Il Miliardesimo Maratoneta

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Licheni Collana di poesia, narrativa e saggistica diretta da Antonio Di Silvestro II

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Poesia

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LicheniCollana di poesia, narrativa e saggistica

diretta da Antonio Di Silvestro

II

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Giuseppe Samperi

IL MILIARDESIMO MARATONETA

Edizioni del Calatino

nota introduttiva di Antonio Di Silvestrolettera di Giovanna Ioli

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© Copyright 2011 Proprietà artistica e letteraria riservata all’AutoreEdizioni del CalatinoVia Dante, 23 - 95040 - Castel di Iudica - CataniaE-mail: [email protected]

Giuseppe SamperiIl miliardesimo maratonetaPrima edizione: giugno 2011ISBN 978-88-97554-00-4Edizioni del CalatinoCollana Licheni / 2

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I versi di Giuseppe Samperi parlano di incontri, di ap-puntamenti con la vita e la scrittura, raccontati nella forma del viaggio reale e metaforico: viaggio nel corpo, nella pa-rola, nel tempo. Per il «maratoneta» (titolo e icona ironica e sofferta) essere il primo, l’ultimo o il miliardesimo è indif-ferente (p. 75). Il poeta-viator soffre da un lato un senso di inappartenenza (tanto da rovesciare la parabola del figliol prodigo [p. 74]), dall’altro avverte la necessità di riappro-priarsi del battito vitale («ciò che devo ripescare / è il bat-tito»), unico modo per far sì che il verso, la poesia possano riconciliarsi con la vita ed offrirsi quale dono. «Battito» è parola che non a caso ritorna nell’ultima poesia, segnacolo di una vita incipiente. Il mistero della nascita assume in sé le contraddizioni che attraversano tutto il libro e le proietta nel nudo scenario della vita che si confronta dialetticamen-te con la scrittura.

Quest’ultima occupa lo spazio (ampio, seducente) che sta tra la vita e il sogno, prendendo corpo, come le lusinghe del-

Nota introduttiva

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le Ore foscoliane, nel corteggiamento di un’oasi-isola, isola-chimera «dove uomini hanno grandi le mani / e segni di zolle bianche / fra le dita» (p. 39). Ad essa, «isola che inabissa / in danze di rovescio», si oppone la dolorosa consapevolezza di un attraversamento con «sandali e gelidi piedi / sulle acque ferme / a cuor di terra» (p. 79). Un’immagine moderna-mente cristologica, dove il cuore della terra è profondità di radicamento nell’hic et nunc, ma anche e soprattutto veri-tà del cuore e del corpo che dicono (e scrivono) le parole della vita.

Risuona in alcuni momenti una condanna senza appel-lo verso la scrittura, anche se essa va intesa come rifiuto di uno scrivere autoreferenziale, mero esercizio retorico-lin-guistico, puro atletismo verbale, incapace di trascendersi e trascendere il meccanico gesto del chinarsi sul foglio bianco. Solo portando la scrittura verso la vita è possi-bile esorcizzare questa prigionia («Quest’inchiostro non ha / fotogramma d’animo» [p. 40]; «L’inchiostro / strata-gemma impietrito / in acque gelide» [p. 49]), facendo di quell’isola «a strapiombo sulla vita» (p. 51) il luogo di un vissuto dove scrittura, parola e poesia si riconciliano col cuore e l’amore: «La mia isola, la sola / preghiera che ri-mane». Sono i versi che aprono la Suite per Orietta, dove la delicatezza del sentimento e l’autenticità del quotidiano istituiscono una concordia discors con la tensione poetico-esistenziale che attraversa tutta la raccolta.

Le righe della scrittura possono allora diventare i solchi della vigna (p. 57), il corpo che scrive è quello del vignaio-lo che contempla i frutti del suo lavoro (ecco «la pigiatura della carta» e «la gradazione alta dell’inchiostro» [p. 58]), il sentirsi «chicco d’uva tra acini» (p. 64), montalianamente

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“scabro ed essenziale”, riconduce alla condizione dell’es-sere seme della vita, del portare molto frutto (il chicco di grano «a cura / nella zolla» [p. 32]).

Il viaggio si carica di sensi ulteriori, giunge dove l’in-chiostro, inizialmente «irriverente», «si fa grano / e di ti-moroso rispetto / esilio» (p. 39). La parola della poesia/vita abbraccia il tempo e ridona significato e profondità non effimera alle parole: «Proviamo un abbraccio / che duri il tempo, / che non ha colpe né vizio / del gambero a rovescio» (p. 47). La parola che dura è un mistero che per un verso dona la capacità di guardare nell’«oltreasfalto» (p. 76), per l’altro segna una temporalità costruita sui sensi. Suoni, colori, odori, sapori sono vissuti nello stupore intatto di una vita in cui l’isola e la terraferma sono imperituro luo-go dell’anima:

Il quando puoi dirmeloprima del buio, a vesprodopo il fischio, mentreall’aspro dell’aranciorivà il giorno.

La pronuncia secca e asciutta di questi testi coesiste con quella più morbida e distesa, la contrazione sintattica e la massima tensione semantica e metaforica si alternano ad una pronuncia fluente e musicale: sistole e diastole di un interrogarsi sul senso dello scrivere talvolta impietoso, disilluso, quasi autopunitivo, governato da un sentimento di sottrazione («quel continuo nella vita / ladrocinio delle suole» [p. 15]), altre volte proteso a ricercare e a radicare nelle ragioni della vita (e del dialetto caro all’autore) delle

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parole che si facciano carne, pulsare e protendersi nel tem-po del cuore:

Il perché non chiedermelo.Una giostra, un battitoquel centimetro di solealla ringhiera,dopoun filo d’erbao un suo sorriso.

Antonio Di Silvestro

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Lettera di Giovanna Ioli

Torino, 21- 3-2011

Gentile Giuseppe Samperi,

non deve scusarsi per la stampante rotta. Ricevere ancora lettere scritte a mano è sempre un piacere, perché conservano aroma d’inchiostro, una parola tema anche per questo suo nuovo libro di versi, che non si stacca mai dalla materia che l’ha generato. I suoi componimenti, infatti, sono sì un approdo alla lingua senza confini, ma lo fanno “a prova di setaccio”, senza mai allontanarsi dagli antiqui, serbando memorie di un idioma che in precedenti prove – e penso a Sarmenti scattiati in dialetto siciliano – rivendicavano l’onore di un’origine. Dopo “anni e anni a fiutare / rivoletti di terra siccagna”, le sue poesie s’inoltrano così nel mare aperto, lasciando la scia e la memoria di una rotta che riconduce sempre alla terra che, come una “chioccia”, ha covato la vita sulla pagina. Quell’orma resta impressa sulla carta, come se fosse generata da un albero con radici araldiche, capaci di segrete filiazioni di parole e appartenenze: “echi di terraferma / dove uomini hanno grandi le mani / e segni di zolle bianche / fra le dita”. Questo è, forse, il messaggio che si vuole tramandare

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anche a un “figlio nascituro”, perché sappia che il “fiato” di un poeta viaggia anche “nel ristretto di un cortile”, tra “polvere d’inchiostro”, su un’isola che custodisce risonanze d’immenso, “labirinti che a percorrerli / si fanno d’altra specie”: “un’isola d’inchiostro / a strapiombo sulla vita”.

Forse ciò che muove questo doppio evento, di padre e di poeta, è la malinconia sottile che pervade Il miliardesimo maratoneta, quella sorta di “incavo profondo del pozzo / do-ve intingere la stilo”, dove “spillo di corazza” incide nuova linfa e nuove pagine per celebrare una vita che sorge per dilatarsi in un futuro non finito. È questa la linea di partenza del “maratoneta”, quella che distilla pensieri da stampare su una pagina d’asfalto, che sia al tempo stesso un battesimo e un’eredità.

La ringrazio per i saluti in calce alla sua lettera, affettuosi, come possono essere quelli nati da isole di carta e di letture, che s’incontrano e si riconoscono, seppure da lontano.

Giovanna Ioli

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A mia figlia (adesso lo so) nascitura:che questa vita involontaria

possa esserti maratonavolontaria e gioiosa,

senso e ragione(o amabile follia)d’essere vissuta.

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Isola d’InchIostro

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Regalo questo inchiostro,scolatura che rimanedagli accurati strappi.

Miliardesimo maratonetaciò che devo ripescareè il battito. Il versocome un dono: nessun prezzoaggiuntivo al prezzoche ho pagato.

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L’isola d’inchiostrotutti dico tuttiscribacchini e scribanticannocchiale in manoridicoli bermudasono io Cristoforoa pruasul quadernotutti dico tuttia scambiare un naufragioper terraferma.

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Vavaluci,anni ed anni a fiutarerivoletti di terra siccagna*

straconvinto– straminchiuni* –che portassero al mare.

* Aspra, arida* Gran minchione

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Il sensose lo cercate dentro la biroè conto che non torna.

La cultura, oh sì, la cultura(beato chi la tiene)trova lo scolinoche setacciala rena.

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Ho vissuto sulla lineache chiude il cerchio all’illusionesenzacarrucole a salire.

Semmaiil fiato cortonel ristretto di un cortile.

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Dagli strappicosa vuoi che venga fuori:buchicapriole di fumocome dalla pipa d’Ungaretti.

Dagli strappinon alcuna ginestra,carte a bruciareda solocome in film di Bertolucci.

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Climaxpiù che mai sentola perdita

quel continuo nella vitaladrocinio delle suole.

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Notaa margine e sottovoce:non sodiventare uomo.

Ho provato in quel consorzioa far valere una proposta:centoventigrammi il solospessore delle dita.

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Un raggio che si insinua alle fessure,così ho perdutola bottega.

Inaspettato lo spartito:se vivo e muoio mi frantumo in schegge!di polvere d’inchiostro.

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Distanze incommensurabilile curve della rivadal dorso delle acque.

Chilometri imprecisid’arbusti, ramoscelli …

Eppure pochi centimetriquesta chiazza d’inchiostroda ciò che la contiene.

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Il debitonon è il tempo che ho mancatoma la distanza non prevista,il prezzo esente vitada scontare.

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Tra sogni e bisognia tondogiro l’inchiostro.

Uscirealla spiaggia d’avorioche delimita il varco.

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Mi tentano voci:sono l’isolaqui vivraidi pesca buona eparole in abbondanza.

Ma nel fondo gorgotentacoli ad uncinoe bolle d’aria.

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Lasciare a malincuorei ciottoli color cartonelasciare il giocotondo il viziomalattia e salutea girotondo d’acqua.

Lasciarla è doveroso:questo delirioin me s’è dilatatoben oltre la risacca del fondopagina.

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Nella bottigliauna flebile battaglia:cento cannoni controla punta di una stilo.

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Abbattuto un gran numerodi tronchi d’albero:

certamente menodi quanti servirebberoal disfarsi della pagina.

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Nel mezzo di questo nero,all’estremo il biancodi un puntino.

La rotta, quella giusta:due nodi equidistantifra fine gabbia* e l’ultimotrattino a capoverso.

* Termine tipografico per indicare i limiti del libro che contengono la scrittura.

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Nessun rimpianto o rimorsoil dubbiose qualcosa di intentato.

Lascio ma non lascioil senso e la misura,goccea spartiacque del ritorno.

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Non so nuotarefarò il morto in vicinanzaritornare

al bagnasciuga della pagina.

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suIte per orIetta

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Non mi vergogno a dirtiche ho solo te.La mia isola, la solapreghiera che rimane.

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Il mio cunortu*più del surgittu cardidduzzu* …

La mia scommessapiù del formaggio che mai mangeraiil mio chicco di grano, a curanella zolla.

* Conforto*Topolino cardellino

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Non negarlosempre bagnato a terralo straccio mai ripulitol’aratro nel cassettofra lo scolino e il piatto.

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Un ramoscellonell’ombra,chissà da quale alberoprolunga propagginidentro casa.

Ami ove attingecome chiocciail suo farsi isola.

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Se mi resti è ben oltreche lo scandalo,se mi resti comunquese comunque ti resto.

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Ritorna alle tue coseallo spazio fra le righe,lontana almeno il soffioche serve alvoltapagina.

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È questo mio lasciarti andaredove il nero non osafarsi filospinato.

Terra arsa in aspettosolcoa pancia in sua limitare del pozzo.

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Le isolehanno forma mutevole,labirinti che a percorrerlisi fanno d’altra specie.

Perdonamiquestisentieri ingannevoli.

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È ora che ti accompagnial giro di boa:dove si fa granoe di timoroso rispettoesiliol’irriverente inchiostro.

E che tu mi accompagnioltre la soglia delle sere,brunite le isole-chimereechi di terrafermadove uomini hanno grandi le manie segni di zolle bianchefra le dita.

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Non è malattia l’alzarsialle tre di mattina se è il foglio che mi chiama:non ha sesso né tentail conversarci. Solo un attoprivo di senso, atto sporcodell’animo a un finto specchio.

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a spIllo dI corazza

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Madre in case in affittostanzetta un abat-jour che dondolafiammiferi inumiditi che non sai accenderealle sette e trenta ti chiedo di andareprima d’ogni farmaco va fatta colazione.

La vestaglia il corridoiofornello acceso la tazzaho da pensare al da farsida leggere da scrivere l’inutileinchiostro che non aspettache ti si riscaldi il latte.

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A volte sono lì a versarloattento ad ogni movimento.

Meritavi ben altro che un figlioeterno figlio, aggrappatoal tuo cordone largoa salvagente stretto.

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Mi sono perso – e di questoti chiedo perdono –in un sogno testardo e immenso.

Non dovevi gridare al piedeche osava l’oceanoma poi …

il mare è poca acqua in confronto.

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Quanto ti somiglio(più che all’altro, forse)e quanto amaro dentronella nostra casa scomoda.

Quici trasciniamo a stentoin equilibrio comodotra voci brevie corridoio lungo.

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Ciò che hai sognato per meall’inverso mi ha segnatoil passo.

Proviamo un abbraccioche duri il tempo,che non ha colpe né viziodel gambero a rovescio.

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Il dolore scomponela più piccola scheggia di un suono.Quest’inchiostro non hafotogramma d’animo.

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Poche parole a dirtiche mi hai dato vitamorte.L’inchiostrostratagemma impietritoin acque gelide.

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Madre qui fuori fa freddogli uomini indaffarati non hannosfarzo di fermarsi sui foglia diventarne fragili.Le guerre inizianoprima della lotta e a far guardia fra i carril’aurora è umido che assale.Lasciami tranquillanelle ore che a spillo di corazzami incidono i versi.

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Sia chiaro che non dovrai inseguirmi,sarò io a cercarti fra gli anfrattiche mi daranno respiro.

Prima che accada, primasia chiaro che sto benein quest’isola d’inchiostroa strapiombo sulla vita.

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d’InchIostro e carta

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Quando te ne sei andatomi piacque credermi soldato.D’inchiostro e cartaarmamento a scudodella forbice.

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Io uomo tra uomini senzaemozioni a punta, a lamasenza coordinate per stanarela bestia che ci sottrae?

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Tu nella vigna io fra le righepadroni entrambidella nostrainvolontaria scommessad’una povertà sovrana.

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Il capoadesso ero io, tudovevi in silenzio ammirarela pigiatura della carta, con meravigliala gradazione alta dell’inchiostro.

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Capisci bene ciò che dico:nessuna tua colpa, è alibio estrema veritàin equilibrio di basculla.

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Il grano l’uvagirasole persino cipollee poche macchie di fragole.Ci vuole ben altro, ci vuolel’incavo profondo del pozzodove intingere la stilo.

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Mi sbagliavo, le fragolehanno il rosso zuccherinoi versisolo fumo di camino.

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Chi di spada ferisce …

Altra coltura altra illusione,così diversi così tantofiglio del padre.

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La madre è ancora qui:ti sopravvive da quattordici anni,da quanti non oso contareai miei fallimenti.

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Mi hai lasciatosenza più filari sfogli.Potatura imperfettami ritrovo– farmi uomo e dal padrepadre – chicco d’uva tra acini

e mi basto.

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all’aspro dell’arancIo

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Prima dei muti rimproveri, patti prima amicizia longa*, se ti racconto di me sai già mandarla un’e-mail oppure qualche verso che dica quanto rischi di appartenermi?

* Patti prima / amicizia lunga

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L’appartenenza è dolorosa menzogna. Di te stesso – e di lumache emigranti – il suolo che calpesti.

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Il dove è risposta che pretendo. La città del mondo è un paese da sempre a festa, a lutto. Ogni altro clic soltanto un’anticamera al caffè dell’angolo.

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Il quando puoi dirmelo prima del buio, a vespro dopo il fischio, mentre all’aspro dell’arancio rivà il giorno.

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Il perché non chiedermelo. Una giostra, un battito quel centimetro di sole alla ringhiera, dopo un filo d’erba o un suo sorriso.

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Il dialetto – non (gn)essiri vavaluci!* – lo potrai imparare come un monologo muto, avemmariabestemmia dannazione, squarcio di neropece sul biancopensare.

*Non essere lumacone!

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Non ti fidare della collera (vampaçiuscia ca non pigghia*) ma fai che sia pronta partenza dal dire al fare.

*Fuscelli / che (dovrebbero ma) non prendono fuoco. Il termine potrebbe considersrsi, a mio avviso, composto dal sostantivo vampa (fiamma) e dal verbo çiuscia (soffia), per cui “fiamma-soffia /che non s’apprende”.

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Ognuno ha la sua maratona: quella mia tienila a mente col sorriso del figliol prodigo al contrario.

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Non accontentarti di essere il primo, l’ultimo, il miliardesimo. Vai libero di approdare lontano da ogni molo, distante soprattutto da me.

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La morte partenza o arrivo sarai tu a capirlo. Ma fossi nel dubbio dai ogni forza ai tuoi occhi, guarda i colori dell’oltreasfalto oltrepassato appena.

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Non essere di carta, se puoi‘cogli la prima mela’, spremiquest’ingordo vortice che ti chiamae capovolgi l’imbutoattenta – se sarai femmina –all’ipnotico ghirigori del lumacone.

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È un girorigiroalfaomega a contrarreil virus vitale.

Non c’è scampo che disobblighila raucedine d’una anomalia amabile.

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Dall’isola d’inchiostro evadi– semmai ne fossi prigioniero –,è un’isola che inabissain danze di rovescio.

La drittura del cammino imponesandali e gelidi piedisulle acque fermea cuor di terra.

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L’inchiostro, l’amore una madre un padreun figlio: tuttoprevede iltuo cronometro attento a sconfinare l’asfalto.

È un calzare su misurail contrario dell’esattovivere.

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Adesso è quasi l’oradel tuo battito. Pulsala fonte,le dita non a lapis ma a carne,il fremito del polso

e prepari il piedesulla linea.

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Notizie

Giuseppe Samperi è nato a Catania, vive a Castel di Iudi-ca. Laureato in Lettere Moderne, dirige le “Edizioni del Calatino”(già “Samperi editore”).Ha esordito nel 1999 con una plaquette di versi in dialetto, Sarmenti Scattiati (Catania, Prova d’Autore), opera fina-lista al “Vann’Antò-Saitta” e vincitrice dei Premi “Città di Marineo”,“Anteka Erice”,“Ignazio Buttitta”.Nel 2002 pubblica la silloge Aria sbintata (in Chiana e Bive-ri, ibidem). Del 2003 è una raccolta di prose, aforismi, versi, dal titolo Alice dell’Amore (ibidem). Sue poesie e racconti sono sparse in antologie e riviste letterarie.Della poesia dell’Autore hanno scritto (in chiose di antologie, riviste, note prefative e testimonianze in volume, giornali) fra gli altri: Giuseppe Amoroso, Tony Campi, Secondo Farinelli, Mario Grasso, Vito Tartaro, Tommaso Lisi, Sergio Palumbo, Renato Pennisi, Stefano Valentini, Giovanni Pasqualino, Lau-ra Antonella Raimondo, Domenico Ternullo, Ciccio Aiello, Antonio Di Silvestro, Giovanna Ioli. In forma privata (mis-sive all’Autore) hanno espresso consensi Giorgio Barberi Squarotti, Achille Serrao, Roberto Rossi Precerutti, Dante Maffia, Stefano Lanuzza, Cesare Ruffato. Gli interventi criti-ci e le recensioni, sono apparsi, tra l’altro, nei periodici locali “Giornale dell’Etna” e“Abc Ibleo”, nel settimanale nazionale “Avvenimenti”, nella ‘terza pagina’ dei quotidiani “Gazzetta del Sud” e “La Sicilia”, e nel magazine letterario abbinato a quest’ultimo e diretto da Gianni Bonina, “Stilos”.

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Indice

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Nota introduttiva di Antonio Di Silvestro 5Lettera di Giovanna Ioli 9Isola d’InchIostro

Regalo questo inchiostro 15L’isola d’inchiostro 16Vavaluci 17Il senso 18Ho vissuto sulla linea 19Dagli strappi 20Climax 21Nota 22Un raggio 23Distanze incommensurabili 24Il debito 25Tra sogni e bisogni 26Mi tentano voci: 27Lasciare a malincuore 28Nella bottiglia 29Abbattuto un gran numero 30Nel mezzo 31Nessun rimpianto o rimorso 32Non so nuotare 33

suIte per orIettaNon mi vergogno a dirti 37Il mio cunortu* 38Non negarlo 39Un ramoscello 40Se mi resti è ben oltre 41

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Ritorna alle tue cose 42È questo 43Le isole 44È ora che ti accompagni 45Non è malattia l’alzarsi 46

a spIllo dI corazzaMadre in case in affitto 49A volte sono lì a versarlo 50Mi sono perso – e di questo 51Quanto ti somiglio 52Ciò che hai sognato per me 53Il dolore scompone 54Poche parole a dirti 55Madre qui fuori fa freddo 56Sia chiaro che non dovrai inseguirmi 57

d’InchIostro e cartaQuando te ne sei andato 61Io uomo tra uomini senza 62Tu nella vigna io fra le righe 63Il capo 64Capisci bene ciò che dico: 65Il grano l’uva 66Mi sbagliavo, le fragole 67Chi di spada ferisce … 68La madre è ancora qui: 69Mi hai lasciato 70

all’aspro dell’arancIoPrima dei muti 73 L’appartenenza 74 Il dove è risposta che pretendo. 75 Il quando puoi dirmelo 76 Il perché non chiedermelo. 77 Il dialetto 78 Non ti fidare 79

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Ognuno ha la sua maratona: 80Non accontentarti di essere 81 La morte 82 Non essere di carta, se puoi 83È un girorigiro 84Dall’isola d’inchiostro evadi 85L’inchiostro, l’amore 86Adesso è quasi l’ora 87

Notizie 88

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Questo volumetto di versiè stato stampato in Catania

nel mese di Giugno 2011con i tipi della litografia Officina della Stampa

in 100 copie numerate a mano

copia n°..............