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1 Il Cero pasquale 2017numero 1 - anno 10 - www.liturgiaculmenetfons.it Associazione Culturale “Amici della Liturgia” LITURGIA CULMEN ET FONS

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Il Cero pasquale2017numero 1 - anno 10 - www.liturgiaculmenetfons.itAssociazione Culturale “Amici della Liturgia”

LITURGIA“CULMEN ET FONS”

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n.1 - 2017 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

IN QUESTO NUMERO

3 IL CERO PASQUALE

don Enrico Finotti

13 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

17 OVVERO SULLA MUSICA SACRA

maestro Aurelio Porfiri

18 CANTATE DOMINUM. DICHIARAZIONE SULLA

SITUAZIONE ATTUALE DELLA MUSICA SACRA

a cura del maestro Aurelio Porfiri

______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della Associazione

Culturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia: Grafiche Dalpiaz (Trento)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA

viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONE

d. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, Paolo

Pezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

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Liturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto

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LE IMMAGINI DI QUESTO NUMERO

Le immagini di questo numero: se non indicato di-versamente, si riferiscono alla Veglia Pasquale nel-l’Abbazia di Montecassino (2017). Si rigrazia l’Ab-bazia per la gentile concessione delle foto.Nella pagina accanto: Candelabro per il Cero pa-squale della Basilica papale di S. Paolo - Roma.Nell’ultima pagina: S. Maria in Cosmedin - Roma.

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Il Cero pasqualedon Enrico Finotti

www.liturgiaculmenetfons.itLITURGIA CULMEN ET FONS - 2017- n.1

Il cristiano attento noterà che nei cinquanta giorni,dalla Pasqua alla Pentecoste, il Cero pasqualedomina sovrano dall’alto e attira lo sguardo di tutti.Non è certamente una cosa nuova, né un fruttodella riforma liturgica, che, anzi, precedentemente,al lato sinistro dell’altare maggiore, in cornuEvangelii, si potevano vedere dei Cerei veramentemonumentali, sia per le dimensioni, che perl’ornato. Ed è proprio il passato che ci è maestronel darci esempi insigni di Cerei mirabili per il loroaspetto di una possente ‘colonna’ di cera vera, senzaalcuna mistif icazione. Basterebbe pensare a queigrandiosi e artistici candelabri che ancor oggi siammirano in insigni basiliche, soprattuttopaleocristiane, per rendersi conto delle dimensionipoderose dei Cerei che dovevano reggere. Non acaso il testo dell’Exultet accenna alla ‘colonna diluce’ (columnae illuminatione purgavit): «Questaè la notte in cui hai vinto le tenebre del peccatocon lo splendore della colonna di fuoco»; e inriferimento alla nube luminosa, che guidava ilpopolo nell’Esodo verso la libertà, prosegue:«Riconosciamo nella colonna dell’Esodo gli antichipresagi di questo lume pasquale, che un fuocoardente ha acceso in onore di Dio» (Sed jamcolumnae huius praeconia novimus, quam inhonorem Dei rutilans ignis accendit). Già il Librodella Sapienza vi scorgeva l’immagine dellaSapienza stessa: «Li guidò per una stradameravigliosa, divenne loro riparo di giorno e lucedi stelle nella notte» (Sap 10,17). Purtroppo invecenella prassi liturgica odierna alla grandeconsiderazione espressa nei libri liturgici riguardoal Cero pasquale corrisponde spesso una suarealizzazione piuttosto povera, sia nelle dimensioni(dovendo poter essere portato in processione) sianella sua qualità, talvolta scadente e seriale.Quando il Cero pasquale ‘presiede’ solenne in testaall’assemblea liturgica convocata nella ‘beatacinquantena’, nel laetissimum spatium, sembra diintravvedere il Signore Gesù Cristo stesso che,eretto nella sua postura maestosa, con vocevigorosa, proclama: «Io sono la luce del mondo;chi segue me non camminerà nelle tenebre, maavrà la luce della vita» (Gv 8,12). Ciò che ilPantocrator porta scritto sul suo libro nelledimensioni gigantesche del catino dell’abside diMonreale - Lux mundi - lo esprime in dimensioniumili il Cero pasquale in tutte le chiese del mondo.

I. Il Cero pasquale nella sua identità liturgica

La comprensione del Cero pasquale e dei suoisimboli si attinge fondamentalmente dal ritoliturgico che lo ‘crea’, all’esordio della solenneVeglia pasquale. Si tratta delle tre formule iniziali,che contengono il signif icato simbolico di ciò cherappresenta il Cero stesso.

1. «Il Cristo ieri ed oggi…»

Iniziamo con la prima formula, che il sacerdotepronunzia mentre con lo stilo incide (o segna) sullacera le due aste della croce, la lettera iniziale eterminale dell’alfabeto greco e i numeri dell’annocorrente.

1. Il Cristo ieri ed oggi (incide l’asta verticale)

2. Principio e f ine (incide l’asta orizzontale)

3. Alfa (incide sopra l’asta verticale la lettera A)

4. e Omega. (incide sotto l’asta verticale la lettera O)

5. A lui appartengono il tempo (nell’angolo sinistrosuperiore della croce incide la prima cifra dell’annocorrente)

6. e i secoli. (nell’angolo destro superiore della croceincide la seconda cifra dell’anno corrente)

7. A lui la gloria e il potere (nell’angolo sinistroinferiore della croce incide la terza cifra dell’anno corrente)

8. per tutti i secoli in eterno. (nell’angolo destroinferiore della croce incide la quarta cifra dell’annocorrente)

Amen.

Con questa prima conf igurazione il Cero diventail simbolo del Verbo di Dio, che, coeterno al Padre,è il Signore del tempo e dei secoli, il Principio e laFine di ogni cosa (Ap 22,13), il centro e il referentedella storia universale dell’umanità e colui chedetiene le sorti dell’intero cosmo.Sant’Atanasio d’Alessandria afferma:

Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanzacorruttibile, si stabilì tra noi, anche se primanon ne era lontano. Nessuna regionedell’universo infatti fu mai priva di lui, perchéesistendo insieme col Padre suo, riempivaogni realtà della sua presenza1.

Per comprendere in qualche modo come il CristoSignore sia il cuore della creazione e l’unicoSalvatore di tutti gli uomini - da Adamo all’ultimouomo che verrà in questo mondo - si potrebbe far

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riferimento al fenomeno cosmico del sole, che coni suoi raggi illumina direttamente le creature nelleore del giorno, ma anche indirettamente: primadel suo sorgere, dopo il suo tramonto e nelle stesseore notturne. Infatti, la luce dell’alba e quella delcrepuscolo deriva dall’unica fonte, quella del sole.Anche la luna, che illumina la notte, riflette sullaterra, avvolta dalle tenebre, l’unica luce che ricevedal sole. Non vi è quindi sulla nostra terra altrasorgente di luce e di calore al di fuori del sole, dalquale tutte le creature ricevono vita. Per questo ilsimbolo del sole è conve-nientemente applicato a Cristo,sia nella Sacra Scrittura, comenella patristica, nella mistica enell’arte della tradizionecristiana. Il profeta Malachia,infatti, annunzia: «Per voi,cultori del mio nome, sorgeràil sole di giustizia con raggibenef ici» (Ml 3, 20) e Zaccarianel Benedictus proclama:«Verrà a visitarci dall’alto unsole che sorge» (Lc 1,78-79). Inrealtà, il Cristo venturo giàilluminava con i raggi della suagrazia salvif ica tutta la storiache precedette la sua venutanel mondo, anche i secoli piùlontani e oscuri della lunganotte della preistoria, cosìcome oggi illumina noi, cheviviamo dopo la sua dipartitavisibile da questa terra e la sualuce attraverserà tutte legenerazioni future f ino allaf ine del mondo. Cristo è inrealtà l’ «Alfa e l’Omega, ilPrimo e l’Ultimo, il principio ela f ine» (Ap 22,13), «Colui cheera, che è e che viene» (Ap 4,8). Tutti i secoli sono da luicompresi e abbracciati, perché«davanti al Signore un giornoè come mille anni e mille annicome un giorno solo» (2 Pt 3,8). Per questo Gesù potéaffermare: «Prima che Abra-mo fosse, Io Sono» (Gv 8,58)e nel Prologo del suo vangelosan Giovanni dichiara: «Inprincipio era il Verbo… tutto èstato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente èstato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1.3). La coscienzadella preesistenza del Verbo, della sua presenzasempre attuale nell’ ‘oggi’ e la sua regalità che siestende sul futuro di tutta la storia umana ecosmica, potrà far esclamare nella lettera agli Ebrei:«Gesù Cristo,è lo stesso, ieri, oggi e sempre!» (Eb13,8). Certo, noi ignoriamo i mezzi che la divinaProvvidenza ha usato per raggiungere, nel vorticedei secoli e dei millenni, ogni uomo che è venuto

in questo mondo, ma sappiamo che in quei mezzimisteriosi era il Cristo che operava la salvezza,effondendo quella medesima Grazia, che per tuttoil genere umano scaturì dall’unico suo Sacrif iciodella Croce e dalla sua gloriosa risurrezione, chesi compirono una volta (semel) e per sempre nelcuore della storia, «quando venne la pienezza deltempo» (Gal 4, 4). Oggi sappiamo, alla luce dellasuccessiva rivelazione, che quelli uomini saggi,giusti e pii, che come stelle luminose nell’immensof irmamento avvolgevano la millenaria notte dei

tempi, illuminavano la storiae tenevano accesa la scintilladella speranza, eranoprofezia e anticipo «dellagrazia e della verità» (Gv1,17), che si sarebberomanifestate in pienezzanell’Incarnazione del Verbo,il Signore nostro GesùCristo. Così in ogni grandeciviltà risplendeva semprequella misteriosa luce diCristo, che i Padri chiamano«semi del Verbo» (seminaVerbi). Tale luce diverràsempre più intensa esingolare quando il popoloeletto la riceverà conesclusiva precisione estraordinaria abbondanza, e,come la luna crescente nellanotte buia, la rif letterà sulmondo intero, predispo-nendo culture, civiltà, reli-gioni e nazioni, a ricevere inCristo la fonte stessa dellaluce. In Israele si verif icheràin modo speciale la profeziadi Isaia: «Il popolo checamminava nelle tenebrevide una grande luce» (Is 9,1). Tale missione fu l’onoredel popolo, infatti, il profetaBaruc afferma: «Non dare adaltri la tua gloria [Giacobbe],né i tuoi privilegi a gentestraniera» (Bar 4,3); mainsieme fu una responsabilitàunica per Israele quella dioffrire a tutte le genti «la lucevera, quella che illumina

ogni uomo» (Gv1, 9). Siamo così giunti nel centrodella storia, quando Cristo, «sole che sorge», conla sua presenza f isica sulla terra illuminaval’umanità direttamente, come il sole nell’ora delmeriggio. Dopo l’Ascensione la luce del Signorerisorto, non tramonta, ma continua a riflettersi sulvolto della Chiesa, che la diffonde attraverso lesuccessive generazioni f ino alla f ine dei tempi,quando Egli ritornerà «nello splendore della gloria»(Cfr. Prefazio I di Avvento). Infatti la Costituzione

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dogmatica Lumen gentium esordisce con questeparole: «Cristo è la luce delle genti, pertanto questoSacro Concilio, adunato nello Spirito Santo,ardentemente desidera con la luce di Lui,splendente sul volto della Chiesa, illuminare tuttigli uomini, annunziando il Vangelo ad ognicreatura» (LG, prologo). Questa visione universalee totalizzante della presenza e dell’opera salvif icadi Cristo illumina anche tutte quelle situazioni anoi contemporanee, che sono analoghe ai tempiche precedettero il Messia. Si tratta dei popoli cheancor oggi seguono altre religioni e di tutti coloroche, senza loro colpa, non possono venire a contattocol Vangelo. La maestà misericordiosa di Cristo,unico Salvatore, Re dei secoli e immortale, ciconforta e ci apre alla speranza della salvezza «pertutti gli uomini che lo cercano con cuore sincero»(Cfr. Canone IV), al di là dell’epoca in cui vissero odelle infauste circostanze storiche e ambientali incui furono costretti ad esercitare la loro conoscenzae le loro scelte di vita. Tuttavia, Dio rispetta semprela libertà dell’uomo e, come è possibile chiudere leimposte della propria stanza anche in pienomeriggio e rimanere nell’oscurità, così in ogni epocastorica gli uomini possono chiudersi colpevolmentealla luce di Cristo – in quanto è dato loro diconoscere - e coscientemente rimanere nelletenebre. Infatti il Signore stesso lo afferma: «La luceè venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferitole tenebre alla luce, perché le loro opere eranomalvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce enon viene alla luce perché non siano svelate le sueopere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perchéappaia chiaramente che le sue opere sono state fattein Dio» (Gv 3,19-21). Si comprende così l’attualitàdella grazia dell’Avvento, che se nei secoliprecedenti la venuta del Messia tenne viva lasperanza e infuse la salvezza del Cristo venturo,oggi, e f ino alla consumazione dei secoli, continuaad essere permanentemente necessaria perdesiderare, conoscere e accogliere costantementeil Salvatore, già storicamente venuto, ma nonancora universalmente conosciuto da tutte le gentie neppure irreversibilmente e def initivamenteaccolto dai suoi stessi discepoli, che rimangonoesposti alla precarietà di una storia individuale esociale che non assicura quaggiù la conferma nellagrazia dell’eterna salvezza.Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n°. 1964,così si esprime:

Ci furono […] nel regime dell’Antico Testa-mento, anime ripiene di carità e della grazia delloSpirito Santo, le quali aspettavano soprattutto ilcompimento delle promesse spirituali ed eterne.Sotto tale aspetto, costoro appartenevano allanuova legge. Al contrario, anche nel NuovoTestamento ci sono uomini carnali, che ancoranon hanno raggiunto la perfezione della nuovalegge, e che bisogna indurre alle azioni virtuosecon la paura del castigo o con la promessa dibeni temporali.

2. « Per mezzo delle sue sante piaghe… »

La seconda formula non è meno importante esignif icativa. Anzi, il simbolismo diventaparticolarmente plastico ed evidente in quanto ilsacerdote, nel pronunziare tale formula, inf iggenel Cero, in forma di croce, cinque grani d’incensoin questo ordine:

1. Per mezzo delle sue sante piaghe2. gloriose3. ci protegga4. e ci custodisca5. il Cristo Signore. Amen.

Il Cero pasquale diventa così un richiamosimbolico innanzitutto al Signore risorto nel modostesso col quale si manifestò ai discepoli riuniti nelcenacolo, mostrando le sue piaghe ormai gloriose.Possiamo dire che il Cero è il simbolo visibile dellapresenza invisibile del Risorto. Contemplando losplendore aureo dei preziosi grani di incenso,inf issi in forma di croce, sembra di vedere ilSignore stesso, che entrando nell’assemblealiturgica del suo popolo, saluta ancora con le parole:«Pace a voi! ». E nel dir questo mostra di nuovo lemani e il costato (Cfr. Gv 20,20). E come allora «idiscepoli gioirono al vedere il Signore» così oggila Chiesa acclama con gaudio: Deo gratias!. Sembrapure di udire le parole stesse che il Signore rivolsea Tommaso otto giorni dopo: «Metti qua il tuo ditoe guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettilanel mio costato; e non essere più incredulo,macredente! » (Gv 20,27). E come allora Tommasorispose colmo di stupore: «Mio Signore e mio Dio»(Gv 20,28), così tale segreta e commossainvocazione sembra salire dal cuore dei credenti,che contemplano nell’oscurità della notte santa ilCero, elevato dal diacono con l’acclamazione:Lumen Christi.

Questo secondo rito simbolico mette in luce ilmistero dell’Incarnazione, della morte e dellagloriosa risurrezione del Signore. Dalla preesistenzadel Verbo eterno ora si passa a contemplare l’operadella nostra redenzione, quando il Verbo assunsela nostra carne e per noi affrontò la terribilepassione per distruggere in se stesso la morte einaugurare la vita immortale. In qualche modo, senella formula precedente si celebra la natura divinadel Verbo incarnato, in questa seconda formula sicelebra la natura umana con l’intera economiadella nostra salvezza realizzata nella pienezza deitempi, mediante l’entrata nel mondo del Verbo el’assunzione della nostra corporeità.

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Sant’Atanasio, con raro realismo ne afferma ilmistero:

Venne dunque per amore verso di noi e simostrò a noi in modo sensibile. Preso dacompassione per il genere umano e la nostrainfermità e mosso dalla nostra miseria, nonvolle rimanessimo vittime della morte. Nonvolle che quanto era stato creato andasseperduto e che l’opera creatrice del Padre neiconfronti dell’umanità fosse vanif icata. Perquesto prese egli stesso un corpo, e un corpouguale al nostro perché egli non vollesemplicemente abitare un corpo o soltantosembrare un uomo. Se infatti avesse volutosoltanto apparire uomo, avrebbe potutoscegliere un corpo migliore. Invece scelseproprio il nostro. Egli stesso si costruì nellaVergine un tempio, cioè il corpo e, abitandoin esso, ne fece un elemento per potersirendere manifesto2.

La Chiesa vuole celebrare il Verbo incarnatoravvisando «nella cera che l’ape madre haprodotto» il segno liturgico del misterodell’Incarnazione. Ed è a questo riguardo che latradizione aveva riservato un meraviglioso elogiodell’ape in relazione a Maria, vergine e madre,che è stato tolto dal testo attuale dell’Exultet, mache qui riportiamo:

O vere beata et mirabilis apis!Cuius nec sexum masculiviolant, foetus non quassant,nec f ilii destrunt castitatem!Sicut sancta concepit virgoMaria; virgo peperit et virgopermansit3.

O veramente beata e mirabileape! La cui intimità nè i maschiviolano, nè i parti sconvolgono,e la cui castità i f igli non degra-dano! Come la vergine Mariasanta ha concepito; vergine hapartorito e vergine rimasesempre.

«Il suo vivo splendore che siaccresce nel consumarsi della cera»è un evidente richiamo al Sacrif icioredentore che, consumato nelladolorosa passione e morte, producelo splendore folgorante dellarisurrezione. I grani di incensoalludono a quel Sacrif icio di soaveodore, che il Signore porta acompimento sulla croce, raccoglien-do l’intero complesso simbolicodell’offerta dell’incenso, realizzata intutto l’arco della storia della salvezza.Il riflesso dell’oro che li riveste vuole

quasi rendere al vivo quel carattere glorioso chele piaghe della passione presentano nel corpo delSignore risorto. Egli infatti sembra dire: «Questichiodi non mi procurano tanto dolore, quantoimprimono più profondamente in me l’amoreverso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere,ma piuttosto introducono voi nel mio interno»4.

Certo, per dar verità ed eff icacia a questiinsegnamenti è necessario curare con grandeattenzione e gusto il simbolo e l’ornamento delCero pasquale. Che esso sia interamente di cera enon una f inzione seriale è condizioneindispensabile per richiamare la dignità delSignore fatto uomo per noi. Solo se i cinque granidi incenso sono in grado di penetrare realmentenella cera esprimono la realtà di quelle ferite chefurono inf litte al corpo del Signore. Ladecorazione liturgica poi non può non evidenziarei simboli principali che il sacerdote stesso incideall’esordio della Veglia pasquale: le due aste dellacroce, le due lettere A e O e i numeri dell’annocorrente. Non è infrequente che questi simbolisiano sostituiti o anche confusi in una decorazioneeccessiva e non adeguata.

Purtroppo aver reso facoltativo l’uso dei grani diincenso con la relativa formula ha consentito inpratica la sua scomparsa, togliendo così il

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riferimento cristologico all’economia della salvezza,che si compie con l’Incarnazione e il Misteropasquale nella concretezza della nostra storia.Ridurre la conf igurazione del Cero alla primaformula («Il Cristo ieri e oggi») è relegare il Verbodivino nell’eternità, senza affermare con identicaimportanza e chiarezza l’opera di redenzione cheegli compì col suo mistero di morte e di gloria,entrando nel tempo e assumendo la nostra carne,come invece richiama la seconda formula: «Per lesue sante piaghe». Senza questa seconda formula,i due tempi inscindibili del mistero: eternità etemporalità, natura divina e natura umana,preesistenza e vita storica, opera della creazione eeconomia della redenzione, espressi nelle dueformule f in dalla ‘creazione’ del Cero pasquale, siriducono soltanto al primo aspetto, indulgendopericolosamente ad una forma di gnosi. Infatti, ilVerbo preesistente senza il Verbo incarnato, morto,sepolto e risorto si presta ad un facile relativismoreligioso-gnostico, che invece viene radicalmentesconf itto dalla proclamazione del misterodell’Incarnazione e della Redenzione, avvenutenella storia dentro le coordinate spazio-temporalidel nostro mondo.

In realtà basta la breve espressione: «Per le suesante piaghe gloriose» per dire la totalità delmistero: la realtà del corpo assunto dalla vergineMaria nell’incarnazione; la realtà delle feriteinflitte nella sua dolorosa passione e morte; la realtàdella gloria che riveste il corpo risorto a vitaimmortale. Nell’eloquente simbolo dei cinque granidi incenso disposti in forma di croce e inf issi nelcero con l’apposita formula vi è signif icata tuttal’opera della nostra salvezza nelle sue fasi essenziali:l’incarnazione, la redenzione e la glorif icazione.

Ancora sant’Atanasio ci offre un meravigliosocommento alla realtà della passione e dellarisurrezione del Signore:

[Cristo] prese un corpo soggetto, come quellonostro, alla caducità e, nel suo immensoamore, lo offrì al Padre accettando la morte.Così annullò la legge della morte in tutticoloro che sarebbero morti in comunione conlui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nelsuo sforzo si esaurì completamente, perdendoogni possibilità di nuocere agli altri […] Infattiin virtù del corpo che aveva assunto e dellarisurrezione che aveva conseguito distrussela morte come fa il fuoco con una fogliolinasecca. Egli dunque prese un corpo mortaleperché questo, reso partecipe del Verbosovrano, potesse soddisfare alla morte pertutti. Il corpo assunto, perché inabitato dalVerbo, divenne immortale e mediante larisurrezione, rimedio di immortalità per noi5.

3. «La luce di Cristo che risorge glorioso…»

Il sacerdote, dopo aver preparato il Cero,conf igurandolo nei suoi simboli, lo accende,attingendo la luce al fuoco appena benedetto epronunziando la terza formula:

La luce del Cristo che risorge gloriosodisperda le tenebre del cuore e dello spirito.

Con tali parole si annunzia che il Verbo eterno,fatto uomo, per noi morto e risorto, è ora quipresente per disperdere «le tenebre del cuore edello spirito». Con questa accensione si proclamal’«Oggi» della nostra salvezza. Il Verbo incarnatonon è relegato in un momento storico ormaipassato, che possiamo raggiungere soltanto con unricordo psicologico, ma è qui presente in mysterioe realmente operante mediante la sua Grazia nellapotenza dello Spirito Santo. La f iamma viva, cherisplende sull’apice del Cero pasquale, è in gradodi esprimere con singolare eff icacia la presenzapulsante e vitale del Signore risorto. Niente comeil fuoco che arde, illumina e riscalda, crea un caldoclima di vitalità, di unione, di pace e di letizia. Cosìè della f iamma del Cero pasquale, che illumina ilpopolo avvolto ancora nelle tenebre e chegradualmente riceve la luce della risurrezione.Nessuna raff igurazione può esprimere meglio ilmistero della presenza del Risorto che quella delfuoco che arde e della f iamma che riscalda eillumina. Infatti, anche i due discepoli di Emmausriconobbero: «Non ci ardeva forse il cuore nelpetto mentre conversava con noi lungo ilcammino» (Lc 24,32).

A nulla varrebbe per noi l’opera della Redenzionese essa non ci toccasse nel nostro ‘oggi’ e non fossein grado di trasformare la nostra vita reale. Se ilVerbo eterno rimanesse nelle siderali profonditàdei cieli e se la sua Redenzione fosse un eventosepolto dai secoli e lontano nel tempo, tutto siridurrebbe per noi ad un mito, espressione di undesiderio di salvezza soffocato nel cuore, senzasbocco e senza f rutto. Ebbene, con questainvocazione «La luce del Cristo che risorge gloriosodisperda le tenebre del cuore e dello spirito» ilsacerdote dichiara la divina disponibilità dellasalvezza per noi, qui ed ora, e per tutti coloro chesotto ogni latitudine e in ogni secolo accolgono lamisericordia del Redentore.

Le tre formule che la Chiesa prevede per la‘creazione’ del Cero pasquale sono dunqueintimamente collegate e conseguenti l’una all’altrain modo che, se una delle tre venisse meno,cadrebbe una parte specif ica del mistero celebrato.Senza la prima verrebbe meno la fede nell’eternitàdel Verbo e nella sua onnipotenza divina; senza laseconda verrebbe meno la fede nel mistero dellanostra Redenzione mediante l’Incarnazione e laPasqua del Signore; senza la terza non sarebbe

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annunziata convenientemente l’attuazionesacramentale nell’ ‘oggi’ della nostra vita.

Vi è inoltre un singolare rapporto tra le formule dellapreparazione del Cero e il Prologo del vangelo disan Giovanni. Il loro contenuto, infatti, è analogo.Quando si dice: «Il Cristo ieri e oggi, principio ef ine, alfa e omega» sembra di udire san Giovanniche afferma «In principio era il Verbo, e il Verbo erapresso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principiopresso Dio» (Gv 1,1-2). Quando si dice: «A luiappartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e ilpotere per tutti i secoli in eterno» sembra di udireGiovanni che dice: «Tutto è stato fatto per mezzodi lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciòche esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degliuomini» (Gv 1,3-4). Quando, inf iggendo i grani diincenso, il sacerdote dice: «Per mezzo delle sue santepiaghe gloriose» sembra di udire queste parole: «Eil Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo anoi» ed anche: «La luce splende nelle tenebre ma letenebre non l’hanno accolta […] e il mondo non loriconobbe» (Gv 1,5.10). Inf ine, quando il Cero èacceso con le parole: «La luce di Cristo che risorgeglorioso rischiari le tenebre del cuore e dello spirito»sembra di udire ancora Giovanni che dice: «Venivanel mondo la luce vera, quella che illumina ogniuomo […] e noi vedemmo la sua gloria, gloria comedi unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità»(Gv 1,14). Quando poi dalla f iamma del Cero siaccendono i ceri dei fedeli sembra di vedere nelsimbolo la realizzazione di queste parole: «Dalla suapienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia sugrazia» (Gv 1,16). E quando il Cero è posto sulcandelabro nello splendore della luce ci sembra diesclamare: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio ilFiglio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo harivelato» (Gv 1,18).

Così come il Prologo costituisce l’incipit del Vangelodi Giovanni, la preparazione del Cero pasqualecostituisce l’incipit della solenne Veglia, ma anchedell’intero ciclo rituale dell’anno liturgico. La Vegliainfatti è il capolinea del ciclo festale della Chiesa:tutto parte di qui, perché è con la risurrezione cheil mistero del Cristo passa nei sacramenti ed è resoa noi disponibile sotto i segni sacramentali. Questoinizio di tutte le cose viene espresso con il fuoconuovo, l’acqua battesimale novella, i nuovi olisacramentali e il rinnovamento delle stesse oblatepresentate nell’Eucarestia pasquale.

II. Il Cero pasquale nella sua funzione liturgica

Il Cero pasquale esercita il suo uff icio liturgicoinnanzitutto nel corso della celebrazione dellaVeglia pasquale: in essa, per così dire, ‘nasce’ e diessa ne è il ‘preside’.

Ciascuna delle quattro parti della Veglia, infatti,assegna al Cero un ruolo di rilievo, come simbolodella presenza del Risorto stesso, che guida il popolosanto dalle tenebre alla luce, dal peccato alla grazia,dalla morte alla vita.

Introdotti da brevi monizioni diaconali, potremmoconsiderare la funzione liturgica del Cero pasqualenello svolgimento rituale della notte santa.

Liturgia della luce:

Fratelli,le tenebre stanno diradandosie la vera luce già risplende (1 Gv 2,8).

Io sono la luce del mondo, dice il Signore,chi segue me non cammina nelle tenebrema avrà la luce della vita (Gv 8,12).

La prima ‘missione’ del Cero pasquale è quella di darel’annunzio della risurrezione. Tale annunzioesordisce con l’apparizione improvvisa nelle tenebredella tenue f iamma del Cero, che viene innalzatodal diacono mentre canta: Lumen Christi!. Non a casoquesto annunzio è dato sostando nelle medesimetre tappe in cui, nel Venerdì santo, fu elevata la Crocecon l’acclamazione: Ecce lignum crucis. Il crescendodella voce del diacono, che canta Lumen Christi, èaccompagnato dal crescere della luce f ino al suomassimo splendore. Il grande annunzio dellarisurrezione è, infatti, la mirabile composizione dellaluce e del canto, che, intrecciati, salgono sempre piùf ino al giubilo estatico, che avvolge in profondità ilcuore dei credenti: «Esulti il coro degli angeli, esultil’assemblea celeste, un inno di gloria saluti il trionfodel Signore risorto»6.

Liturgia della parola:

Fratelli,il Signore Risorto,cominciando da Mosè e da tutti i profetispiegava ai discepoli in tutte le Scritture

ciò che si riferiva a luie il loro cuore ardeva nel pettomentre conversava con loro.Arda anche il nostro cuore,mentre Egli parla a noi nella proclamazione

delle sacre Scritture (Lc 24,27).

La seconda ‘missione’ del Cero pasquale è quella dipresiedere all’ampia liturgia della parola, checostituisce la seconda parte della Veglia. Si riproducenel simbolo ciò che avvenne la sera di Pasqua,quando il Signore, accompagnandosi ai due discepolidi Emmaus, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò chesi riferiva a lui» (Lc 24,27). Così l’assemblea liturgiaripercorre le grandi tappe della storia della salvezzasotto lo sguardo maestoso del Cero pasquale, che

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domina dal suo candelabro e ci ricorda che «quandonella Chiesa si leggono le sacre Scritture è Dio cheparla [al suo popolo]» (SC7). Per questo potrebberoessere signif icativa all’inizio della liturgia della parolala monizione diaconale che abbiamo sopra riportato.

Liturgia battesimale:

O voi tutti assetati venite all’acqua, (Is 55,1)perché chi non nasce da acqua e da Spirito

non può entrare nel Regno di Dio (Gv 3,5).Attingete, dunque, con gioia alle sorgentidella salvezza. Alleluia. (Is 12,3).

La terza ‘missione’ del Cero pasquale è quella, inanalogia con la colonna di fuoco dell’Esodo, diprecedere e guidare i catecumeni alle acquebattesimali, come allora condusse il popolo ebreoattraverso il mar Rosso. Ciò avviene quando, duranteil canto della litania dei Santi, i ministri con icatecumeni si avviano in processione verso ilbattistero. Lì il Cero viene immerso nell’acqua adimmagine di Cristo, che la santif icò per larigenerazione dei credenti: «Discenda, Padre, inquest’acqua, per opera del tuo Figlio, la potenza delloSpirito Santo»7, canta il sacerdote. Lì il Cero illuminail ‘passaggio’ dei catecumeni, che scendono nelleacque e, alla loro uscita, ricevono dalla stessa suaf iamma il loro lume, simbolo della Graziasantif icante che li riveste. Essi infatti sono statiilluminati da Cristo, «luce del mondo», e perciò sonorivolte a loro queste parole: «Siete diventati luce diCristo. Camminate sempre come f igli della luceperché perseverando nella fede, possiateandare incontro al Signore che viene, contutti i santi nel regno dei cieli»8.

Liturgia eucaristica:

Fratelli,la Divina Sapienza ha

imbandito la tavola (Pr 9, 1-2).Il Signore sfama il suo popolocol cibo degli angeli,ci offre un pane dal cielo,pieno di ogni delizia (Sap 16, 20):«Venite, mangiate il mio Corpo,bevete al calice del mio Sangue,

che per voi ho preparato! » (Pr 9,5) Alleluia!

La quarta ‘missione’ del Cero pasquale èquella di introdurre i neof iti nella santaassemblea e presentarli per la prima voltaall’altare del Sacrif icio e alla mensaeucaristica, dove «come bambini appenanati bramano il puro latte spirituale»9 epartecipando al banchetto di nozzedell’Agnello acclamano: Introibo ad altareDei, ad Deum qui laetif icat iuventutem

meam10. Lì, sul suo candelabro, il Cero pasquale liillumina e vigila su di loro, ricordando a tutti gliinvitati la necessità di presentarsi al Banchetto conla luce accesa della fede e della Grazia per unarecezione degna del grande sacramento dellaPasqua del Signore.

Inaugurato con la Veglia pasquale, il Cero rimaneeretto sul suo candelabro per l’intero tempo diPasqua f ino alla Pentecoste. Esso richiama ai fedeliquella singolare presenza del Signore risorto, checaratterizzò l’arco dei quaranta giorni pasquali eche oggi la Chiesa continua a riconosceresoprattutto nella celebrazione solenne di tutti isacramenti, che viene raccomandata proprio inquesto tempo di letizia. Il Cero sembra proclamarea tutti: «Sono risorto, e sono sempre con te; tu haiposto su di me la tua mano, è stupenda per me latua saggezza. Alleluia»11. La esposizione protrattadel Cero da Pasqua a Pentecoste è quanto maiopportuna per insistere sul perno stessodell’annunzio evangelico: «Cristo è risorto!» (Cfr.Mt 28,6). Il Cero, infatti, sovrastando l’ambone,sembra assumere il medesimo ruolo dell’angeloseduto sopra la pietra tombale che annunzia larisurrezione. Senza tale annunzio tutto ciò cheviene proclamato dall’ambone perde ogni energiae giustif icazione, secondo le note parole di sanPaolo: «Se Cristo non è risuscitato, allora è vana lanostra predicazione ed è vana anche la vostra fede[…] voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelliche sono morti in Cristo sono perduti» (1Cor15,14.17-18). L’urgenza di tale annunzio diventaparticolarmente pressante in un’epoca come la

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nostra nella quale la fede è svuotata dallasecolarizzazione e rischia di perdere ognitrascendenza in nome di un servizio meramenteculturale, sociale e terrenista. Infatti, continual’Apostolo: «Se noi abbiamo avuto speranza inCristo soltanto in questa vita, siamo dacompiangere più di tutti gli uomini» (1Cor 15,19).Ed ecco che la Chiesa, nella letizia della Pasqua,innalza il Cero pasquale, che, eretto sul suocandelabro, sembra proclamare: «Ora, invece,Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloroche sono morti» (1Cor 15,20). La sua presenzasembra dire a tutti coloro che vi passano accanto:«Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide,è risuscitato dai morti […] Certa è questa parola:Se moriamo con lui, vivremo anche con lui» (2Tm2,8.11).

Terminato il tempo pasquale, il Cero viene rimossodall’ambone, ma non depone la sua funzione. Essoviene portato stabilmente presso il battistero peraccompagnare tutti coloro chi lì riceveranno ilbattesimo nel corso dell’anno e dare loro la f iammaviva della Grazia. Quella missione che il Ceroassolse nel fulgore della santa Veglia di Pasquaviene continuata nel silenzio e nell’umiltà dei nostribattisteri, dove i genitori cristiani portanoincessantemente i loro neonati per larigenerazione in Cristo. Il Cero è lì, vigile, e la suaf iamma illumina e riscalda. I piccoli neof iti, lavatinell’acqua, unti col crisma, vestiti di bianco,ricevono la candela accesa alla f iamma del Ceropasquale, il quale sembra ripetere le stesse parole,

che il sacerdote pronunziò quando lo accese perprima volta: «La luce del Cristo che risorge gloriosorischiari le tenebre del tuo cuore e del tuo spirito».

Inf ine il cero esce dalla sua ordinaria sede e sostapresso il feretro dei fedeli defunti nelle esequiecristiane per proclamare: «Non temere! Io sono ilPrimo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma oravivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopragli inferi» (Ap 1, 17b-18).

III. L’attenzione al Cero pasquale

Il tempo di Pasqua tende ad essere facilmentedimenticato nella sua tipicità e, non raramente,poco dopo la grande solennità, si scade in unaspecie di tempo ordinario, senza più una suff icienteattenzione liturgica a quello che dovrebbe essere iltempo maggiore, la «beata pentecoste», quel temposingolare che emerge sovrano su tutti gli altri tempisacri. Uguale sorte sembra subire il Cero pasquale,che, quasi subito, sembra perdere quell’attenzioneche lo dovrebbe mantenere centrale per l’intera‘cinquantena’. La mancanza di tradizioni liturgichespecif iche e la sovrapposizione di pii esercizi di altrogenere possono essere in parte la causa di questadisaffezione. Occorre allora trovare degli stimolipertinenti, mirati a tenere desto nell’intero arco deltempo pasquale il senso del mistero e della specialepresenza del Risorto nella sua Chiesa ad immaginedi ciò che avvenne allora quando ripetutamente

proprio in questo tempo sacro ilSignore si manifestò a più ripresecome risorto dai morti.

E’ necessario che il popolo cristianonon indebolisca la percezione delmistero della Pasqua, celebrato edesteso f ino alla Pentecoste. Ed è inquesta prospettiva che si potrebbeproporre un rito breve, alla conclu-sione della Messa quotidiana, chetenga desto lo sguardo dei fedeli sulCero pasquale, che arde e, per cosìdire, ‘presiede’ l’assemblea liturgica inquesto laetissimum spatium. Sisuggerisce, quindi, una breve masignif icativa ‘visita’ al Cero pasquale:impartita la benedizione, i ministri etutto il popolo si volgono al Cero,oppure, se lo spazio e la conf i-gurazione logistica della chiesa loconsente, i ministri stessi si recanoattorno al Cero, che, in tal caso,dovrebbe stare su un candelabrodegno e monumentale, dove ac-clamano al Risorto in questo modo:

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Il sacerdote proclama:

Lapidem quem reprobaverunt aedif icantes, La pietra scartata dai costruttorihic factus est in caput anguli. è divenuta testata d’angolo;A Domino factum est istud, ecco l’opera del Signore:et est mirabile in oculis nostris, una meraviglia ai nostri occhi,alleluia! alleluia! (Sal 118, 22-23).

Tutti acclamano:

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

Dignus est Agnus, qui occisus est, L’Agnello, che fu immolatoaccipere virtutem et honorem è degno di ricevere potenza e onore,et gloriam et benedictionem. gloria e benedizione (Ap 5,12).

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

Ecclesiae, sponsae Christi Alla Chiesa, sposa di Cristoet universali matri, e madre universale,pax vita et salus perpetua! pace, vita e salute perpetua.

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

Tempora bona veniant, Vengano tempi buoni,pax Christi veniat, venga la pace di Cristo,regnum Christi veniat! venga il regno di Cristo!

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

Il sacerdote propone e tutti rispondono:

Dominus resurrexit, alleluia! Il Signore è risorto, alleluia!Resurrexit vere, alleluia! E’ veramente risorto, alleluia!

Il sacerdote conclude:

In nomine Iesu Nel nome di Gesùomne genu flectatur ogni ginocchio si pieghicaelestium et terrestrium et infernorum nei cieli, sulla terra e sotto terra;et omnis lingua conf iteatur: e ogni lingua proclami,«Dominus Iesus Christus!» che Gesù Cristo è il Signorein gloriam Dei Patris. a gloria di Dio Padre (Fil 2,10-11).

Amen Amen

Tutti cantano:

Regina caeli, laetare, alleluiaQuia quem meruisti portare, alleluiaResurrexit, sicut dixit, alleluiaOra pro nobis Deum, alleluia.

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Si crea così un singolare rapporto tra la«venerazione alla Croce» compiuta al termine dellaMessa nei giorni quaresimali e la «venerazione alCero» nei giorni pasquali. Si realizza plasticamentenella f isicità dei riti il detto: Per crucem ad lucem.Perciò in Quaresima si va ogni giorno ad Crucem,mentre nel tempo di Pasqua ci si reca ogni giornoad Lucem. Tale rapporto tra crucem et lucem èdescritto con maestria da sant’Agostino d’Ipponaquando afferma:

«La storia del nostro destino ha due fasi: unache trascorre ora in mezzo alle tentazioni etribolazioni di questa vita, l’altra che sarà nellasicurezza e nella gioia eterna. Per questo motivo èstata istituita per noi la celebrazione dei due tempi,cioè quello prima di Pasqua e quello dopo Pasqua.Il tempo che precede la Pasqua raff igura latribolazione nella quale ci troviamo; invece quelloche segue la Pasqua, rappresenta la beatitudineche godremo. Ciò che celebriamo prima di Pasqua,è anche quello che operiamo. Ciò che celebriamodopo Pasqua, indica quello che ancora nonpossediamo. Per questo trascorriamo il primotempo in digiuni e preghiere. L’altro invece dopola f ine dei digiuni lo celebriamo nella lode. Eccoperché cantiamo: alleluia. Infatti in Cristonostro capo, è raff igurato e manifestato l’uno el’altro tempo. La passione del Signore ci presentala vita attuale con il suo aspetto di fatica, ditribolazione e con la prospettiva certa della morte.Invece la risurrezione e la glorif icazione delSignore sono annunzio della vita che ci verràdonata» 12.

Il rito deve essere molto breve e da poter f issare amemoria senza appesantire ulteriormente lacelebrazione o aver bisogno di testi scritti. In talmodo potrebbe essere fatto anche individual-mente dai singoli fedeli visitando la chiesa esostando presso il Cero. Potrebbe pure far partedi una breve liturgia domestica qualora nel tempodi Pasqua si dovesse custodire in casa un cerosimile al Cero pasquale come gioioso ricordo delmistero della risurrezione del Signore.

------------------------------------------1 Dai «Discorsi» di sant’Atanasio, vescovo (Disc. Sull’Incarnazione

del Verbo, 8-9; PG 25, 110-111).2 Idem.3 RIGHETTI, Storia liturgica, vol. II, p. 262, nota 55; traduzione di

Fabio Miori.4 Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo (Disc. 108; PL 52,

499-500).5 Dai «Discorsi» di sant’Atanasio, vescovo (Disc. Sull’Incarnazione

del Verbo, 8-9; PG 25, 110-111).6 Messale Romano, Veglia pasquale, Exultet.7 Messale Romano, Veglia pasquale, Benedizione dell’acqua.8 RICA, n.226.9 Antifona di ingresso della Messa della II domenica di Pasqua.10 Cfr. DANIELOU, J., Bibbia e Liturgia, La Teologia biblica dei

Sacramenti e delle Feste secondo i Padri della Chiesa,

Paris 1951, Milano 1958 *Varese ottobre 2012 (edizione riveduta,

aggiornata, integrata, a cura di p. Gianfranco Berbenni, ofm cap, ad

uso personale, fuori commercio).11 Antifona di ingresso della Messa del giorno di Pasqua.12 Dai «Commenti sui salmi» di sant’Agostino, vescovo (Sal. 148, 1-2;

CCL 40, 2163-2166) in Lit. Ore, vol. II, sabato 5° sett. Pasqua, Uff.

lett., 2° lett..

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Le domande dei lettoriA cura della Redazione

1. Anche quest’anno, come negli scorsi anni, ilCero pasquale diventa un problema. Per alcuniè un’inutile spesa l’acquistarlo nuovo ognianno, per altri è giusto. Certe volte succede cheanche i suoi ornamenti sono logori e ben poco‘pasquali’. Il parroco cerca di glissare, il sacristainvece si arrabbia dicendo: «Decidetevi, che cisono altre cose più importanti». Che ne dite?

Se non si cura il Cero pasquale e la sua simbologialiturgica lo si confonderà facilmente con qualsiasialtro cero votivo, magari più grande e appariscente.Infatti non è infrequente che si pongano davanti areliquie o immagini insigni dei ceri votivi notevoliper dimensioni e fregi. Si pensi a quelli offerti indeterminate feste al Patrono o in altre circostanzeper ricordare eventi religiosi particolarmente

signif icativi. Il Cero pasquale deve essereammirato dai fedeli per la sua proprietà e nobiltàed essere riconosciuto con sicurezza per quelle‘insegne’ proprie ed esclusive, che prevede laliturgia.

Possiamo delineare tre modalità per la confezionee decorazione del Cero:

1. Il Cero pasquale, realmente di cera e nuovo ognianno, rappresenta la massima cura per la ‘veritàdel segno’. Sul bianco fusto campeggianoesclusivamente i simboli previsti dalle formuleliturgiche (croce, A e O, numeri dell’anno in corso,grani d’incenso). In questo modo il Cero si imponeper la sua identità in modo nobile, chiaro, senzabisogno di altre indicazioni. Anche l’inf issione deigrani di incenso nello spessore della cera esprimein tutta la sua forza simbolica il senso reale delleferite che penetrarono nel corpo del Signore,ricordando la ‘f isicità’ della sua Incarnazione edella sua dolorosa Passione. Questa primamodalità espone il Cero ad una gradualeconsumazione, ma proprio per questo il simboloè eloquente. Ciò richiede un’attenzione continua,sia per la visibilità della f iamma, sia per la pulizia eil decoro del Cero stesso.

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2. Il Cero pasquale, sempre totalmente in cera,potrebbe fare un servizio pluriennale, medianteuna aggiunta sommitale, che assicuri l’autenticitàdella cera che visibilmente si consuma e dellaf iamma che arde vigorosa, senza intaccare però ilcero stesso e la sua decorazione. Questa soluzioneunisce praticità e pulizia pur senza venir meno alladignità e verità del segno.

3. Il Cero pasquale, sia nel primo come nel secondocaso, potrebbe essere impreziosito da un piccolo‘apparato’ che lo riveste con maggior splendore. Sitratta di una croce di metallo curva a modo di fasciacon relative lettere e numeri. L’applicazionepotrebbe agevolmente essere fatta mentre ilsacerdote pronunzia la formula rituale nel ritodella luce. I fori predisposti sulla croce indicanocon sicurezza i punti in cui inf iggere i cinque granidi incenso. Con questo ‘vestito’ il Cero potrebberisplendere per tutto il tempo pasquale f inchérimane sul suo candelabro. Quando poi saràportato nel battistero il Cero deporrà questa‘insegna di gala’ rimanendovi con una decorazionepiù sobria, già predisposta in precedenza e senza igrani di incenso. In tal modo si realizzerebbe per ilCero pasquale ciò che già si fa, ad esempio, perl’altare rivestito da un prezioso paliotto nellesolennità e così si distinguerebbe adeguatamentel’uso solenne del Cero nel tempo di Pasqua dal suouso feriale presso il battistero. E’ infatti alquantoconveniente che nelle celebrazioni pasquali il Cerosi ‘vesta’ a nuovo e non si presenti con quellaferialità con cui lo si vede ordinariamente nel corsodell’anno, soprattutto nelle celebrazioni esequiali.

Per concludere diciamo che sempre si dovrebbeevitare la f inzione, ossia un cero di altro materialecon una ampolla di cera liquida, che alimenta unaf iamma sempre uguale e senza vita. Sembra chetale scelta, purtroppo alquanto diffusa, perchéfunzionale e senza bisogno di manutenzione, nonsia conforme a quella ‘verità del segno’ chedomanda la liturgia, il buon gusto e la dedizionereligiosa in un culto ‘in spirito e verità’.

Inoltre, il Cero potrà essere certamente decoratocon molteplici ornamenti, secondo la tradizione,ma non si dovrà mai giungere a togliere centralitàe immediatezza alla sua simbologia liturgicaessenziale, che sempre dovrà emergere nelcomplesso ornamentale. Soprattutto nessunaraff igurazione potrà sostituire i simboli previstidalle formule liturgiche con cui il cero è ‘creato’nella veglia pasquale. Ogni ornamento dev’esseresempre in relazione ai simboli centrali e contenutoin spazi laterali.

Inf ine si dovrebbe ripensare la facoltatività nell’usodei cinque grani di incenso, perché questa ha defacto prodotto una vasta scomparsa di questosimbolo con notevole impoverimento dell’identitàdel Cero stesso.

2. Trovandomi in gita e visitando alcunegrandi chiese ho ammirato anche bellissimicandelabri, che, come ci disse la guidaturistica, un tempo sostenevano il ceropasquale. Mi chiedo: perché non si usanoancora per questo scopo, invece di mettereil cero pasquale su un normale supportocome nelle altre chiese?

E’ vero che non sempre ci si rende contodell’opportunità nell’uso liturgico di luoghicelebrativi e di arredi unici per arte e grandiosità,ridotti ormai a reperti storici. Ciò che in genere èavvenuto per l’altare maggiore, normalmentesostituito con un altare provvisorio, e per moltiamboni storici caduti in disuso, può avvenireanche per il candelabro pasquale di insignibasiliche. Esso rimane vuoto e ammiratounicamente come elemento museale, mentre ilCero è esposto accanto al ‘nuovo ambone’, cheper la sua esiguità non regge in confronto con lamonumentalità del candelabro antico. Comesuperare questa diff icoltà?

1. Occorre innanzitutto rispettare la strutturatipica di ogni chiesa storica, accogliendo conintelligenza il messaggio liturgico-artisticodell’epoca in cui fu edif icata. Non è possibileridurre la tradizione dei secoli nel ristrettoorizzonte della sensibilità liturgica vigente. Essapure potrà essere mutata da prospettive diverseche potranno insorgere in uno sviluppo ritualefuturo, come avvenne nel corso dei secoli. Ilcandelabro pasquale in epoche successive dellatradizione liturgica latina occupa generalmentedue spazi specif ici: presso l’ambone nell’anticabasilica paleocristiana e a lato dell’altar maggiore,in cornu Evangelii, nelle chiese medioevali f inoall’epoca moderna. Si deve notare come in questavariazione rimanga costante il legame con laproclamazione del Vangelo: il candelabro è infattiun arredo proprio dell’ambone.

2. Nelle chiese che ancor oggi possono esibire uncandelabro pasquale di tal genere è necessarioevitare due errori: quello di rimuoverlo dalla suaposizione originale per ‘adattarlo’ alle nuoveesigenze liturgiche (scelta alquanto inf ida) equello di abbandonarlo come ‘superato’,sostituendolo con uno più funzionale. In realtàun grande candelabro storico presso l’ambone oa lato dell’altar maggiore è un vanto per una chiesaed offre opportunità celebrative di alta qualità. Ilriconoscimento del suo valore artistico, storico eliturgico è, quindi, il primo passo per il suoimpiego nella liturgia.

3. Ma come coinvolgere nelle liturgia odierna ilcandelabro storico, talvolta inaccessibile nella suamonumentalità e corredato da un Cero troppogrande e pesante per l’uso liturgico attuale?Bisogna ricordare che molti di questi insigni

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candelabri, pur grandiosi, preziosi e solenni, nonsono inaccessibili, né esigono un Ceroeccessivamente pesante. In tal caso il loro abbandonosembra essere piuttosto ideologico che seriamentemotivato. Lì dove la liturgia viene curata e amata sitroveranno certamente le modalità più opportuneper l’accesso al candelabro e si def iniranno le giustedimensioni del Cero, che al contempo dovràrapportarsi alle proporzioni del candelabro e alleforze del diacono che lo deve reggere. Tuttavia visono candelabri veramente grandiosi cherichiedono un Cero possente e perciò inamovibile.Anche in questo caso non si deve disarmare, ma lasoluzione potrebbe essere trovata nell’uso di un cerosupplementare con la funzione di ‘ancella’ (ancilla),come in antico si usava l’ ‘arundine’ (arundo), conlo scopo di portare la nuova luce dal fuoco benedettoal grande Cero, che già troneggia sul candelabromonumentale, rivestito delle sue insegne. Giuntiall’altare, gli accoliti attingono dall’ancilla la f iammache, con apposita asta, trasmettono al grande Ceroposto sul candelabro. Quindi il diacono intona ilterzo Lumen Christi e si accendono le luci dellachiesa. Il cero/ancella viene spento, perché ha svoltola sua funzione. Potrà poi riprendere il suo servizionella liturgia battesimale, attingendo di nuovo dalgrande Cero la f iamma e guidando la processioneal battistero, venendo pure immerso nell’acquasecondo il rito. Assolta questa sua ulteriore‘missione’ viene di nuovo spento, lasciando al Ceromonumentale il suo incontestato ruolo di‘presidenza’ per tutto il tempo della Pasqua. Il cerosupplementare potrebbe riprodurreconvenientemente l’immagine del cero pasquale coni simboli liturgici propri (croce, lettere e numeri,eccetto i grani di incenso opportunamente riservatial grande Cero), oppure avere una decorazionediversa.

In tal modo gli splendidi candelabri, vanto dell’artecristiana, potranno riprendere la loro funzioneliturgica e proclamare dalla loro posizione sovrana,con eff icacia superiore a tutti gli altri, l’annunzioche Cristo è risorto!

3. Non tutti lo capiscono, perché vorrebberoun addobbo diverso e più personalizzato, maper me è una bella cosa porre presso il corpodel defunto il cero pasquale. Purtroppo quandoil medesimo cero viene adoperato nella vegliapasquale alcuni lo sentono come un richiamomesto per l’abitudine di vederlo sempre neifunerali. Mi è successo, infatti, che un passante,vedendo esposto il cero mi chiedesse: «C’è unfunerale?» Come si potrebbe ovviare a questaimpressione?

L’indicazione liturgica che prevede che il ceropasquale stia presso il feretro dei fedeli defunti nellacelebrazione delle loro esequie è quanto maisignif icativa, soprattutto se il Cero pasquale è da

solo senza altri ceri che lo potrebbero confonderecome uno fra i ceri ornamentali. Il feretro, depostoa terra con appresso il grande cero che vigila dalsuo candelabro, ha la forza di quei segni semplicie austeri che rimangono impressi nella nostramente. Le esequie del beato Paolo VI, cheinaugurarono tale forma, rappresentano uno deipiù signif icativi simboli di quella nobile semplicitàche fu voluta dal Concilio Vaticano II quale criterioispiratore nella riforma liturgica (SC34).

E’ anche vero, tuttavia, che alla luce dell’esperienzapostconciliare, l’uso costante del Cero pasqualenelle esequie ha f inito per collegare questo simbolodi letizia pasquale con il contesto mesto delleesequie, per cui non riesce facile accogliere il Ceropasquale i quel diverso clima di novità, di gioia edi solennità che invece richiede la Veglia e il tempodi Pasqua. Succede al Cero ciò che da alcune partiavviene per l’uso dell’incenso, che, del tuttoemarginato dall’uso liturgico più vasto, mantienetuttavia il suo ruolo nelle esequie. Da elementi digioia e di solennità, quindi, il Cero e l’incenso sonodiventati elementi esequiali e richiami di lutto.

Come superare questo inconveniente? Credo sialecito proporre anche per il Cero pasquale ciò chegià si fa per altri arredi liturgici, come la croce o ilcalice. Pur essendo unica la croce e unico il calicela tradizione liturgica sa distinguere con unapluralità di croci e di calici, la celebrazione ferialeda quella festiva a quella solenne. Avere allora unCero pasquale adatto per l’uso esclusivo delleesequie, conservando invece il Cero maggiore conla sua più alta qualità e ricchezza d’ornato nelbattistero, sembra possa essere un’alternativa valida.Il signif icato del Cero è identico come identico è il

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signif icato e la funzione di una croce astile piùpreziosa rispetto ad una più feriale ed ordinaria. Inquesto modo, da un lato si preserva il Cero pasqualeprincipale nella sua integrità e preziosità restandoinamovibile, e dall’altro non si priva della suapresenza il feretro dei defunti. Ed ecco che,mantenendo il Cero pasquale nella sua permanenteriservatezza presso il battistero senza indulgere adaltri usi, se ne conserva pure la sua straordinarietàe novità, che dovranno opportunamentemanifestarsi nelle celebrazioni della Pasqua annuale.E siccome ciò che è ordinario perde interesse(cotidiana vilescunt), giustamente, se si vuole dareal Cero pasquale la sua maestosità e tipicità qualiconnotati propri del suo essere esposto sul suocandelabro nel tempo di Pasqua, esso dovràantecedentemente mantenersi in quel riserbo chegli è conveniente e necessario per ritornare in novitàe splendore nel suo ruolo di ‘banditore’ dellarisurrezione. Un procedimento analogo potrebbeessere previsto anche per la Croce esposta nelVenerdì santo: una Croce preziosa e unica, cheidealmente i fedeli dovrebbero poter veneraresoltanto in quella occasione.

4. In Avvento e a Natale ci sono richiami moltobelli e commoventi per impegnare i bambininella preghiera durante la catechesi e nelle lorofamiglie. In Quaresima e nel tempo pasquale,quali segni si possono proporre per una vitaspirituale che coinvolga pure le famiglie?

E’ cosa quanto mai opportuna che la liturgia dellaChiesa abbia un costante risvolto nella preghieradomestica. In questo modo i genitori preparano iloro f igli alla celebrazionedelle grandi solennità edestendono nella vita fami-liare il clima spirituale dellefeste e dei tempi sacri.Quel singolare esercizio‘sacerdotale’, proprio deigenitori cristiani, trova lasua manifestazione piùordinaria nell’organiz-zazione di una vita dipreghiera in casa comeeff icace strumento di santi-f icazione degli sposi e deilori f igli, auspicio dibenedizione divina sulmatrimonio e sulla fami-glia. La tradizione offre perogni tempo sacro dei segniappropriati per stimolare

l’orazione familiare. Si tratta di voler approf ittaredi tali simboli. Come la ‘corona d’Avvento’ e poi ilpresepio attirano l’attenzione e coagulano lafamiglia nel tempo di Avvento e Natale, così ancheil ‘ciclo pasquale’ potrebbe avere i suoi simboli diriferimento. Se in Quaresima assume centralità lacroce, esposta in luogo d’onore quale fulcro dellapreghiera domestica, nel tempo pasquale i simbolipiù idonei potrebbero essere il cero decorato adimmagine del Cero pasquale con accanto il vasodell’acqua benedetta. Così si compie in casa ciò chesi celebra in chiesa: per crucem ad lucem. La Croceguida i nostri passi nell’itinerario quaresimale, laluce del Cero attesta la nostra fede nel Cristorisorto. I simboli del Cero pasquale riprodotti sulcero domestico diventano uno strumentocatechistico per insegnare ai f igli il senso dellapresenza del Risorto, la sua identità di Verboeterno, incarnato, morto e sepolto, ma ora vivo inmezzo a noi con le sue piaghe gloriose, chedobbiamo saper scorgere nella fede secondo leparole di Gesù: «Beati quelli che pur non avendovisto crederanno» (Gv 20,29). Anche l’usodomestico dell’acqua benedetta rimanda al misterodella nostra risurrezione, avvenuta nel battesimo.Ed ecco che, come si faceva in passato, si potrebbeportare in casa, dopo la veglia pasquale, sia il fuoco‘nuovo’ e con esso accendere il cero domestico, sial’acqua ‘nuova’, attinta dal battistero e conservatain casa almeno per il tempo di Pasqua. Il breve ritodi venerazione al Cero, suggerito nell’articolo difondo di questo numero della rivista, potrebbeessere impiegato anche nella preghiera familiarenel tempo di Pasqua.

Canto dell’”Exultet” e

cero pasquale in una

miniatura medioevale

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Sulla musica sacraovverodelle nuove generazioniMo. Aurelio Porf iri

Mi è capitato di recente di trovarmi con dei giovaniragazzi che studiavano organo e che, visto la miaingravescentem aetatem, mi vedono come il Maestromaturo (non ancora vecchio ma ci stiamo arrivando)che può dare consigli per quello che riguarda il loropercorso. Certamente non mi sottrarrei al mio doveree darei consigli quando richiesto. Il primo consiglio,che mi sentirei di dare all’inizio e alla f ine è questo:non studiate. Sembra brutto detto così, ma la miaspiegazione renderebbe chiara la natura del miosuggerimento. Perché studiare anni e anni, conspreco di soldi notevole, quando la realtà è che nonc’è lavoro per i musicisti che si dedicano alla liturgia.Parliamoci chiaro, nei paesi anglosassoni forse le cosevanno meglio, ma qui da noi è un disastro. I colleghicon cui parlo di questa situazione non fanno chelamentarsi, in quanto si ritrovano, come ilsottoscritto, con una qualif icazione completamenteinutile.

Non facciamo gli ipocriti: anche gli organisti, idirettori di coro, i cantori, devono vivere. Se non cisono problemi nel pagare il f ioraio che porta i f ioriin Chiesa, se non c’è il problema a riconoscere allostesso sacerdote una somma per ogni celebrazionedella Messa, se non c’è problema nel pagare chi fadei servizi per la Chiesa, come mai non si capisce chechi è qualif icato per il servizio musicale, ha dirittoad essere ricompensato?

Qui bisogna fare una precisazione, anche se dolorosa,ma che non può essere elusa. Naturalmente questoproblema riguarda i musicisti laici, i musicistisacerdoti sono ampiamente più privilegiati (loro sipossono permettere di non ricevere compenso,comunque la diocesi pensa a loro in qualche modo ocon qualche altro incarico). E, diciamocelochiaramente, non ci si può aspettare che il sistemaclericale (non la Chiesa, attenzione) si preoccupiveramente di chi vive al di fuori di esso. Certamente,belle parole e pie intenzioni, ma in fondo chi ha lapancia piena non capisce chi è senza mangiare. Nonsto esagerando, anzi, se chi legge è onesto con sestesso riconoscerà che quello che dico è solo buonsenso.

Ma, mi si chiederà, non eravamo nei tempi delcoinvolgimento dei laici, della f ine della Chiesaclericalista? Per favore, cerchiamo di non farci

ingannare da quello che ci si vuol far credere.Tutti capiamo che alla f ine, tutti proteggono ilproprio orticello. Chi è dentro il sistema clericale(ancora: non la Chiesa), non desidera altro chefare in modo che il sistema si perpetui esopravviva, allo stesso modo di come accade peraltri sistemi: quello accademico, quello politico,quello di certa cultura. All’interno del sistema siinnescano dinamiche che ne permettono laconservazione, la prima dinamica essendo proprioquella della garanzia dei propri membri.

Ma, non siamo tutti parte della Chiesa di Dio?Certamente, in forza del Battesimo questo non cipuò essere negato. Ma essere parte della Chiesadi Dio non vuol dire essere parte del sistemaclericale, che poi alla f ine gestisce le Parrocchie,fa girare il Vaticano, occupa tutti gli uff iciecclesiali. Insomma, da un servizio al popolo diDio questo diventa, purtroppo, un servizio a sestessi. Almeno funzionasse bene, questo sistemaclericale! Se solo ci riferiamo alla musica sacra eci limitiamo a quello che osserviamo nelle nostreParrocchie, non possiamo che essere presi dalloscoramento. Ora, i miei cari giovani,aff rontandomi indomiti, mi direbbero chesaranno loro a cambiare le cose. Io, commossodal loro ardire, gli direi però che non si faccianoillusioni. Ho imparato sulla mia pelle come siaspesso vano cercare di far capire a preti oramaicompletamente ignoranti di cosa sia il senso delsacro e dell’adorazione, che certi canti nonservono la liturgia ma anzi hanno uno spiritoantitetico alla stessa, che è inutile dire alle personedi considerare l’alternativa Cattolica, quando poila musica che sentono in Chiesa non è differentein nulla da quella che sentono nel mondo. Nonc’è verso, e io li capisco. Quando ti senti insicurosu qualcosa ma hai un potere, si cerca di non avereuna discussione con coloro che ne sanno più dite.

Certo non potrei negare che quella della musicasacra sarebbe una missione splendida, una veravia a Dio, un canale privilegiato per poterpartecipare alla liturgia nel modo olistico e nonsoltanto facendo qualcosa. Ma oramai tuttoquesto non esiste più, ci vorrebbe veramente unnuovo San Pio X che si pref iggesse come unodegli scopi della sua azione pastorale, quello delrinnovamento della liturgia e della musica sacra.Ma, parliamoci chiaro, se non ha fatto moltoBenedetto XVI per questo, come si può sperareche uno dei Cardinali del Sacro Collegio attuale,se eletto in futuro Papa, farà qualcosa. Quelliche potrebbero qualcosa sono ora dall’altra parte,sono sempre di meno e sempre più anziani. No,le prospettive non sono buone.

Ricordate, direi ai miei giovani, il problema nonè che i canti che vengono oggi fatti sono scadenti,effeminati, indegni della liturgia. No, quello non

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è il problema, ma una conseguenza dello stessoproblema. Il problema deriva dalla differenza frauomini di Dio e uomini di Chiesa (come direbbeDivo Barsotti); e oggi ci troviamo una Chiesa in cuiabbondano gli uomini di Chiesa, che ben si trovanonel sistema clericale, e in cui scarseggiano gli uominidi Dio, che capiscono bene che il clericalismo è uninsulto alla loro vocazione. Cari giovani,concluderei, non lottate per questo o per quello,lottate contro il clericalismo. Semmai questoproblema verrà risolto (e io lo dubito altamente)ogni cosa poi andrà al suo posto.

Cantate Dominumcanticum novumDichiarazione sulla situazione attualedella musica sacra (prima parte)

Noi sottoscritti - musicisti, sacerdoti, insegnanti,studiosi e amanti della musica sacra - offriamoumilmente alla comunità cattolica di tutto il mondoquesta dichiarazione, esprimendo il nostro grandeamore per il patrimonio di musica sacra dellaChiesa e la nostra profonda preoccupazioneriguardo il suo diff icile stato attuale.

Introduzione - Cantate Domino canticum novum,cantate Domino omnis terra (Salmo 96): questocantare alla gloria di Dio è risuonato per l’interastoria della Cristianità, dall’inizio al giornopresente. La Sacra Scrittura e anche la SacraTradizione sono testimonianza del grande amoreper la bellezza e per il potere della musica nel cultodovuto a Dio onnipotente. Il patrimonio dellamusica sacra è stato sempre considerato come cosapreziosa nella Chiesa Cattolica dai suoi santi,teologi, pontef ici e dai suoi fedeli laici.

Questo amore e familiarità con la musica ètestimoniato da tutta la letteratura cristiana e inmolti documenti che i Papi hanno dedicato allamusica sacra, dalla Docta Sanctorum Patrum(1324) di Giovanni XXII alla Annus Qui (1749) diBenedetto XIV, giù f ino al Motu Proprio Tra lesollecitudini (1903) di San Pio X, la Musicae SacraeDisciplina (1955) di Pio XII, il Chirografo sullaMusica Sacra (2003) di San Giovanni Paolo II, evia dicendo. Questa vasta documentazione ci fapresente in modo molto forte che l’importanza e ilruolo della musica nella liturgia deve essereconsiderato molto seriamente. Questa importanzaè collegata con la profonda connessione tra laliturgia e la musica, una connessione che va in duedirezioni: una buona liturgia permette musica dialtissimo livello, ma uno standard basso di musica

per la liturgia inf luisce tremendamente sullaliturgia stessa. Non può essere dimenticatal’importanza ecumenica della musica, quandosappiamo che altre tradizioni cristiane - come gliAnglicani, i Luterani e gli Ortodossi - hannogrande considerazione per l’importanza e ladignità della musica sacra, come testimoniato dailoro “patrimoni” gelosamente custoditi.

Stiamo celebrando un importante evento, ilcinquantesimo anniversario della promulgazionedell’Istruzione sulla musica nella liturgia MusicamSacram (5 marzo 1967) sotto il pontif icato delBeato Paolo VI. Leggendo oggi il documento, nonpossiamo fare a meno di pensare alla via dolorosadella musica sacra nei decenni che hanno seguitola Sacrosanctum Concilium. Infatti, quanto èaccaduto in alcune fazioni nella Chiesa a queltempo (1967), non era per nulla in linea con laSacrosanctum Concilium o con MusicamSacram. Certe idee che non erano mai statepresenti nei documenti del Concilio sono stateimposte nella pratica liturgica, a volte con lacomplicità di una mancanza di vigilanza da partedel clero e della gerarchia ecclesiastica. In alcunipaesi il patrimonio della musica sacra che ilConcilio aveva chiesto venisse preservato, nonsolo non è stato preservato ma è stato anchecombattuto. E questo certamente contro ilConcilio, che aveva chiaramente affermato:

La tradizione musicale della Chiesa costituisceun patrimonio d’inestimabile valore, cheeccelle tra le altre espressioni dell’arte,specialmente per il fatto che il canto sacro,unito alle parole, è parte necessaria edintegrante della liturgia solenne. Il canto sacroè stato lodato sia dalla sacra Scrittura, sia daiPadri, sia dai romani Pontef ici; costororecentemente, a cominciare da S. Pio X, hannosottolineato con insistenza il compitoministeriale della musica sacra nel culto divino.Perciò la musica sacra sarà tanto più santaquanto più strettamente sarà unita all’azioneliturgica, sia dando alla preghieraun’espressione più soave e favorendol’unanimità, sia arricchendo di maggiorsolennità i riti sacri. La Chiesa poi approva eammette nel culto divino tutte le forme dellavera arte, purché dotate delle qualità necessarie(112).

La situazione attuale

Alla luce del pensiero della Chiesa cosìfrequentemente espresso, noi non possiamoevitare di essere preoccupati per la situazioneattuale della musica sacra, che è quantomenodrammatica, con abusi nel campo della musicasacra che sono ora la norma, piuttosto chel’eccezione. Noi riassumeremo qui alcuni di questielementi che contribuiscono allo stato presentedi desolazione in cui versa la musica sacra nellaliturgia.

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1. C’è stata una mancanza di comprensionedell’”aspetto musicale della liturgia”, cioè, che lamusica è una parte integrale della vera essenza dellaliturgia come pubblico, formale e solenne culto aDio. Noi non dobbiamo semplicemente cantaredurante la Messa, ma cantare la Messa. Quindi,come Musicam Sacram stessa ci ricorda, le partiche spettano al celebrante dovrebbero esserecantillate usando i toni contenuti nel Messale, conl’assemblea che risponde a queste parti; il cantodell’Ordinarium Missae in canto gregoriano o inmusica ad esso ispirato dovrebbe essereincoraggiato; e anche ai Propri della Messadovrebbe essere dato un posto d’onore che anchesignif icasse la loro importanza storica, la lorofunzione liturgica, e la loro profondità teologica.Un approccio simile si applica anche al cantonell’uff icio divino. Sarebbe un mostrare una speciedi vizio di “inedia liturgica”, il non cantare la liturgia,usando solo “musica di consumo” piuttosto chemusica sacra, rif iutare di educarsi o di educare glialtri nella tradizione della Chiesa e nelle suedirettive, mettendo poco o nessuno sforzo perl’edif icazione di un programma dignitoso di musicasacra.

2. Questa mancanza di comprensione liturgica eteologica va insieme con l’aver abbracciato ilsecolarismo. Il secolarismo di stili musicali pop hacontribuito alla desacralizzazione della liturgia eallo stesso tempo il secolarismo dettato dalleesigenze di prof itto di un certo tipo di mercato hafavorito l’imposizione di mediocri repertori dimusica per le parrocchie. Ha incoraggiato unantropocentrismo nella liturgia che mette inpericolo la vera natura della stessa. In ampi settoridella Chiesa al giorno d’oggi c’è una relazionescorretta con la cultura, che può essere vista comeuna “rete di connessioni”. Nell’attuale situazionedella musica liturgica (e della liturgia in se stessa,perché le due sono legate), noi abbiamo interrottoquesta rete di connessioni con il nostro passato eabbiamo provato a collegarci ad un futuro che perònon ha signif icato senza contatto con il suo passato.Oggi la Chiesa non sta attivamente usando la suaricchezza culturale per evangelizzare, ma è piuttostoessa stessa usata da una cultura secolarizzata, natain opposizione alla Cristianità, che destabilizza quelsenso di adorazione che è al cuore della fedeCristiana.

Papa Francesco, nella sua omelia per la festa delCorpus Domini (4 giugno 2015) ha parlato dello“stupore della Chiesa davanti a questa realtà [dellaSanta Eucaristia]. Uno stupore che alimenta semprela contemplazione, l’adorazione e la memoria”. Inmolte delle nostre Chiese in giro per il mondo, doveè oramai questo senso di contemplazione,adorazione e stupore per il mistero dell’Eucaristia?Esso è perduto perché oramai stiamo vivendo unasorta di Alzheimer spirituale, una malattia che cista strappando le nostre memorie teologiche,

artistiche, musicali e culturali. È stato affermato chenoi dovremmo introdurre la cultura di ogni popolonella liturgia. Questo potrebbe essere giusto, secompreso correttamente, ma non nel senso che laliturgia (e la sua musica) deve divenire il luogo doveesaltare una cultura secolare. Essa è un luogo dovela cultura, ogni cultura, deve essere trasportata adun altro livello e purif icata.

3. Ci sono gruppi che spingono per un“rinnovamento” che non rif lette l’insegnamentodella Chiesa ma serve solo la propria agenda, visionedel mondo e interessi. Questi gruppi hanno alcunidei loro membri in importanti posti di comando,da dove loro possono mettere in pratica i loro piani,la loro idea di cultura e il modo in cui noidovremmo avere a che fare con tematiche diattualità. In alcuni paesi potenti lobbies hannocontribuito alla sostituzione de facto di repertoriliturgici fedeli alle direttive del Vaticano II conrepertori di bassa qualità. Quindi, siamo f initi conrepertori di nuova musica liturgica di qualità moltobassa, sia per quello che riguarda il testo, sia perquello che riguarda la musica. Questo ècomprensibile quando rif lettiamo sul fatto chenulla che ha valore duraturo può venire da unamancanza di formazione e perizia, specialmentequando questa gente non si cura dei saggiinsegnamenti contenuti nella tradizione dellaChiesa:

Per tali motivi il canto gregoriano fu sempreconsiderato come il supremo modello dellamusica sacra, potendosi stabilire con ogniragione la seguente legge generale: tanto unacomposizione per chiesa è più sacra e liturgica,quanto più nell’andamento, nella ispirazione enel sapore si accosta alla melodia gregoriana, etanto è meno degna del tempio, quanto più daquel supremo modello si riconosce difforme(San Pio X, Motu Proprio Tra le sollecitudini).

Oggi questo “modello supremo” è spesso scartato,se non disprezzato. L’intero Magistero della Chiesaci ha ricordato l’importanza di aderire a questoimportante modello, non come una maniera dilimitare la creatività ma come una base su cuil’ispirazione può f iorire. Se desideriamo che i fedelisi mettano alla sequela di Gesù, noi dobbiamopreparare per loro la “casa” con il meglio che laChiesa può offrire. Noi non li invitiamo nella nostracasa, la Chiesa, per dargli un sottoprodotto musicalee artistico, quando essi possono trovare un piùaccattivante stile pop al di fuori di essa. La liturgiaè un limen, una soglia che ci permette di passaredalla nostra esistenza quotidiana alla celebrazionecon gli angeli: Et ídeo cum Angelis et Archángelis,cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omnimilítia cæléstis exércitus, hymnum glóriæ tuæcánimus, sine f ine dicéntes...

(continua)

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Anno 2017 - N° 1 - mese marzo - Periodicità trimestrale - Poste Italiane s.p.a. Spedizione

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