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Il mestiere del delegato RSU

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PREMESSA 3

IL DELEGATO RSU 4

PARTE 1 IL NEGOZIATO 6

LA PIATTAFORMA E IL MANDATO A TRATTARE 7

L’ARTE DI NEGOZIARE 10

PREPARARE IL NEGOZIATO 14

IL COSTO DEL MANCATO ACCORDO 17

AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE 20

PARTE 2 LA COMUNICAZIONE 25

COMUNICARE. COME? 26

COMUNICARE IN ASSEMBLEA 31

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Premessa La Rsu è un organismo, ma è fatto di persone. In questo libretto viene esaminato il mestiere del delegato Rsu, cioè le competenze che deve avere una persona che, insieme ad altre, svolge il ruolo di rappresentare i colleghi nel negoziare con il dirigente scolastico il contratto di ateneo e nel controllarne l’applicazione. Prima ancora che conoscere norme, il delegato deve avere competenze relazionali e comunicative. Deve cioè esercitare competenze che possiede ogni persona ma in un contesto particolare che è il luogo di lavoro. Giugno 2007

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Il delegato Rsu Nel linguaggio corrente si dice la “Rsu Cgil”, la “Rsu Cisl”, ecc. Come se la Rsu non fosse un organismo, si privilegiano le sigle sindacali. Ma chi è eletto nella Rsu non ha un potere individuale. E’ la Rsu, l’organismo di cui fa parte, che ha la capacità giuridica di firmare accordi con la Parte Pubblica (Rettore e Direttore amministrativo o loro delegati) o di decidere come esercitare i propri diritti sindacali, quando convocare l’assemblea, come usare la bacheca e i permessi. Ogni eletto deve quindi fare squadra con gli altri colleghi, discutere e trovare un accordo per lavorare assieme. Chi è eletto nella Rsu, che da ora in avanti chiamiamo delegato Rsu, non è una funzionaria o un funzionario del sindacato. E’ una persona che è stata eletta per rappresentare con altri colleghi (da un minimo di tre, nei piccoli atenei, ad oltre 50 nei grandi atenei) le esigenze dei lavoratori della sua università. È un ruolo a tempo. La Rsu, infatti, rimane in carica 3 anni; alla scadenza decade automaticamente e se ne elegge una nuova. Fare il delegato è svolgere un ruolo che non è in contrasto con il ruolo professionale. Un delegato deve continuare ad essere un amministrativo, un bibliotecario, un tecnico per essere anche un delegato. Ma nello stesso tempo deve rappresentare tutti i lavoratori dell’ateneo, non solo il personale della categoria cui appartiene. Il delegato RSU non deve occuparsi di tutto quel che accade in ateneo. La sua attività consiste nel: – negoziare con la Parte pubblica il contratto di ateneo, il cuore della sua attività; – controllare l’applicazione del contratto e degli accordi che la Rsu stipula. Il delegato Rsu non deve conoscere tutte le norme che regolano la vita dell’ateneo. Gli basta un sapere minimo, relativo alle materie su cui negozia con la Parte pubblica. La Rsu non contratta con gli organi collegiali, ma solo con il Rettore e/o con il direttore amministrativo, attraverso specifici incontri, chiamati relazioni sindacali. Ciò non vuol dire che la Rsu è indifferente a quello che deliberano gli organi collegiali, soprattutto se ha effetto sull’organizzazione del lavoro. In tal caso la Rsu può chiarire, facilitare, influenzare le decisioni degli organi collegiali. Un delegato Rsu ha un rapporto di collaborazione con il sindacato di appartenenza, ma non riceve dal sindacato la legittimazione. E’ stato eletto dai colleghi per rappresentarli tutti. Può accadere che il delegato decida di firmare un accordo che il proprio sindacato non condivide. Il delegato deve essere aiutato dal sindacato, almeno per noi della Cgil è un impegno primario. Ed il delegato deve aiutare il sindacato, informandolo sulla situazione della sua Università. Il delegato viene visto dai colleghi come una sorta di Robin Hood, che li difende dai soprusi. Ma il delegato non potrà farsi carico di tutte le vertenze individuali. Rischia di logorare il rapporto con il Rettore o con il direttore con cui deve negoziare. C’è il sindacato per la tutela.

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Se un collega chiede aiuto, il delegato non se ne lava le mani, ma può chiarire la fondatezza della sua pretesa, oppure può indirizzarlo alla persona giusta del sindacato. Se è in grado, può anche farsi carico di una prima tutela, cercando di chiarire o anche risolvere il problema con il direttore amministrativo. Poi la tutela passa al sindacato e ai legali. La Rsu, in quanto organismo, tutela i lavoratori collettivamente, trasformando un particolare problema in una vertenza di ateneo, negoziando una soluzione e controllandone l’applicazione. Il delegato viene anche visto dai colleghi come uno sportello informazioni, sempre aperto. Non rientra tra i compiti istituzionali della Rsu dare consulenza, c’è il sindacato. Però se il delegato è in grado almeno di chiarire alcuni aspetti semplici del rapporto di lavoro ha più credibilità. Per il resto deve sapere indirizzare alla persona giusta del sindacato che possa chiarire il problema. La forza del delegato non dipende dal suo sindacato. Dipende dai poteri assegnati alla Rsu dal contratto e dalle leggi. Ma non basta, perché la Rsu cammina con i piedi dei delegati. Cioè costoro devono esercitare questi poteri. Per farlo occorre che ogni delegato abbia:

– la competenza di risolvere problemi – la capacità di raccogliere consenso su quello che propone.

I voti ricevuti alle elezioni sono una misura di questa capacità, che viene poi migliorata con l’esercizio del ruolo. Per esercitare il ruolo, il delegato deve avere soprattutto una competenza relazionale, perché entra in contatto con i lavoratori, con il Rettore, con il D.A., con il sindacato, con gli organi di gestione dell’ateneo. E gli servono anche competenze comunicative. Il delegato infatti deve comunicare con i lavoratori che rappresenta, con volantini o riunioni, o contatti informali, o in assemblea. Lo scopo è informarli non di quello che fa il sindacato, ma di cosa fa la Rsu, di cosa negoziare con la Parte pubblica, degli accordi stipulati. Vi è il rischio, che il delegato deve aver sempre presente, che i lavoratori preferiscano delegare, ma non assumersi la responsabilità di fare qualcosa. Così la Rsu, ed il delegato con essa, rischiano di essere isolati. Il modo in cui il delegato svolge il suo ruolo dipende dalla sua competenza, ma anche dal modello organizzativo del sindacato provinciale, che oltre l’assistenza agli iscritti deve creare una rete per sostenere i propri delegati.

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Parte 1

il negoziato

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La piattaforma e il mandato a trattare La Rsu rappresenta i lavoratori. Uno degli aspetti fondamentali del “rappresentare” è il rapporto con i “rappresentati”. Essere stati eletti non significa aver ricevuto un mandato in bianco per 3 anni, anche se il delegato Rsu lavora ogni giorno a contatto con chi deve rappresentare. Quindi costruire la relazione con i rappresentati è più importante che conoscere le norme. Spesso ce lo dimentichiamo, sopraffatti dai commi, dagli accordi e dalle circolari che ci tocca di leggere. Non è semplice mettere d’accordo le persone. Chi non pensa con orrore alle riunioni di condominio? Lo strumento usato nel mondo del lavoro è costruire la piattaforma, che significa raccogliere bisogni e problemi dei lavoratori e trasformarli in obiettivi rivendicativi. Operazione non facile che implica fare scelte, perché non sempre le richieste sono realistiche, o chiare, o pertinenti. COME COSTRUIRE LA PIATTAFORMA Un metodo La costruzione della piattaforma si sviluppa attraverso alcune riunioni, da preparare bene, in modo che siano produttive, che non si concludano con il rinvio ad un’altra riunione. La Rsu, nel suo insieme: - raccoglie sia le esigenze dei lavoratori (con riunioni e/o agili questionari, appunti presi

via via …) sia le informazioni utili per la trattativa (dati quantitativi, altri accordi di ateneo, normativa, …)

- presenta un documento di lavoro, in cui fa un bilancio dell’accordo scaduto ed individua nuove esigenze da soddisfare o nuovi problemi da risolvere.

Ogni delegato Rsu può inoltre consultare sia la sezione sindacale sia lo stesso sindacato di riferimento. Fare un documento solo Cgil può servire per chiarirsi le idee, non per farne una bandiera. L’identità è un bisogno che va soddisfatto senza perdere la capacità di ascoltare le ragioni degli altri e tenerne conto. Se nella Rsu vi sono divisioni tra le sigle sindacali, è bene non accentuarle, ma cercare soluzioni comuni. Alla fine le proposte devono confluire in una ipotesi unitaria di piattaforma che riassume il lavoro fatto ed indica le scelte. Ciò non vuol dire che si devono tacere i dissensi, ma che alla fine si deve trovare un accordo. I problemi irrisolti all’inizio si presenteranno tutti alla fine, al momento della trattativa. Maggiore è il grado di unità raggiunto, migliori i risultati della trattativa. L’ipotesi di piattaforma viene varata con una decisione formale della Rsu e viene quindi presentata all’assemblea. La Rsu deve anche decidere come gestire la trattativa, come coinvolgere i lavoratori. L’accordo su questi aspetti è decisivo per ottenere un buon risultato.

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Se, nella fase di costruzione della piattaforma, si registra un disaccordo tra i delegati della Rsu su qualche rivendicazione, non è il caso di votare, ma è preferibile rimettere la decisione all’assemblea sindacale. Perché ciò sia possibile è bene limitare i punti di dissenso a pochi ed essenziali, preparando formulazioni alternative da discutere con i lavoratori. Trasformare le esigenze in obiettivi La piattaforma non è un cahier des doléances ma un elenco di obiettivi (rivendicazioni) legati tra loro in modo che abbiano un “senso” per i colleghi, ma anche per la Parte pubblica con cui devono essere negoziati. Gli obiettivi devono essere pertinenti, chiari, realistici, condivisi. 1. Pertinenti Bisogna avere chiara l’area del negoziato. Per stabilire se una certa proposta possa essere inserita nel contratto di ateneo occorre farsi tre domande: 1. riguarda il rapporto di lavoro? Se sì, occorre chiedersi 2. è in contrasto con il Ccnl? Se non lo è, occorre chiedersi: 3. comporta oneri non previsti? Solo se la risposta è no, la proposta è pertinente. In caso contrario occorre aver presente che la proposta incontrerà la resistenza, sia da parte della delegazione pubblica, che non può firmare accordi che siano in contrasto con il Ccnl, sia da parte dei sindacati provinciali, i quali, essendo firmatari del Ccnl, hanno titolo ad obiettare alle richieste non pertinenti. Una proposta può essere pertinente, ma non rientrare nelle materie che sono esplicitamente oggetto di contrattazione (art. 4). Allora è possibile incontrare la resistenza del rettore e del D.A., o perché hanno paura, o perché non sono d’accordo, o per altri motivi. La Rsu deve prevedere come superare queste resistenze: argomentando, mettendo in luce gli aspetti positivi per l’organizzazione del lavoro, usando forme di pressione se necessario e se hanno il consenso dei lavoratori, offrendo uno scambio. 2. Realistici Bisogna chiedersi cosa è possibile ottenere. Vale la pena inserire nella piattaforma richieste popolari, ma poco realistiche? Lo scopo potrebbe essere tattico, per successivi eventuali scambi durante la trattativa; o per ottenere facilmente il consenso dei lavoratori, e poi addossare alla Parte pubblica la responsabilità per non aver ottenuto quanto chiesto. Occorre però valutare gli effetti: – se le richieste sono improbabili, la Parte pubblica potrebbe scoprire facilmente il bluff,

facendo svanire lo scambio; – i lavoratori potrebbero prendere sul serio le richieste. Lo scarto tra accordo e

piattaforma sarebbe però pagato poi, in termini di credibilità, dalla Rsu.

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3. Chiari La piattaforma viene presentata ai lavoratori per ottenerne il consenso e deve quindi chiarire le motivazioni, il senso delle richieste. 4. Condivisi La Rsu tratta a nome di lavoratori. Deve quindi chiedere un mandato a trattare, facendo approvare la piattaforma dalla assemblea sindacale. E poi deve chiedere un mandato a concludere, a firmare l’accordo, attraverso l’approvazione della ipotesi di accordo. Il coinvolgimento dei lavoratori non è un adempimento burocratico. È un passaggio necessario per verificare se le proposte della piattaforma hanno il consenso necessario, che costituirà la risorsa fondamentale durante la trattativa. Una piattaforma condivisa non vuol dire, approvata all’unanimità, ma con un largo consenso. Il voto vincola, ma rafforza la Rsu. Il grado di consenso è un punto di forza della Rsu al tavolo delle trattative. La Parte pubblica sa il grado di consenso raccolto; se è basso potrà mettere in difficoltà la Rsu. Ad esempio: se non è stata fatta un’assemblea per spiegare la piattaforma, o se poche persone hanno partecipato all’assemblea o se la piattaforma ha ottenuto pochi voti, la Rsu è in difficoltà nel sostenere che una certa richiesta è voluta dai lavoratori. Il Rettore e il D.A. potrebbero minare la credibilità delle richieste. La Rsu deve quindi convocare l’assemblea sindacale di ateneo, in orario di lavoro, per l’approvazione della piattaforma. Così ottiene il mandato a trattare. Il consenso deve essere continuamente alimentato informando i lavoratori dell’andamento delle trattative. Non occorre fare un’assemblea dopo ogni incontro, basta un semplice comunicato che accompagni il contatto individuale, il passaparola. Il consenso è decisivo per il negoziato.

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L’arte di negoziare Le competenze negoziali non sono esclusive del delegato Rsu o della Parte pubblica. Le esercita ogni persona in molti contesti: per comprare o vendere qualcosa, per stabilire con amici la meta di un viaggio, per decidere una spesa nel condominio. Gli esempi si sprecano. Con il negoziato io cerco di ottenere dagli altri il risultato che voglio.Si tratta quindi di particolari competenze relazionali. Esaminiamo il negoziato in ateneo. Il negoziato può essere bilaterale o multilaterale. La trattativa sindacale è bilaterale, almeno formalmente, tra la parte pubblica e la parte sindacale. La parte sindacale è così numerosa che potrebbe svolgersi anche una parallela trattativa multilaterale. La trattativa è una relazione tra persone con ruoli formali, portatori cioè di interessi collettivi: - il Rettore è il rappresentante dell’ateneo ad ogni effetto di legge, garantisce il

perseguimento dei compiti istituzionali ed esercita le funzioni di indirizzo politico dell’ateneo;

- il direttore amministrativo è il responsabile dei risultati del servizio che offre l’ateneo

agli utenti; il suo interesse è (dovrebbe essere) di utilizzare al meglio le risorse a sua disposizione per perseguire le linee di indirizzo dell’ateneo e raggiungere gli obiettivi assegnati, coordinando le attività del personale;

- la Rsu rappresenta (parla a nome di) le persone che lavorano in ateneo; il suo

interesse è (dovrebbe essere) rappresentare le loro esigenze relative alla organizzazione del lavoro;

- i sindacati territoriali rappresentano ognuno il loro sindacato nazionale che ha firmato il

CCNL; il loro interesse è che il contratto integrativo sia vantaggioso per i lavoratori, nel rispetto del CCNL.

Il negoziato si svolge nel mondo giuridico del diritto civile. Ma sappiamo quanto sia dominante il mondo del diritto amministrativo, che regola il funzionamento degli organi collegiali. E’ probabile che, in particolare le persone della parte pubblica (il Rettore, il direttore, …) abbiano la tendenza a vedere il contratto di ateneo come un procedimento amministrativo, come se il contratto fosse in fondo una delibera che si chiama contratto. Talvolta infatti i contratti di ateneo iniziano come se fossero un atto amministrativo: Visto…Considerato. Ma il contratto è un atto di diritto civile. Le parti del negoziato non devono “applicare” una norma ma dovrebbero esplorare le soluzioni per la migliore utilizzazione delle persone, il che implica un’attenzione maggiore ai problemi e alle possibili soluzioni che alle norme. Il negoziato, qualunque esso sia, si svolge sui contenuti cioè sui punti della piattaforma Rsu, sulle proposte della parte pubblica, dei sindacati provinciali, i compromessi; ma anche sulle regole della trattativa, il metodo o la strategia con cui ottenere risultati.

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E poi c’è il livello delle relazioni interpersonali. Come ogni partecipante vive la trattativa, come tiene a bada (o non tiene a bada) i propri sentimenti, se evita che il conflitto degeneri nel duello personale, se migliora le relazioni tra i partecipanti. La trattativa è anche una relazione tra persone, con proprie convinzioni, con proprie rappresentazioni del conflitto e del negoziato sindacale. Occorre aver presente che un conto sono le norme e un conto sono le rappresentazioni del negoziato e del conflitto del Rettore e del dirittore amministrativo, ma anche dei componenti della Rsu. E questi modelli influenzano il modo di affrontare il conflitto ed il negoziato. Nell’ateneo infatti si usano modelli diversi per descrivere l’organizzazione ed il conflitto. Molti sono inadeguati al nuovo contesto dell’autonomia e della riforma del rapporto di lavoro. Vediamone alcuni. Modello burocratico L’organizzazione è vista in modo gerarchico, dipendente da un centro che decide tutto. E’ regolata solo da norme; ciò che non è previsto è vietato. Il dirigente si limita ad applicare le norme, quando ha dubbi, ovvero non intende assumere responsabilità pone un quesito al Ministero o all’Avvocatura dello stato. L’attenzione è rivolta alla forma degli atti. Il conflitto dipende da una cattiva formulazione o interpretazione della norma. Modello famiglia L’organizzazione è informale, regolata da norme non scritte, applicate discrezionalmente. Il direttore è come un buon padre. L’attenzione è agli affetti. Il conflitto è un tradimento. Chi dissente è la pecora nera della famiglia. Modello comunità educante L’organizzazione è vista come “partecipata”, i vari interessi si compongono armonicamente. L’attenzione è alla didattica e alla ricerca. Il conflitto è rimosso. Modello azienda Il dirigente sogna di essere libero da vincoli. Il conflitto è vissuto come peste ed il delegato è l’untore. Il conflitto è guerra che si può concludere solo con la resa o la morte del nemico. In questi modelli il conflitto o è negato, o è rimosso o è visto nei termini di “io vinco, tu perdi”. Il direttore, che è spesso parte del conflitto, talvolta reagisce, per scarsa preparazione nella gestione delle persone, alimentando il conflitto. E se anche il delegato cerca il conflitto per il conflitto, come per celebrare un rito, il conflitto tende a diventare irriducibile e senza fine. Un duello tra persone che si affrontano, con un solo esito: la sconfitta dell’altro. La sindrome dei duellanti, come nel racconto omonimo di Joseph Conrad dove due ufficiali napoleonici si contrappongono in un conflitto senza fine, di cui hanno smarrito le ragioni. Per evitare che il conflitto diventi un duello, occorre rappresentarselo come un fatto normale in una organizzazione, come un problema da risolvere. Per cui occorre individuare gli interessi in gioco e negoziare una soluzione che li soddisfi.

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Nel negoziato per il contratto nazionale l’Aran e i sindacalisti, concluso l’accordo, non si rivedono per molto tempo. In ateneo dirigente e Rsu si vedono ogni giorno. E questo non è indifferente. Le parti considerano (dovrebbero considerare) importante il clima dei rapporti interpersonali. Vi sono diversi modi di affrontare una (qualunque) trattativa, che possiamo riassumere in uno stile morbido e in uno stile duro, descritti nelle prime due colonne della tabella che segue, tratta dal classico Fisher Ury Patton L’arte del negoziato 2005 Corbaccio. Alla domanda “quale sia lo stile migliore da usare” gli autori rispondono “né l’una, né l’altra” consigliando un negoziato centrato sui principi, cioè sui criteri e non sulle posizioni, cioè sulle proposte delle parti.

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Stile morbido Stile duro Per un negoziato efficiente

che non peggiori le relazioni

Negoziare sui criteri

Le parti sono amici. Le parti sono avversari. Le parti sono persone che risolvono un problema.

Lo scopo è accordarsi. Lo scopo è vincere. Lo scopo è un buon esito raggiunto con efficienza e amichevolmente.

Fare concessioni per coltivare il rapporto.

Chiedere concessioni come una condizione per il rapporto.

Scindete le persone dal problema.

Essere morbidi con le persone e con il problema.

Essere duri con il problema e con le persone.

Siate morbidi con le persone, duri con il problema.

Fidarsi degli altri. Diffidare degli altri. Procedete indipendente mente dalla fiducia.

Cambiare posizione facilmente

Trincerarsi sulla propria posizione.

Concentratevi sugli interessi, non sulle posizioni.

Fare offerte. Fare minacce. Esplorate gli interessi.

Svelare fin dove potete scendere

Nascondere fin dove potete scendere.

Evitate di avere un limite invalicabile.

Pretendere guadagni unilaterali come prezzo dell'accordo.

Inventate soluzioni vantaggiose per ambo le parti.

Cercare una sola risposta: quella che essi accetteranno.

Cercare una sola risposta: quella che voi accetterete.

Sviluppate molte opzioni fra le quali scegliere; deciderete più tardi.

Insistere sull'accordo. Insistere sulla propria posizione.

Insistete su criteri oggettivi.

Cercare di evitare la prova di forza.

Cercare di vincere la prova di forza.

Cercate di raggiungere un risultato che si basi su criteri indipendenti dalla volontà.

Cedere alla pressione. Far pressione. Ragionate e siate aperti al ragionamento; inchinatevi ai principi, non alle pressioni.

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Preparare il negoziato Lo scopo del negoziato è stipulare il contratto integrativo di ateneo. La piattaforma contiene proposte, ma dietro ad esse vi sono degli interessi, degli obiettivi. Un esempio: la trattativa per l’acquisto di una casa si svolge attorno al prezzo, c’è la proposta di chi vende e quella di chi acquista. Dietro le proposte ci sono gli interessi, che guidano la trattativa. Chi compra è interessato ad una casa più grande perché…. oppure più vicina al lavoro oppure ….. Sono gli interessi a guidare la trattativa. Individuare la zona di accordo In vista di una trattativa sindacale è normale definire i propri punti irrinunciabili della piattaforma. Ma anche la Parte pubblica ha i suoi punti irrinunciabili. Per evitare di arrivare allo stallo o ad una soluzione insoddisfacente per entrambi è bene tenerlo presente. Per negoziare in modo efficace occorre guardare sempre tutti e due i lati del tavolo e non solo il proprio. Occorre aver chiari quali siano gli interessi della Rsu, ma anche chiedersi quali siano quelli della Parte pubblica. Occorre aver chiari quali sono i punti i forza e i punti debolezza della Rsu, ma anche quelli dell’altra parte. Durante la trattativa può accadere che si riveli più utile adottare una proposta diversa da quella prevista all’inizio per raggiungere lo stesso scopo, per soddisfare gli stessi interessi. Occorre quindi individuare una zona di accordo che dipende:

- dagli obiettivi che si intende raggiungere; - dai risultati al di sotto dei quali non si ritiene conveniente un accordo; - dalla zona di accordo della Parte pubblica.

E’ decisivo anche individuare come ogni parte valuta il costo del mancato accordo che viene esaminato nel capitolo successivo. Elaborare una strategia Individuata la zona di accordo, occorre elaborare una strategia: – prefigurare tutti i risultati possibili, anche quelli indesiderati, – immaginare comportamenti adeguati (cosa faccio se …?), – inventare soluzioni vantaggiose per entrambi – pensare alla mossa di apertura e alle offerte possibili. Una bozza di contratto La piattaforma raccoglie le rivendicazioni e ne esplicita le motivazioni. E’ rivolta soprattutto ai lavoratori. E’ uno strumento di comunicazione. Lo stile con cui è scritto è quello normale, quindi approssimativo, ambiguo. Il risultato della trattativa è un contratto. Lo stile deve essere preciso, perché sia interpretabile da tutti, lavoratore e direttore amministrativo, senza l’ausilio di esperti sindacali.

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È meglio quindi che la trattativa avvenga su un testo che prefiguri il risultato, che abbia cioè la forma dell’articolato, strutturato per articoli come il contratto, che traduce le richieste in clausole, ed è rivolta soprattutto alla Parte pubblica e a chi si siede al tavolo delle trattative. Differenziare la piattaforma dall’articolato ha alcuni vantaggi: - serve a distinguere:

– la clausola che si vuole inserire nel contratto, che crea diritti delle persone, – dal motivo, l’esigenza per cui viene inserita, che porta a scrivere frasi che non hanno

alcun effetto giuridico. - serve a verificare se la richiesta è formulata in termini che consentano una applicazione facile e condivisa da entrambi le parti, Rsu e Parte pubblica. – consente di tenere sotto controllo tutte le richieste, evita il rischio che ogni partecipante privilegi alcuni aspetti rispetto ad altri o ne dia una lettura parziale; – favorisce una discussione concreta: si tratta per modificare o inserire clausole. Sulle questioni di stile si rimanda al sito www.flcgil.it/rsu “Come scrivere il contratto”. Raccogliere informazioni Per sostenere una richiesta occorre argomentare in termini di principi, di criteri oggettivi. E’ utile poter dire: lo hanno fatto nell’università … Quindi è utile raccogliere altri contratti di ateneo che contengono la norma che si intende adottare. Anche se i dati necessari alla trattativa (ad esempio la dimensione del fondo di ateneo, il numero degli addetti, …) deve fornirli il direttore amministrativo, è importante avere proprie fonti. E’ utile anche raccogliere le poche norme relative alle materie oggetto della trattativa e che si possono ricavare dal sito www.flcgil.it/rsu Una volta raccolte le informazioni utili, devono essere ordinate in relazione alle varie richieste della piattaforma, in modo da usarle non tutte in una volta, ma in relazione alla trattativa, per giustificare le richieste o per controbattere obiezioni. Individuare i vincoli Aiuta la trattativa sapere che ci sono dei vincoli per entrambe le parti che delimita l’area negoziale, anche se con confini mobili. Non si può trattare tutto. Vedi Lo spazio negoziale nel libretto “Rsu Le relazioni sindacali”

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Curare il rapporto con i lavoratori Il consenso si costruisce con la piattaforma. Se manca, non è possibile usare in modo credibile gli strumenti di pressione. Inoltre durante la trattativa occorre informare i lavoratori sul suo andamento, sulle difficoltà e sugli eventuali scarti tra piattaforma ed accordo. Avere alleati La Rsu deve cercare una alleanza soprattutto con i rappresentanti del personale tecnico–amministrativo in Consiglio di amministrazione ed in Senato accademico, ma non confondere i ruoli. La Rsu rappresenta gli interessi di chi lavora in ateneo. Le categorie di personale organizzano i propri interessi direttamente, attraverso le loro rappresentanze di ateneo.

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Il costo del mancato accordo Prima di iniziare una trattativa, qualunque essa sia, è importante immaginare quale sia il “costo del mancato accordo” per le due parti, perché i costi possono essere molto diversi. Per il Rettore rifiutarsi di aprire le trattative, di fronte all’iniziativa della Rsu o del sindacato provinciale, ha costo alto: può essere denunciato per condotta antisindacale. Vedi Condotta antisindacale in Rsu e Relazioni sindacali Anche per la Rsu il costo del mancato accordo è alto: se non conclude il contratto di ateneo il suo ruolo diventa marginale. Ma, tra i due costi è maggiore quello della RSU. Visto che c’è uno squilibrio teorico, per la Rsu è importante che la Parte pubblica abbia una percezione del costo del mancato accordo maggiore di quella che potrebbe avere in astratto. Come? Argomentando:

- che l’accordo è preferibile al non accordo per chi vuole gestire le persone; - che vi sono comunque dei vincoli in caso di mancato accordo: i compensi accessori,

ad esempio, non possono essere dati unilateralmente; non possono essere assegnate le risorse per lo straordinario alle strutture, né possono essere adottati provvedimenti non conformi alla politica sull’orario di lavoro diversi da quelli concordati precedentemente in contrattazione. Se ciò accadesse la Rsu dovrebbe informare i revisori dei conti.

Minacciando di ritirare la collaborazione, di usare gli strumenti sindacali di agitazione e di pressione. Perché la minaccia sia credibile occorre avere ottenuto il consenso dei lavoratori e costruito una rete di alleati. La minaccia ha lo scopo di rendere maggiore per la controparte il costo del mancato accordo, perché comporta un clima che avrebbe effetti negativi sul servizio. La Rsu è un organismo: quindi la valutazione del costo del mancato accordo è il risultato di una discussione tra i suoi componenti. Non sempre è chiaro in ateneo che, in genere, per un sindacato non “portare a casa nulla” è una sconfitta: ha un costo. Può accadere che anche la Rsu, o la sua maggioranza, pensi che il mancato accordo non abbia un costo, perché si ritiene preferibile il nobile gesto della rottura o si abbonda nella retorica invece di trovare una soluzione condivisa. Lo stallo I momenti di stallo della trattativa possono essere ricondotti a due tipologie, che è bene tener distinte perché gli strumenti che si possono adottare sono diversi. 1. le trattative non si avviano o languono perché la Parte pubblica non vuole (o teme di) trattare.

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E’ importante capire se il comportamento è imputabile al Rettore o al Direttore amministrativo e, in quest’ultimo caso se sia dovuto ad una inconfessabile paura di affrontare situazioni critiche o di sbagliare o sia il risultato di una strategia dilatoria impostagli dal Rettore. Nel primo caso sarebbe sufficiente che il Rettore si occupasse della formazione alle nuove competenze richieste ai dirigenti. Purtroppo non avviene di rado. Tuttavia anche la Rsu può fare la sua parte, rassicurando il direttore, esplicitando i propri obiettivi. Se viceversa è il Rettore a mettere in atto atteggiamenti dilatori, si può ricorrere al giudice. Avviata la trattativa, le parti sono tenute a condurle con correttezza e buona fede. Impedire lo svolgimento di una attività (contratto integrativo di ateneo) prevista dalla legge (Dlgs 165/01) e dal contratto nazionale è comportamento antisindacale. È auspicabile che in sede di valutazione dell’attività del Rettore rientri anche il comportamento nelle relazioni sindacali, sia come titolare della parte pubblica, sia come responsabile del raggiungimento dei risultati del servizio. Questo avrebbe l’effetto di aumentare per il Rettore il costo del mancato accordo. 2. Vi è un disaccordo su un contenuto. Un giudice non può imporre un contratto, che è un accordo tra parti. È quindi compito delle parti trovare una soluzione condivisa. Hanno un ruolo decisivo in queste occasioni sia la valutazione che ognuna delle parti ha fatto del costo del mancato accordo, sia la capacità di riconoscimento dell’altro e la capacità di ascolto. Forme di lotta o di pressione Che fare nei momenti di stallo, se lo deve chiedere la Rsu prima di trovarsi in questa situazione, quando prepara la trattativa. E ciò non vuol dire affrontare la trattativa con un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti della Parte pubblica, ma immaginare tutti i possibili sviluppi della trattativa. La via giudiziaria è l’ultima chance. Prima di affrontarla la Rsu dovrebbe usare i normali strumenti a disposizione per fare pressione sul Rettore che non intende concludere il contratto. Per indire uno sciopero occorre avere il consenso dei colleghi. Altrimenti è farsi del male da soli. È quindi il consenso l’elemento decisivo di una trattativa sindacale, il vero strumento di pressione. Maggiore è il consenso, minore la probabilità di rimanere bloccati in una situazione di stallo. La Rsu non è sola nella ricerca del consenso dei lavoratori. In una vertenza di ateneo anche la Parte pubblica cercherà di acquisirne il consenso e dimostrare che le rivendicazioni della Rsu non sono condivise, mentre sono più efficaci le sue proposte. Può farlo in vari modi. Ad esempio potrebbe inviare ai dipendenti, via e-mail, l’informativa sulle proprie proposte contrapponendole a quelle della Rsu delegittimandola. I lavoratori potrebbero sentire la pressione della Parte pubblica anche in forma indiretta: il timore di subire le conseguenze di un conflitto, ad esempio nella gestione dei permessi o altro.

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E’ preferibile allora utilizzare il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto se la Rsu minaccia lo stato di agitazione. Si tratta di un incontro presso la Prefettura. La prefettura potrebbe svolgere un uitle ruolo di arbitro. Sul come fare vedi il libretto I diritti sindacali. In una vertenza di ateneo la Rsu infatti può utilizzare il ventaglio di forme di agitazione e di lotta sindacale: – sciopero dello straordinario o delle attività aggiuntive; – sciopero breve di un’ora – sciopero di una giornata. Sul come la Rsu possa proclamare uno sciopero si parla nel citato libretto “I diritti sindacali della Rsu”. Queste forme di sciopero hanno un impatto maggiore in una vertenza di ateneo che non in una vertenza nazionale, perché l’utenza è più limitata, ma anche più direttamente coinvolgibile. Inoltre è possibile cadenzare le varie forme di lotta in relazione all’andamento della vertenza.

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Al tavolo delle trattative La trattativa è un modello di relazioni tra le parti regolate dal diritto civile e non dal diritto amministrativo. L’incontro è tra due parti. Non è una riunione di organo collegiale. Non vi è un presidente che dà ordine ai lavori, fissa l’ordine del giorno o dà e toglie la parola. Non vi è un segretario. Non occorre fare il verbale di ogni incontro. Si fa, se tutti lo ritengono utile e se serve a qualcosa, per esempio per registrare via via le clausole del contratto in costruzione su cui si concorda. Non vi sono regole su come svolgere la trattativa, se non quelle concordate da entrambi. Sulle procedure negoziali vedi il libretto Rsu e relazioni sindacali. Il punto di partenza è riconoscersi entrambi come parti di un negoziato, anche se conflittuale. Lo scopo della trattativa è fare un accordo insieme, non vincere una competizione o fare un duello. La trattativa si svolge su due piani:

- dei contenuti (le proposte della Rsu e le controproposte della Parte pubblica) e - della relazione.

Non confondere i due piani, ma tenerli sempre presenti. Esplicitare quando si passa dal piano dei contenuti a quello della relazione (della meta-comunicazione): creare un clima di fiducia reciproca è condizione decisiva per negoziare. Evitare riferimenti alle persone (la colpa è di …, tu sei …), preferire, invece, identificare i problemi (le esigenze dei lavoratori) e le soluzioni (le clausole da inserire nel contratto). Concentrarsi sui contenuti e non sulle persone, morbidi con le persone, duri con il problema. Vedi la tabella del capitolo “L’arte del negoziare” È possibile, utile, fare concessioni per mantenere la relazione. Finite le trattative i rappresentanti sindacali vanno via, mentre Rettore, direttore e delegati Rsu continuano a lavorare nello stesso posto. Se si fanno concessioni, dirlo esplicitamente, in modo che la controparte lo capisca. Per questo è bene avere preparato soluzioni alternative. Ascoltare La trattativa si fa in due, perché l’accordo deve convenire ad entrambi. Per questo occorre capire gli interessi della controparte. Serve per valutare i punti di forza e di debolezza propri e dell’altra parte. Non occorre dire le proprie intenzioni oltre a quello scritto dalla piattaforma se prima non si è compresa la intenzione della controparte. Capire quello che sta succedendo, ma capire anche quello che ci sta succedendo: anche noi possiamo essere parte del conflitto. Durante una discussione è normale non capirsi. Per evitare equivoci, è utile riformulare le proposte di una parte: “Provo a dire con parole mie quello che ha detto …”. In tal modo si dimostra che è stato ascoltato ciò che ha detto l'altra parte. Inoltre serve ad entrambi per controllare l’efficacia della comunicazione.

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Quanti parlano? Il numero dei partecipanti incide in modo determinante sulle dinamiche della trattativa. Il tavolo delle trattative può diventare affollato. Le parti in questo caso dovrebbero mettersi d’accordo su chi parla, tutti o solo un portavoce per ogni soggetto (giuridico)? I delegati della Rsu devono (dovrebbero) evitare di sconfessarsi a vicenda. Altrimenti il rettore da controparte diventa il mediatore tra i componenti della Rsu, imponendo la sua leadership. Meglio chiedere una pausa di riflessione per chiarirsi le idee. Il punto di riferimento comune è la piattaforma, che consente anche di evitare che i rappresentati sindacali parlino sempre, o polemizzino tra loro. È un problema anche se parlano in tanti dalla parte pubblica e non si capisce se chi decide è il Rettore o il Direttore o un collaboratore. Di cosa si discute? La trattativa ha al centro la piattaforma della Rsu o, in mancanza, quella dei sindacati, che costituisce quindi l’oggetto della discussione. La Parte pubblica interviene nella trattativa con proprie proposte sui diversi punti della piattaforma, o, in mancanza di questa, sulle materie demandate alla contrattazione integrativa, inserite all’ordine del giorno. Lo scopo è facilitare i lavori del tavolo. Ciò non vuol dire che cambia la base di discussione, che la piattaforma sindacale viene espulsa dalla trattativa. Poi chi ha più filo da tessere… Chi scrive l’accordo? La questione non è chi scrive il verbale, ma chi scrive l’accordo o meglio le singole clausole dell’accordo. Non vi è una regola. Chi lo fa ha un vantaggio, non perché decide quel che vuole, ma perché vuol dire che ha le idee più chiare. Se la piattaforma è stata tradotta in articolato, è più facile scrivere l’accordo. Punti critici Durante la trattativa si possono verificare diversi momenti critici, è del tutto normale. Vediamone alcuni. Il Rettore e il direttore amministrativo: – sono riluttanti a trattare, perché vedono le relazioni sindacali in ateneo, come

appesantimento delle procedure; – non si sentono preparati a negoziare, e preferiscono rinviare oppure hanno un

atteggiamento duro; – non vogliono seccature, non si assumono responsabilità, si trincerano dietro

l’applicazione delle norme; – non conoscono le norme; – non vogliono cambiare una procedura applicata da anni perché ha un costo, ad esempio

farebbe aumentare il lavoro degli uffici; – temono il controllo dei revisori dei conti ai quali avrebbero difficoltà a motivare le ragioni

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delle scelte eventualmente adottate; – vogliono avere le mani libere; non vogliono regolamentare i loro spazi discrezionali nella

gestione dell’ateneo; – hanno litigato con un delegato della Rsu o con un responsabile sindacale e gliela

vogliono far pagare; – ecc. I delegati della Rsu: – sono divisi e si fanno concorrenza, con il risultato che non trovano l’accordo; – sono deboli perché non hanno il consenso e la Parte pubblica lo sa e lo fa pesare; – non conoscono le norme; – non stimano il rettore e/o il direttore o li vedono come nemici con i quali non si può

trattare; – ecc.. Il contrasto tra le parti si può verificare in diverse occasioni o forme. Facciamo qualche esempio. Differenti criteri di gestione delle persone e del fondo di ateneo: la Parte pubblica punta a mantenere un’ampia area di discrezionalità per ottenere la collaborazione del personale, la Rsu cerca di negoziare criteri certi e trasparenti. Differenti punti di vista sull’organizzazione del lavoro: la Parte pubblica negozia avendo presente la gestione complessiva dell’ateneo, la Rsu avendo presente le esigenze del personale, elencate nella piattaforma. Entrambi sono (dovrebbero essere) interessati, almeno formalmente, ad un funzionamento efficiente/efficace dell’ateneo, ma questo non impedisce contrasti durante le trattative. Diversa valutazione delle materie del contratto di ateneo: il rettore e il direttore danno una lettura limitata dell’art. 4 del Ccnl. La Rsu ha presente i principi che regolano l’area negoziale per cui vuole negoziare su aspetti non previsti dall’art. 4 (tutto ciò che non è vietato, è consentito!), ma non in contrasto con il Ccnl. In questi casi occorre trovare un punto di accordo che concili i diversi interessi o punti di vista. Una rivendicazione della piattaforma contrasta con una delibera del Consiglio di amministrazione: il Consiglio ha deliberato in merito a certi compensi per una parte del personale. Il rettore ritiene che la delibera sia intoccabile. La Rsu ritiene (giustamente) che il Consiglio abbia indebitamente occupato spazi non propri. La Rsu potrebbe anche valutare se recepire i contenuti condivisi della delibera nel contratto, per chiarire le competenze ed evitare nel futuro altre invasioni di campo. La Parte pubblica cita pareri o sentenze a conferma di quel che sostiene. La Rsu deve sempre chiedere una copia, per valutare di che si tratta. Un parere (del ministero, dell’Aran, dell’Avvocatura di stato, …) può aiutare a capire il testo di una norma complicata, ma è solo un parere. Inoltre questi pareri sono rivolti alla stessa amministrazione, non sono quindi un vincolo per la Rsu che non è amministrazione. Una sentenza ha altro peso, ma riguarda sempre un caso particolare. Occorre quindi capire di che si tratta. Ad esempio può riguardare un comparto diverso o un settore del privato che ha un contratto diverso da quello dell’ateneo. Occorre inoltre valutare se la

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sentenza è innovativa o è nell’alveo di una giurisprudenza consolidata, è di un tribunale o della Cassazione, che indica quindi una tendenza giurisprudenziale. In questi casi può essere utile rivolgersi al sindacato per avere consigli o chiarimenti. Confusione di ruoli Potrebbe verificarsi una confusione di ruoli, quando non sia chiaro a quale delle due parti negoziali una persona partecipi o anche all’interno della stessa parte trattante. Se un collaboratore del rettore o del direttore o il responsabile di un dipartimento e/o ufficio, ecc. è chiamato a partecipare dal rettore alla trattativa, egli è nella parte pubblica ma potrebbe tendere a porsi come rappresentante di lavoratori. Oppure all’opposto se il rettore e il direttore tendono a defilarsi e lasciano parlare solo costoro. Un sindacato provinciale firmatario potrebbe delegare un lavoratore dell’ateneo a rappresentarlo al tavolo delle trattative nella parte sindacale, ma potrebbe dar luogo a dinamiche negative con la Rsu, se ad esempio si è presentato alle elezioni e non è stato eletto. Su una certa questione (criteri di utilizzazione del fondo o delle persone) un partecipante alla trattativa potrebbe difendere un proprio interesse. La Rsu dovrebbe o chiarire i ruoli delle due parti o richiamare qualche componente della parte sindacale al rispetto della piattaforma (quindi è importante averla definita) o il Rettore a coordinare la parte pubblica. Se un funzionario, eletto nella Rsu, sostituisse il direttore al tavolo delle trattative, parteciperebbe come parte pubblica e non come Rsu. Deve quindi astenersi in questo periodo dal partecipare alla Rsu. Se ciò si verificasse sempre o se partecipasse sempre con il rettore dovrebbe addirittura dimettersi da Rsu. In un ateneo può capitare che la Rsu non funzioni e che quindi non sia stata elaborata alcuna piattaforma. In questo caso è il sindacato provinciale, attraverso il comitato degli iscritti dell’ateneo, che svolge un ruolo di supplenza: elabora una piattaforma, la illustra e la fa votare dai lavoratori, la sostiene al tavolo della trattativa Da tutti questi casi emerge chiaramente l’importanza della piattaforma. Governare il tempo La trattativa dovrebbe svolgersi in un tempo determinato, ragionevolmente breve, soprattutto se si tratta di rinnovare il contratto. Non avere fretta, ma neanche subire rinvii. Darsi dei tempi per la trattativa. Uno o due incontri dovrebbero bastare. Al termine di un incontro non conclusivo, stabilire quando fare il successivo. In caso di stallo fissare un termine ultimativo per la trattativa (o l’accordo entro il giorno tale o la rottura). Arrivare rapidamente ad avere il quadro dei punti di accordo e di disaccordo. Se si incontra una certa resistenza su un punto non insistere a trovare subito un accordo, ma andare avanti per delimitare l’area del disaccordo. Ciò consente di decidere quali concessioni, quali mediazioni fare, rispetto alla piattaforma, per arrivare all’accordo. Si

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evita così di subire la eventuale tattica del carciofo da parte del rettore, di continue concessioni solo da parte sindacale senza contropartite. Si può stabilire quando è meglio chiudere. Ad un certo punto occorre deciderlo. Meglio un accordo rapido non del tutto soddisfacente, che attendere un accordo perfetto che non arriva. Chiudere Ad un certo punto della trattativa, le parti decidono di chiudere la trattativa perché: – hanno raggiunto un accordo ritenuto soddisfacente oppure – prendono atto che non è possibile arrivare ad un accordo.

In questo secondo caso la Rsu deve prendere le opportune iniziative di lotta sia che abbia deciso di rompere le trattative sia che lo abbia fatto la Parte pubblica. Anche una sola parte può, ad un certo punto, decidere unilateralmente di interrompere le trattative. Anche la Rsu si è trovata o si troverà nella situazione di chiedersi: “Come ottenere alcune rivendicazioni che il rettore non vuole riconoscere?” oppure “come fare a sbloccare una trattativa che non va avanti per molto tempo?”. Sono situazioni che ha dovuto affrontare qualunque sindacato (provinciale o nazionale). Chi ha partecipato alle trattative può chiedere di mettere a verbale una propria dichiarazione, che viene allegata al contratto. In questo modo può essere registrata una riserva importante su un punto del contratto, ma non tale da impedirne la firma. Si possono anche allegare dichiarazioni di impegni che le parti prendono reciprocamente per il futuro ma che non fanno parte del contratto. Per avere degli esempi basta leggere i vari Ccnl. Il consenso sull’ipotesi di contratto Concluse le trattative, la Rsu deve consultare i lavoratori. Il testo dell’accordo viene siglato, con la riserva di firmarlo definitivamente dopo l’approvazione dell’assemblea di ateneo. Al testo si appongono le firme solo per confermare che si tratta del testo originale. Solo dopo l’assemblea si stipula il contratto. Da questo momento l’accordo diventa efficace a tutti gli effetti. La Rsu può svolgere al termine dell’assemblea anche un referendum sul contratto, predisponendo uno o più seggi elettorali se la dislocazione delle Facoltà e dei Dipartimenti lo richiede e decidendo la durata delle votazioni.

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parte 2 la comunicazione

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Comunicare. Come? Il delegato Rsu deve comunicare con i propri colleghi di lavoro non solo in modo informale nei corridoi dell’ateneo, nei dipartimenti, nei laboratori, negli uffici, ma anche con scritti, avvisi, manifesti utilizzando uno spazio apposito, l’albo sindacale. Non basta però avere uno spazio per essere letti. In ateneo vi sono tanti avvisi. Ogni lavoratore è sottoposto a tanti messaggi, è quindi importante comunicare in maniera efficace, per far capire ai nostri interlocutori il senso di quel che vogliamo dire. La semplicità di linguaggio, la capacità di farsi capire da tutti immediatamente, l’abilità nel comunicare sono una parte della attività del delegato Rsu. IL MANIFESTO Il manifesto è un mezzo a lettura veloce: il suo contenuto deve essere percepito in un breve tempo: si dice dai 3 ai 5 secondi. Un manifesto sindacale può richiedere una lettura più lunga. Allora in quei pochi secondi deve catturare l’attenzione al punto da spingere ad una lettura completa dell’informazione. I formati più utilizzati sono (base x altezza, in cm): 70 x 100 oppure 100 x 140. Quello che viene detto può essere applicato anche per il formato di carta A3 (cm.42 x 60) disponibile in ateneo. Nel preparare un manifesto il primo problema è come attrarre l’attenzione sul vostro messaggio e non sugli altri manifesti: pubblicitari, degli altri sindacati, ecc. Vediamo ora una corretta impaginazione e cerchiamo di riconoscere i diversi componenti nella loro funzione. Il titolo di testa (head-line) Ad esso è affidato il compito di esprimere in modo sintetico ed attraente il contenuto del messaggio. In tre secondi, cioè in non più di cinque parole deve dire “la notizia”. Vi ricordate titoli come: eccoci, basta, pace, ecc., addirittura in una sola parola la forza e la chiarezza del messaggio. Per farsi ricordare bisogna occupare l’immaginario di ognuno. Il titolo va scritto con un carattere senza grazie, bold (neretto), tutto alto (maiuscolo). Deve troneggiare. Da solo può reggere un manifesto. Una buona impaginazione di una breve frase può risultare sufficiente ed efficace. La parte grafica (visual) Il visual può essere una grafica, un disegno, una foto. Poiché la decodifica del messaggio è rapida, con la foto è più facile. Non è una regola, ma il frutto dell’esperienza. Il testo (body) Se il titolo è efficace ed il manifesto è ben impaginato, potete catturare l’attenzione e spiegarvi con più argomenti. Il testo ha lo stesso carattere del titolo, ma con formato light (leggero), alto e basso (minuscolo). È la parte discorsiva, il linguaggio deve essere diretto, semplice e parlare al cuore.

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IL VOLANTINO Il volantino, che generalmente annuncia, spiega e invita ad una iniziativa, rimane uno strumento di comunicazione importante. La caratteristica di questa comunicazione è il contatto fisico: qualcuno che consegna il volantino e qualcuno che lo riceve. Attraverso le parole con cui si accompagna la diffusione del volantino si mette in atto una concreta rappresentazione delle idee che si sostengono, da esse dipende l’efficacia del risultato. Il volantino può servire a più scopi: – intervento su un tema specifico – invito ad una assemblea – presentazione della piattaforma A differenza del manifesto, il volantino è un mezzo a lettura lenta. Si tiene in mano, a 30/40 cm dal naso di chi legge. Deve essere il testo a saltare agli occhi. Non devono essere gli occhi a cercare nelle righe tutte uguali il senso del messaggio. Quindi: – mettere titoli, sottotitoli, organizzare gli argomenti a blocchi – pensare alle priorità ed ai diversi piani di lettura – animare la pagina con fondini che separino gli argomenti – spingere la ricerca della massima chiarezza ed immediatezza – puntare sulla sorpresa, la denuncia, la comparazione invece che su elaborate considerazioni – usare un linguaggio semplice e comprensibile: non ci rivolgiamo a noi stessi, o a pochi intimi che già ci conoscono; usiamo il linguaggio di chi ci legge – spezzare le frasi lunghe, andare al sodo. Dirla tutta, ma come in una discussione tra amici, quando una battuta aiuta la comprensione del problema in discussione. Il carattere di stampa deve essere di corpo 12/14 (il corpo 8 è piccolo). I formati sono generalmente: – A4 (21x 29,7) b/v (bianca e volta, davanti e dietro) – A3 (42x60) che piegato produce un quartino di due pagine 21x29,7, con quattro facciate disponibili. IL COMUNICATO STAMPA Può accadere che qualche volta sia necessario usarlo. Il comunicato della Rsu non è l’unico che arriverà al giornale. Dovete quindi convincere il giornalista che gli state comunicando una notizia utile. Per essere immediatamente riconoscibile il comunicato stampa deve essere: – indirizzato ad una persona (meglio se quella giusta) – scritto su carta intestata – breve, non più di 20-25 righe (in genere di circa 60 battute a riga) – scritto in un certo modo. Vediamo come.

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Il titolo Buona norma, prima di scrivere il testo, è scrivere il titolo. Quando siete riusciti a scrivere un titolo che riassuma chiaramente il senso del comunicato stampa (la notizia), avete chiaro in testa cosa volete dire al giornalista. Il testo 1. Usate un linguaggio privo di termini del politichese o del gergo sindacale o burocratico, che limitano la possibilità di farvi capire, anche dallo stesso giornalista che contattate, il quale non è detto che conosca esattamente il problema. Usare termini tecnici non vi accredita come esperti, o come persone “informate”. 2. Usate la regola che gli inglesi chiamano delle 4 w (who, what, when, why): dire chi, che cosa, quando, perché. Il vostro lettore (che in prima battuta è il giornalista) deve sapere tutto quanto gli serve leggendo le prime righe. Scrivete quindi prima la notizia che volete diramare attraverso la stampa, poi le considerazioni. Ad esempio sciopero di ... il ... per ... e in fondo spiegate perché è stato inevitabile. È utile mettere qualche dato (quanta gente è interessata allo sciopero, i servizi che saranno bloccati ...) 3. Spesso, il giornalista non ha molto spazio da destinare alla vostra notizia, per cui il comunicato stampa deve essere costruito con frasi di importanza decrescente: concentrate la sintesi nelle primissime righe, e poi man mano che vi avvicinate alla fine del testo le notizie ed i commenti diventano sempre meno importanti. Così eventuali tagli non penalizzano il senso della vostra notizia perché sacrificherà messaggi che per voi contano meno. 4. Inserite una dichiarazione (il virgolettato) vostra o di chi è il caso, aiuta l’efficacia del comunicato: lo rende attuale, ed è apprezzato dai giornalisti che possono inserirlo nel testo come una dichiarazione. Ma non basta, bisogna essere tempestivi. Una dichiarazione, un commento, una notizia destano maggiore o minore interesse nei giornalisti a seconda del momento in cui sono diffusi. Occorre essere tempestivi sull’argomento e sull’orario: – far arrivare alle redazioni un comunicato nella mattinata o nel primo pomeriggio. Il giornale, ma anche gli altri media, impostano la griglia dei contenuti in tarda mattinata e chiudono molte pagine attorno alle 19, soprattutto quelle non legate all’attualità urgente. Se un comunicato stampa arriva in redazione dopo quest’ora, a meno che non tratti di una notizia sconvolgente, viene messo da parte. Il giorno dopo, la “notizia” rischia di essere già vecchia, quindi inutile. È anche importante selezionare i destinatari. – Trasmettere la notizia richiede tempo per cui è bene valutare a chi farla arrivare. Non esiste una regola fissa. Se la notizia ha importanza nazionale privilegiate i grandi quotidiani e le televisioni nazionali. Ma se è più importante raggiungere i lettori della vostra provincia allora è bene dare la precedenza ai quotidiani, alle radio ed alle televisioni locali. L’archivio dei giornalisti Un comunicato stampa, un invito, un contatto con i media non può essere indirizzato

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indistintamente in redazione: si perde sicuramente. Ogni giornalista ha un’area di interesse specifico: chi si occupa di cronaca locale, chi di sindacato, chi di scuola e così via. Occorre quindi indirizzare direttamente alla persona (nome e cognome) la cui area di interesse è più vicina ai contenuti del comunicato stampa o dell’invito. Tenete un archivio dei giornalisti con cui siete o volete essere in contatto con le informazioni di base: nome, testata, indirizzo, telefono, fax, area di interesse o di attività. L’archivio deve essere aggiornato: i giornalisti cambiano incarico o giornale. Fate sempre una copia dell’indirizzario, così non cadrete in disperazione se lo perdete, o, se lo avete in forma di file, viene distrutto da un virus o dal guasto del computer. LA BACHECA SINDACALE L’uso dell’albo sindacale richiede alcune semplici attenzioni perché la comunicazione sia efficace. Il materiale deve essere, prima di tutto, leggibile, meglio se non sovrapposto ad altri fogli. Se il testo è molto lungo meglio darne l’annuncio, riassumere i punti essenziali, indicare dove è reperibile il testo integrale; se è una legge o una circolare può essere disponibile nella sede Rsu/sindacale. Se è un documento sindacale lungo e scritto in sindacalese se ne può riassumere i punti essenziali. Se è una fotocopia evitare che sia un foglio nero o a caratteri microscopici. Se è scritto a mano usare lo stampatello Il materiale in bacheca va aggiornato. Evitate la stratificazione dei fogli che con il tempo diventano pergamene; togliete i fogli che riferiscono notizie vecchie. Affiggete un testo chiaro: usare uno stile normale che non sia il sindacalese o il burocratese; gradevole (perché no?): il gusto visivo è cresciuto e se ne deve tener conto; in ogni scuola vi sono i mezzi per rendere gradevole un testo: un alunno o un collega che sa disegnare o che sa usare un programma di grafica con il computer. INTERNET Per l’attività di comunicazione il delegato della Rsu può trovare in internet un mare di informazioni. Sul sito della Flc Cgil (www.flcgil.it ) sono disponibili ogni giorno notizie, materiali e documenti di analisi e link ad altri siti, tra cui quello del ministero dell’Università e Ricerca (www.miur.it ), della Conferenza dei Rettori Università Italiane (www.crui.it ), dell’Agenzia Rappresentanza Negoziale per le pubbliche amministrazioni (www.aranagenzia.it ). È possibile ricevere diverse newsletter dando il proprio indirizzo di posta elettronica. Nel sito vi è anche un’area dedicata alla Rsu, cui si accede con una password che si chiede al sindacato provinciale. In questa area riservata si possono trovare: – l’ipertesto sui contratti collettivi nazionali di lavoro dei comparti università, ricerca, Afam,

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Enea e Area dirigenti, con tutta la normativa legislativa e contrattuale; – i dati elettorali sulle elezioni delle Rsu; – quaderni di autoformazione – i quesiti più frequenti (FAQ) – schede di approfondimento sulle relazioni sindacali e sull’applicazione del CCNL – la normativa di riferimento – gli accordi di contrattazione integrativa dei diversi atenei Altri siti nazionali utili sono:

– Tutti i siti delle università italiane, abbastanza raggiungibili attraverso i links esistenti nel sito del proprio ateneo;

– Convegno permanente dei Direttori Amministrativi e dei dirigenti delle Università italiane ( www.codau.it )

– I siti di altre sigle sindacali: cisl università e uil PA-UR Vi sono numerosi altri siti che si interessano di università. È quindi importante che il delegato abbia:

– un proprio indirizzo di posta elettronica per ricevere informazioni – l’accesso alla rete direttamente dal proprio posto di lavoro in ateneo, possibilità che il

ministero riconosce ad ogni lavoratore dell’università, anche se il delegato può utilizzare il diritto sindacale.

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Comunicare in assemblea Il delegato si trova a dover gestire riunioni od assemblee: – sulla ipotesi di piattaforma da presentare alla Parte pubblica per il contratto; – sulla ipotesi di accordo; – per informare della attività o per discutere problemi sentiti dai lavoratori. TIPI DI RIUNIONE L’assemblea ha una struttura “uno/molti”, comune ad altri tipi di riunioni (conferenza, lezione, comizio). Anche la configurazione dello spazio di queste riunioni è uguale: file di sedie parallele che permettono ai partecipanti di vedere/ascoltare chi parla, ma non di vedersi e parlarsi tra loro. Il potere è concentrato in chi parla. Vi sono però delle differenze. Ad una conferenza la partecipazione è passiva. Al più si applaude, come ad un concerto, per esprimere consenso, o solo cortesia. Assimilabile alla conferenza, la lezione “ex cathedra”, non ovviamente la lezione “attiva” alla prof. Keating de L’attimo fuggente, che sale sulla cattedra. Al comizio la partecipazione è passiva. Il palco rende fisicamente evidente la distanza tra relatore e partecipanti. Sul palco in genere vi sono più persone, dimostrazione di forza, ma anche sollievo alla solitudine del relatore. A meno che non sia un “lider maximo”, allora la solitudine è d’obbligo, essendo caratteristica del divino. L’assemblea sindacale non è proprietà della Rsu, anche se spetta ad essa convocarla. Chiunque può partecipare e se lo fa, vuole, giustamente, contare, parlare, e non solo ascoltare. L’assemblea ha (dovrebbe avere) una struttura comunicativa a due vie. Il relatore in genere è dell’ateneo. Quando la partecipazione è attiva ed implica la decisione, il clima della riunione varia, qualche volta è normale, qualche altra è difficile o addirittura ostile. PREPARARSI Ogni riunione, quindi anche l’assemblea, richiede una preparazione. Banale, ma non sempre si fa. Richiede tempo, sempre meno però, al crescere dell’esperienza. Non è difficile, si tratta di immaginarsi cosa si aspetta chi partecipa all’assemblea. In fondo il protagonista è lui, non il relatore. Individuare i bisogni dei partecipanti serve per distinguerli da quelli del relatore, che sono diversi. Chi ci ascolta Il relatore in genere pensa che basti conoscere un argomento per parlarne: rem tene, verba sequentur (padroneggia l’argomento e le parole verranno). Allora si concentra sui contenuti. Non è del tutto vero per una lezione, o una conferenza, lo è ancor meno per un comizio, o per un’assemblea. Chi ascolta non è “vuoto”, ma pieno di aspettative e di bisogni, di informazioni o “pre-giudizi” sull’argomento. Chi partecipa può aver paura, ad esempio, di perdere il posto nell’ateneo per scadenza del suo contratto, o di dovere cambiare il modo di lavorare dopo tanti anni per

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effetto di un’innovazione. Oppure può soffrire l’incertezza per le conseguenze di una proposta indeterminata. Il bisogno di sicurezza è forte. Chi partecipa può avere già delle idee sul tema, per averne parlato con colleghi. Allora non serve imprecare contro la disinformazione e pensare di essere vittime di un complotto. Chi crede (o vuole credere) ad una certa notizia lo fa, non per mala fede, ma spesso per soddisfare un bisogno (di rassicurazione, o altro) che è bene tener presente. Le aspettative dei partecipanti sono diverse, talvolta opposte anche sullo stesso argomento, perché vi sono differenze tra i lavoratori, non solo tra aree professionali (personale amministrativo, bibliotecario, tecnico ed ausiliario) e tra le diverse categorie (elevate professionalità e categorie inferiori), ma anche all’interno della stessa categoria: differenze culturali, di orientamenti politici e sindacali, ovviamente, ma anche differenze dovute all’atteggiamento verso il lavoro e al grado di inserimento nell’ateneo (se sono da pochi giorni o da anni). Il delegato, a differenza del sindacalista (specie se esterno), ha modo di raccogliere facilmente e direttamente molte informazioni sulle attese e sulle idee dei partecipanti perché li incontra, li ascolta, parla con loro sul luogo di lavoro. Un utile esercizio prima di una riunione è raccogliere ed esaminare i prevedibili punti di vista di chi parteciperà. Gli obiettivi Ogni riunione ha (dovrebbe avere) un tema di discussione e/o di decisione. Può essere informativa e/o decisionale. Il relatore deve chiarire i propri obiettivi, analizzare le idee o le attese dei partecipanti, mettere in relazione i primi con le seconde. Per rendere più semplice questo lavoro è bene disarticolare il tema in nuclei semplici. Ad ognuno si associano sia il nostro obiettivo, sia i (previsti) punti vista dei partecipanti, sia il modo in cui intendiamo trattarli. Questo lavoro ci consente di preparare ciò che serve per condurre l’assemblea:

- la scaletta della relazione; - un elenco di domande che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le

eventuali risposte da dare, utile per la gestione della discussione; - una strategia di comunicazione e di gestione delle fasi dell’asemblea; - una o più schede sul tema, una o due pagine al massimo da distribuire ai

partecipanti per spiegare punti complessi e non disperdere la discussione in questioni tecniche o di dettaglio.

Tutto questo richiede tempo, ma garantisce una maggiore efficacia dell’assemblea.

Non dobbiamo far da soli. Un aiuto sugli obiettivi e sulla strategia possono darlo i colleghi o il sindacato provinciale. Per i materiali una risorsa è internet, il sito del sindacato in particolare. È utile infatti raccogliere e valutare non “tutto quello che gli altri hanno detto” (materiale di altri sindacati, la stampa…), ma l’informazione essenziale e rilevante.

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La scaletta Il tempo è una risorsa scarsa. Le cose da dire sono tante. Occorre quindi preparare una scaletta della relazione: selezionare gli argomenti da inserire nella relazione e quelli da discutere nel dibattito o nelle conclusioni; e distribuirli in una successione di importanza in base ad una strategia di comunicazione, all’idea che abbiamo attorno alle informazioni e le attese dell’uditorio, e non solo in base alle esigenze di chi fa la relazione. Non sempre l’impostazione migliore è quella della sequenza “logica”, di tipo deduttivo (dal generale al particolare). Le domande difficili Quelle che potrebbero essere poste durante l’assemblea e le eventuali risposte da dare. È bene decidere che strategia adottare per le domande difficili. Ve ne sono di diversi tipi. – Una domanda è difficile perché non si conosce la risposta o l’argomento (ad esempio sulla normativa). Allora è meglio ammettere di non sapere, ma promettere di informarsi e di dare la risposta il giorno dopo. Essere informati va bene, ma non si può essere onniscenti. I colleghi apprezzano non solo chi sa (o mostra di sapere) tutto, ma anche chi si fa carico di un problema. – Una domanda è difficile se la risposta è difficile: implica dare un giudizio o decidere che fare. In questo caso, in genere, la risposta deve essere trovata collettivamente proprio in assemblea. – Una domanda difficile può anche essere un gesto di ostilità. Chi lo fa vuole mettervi in

difficoltà. Per questo si rinvia al paragrafo dedicato a gestire l’ostilità.

Quali parole per dirlo? Chi parla ha a disposizione in genere diversi linguaggi: giuridico, sindacale, professionale, comune. Ognuno ha una sua ragion d’essere. Un delegato è portato naturalmente a parlare come i colleghi di lavoro. Ed è bene. Ciò vuol dire mettersi dalla parte chi ascolta. Non deve imitare il linguaggio sindacale. Quanti relatori? La Rsu è composta di più persone. Occorre quindi mettersi d’accordo su come condurre l’assemblea e quali proposte fare. È preferibile che vi sia un solo relatore se il tema è unico. Se i temi sono più d’uno, può essere utile che i delegati se li dividano tra loro. La strategia da adottare cambia se si è l’unico relatore o si parla con altri che, magari sui punti da discutere hanno anche posizioni molto differenti. Una strategia A seconda che l’assemblea sia informativa o decisionale, a secondo del clima che si prevede, occorre stabilire una modalità di gestione. Vi sono due modelli estremi. – Tradizionale: tipo relazione/dibattito/conclusioni, adottabile nella gran parte dei casi. È consigliabile (ma difficile da praticare) destinare poco tempo alla relazione e molto agli interventi e alle conclusioni. È più facile ottenere il risultato utilizzando qualche strumento

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di comunicazione (vedi più avanti) e distribuendo la scaletta o del materiale informativo per illustrare aspetti secondari o troppo tecnici. – Botta e risposta, come fosse un’intervista o una conferenza stampa, con domande/risposte invece della relazione. Il modello è adottabile se prevediamo un uditorio già preparato sull’argomento che potrebbe quindi annoiarsi a sentire una relazione. Dall’esperienza possiamo elaborare più modelli di conduzione da adoperare nelle diverse situazioni. Ciò permetterà anche di modificare il modello scelto nella fase di preparazione quando risulta non adeguato alla situazione reale. Il materiale Le parole non bastano per comunicare. Occorre anche del materiale scritto che deve essere preparato. Spesso per motivi di tempo vengono fotocopiati testi integrali di circolari o di leggi che interessano solo gli addetti ai lavori, mentre i colleghi preferiscono informazioni strutturate e chiare, e semmai l’indicazione della fonte. È bene quindi dedicare del tempo a questa attività curando, anche in un gruppo, l’informazione da dare. Il materiale deve poi essere distribuito. Se l’argomento è semplice il materiale si può distribuire direttamente in assemblea. Se il tema è complesso, a seconda che l’assemblea sia informativa o decisionale, è bene distribuire il materiale qualche giorno prima. Occorre anche pensare a come distribuirlo. Non basta lasciarlo negli ingressi delle strutture in mezzo a montagne di altre carte. Il luogo Il luogo dove si tiene l’assemblea influenza lo svolgimento. Essere 50 in un’aula magna da 500 persone è angosciante, ma essere 50 in aula da 30 è soffocante. Perché soffrire? Il luogo dell’assemblea può essere concordato con il direttore amministrativo. In alcuni casi è bene anche strutturare lo spazio. Se possibile è bene evitare di fare una riunione lasciando la struttura dell’aula, con i banchi allineati di fronte alla cattedra. Ad esempio se si tratta di un’incontro di poche persone è possibile disporre le sedie e i tavoli in modo da consentire a tutti di vedersi, invece di costringere tutti a guardare il relatore. CONDURRE L’ASSEMBLEA Il relatore è solo, alle prese con l’assemblea e con se stesso. Sono due i problemi che danno le maggiori preoccupazioni. Vediamoli. 1. Gestire l’ansia Parlare in (e con il) pubblico produce ansia, per il timore di non essere capace, o di fare cattiva figura (non saper rispondere ad una domanda difficile o ostile). Fino ad un certo livello l’ansia è inevitabile, anzi positiva, perché aiuta, migliora la prestazione. È naturale essere ansiosi, non occorre preoccuparsi di esserlo, per non accrescere l’ansia inutilmente. Se il livello d’ansia è eccessivo, potremmo perdere il controllo della situazione. Avere un livello d’ansia normale dipende dal grado di sicurezza di sé, che si può raggiungere in diversi modi (la conoscenza degli argomenti, ma anche fare un respiro profondo). Facile a dirsi.

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Preparare l’assemblea o la riunione, cercare di prevedere cosa potrebbe accadere e decidere cosa fare è anche un buon modo per tenere a bada l’ansia. Purché si dia per scontato che non è possibile prevedere tutto. 2. Gestire l’ostilità Un altro timore è essere attaccato da un intervento ostile. In questo caso non perdete la calma. In fondo sono solo parole. Anche questo è facile a dirsi. L’ostilità è meno probabile di quello che si teme. Il clima di una riunione o dell’assemblea è molto differente a seconda che sia condotta da un delegato, che è collega dei partecipanti, e viene quindi percepito come una persona, o sia condotta da un sindacalista esterno, che viene visto come un ruolo soprattutto se interviene su un tema che è sottratto alla possibilità di intervento da parte del lavoratore. L’assemblea è anche un mettersi in mostra, un teatro delle “maschere”, un gioco di ruoli ma anche di emozioni. Può accadere che l’ostilità sia solo parte di questo gioco. Attenzione a non confondere un intervento critico, o divergente, o anche radicale, ma argomentato, con una ostilità che tende ad attaccare la persona del relatore. L’ostilità potrà emergere ma si esprimerà come in qualsiasi riunione in ateneo, in forme note al relatore e comunque con toni contenuti. È raro imbattersi in un intervento decisamente provocatore, fatto di false domande o invettive velenose. Per le invettive si spera solo che non durino troppo. Il silenzio è spesso l’arma più efficace. È più probabile avere a che fare con un intervento disfattista, di chi non gli va bene nulla. Allora può essere utile chiedergli di fare proposte concrete: “tu come faresti?” “come risponderesti?”. La sindrome del duellante Può accadere che qualcuno attacchi in modo diretto il relatore oppure usi argomenti pretestuosi per metterlo in difficoltà. Allora scatta naturalmente nel relatore l’istinto di difendere il proprio io, così direttamente colpito. Ma ogni tentativo di difesa eccita l’interlocutore a rispondere e il relatore è tirato in un duello verbale da cui gli altri sono esclusi. Possono assistere stupiti, divertiti o irritati. La posta in gioco è in genere il controllo del tempo. Il relatore, se non vuole essere sconfitto (perdere il tempo), deve rifiutare il duello. Si può sperare che qualcuno venga in soccorso e interrompa il duello. Per evitare questi casi avere eletto un presidente si rivela prezioso. In ogni caso è meglio evitare di rispondere subito a chi vi attacca, dicendo “sentiamo altre opinioni”. LE FASI DELL’ASSEMBLEA È meglio andare qualche minuto prima rispetto all’ora prevista, non solo per educazione, che non guasta, ma per controllare che: – il locale dove si tiene l’assemblea sia disponibile; che sia accettabile il rumore di fondo dovuto alla attività didattica che si svolge in altre aule; – ci siano gli strumenti che ci servono (microfono, lavagna luminosa, ecc.). Non c’è nulla di più divertente (per chi partecipa) e imbarazzante (per il relatore) che cercare di far funzionare un’apparecchiatura a relazione iniziata.

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Il patto sulle regole Ogni assemblea o incontro deve avere uno scopo e un tempo. Prima di iniziare la relazione occorre esplicitare le regole: – ricordare l’ordine del giorno – proporre i tempi per le varie fasi dell’assemblea (relazione, interventi, conclusione). Il relatore non è il padrone del tempo – eleggere il presidente della riunione. E’ necessario in una assemblea; meno in una riunione di lavoro tranquilla. Può anche essere un altro delegato della Rsu, diverso da chi fa la relazione; sarebbe meglio che poi non intervenisse. È infatti importante che vi sia il garante delle regole dell’assemblea. Il relatore non può svolgere questo compito, se è impegnato a dimostrare una tesi, ad argomentare. Non può essere giocatore ed arbitro. Il dare o non dare la parola, potrebbe infatti essere interpretato come un intervento di parte, fazioso, ecc. Può accadere che in assemblea una persona parli molto tempo. Se lo interrompesse il relatore anche nella forma più gentile (“facciamo intervenire anche gli altri”) sembrerebbe che voglia impedire la critica. Allora è utile che vi sia chi è legittimato a farlo. È bene farlo all’inizio. Farlo dopo, quando siamo in difficoltà, è spesso inutile per

riportare un clima sereno.

1. La relazione

Iniziare elencando i punti della relazione. “Parlerò di 5 punti che sono: 1 ..., 2 …”. Al termine riassumerli: “Ho parlato di 5 punti: 1 ..., 2 ...”. Talvolta per motivi di tempo è necessario tagliare un punto che avevate detto di svolgere. Se non avete distribuito del materiale informativo, fare la premessa all’inizio e l’indice al termine della relazione è un obbligo. Non è efficace invece mantenere comunque i 5 punti tenendo un ritmo più veloce. Si rischia un effetto da film comico ai tempi del muto. Controllare il tempo l tempo mentale del relatore è diverso da quello dell’orologio e di quello di chi ascolta. L’esperienza ci aiuterà ad avvicinare il nostro tempo mentale a quello reale. In attesa di diventare perfetti, è bene tener sott’occhio l’orologio. Il relatore non è il padrone del tempo altrui. È più importante lasciare il tempo per fare parlare gli altri e concludere, che usarlo per la relazione. Essere severi con se stessi e chiudere quando il tempo è scaduto. Talvolta fare una lunga relazione è un espediente per evitare la discussione. È un atteggiamento miope per un delegato che ha bisogno di conoscere quel che pensano i lavoratori. È sempre meglio affrontare i problemi che eluderli. Ed è molto più importante, e più facile, fare delle convincenti conclusioni che una lunga relazione. Mettiamo più passione quando abbiamo interlocutori precisi. Controllare l’attenzione Il brusio dei partecipanti misura il livello dell’interesse. E il relatore non è il padrone dell’attenzione altrui. Non può costringere alcuno a seguire il filo del suo discorso. Ma può intervenire per modificare l’interesse.

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Il brusio può essere temporaneo, commenti provocati dalle sue parole. È facile annullarlo, rinviando i commenti al dibattito, augurandosi anzi che sia interessante. Se il brusio è costante o vi sono interruzioni frequenti è un segnale di pericolo: i partecipanti non seguono più la relazione. Non serve alzare la voce perché si ottiene l’effetto opposto, di alzare il livello del brusio. Non serve aggrapparsi alla relazione, come fa un naufrago con la ciambella di salvataggio. La soluzione si rivela spesso infelice, perché è proprio tentare di terminare ad ogni costo la relazione che rende sempre più difficile la situazione. È meglio cambiare rapidamente strategia. Altrimenti si annaspa e ogni tentativo di salvarsi fa bere più acqua. Le cose che rimangono da dire possono essere recuperate in seguito, durante la discussione. Si possono provare altri espedienti: – interrompersi; stare in silenzio. Così si riconquista l’attenzione che poi occorre mantenere adottando una delle altre soluzioni – passare ad un altro punto della relazione che si ritiene possa interessare maggiormente – concludere rapidamente per riprendere i punti non svolti durante il dibattito o nelle conclusioni. 2. La discussione In questa fase occorre ascoltare e capire: quello che viene detto e quello che non viene detto. Non è facile. Non tanto dire o pensare “quello non ha capito”, quanto cercare di comprendere perché noi non siamo stati compresi: siamo stati poco chiari? non abbiamo risposto ad esigenze? È male non ascoltare, peggio dimostrare di non ascoltare. Attenzione al tempo. Fate in modo che ve ne sia per le conclusioni. In questa fase potete verificare se gli obiettivi individuati durante la preparazione dell’assemblea sono stati raggiunti oppure no. 3. La conclusione L’assemblea non si deve concludere per caso, per sfinimento. Occorre mantenere il tempo per concludere, per due motivi: 1. dare risposte, chiarire incomprensioni; 2. riconfermare un patto con i partecipanti o almeno con una parte, raccogliendone critiche ed osservazioni, senza con ciò condannare gli altri, quelli inesorabilmente (per noi) critici. Non occorre tracciare la linea di confine, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE Si ricorda poco quello che si ascolta, molto di più quello che si vede. Quindi per migliorare l’efficacia della nostra comunicazione in assemblea occorre usare uno strumento visivo. Uno è lo stesso relatore, i suoi gesti, il tono della voce, ma non trattandosi di un venditore non è il caso enfatizzare questo aspetto. È bene però riflettervi. Schede Riassumere in uno o due fogli le questioni oggetto dell’assemblea. Potete farvi riferimento durante la relazione per i punti che non trattate o per quelli in cui vi sono calcoli o tabelle complesse (se possibile sostituirli con grafici) oppure schemi.

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Lavagna In ateneo non manca quella tradizionale (di ardesia) o di plastica bianca. Richiede condizioni tecniche minime. Si può usare quando l’assemblea si svolge in un’aula in cui la distanza tra partecipanti e lavagna non supera una decina di metri. Aspetti positivi: – se scrivete mentre parlate coinvolgete l’uditorio in quello che dite, come se partecipasse alla creazione di un pensiero – costringe i partecipanti a occupare le prime file, che in genere sono le ultime ad essere occupate. Aspetti negativi: – dover cancellare, se serve altro spazio – richiede una certa sicurezza nel relatore, che può comunque sempre utilizzare i propri appunti. Le prime volte è utile preparare su un foglio il testo da scrivere alla lavagna per organizzarlo in modo chiaro. Se avete deciso di usarla, accertatevi prima di iniziare che vi siano gesso o pennarello (assicuratevi che sia del tipo cancellabile) e cancellino. Lavagna a fogli Rispetto alla lavagna tradizionale ha il vantaggio che non si deve cancellare quello che viene scritto e consente di poter tornare indietro nei fogli. È indicata per riunioni di lavoro di una ventina di persone al massimo. Serve sia per comunicare meglio quel che volete dire, sia per raccogliere e sistemare le idee e le proposte che emergono, per concentrare l’attenzione su quello che la riunione deve produrre. Purtroppo non è ancora molto diffusa negli atenei, per cui occorre controllare che ci sia e che vi siano fogli a sufficienza. Scrivere a stampatello e a grandi caratteri per tener conto di quelli che sono a una certa distanza. Usare il nero/blu per scrivere e il rosso/verde per sottolineare. Parlare rivolti al pubblico. Anche in questo caso è bene, le prime volte, preparare su un foglio il testo da scrivere alla lavagna per organizzarlo in modo chiaro. Lucidi Croce e delizia dei corsi di formazione, ma anche delle assemblee. Aspetti positivi: – attirano l’attenzione (se sono pochi e ben fatti) – danno sicurezza al relatore, perché forniscono anche la traccia della relazione – trasmettono la sensazione che il relatore ha lavorato alla relazione e quindi è preparato – si possono riutilizzare

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Aspetti negativi: – maggiori condizioni tecniche della lavagna – può dare l’impressione di cibo precotto – può distogliere l’attenzione se la lavagna rimane accesa a lungo su un lucido che non si usa più – richiede tempo per prepararli Quando si prepara un lucido si commette spesso l’errore di scrivere pensando ad un foglio che viene poi letto dagli altri come un normale foglio di carta (formato A4). Invece sarà letto, proiettato su una parete, da persone che saranno ad una certa distanza. Quindi... – Il testo deve essere di 20/30 parole in 6/7 righe, stampate o scritte a stampatello. Se i lucidi sono scritti male meglio non usarli, perché amplifica l’effetto di sciatteria. Questo problema ci aiuta a selezionare ciò che è veramente importante da comunicare visivamente. Il resto sarà detto con parole. – Distribuire il testo sul foglio pensando che l’area illuminata è quadrata e quindi non è disponibile tutta la larghezza e la lunghezza del foglio A4. Altrimenti siamo costretti a spostare il lucido sulla lavagna luminosa. – Non esagerare. Farne pochi ma essenziali. Se fa paura un relatore che inizia con una pila di fogli in mano, ancora di più terrorizza uno che ha una pacco di lucidi da proiettare. Può fare l’effetto delle diapositive di viaggio di un amico. Per non sprecare lucidi si può scrivere su fogli normali e fotocopiarli su lucidi adatti. Se poi usate il computer siete al top: vi sono lucidi adatti per le stampanti a getto di inchiostro o laser. Se avete deciso di usare i lucidi, verificate prima che: – la lavagna luminosa funzioni (non è ovvio) – nella sala dell’assemblea vi sia un telo o una parete bianca su cui proiettare – la zona dove proiettare sia in penombra; se dovete spegnere le luci anche in sala tutto si complica – vi sia posto sufficiente per appoggiare i lucidi che avete proiettato e quelli che dovete ancora proiettare, per non rimpiangere il giorno in cui avete deciso di usare i lucidi mentre li raccogliete da terra – il filo di alimentazione sia lungo abbastanza per mettere la lavagna dove volete voi – la presa sia quella giusta. L’uso dei lucidi richiede anche alcune attenzioni durante la gestione dell’assemblea: – controllate che il lucido sia a fuoco e leggibile sullo schermo – spegnete la lavagna quando non viene usata; – non eccedete nello strip-tease. Calma. Si tratta della tecnica che consiste nel coprire il lucido con un foglio e scoprirlo riga per riga secondo le esigenze della relazione – guardate l’uditorio e non lo schermo mentre parlate. L’alternativa al mancato funzionamento della lavagna è distribuire la fotocopia dei lucidi.

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Powerpoint I lucidi sono caduti in disgrazia dopo la comparsa di Powerpoint, il programma che consente di preparare facilmente diapositive da proiettare sullo schermo. Ogni ateneo dispone ormai di computer ma non sempre del proiettore da collegare al computer. Aspetti positivi: quelli dei lucidi, ed in più si può rapidamente cambiare il testo. Aspetti negativi: quelli dei lucidi Un consiglio: non eccedere con gli effetti speciali. ESERCITARSI S’impara a nuotare nuotando. Per migliorare le proprie capacità di comunicazione occorre esercitarle. Preparare una assemblea, condurla e verificare come sono andate effettivamente le cose. Per rendere più facile la riflessione è bene scrivere una sorta di diario dove registrare strategia prevista, risultati, punti di difficoltà. Inoltre, può essere utile le prime volte fare l’assemblea con una persona amica che osserva il vostro comportamento in base agli obiettivi che avete dichiarato di voler raggiungere e che avete concordato con lei. In tal caso è possibile anche mettere a fuoco la comunicazione non verbale. Chi partecipa ad un’assemblea ne è influenzato in modo preponderante. Se avverte uno scarto tra comunicazione non verbale e verbale è portato a credere più alla prima che non alla seconda. Quindi è bene riflettere sul nostro comportamento. Il massimo è farvi riprendere da una telecamera, per poi commentare assieme al vostro osservatore. Non temete se il vostro (naturale) narcisismo potrebbe soffrirne, o goderne. Per garantire una efficace comunicazione è importante avere un buon livello di agibilità sindacale, cioè di accesso a fotocopie, lucidi ed altro che può essere regolato con il contratto di ateneo. Vedi Contratto di ateneo nel libretto I diritti sindacali.

Il mestiere del delegato RSU a cura della FLC Cgil 40