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NARRATIVA

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Tess Callahan

IL MIO MIGLIOREAMICO

Traduzione di Marcella Maffi

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April & OliverCopyright © 2009 by Therese Callahan James© 2010 Sperling & Kupfer Editori S.p.A.per Edizioni Frassinelli

ISBN 978-88-88320-56-4 86-I-10

Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sonofrutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in chiave fittizia. Ogni rassomi-glianza con eventi e località reali o con persone realmente esistenti o esistite, è pura-mente casuale.

La citazione a pagina 262 è tratta da: Régine Pernoud, Eloisa e Abelardo, traduzionedi Costante Marabelli, Jaca Book, Milano 2001, p. 63.

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Ai miei genitori,Grace e John

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Ringraziamenti

Per aver condiviso con me le loro impressioni su questo li-bro in particolare o sulla scrittura in generale, ringrazio MelisetAbreu, Douglas Bauer, Sven Birkerts, Nicole Bokat, Anne Cal-cagno, Anne Callagy, Chris Callagy, Leonard Casper, DeirdreDay-MacLeod, Susan Dodd, Don Freas, Amy Hempel, DavidLehman, Tom Lorenz, Jill McCorkle, Naomi Rand, MarlySwick e soprattutto Caprice Garvin. Sono grata al cronista delBaltimore Sun David Steele per i numerosi dettagli sul giornali-smo sportivo. Ringrazio la straordinaria pianista Hélène Gri-maud per l’ispirazione musicale e per la sua intuizione sull’alle-gretto della Sinfonia n. 7 di Beethoven, così come espressa nelprogramma All Songs Considered della radio pubblica statuni-tense (NPR). Sono inoltre riconoscente al pittore Roy Kinzerper avermi resa una scrittrice migliore insegnandomi a guarda-re. Grazie anche alla mia vecchia amica Andrea che ha portatol’avventura nella mia infanzia. La mia stima e ammirazione van-no alla mia agente Anne Edelstein, per la sua saggezza e il suoentusiasmo, e alla mia editor Deb Futter, per il suo sguardoperspicace e intuitivo. Infine ringrazio i miei famigliari e miomarito Vincent per la loro fiducia e il loro sostegno.

Desidero inoltre rivolgere un ringraziamento speciale a Sa-sha Troyan, amica di lunga data e fidata lettrice, senza la qualequesto manoscritto sarebbe ancora in un cassetto.

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Prologo

Buddy si è perso già da un po’, i tergicristalli spazzano lafitta neve del Maine quando, guardando nello specchietto re-trovisore, si accorge di aver mancato una curva e frena. L’autoperde aderenza, gira vorticosamente su se stessa. Più aumentala velocità, più il tempo rallenta. Buddy è il punto fisso e ilmondo sbanda intorno a lui.

Trascina con sé un giovane acero nel precipizio. Qualchefoglia caparbia si aggrappa ai rami che sporgono sul parabrez-za. D’un tratto tutto è calmo. Vede squarci di cielo. Un aironesolitario. L’auto è appoggiata su un fianco e Buddy è finito inqualche modo sul sedile del passeggero, con la schiena rivoltaal finestrino e il piede sotto il volante schiacciato. La sua gam-ba ha un’angolazione impossibile; sembra appartenere a qual-cun altro. Il motore spento fa uno scatto; Buddy sente odore dibenzina e di linfa, di legna appena spaccata, delle frittelle disua sorella.

Ricorda quando da piccolo si era perso nel bosco assieme asua sorella April e al loro amico Oliver, il profumo delle fogliebagnate e la fredda calma della notte che cala. È questo cheviene ora in mente a Buddy. Un ruscello che gorgoglia river-sandosi sulle rocce sparse qua e là. Loro tre che mettono i pie-di su un masso dopo l’altro. Le sue manine nelle loro grandimani. L’acqua che scroscia verso il basso. L’inizio di una do-

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manda che avverte, ma che non riesce a pronunciare. Ha la sa-goma di una persona china su di lui, in attesa.

L’alberello dilaniato scricchiola. Buddy guarda dentro l’au-to e vede un giovane uomo dagli occhi spaventati con indossoil suo parka. Non sa chi possa essere. Abbassa lo sguardo sullafumante Malibu azzurro pallido spolverata di neve. La scena èstranamente tranquilla. Legato al tetto inclinato, il cervo a cuiha sparato quella mattina sembra stare ritto in piedi, pronto aspiccare un balzo.

Entrano dei frammenti di neve. Buddy sente il rumore diogni fiocco che gli tocca i capelli, che si posa sulla morbida pe-luria delle corna dell’animale. Ricorda di avergli messo unamano sul fianco mentre era steso nella neve, di averne avverti-to il calore. Quegli occhi scuri, gentili. Gli occhi di sua sorella,in ansia ogni volta che lui si sbucciava un ginocchio. «Mi di-spiace, April», le diceva.

«Non importa, Budster», rispondeva lei, mentre gli tampo-nava con cura la ferita. «Tutti cadiamo qualche volta.» Ma nelsuo sorriso c’era sofferenza; non sopportava che lui si facessemale.

Vorrebbe che lei sapesse che quanto sta accadendo in quelmomento non fa affatto male. Lui sta bene. Un velo di neve ri-copre il parabrezza. Buddy avverte la pausa tra ogni suo respi-ro farsi sempre più ampia, come quando si allunga il passo,una fessura diventa a mano a mano più grande e alla fine lui ciscivola dentro.

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La mattina del funerale, ben prima dell’alba, un vento di-spettoso entra nell’appartamento di April, scuotendo rumoro-samente le conchiglie del suo scacciaguai e facendola balzareseduta nel letto. L’aria notturna si impadronisce di lei. La suamente si precipita attraverso l’oscurità, rifiutandosi di ricorda-re, ma la consapevolezza guadagna terreno. È oggi. I fogli sulcomodino volano via. Le tende si aggrovigliano e sbattono.April riesce a raggiungere la finestra, mentre i suoi lunghi ca-pelli sferzano l’aria, ma nel momento stesso in cui arriva al da-vanzale, la folata si placa. Contro ogni logica i suoi pensieri siinerpicano in cerca di un passaggio che la riporti indietro, diun’opportunità per dirgli: «Non partire. Ho una brutta sensa-zione». Invece si erano salutati allegramente, senza l’ombra diun presentimento.

Un motivetto sale dalla strada. Un uomo dall’aspetto fami-liare con un soprabito malconcio e la barba incolta vaga per lastazione ferroviaria di fronte. Quando ha bevuto abbastanza,la sua voce attraversa forte e chiara la Sunrise Highway. Il suotono triste le riecheggia dentro, appena sotto lo sterno. Aprilchiude la finestra.

La quiete della stazione le dice che non sono ancora le cin-que del mattino. Non si disturba a controllare che giorno è; losa. Appoggiato sullo schienale di una sedia c’è il vestito nero

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che ha preparato. Invece si infila un paio di jeans, sale in mac-china e raggiunge la tavola calda. In fin dei conti è domenica.

La solita cameriera con i capelli gonfi come un dente di leo-ne e gli occhi simili a due fessure alza un sopracciglio. «Nonsei in anticipo di circa tre ore?» le domanda, versando due taz-ze di caffè.

«Ho una giornata piena di impegni», risponde April.«Lui è già qui?» chiede, indicando la seconda tazza.«Le bevo tutt’e due io. Grazie.»«Sparati pure», dice la cameriera voltandosi.April rabbrividisce. Serviti pure. Certo, è questo che ha det-

to. Santo cielo, pensa.April trascina la seconda tazza dal proprio lato. Il tavolo ha

un’aria fredda con nessun altro seduto assieme a lei. Un im-menso acquario illumina la vetrina del locale, un luogo impro-babile per una vasca di pesci, e tuttavia non vi ha mai vistol’ombra di un’alga. Vivaci koi fluttuano avanti e indietro.Buddy adorava guardarli. April lo portava lì a fare colazionequasi tutte le domeniche da quando aveva otto anni. Sono giàtrascorsi dieci anni?

Le persone passano davanti al locale con la testa china con-tro il vento impetuoso. April trasalisce pensando di aver vistoBuddy correre verso la porta – lui è sempre in ritardo – ma èsoltanto un tizio che fa jogging. Avvicina i palmi delle mani alcaffè, ancora troppo caldo per essere toccato. Il fumo si avvol-ge in nastri delicati, non una nuvola amorfa, ma una spirale rit-mica, un turbinante derviscio di foschia. Ne avverte il caloresul viso. Il vapore sale girando su se stesso con una grazia stra-ziante, fragile e flessuoso come le note del mendicante. Nonsopporta di guardarlo, né di smettere di farlo. A poco a poco ilfumo rallenta la sua salita e si sfilaccia in aliti leggeri. Aprilpensa a molte cose, a quando allacciava le scarpe a Buddy, aisassolini che gli toglieva dal ginocchio sbucciato, a come lopettinava prima di andare a scuola, con quel ciuffo ribelle chesi rifiutava di stare a posto. E, allo stesso tempo, non vede altroche vapore.

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Per un attimo non sa più dov’è. Il caffè si è raffreddato daun pezzo e il locale brulica di gente. Fuori, il sole sbianca ilmarciapiede. La cameriera con gli occhi infossati aspetta infondo al tavolo, picchiettando la penna. «Ah, già», dice April.«Il conto.»

Guarda dentro la borsa in cerca del portafoglio e vi trovaanche quello di lui, benché non sappia bene quando ce l’hamesso. La pelle è liscia e ha la forma della tasca posteriore dilui. Le chiedeva sempre di lasciargli pagare il conto e lei nonglielo permetteva mai. Nemmeno una volta. Prende una ban-conota da venti dal portafoglio di Buddy e la mette sul tavolo.

Quando torna nel suo appartamento, il vento ha ammuc-chiato dei fogli contro la porta del ripostiglio: i moduli del-l’assicurazione, il rapporto dell’incidente, la notifica di morte.Non li raccoglie, ma vi abbandona accanto i propri jeans. Iltessuto aderente del vestito le fa venire i brividi. Invece dispazzolare a fatica i capelli arruffati dal vento, li lascia comesono.

Le porte della chiesa sono chiuse, così si siede sui freddigradini di pietra e aspetta. Da quando c’è stato l’incidente, haperso la cognizione del tempo. Ha chiesto che il carro funebrearrivasse lì perché non sopportava l’idea di tornare alla cameraardente. Finalmente giungono automobili cariche di gente. So-no perlopiù adolescenti con i pantaloni a vita bassa e tre buchia ogni orecchio, ma i loro volti scioccati e inesperti fanno pen-sare a dei bambini.

La messa funebre e il viaggio in macchina fino al cimitero lepassano davanti come se fossero il sogno di qualcun altro. L’u-nica cosa vivida è il passato, quelle unghie sporche che Aprilnon riusciva mai a fargli pulire. Il fuoricampo che aveva con-quistato il giorno del suo nono compleanno.

Il sacerdote apre il libro delle preghiere, legge e le sue paro-le cadono come foglie nella tomba aperta. April non le capisce,sente soltanto il timbro monotono della sua voce e un lievissi-

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mo rumore quando volta le pagine di sottile carta traslucida.Le torna in mente quella volta che aveva fatto cadere Buddynel corridoio del piano di sopra, vicino alle scale. Era inciam-pata in qualcosa, forse le scarpe che suo padre lasciava semprein giro, e il bambino le era volato di mano. Riesce ancora a udi-re il tonfo con cui aveva colpito il pavimento, il silenzio attoni-to quando non si era messo a piangere. Era certa di averlo uc-ciso. Appena Buddy aveva finalmente emesso un vagito, ne erastata così sollevata che era scoppiata a piangere anche lei.

Lancia un’occhiata a destra, sentendo che qualcuno la stafissando, ma poi si accorge che si tratta dell’auto di Buddy, ilmuso girato verso di lei. L’ha parcheggiata a casaccio, disalli-neata rispetto alle altre. Ora è sua, ma le sembra sbagliato ere-ditarla da Buddy, un diciottenne ancora fresco di patente.

Di tanto in tanto avverte su di sé lo sguardo di Oliver chele sfiora la pelle come uno squarcio di sole tra le nuvole, uncalore così fugace da farla rabbrividire. È del tutto sveglia, ep-pure non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che sta so-gnando. Sfrega il cinturino consumato del suo orologio, pen-sando che anche il tempo ha dato i numeri, è uscito dai binarie sta girando come un cavatappi invece di andare avanti, cosìche i tre giorni trascorsi dall’incidente sono passati in pochisecondi, mentre quel momento al cimitero sta coprendo l’in-tero arco della sua vita.

April guarda la fila di auto, domandandosi se T.J. si farà vi-vo, se addirittura ha saputo cos’è successo. Sono trascorse duesettimane dall’ordine restrittivo e l’idiozia di sentire la suamancanza la fa infuriare. Oltre le auto, il cielo è di un azzurroferoce e cristallino e, stagliati su di esso, gli alberi diffondonovibranti sfumature di ocra, ruggine e rosso. Una corrente d’a-ria solleva delle foglie, la brezza agita le maniche del vestito diApril così delicatamente da farle trattenere il respiro. Se losplendore di quella giornata è uno scherzo di Dio, non la fa ri-dere. Vuole tuoni e grandine. Le sembra quasi di poterli scate-nare con la forza della sua volontà.

Quando Buddy era neonato, bastava il lieve schiocco delle

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sue labbra a destarla. Sapeva come sganciare la sponda del let-tino e farla scivolare giù silenziosamente in modo da non di-sturbare il cane, le cui medagliette tintinnanti nel cuore dellanotte potevano svegliare il padre, sempre di malumore quandoveniva strappato al sonno. April dava a Buddy il biberon ancorprima che lui lo reclamasse piangendo. Ricorda il profumo dilatte della sua pelle, i capelli soffici e la minuscola mezzalunadelle unghie.

I presenti si fanno il segno della croce, imitando il sacerdo-te, e anche April lo fa, disegnando una linea dalla testa al cuo-re, da una spalla all’altra, dal padre al figlio. I freni erano con-sumati; April l’aveva notato. Di settimana in settimana ripete-va a se stessa che li avrebbe fatti riparare con la prossima paga.

Se i suoi genitori fossero stati vivi, non sarebbero sopravvis-suti a quel colpo, pensa. Immagina che suo padre sia lì, con lebraccia conserte e i bianchi capelli di seta frementi nella brez-za. Il suo unico figlio maschio, pensa April, il suo compagno dipesca, il giocatore di baseball e di football. Buddy era l’unico asomigliare al padre, lo stesso collo largo, l’enorme taglia dicappello e la risata dal suono sorprendentemente acuto.

«… e quindi preghiamo perché l’anima di Bede Simone Ju-nior riposi in pace», legge il sacerdote.

April si morde l’interno delle guance. Nessuno lo chiamavaBede; Buddy detestava quel nome, la forma abbreviata di obe-dience, obbedienza. Diceva che l’obbedienza è quella che unpadrone pretende da uno schiavo, non un modo di chiamareun essere umano.

Quel nome, però, si addiceva a suo padre. April non puòfare a meno di immaginarlo lì, assieme alla madre. Lei si sareb-be vestita in modo magnifico per l’occasione, con i corposi ca-pelli color del grano raccolti indietro da un bel fermaglio permettere in risalto i lineamenti fini del viso. April ha ereditatoquella delicatezza. Deve continuamente dimostrare alla gente,e soprattutto agli uomini, che non è fragile come sembra.

Buddy era tutto l’opposto, duro soltanto fuori. Quand’erain terza elementare, d’inverno si prese una brutta faringite. Nei

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giorni in cui restò a casa da scuola, per ammazzare il tempoApril e Oliver, allora sedicenni, costruirono nella sua stanzauna tenda fatta con coperte e sedie e ci misero dei cuscini, unalampada e uno sgabello che fungeva da tavolo. Poi si infilaronodentro e a turno lessero a Buddy Il re del vento. Quando futroppo stanco per tenere gli occhi aperti, Buddy chiese a Oliverdi suonargli «piano il piano», disse, sorridendo alla propria bat-tuta. «Bach, però. Beethoven mi fa stare sveglio.» Alla fine Oli-ver si stese sul pavimento. Dentro la tenda era sceso il buio. «Siè addormentato», sussurrò. «E adesso cosa facciamo?»

«Ormai mio papà è tornato a casa», rispose April. «Po-tremmo andare alla tua sala prove.»

«Stiamo ancora un po’ qui», disse Oliver.April si avvicinò sdraiandosi perpendicolarmente a lui, con

la testa appoggiata sul suo petto. Era una mossa audace, manessuno dei due disse niente. April rimase ad ascoltare i respi-ri di Buddy farsi sempre più lunghi e il battito massiccio delcuore di Oliver che gli risuonava contro le costole.

April guarda il bianco della bara. Immagina il lungo strido-re che si conclude in un accartocciamento di lamiere. Poi, il si-lenzio. Era stato Oliver con il suo pianoforte a insegnarle a mi-surare i suoni, a trattenerli nella memoria, ma era accaduto unsecolo fa. Oliver aveva vissuto in California così a lungo che leicredeva avesse ormai chiuso con la costa orientale e invece duemesi prima aveva sentito dire che era tornato, e che era fidan-zato. April lancia un’occhiata verso di lui: ha la testa china, unamano sulla bocca mentre il prete legge la benedizione finale el’altra stretta alle dita della sua fidanzata così forte da avere lenocche bianche. Sulla piccola mano di Bernadette, l’anellosembra grande. April pensa che dovrebbe sentire qualcosa, manon è così.

Bernadette indossa un blazer jacquard e una gonna abbina-ta lunga fino al polpaccio, i capelli biondi sono raccolti inun’ordinata treccia e intorno al collo ha una sciarpa di seta.

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April fa il paragone con il proprio vestito di broccato nero, avita bassa, corto e con l’orlo svolazzante, un abito che potreb-be mettersi per andare a ballare. Ne tocca le pieghe con lapunta delle dita, domandandosi che cosa le sia saltato in men-te. Poco importa che sua madre sia morta da diciassette anni:non avrebbe approvato.

Il prete chiude il libro e la gente si avvia verso le auto. Ungruppo di amici di Buddy si stringe in un abbraccio sponta-neo, mani sulle spalle del vicino e fronti che si toccano. Un ra-gazzo con la testa rasata si lascia sfuggire un singhiozzo. Aprilimmagina i suoi genitori morti camminare separatamente ver-so una limousine, senza guardarsi.

Pensa alla nonna ancora in vita che è a casa a pelare le ci-polle. Non glielo ha detto nessuno. Hanno deciso che l’ictusdell’anno scorso era ancora troppo recente. Ma April ha il so-spetto che non glielo vogliano dire perché ciò significherebbeammetterlo con se stessi. A ogni modo la decisione è stata pre-sa e non è la prima bugia a cui April dà il suo contributo.

Sente portiere che si aprono e si richiudono e fruga nellaborsetta in cerca delle chiavi, le chiavi di Buddy, con appeso ilcoltellino tascabile che usava per sventrare il pesce e tagliare lelenze. Glielo aveva regalato il padre quando aveva dodici annie, a furia di toccarlo, il logo della Victorinox si era quasi deltutto cancellato. April estrae ogni lama e la rimette dentro, poil’apriscatole, la limetta per le unghie, le forbici. Buddy lo tene-va pulitissimo.

Gli amici di Buddy sciolgono il loro abbraccio. Camminanoa braccetto. Le auto si allontanano. Dei gruppetti indugiano.Oliver e Bernadette sono l’uno vicino all’altra e parlano sotto-voce. Bernadette le lancia uno sguardo. April riesce quasi aleggerle le labbra. Vai, Oliver. Parlale. Bernadette si ritira in di-rezione delle auto, mentre Oliver avanza verso April. La pelledi lei si surriscalda. Stringe forte le chiavi, sentendo i suoi pas-si sull’erba.

Il becchino aziona una leva e la puleggia automatica cala labara accanto alle tombe dei suoi genitori. Questa è la parte a

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cui non dovresti assistere, pensa April, mentre il coperchiobianco e scintillante scende nell’oscurità. Si avvicina al bordo,domandandosi se i suoi genitori stanno guardando, ovunque sitrovino, sempre che siano da qualche parte. È difficile figurar-seli insieme, e men che meno con Buddy. Quello non sarebbeil suo paradiso. Ma quale sarebbe il paradiso di Buddy? Qui,decide, nella vita che aveva.

«April», la chiama Oliver.«Non voglio essere seppellita qui», dice lei.«Che cosa?»«Voglio essere cremata.»«Non parlare in questo modo», le dice.La bara, inghiottita dall’ombra, colpisce il fondo con un

piccolo tonfo. Adesso è reale. Tutta la sua famiglia è in quel ci-mitero. Si chiede quanto tempo ci vorrà prima che ricopranola fossa. L’erba è umida, lo sa perché a un certo punto si eratolta le scarpe; immagina le pareti di terra della tomba, freddeal tatto. Oliver la prende sottobraccio. April si sente svenire,eppure è ancora in piedi. Si ritrae da lui. Il becchino tira fuoridalla fossa le cinghie, guardando storto April per indicarle cheè troppo vicina.

«Ehi», gli fa Oliver. «Non vede che siamo ancora qui?»L’uomo alza le braccia. Ha un’aria semplicemente annoiata.

April si gira di schiena soffiandosi il naso. Oliver le mette unamano sulla spalla. È pesante e calda. Lei si scosta, certa sopraogni cosa di non dover crollare, non davanti a Oliver.

Un clacson suona e il fratello di Oliver, Al, lo chiama conun cenno dalla station wagon del padre, il motore acceso. Ber-nadette raccoglie la gonna e si sistema sul sedile posteriore.Oliver fa loro segno di andare.

«Non c’è spazio nella mia macchina», si affretta a dire April,la voce più incrinata di quanto vorrebbe. «Ci sono le schifezzedi Buddy dappertutto.» Ma Al si sta già allontanando.

«Saremmo passati a prenderti», dice Oliver. «Avresti potu-to chiedercelo.»

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«Quando me ne andrò, non desidero nessun funerale. Dionon voglia che la nonna si senta in dovere di pagarlo.»

«April», le dice in tono teso. «Perché supponi che moriraiprima di un’ottantenne?»

«Sto solo dicendo che adesso lei è l’unica persona con cuiho un legame di sangue. Se mai dovesse succedere qualcosa…»

«Qualcosa cosa?»April nota il suo completo stirato alla perfezione, la cravat-

ta regimental. Tace.Il becchino va verso la ruspa che si trova un po’ più in là e

si appoggia a una delle gigantesche ruote. April si domandache cosa accadrebbe se rimanesse lì ad aspettare che finisca ilsuo lavoro, ma Oliver la conduce verso l’auto. «Ho sentito chesei stata alla polizia», riprende, ammorbidendo il tono.

«Hmm?» fa lei, voltandosi indietro a guardare. Pensa algiorno in cui i suoi genitori avevano portato a casa Buddy dal-l’ospedale, infagottato come un involtino primavera, profuma-to di crema per i bambini e delle sigarette del padre, gli occhichiari fissi sul ventilatore a soffitto.

«L’ordine restrittivo», spiega Oliver. «Me l’ha detto mio pa-dre.»

Lei lo guarda, nota com’è diventato bello crescendo, il pro-filo definito della mascella, gli occhi espressivi. Non c’è da stu-pirsi che fosse il preferito della nonna, anche se non era vera-mente suo nipote. «Ma che cosa mi salta in mente?» diceApril. «Se crepassi, nessuno nemmeno lo direbbe alla nonna,giusto? Le racconterebbero che ho preso una lunga vacanza.Io che non ho mai fatto un viaggio in vita mia.»

Oliver la guarda stupito.«Però il passaporto ce l’ho», continua lei. «Non si sa mai

quando si può aver bisogno di lasciare il Paese.»«Vedo che non hai perso l’abilità nel cambiare discorso»,

osserva lui.«Be’, Oliver», ribatte, «mi pare che tu non fossi da meno.»Lui abbassa lo sguardo. «Andiamocene», taglia corto.«Va bene», acconsente lei, voltandosi di scatto. «Guido io.»

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Oliver la ignora e si mette al volante. Lei vorrebbe discute-re, ma non le vengono le parole. Sgombera il sedile del passeg-gero, buttando su quello posteriore le musicassette e i catalo-ghi dei campeggi di Buddy. Oliver sposta indietro il sedile e re-gola gli specchietti.

«Mio padre aveva aiutato Buddy a racimolare i soldi perquesta macchina ancora prima che prendesse la patente», rac-conta April. «Ti immagini come si sentirebbe se mi vedessemetterci le mani?»

Il volto di Oliver è immobile. Il suo pomo d’Adamo va su egiù. Quando non sa cosa dire, non dice niente; è una cosa cheApril ammira in lui. Osserva il suo profilo, la gobbetta del na-so che ha sempre trovato attraente. Ora il mento è più spigolo-so e l’ovale del viso cattura l’attenzione. Eppure manca qual-cosa. I capelli, che da adolescente gli ricadevano in un’adora-bile massa arruffata, sono lisciati ordinatamente indietro, dan-dogli un’aria da gangster. Solo gli occhi sono gli stessi, hanno ilcolore dell’acqua dei Caraibi vicino alla riva e sono così pienidi sincerità che è difficile guardarli fissi. Quelli di April sonotutto l’opposto, talmente scuri che l’ultima volta che l’avevanoportata al pronto soccorso, i paramedici non erano riusciti adistinguere la pupilla dall’iride.

«Mi dispiace di non essere venuto al funerale di tuo padrel’anno scorso», le confessa.

Dalla sua voce roca, April capisce che lo pensa davvero. «Èstato due anni fa», replica. «E non hai bisogno di scusarti. LaCalifornia non è certo a una fermata di metropolitana da qui.»

«Ti avevo mandato un bigliettino, ma non sono sicuro diavere l’indirizzo giusto.»

«L’ho ricevuto. Grazie. Sai che non sono una che scrivemolto.»

«Sì, be’, ti avevo anche lasciato un messaggio in segreteria.»«Mi dispiace, Oliver. Non ero in vena di parlare. Per favo-

re, non prendertela.»«Certo che no», ribatte lui. «Non sarà stato un momento

facile per te.»

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«Per Buddy è stata dura. Io sono diventata la sua tutrice le-gale, anche se sono piuttosto sicura che il giudice avesse deidubbi. Buddy si era trasferito nel mio appartamento perchénon riuscivo a pagare le tasse della casa di mio padre.»

«Non hai avuto un’eredità? Il bar di tuo padre doveva purvalere qualcosa.»

Il bar era in comproprietà con un socio, Quincy, e la quotadel padre era stata lasciata al fratellastro di lui, il padre di Oli-ver, e non ad April. Oliver si sarebbe opposto, se l’avesse sapu-to. «C’erano delle ipoteche sulla proprietà», risponde lei.«Non valeva molto. E comunque in seguito Buddy si era trova-to una sistemazione vicino all’università assieme a degli amici.Non vedeva l’ora di cominciare gli studi.» Abbassa lo sguardosul proprio vestito, lisciandone le pieghe.

Parcheggiano nel lungo vialetto semicircolare della casa delpadre di Oliver, dietro le altre auto. Oliver spegne il motore etiene in mano le chiavi. «Quanto tempo è passato dall’ultimavolta che ci siamo visti?» le domanda. «Cinque anni?»

«Può darsi», risponde lei. «Non sono brava a tenere il con-to del tempo.»

Foglie avvizzite di quercia cadono sul parabrezza. È stranotrovarsi di nuovo in un’auto assieme a Oliver, lì in quel vialettoun tempo familiare. Le fa venire voglia di tornare adolescentee invece si sente molto vecchia.

«Devo comprare una targa nuova a mio padre», dice Oli-ver, indicando con un cenno quella appesa alla porta d’ingres-so. La scritta FAMIGLIA NIGHT è incisa in lettere leggermentestorte. «Non riesco a credere che ce l’abbia ancora.»

«È bella», dichiara April. «Lui l’adora perché gliel’hai fat-ta tu.»

«Bernadette vuole sapere cosa ne è stato della K. Dev’esser-si persa da qualche parte lungo la discendenza, a Ellis Island,immagino. Dice che non è troppo tardi per modificarlo.»

«Modificare il cognome in Knight con la K? Stai scherzan-do, vero?»

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«Credo che l’idea di chiamarsi Bernadette Night, comenotte, le faccia venire i brividi.»

«Oliver Knight, come cavaliere, sarebbe ridondante. Lasciaperdere la cavalleria. Hai bisogno della tua oscurità.»

Le rivolge un’occhiata divertita; quel genere di battute glimancava. Lei evita il suo sguardo. Oliver giocherella con lechiavi in grembo, notando il coltellino di Buddy. «Ho saputoche Buddy guidava la tua macchina», le dice porgendole ilportachiavi.

April sbatte le palpebre.«Spero tu non stia pensando che è colpa tua, perché que-

st’auto sarebbe stata ancora peggio nella neve.»«Non sai com’era la mia.»«Qualsiasi macchina sarebbe stata meglio di questa.»April si agita sul sedile, avvertendo un calore dietro gli occhi.

«Andiamo a mangiare», propone lei. «Sto morendo di fame.»Il tavolo del soggiorno è apparecchiato a buffet con fette di

carne fredda disposte ad arte e ordinatamente appoggiate susottocoppe di carta. April ignora tramezzini e pasticcini emangia le olive a una a una, infilzandole con uno stuzzicadentifino a quando la ciotola è vuota. Accanto a lei, Oliver cospargedi senape un panino, mentre Bernadette si mette nel piatto unadeliziosa insalata. April sente gli occhi di Oliver addosso, manon alza lo sguardo. Ormai non ha più paura di crollare. Den-tro è liscia e vuota come una canoa scavata. Fluttua. «Ehi, Al,hai da fumare?»

Al è in piedi accanto a loro, girato di spalle, e si sta riem-piendo il piatto di patatine fritte. È più basso e robusto del fra-tello Oliver, ha i lineamenti duri e l’espressione maliziosa. Facenno ad April. «Mi spiace», le dice, tastandosi il taschino del-la camicia.

«Ha ripreso a fumare?» domanda Oliver esitante.«No. Non fuma», risponde Al.April apre un altro contenitore di olive, stavolta farcite, e le

mangia direttamente dal barattolo, leccandosi le dita. «Qual-cuno ha una sigaretta?» chiede ad alta voce.

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Aveva smesso di fumare anni prima. Nessuno le risponde.Non ha davvero voglia di una sigaretta, ma un rumore sordonella sua testa si sta facendo più forte, come un insetto che nonriesce a scacciare. Vede la ruga sulla fronte di Oliver e sa che èstata lei a mettercela. Può essere gentile con lui un momento ecrudele il momento dopo. Non sa perché. Più che una scelta, èun riflesso. Lancia uno sguardo a Bernadette. «La tua fidanza-ta sta per farmi una ramanzina sul fumo», lo informa April.«Posso vedere la pietra?»

Bernadette abbassa gli occhi sull’anello e allunga la manocon la grazia di una ballerina. «Immagino che dovremmo an-nunciarlo», dice.

«Abbiamo bisogno di una buona notizia.»«Non è il momento giusto», dissente Oliver. «Qualsiasi cosa, pur di stemperare quest’atmosfera», ribat-

te April, guardandosi attorno.«April», interviene Bernadette. «Oliver mi ha detto quanto

eravate legati tu e Buddy. Voglio che tu sappia che mi dispiacemolto.»

«Litigavamo un sacco», replica April. Una risposta stupidae non vera. Getta un’occhiata a Oliver, ma lui distoglie losguardo.

«Adoro quella vecchia fotografia di voi tre», commentaBernadette, «quella in cui tu e Oliver fate dondolare Buddy te-nendolo per braccia e gambe.»

«Non me la ricordo», ribatte lei. Quando Buddy voleva unsuggerimento su come rubare una base, lo chiedeva a suo pa-dre, ma quando aveva difficoltà con i compiti di matematica,andava da Oliver.

«Sarà un buon padre», sostiene April parlando con Berna-dette. Poi volge gli occhi su Oliver e ne incrocia lo sguardo.«Ti voleva bene», aggiunge, sfiorandogli la cravatta appenasotto il nodo. Dopodiché fa un passo indietro e si mette a brac-cia conserte, sorpresa di averlo toccato.

Oliver abbassa gli occhi. Bernadette gli fa una carezza e lui

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le passa un braccio attorno alla vita in un gesto così naturale dasembrare involontario.

April si allontana e mangia le ultime olive rimaste. Poi va disopra in un bagno che una volta era di Oliver e Al. Sopra l’in-terruttore della luce è appeso il distintivo degli Eagle Scout diOliver, esattamente dove se lo ricordava. Nello specchio del-l’armadietto dei medicinali April si guarda i capelli, che unavolta la sua maestra delle elementari aveva definito di un nerozibellino e che ora, da un giorno all’altro, sono diventati colorfuliggine spento, troppo lunghi e arruffati. Li raccoglie nel pu-gno, facendosi una coda con la mano, e si domanda come sta-rebbe calva. Tagliarli a zero sarebbe più semplice che cercaredi passarci dentro un pettine. Meglio ancora, potrebbe lasciareche se ne occupasse un impresario di pompe funebri. Avevanofatto miracoli con Buddy. Se non fosse stato per il colorito lie-vemente cereo della sua pelle, April avrebbe potuto pensareche fosse addormentato e che da un momento all’altro sarebbebalzato in piedi a ridere di quell’errore.

«April.»Sussulta. Bernadette è fuori dal bagno. Per un attimo April

vede soltanto il disegno jacquard, un disegno che le confondela vista.

«Oh», dice April. «È da molto che aspetti?»«No», risponde Bernadette.April raccoglie la borsetta e cerca in giro la sua spazzola. Si

sente sottosopra. Bernadette, per contro, le dà l’impressione diessere quel genere di persona che raramente lascia qualcosafuori posto. Anche il suo viso emana un senso di equilibrio earmonia in cui nessun elemento domina sugli altri. Gli occhiazzurri, come quelli di Oliver, sono pieni di compassione. Èimpossibile provare antipatia per lei. «Scusami», mormoraApril, uscendo dal bagno. «È tutto tuo.»

«April», balbetta Bernadette. «Ascolta, volevo solo farti sa-pere che anch’io ho perso una persona cara. Mia sorella, quan-do avevo dodici anni. Con questo non intendo dire che so co-me ti senti, ma solo che mi dispiace tanto.»

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«Grazie», replica April. «Anche a me dispiace per tua so-rella.»

Gli occhi di Bernadette si riempiono di lacrime. «Sono pas-sati quindici anni.» Agita una mano come a voler allontanarequel pensiero.

April le accarezza una spalla.«Non volevo che andasse così… tu che consoli me.»«Non importa», ribatte April. «Hai una sua foto?»Bernadette esita, poi apre la borsetta e le mostra l’unica fo-

to che tiene nel portafoglio. Una giovane donna saluta la mac-china fotografica con dita tozze. Ha un viso largo, piatto e len-tigginoso, gli occhi a mandorla sono molto tirati ed è quasisenza collo. La sua lingua spunta appena da un sorriso scioccoe affettuoso. April si accorge che Bernadette sta studiando lasua reazione.

«Ha un’aria molto dolce», osserva.«La dolcezza in persona», conferma Bernadette.«Com’è morta?»«Malformazione cardiaca congenita», risponde Bernadette,

richiudendo il portafoglio. «Ma stava tutto andando talmentebene. I miei genitori le avevano appena trovato lavoro in unadrogheria dove avrebbe dovuto riempire le buste della spesa.È accaduto molto in fretta.»

April le stringe una mano. Bernadette entra in bagno eApril se ne va.

Al piano di sotto la folla è diminuita. «Stai cercando un po-sto dove sederti?» le domanda il padre di Oliver, Hal, batten-do la mano su una sedia vuota accanto a lui. Oliver è appoggia-to allo stipite della porta della cucina e sorseggia un bicchiered’acqua.

«No», risponde April. «Grazie.»«Se vuoi puoi rimanere qui stanotte», le propone Hal.«È gentile da parte tua», dice lei. «Ma sto bene.»«Starai con un’amica, allora?»«Esatto», risponde April, anche se dev’essere ovvio che

non c’è nessuna amica.

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«April.» Hal si agita sulla sedia, a disagio. «E il fucile?»«Cosa?»«Il fucile di Buddy, quello con cui andava a caccia.»«La polizia di Bangor mi ha dato tutto quello che c’era nel-

la sua auto. Immagino che sia ancora nel mio bagagliaio. Nonl’ho toccato. E nemmeno la sua sacca da viaggio.»

«Li vado a prendere io», si offre Hal. «Lascia pure tuttoqui.»

«Grazie.» Lo guarda, il fratellastro di suo padre, con quegliocchi pazienti e gentili. È quanto più possibile diverso da lui.Gli dà un bacio sulla guancia, liscia e profumata di sapone, ericorda il viso del padre che sembrava invece di carta vetrata.Dopobarba e nicotina. È pazzesco che senta la sua mancanzaancora di più ora che Buddy se n’è andato, ma da quando inqua le cose hanno un senso? Fa un passo indietro. Attorno alei la gente parla, ride, bisbiglia con aria di cospirazione, unasinfonia discordante. La stanza si contrae, l’aria si comprime.April va verso la porta sul retro.

Fuori sulla terrazza scoperta trova Al che si sta accendendouna sigaretta. «Bugiardo», gli dice, allungando una mano.

«Credimi», replica lui. «Tu non vuoi veramente riprenderequesto vizio schifoso.»

«Voglio soltanto tenerla in mano», dice April, nella speran-za che quel gesto la calmi.

«Scroccala a qualcun altro.»È un sollievo sentire che Al è se stesso.«Dove starai fino a quando la faccenda con T.J. si sarà siste-

mata?» le domanda, aspirando una boccata.«È già sistemata.»«Vuoi dire che ha fatto i bagagli?»«Ho portato tutto quanto a casa del suo amico.»«Allora non è sistemata.»«Mi avevi detto che avresti mantenuto il segreto. Come mai

tuo padre lo sa? E adesso anche tuo fratello?»«Potresti venire con me nella Carolina del Sud», le propo-

ne. «Mi toccano altre due settimane di allenamento.»

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«Certo. Io e i ragazzi.»«Ti adorerebbero.»«Chi diresti loro che sono? Una groupie?»«Una donna con gambe come le tue non ha bisogno di

spiegazioni.» Espira il fumo sopra la spalla, ma la brezza lo ri-butta in faccia a lei.

«Passo», dice April. «E poi ti devi concentrare sul lavoro.La settimana scorsa hai dedicato un’intera rubrica all’ereditàdi Ewing. È acqua passata, Al. In realtà i tuoi lettori voglionosapere cosa si mette Pat Riley sui capelli. So che adesso è aMiami, ma sono certa che puoi ancora scoprirlo.»

Lui assume un’aria stupita. «Credevo che non leggessi imiei articoli.»

«Sia che vinca, sia che perda, non ha mai un capello fuoriposto. A me piacerebbe conoscere il suo segreto.»

«Riley si è ritirato da un pezzo. Mi spiace deluderti.» Le faun sorriso, non ironico come al solito, ma gentile, un sorrisoche la mette a disagio. «April», le dice. È strano sentirgli usareil suo vero nome; di solito la chiama Rose, il soprannome chele aveva appioppato quando erano adolescenti e la prendeva ingiro per il terribile profumo da quattro soldi che si metteva.«Che ne dici di Charleston?»

Lei non gli risponde e allora Al lascia cadere la sigaretta cal-pestandola.

April incrocia le braccia, fissando le righe sul pavimento del-la terrazza. «Se non fossi andata alla polizia, tutto questo non sa-rebbe accaduto.»

«Come fai a dirlo?»«Quando Buddy mi ha chiesto in prestito la macchina, ho

pensato: perfetto, T.J. non mi cercherà nell’auto di Buddy.»«Se Buddy fosse rimasto fulminato facendosi la barba, tro-

veresti comunque il modo di darti la colpa.»Restano un momento in silenzio, appoggiati alla ringhiera a

guardare dentro casa attraverso la porta a zanzariera. April ve-de qualcuno che si versa uno scotch. Ora berrebbe volentieri

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un drink, un goccio di vodka che le bruci la gola oppure undolce, scuro sherry che gliela addolcisca.

Al fa un sospiro profondo. «Nessuno ti accusa, Rose. Sevuoi prenderti la colpa, è una tua scelta.»

Lei annuisce.«Dicevo sul serio per Charleston.»«Lo so.»«Ora devo andare a prendere l’aereo. Vedo se riesco a

scroccare un altro biglietto per l’inizio stagione. Ma solo seprometti di usarlo.»

April non si sente in grado di promettere niente al momen-to, né tantomeno di prestare attenzione a una partita di palla-canestro. «Ci vediamo, Al.»

Le dà un bacio, sulle labbra, come sempre. Non ha propria-mente un valore sessuale, è più una provocazione. L’odore disigaretta del suo alito le stimola la voglia di fumare. «Cerca dinon spezzare troppi cuori lungo la strada», gli dice. Lui fa unsorriso affettato e scende rapido i gradini della terrazza.

Potrebbe andarsene anche lei, pensa. Squagliarsela senzasalutare, alla maniera di Al. Attraverso la zanzariera vede Oli-ver nel soggiorno, voltato di spalle, la postura tesa. È vero cheBuddy gli voleva bene, anche se non si vedevano da anni. Lestrade tendono a separarsi, è normale, e April se lo aspettava.Perfino allora, quando lei e Oliver portavano Buddy giù al ru-scello ad acchiappare le rane per poi lasciarle andare, April sa-peva che non sarebbe stato per sempre.

Non riesce a trovare nessun motivo per rimanere. Scende igradini. Il vento scuote i lillà dormienti. La giornata si è rinfre-scata, una rapida coltre di nuvole blocca il sole. Le foglie sec-che si affrettano sul vialetto di ghiaia, avvolgendosi in mulinel-li per poi sparpagliarsi di nuovo. April non ha nemmeno unagiacca.

Nell’auto fa freddo. Mentre guida, il buio scende con re-pentina ed estrema desolazione. Desidera i crepuscoli gradualie indugianti dell’estate e rabbrividisce al pensiero delle setti-

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mane a venire, con le giornate sempre più corte e le notti checalano all’improvviso.

Mette l’auto nel parcheggio della stazione ferroviaria accan-to al suo palazzo. Entrando in casa, cerca eventuali tracce diT.J. Da quando è stato emesso l’ordine restrittivo, non l’ha piùsentito. Nemmeno una telefonata. Sa che dovrebbe essernesollevata, ma l’appartamento, per quanto piccolo, le sembracavernoso senza nessuno dentro; lei non conta.

Vaga da una stanza all’altra. Ha una sensazione di rodimen-to allo stomaco; qualcosa la sta consumando. La libreria è in-gombra di resti di T.J., componenti elettronici che non riesce aidentificare, chiodi e viti dentro vasetti aperti, pezzi di un tra-pano in un barattolo del caffè, elastici verdi che debordano dauna scatola di sigari, tenuta insieme con del nastro per masche-rature. Sul pavimento accanto al televisore c’è il videoregistra-tore smembrato di un amico, coperto dalla polvere e da unapila di copie del New York Post. Una volta aveva fatto l’erroredi buttarne via alcune. Non lo avrebbe più ripetuto. Pensa diraccogliere le cianfrusaglie abbandonate da T.J. e lanciarle fuo-ri dalla finestra. Potrebbe farlo per davvero, se riuscisse a re-stare aggrappata a quell’idea abbastanza a lungo.

Capisce chi è il tizio di turno allo smistamento dei taxi giùin strada dal volume della sua radio. Oggi è Henry, quellomezzo sordo. Chiude la finestra della cucina, va nella zona del-l’appartamento che si affaccia sul retro ed esce sulla scala an-tincendio, da dove non può udire le voci. Fa un respiro. Civorrebbe una sigaretta. O del bourbon. Ma non vuole vera-mente nessuno dei due. Il cielo è carico di pioggia, anche senon cade una goccia. Sente un’ambulanza lontana, degli adole-scenti all’angolo che spaccano delle bottiglie e l’antifurto in-cessante di un’automobile, tutti rumori a poco a poco inghiot-titi dall’approssimarsi del 6.42 che avanza pesante nella stazio-ne sino a fermarsi stridendo. Sente i freni ad aria esalare un re-spiro e le porte scorrere per aprirsi e immagina i pendolari chesi riversano fuori.

Ad April è sempre piaciuto il suo appartamento. È abituata

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alle tazze che tintinnano nella credenza e ai mobili che se nevanno lentamente in giro. L’affidabilità dell’orario ferroviarioha un effetto calmante su di lei. L’appartamento si affaccia sul-la banchina, mentre dietro è avvolto da esili olmi, uno scudocontro la malattia. Quando hanno le foglie, nascondono inparte il parcheggio di un McDonald’s.

Man mano che il rumore del treno si affievolisce, April sen-te il suo scacciaguai ondeggiare nella fredda aria notturna. Èfatto con delle conchiglie che lei e Oliver avevano trovato sullaspiaggia. Le aveva costruito quell’aggeggio in occasione delsuo diciottesimo compleanno per ricordarle, come le disse, ilsuo sogno di vivere vicino al mare. Era un sogno a cui nonpensava più. Arrivare alla fine di ogni giornata era già abba-stanza. Negli anni aveva persino smesso di notare lo scaccia-guai. Fino a quel momento. Nel cervello di April non c’è spa-zio per il fatto che Oliver è tornato a vivere sulla costa orienta-le. Le sembra inverosimile quanto la morte di Buddy. Di certodomani si sveglierà e scoprirà che nulla di quella giornata è sta-to reale.

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