria Vergine! Vieni qua caro! Vieni!”. M’ha dato tanti di quei baci, sempre mi baciava.

Fogliano, 23/10/1945 La famiglia Ferrari Curli con Don Ximenes nel giardino della villa padronale

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EMOZIONI E SOGNI Un’emozione? Abbiamo goduto poco la gioventù! A diciannove anni

sono andato a militare, poi dopo fino al 1945. Sono andato via a gennaio nel 1941. Sono stato via dal 1941 al 1943. Dopo sono venuto a casa, però ero come militare ed ero nascosto a casa dal 1944 al 1945.

Mi sono salvato perché da Pompei son mica andato in Africa. Anche quando hanno mitragliato la casa…quelle sono emozioni grosse! Che rimangono eh! In questi ultimi anni, un’emozione forte è stata i ricoveri dell’Ospedale, la malattia, il cuore.

Dell’ottantasei sotto a Casali, sono stato là due o tre giorni, è andato su con dei palloncini per allargare le vene. Dopo ero nella cameretta che stavo abbastanza bene, c’era poi Pignoli vicino a me, è morto mentre parlavamo. Poi nel 1994 un altro ricovero, quando a causa delle medicine è venuta l’ulcera allo stomaco.

Una bella emozione…Ah! Quando è nato il primo nipote Gabriele,

quello della Graziella, adesso ha 18 anni. Andavo là, perché loro andavano a lavorare e io tenevo un po’ i bambini. Un po’con la carrozzina, mi passavo il tempo. Tenevo anche Francesco, quello della Marta, ha 18 anni anche lui. Avevo la moglie a casa, allora andava bene.

I miei nipoti? Mi diverto anche solo a vederli a studiare, giocare, così. Parliamo, gli racconto anche queste cose qui che ho passato. Nella vita ho avuto dei gran dispiaceri ma ho avuto anche delle soddisfazioni. Avevo una brava moglie che era una donna credente, una brava donna.

(Il racconto è interrotto da silenzi più eloquenti delle parole). Era difficile bisticciare con lei, lei era sempre sottomessa ma ci

consigliavamo assieme e ciao. Comunque lei non mi ha mai fatto dispetto e nemmeno io a lei. Andavamo bene, via. Adesso, se potessi vorrei vedere tanti miei amici che sono morti! Mi piacerebbe vederli! Solo per chiacchierare ancora come chiacchieravo prima. Anche mia moglie. Eh! quante volte mi sogno anche! Mi sogno la moglie. Mi sogno quando eravamo in famiglia là… quando si lavorava nei campi, coi parenti, quando andavo da Zanichelli. Mi sogno ancora, più adesso che qualche anno fa.

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PAROLE CHE MUOVONO PENSIERI Amore: Amore, sì. Amare il prossimo come te stesso. Perdono: Bisogna sempre perdonare: qualche volta qualche

dispetto, uno lascia perdere, si perdona facilmente. Piuttosto che bisticciare oppure litigare, conviene lasciar perdere, anche se uno ci rimette. Non so da chi ho imparato ma io direi da me stesso, insomma.

Dio: Io sono un credente, quindi Dio è tutto. Se non fossi credente non sarei così, sarei più disperato da solo, invece la fede mi tiene confortato, mi dà forza.

Morte: La morte…Ormai ne ho visti tanti morire, per quindi non ho paura della morte, ho la speranza dell’al di là.

Se fossi una pianta potrei essere una quercia, perché ho sempre

lavorato. Mia mamma mi sgridava sempre però eh!: “Lavori troppo! Dopo

quando sei vecchio! quando sei vecchio!”. Io tgnu colp.

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UN BUON PADRE DI FAMIGLIA Ho sempre fatto economia, ho sempre risparmiato. Ho avuto la

fortuna di vendere la terra area fabbricabile. Adesso la mia situazione è dare i soldi alle figlie. Io godo. Si è sposata la Marta, gli ho comperata la casa là, nel primo palazzo del quartiere, dopo qualche anno è venuta qua e l’ha venduta al poliziotto, e go lase i sold a le. Dopo ho dovuto mettere a posto anche gli altri due, uguale. (sorride soddisfatto).

La Graziella ha fatto la casa là in Via Nervi. Per Giovanni ho messo i soldi da parte e via. Dopo gli ho fatto una pensione per ciascuno: stanta e sincmela euro, Giovanni ottantacinque.

Alla Marta gli ho dato questa casa qua. Adesso io non sono più padrone, sono usufruttuario, questa casa qui è di Giovanni, (il figlio).

Mio genero, il marito della Graziella mi diceva: “ Li tenga lei sti soldi!”. “Lascia perdere che la parte mia ce l’ho”. Però loro mi vogliono bene. Forse anche perché sono figli.

Non ho mai trascurati i miei figli, specialmente Giovanni dopo che si è ammalato così…guai! Anche sua mamma, guai per Giovanni! Io ho lasciato la stalla là e avevo anche tempo. Ero in pensione, ho fatto tanti di quei giri avanti e indietro così, continuamente per curarlo.

Vorrei che i miei figli e nipoti mi ricordassero per quanto li ho amati e gli ho voluto bene.

Chi è Aurelio? La Graziella mi dice sempre: “ E’ un buon padre di famiglia” “Il mio nome è Aurelio, gli amici in dialetto mi chiamano Vrelio. Mia mamma mi chiamava “coghet”, perché quando faceva da

mangiare io ero sempre con lei, ero il più piccolo, l’aiutavo, la facevo tribolare, andavo assaggiare, c’era sempre anche la nonnina, al Mariet.

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Aurelio e la sua famiglia

Aurelio, Elena e i figli Marta, Graziella, Giovanni (anno 1964)

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Stampato nel febbraio 2009 dal Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia