Il made in Italy nel mercato del lusso in Giappone

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PUBBLICAZIONE PERIODICA DELLA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA IN GIAPPONE ALLAAA LUGLIO2013 Il made in Italy nel mercato del lusso in Giappone QUADERNI Con il contributo del Ministero dello Sviluppo Economico

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PUBBLICAZIONE PERIODICA DELLA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA IN GIAPPONE ALLAAA

LUGLIO2013

   

 

 

 

 

 

Il made in Italy nel mercato del lusso in Giappone  

QUADERNI

 

 

 

 

Con  il  contributo  del  Ministero  dello  Sviluppo  Economico    

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SOMMARIO

GIAPPONE: INFORMAZIONI GENERALI ...................................................................... 7

GIAPPONE: QUADRO MACROECONOMICO E INDUSTRIALE ..................................... 8

IL MERCATO DEL LUSSO IN GIAPPONE .................................................................... 10

IL BOOM E LA CRESCITA DEGLI ULTIMI TRENT’ANNI 10

CAMBIAMENTI E TENDENZE NEL MERCATO ATTUALE 11

Da “anche io” a “prima io” 11

Varietà dei brand di tendenza 12

Cosa c’è sull’etichetta? 12

L’effetto smeraldo 12

LA PERCEZIONE DEL MARCHIO “MADE IN ITALY” IN GIAPPONE 13

I risultati 14

IL MERCATO DELL’ABBIGLIAMENTO IN GIAPPONE: CARATTERISTICHE GENERALI . 17

LA DONNA E LA MODA 17

L’UOMO E LA MODA 19

TENDENZE: FAST FASHION 20

ACCESSORI ............................................................................................................... 21

PELLETTERIA 21

Caratteristiche generali del mercato 21

Statistiche di importazione 22

Distribuzione e promozione 24

Analisi dei prodotti 24

OCCHIALI 25

Caratteristiche generali del mercato 25

Statistiche di importazione 27

Distribuzione e promozione 27

Analisi dei prodotti 28

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ALTRI ACCESSORI 29

Calze 29

Accessori per capelli 29

Nail art 30

Keitai charms 31

GIOIELLI 32

Caratteristiche del mercato 32

Andamento dei brand d’importazione 34

Il nuovo trend dei brand stranieri 35

Gli ultimi mesi 35

Canali di distribuzione 37

Caratteristiche dei prodotti 38

ASPETTI DI DISTRIBUZIONE ..................................................................................... 39

I PRINCIPALI CANALI 39

CANALI MINORI ED EMERGENTI 42

PROMOZIONE E MARKETING IN GIAPPONE ............................................................ 44

CONSIDERAZIONI SULL'INGRESSO NEL MERCATO GIAPPONESE E SUI METODI DI

MARKETING 44

Stagionalità 45

Struttura fisica 45

Scelta della location e dello store 45

Packaging 46

Rapporto con il cliente e assistenza post-vendita 47

Lotti di produzione 47

Standard di qualità 48

VEICOLI DI PROMOZIONE 48

Riviste 48

Fiere 69

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Le missioni commerciali 71

TRACCIABILITÀ DEL MARCHIO IN GIAPPONE .......................................................... 73

ETICHETTATURA 73

Il panorama legislativo 73

Le etichettature volontarie 74

Protezione del marchio 74

Legge sulla responsabilità del prodotto 75

Legge del design (ishô-hô) 75

Il licensing dei marchi 76

Legge del marchio (shôhyô-hô) 76

Registrazione del marchio collettivo (dantai shôhyô) 77

Marchi di servizio 78

Marchi non registrabili 78

Il marchio noto 78

Legge di prevenzione della concorrenza sleale 78

Il processo di registrazione 78

Tasse per la domanda di registrazione (tôroku-ryô) 79

Registrazione internazionale dei marchi 79

Validità e durata della registrazione del marchio 79

Cancellazione dei marchi 80

Tutela del made in Italy 80

IL VANTAGGIO STRATEGICO DEL MADE IN ITALY NEI MERCATI GLOBALI ............... 82

Il settore del lusso e la lotta con il mercato globale 82

Fast luxury 83

Cos’è il made in Italy? 86

“Italianità” del fashion italiano 87

Struttura base del made in Italy 89

Il vantaggio strategico del made in Italy 92

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Dal globale al locale 92

Da “fast” a “slow” 93

Made in Italy e sostenibilità 94

ALCUNE DELLE IMPRESE ITALIANE DEL SETTORE DEL FASHION IN GIAPPONE........ 97

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GIAPPONE: INFORMAZIONI GENERALI

Popolazione: 126,659,683

Superficie: 377,944 kmq

Capitale: Tokyo

Principali centri urbani: Osaka, Nagoya, Yokohama, Sapporo, Kobe, Kyoto, Fukuoka

Lingua: giapponese

Valuta: yen giapponese (JPY)

Tasso di cambio medio nel 2012: 1 euro (EUR) = 106.75 yen (JPY)

Tasso di cambio medio nel 2013 (gen-aug): 1 euro (EUR) = 126.69 yen (JPY)

Sistema di governo: monarchia costituzionale

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GIAPPONE: QUADRO MACROECONOMICO E INDUSTRIALE

Il 2012 ha visto indicatori economici sostanzialmente stabili (e deboli) per i primi tre trimestri, in

risonanza con la generale debolezza dei mercati mondiali e l’incertezza sulla crescita industriale,

accompagnata da una crescente preoccupazione sul consistente calo delle esportazioni a seguito

del caro-yen e delle tensioni con la Cina.

Il rapporto debito/PIL, dal 220% a inizio anno, è ulteriormente incrementato fino a sfiorare il 240%,

anche in seguito agli stimoli per la ricostruzione conseguenti al grande terremoto del 2011. Gli stessi

interventi hanno però anche potuto mantenere su livelli di crescita moderati il prodotto interno

lordo, che ha sfiorato il 5,7% all’inizio dell’anno e si è poi attestato sull’1,5% in termini nominali,

sebbene il dato aggregato mascheri il rallentamento deciso che l’economia giapponese ha registrato

negli ultimi mesi, fino a raggiungere lo stato di recessione tecnica.

I prezzi al consumo hanno continuato la loro lenta discesa (-0,1%) seguendo un trend che è ormai,

con alcune eccezioni, di decenni. D’altro canto il livello dei salari appare stabile, e sul fronte

dell’occupazione è continuato il recupero di posti di lavoro dallo shock finanziario del 2009.

A seguito del cambio di governo – che ha riportato alla leadership con una schiacciante maggioranza

lo schieramento del Partito Liberal-Democratico, guidato dal già primo ministro Shinzo Abe – la fine

del 2012 è stata comunque segnata da una decisa politica di lotta alla deflazione tramite lo

strumento dello stimolo economico, nonostante i rischi derivanti per l’aumento ulteriore del debito.

L’intervento, che ha anche invertito il trend valutario degli ultimi quattro anni (-45% sul rapporto

EUR/JPY dal 2008) portando l’Euro a 114 yen a fine anno, non ha comunque impedito l’appellativo

di “anno nero” per le esportazioni. Limitando l’analisi all’Italia, nel corso del 2012, le esportazioni

sono calate del 31% per dimensione in yen rispetto all’anno precedente e del 40% rispetto al 2010;

precedentemente all’attuale crisi (2007) il volume degli scambi complessivi tra i due paesi era di

oltre il 55% maggiore.

Dal punto di vista del commercio estero giapponese in generale, le previsioni per il 2013 sono di una

crescita modesta, caratterizzata dalla diminuzione del volume di affari con la Cina, un incremento

del commercio con il Sud Est asiatico e da un generale aumento delle esportazioni dovute

all’indebolimento dello yen.

Dal punto di vista del rapporto fra Italia e Giappone, a causa della svalutazione dello yen è da

prevedersi entro la fine dell’anno un’inversione nel trend dei flussi commerciali (nel corso del 2012,

il flusso verso l’Italia è calato del 31% per dimensione in yen rispetto all’anno precedente e del 40%

rispetto al 2010), mitigata da effetti di inerzia e dal perdurare della crisi economica italiana, che

incentiva la ricerca di sbocchi all’estero per la produzione interna e diminuisce il potere di acquisto

complessivo.

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Tabella 1 - Principali importazioni italiane in Giappone

L’Italia è al 18°posto per valore di interscambio con il Giappone: ca. 6380 mld Euro nell’anno fiscale giapponese 2012 – il

3°Paese UE dopo Germania (10°) e Francia (15°)

Variazione apr 2013 / apr 2012: Import da Italia +15% VS Export verso Italia -0,3%

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IL MERCATO DEL LUSSO IN GIAPPONE

IL BOOM E LA CRESCITA DEGLI ULTIMI TRENT’ANNI

I beni di lusso stranieri hanno cominciato a trasformare la realtà giapponese già dagli anni Ottanta,

periodo in cui ha iniziato a manifestarsi anche un forte interesse verso i prodotti made in Italy. Per

riuscire a scoprire il segreto del successo delle aziende italiane, negli anni Ottanta una famosa rivista

giapponese pubblicò una ricerca approfondita sulle aziende operanti in Veneto, Lombardia ed

Emilia. La risposta a cui giunsero fu che il fattore principale su cui queste imprese poggiavano era

una cultura del prodotto molto forte e una storia artigianale e artistica molto antica, e che i prodotti

italiani erano frutto di una lunga cooperazione e una “cross fertilisation” tra cultura, arte,

artigianato, abilità manifatturiera e territorio.1

Lo scoppio della bolla economica negli anni Novanta ha portato a un lungo periodo di recessione

economica e alla perdita della sicurezza dei posti di lavoro a vita, fattori che hanno contribuito a

creare una rottura con i valori sociali tradizionali, a cui si deve aggiungere il cambiamento di status

da parte delle donne, che hanno iniziato a preferire la carriera alla famiglia e a essere più

indipendenti.

Il comparto dell’alta moda italiana, tuttavia, ha risentito limitatamente di questi cambiamenti nelle

abitudini dei consumatori, mantenendo la propria posizione in virtù della forza del brand e

dell’attitudine del consumatore a concentrare gli acquisti su di un numero limitato di prodotti.

Gucci, Armani, Max Mara, Prada, Benetton, Ferragamo, Tod’s, Zegna, Missoni e Moschino

continuano a mantenere nelle principali vie di Tokyo importanti punti vendita. Oggi il Giappone

importa il 40% dei beni di lusso mondiali, posizionandosi al sesto posto nella classifica degli

importatori di prodotti made in Italy.2

I giapponesi, da sempre radicati in una cultura legata alla conformità, stanno scoprendo una nuova

familiarità nell’esprimere la loro identità e abilità individuale. Questo cambiamento è dovuto

soprattutto a causa della sempre più evidente “crisi della classe media” che, mettendo in luce le

differenze tra ricchi e poveri, ha portato i giapponesi dal considerarsi “tutti classe media” a “società

divisa”.3

Se in passato i beni di lusso potevano distinguersi dagli altri per qualità, fattura artigianale,

autenticità, originalità e Paese d’origine, oggi si è andata creando una maggiore consapevolezza che

questi standard di eccellenza non assicurano una funzionalità pratica del prodotto. Questo ha

1 http://www.qualitas1998.net/qualityreport/marco_vitale.htm

2 http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_18/dove-vince-il-made-in-italy-cambia-la-classifica-prima-gli-stati-

uniti-poi-il-mercato-tedesco-giuliana-ferraino_247bf982-613a-11e2-8866-a141a9ff9638.shtml

3 http://www.kantei.go.jp/foreign/noda/statement/201112/04ilo_e.html

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sicuramente contribuito al diffondersi nel mondo (e anche in Giappone) di un “nuovo lusso”,

costituito da prodotti di alta qualità ma a un prezzo contenuto, che porta la loro definizione a

evolversi in “oggetti, prodotti e servizi con una qualità, gusto e aspirazione maggiore rispetto a quelli

convenzionali”.4

CAMBIAMENTI E TENDENZE NEL MERCATO ATTUALE

Secondo il Japan Market Resource Network (JMRN)5, i cambiamenti possono essere riassunti in

cinque correnti, che identificherebbero le dinamiche odierne dei consumatori giapponesi:

Da “anche io” a “prima io”

I consumatori di oggi sono alla ricerca di prodotti unici, che soddisfino il loro bisogno di

identificazione.

Le donne di ogni età sono sempre più restie a possedere oggetti che siano uguali a quelli degli altri,

ed è per questo che i brand di maggiore successo sono quelli che riescono a soddisfare il desiderio

di unicità dei consumatori. Secondo JMRN, un esempio che si adatta perfettamente al mercato

giapponese è il brand italiano Bottega Veneta, estremamente apprezzato e diffuso in Giappone

grazie ai suoi prodotti unici e di qualità. “Mente, corpo e anima. I consumatori sono alla ricerca di

esperienze del marchio maggiormente coinvolgenti.”6

Per la ricerca JMRN, ciò che i brand di lusso devono soddisfare oggi è il desiderio di unicità,

esclusività e identità individuale dei clienti giapponesi. È per questo che sempre più aziende

propongono edizioni limitate o speciali, dovendo tenere conto che i consumatori apprezzano il poter

fare esperienza di un marchio in molteplici situazioni, non solo possedendone un prodotto, ma

anche ciò che va oltre lo shopping come ad esempio frequentando caffè dedicati, ristoranti, spa

oppure eventi. Viene così a crearsi nel cliente la sensazione di poter arricchire ogni aspetto della

propria giornata, ovvero un’esperienza del brand che lo coinvolga.

JMRN cita come esempio LVMH Louis Vuitton Moët Hennessy S.A., che ha inaugurato a Tokyo il

Celux Salon, una boutique dedicata esclusivamente ai soci, che offrirebbe capi altamente esclusivi

provenienti direttamente dalle sfilate.

4 http://www.prnewswire.com/news-releases/buyers-of-new-luxury-are-restructuring-and-polarizing-many-

product-categories-says-new-research-update-from-the-boston-consulting-group-74205887.html

5 http://www.jmrn.com/UserFiles/File/DCLB_JMRN.pdf

6 ibi

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Varietà dei brand di tendenza

I consumatori sono più propensi ad acquistare prodotti economici se hanno pari valore in termini di

qualità e funzionalità. Oggi è socialmente accettato l’acquisto di merce in saldo oppure acquistata

all’interno di discount store, il che rende sempre più difficile per le aziende mantenere alto

l’interesse della clientela. I consumatori, infatti, tendono a prestare più attenzione alla funzionalità

piuttosto che alla qualità di un prodotto ed è diventato necessario per le aziende riconsiderare il

loro relazionarsi con i clienti e diventare maggiormente flessibili riguardo agli sconti.

Anche i grandi magazzini giapponesi di alta moda hanno deciso di riservare degli spazi ai loro

maggiori competitor di abbigliamento casual (come Uniqlo e Forever21) per aumentare l’afflusso di

clientela.

Cosa c’è sull’etichetta?

In quest’epoca di manifattura a basso costo, l’autenticità resta un fattore determinante.

Sempre più aziende oggi stanno spostando le loro basi produttive verso la Cina, al fine di ridurre i

costi della manodopera (lo stipendio medio della manodopera cinese corrisponde infatti a meno di

100 dollari al mese), sebbene questo fenomeno non stia riscontrando un parere positivo da parte

dei consumatori. Più della metà delle esportazioni cinesi, infatti, sono costituite da prodotti sotto

contratto OEM (original equipment manufacturing) e vendute con etichette di brand stranieri. Più

del 90% dei consumatori giapponesi difatti ritiene che il Paese d’origine di un prodotto sia un fattore

determinante per l’acquisto, a causa del valore che il prodotto stesso deve incarnare. Nel settore

tessile l’Italia si trova a dover fronteggiare da alcuni anni la concorrenza dei prodotti proveniente

dal continente asiatico. Ciò che maggiormente avvantaggia i competitors locali è il costo ridotto

della manodopera e la vicinanza geografica di paesi come Vietnam, Indonesia, India, Tailandia e

Bangladesh.7

L’effetto smeraldo

Secondo la ricerca di JMRN i consumatori sono sempre più attirati dal lusso “ecologico”. I

consumatori giapponesi sono sempre più spinti ad apprezzare un brand che possa proporre prodotti

ecologicamente sostenibili e realizzati con pratiche di lavoro etiche che siano strettamente

intrecciate con l’azienda stessa. Questo cambiamento di attitudine verso i prodotti ecosostenibili è

probabilmente dovuto all’impatto delle cause ecologiche mosse dalle celebrità a livello mondiale,

alle quali anche i consumatori giapponesi, in quanto parte di una società sempre più globalizzata, si

sentono spinti ad aderire. Secondo un sondaggio condotto dall’agenzia J. Walker Thompson nel

2009, il 51% dei consumatori sente di essere più orientato verso temi ambientali rispetto all’anno

7 http://www.atimes.com/japan-econ/DF25Dh01.html

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precedente, mentre il sondaggio dell’agenzia McKinsey del 2009 ha evidenziato che l’84 % degli

intervistati preferisce acquistare prodotti ecosostenibili, e il 16% di loro è disposto a pagarli anche

a un prezzo maggiore.

Ci si aspetta che l’interesse dei consumatori verso beni ecologici vada aumentando nel prossimo

futuro e che le aziende di prodotti di lusso cerchino di andare incontro alla sensibilità dei

consumatori. I motivi per cui si sono riscontrati questi cambiamenti nella società giapponese si

possono riassumere secondo tre fattori:

1. La recessione economica. Il mercato giapponese ha attraversato un periodo di debolezza negli

ultimi 20 anni, a causa della forte perdita di lavoro e dell’aumento dei lavori part-time, e

questo ha portato nei consumatori giapponesi un forte stato di ansia. Secondo l’“Indice di

Ansietà” J. Walter Thompson, il 90 % dei consumatori giapponesi si sente ansioso o nervoso,

un valore superiore a qualsiasi altro Paese al mondo8.

2. La nascita di nuove generazioni con atteggiamenti radicalmente diversi rispetto al passato. I

giovani di oggi, infatti, non hanno conosciuto il boom di benessere precedente allo scoppio

della bolla economica, e sono cresciuti in un clima di difficoltà economica e una maggiore

attenzione verso gli acquisti. Le nuove generazioni tendono a preferire i servizi piuttosto che

i prodotti, e la tecnologia più di ogni altro bene, rappresentando così la maggiore sfida dei

venditori.

3. Normative emesse dal governo giapponese durante il 2009. La normativa che maggiormente

ha influito sul comportamento dei consumatori è la decisione di ridurre il costo dei caselli

autostradali a 1000 yen durante i fine settimana qualsiasi sia la distanza percorsa, favorendo

così lo spostamento al di fuori di Tokyo verso i grandi complessi commerciali come Ikea e

Costco.9

LA PERCEZIONE DEL MARCHIO “MADE IN ITALY” IN GIAPPONE

Nel giugno del 2013, attraverso un sondaggio diffuso su internet e su carta, la Camera di Commercio

Italiana in Giappone ha cercato di evidenziare alcune caratteristiche salienti del brand made in Italy

nel confronto con alcuni brand nazionali:

• Cina

• Francia

• Stati Uniti

8 http://anxietyindex.com/japan/

9 http://www.mckinsey.com/insights/consumer_and_retail/the_new_japanese_consumer

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• Giappone

Ai partecipanti al sondaggio è stato chiesto di attribuire, tra i marchi nazionali menzionati (“made in

France”, “made in China” etc.) un punteggio da 1 a 5 per le seguenti caratteristiche percettive:

1. Giovane

2. Conveniente

3. Autentico

4. Costoso

5. Di bassa qualità

6. Affidabile

7. Tradizionale

8. Artigianale

9. Ecologico

10. Durevole

I dati, raccolti su un campione di ottanta persone di età compresa tra i 18 e i 70 anni, sono stati

visualizzati con il metodo della mappa percettiva, che permette di posizionare ciascuno dei cinque

marchi secondo le percezioni condivise degli intervistati.

I risultati

Come si può osservare dalla Figura 1 - Mappa percettiva per i marchi di origine nazionale. Francia

e Italia sono vicine nella percezione dei giapponesi, Italia e Francia risultano vicine nella

percezione dei giapponesi. In particolare, entrambe ottengono un elevato punteggio negli attributi

“artigianale”, “tradizionale”, “autentico”, ma basso in attributi come “conveniente”. Può soprattutto

stupire l’identificazione di entrambe le origini, assieme al “made in China”, come adatte a un gusto

non giovane, mentre rispetto a una caratteristica come “ecologico” (nel sondaggio “environmentally

friendly”), l’Italia è al pari con gli Stati Uniti.

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La Tabella 2 riporta, in forma più semplice, gli attributi percepiti dagli intervistati per ogni nazione.

Marchio Attributi rilevanti

Made in Italy Tradizionale, artigianale, autentico, affidabile, durevole

Costoso, poco giovane

Made in France Tradizionale, artigianale, autentico, affidabile

Costoso, poco giovane

Made in Japan Durevole, ecologico, giovane, mediamente conveniente

Made in Usa Giovane, conveniente

Mediamente di bassa qualità, poco autentico

Made in China Conveniente

Bassa qualità, poco affidabile, poco durevole, poco ecologico

Tabella 2 - Attributi per marchio di origine

Figura 1 - Mappa percettiva per i marchi di origine nazionale. Francia e Italia sono vicine nella percezione dei giapponesi

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Considerando la significatività limitata del campione, che potrebbe essere ulteriormente ingrandito

e controllato per età e potere di spesa, risultano comunque interessanti alcuni suggerimenti:

• Potrebbe essere utile investire nella promozione di marchi di moda mediamente più giovanili

e caratterizzati da fasce di prezzo più basse rispetto a quanto offerto. Risulta evidente il

successo di marchi come Gap e Abercrombie&Fitch nel proporsi a consumatori meno maturi.

• Anche per il mercato giapponese della moda, occorrono elementi distintivi per ottenere

vantaggi competitivi sui prodotti francesi, che in Giappone dispongono mediamente di

maggiori risorse di marketing e promozione rispetto alle controparti italiane.

La Camera di Commercio Italiana in Giappone, anche attraverso gli strumenti delle fiere (come

iStanze di Moda, all’interno della fiera Rooms), ha recentemente cercato di promuovere stili di

moda italiana diversi da quello classico e maturo, nella percezione ormai pluriennale che proprio su

segmenti giovani e alternativi la moda italiana giochi molte delle sue prossime carte nel territorio.

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IL MERCATO DELL’ABBIGLIAMENTO IN GIAPPONE: CARATTERISTICHE GENERALI

Il mercato del fashion in Giappone presenta alcuni tratti distintivi di grande rilevanza che non

possono non essere tenuti in considerazione da un produttore straniero che si approccia a questo

mercato.

Tra questi elementi vanno evidenziati:

• Estrema competitività, sia qualitativa che per il numero di competitors

• Quantità di merci oltre il livello necessario e ampie gamme di prodotti dalle varianti minime

• Forte attenzione dei consumatori per tendenze e novità

• Circolazione di informazioni estremamente veloce e ad ampio raggio (soprattutto grazie alla

rete, blog ecc.), forte impatto della pubblicità e delle tendenze lanciate da personaggi famosi

(soprattutto per le cause ecologiche mosse dalle celebrità)

• Tempi brevi di consegna delle forniture (a piccoli lotti diversificati)

• Richiesta da parte dei consumatori di standard di qualità elevata e soprattutto costanti nel

tempo

• Grande attenzione per l'immagine aziendale

Va sottolineato che i consumatori giapponesi si distinguono a livello mondiale per il loro interesse

agli stili e alle tendenze della moda internazionale, mentre le riviste giapponesi legate al fashion

ottengono sempre più popolarità tra Cina, Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud, con un crescente

rilievo in Asia delle tendenze provenienti dal Giappone.

Generalmente si ritiene che un prodotto che riesce ad avere successo in Giappone ne avrà ancora

di più negli altri mercati globali. Per le compagnie che si avvicinano al mercato giapponese è quindi

importante migliorare la qualità dei loro prodotti e servizi, comprendendo nei loro piani di sviluppo

prodotti anche feedback dei consumatori giapponesi estremamente esigenti.

Negli ultimi anni i marchi leader a livello mondiale si sono susseguiti nell'apertura e nell'espansione

dei loro negozi esclusivi, molti dei quali sono stati posizionati come flagship store mondiali, e alcuni

di questi marchi usano i negozi in Giappone per perfezionare le loro ultime innovazioni.

LA DONNA E LA MODA

In Giappone sono le donne lavoratrici intorno ai 30 anni ad avere maggiore interesse nell’acquistare

beni di lusso. Con l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, infatti, si è diffusa la tendenza a

ritardare sempre più il matrimonio a favore della carriera. Il fenomeno si è talmente diffuso da

arrivare a creare delle vere e proprie categorie sociali, come ad esempio le “parasite single”, donne

di età compresa tra i 20 e i 44 anni che vivono a casa dei genitori a spese ridotte e che quindi hanno

maggiori possibilità di acquistare beni di consumo con le loro entrate. Si è inoltre notato un aumento

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negli anni di persone che rientrano in questa categoria, infatti se nel 1990 si contavano 1.12 milioni

di individui (circa il 5,7% della popolazione di questa fascia d’età), nel 2000 il numero è salito a 1.59

milioni di persone (corrispondente al 10%), fino ad arrivare al 2010, in cui l’11,5% della popolazione

di questa fascia d’età è da considerarsi parasite single.10

Recentemente, inoltre, si è andata formando una nuova categoria di donne benestanti che,

guadagnando circa 10 milioni di yen all’anno, spendono intorno al 10% delle loro entrate in beni di

consumo per motivi personali o lavorativi. Per dimostrare la sempre maggiore forza di queste nuove

categorie sociali, sono state inoltre pubblicate delle riviste di moda dedicate nello specifico a donne

di età tra i 30 e i 40 anni (ma anche oltre) come Nikita, Nikkei EW, Grace e Marisol.

Secondo le clienti giapponesi, pagare un prezzo maggiore per un prodotto italiano significa ottenere

di più in termini di valore, incarnando il motto coniato dalla famiglia Gucci: “La qualità viene

ricordata a lungo, dopo che il prezzo è stato dimenticato”. La logica dietro questo ragionamento è

la convinzione che i prodotti italiani siano più costosi perché fanno sentire chi li possiede persone

di classe e preziose, simbolo di affermazione sociale, e sono disposte a pagare di più per qualcosa

che le faccia sentire belle. Per i consumatori giapponesi, nomi come Gucci, Trussardi, Fendi o

Ferragamo sono direttamente collegati al concetto di qualità e lusso.

Inoltre, gli amanti del brand italiano sono fedeli al marchio, in quanto un cliente affezionato tenderà

a rimanere sempre legato a esso, senza passare ad altri brand.

All'amore per il prodotto si aggiunge l'interesse e il rispetto verso la storia che sta dietro di esso e

dietro lo stilista, come ad esempio il fatto che Salvatore Ferragamo abbia disegnato le scarpe per

Audrey Hepburn o che Giorgio Armani sia un grande amico di Sofia Loren.

Le consumatrici giapponesi acquistano il made in Italy anche per soddisfare il bisogno di sentirsi

come le attrici dei film italiani, spinte dall'interesse verso il significato sottinteso e la storia che il

prodotto stesso incarna.11

Il successo dei prodotti italiani è strettamente legato alla loro capacità di riempire lo spazio esistente

tra la finzione degli schermi televisivi e la realtà. Secondo le donne giapponesi, ciò che dà valore a

un marchio sono, in ordine d’importanza: la qualità, la riconoscibilità e la storia del marchio, oltre al

mantenimento di prezzi elevati, ai quali seguono i servizi offerti al cliente e l'assistenza post

acquisto. Negli ultimi anni però si è potuto notare un calo d’interesse verso il nome del marchio,

che ha evidenziato un cambiamento verso l’acquisto dettato dagli interessi personali e non quelli di

appartenenza a un gruppo.

10 http://japandailypress.com/over-3-million-parasite-singles-in-japan-over-35-still-living-with-parents-031659

11 http://www.nytimes.com/2003/10/04/news/04iht-rtokyo_ed3_.html

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L’UOMO E LA MODA

In Giappone sono molto diffuse anche le riviste di moda, come Popeye, Men’s non-no e Fineboys,

contenenti consigli di stile e moda per giovani uomini eterosessuali, un fenomeno che secondo il

sociologo J. Clammer12 non trova lo stesso riscontro nella cultura maschile euro-americana.

Ciò che accomuna queste tre riviste sono soprattutto quattro aspetti: la diffusione di massa, il target

mirato ai giovani ventenni eterosessuali, un focus sullo stile “kireime” (traducibile con moda casual-

high) e la completa assenza di materiali sessualmente espliciti. Questo contraddice lo stereotipo

secondo il quale gli uomini prestino più attenzione alla praticità di un indumento piuttosto che alla

sua estetica.

All’interno delle riviste, inoltre, si possono trovare consigli su come abbinare gli accessori oppure su

come fare una buona impressione attraverso l’uso del giusto profumo. Vengono quindi catalogati

diversi tipi di fragranze in diverse categorie come fresco, dolce, selvatico e sexy, all’interno delle

quali vengono proposti diversi brand (come ad esempio il Burberry sport nella categoria del fresco,

oppure il Romeo Sweet Key tra quelli dolci). L’uso di terminologie tipicamente femminili, come dolce

o carino (kawaii) non influisconosull’identità maschile dei lettori, suggerendo che i giovani

giapponesi, ovviamente entro certi limiti, tendono a non rimarcare in modo netto i ruoli di genere

convenzionali.

Nelle pubblicità dedicate alla moda maschile, si trovano spesso affiancati modelli giapponesi ed

europei o caucasici, che spesso adottano uno stile molto diverso. Elaborato e appariscente per i

primi, ordinato e conservatore per i secondi. L’uso di modelli stranieri, infatti, ha lo scopo di far

sentire i consumatori parte del fashion internazionale, mentre la presenza di modelli giapponesi

serve a dare l’idea di non essere completamente “occidentalizzati”. Gli uomini giapponesi vedono

nella moda europea un modello di mascolinità fisica molto diverso da quello giapponese, come ad

esempio la pubblicità proposta nella collezione Estate 2010 di Dolce e Gabbana, nella quale viene

proposta quasi una “iper-mascolinità” superiore a qualsiasi altra campagna pubblicitaria. La

mascolinità del “salary-man” (“colletto bianco”) ha rappresentato il modello di riferimento fin dalla

seconda guerra mondiale, incarnando qualità come dedizione, diligenza, zelo, sacrificio personale e

duro lavoro, e imponendo un abbigliamento composto da camicia bianca, completo scuro, nessun

accessorio appariscente e una capigliatura ordinata. Oggi l’uomo giapponese è in cerca di un look

sofisticato e alla moda, che lo faccia sentire attraente e sicuro di sé. L’abito diventa, quindi, il mezzo

attraverso il quale l’uomo può manifestare la sua identità all’interno del contesto culturale in cui si

12 Clammer, John. 1995. “Consuming Bodies: Constructing and Representing the Female Body in Contemporary

Japanese Print Media.” In Lise Skov e Brian Moeran “Womens,Media and Consumption in Japan” pp. 197-219.

Richmond: Curzon Press

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trova, rimarcando la distinzione di genere e i suoi confini. Ciò che il modello europeo (abito a due

pezzi) ha portato di fondamentale in Giappone, infatti, è possibilità di offrire una distinzione

sartoriale netta tra uomini e donne, ritenuta invece ambigua nei kimono giapponesi.13

A differenza dell'Europa e degli Stati Uniti, sono pochi i giapponesi molto benestanti ma, in ogni

caso, sono propensi a spendere per ciò che considerano “vero valore”. Questo per i consumatori

significa la possibilità di conoscere a fondo il prodotto che acquistano, la consapevolezza di

acquistare qualcosa che valga i soldi spesi e, nonostante tendano a preferire uno stile di vita

semplice, preferiscono ricevere dei servizi speciali e personalizzati.

Solo i beni di consumo che riescono a tenersi al passo con i cambiamenti nei desideri dei

consumatori, riscontrano un sicuro successo.

TENDENZE: FAST FASHION

Gli ultimi sviluppi del settore vedono un peso sempre più crescente del 'fast fashion',

l'abbigliamento basico e di molti colori, sullo stile lanciato per primo da Benetton. Nel mercato

competitivo del ‘fast fashion’ stanno entrando anche compagnie straniere, come visto di recente

per la coreana Mixxo e Charles&Keith di Singapore, lanciati sul mercato giapponese a inizio 2013.

Dal 2009, con la deflazione che ha colpito il Giappone allontanando i consumatori dai marchi di lusso

a favore di un abbigliamento a basso costo ma di alta qualità, 'fast fashion' è senza dubbio diventata

la parola d'ordine nel settore. Le vendite di borse e altri articoli di fascia alta sono crollati mentre

l’americana Forever 21 Inc. aprirà il suo primo negozio a Ginza, in uno spazio lasciato libero da Gucci,

mentre Gap Inc. ha in programma di trasferirsi in uno spazio di Louis Vuitton.

Anche l'entrata in Asia dell'americana Abercrombie & Fitch Co., con il suo primo flagship store a

Ginza da dicembre 2012, può essere letto come un nuovo segnale per il fast fashion in Giappone14.

13 http://www.academia.edu/1221136/The_Importance_of_Looking_Pleasant_Reading_Japanese_Mens_ Fashion_Magazines

14 The Japan Times, Low-cost ‘fast fashion’ trend here to stay, Jan 8, 2010, http://goo.gl/exizi

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ACCESSORI

PELLETTERIA

Caratteristiche generali del mercato

In passato, l’industria conciaria giapponese non ha avuto un’ampia diffusione, a causa soprattutto

dei dogmi buddisti che vietano la macellazione di animali e la produzione di oggetti in cuoio. Questo

ha portato il Paese a dipendere soprattutto dalle importazioni di tali prodotti.

Oggi, nel settore della pelletteria, le donne giapponesi sembrerebbero essere le maggiori

consumatrici di accessori e borse a livello mondiale. Vista la particolare attenzione dei consumatori

giapponesi verso la qualità della pelle che acquistano, essa non deve presentare difetti o graffi.

In passato la pelle di rettili trattata e smaltata era molto apprezzata, ma recentemente si è notato

un cambiamento nelle preferenze dei consumatori verso pelli più morbide e satinate. Questo è

probabilmente dovuto all’aumento di consumatori di età più matura, che tendono a utilizzare

prodotti di alto livello in modo casual.15 Inoltre il Giappone risulta essere il maggiore importatore

di pelle di struzzo, soprattutto mirato a un utilizzo per borse da donna.16

Le importazioni di pelle dalla Cina ricoprono la maggior parte del mercato giapponese per quanto

riguarda articoli a basso costo, mentre il resto del mercato viene ricoperto da paesi come Italia e

Francia, specializzati nel settore dei prodotti di lusso.

Maggiori paesi di provenienza per articoli in pelle17

Posizione Paese

1 Cina

2 Italia

3 Corea

4 USA

5 India

6 Francia

7 Spagna

15 http://www.japan-product.net/newsletter/jlia-aplf_newsletter_vol1_en.html#section1

16 https://rirdc.infoservices.com.au/downloads/02-142.pdf

17 http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf

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Il mercato è composto da prodotti di massa importati dalla Cina e gli altri paesi asiatici, che si

posizionano nella fascia di prezzo tra i 1.000 e i 5.000 yen, dai prodotti nazionali, posizionati nella

fascia tra i 10.000 e i 30.000 yen, i prodotti di brand esteri di prezzo compreso tra i 20.000 e i 70.000

yen, e infine i prodotti di lusso Europei che partono da una base di 70.000 yen.18

Nei primi anni 2000 ha iniziato a imporsi una maggiore coscienza ambientale verso i prodotti in pelle

– al netto del pensiero animalista diffuso già dagli anni ’80 e ’90 – che spinge le aziende verso un

controllo dello spreco dell’acqua durante i processi di conceria e un uso ridotto di prodotti chimici,

pur mantenendo l’uso di vera pelle.19

Statistiche di importazione

L’andamento delle importazioni nel settore mostra una variazione positiva e consistente, in alcuni

casi straordinaria, su quasi tutte le tipologie di articoli (dati in migliaia di yen). Occorre però notare

che, a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in dogana

(che si basano sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere

correttamente interpretato come fortemente legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.

Codice HS Descrizione 1-4 2013

(‘000 JPY)

1-4

2012(‘000

JPY)

Variazione

4202.11-200 Valigie, contenitori, cartelle con esterno in pelle, senza

inserti in metalli preziosi 316559 285534 11%

4202.12-210

Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o

tessuto, senza inserti in metalli preziosi per più di 6000

yen a unità

295059 180357 64%

4202.12-220 Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o

tessuto, senza inserti in metalli preziosi 16350 9990 64%

4202.19-000

Valigie, contenitori, cartelle con esterno in plastica o

tessuto, con inserti in metalli preziosi per non più di 6000

yen a unità

2172 678 220%

4202.21-110

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in pelle, con inserti in metalli preziosi per più di

6000 yen a unità

1609883 926259 74%

4202.21-120

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in pelle composta, con inserti in metalli preziosi

per più di 6000 yen a unità

920 926259 -100%

18 http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf

19 http://www.jlia.or.jp/english/pdf/fortourist/201010_e.pdf

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4202.21-210

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in pelle, senza inserti in metalli preziosi per più di

6000 yen a unità

2655930 2249177 18%

4202.21-220

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in pelle composta, senza inserti in metalli preziosi

per più di 6000 yen a unità

917 378 143%

4202.22-100

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in plastica o tessuto, con inserti in metalli preziosi

per più di 6000 yen a unità

292372 244300 20%

4202.22-200

Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno in plastica o tessuto, senza inserti in metalli

preziosi per più di 6000 yen a unità

1102162 901570 22%

4202.29-000 Borse a mano o a tracolla, anche senza manico, con

esterno non in pelle, pelle composta, tessuto o plastica 30836 23843 29%

4202.31-100

Articoli in pelle tascabili, con esterno in pelle o pelle

composta, con inserti in metalli preziosi per più di 6000

yen a unità

770753 627120 23%

4202.31-200

Articoli in pelle tascabili, con esterno in pelle o pelle

composta, senza inserti in metalli preziosi per più di 6000

yen a unità

7186055 6013485 19%

4202.32-100 Articoli in pelle tascabili, con esterno in plastica o tessuto,

con inserti in metalli preziosi per più di 6000 yen a unità 474381 234365 102%

4202.32-200 Articoli in pelle tascabili, con esterno in plastica o tessuto,

senza inserti in metalli preziosi per più di 6000 yen a unità 2119986 1308192 62%

4202.39-000 Articoli in pelle tascabili, con esterno non in pelle, pelle

composta, tessuto o plastica 3917 1725 127%

4202.91-000 Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli

tascabili, con esterno in pelle o pelle composta 8686699 6458246 35%

4202.92-000 Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli

tascabili, con esterno in plastica o tessuto 5383980 4546675 18%

4202.99-020 Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli

tascabili, con esterno in legno 285 1401 -80%

4202.99-090

Articoli in pelle diversi da valigie, borsette e articoli

tascabili, con esterno in avorio o altri materiali ricavati da

animali

14703 6370 131%

TOTALE 30963919 24945924 24%

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Distribuzione e promozione

I principali canali di distribuzione in Giappone operano attraverso il sistema produttore-grossista-

rivenditore-consumatore. I principali grossisti giapponesi come Ace, Sazaby, Yoshida e Matsuzaki

ricoprono il sia il ruolo di produttori che quello di grossisti.

I grossisti si differenziano solitamente in base ai loro principali clienti: zone regionali, department

stores o negozi al dettaglio. La merce importata dalla Cina e dai paesi asiatici usufruisce degli stessi

canali distribuzione della merce nazionale. I prodotti di lusso, invece, sono solitamente venduti

all’interno dei grandi magazzini oppure in negozi specializzati.

Recentemente hanno cominciato a svilupparsi dei punti vendita che importano in modo diretto la

merce dall’estero, oltre ai “development imports”, ovverosia oggetti che vengono prodotti

esclusivamente per il mercato giapponese, e i “parallel imports”, che vengono acquistati dai grossisti

stranieri.

Inoltre, con l’aumento degli acquisti attraverso internet, molte compagnie estere hanno sviluppato

delle modalità di ordine online, attraverso le quali gli individui singoli e i grossisti possono scegliere

design, materiale e componenti del prodotto. 20

Analisi dei prodotti

Per quanto riguarda le cinture, che nel caso dell’uso femminile hanno lo scopo di abbinarsi con gli

abiti, devono essere prodotte con un forte senso estetico, design e una particolare attenzione ai

dettagli. Asakusa rappresenta la principale zona di Tokyo per la produzione di cinture in cuoio.

Il trattamento delle pelli si è andato differenziando in base alla diversità delle mode. Ad esempio, la

pelle di pitone o coccodrillo ha una trama a squame inconfondibile, mentre la pelle di bovino viene

utilizzata solitamente per ottenere un effetto “datato” o “consumato”. Inoltre è la più utilizzata per

ottenere trame colorate e che resistono a lungo nel tempo.

Recentemente, la popolarità delle borse di piccole dimensioni sta scemando, mentre si va

intensificando la scelta per prodotti di più ampia capacità, che possano essere portati alla spalla o

al braccio o anche a tracolla. Inoltre è aumentata la richiesta da parte dei consumatori maschili

intorno ai 30 anni di borse in pelle, sia per un uso casual che come business bag.21

20 http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf

21 http://www.asean.or.jp/en/trade/lookfor/top/market/pdf/b1.pdf

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OCCHIALI

Caratteristiche generali del mercato

In Giappone, il numero di persone affette da miopia o astigmatismo è molto elevato, e circa 60

milioni di persone portano abitualmente gli occhiali o le lenti a contatto. Le persone più adulte o

anziane, che hanno la possibilità di spendere più soldi per se stessi, hanno comunque rispetto

all’Italia una maggiore attenzione verso le ultime tendenze.

Figura 2 – Svariati modelli di

borse per diverse occasioni

d’uso.

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Attualmente il mercato è molto competitivo, con prezzi in ribasso da circa un decennio, e le aziende

che vi partecipano stanno cercando di differenziare i loro prodotti.22

Il prezzo medio degli occhiali in Giappone si aggira intorno ai 18900 yen (circa 150 euro).23 Assieme

alla diminuzione dei prezzi si registra tuttavia una consistenza della domanda, che si è orientata nel

modello “più occhiali a minor prezzo”. Gli occhiali da vista, da strumento correttivo od occasionale,

sono diventati un accessorio comune di moda da abbinare all’abbigliamento.24

Secondo una ricerca di effettuata nel 2007 da goo Research (NTT Communications), i dieci motivi

per cui un consumatore acquista un occhiale in ordine d’importanza erano25:

1. Design della montatura

2. Prezzo economico

3. Leggerezza della montatura/delle lenti

4. Pesantezza delle lenti

5. Forma delle lenti

6. Protezione UV delle lenti

7. Qualità del servizio di vendita

8. Possibilità di scelta del prodotto

9. Colore delle lenti

10. Materiali

Le aziende leader nel mercato giapponese degli occhiali attualmente sono Megane Top, Paris Miki

Holdings e Jins.26

Nel 2001 si è diffusa in Giappone una nuova azienda nazionale, Jins che, grazie a una produzione

delocalizzata, riesce a proporre occhiali di alto valore a un prezzo molto ridotto. La particolarità dei

prezzi proposti consiste nel poter scegliere solamente tra quattro categorie, ovvero occhiali che

costano 4990, 5990, 7990 e 9900 yen.27

22 http://www.opticianclub.com/japan-optical-eyewear-market.html

23 http://www.meganetop.co.jp/wp/wp-content/uploads/2012/08/241111_1s.pdf. Si confronti inoltre con

http://www.meganeichiba.jp/concept/safeprice/ per un sito che propone 18900 yen come prezzo medio.

24 http://careerconnection.jp/biz/studycom/content_840.html

25 http://www.japanmarketingnews.com/2007/06/top-10-things-j.html

26 http://careerconnection.jp/biz/studycom/content_840.html

27 http://www.glafas.com/news/shop_news/101013jins_vision.html

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Statistiche di importazione

L’andamento delle importazioni italiane di occhiali nei primi cinque mesi del 2013 mostra un

incremento in valore medio in yen del 36% rispetto all’anno precedente, con una performance

particolarmente positiva di occhiali speciali (per sport, sci etc.). L’incremento nelle unità importate

è cresciuto del 21%.

Nota: a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in

dogana (che si basano sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere

correttamente interpretato come fortemente legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.

Codice HS Descrizione Valore 2013 1-5

(‘000 JPY)

Valore 2012 1-5

(‘000 JPY)

Variazione

valore

9003.11-000 Montature per occhiali in plastica 312785 213077 47%

9003.19-010 Montature per occhiali in metallo 152626 158846 -4%

9003.19-020 Montature per occhiali non in metallo o

plastica 8061 0 New

9003.90-000 Parti di montature 31333 30232 4%

9004.10-000 Occhiali da sole 1879109 1354087 39%

9004.90-000 Altri occhiali completi, protettivi o

correttivi 16573 5682 192%

TOTALE 2400487 1761924 36%

Distribuzione e promozione

In passato gli occhiali venivano venduti soprattutto all’interno dei centri

commerciali, nel reparto degli accessori. Oggi invece si sono stanno

sviluppando sempre più negozi specializzati nella vendita di occhiali da vista

e da sole.28

Per i brand di basso costo, le modalità di distribuzione sono ampie,

contemplando anche la vendita attraverso distributori automatici29, oltre

28 http://www.isc.senshu-u.ac.jp/~the0350/E07/ryoface.htm

29 http://internet.watch.impress.co.jp/docs/news/20120625_542630.html

Figura 2 - Distributore

automatico di occhiali.

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alla vendita attraverso Internet. 30 Una delle modalità di vendita on-line più diffusa è la possibilità

di caricare all’interno del sito Internet dell’azienda l’immagine del proprio viso, e poter provare

virtualmente i modelli di occhiali in vendita, per trovare interattivamente il modello più adatto.31

Analisi dei prodotti

Il modello Wellington (classico) è uno dei più diffusi, soprattutto grazie

alla diffusione di immagini di star del mondo e del cinema che

indossano questo modello.

Il cosiddetto “stile nerd” è tutt’ora in voga tra i giovani, e questa moda

si può spiegare con la tendenza ad acquistare un occhiale non solo in quanto oggetto necessario,

ma in quanto accessorio di tendenza.32

Colori diffusi nella popolazione generale sono il nero e il marrone; di recente diffusione il pattern

tartaruga. In passato i colori scuri erano i più utilizzati, mentre oggi tra i giovani si registra una

preferenza anche verso colori più pastello, come blu e verde. In particolare il blu torbido è molto

popolare, grazie alla possibilità di abbinarlo con il colore della propria business bag (rigorosamente

nera o marrone scura). Le montature con vernice lucida non hanno una forte popolarità, mentre

quelle realizzate in modo opaco sono molto apprezzate.

I modelli leggeri, che all’interno della montatura combinano metallo e plastica,

sono estremamente diffusi, in quanto considerati comodi e pratici.

Per gli occhiali da sole, le montature trasparenti o a stampa, che richiamano la

stessa fantasia degli abiti indossati, stanno registrando una forte popolarità.

Per lo sport, i più diffusi sono i modelli composti da una montatura minimale, che si presentano

come leggeri e flessibili.33

30 http://www.euromonitor.com/eyewear-in-japan/report

31 http://www.japan-distributor.com/eyewear-japan.html

32 http://www.euromonitor.com/eyewear-in-japan/report

33 http://blinc-aoyama.com/brand/emmanuelle-khanh/2013-04-07/sunglass/

Figura 3 - Modello Wellington

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ALTRI ACCESSORI

Calze

In Giappone è molto diffuso l’uso di sandali, scarpe con i tacchi e stivali abbinati con delle calze alla

caviglia, oppure, nel caso in cui si indossi una minigonna, che arrivino oltre il ginocchio.

Questa combinazione di sandalo e calza normalmente viene vista come non alla moda e sciatta,

mentre i giapponesi sono riusciti a farne un trend molto diffuso e seguito.

L’origine più probabile di questa moda è dovuta all’elevato tasso di umidità del Paese, che rende

scomodo l’utilizzo dei sandali a piedi nudi.

Le calze sono spesso ricamate, con un orlo in merletto oppure delle fantasie che possono essere

abbinate all’abbigliamento.34

In passato, c’era la tendenza a pensare che indossare le calze rendesse le gambe meno attraenti,

ma tra le ragazze giapponesi si è diffusa l’idea che indossare le calze aiutasse a distogliere

l’attenzione dai difetti e dalla forma delle gambe. Questa è, molto probabilmente, l’idea con la quale

si spiega anche il boom negli anni ’90 degli scaldamuscoli abbinati alle gonne dell’uniforme

scolastica.

È molto probabile, quindi, che le consumatrici giapponesi vedano l’alto potenziale dell’uso delle

calze in ogni occasione, abbinandole a ogni tipo di calzatura e abbigliamento.

Accessori per capelli

Il desiderio delle consumatrici giapponesi sembrerebbe essere quello di riuscire a creare uno style

per i propri capelli in ogni occasione con semplici accessori, senza bisogno di dipendere da un

acconciatore professionista.

34 http://web-japan.org/trends/11_fashion/fas111020.html

Figura 5 – Diversi

tipi di calze

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Recentemente si è andato diffondendo l’uso di accessori retrò corrispondenti circa agli anni ’60, che

possano essere abbinati a un abbigliamento in stile classico.

Fermagli di diverso tipo sono stati l’accessorio più popolare nel periodo autunno-inverno del

2011/12. Applicando una semplice forcina all’altezza dell’orecchio si riesce a ottenere uno stile retrò

molto diffuso e apprezzato in Giappone. Si sono andati diffondendo, quindi, numerosi fermagli,

elastici e cerchietti arricchiti di perline, paillettes e merletti.35

Nail art

La nail art giapponese è imponentemente diffusa in Giappone, arrivando a creare dei veri e propri

universi in miniatura nel ridotto spazio di un’unghia.

L’ampio uso di questo tipo di manicure è diventato a tutti gli effetti un accessorio grazie alla

possibilità di riportare sulle unghie lo stile o il tema dell’abbigliamento indossato, oltre a poter

essere cambiate in base all’umore, l’acconciatura o la stagione. Infatti, per andare in ufficio si può

scegliere un taglio più regolare, mentre per matrimoni o gala si possono aggiungere inserti in

merletto e perle, che si abbinino perfettamente all’outfit. In base al tema dell’evento al quale si

partecipa, la decorazione può essere perfezionata, ad esempio con una tematica natalizia oppure

che richiami la trama del proprio kimono.

Inoltre vengono diffuse numerose riviste e siti internet dedicati alla nail art, che danno consigli di

stile e di abbinamento, oltre a offrire la possibilità di acquistare le decorazioni da applicare

sull’unghia.36

Recentemente, inoltre, si è diffusa la moda di applicare anche degli oggetti sulla base dell’unghia,

creando un effetto di tridimensionalità. Questi possono essere riproduzioni di fiori, animali o fiocchi

35 http://web-japan.org/trends/11_fashion/fas120301.html

36 http://www.nail-art-101.com/japanese_nail_art.html

Figura 6 – Esempi di accessori per capelli

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e la possibilità di creare autonomamente un proprio stile o decoro sta aumentando la popolarità di

questa moda, grazie alla possibilità di pubblicare e diffondere attraverso i social network le immagini

delle proprie creazioni.

La fiera più grande al mondo riguardo alla nail art si tiene ogni anno proprio a Tokyo, con la

partecipazione di numerosi nail artists internazionali e con lo scopo di promuovere nuovi prodotti.37

Keitai charms

Uno degli accessori più diffusi in Giappone sono i ciondoli e i pendagli di ogni genere e sorta che

vengono agganciati al proprio telefono cellulare, attraverso un piccolo laccio.

L’origine di questa usanza sembra risalga all’uso dei netsuke durante il periodo Edo, ovvero dei

fermagli che servivano a tenere agganciata una piccola borsa o sacchetto al kimono, data l’assenza

di tasche. Questi fermagli erano intagliati in diverse forme (animali, figure umane, temi religiosi o di

tutti i giorni) e ricavati da diversi tipi di materiale, come avorio, lacca e porcellana.

Con il tempo i netsuke hanno iniziato a diventare un tipo di arte e a essere prodotti senza una

ragione strettamente pratica, ma esclusivamente per un uso estetico.38

Questo ha sicuramente influenzato, direttamente o indirettamente, la moda dei ciondoli da

cellulare, fornendo l’ispirazione per le persone di decorare gli oggetti di uso quotidiano come il

cellulare.

Ovviamente c’è la possibilità che l’uso di questi pendagli sia mirato a un uso pratico, oltre che

estetico, per facilitare una rapida presa del cellulare nel caso scivoli dalle mani, oppure da poter

utilizzare intorno al collo con un laccio più lungo.39

37 http://web-japan.org/trends/11_culture/pop120315.html

38 http://www.tofugu.com/2012/12/10/why-japanese-people-love-phone-charms-so-much/

39 http://shibuya246.com/2009/11/30/mobile-phone-straps/

Figura 7 – Nail art

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Oggi questa moda si è talmente diffusa da poter essere considerata un modo per personalizzare il

proprio telefono, per renderlo unico ed esclusivo.40

GIOIELLI

Caratteristiche del mercato

Il Giappone è il terzo mercato mondiale di gioielleria, dopo Stati Uniti e Cina. Si stima che le vendite

di gioielli al dettaglio nel 2010 abbiano totalizzato circa 10,37 mld $, fatturato in diminuzione nel

2011, che si prevede in crescita nel 2013. L’import di gioielli costituisce circa un quarto del mercato

totale. 41 Nel mercato hanno successo i prodotti con un brand largamente riconosciuto dai

consumatori.

Dal 2009 al 2010 l'import di gioielli in metallo prezioso è cresciuto del 15,9%.42

Gli Stati Uniti sono il più grande fornitore di gioielli in metallo prezioso con il 27,77% di share del

mercato (inclusi gioielli in platino e argento).

40 http://www.sutoraikuanime.com/2011/10/keitai-straps-whats-big-deal.html

41 http://export.gov/japan/doingbusinessinjapan/consumergoods/index.asp

42 Ibid.

Figura 8 – Esempi di keitai charm

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Il Giappone continua a essere un mercato altamente competitivo ma attraente per prodotti di

gioielleria unica e di moda con un ottimo brand d'immagine.

Tabella 2 - Sviluppo e previsione mercato gioielli (2007-2012)43

ANNO 100 MLN ¥

2012 9,138

2011 8,950

2010 9,100

2009 9,280

2008 10,540

2007 11,990

Fonte: Yano research, see http://www.yano.co.jp/market_reports/C54106900

Per il sondaggio sono stati presi in considerazione 16.880 negozi al dettaglio con un fatturato medio

di 53 mln €.

Il mercato della vendita al dettaglio di gioielli del 2011 decresce leggermente nonostante le

ripercussioni economiche del Grande Terremoto nel Giappone Orientale a Marzo; tuttavia è sceso

a meno di un terzo del picco massimo raggiunto nel 1991 di 3 mila mld ¥. La ragione della piccola

diminuzione nel 2011 si può riscontrare nel legame altruistico suscitato dal disastro naturale; la

gioielleria matrimoniale ha registrato infatti un aumento stabile, e la Japan Jewellery Association ha

inaugurato la “Campagna dell'Amore di JJA Jewellery”. Ancora, con la ripresa dei consumi procede

bene anche la vendita di prodotti di alto valore agli eventi nei department stores. Questa tendenza

prosegue anche nel periodo natalizio del 2011, momento di massima richiesta, in cui affluiscono

numerosi clienti nei negozi al dettaglio. Infine, nonostante la diminuzione di domanda dei turisti

stranieri, è aumentato il fatturato per i brand stranieri.44

Recentemente si sta sviluppando il cosiddetto “Mercato Ri-”, cioè il mercato della Rinnovazione e

del Risparmio; la storia del settore della gioielleria giapponese si dipana da circa 50 anni, e si stima

che in questo periodo il totale delle vendite abbia superato i 60 mld ¥. La notorietà dei negozi che

fanno compravendita di gioielli usati aumenta insieme al loro numero. Nel commercio dell’usato, al

banco dei pegni e ai discount stores si sono recentemente aggiunti negozi storici specializzati in

gioielli e orologi. Mentre questo business si diffonde in tutto il Paese, con l’aumento di incidenti

43 Si veda una contestualizzazione in http://www.japanprecious.com/market/pdf/marketing.pdf

44 Ibid.

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relativi a comportamenti disonesti di venditori non autorizzati、 si nota un ritorno di fiducia nella

parte del settore che utilizza i canali ufficiali. Anche il mercato della Rinnovazione si espande: i

negozi specializzati locali sfruttano la loro conoscenza di gioielleria per distinguersi dalle catene di

negozi e adottano una politica di “rinnovo”. Anche il rinnovo dei banconi dei saloni di gioielleria dei

department stores ha successo; d'altra parte, insieme al “rinnovo”, aumentano i piccoli negozi

specializzati nell'ordinazione di gioielli. D'ora in poi si pensa che il bisogno di un gioiello proprio vada

aumentando.45

Andamento dei brand d’importazione

Il mercato di vendite al dettaglio di gioielli importati (esclusi gli oggetti di bassa qualità dall'Asia) ha

raggiunto i 250 mln ¥; dal picco del 2006 (310 mln ¥) il mercato ha registrato continue flessioni sino

al 2010, dove presenta una lieve ripresa costante. Il mercato dei gioielli importati rappresenta circa

il 28% del mercato totale.46

Se guardiamo alla situazione del mercato dei gioielli importati negli anni precedenti, a causa della

crisi economica mondiale dovuta al peggioramento del problema statunitense dei mutui subprime

dalla seconda metà del 2007 e al “Lehman shock” della seconda metà del 2008, nel mercato

nazionale si diffonde una sensazione di incertezza nel futuro, si accentua la riluttanza all'acquisto

dei consumatori e, in particolare, l'import di brand dall'Occidente incentrato su marchi di lusso

subisce una pesante ricaduta. Da aprile 2008, nonostante l'abbassamento e la revisione dei prezzi

per la debolezza dell'euro rispetto allo yen forte, l'organizzazione di eventi per stimolare la domanda

negli outlet o nei negozi e l'aumento di vendite dovute al calo dei prezzi, non c'è stato un forte

impulso al rialzo, e in generale si è registrata una forte diminuzione del mercato fino al 2009.

Tuttavia, dal 2010 si è assistito a una graduale ripresa grazie al ritorno dei consumi da parte di utenti

nazionali e alla domanda di turisti asiatici, in particolare dalla Cina; inoltre nel 2011, nonostante la

grande preoccupazione per la contrazione della mentalità consumistica in seguito al Grande

Terremoto del Giappone Orientale nel marzo dello stesso anno, emergono gioielli simbolici di un

sentimento di solidarietà e legame, incentrati soprattutto su gioielli da matrimonio e di coppia.47

La domanda in risposta a un messaggio di “prodotti originali per persone importanti” ha contribuito

all'aumento di import di brand di lusso. Ancora, di contrasto alla forte preoccupazione per la

diminuzione di turisti stranieri dopo il Grande Terremoto, dalla seconda metà del 2011 c'è un nuovo

afflusso di turisti dall'estero, soprattutto dalla Cina; i turisti cinesi in certi periodi dell'anno

45 Ibid.

46 http://www.japanprecious.com/market/pdf/brandjewel.pdf

47 Ibid.

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(“Kokkensetsu” al primo ottobre e “Shunsetsu” al primo dell'anno secondo il calendario lunare)

tornano ad affollare i distretti commerciali di Ginza, Shinjuku e Odaiba.

Tabella 3 - Fatturati annuali prodotti nazionali e importati di gioielleria (in 100 mln ¥)48

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Prodotti

nazionali 9,62 9 7,79 6,97 6,67 6,44 6,51

Prodotti

importati 3,11 2,99 2,75 2,32 2,43 2,5 2,63

Fonte: Yano Keizai Kenkyujo Seikei

Il nuovo trend dei brand stranieri

Il Giappone ha sviluppato velocemente un mercato di brand di lusso negli anni '80, ma a causa della

crisi economica globale descritta sopra e della crescita del fast fashion la mentalità dei consumatori

è cambiata, e di conseguenza anche l'ambiente che circonda il mercato dei brand di lusso.

Recentemente l'import di brand si concentra su nuovi mercati emergenti in crescita, soprattutto

quello cinese; molti brand aprono nuovi negozi in queste zone, i cui mercati registrano valori sempre

più importanti nei fatturati totali.

Si dice non vi sia limite di prezzo nel mercato giapponese, perché i clienti giapponesi sanno

riconoscere gli oggetti autentici: capiscono il prezzo di brand di lusso che utilizzano pietre di

eccellente qualità e un design raffinato, e hanno il senso del valore per apprezzare l'abilità di un

artigiano; di conseguenza non sono pochi i brand che adottano la strategia di introdurre un prodotto

inizialmente in Giappone, per poi lanciarlo su scala mondiale a seconda del successo ottenuto. Il

Giappone viene quindi visto come un “mercato di giudizio”.

Come accennato sopra, il disastro naturale dell'11 marzo 2011 ha suscitato un sentimento di

“legame” che ha risvegliato il mercato matrimoniale: numerosi brand di lusso cercano nuovi clienti

in questo settore per avvicinare i giovani sotto i 25 anni che dimostrano scarso interesse nei marchi

di lusso.

Gli ultimi mesi

Nel corso degli ultimi mesi del 2012, si è registrato un modesto aumento delle importazioni di gioielli

e bigiotteria dall’Italia, con un deciso aumento relativamente alla gioielleria in argento e in platino.

Tuttavia, per alcune categorie di fascia alta il mercato mostra segni di saturazione. In deciso aumento

48 Ibid.

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l’import di bigiotteria e ornamenti non in metallo prezioso, che mostra un allargamento del

segmento di fascia bassa.

Nota: a causa del repentino cambiamento nel valore dello yen e della natura dei dati rilevati in dogana (che si basano

sullo spedito piuttosto che sul venduto), questo dato positivo deve essere correttamente interpretato come fortemente

legato alla fase positiva degli ultimi mesi del 2012.

Codice Descrizione 1-5 2013 (‘000 JPY)

1-5 2012 (‘000 JPY)

Variazione

7113.11-000 Gioielli in argento 979.088 577.075 70%

7113.19-010 Gioielli in platino 589.050 314.031 88%

7113.19-021 Catene per orologi, occhiali o altri accessori da

indossare, non in argento o platino 47.623 75.133 -37%

7113.19-029 Gioielli non di argento o platino, diversi da

catene per accessori da indossare 4.891.469 4.696.876 4%

7113.20-000 Gioielli in metallo placcato in metallo prezioso 971 - New

7116.10-000 Articoli con perle naturali o coltivate 5.792 4.326 34%

7116.20-210 Gioielli in pietre preziose 44.816 46.452 -4%

7117.11-020 Gemelli o spillette di altro tipo 4.181 2.546 64%

7117.19-010 Articoli ornamentali a base metallica, placcati in

metallo prezioso 303.995 456.664 -33%

7117.19-090 Articoli ornamentali a base metallica, non

placcati in metallo prezioso 144.153 95.822 50%

7117.90-010 Articoli ornamentali non a base metallica, di

almeno due materiali 298.308 194.342 53%

7117.90-021 Articoli ornamentali non a base metallica, di

legno 902 484 86%

7117.90-022

Articoli ornamentali non a base metallica, di

avorio o corno o altri materiali ricavati da

animali

2.823 1.398 102%

7117.90-023 Articoli ornamentali non a base metallica, di

plastica 33.290 23.189 44%

7117.90-024 Articoli ornamentali non a base metallica,

placcati con metallo prezioso 104.088 75.854 37%

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7117.90-029 Altri articoli ornamentali non a base metallica 101.697 71.870 42%

TOTALE 7.651.658 6.636.062 15%

Canali di distribuzione

Nel 2011 si è passati alla trasmissione tramite digitale terrestre e quasi la metà del numero di

cellulari spediti è rappresentata da smartphone. Contemporaneamente, rispetto ad altri canali di

distribuzione di gioielleria, si sono grandemente sviluppate le vendite di gioielli per corrispondenza

tramite TV shopping e internet. In particolare la diffusione di smartphone e tablet ha permesso

l'aumento dei nuovi utenti tra le giovani generazioni per la possibilità di acquistare i prodotti

ovunque e in qualsiasi momento. Di conseguenza, anche le grandi catene di negozi e i brand stranieri

si sono concentrati sulle vendite su internet per rispondere a questo nuovo tipo di domanda.

D'altra parte anche il TV shopping, mentre rafforza la trasmissione BS e la comunicazione con i clienti

con il passaggio alla trasmissione digitale, aumenta i profitti grazie al “channel mix” con internet.

Ancora, per ampliare il fatturato, si accelera l'ingresso al business su internet di import di brand di

lusso (siti online della propria azienda) in quanto estensione di business a gestione diretta: a

cominciare da Tiffany nel Novembre 2005, seguono in successione Louis Vuitton, Celine, Cartier,

Bulgari, Gucci, Bottega Veneta e altri. Allo stesso modo, Tiffany fu l'azienda pioniera nel mobile

commerce, presto attivo anche nel settore dei gioielli di lusso.

Non solo vendita di beni, ma una tendenza in crescita anche per l’invio di informazioni tramite le

homepage, promozione tramite crossmedia e sviluppo di applicazioni per smartphone per la

comunicazione bilaterale.49

Secondo un sondaggio di McKinsey & Company del 200950 svolto su persone che hanno acquistato

almeno un prodotto di lusso tra aprile 2008 e marzo 2009, il 25% degli intervistati preferisce ai

negozi tradizionali di articoli di lusso i premium outlets: questi canali di distribuzione rappresentano

infatti dal 23 al 29% di frequenza d'acquisto. La continua crescita di questa tendenza è supportata

da un consumatore più consapevole, da un ambiente di shopping in evoluzione e da incentivi

indiretti come il taglio dei pedaggi autostradali; il successo dei premium outlet malls è vantaggioso

in parte per i produttori di articoli di lusso, che devono evitare un'eccessiva dipendenza da questi

canali di distribuzione, puntando su consumatori prudenti e segmentazione del prodotto. I

department stores, seppure in declino, continuano a rappresentare circa il 50% degli acquisti di

49 Ibid.

50 http://csi.mckinsey.com/Knowledge_by_region/Asia/Japan/Japans_luxury_consumer.aspx

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articoli di lusso, mentre i negozi autonomi dei produttori rimangono importanti per gli acquisti e il

“browsing” dei prodotti.

Caratteristiche dei prodotti

Sempre secondo il sondaggio citato sopra, più del 20% dei consumatori di prodotti di lusso, sia

oggetti in pelle che gioielli, confermano di spendere più dell'anno precedente in questo settore

perché il 78% degli intervistati afferma di “apprezzare di più il valore di indossare o possedere un

oggetto di lusso”; più del 30% è disposto a pagare una cifra più alta se il prodotto è in edizione

limitata, quindi sono ambite le caratteristiche di novità, esclusività e unicità del bene, oltre a una

riconosciuta storia del brand.51

Le recenti difficili condizioni economiche hanno avuto un forte impatto sulla spesa dei consumatori

e sugli schemi di consumo: mentre le consumatrici tra i 20 e i 40 anni preferiscono brand prestigiosi

importati, i consumatori sui 20 anni si focalizzano più sui fashion trends, scegliendo prodotti unici e

dal design distintivo, più che per il loro brand; inoltre questi giovani clienti usano la gioielleria come

elemento decorativo per dare un tocco trendy all'abbigliamento quotidiano.52

Altre caratteristiche ricercate recentemente nei prodotti di lusso sono53:

• Un prodotto quotidiano facile da usare, scelto non in base all'età ma alla sensibilità, e che

abbia come tema la quotidianità e lo stile casual;

• Un design chic che unisce in sé sia una nota adulta che infantile per un oggetto che può

essere usato sia da una donna che da un bambino.

51 Ibid.

52 http://www.globaltrade.net/f/market-research/text/Japan/Textiles-Apparel-Leather-Footwear-Accessories-

Costume-Jewelry-Industry-in-Japan.html

53 http://www.e-tkb.com/t-mail/tkb.cgi

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ASPETTI DI DISTRIBUZIONE

L'enorme influenza del commercio al dettaglio in Giappone attira l'attenzione globale, essendo

anche l'origine di molte tendenze con ampia diffusione in Asia. Per i rivenditori, in particolare, il

mercato giapponese offre grandi opportunità di vendita per prodotti e servizi incentrati su lusso,

stile, praticità e alto valore.

I rivenditori stranieri nel corso del tempo hanno ottenuto un sempre più ampio consenso nel

mercato giapponese, introducendo prodotti che vanno a soddisfare le preferenze e lo stile dei

consumatori giapponesi.

I produttori giapponesi di abbigliamento giocano un ruolo centrale nella distribuzione interna,

promuovendo loro stessi i prodotti, ma anche programmando e organizzando i subappaltatori sia a

livello nazionale che all'estero. I produttori nazionali vendono i loro prodotti a grossisti o rivenditori

quali i grandi magazzini, che a loro volta rivendono ai consumatori finali.

I PRINCIPALI CANALI

I canali di distribuzione delle importazioni invece possono essere divisi a grandi linee in

“importazioni sviluppate” (con prodotti sviluppati secondo le specifiche degli importatori sfruttando

le risorse e le tecnologie dei Paesi avanzati ai Paesi in fase di sviluppo) e importazioni propriamente

dette54. Gran parte delle importazioni dalla Cina e dal sud-est asiatico sono del primo tipo e per

questo i canali di distribuzione sono all'incirca come quelli dei prodotti fabbricati in Giappone da

produttori nazionali. Dall'altro lato invece, le importazioni in Giappone fanno per lo più riferimento

a prodotti di brand europei e statunitensi o prodotti su licenza.

Molti di questi prodotti vengono importati dall'estero attraverso le filiali giapponesi, gli agenti di

importazione o le compagnie commerciali e quindi venduti ai consumatori dai rivenditori al dettaglio

passando per i grossisti nazionali. Negli ultimi anni, un numero crescente di grandi rivenditori sta

commerciando direttamente con gli importatori e, unitamente alla sempre più forte popolarità del

commercio su internet, i grossisti stanno iniziando a perdere forza mentre i circuiti di distribuzione

vanno progressivamente accorciandosi.

I rivenditori di base, quali grandi magazzini, supermercati, convenience store (CVS) e negozi

specializzati, sono in continua trasformazione con il passare del tempo. I centri commerciali, che

uniscono diverse imprese al dettaglio, si sono sviluppati in una varietà di formati urbani ed

54 Guidebook for export to Japan 2011, JETRO

http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf

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extraurbani, offrendo un'ampia gamma di possibilità. In ogni caso, la chiave sta nell'individuare il

branding e sviluppare il business considerando ogni area e ogni target di mercato.

Tra i principali canali di distribuzione in Giappone vanno evidenziati55:

Grandi magazzini

In un grande magazzino si possono trovare diversi tipi di merci, dal cibo ai vestiti e gioielli. Qui i

prezzi non vengono scontati, tranne durante la stagione dei saldi. Tra i principali in Giappone si

trovano Mitsukoshi, Matsuzakaya, Sogo, Takashimaya, Isetan e Matsuya. Questi hanno tutti una

lunga storia: Matsuzakaya è stata fondata nel 1611, Mitsukoshi nel 1637 e Isetan, relativamente

recente, risale al 1886.

Tutti questi negozi ha iniziato con il commercio di tessuti per kimono, ponendo poi una sempre più

forte enfasi sui capi d'abbigliamento. I grandi magazzini come Tokyu, Odakyu, Keio, Seibu, Tobu e

Hankyu sono invece sorti molto più tardi, ma le loro imprese madri erano imprese ferroviarie e per,

questa ragione, i grandi magazzini sono situati vicino alle stazioni. Questi ultimi si concentrano sullo

sviluppo di marchi e servizi originali, ponendo l'accento sulla sezione alimentari nei grandi magazzini

seminterrati (depa-chika).

Va però sottolineato che oggi è diventato sempre più difficile aprire dei negozi nei centri

commerciali (in particolare se non si opera con una grande catena di esercizi).

Per quanto riguarda i grandi magazzini può essere utile operare una breve distinzione tra le forme

adottate al loro interno:

• Item corner: gli articoli vengono esposti per tipo e marca sugli scaffali, i commessi sono del

grande magazzino ed è quest'ultimo che fissa i prezzi guadagnando una percentuale (30-

40%).

• Brand shop: spazio delimitato e dedicato alla vendita di una certa marca. I commessi in

questo caso possono essere del grande magazzino o del fornitore, mentre i prezzi sono

consigliati dal fornitore e la percentuale del venduto che ottiene il grande magazzino varia

in genere dal 30 al 40%, secondo l’importanza dei marchi.

• Brand boutique: una vera boutique, dove i prezzi sono decisi dal fornitore così come

l'arredamento, l'insegna e i commessi.

Shopping Centers

Si tratta di nuovi complessi posizionati al centro della città e sorti grazie alla riqualificazione delle

aree. In alcuni casi, attorno ai super-grattacieli vengono costruiti hotel di fama mondiale, cinema,

teatri, uffici e condomini di lusso. Tra i grandi centri commerciali si trovano Tokyo Midtown

(Roppongi) con la sua Midtown Tower, Roppongi Hills con una stazione televisiva e osservatorio, e

55 Japan National Tourism Organization: http://www.jnto.go.jp/eng/attractions/shopping/01.html

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Caretta Shiodome a Shiodome. Inoltre, anche se non dispongono di servizi di intrattenimento, si

possono trovare luoghi famosi come Marubiru (Marunouchi Building), Shin-Marubiru (Shin-

Marunouchi Building) o Marunouchi Oazo, sul lato Marunouchi della stazione di Tokyo. La principale

caratteristica comune a tutti questi centri commerciali è che hanno negozi che sono entrati in

Giappone per la prima volta o negozi di marca che hanno sviluppato la loro attività in uno stile unico.

Inoltre, i ristoranti negli shopping centers hanno sempre lunghe code, sia di giorno che di sera.

A Osaka, nella zona di Umeda, oggetto di una riqualificazione su larga scala, nei nuovi grattacieli

centri commerciali come Osaka Garden City e Herbis OSAKA presentano numerosi negozi con

marchi di punta.

Fashion Buildings

I Fashion Buildings sono specializzati in abbigliamento, beni e cosmetici vari soprattutto per giovani.

Hanno una buona gamma di negozi selezionati che portano marchi nazionali ed esteri per donne e

alcuni di questi negozi scelgono i prodotti secondo il gusto del proprietario. Molti dei fashion

buildings hanno anche cinema incorporati. Tra questi si trovano PARCO, 109 e MARUI a Shibuya, e

LUMINE, MYLORD e MARUI, tutti situati vicino alla stazione di Shinjuku.

Outlet

Gli outlet hanno un clima simile a un parco a tema, ma in realtà sono centri commerciali dove è

possibile acquistare prodotti di marca a un prezzo ragionevole. Ci sono attualmente circa 30 outlet

in Giappone. Sia gli outlet al coperto che quelli all'aperto hanno ampi corridoi, in modo da

permettere passeggiate durante lo shopping. Alcuni esempi: Rinku Premium Outlet di Osaka, servito

da un bus navetta dall'aeroporto internazionale di Kansai; Town Outlet Mare, di fronte alla baia di

Osaka, si trova a Cosmo Square dove si può godere anche delle strutture di divertimento o

dell'osservatorio presso il World Trade Center di Osaka; La Fête Tama a Tokyo, che riproduce

l'atmosfera delle strade del sud della Francia; Mall Grandberry, a circa 1 ora di treno dal centro di

Tokyo.

Nel settore della distribuzione in Giappone si nota il progressivo ingresso di altre e nuove categorie,

come appunto avviene con la sempre più crescente diffusione degli outlet. Va inoltre ricordata

l'importanza dei negozi specializzati, in aumento rispetto ai grandi magazzini. Dal 2000 le grandi

catene di negozi specializzati hanno infatti iniziato ad aumentare sempre più le aperture di nuovi

punti vendita, contribuendo all’aumento di fatturato in maniera contrastante rispetto alle altre

forme di dettaglio56.

56 Luxury Goods in Japan 2013: a Preview, McKinsey, disponibile all’indirizzo:

http://csi.mckinsey.com/~/media/Extranets/Consumer%20Shopper%20Insights/Reports/2013/Japan_Luxury_go

ods_2013.ashx

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I negozi specializzati sono di fatto punti vendita con assortimento limitato, con articoli di designer

emergenti e scelti attentamente in base al target di clienti o in base al gusto del proprietario. Di

fatto il negozio specializzato, per poter sopravvivere, ha bisogno di ampliare la propria dimensione

senza mai dimenticare l'importanza dell'unicità dell'offerta e della rarità del prodotto, continuando

a proporre veri e propri lifestyle nuovi.

In crescente sviluppo e in forte concorrenza con i select shop si trovano gli SPA (Speciality store

retailer of Private Label Apparel), imprese cioè come Uniqlo, Gap, Zara, Fover 21 H&M e Benetton

(tra le principali in Giappone) che seguono tutti i processi, dal design alla commercializzazione.

Comunque il formato del select shop, creato per offrire marchi diversi tra loro ma caratterizzati da

una forte unicità e uniti tutti in un unico posto avendo come base un rivenditore o un concept store,

si è mostrato estremamente valido. Aziende come Beams e United Arrows sono la prova di questo

approccio. Diversi rivenditori stranieri che presentano varietà di stili diversi hanno aperto negozi

specializzati in Giappone riuscendo a ottenere buoni riscontri. Questi rivenditori in genere entrano

nel mercato per conto proprio o attraverso partnership con aziende giapponesi.

CANALI MINORI ED EMERGENTI

Oltre alle forme di rivendita di base, va sottolineata la forte presenza sul mercato di “100 yen shop”

e la notevole crescita di vendite via email utilizzando PC, tablet e cellulari. Quest'ultima forma in

particolare, definita come mercato virtuale (non-store market) o vendita per corrispondenza, è in

rapida espansione grazie alla potenzialità offerte dalla rete che permette ordini via email e telefonia

mobile. Si nota così l'evoluzione di una vasta gamma di nuovi modelli di business che offrono alle

imprese estere sempre più ampie opportunità per l'ingresso nel commercio al dettaglio.

L’acquisto di prodotti economici via internet, estremamente diffuso soprattutto in Gran Bretagna e

Stati Uniti, sta prendendo piede anche in Giappone, non senza però incontrare una certa riluttanza

da parte dei consumatori. Le principali teorie per spiegare questa reticenza sono: la preferenza dei

giapponesi per l’acquisto fatto di persona, la dimensione ridotta degli schermi dei telefoni cellulari,

lo scarso uso delle carte di credito e la larga diffusione dei negozi al dettaglio sul territorio.57

Nonostante questo, secondo un altro sondaggio di aprile 2009 di MyVoice, più del 50% dei

consumatori ha dichiarato di aver acquistato maggiormente via internet rispetto all’anno

precedente.58

57 http://www.mckinsey.com/insights/consumer_and_retail/the_new_japanese_consumer

58 http://www.myvoice.co.jp/biz/surveys/12901/index.html

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Recentemente, infatti, grazie a schermi a sempre più alta definizione, sempre più giapponesi usano

il telefono cellulare per i loro acquisti, facendo aumentare la diffusione di numerose applicazioni

che offrono consigli di stile, offerte in corso, newsletter e promozioni dedicate ai soci.

Nel caso di Prada, ad esempio, il Giappone è stato il terzo paese in cui è stato iniziato l’e-commerce

nel 2010 (dopo Europa e Stati Uniti), e metà dei prodotti venduti online vengono acquistati dal

Giappone.59

59 http://csi.mckinsey.com/~/media/Extranets/Consumer%20Shopper%20Insights/Reports/2013/Japan_

Luxury_goods_2013.ashx

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PROMOZIONE E MARKETING IN GIAPPONE

Nel mercato dell'abbigliamento in Giappone i prezzi sono in continuo calo, il mercato dei

consumatori è in continua contrazione per la staticità dei consumi individuali, le importazioni di

prodotti a basso costo da Paesi asiatici quali la Cina aumentano, così come aumentano di popolarità

dei nuovi brand fast fashion (quali Uniqlo) negli ultimi anni. Inoltre, va tenuto in considerazione che

dalla crisi dei subprime nel 2008, la propensione all'acquisto da parte dei consumatori è calata

ulteriormente, determinando una contrazione sempre maggiore del mercato60.

Con questa continua contrazione nel mercato dell'abbigliamento, hanno assunto un ruolo sempre

più centrale diversi prodotti di abbigliamento:

Abbigliamento funzionale (come l’abbigliamento termico “Heat Tech” proposti da Uniqlo o i

completi lavabili in lavatrice), e stanno guadagnando una sempre maggiore popolarità, non solo in

Giappone ma anche all'estero.

I prodotti di Private Brand (PB); prodotti unici, con prezzi stabiliti dal venditore al dettaglio, così

come i dettagli e il design. Il venditore può anche ordinare direttamente al produttore e vendere i

prodotti stessi. Sebbene il profitto sia alto ci sono una serie di rischi legati alle forniture. Rispetto

alla rivendita al dettaglio di abbigliamento che normalmente genera bassi profitti, i prodotti PB sono

prodotti strategici di grande importanza, che permettono di allontanarsi dal sistema di utile lordo

basso. Negli ultimi anni sempre più negozi di vendita al dettaglio stanno aumentando il tasso di

vendita di prodotti di questo tipo pur nella consapevolezza dei rischi relativi alle forniture.

CONSIDERAZIONI SULL'INGRESSO NEL MERCATO GIAPPONESE E SUI METODI DI

MARKETING

Il mercato dell'abbigliamento in Giappone è un mercato maturo ed è pertanto importante

concentrarsi sulle singole caratteristiche del brand e differenziarsi dalla restante offerta. Con

l'aumento della recessione inoltre, i consumatori non accettano compromessi nella selezione dei

prodotti e prestano attenzione al prezzo così come alla qualità. Nell'entrare nel mercato giapponese

vanno considerati attentamente i bisogni dei consumatori e determinate le singole caratteristiche

che possono differenziare un prodotto da quello degli altri produttori.

Innanzitutto risulta fondamentale accertarsi della reazione del compratore e dei consumatori, avere

un nome e un logo d’impatto e facile da ricordare, promuovere la storia del brand attraverso

campagne pubblicitarie che possano fornire al compratore un background ricco di informazioni,

60 Guidebook for export to Japan, JETRO

http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf

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offrire sempre nuovi prodotti e stimoli per attirare in modo costante l'attenzione del consumatore

in un mercato dominato da tendenze estremamente volubili.

Essendo il mercato della moda estremamente competitivo, è importante che ogni azienda chiarisca

il suo concetto di marca, il target di consumatori, così come di distribuzione, scegliendo se

necessario come partner una società giapponese.

Oltre a queste prime attenzioni, altre precauzioni necessarie sono illustrate in seguito.

Stagionalità

Il Giappone ha quattro stagioni ben distinte e poiché il clima e le temperature variano in modo

sostanziale, la domanda di prodotti varia a seconda del periodo dell'anno, con aumento di richieste

di cappotti pesanti nel periodo invernale e magliette che permettano la traspirazione durante il

periodo estivo. Inoltre, va tenuto in considerazione l'aumento di domanda nel periodo natalizio, in

aprile per le cerimonie di inizio attività e in altre occasioni. Unitamente a questo, per la vendita di

abbigliamento in Giappone è importante stabilire strategie di vendita che considerino gli eventi

stagionali. La stagionalità, ma anche le tendenze nell'uso di materiali e colori, sono fattori in

continuo cambiamento e di estrema importanza per il produttore estero interessato al mercato

giapponese.

Struttura fisica

Le taglie, oltre che i modelli, sono tra i fattori più importanti che vanno a influire sull'acquisto o

meno da parte del consumatore. Va tenuto in considerazione che i giapponesi, per la maggior parte

magri, presentano forme leggermente diverse da quelle italiane. Va inoltre sottolineato che molte

compagnie adattano gli stili e creano tagli appositamente pensati per le donne asiatiche, non solo

in termini di taglie ma anche di colori, a volte ideando prodotti esclusivamente pensati per il mercato

giapponese.

Scelta della location e dello store

I prodotti unici, creativi o particolarmente prestigiosi dovrebbero trovarsi in negozi di un certo

rilievo in aree prestigiose, nei grandi magazzini o in select shop di alta moda noti ai consumatori. Se

il prodotto invece ha un target ampio e prezzi accessibili, potrebbe essere presentato negli edifici

delle stazioni (come ad esempio Lumine) o in negozi in aree ad alta concentrazione.

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Figura 10 (sopra) – Opening day: la girl band

k-pop After School presenzia a un evento

promozionale per l’apertura del primo outlet

in Giappone della marca sudcoreana di moda

Mixxo nel Sogo Department Store a

Yokohama.

Figura 11 (di lato) – Japan Fashion Week

Figura 9 (sopra) – Miranda

Kerr per Samantha Thavasa a

Tokyo

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Packaging

Nei department store la moda donna si trova nei primi piani (dopo interrato per gli alimentari e

piano terra per cosmetici), con a seguire moda uomo e sport.

L’impeccabile presentazione, in particolare se si tratta di regali, è di fondamentale importanza per

il cliente giapponese. I prodotti generalmente sono confezionati in piccole quantità e in modo molto

carino già dai produttori. Per i regali invece viene generalmente data una confezione addizionale,

arricchita di decorazioni (spesso fiocchi), ponendo il tutto in shoppers con il nome e logo del

magazzino o del negozio.

Rapporto con il cliente e assistenza post-vendita

Prevedibilità e coerenza nel tempo con la propria immagine e il proprio livello di servizio: questo è

il fattore fondamentale per mantenere la comunicazione con gli acquirenti e con i potenziali clienti.

La forma domina il rapporto con i clienti, laddove nel rapporto tra venditore e cliente si instaura un

rapporto molto strutturato che rende evidente i ruoli ed evita accuratamente ogni ambiguità. I

continui saluti e l'accompagnamento del cliente fino all'uscita da parte del negoziante ne sono gli

esempi più noti. Da ricordare inoltre la presenza di staff nell'ascensore che fornisce indicazioni sui

differenti piani61.

Una eccellente assistenza post-vendita, oltre a essere protetta dalla legge con alcune misure quali

il product liability act (si veda più sotto), è soprattutto un dato culturale di cui tenere conto.

L’acquisto, soprattutto nelle fasce più mature della popolazione, sanziona l’instaurarsi di un

rapporto di lungo termine con il negozio o con il brand, e implica la necessità di rendersi presenti

attraverso ogni mezzo possibile (telefono con interlocutore giapponese, sito internet, indirizzo email

dedicato) per qualsiasi dubbio sull’uso del prodotto. La percezione di distanza dopo l’acquisto è

spesso l’occasione principale per innescare una disaffezione sul marchio.

Lotti di produzione

I lotti di produzione di articoli di abbigliamento stranieri sono vasti perché esportati principalmente

da Europa e Stati Uniti. Così accade che questi articoli non siano adatti al mercato giapponese, che

ricerca invece produzioni a piccoli lotti di prodotti diversi e in brevi periodi. Di conseguenza è

fondamentale monitorare da vicino le tendenze di consumo in Giappone, essere consapevoli dei

bisogni dei consumatori, della quantità richiesta e sviluppare un sistema di produzione e vendita

che permetta la distribuzione dei prodotti al mercato con solo un breve preavviso.

61 Japan Guide: http://www.japan-guide.com/e/e2072.html

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Standard di qualità

Gli standard di qualità richiesti in Giappone sono generalmente più rigidi nel confronto con gli altri

Paesi62. Considerando i criteri di qualità, il Giappone ha una Legge sulla Responsabilità Prodotto

(Product Liability Law) che prevede che i produttori (o importatori) siano responsabili nel caso in cui

i loro prodotti risultino dannosi per la salute, l'uomo o per la presenza di difetti. In questa legge sono

compresi anche alcuni articoli di abbigliamento quali le borse. Inoltre, per quanto riguarda il livello

qualitativo, anche i consumatori giapponesi sono ben consapevoli della qualità e tendono a

preferirla al prezzo.

VEICOLI DI PROMOZIONE

Riviste

Può essere importante osservare nel dettaglio alcune delle riviste di moda presenti sul mercato, in

modo da comprendere più concretamente gli aspetti ritenuti più importanti per veicolare un

acquisto.

Una tendenza o un colore di moda vengono descritti in modo dettagliato, spesso facendo

riferimento, in particolare nel caso dei colori, alle sensazioni e all'immagine che si trasmette

attraverso un capo di abbigliamento piuttosto che un altro.

Uno stile viene presentato inoltre nel suo complesso, con una serie di abbinamenti suggeriti. Questi

vanno a considerare ogni singolo dettaglio: dal colori, alle calzature fino a comprendere

acconciature, fermagli per capelli o anche il make up.

Non è raro inoltre trovare indicazioni su dove e quando indossare un certo indumento.

L'attenzione per la modella indossatrice: lo stile è infatti pensato e presentato in relazione alle

forme, all'altezza, all'età o allo status sociale di una certa persona.

Si può dire che le riviste giapponesi tendano non solo ad analizzare fin nel minimo dettaglio tutto

ciò che va a comporre uno stile, ma anche a dividere in precise categorie che sono ormai note a tutti

e attraverso le quali spesso ci si identifica.

62 JETRO: http://www.jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/guidebook_apparel_products_materials.pdf

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Riviste fashion per pubblico femminile

Le seguenti sono le riviste più famose in commercio, suddivise per fasce d’età e stili di moda.

15 – 18: studentesse di scuole superiori; stile carino/grazioso/casual con alcuni elementi seducenti.

Elle Girl Seventeen

100.000 copie, contiene informazioni su cultura, beauty e fashion da un punto di vista internazionale.

350.000 copie, il “seventeen” del titolo non si riferisce ai 17 anni, ma ai 7 anni che intercorrono dai 13 ai 19 anni, fascia d’età a cui è indirizzata la rivista.

Street/Urahara: età 17-30, stile vintage/indie, non segue il mainstream.

CUTiE JILLE mini

170.000 copie, rivista incentrata su fashion giovanile e uno stile personale.

130.000 copie, lo stile proposto è “one-rank casual”, un casual raffinato e di alto livello.

360.000 copie, propone un fashion casual elegante, un “real style” semplice e adulto ma allo stesso tempo grazioso.

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Casual: tarda adolescenza – 30 anni; stile molto semplice e casual, con alcuni elementi

romantici/graziosi/cool a seconda di cosa è popolare in ogni stagione.

an・・・・an ar mina

210.000 copie, una delle riviste più amate, nata nel 1970; non si incentra solo sul fashion, ma include diversi temi come viaggi, sport, tempo libero, arti, interni.

130.000 copie, rivista per giovani ragazze dai 15 ai 25 anni, lo stile è casual ed elegante, si propongono anche stili di acconciature.

230.000 copie, stile di fashion casual e basilare rivolto a lettrici dai 15 ai 30 anni.

non-no Soup Spring

470.000 copie, pubblico femminile tra i 18 e i 25 anni; rivista su intrattenimento, bellezza e moda che propone uno stile grazioso e naturale.

170.000 copie, le principali lettrici hanno tra i 21 e i 26 anni, e viene proposto uno stile casual raffinato da adulto ma allo stesso tempo carino.

400.000 copie, si rivolge a donne tra i 20 e i 30 anni, con uno stile casual elegante e soprattutto naturale.

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Sweet

460.000 copie, la fascia d’età più frequente è tra i 21 e i 27 anni, lo stile proposto è adulto ma soprattutto carino.

Shibuya-kei: stile “Shibuya” che racchiude diversi look.

Gyaru: tarda adolescenza – 30 anni; stile caratterizzato da trucco pesante, abiti seducenti e

appariscenti.

EDGE STYLE egg Popteen

150.000 copie, rivista rivolta a giovani gyaru entro i 30 anni che ricercano uno stile carino e seducente. Sono incluse notizie su lifestyle, hairstyle, beauty e make-up.

230.000 copie, rivista rivolta a ragazze che seguono lo stile gyaru; è incentrata sul fashion street ma propone anche altri stili di moda. Include anche notizie su lifestyle.

300-400.000 copie, rivolta a ragazze fino ai 20 anni, si definisce un magazine “Love&Live”.

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Popsister S Cawaii BLENDA

Rivista derivata da “Popteen”, propone lo stesso stile allo stesso tipo di pubblico.

(60.000 copie): rivista rivolta a seguaci dello stile gyaru tra i 20 e i 30 anni; propone uno stile di fashion più maturo, e include consigli su hairstyle, accessori, make-up, cura della pelle, e informazioni su lifestyle, divertimenti e viaggi all’estero.

100.000 copie, rivista incentrata su uno stile semplice e seducente, propone lo stile di moda delle celebrità.

Ranzuki JELLY Happie Nuts

100.000 copie, rivista rivolta alle giovani gyaru appariscenti.

338.000 copie, rivista rivolta a gyaru adulte, incentrata su beauty e fashion di stile “aura”.

230.000 copie, rivista rivolta a ragazze sui 20 anni gyaru abbronzate.

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Hime Gyaru: stile di gyaru femminile e principesco, nato negli anni 2000.

Koakuma ageha Hime Style

300.000 copie, attualmente di gran voga tra le giovani, indirizzato principalmente a hostess.

50.000 copie, rivista che diffonde lo stile e la cultura hime gyaru nella regione del Kansai, zona dove viene pubblicata la rivista.

B-girl: “break-girl”, stile importato dagli Stati Uniti che indica ragazze appassionate di hip-hop.

OL/Onee-kei (Akamojizasshi): queste riviste prendono il nome dai titoli rossi in copertina; le

seguenti cinque riviste sono le più famose ed accreditate in Giappone per il fashion: propongono

uno stile maturo e sofisticato con elementi romantici/graziosi/sexy in relazione a ciò che è di moda

durante la stagione. Rivolte principalmente a studentesse 20enni e giovani Office Ladies.

CanCam ViVi JJ

110.000 copie, il target comprende dalle giovani di 15 anni alle OL fino a 30 anni; la rivista non tratta solo fashion, ma anche beauty e lifestyle. Lo stile proposto presenta abbigliamento da lavoro e femminile.

645.000 copie in tutta l'Asia, è indirizzata a office ladies e generalmente presenta uno stile sofisticato, maturo con una forte attenzione per le tendenze della stagione. Target: studenti universitari, inizio vent'anni.

184.000 copie, per giovani donne da 18 a 30 anni, con uno stile coordinato, elegante e carino; i temi trattati sono fashion, beauty e lifestyle. È il punto di riferimento per le seguaci dell’Onee-kei (“stile della sorella maggiore”, caratterizzato da capelli castani e vestiti e accessori di marca di fascia alta).

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PINKY Ray MORE

164.000 copie, il target si identifica in giovani dai 18 ai 30 anni, lo stile è casual ed elegante.

244.000 copie, rivista popolare tra le donne di età compresa fra 15 e 25 anni, promuove lo stile mote-kei, incentrato sulla femminilità attraente ma non seducente o individuale.

597.000 copie, rivista indirizzata principalmente a studentesse universitarie e donne in carriera; lo stile proposto rientra nel mainstream.

with Bijin Hyakka

590.000 copie, rivista rivolta a lettrici dai 20 a 30 anni, specialmente Office Ladies; tratta temi di fashion e cultura, lo stile rientra nel mainstream.

200.000 copie, rivista indirizzata a donne sui 20 anni, soprattutto Office Ladies; lo stile proposto è divertente, carino e casual.

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Riviste femminili dai 20 anni

and GIRL Oggi MISS

150.000 copie, rivista indirizzata a donne dai 25 ai 35 anni; lo stile di fashion proposto è adulto ma grazioso.

230.000 copie, rivista rivolta principalmente a donne dai 25 ai 35 anni che aspirano a una carriera internazionale; propone uno stile elegante.

110.000 copie, il target comprende donne dai 25 ai 35 anni, lo stile rientra nel mainstream.

CLASSY AneCan UNI.T

215.000 copie, il pubblico femminile ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni, soprattutto Office Ladies; lo stile proposto è elegante.

320.000 copie, rivista rivolta a donne fino ai 30 anni, lettrici più adulte della rivista CanCam, da cui deriva. Lo stile proposto è elegante e sofisticato.

80.000 copie, il target è composto da studentesse universitarie tra i 18 e i 24 anni; rivista gratuita di fashion e beauty che propone uno stile carino e quotidiano, ma che dà anche informazioni su circoli e corsi. Distribuito solo nelle prefetture di Tokyo e Kanagawa.

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Steady BAILA GLITTER

120.000 copie, la rivista si rivolge a giovani OL sui 25 anni che cercano uno stile semplice ma carino per andare al lavoro.

160.000 copie, rivista di fashion e informazione per OL dai 25 ai 35 anni; lo stile di alto senso estetico propone indumenti casual ma anche formali e graziosi per il lavoro.

250.000 copie, rivista rivolta a donne dai 25 ai 33 anni che non vogliono sentire l’età; fornisce informazioni su fashion, beauty, lifestyle, amore e lavoro. Lo stile proposto si definisce “international-celeb”.

GISELe GLAMOROUS 25ans

78.000 copie, rivista rivolta a un pubblico tra i 25 e i 40 anni, propone uno stile misto adulto e carino allo stesso tempo, internazionale. Tratta argomenti di fashion, beauty e celeb.

120.000 copie, rivista che propone uno stile di fashion elegante, raffinato e sexy per donne sui 30 anni.

72.000 copie, rivista indirizzata a donne dai 25 ai 35 anni, incentrata su fashion di stile europeo di fascia alta e su informazioni di beauty globale. Rivista conosciuta anche in Cina.

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ENVY

Rivista di beauty e fashion indirizzata a ragazze tra i 18 e i 25 anni che seguono uno stile “total beauty fashion” elegante.

Natural-kei: il target principale dello stile “natural” è composto da casalinghe dai 20 anni in su; lo

stile è semplice, dai colori uniformi, con dettagli o decori fatti a mano.

Naturela (Nachurira) Liniere (Rinneru)

50.000 copie, prima rivista a proporre uno stile naturale occidentale, semplice ma elegante. Indirizzata a casalinghe.

300.000 copie, rivista che propone uno stile elegante per una vita semplice e “leggera”.

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High-fashion: riviste che propongono uno stile di alta moda, dai brand ricercati e costosi.

VOGUE Japan ELLE Japon So-en

100.000 copie, versione giapponese di “Vogue”, rivolta a donne dai 25 anni in su; i temi trattati sono fashion, beauty e lifestyle. Lo stile è caratterizzato da alta qualità e originalità.

105.000 copie, rivista di fashion, beauty e cultura per donne sui 30 anni; lo stile è internazionale e sofisticato.

75.000 copie, la prima rivista di fashion pubblicata in Giappone; famosa anche per i nuovi trend proposti e per le notizie sui nuovi fashion designers in Giappone e nel resto del mondo. Indirizzata a donne dai 20 ai 30 anni.

Ginza SPUR FUDGE

100.000 copie, rivista rivolta a donne lavoratrici dai 20 a 40 anni economicamente indipendenti; lo stile è raffinato, e include diversi brand famosi come Louis Vuitton e Moschino. Tratta anche nuovi centri di ristorazione.

120.000 copie, rivista di fashion “intellettuale”; lo stile proposto è un misto tra elegante, e casuale. È rivolta a un pubblico tra i 18 e i 40 anni, ma le lettrici più frequenti hanno tra i 20 e i 30 anni.

150.000 copie, rivista rivolta a donne dai 20 ai 30 anni; non si incentra solo su fashion, ma anche su musica, arte e film. Lo stile proposto è casual.

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gap PRESS FASHION NEWS MODE et MODE

Rivista che presenta le nuove e distinte collezioni gap dal top trend internazionale.

Rivista che presenta le collezioni di ogni stagione e un database con i profili dei designers di ogni brand.

La prima rivista sulle collezioni pubblicata in Giappone. Presenta le ultime collezioni da tutto il mondo, i designers e i modelli.

Riviste femminili dai 30 anni

VERY LEE Domani

230.000 copie, rivista rivolta a donne 30enni, propone un fashion mainstream.

310.000 copie, rivista di informazioni, beauty e fashion rivolta a donne 30enni in carriera o casalinghe; lo stile è elegante. È caratterizzato da molte pagine contenenti buoni sconto.

130.000 copie, rivista di fashion, lifestyle, beauty e make-up che si propone di fornire tutte le informazioni a donne in carriera sui 30 anni.

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Grazia Precious STORY

68.000 copie, rivista di fashion in voga tra le donne dai 25 ai 50 anni, propone uno stile di alta classe e di fascia alta, con riferimenti al fashion internazionale e ad uno stile di vita raffinato.

113.000 copie, rivista indirizzata a donne acculturate dai 30 ai 50 anni; non si limita al fashion, ma tratta anche lifestyle, viaggi, beauty e interior design. Lo stile proposto è elegante.

260.000 copie, rivista rivolta a donne dai 35 ai 50 anni che non si occupano più della cura dei bambini, che vogliono riprendere a lavorare e che vogliono creare una nuova e interessante “storia”; oltre al fashion gli argomenti trattati sono beauty, gioielli, lifestyle, cosmesi, sport e interior design. Lo stile proposto è casual ma elegante.

Como saita InRed

68.700 copie, rivista rivolta a donne di mezza età che dopo la cura dei bambini vogliono dedicarsi a sé stesse; gli argomenti trattati sono fashion e hairstyle.

115.000 copie, “design magazine” che si rivolge alle donne dai 25 anni in su, per uno stile di vita e di moda elegante.

116.000 copie, rivolto a donne sui 30 anni, propone uno stile di fashion casual raffinato, da adulto ma grazioso allo stesso tempo.

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Marisol GLOW DRESS

60.000 copie, rivista di fashion elegante per le 40enni.

300.000 copie, rivista rivolta a donne 40enni che vogliono “brillare”, pubblica informazioni utili per uno stile elegante.

300.000 copie, rivista rivolta alle donne di 40 anni incentrata su fashion e beauty.

Lady Boutique Style Book

85.000 copie, rivista di fashion dallo stampo occidentale che segue la moda di ogni stagione; in particolare sono famosi i vestiti da “zitella”.

87.000 copie, rivista incentrata su abiti di sartoria e indirizzata a signore dai 40 ai 60 anni che hanno come passatempo il cucito.

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Riviste femminili dai 50 anni

eclat Croissant Premium HERS

60.000 copie, rivista per donne attive dai 50 anni che non tratta solo fashion, ma anche viaggi, salute, bellezza e arte.

70.000 copie, rivista indirizzata alla prima generazione di lettrici della rivista Croissant, dalla cui prima pubblicazione sono trascorsi 30 anni; tratta temi di bellezza per le donne che dopo la crescita dei figli vogliono tornare ad occuparsi di sé stesse.

71.000 copie, rivista di bellezza rivolta a donne dai 45 anni in su.

Traditional Japanese

Kimono Salon Utsukushii kimono

50.000 copie, la rivista mira a istruire un pubblico dai 30 ai 50 anni su un uso pratico e fashion del kimono.

110.000 copie, rivista indirizzata a donne dai 20 ai 50 anni per far apprezzare l’arte di indossare il kimono.

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Versioni giapponesi di riviste occidentali

NYLON JAPAN

(200.000 copie): rivista indirizzata a donne dai 20 ai 40 anni, incentrata su uno street style internazionale.

Wedding

25ans Wedding Zexy City wedding

70.000 copie, rivista indirizzata alle donne in procinto di sposarsi, con informazioni su abiti da sposa, hairstyle, gioielli, fiori e altro.

300.000 copie, rivista completa di ogni informazione per l’organizzazione di un matrimonio, con locations, vestiti, gioielli, ecc.

(30.000 copie): rivista su consigli e informazioni per l’organizzazione di cerimonie nuziali, con report di esperienze di lettori.

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Riviste per uomo

Le seguenti riviste rivolte ad un pubblico maschile sono le più vendute.

Kireime-kei (celeb casual): stile in voga tra i 20enni universitari, focalizzato sull’essere magri, puliti

e un po’ conservativi; siccome è apprezzato fra le donne si usa chiamarlo anche “mote clothes”,

dove “mote” significa “essere popolare”.

FINEBOYS Samurai elo

130.000 copie, rivista per giovani dai 15 ai 30 anni; non fornisce informazioni solo su fashion, ma anche su macchine, sport, cultura e computer. Lo stile proposto è casual.

250.000 copie, rivista rivolta a ragazzi studenti dalle medie all’università, lo stile è street casual; si trattano anche temi beauty e amore.

Salon-kei: stile diffuso tra i ventenni universitari, propone uno stile femmineo ricco di accessori.

CHOKi-CHOKi

200.000 copie, rivista popolare incentrata su fashion di ultima tendenza, hairstyle, make-up, e le ultime tecniche di haircare e facecare. Altri temi sono accessori, cultura.

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Onii-kei, Gyarus: versione maschile delle “gyaru”, dai 20 ai 40-50 anni; lo stile si riconosce da una

spiccata abbronzatura, un taglio medio-lungo di capelli generalmente tinti chiari, scarpe in pelle e

jeans solitamente con un effetto vintage “slavato”.

men’s egg MEN’S KNUCKLE

250.000 copie, rivista rivolta a ragazzi dai 17 ai 25 anni, incentrata su fashion, hearstyle, ragazze.

200.000 copie, rivista di fashion con brand importanti, hairstyle e streetsnaps.

Street fashion: stile casual diffuso tra i 18 e i 30 anni, con elementi che variano a seconda di cos’è

in voga in quella stagione.

STREET JACK GET ON!

160.000 copie, rivista di fashion rivolta a giovani fino a 20 anni, con speciale attenzione rivolta a jeans, orologi da polso, occhiali e sneakers.

100.000 copie, rivista indirizzata a ragazzi fino a 20 anni, introduce elementi “indispensabili” per la street fashion.

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Hip Hop

WOOFIN’ 411

300.000 copie, la più autorevole rivista sullo stile hip-hop, con informazioni su fashion, musica, danza, club, cultura hip-hop.

300.000 copie, fashion magazine di hip-hop style, con presentazione di abbigliamento degli artisti nel settore.

Designer Clothing: stile caratterizzato da brand di lusso, diffuso in particolare tra ragazzi fra i 20 e i

30 anni.

MEN’S NON-NO POPEYE

370.000 copie, la più autorevole rivista di moda maschile, rivolta a ragazzi delle scuole superiori e universitari; è divisa in sezioni comprendenti moda di boutique e rinomati brand globali. Contiene anche numerose streetsnaps sullo stile in voga nelle principali città del mondo in Europa e in America.

71.500 copie, rivista-catalogo fashion per giovani uomini urbani dai 20 ai 40 anni; lo stile proposto è casual.

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Kireime onii-kei: una versione “pulita” dello stile onii-kei.

Men’s JOKER SENSE

200.000 copie, rivista rivolta a uomini dai 20 ai 40 anni, lo stile fashion proposto è casual e ricalca lo stile delle celebrità di Hollywood, puntando però su brand accessibili.

70.000 copie, rivista indirizzata a uomini 20enni che dallo street fashion passano ad uno stile casual più maturo.

Business suits: per uomini dai 20 ai 50 anni.

GQ JAPAN Begin

65.000 copie, rivista di fashion maschile e lifestyle internazionale; altri temi trattati sono viaggi, arte, cultura, gourmet, design.

86.000 copie, rivista che si focalizza su oggetti di alta qualità per un fashion “mote” e trendy, ricco di fashion snaps.

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Riviste maschili dai 30 anni

MEN’S CLUB LEON

510.000 copie, rivista di fashion che propone uno stile sofisticato e sempre nuovo, ad un lettore di età media dai 30 ai 50 anni.

100.000 copie, rivista di fashion, lifestyle e suit-style per uomini dai 35 ai 50 anni; lo stile è di alto livello.

High Fashion: riviste maschili di alta moda.

FASHION NEWS Men’s men’s FUDGE

Rivista di fashion e collezioni dalle principali città di moda del mondo.

Rivista di alta moda per un pubblico tra i 20 e i 40 anni.

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Fiere

Esporre in una fiera all’estero è uno dei metodi più veloci ed economicamente efficaci per

raggiungere nuovi consumatori e incrementare il proprio business.

Alcuni prodotti a causa della loro natura sono difficili da vendere finché il potenziale buyer non ha

occasione di esaminarli di persona; volantini e brochures possono essere utili, ma una presentazione

presso eventi commerciali come fiere, missioni e delegazioni per incontri potrebbe essere più

vantaggiosa.

Partecipare a una fiera implica una grande preparazione: il potenziale esibitore deve prendere in

considerazione le seguenti considerazioni logistiche:

• Scegliere la fiera adatta tra le centinaia che si tengono ogni anno

• Ottenere uno spazio, disegnarlo e allestirlo

• Spedire i prodotti alla fiera, spacchettarli e disporli

• Provvedere a un'adeguata ospitalità, come un rinfresco

• Saper distinguere tra seri prospetti di business e semplici browsing

• Smontare lo spazio, impacchettare e rispedire il tutto

Le fiere sono solitamente aperte al pubblico, ma in alcune ore (generalmente la mattina o i giorni

feriali) l'ingresso è limitato alle persone interessate a fare business con gli espositori.

Una caratteristica giapponese è la frequente organizzazione di fiere da parte dei gruppi industriali.

Secondo il database delle esposizioni della rivista “Pop”63 quasi la metà delle fiere tenute in

Giappone (44%) è organizzata da enti privati e aziende di servizi pubblici. Recentemente il numero

di aziende specializzate in organizzazione di mostre e fiere è aumentato, così come il numero di

eventi organizzati, mentre il peso dei gruppi industriali è diminuito. Infatti sono numerose le fiere

organizzate da enti pubblici, case editrici, aziende di attrezzatura di sale, e specializzate in

progettazione.

Gli eventi organizzati dai gruppi industriali, più che fiere caratterizzate da una trattativa

commerciale improntata a un'inutile competizione tra impiegati all'interno dell'azienda, sono

esibizioni che considerano soprattutto una pubblicità che aumenti il riconoscimento sociale nel

settore. Tradizionalmente l'influenza di grossisti e ditte commerciali era forte, e non vi erano molti

spazi in cui promuovere le fiere come tramite per le operazioni commerciali.

63 http://www.jetro.go.jp/j-messe/column/pdf/fair_exhibition.pdf

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Grazie al notevole avanzamento tecnologico, le fiere sono divenute molto efficienti nella

divulgazione di informazioni; per questo motivo sono viste dalle aziende come potenti occasioni di

marketing.

Gli espositori presentano i nuovi prodotti esibendo capacità tecnologiche per migliorare l'immagine

dell'azienda; i prodotti che vengono esposti in fiera, rispetto ai prodotti esistenti sul mercato, sono

prototipi che l’azienda vuole presentare al pubblico e pubblicizzare.

Le fiere sono un vero e proprio “campo di battaglia” in cui si mette a rischio l’immagine dell'azienda

nell’ambito di una forte competizione; questo concorre ad aumentare sia il numero degli espositori

che quello dei compratori e degli interessati al settore.

Le maggiori fiere legate al reparto moda

Gennaio

• JWF INTERNATIONAL FASHION FAIR (JWF-IFF), Tokyo, 26.000 visitatori. La più grande fiera

del fashion in Asia: vi partecipano circa 700 aziende da più di 60 Paesi; l'entrata è libera, solo

a scopo di business.

Febbraio

• MANICOLLE TOKYO, Tokyo, 197.000 visitatori. Fiera dinamica e varia che colleziona più di 90

brand giovani ma anche già affermati, innovativi e di alta qualità.

• ROOMS SPRING, Tokyo, 13.500 visitatori. Fiera internazionale di fashion e design; gli

espositori vengono selezionati per creatività e originalità, con più di 400 brand presenti. Uno

spazio è riservato per i designer emergenti.

Giugno

• FASHION GOODS & ACCESSORIES EXPO, Tokyo, 74.000 visitatori. Fiera che riunisce vari

accessori fashion da tutto il mondo, come gioielli, sciarpe, orologi, borse, portafogli, ecc.

Luglio

• JWF INTERNATIONAL FASHION FAIR (JWF-IFF), Tokyo, 25.000 visitatori. La più grande fiera

del fashion in Asia: vi partecipano 750 aziende circa da più di 60 Paesi; l'entrata è libera, solo

a scopo di business.

Agosto

• TOKYO GIRLS COLLECTION, Saitama. Una esibizione/sfilata dedicata alla moda giovane

urbana giapponese, organizzato da F1 Media Inc. Il limitato numero di marche esposte è

bilanciato dalla partecipazione di top model e artisti giapponesi.

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Settembre

• MANICOLLE TOKYO, Tokyo, 193.000 visitatori. Fiera dinamica e varia che colleziona più di 90

brand giovani ma anche già affermati, innovativi e di alta qualità.

• ROOMS AUTUMN, Tokyo, 17.000 visitatori. Fiera internazionale di fashion e design; gli

espositori vengono selezionati per creatività e originalità, con più di 600 brand presenti. Uno

spazio è riservato per i designer emergenti.

Vi è poi da segnalare l’iniziativa fieristica MODA ITALIA, organizzata dall’Istituto per il Commercio

Estero di Tokyo, che raccoglie per ogni stagione produttiva circa 150 firme esclusivamente italiane

di fascia medio-alta e taglio classico-moderno.

ROOMS (www.roomsroom.com) è una fiera organizzata da HP France e dedicata alla moda giovane,

alternativa e contemporanea dal Giappone e dal mondo. La Camera di Commercio Italiana partecipa

con un suo spazio, che utilizza per promuovere firme italiane di design non convenzionale attraverso

l’iniziativa biannuale “iStanze di Moda”.

Le missioni commerciali

Le missioni commerciali sono viaggi internazionali organizzati da agenzie governative nazionali o

provinciali, ed effettuati da funzionari di governo e persone d'affari per esplorare opportunità di

business internazionale. Le aziende medio-piccole trovano attraenti le missioni di commercio per

alcuni motivi:

• Il supporto visibile di istituzioni o organizzazioni del proprio Paese conferisce prestigio in

Giappone

• Sconti su biglietti aerei, hotel e trasporti rendono più conveniente partecipare a queste

iniziative rispetto all’organizzazione in proprio

• L'impatto di una visita di gruppo è più forte di una visita individuale

• Prima dell’arrivo, gli organizzatori istituzionali pubblicizzano la visita e intrattengono

rapporti con le aziende locali interessate

Nel mercato giapponese della moda, occorre prestare attenzione ad alcune peculiarità che è

necessario tenere in considerazione per la preparazione della missione:

• Le missioni commerciali in Giappone necessitano di maggior tempo nell’organizzazione

rispetto ad altri paesi. La promozione delle aziende partecipanti a meno di un mese dalla

data dell’evento è generalmente considerata non professionale e non adeguata per

consentire una valutazione dell’offerta.

• La controparte giapponese difficilmente partecipa all’incontro per un generico interesse, ma

dopo attento esame del materiale di presentazione o per un consolidato rapporto di fiducia

con l’ente organizzatore. Il valore di una partecipazione a un incontro da parte di un’azienda

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è di norma segno di un interesse specifico. Per lo stesso motivo, vi è normalmente disagio a

effettuare incontri di presentazioni in mancanza di un interesse definito o di un rapporto già

consolidato.

• In caso di mancato interesse, l’importatore giapponese tende a non comunicare una risposta

negativa netta ma a dilatare i tempi di risposta o a utilizzare espressioni indirette, che

potrebbero essere percepite erratamente dalla controparte italiana.

La Camera di Commercio Italiana in Giappone organizza regolarmente missioni commerciali

servendo l’industria della moda, fornendo supporto nella preparazione del materiale e degli

incontri.

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TRACCIABILITÀ DEL MARCHIO IN GIAPPONE

ETICHETTATURA

Il panorama legislativo

I requisiti di etichettatura per la vendita di articoli di abbigliamento e relativi materiali sono

specificati, in fig. 1, secondo i provvedimenti della legge sull'etichettatura qualitativa di articoli

casalinghi in materia di prodotti tessili e articoli assortiti64. L'etichettatura dei prodotti importati

dall'estero deve presentare informazioni quali nome e contatto del produttore in una posizione ben

visibile al consumatore e in lingua giapponese.

Tabella 4 - voci richieste per l'etichettatura dalla legge sull'etichettatura qualitativa di articoli casalinghi

Voce Requisiti etichettatura

Articoli di abbigliamento

1) Composizione del tessuto 2) Istruzioni lavaggio ecc. 3)

Repellenza 4) Tipo di pelle (limitato ai prodotti parzialmente in

pelle) 5) Nome del produttore e informazioni di contatto

(indirizzo o numero di telefono)

Articoli in pelle

1) Composizione 2) Dimensioni (guanti) 3) Precauzioni per l'uso 4)

Nome del produttore e informazioni di contatto (indirizzo o

numero di telefono)

Borse

1) Composizione 2) Precauzioni e conservazione 3) Nome del

produttore e informazioni di contatto (indirizzo o numero di

telefono)

Calzature

1) Composizione tomaia (pelle sintetica) 2) Materiale suola

esterna (gomma, materiale sintetico ecc.) 3) Precauzioni 4) Nome

del produttore e informazioni di contatto (indirizzo o numero di

telefono)

Materiali abbigliamento (filati, fibra

tessile, ecc.)

1) Composizione del tessuto 2) Nome del produttore e

informazioni di contatto (indirizzo o numero di telefono)

Inoltre, i contenitori e gli imballaggi sono soggetti a norme di etichettatura al fine di promuovere la

raccolta differenziata. Qualora vengano utilizzati carta o plastica come imballaggio per singole parti

di un prodotto, per le etichette o per l'imballaggio esterno, deve quindi essere posto un marchio

64 Japanese Law Translation: http://www.japaneselawtranslation.go.jp/law/detail/?id=1874&vm=04&re=01

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identificativo su almeno un lato del contenitore con relative informazioni sull'uso del materiale.

Nell'indicare il materiale dell'imballaggio o del contenitore, sia l'importatore e il venditore devono

usare lo stesso marchio di identificazione usato per i prodotti nazionali giapponesi.

Le etichettature volontarie

Tutti i prodotti industriali inclusi nella lista prodotti per le attività industriali

giapponesi (JIS) certificati da un privato terzo autorizzato dal governo giapponese

(enti di certificazione autorizzata), possono riportare il marchio JIS, che può essere

posto direttamente sui prodotti e/o sull'imballaggio, dimostrando così la conformità

del prodotto stesso ai rigidi standard qualitativi previsti dal regolamento o da JIS. Il

marchio JIS, gestito dal Ministero dell'Economia, Commercio e Industria (MITI) sulla base degli

standard nazionali, promuove gli sforzi mirati a garantire un'adeguata qualità dei prodotti, a fornire

informazioni dettagliate su prodotti e su livello tecnologico, e a garantire un ambiente competitivo.

Per ottenere il permesso di riportare il marchio, la certificazione deve essere garantita da un ente

autorizzato dal ministero di competenza. Se un produttore, importatore o venditore desidera

ottenere il marchio JIS sul prodotto, deve presentare domanda a un ente terzo riconosciuto

(Accredited Certification Body). Il marchio non può in alcun modo essere usato solamente sulla base

di dichiarazione personale di conformità agli standard65.

I programmi di etichettatura autonoma sono possibili per articoli di abbigliamento, prodotti in pelle,

borse, calzature e altri articoli di abbigliamento così come per i materiali di vestiario.

Tra questi: il marchio di garanzia “Woolmark”, che certifica il rispetto degli standard di qualità per i

prodotti di lana; i marchi “Silk Mark” e “Japanese Silk Mark” che certificano il rispetto degli standard

per i prodotti di seta (“Japanese Silk Mark” è esclusivamente per la seta prodotta in Giappone);

l'etichetta “JES labeling” che garantisce che l'uso di prodotti chimici, quali la formaldeide, in articoli

di pelle rientra nelle linee guida previste a garanzia di sicurezza del consumatore; l'etichettatura JFA

(Japanese Fur Association), che mira a garantire la qualità dei prodotti di pellicceria.

Protezione del marchio66

Le economie asiatiche più avanzate si affidano a una larga disponibilità di diritti di proprietà

intellettuale per organizzare gli investimenti in innovazioni - brevetti per invenzioni, design,

copyright, trademark, competizione sleale – insieme a un’amministrazione puntuale ed efficiente.

Il Giappone è un Paese tra i più avanzati per forti sistemi di brevetti di invenzioni, incluso un corpo

65 http://www.jetro.go.jp/en/reports/regulations/pdf/cons2010ep.pdf

66 Per questa sezione, ci si avvarrà del contributo di ricerca della dott.ssa Sara Battaggia, dell’università Ca’ Foscari di

Venezia, che ha sviluppato una tesi sulla protezione del marchio in Giappone i cui contenuti riassumiamo qui.

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di esperti esaminatori che revisiona le applicazioni di tali brevetti; i brevetti a capitale nazionale

hanno sempre superato i brevetti a capitale straniero.

Nel 2001 lo share di affiliazioni straniere nel settore manifatturiero rappresenta solo il 2,6% del

totale.

Il nuovo Copyright Act del 1970 combina elementi del copyright statunitense ed europeo: protegge

i diritti morali degli autori e i diritti vicini di artisti, produttori di fonogrammi e persone che lavorano

nel mondo dello spettacolo, conferisce tutti i diritti nei lavori del settore impiegatizio.67

Il sistema dei diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, design, informazioni aziendali

riservate, copyright e altri) sono disciplinati da Leggi e Trattati di tutela come il Trademark Law

Treaty previsto per i marchi; le aziende vi fanno sempre più riferimento perché il fenomeno delle

violazioni della proprietà intellettuale è in continuo aumento, e l'investire in ricerca e sviluppo per

sviluppare una situazione di concorrenza leale può risolvere questo problema.

In Giappone il concetto di proprietà intellettuale secondo gli art. 1 e 2 della Legge sulla tutela della

Proprietà Intellettuale n. 122 del 2002 si riferisce a tendenze generali in materia di creatività umana

e tecniche di gestione.68

Legge sulla responsabilità del prodotto

Questa legge si occupa della responsabilità per il risarcimento danni da parte dei produttori nel caso

di danni a beni, persone fisiche e vita delle persone dovuti precisamente a difetti dei prodotti.

Legge del design (ishô-hô)

Legge n. 125 del 1959, emendata con Legge n. 55 del 2006

Questa legge garantisce la protezione quindicennale per l'utilizzo, l'assegnazione, il leasing,

l'esportazione, l'importazione e la locazione di un prodotto purché possieda le seguenti

caratteristiche:

• Attrattiva visuale: l'elemento estetico deve essere percepito da occhio umano

• Fruibilità industriale: il design deve essere riprodotto in serie

• Novità: non devono esistere design simili o identici in Giappone o in un altro Paese

• Creatività

• Unicità e originalità

• Idoneità: il prodotto non deve ledere l'ordine pubblico e la pubblica morale

67 P. Ganea, T.V. Garde, A.I.Woolley, Intellectual Property in Asia, Springer Ed.

68 Intellectual Property Basic Act, art. n. 122 del 4/12/2002.

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• Priorità

La suddetta legge fornisce un sistema di protezione unico, e comprende anche:

• Sistema di design correlato: registrazione di un design simile a quello originale

• Design di un insieme di oggetti (registrazione multipla): ad esempio le stoviglie

• Design segreti: è possibile tenere segreto il design per un massimo di 3 anni

• Design parziali: registrazione di parti di forme o forme con caratteristiche distinte

Protezione per i design degli schermi: registratori DVD, telefoni cellulari, stampanti fotografiche

La durata della registrazione è di 20 anni, ed è necessario pagare una rendita annua, ma se la forma

dell'oggetto diventa famosa è possibile ricevere protezione contro la concorrenza sleale.

Il processo di registrazione dura circa 8 mesi dalla presentazione della domanda, perché in generale

l'esame del prodotto dura circa 6 mesi, e la registrazione 1-2 mesi. Le tasse per la domanda e la

registrazione si suddividono in:

• Tasse per la domanda: 16.000¥ per ogni disegno o modello

• Quote di registrazione: 8.500¥

• Rendita annuale: 8.500¥ da 1 a 3 anni, 16.900¥ da 4 a 10 anni, 33.800¥ da 11 a 20 anni

Se un marchio o design non è registrato può comunque godere di protezione se diventa noto o

famoso in Giappone; inoltre le forme dei beni sono protette penalmente e civilmente fino a 3 anni

a decorrere dalla data in cui sono stati venduti per la prima volta in Giappone, anche senza

registrazione del brevetto.

Il licensing dei marchi

La licenza di marchio permette di usare il marchio in relazione a prodotti dello stesso genere

merceologico di quelli fabbricati o commercializzati dallo stesso licenziante.

La licenza di merchandising di marchio concede il diritto di usare il marchio in relazione a prodotti

differenti da quelli fabbricati o commercializzati dal licenziante.

Per evitare che si contrassegni con il marchio licenziato prodotti di qualità inferiore è consigliabile

prevedere nel contratto standard di qualità, previsione delle forme e modalità di controllo.

Legge del marchio (shôhyô-hô)

Legge n. 127 del 13 aprile 1959 emanata dalla Legge n. 55 del 2006.

È il diritto esclusivo di utilizzare ogni parola, figura o segno, forma tridimensionale o combinazione

di questi elementi in qualunque tipo di colore, ed è protetto come marchio di fabbrica se designa

merci o prodotti, o marchio di servizio se tutela un servizio; esso vieta l'utilizzo e la registrazione di

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un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o affini, se sussiste un rischio di confusione

per il pubblico. La tutela si estende anche a prodotti e servizi non affini in presenza di un pregiudizio

per il titolare o di un indebito vantaggio per il terzo.

La tutela del marchio registrato è soggetta a limiti di natura territoriale e logica, poiché l'efficacia

del marchio è limitata ai Paesi nei quali il segno distintivo viene depositato e registrato; quindi se si

desidera una tutela a livello internazionale è necessario effettuare la registrazione nei vari Paesi di

interesse.

Riguardo la scelta del marchio è sconsigliabile l'adozione di segni d'uso comune per il rischio di

confondersi con la concorrenza e per la mancanza di “capacità distintiva”; inoltre il marchio non

deve ricadere nell'ambito di protezione di altri marchi o segni distintivi anteriori di terzi. Pertanto è

consigliabile effettuare ricerche di anteriorità a livello nazionale, comunitario e internazionale e nei

territori di interesse tra marchi identici (“ricerca di identità”) e simili (“ricerca di similitudine”),

depositati o registrati per prodotti identici o affini ai propri.

La Legge sul marchio offre uguale protezione sia per cittadini giapponesi che per stranieri anche non

residenti in Giappone, e alle imprese senza sede centrale o filiale nel Paese.

Ai sensi della suddetta legge è stata prevista la seguente classificazione:

• Marchi costituiti da caratteri giapponesi, alfabetici e altri caratteri stranieri

• Marchi costituiti da simboli

• Marchi costituiti da caratteri e simboli

• Marchi tridimensionali (bambole, sfere e segni tridimensionali)

Grazie all'emendamento del 2006 è possibile registrare anche nomi di negozi.

La somiglianza del marchio è valutata dall'esaminatore dell'Ufficio Marchi e Brevetti sulla base di

suono, significato e aspetto del marchio; se una caratteristica è simile a quella di un altro marchio,

esso non è utilizzabile né registrabile. Odori, sapori e marchi dinamici non sono tutelati.

Registrazione del marchio collettivo (dantai shôhyô)

Legge n. 127 del 1959

Prevede la registrazione da qualsiasi gruppo costituito da imprese purché siano corporazioni

ufficiali.

Un emendamento giuridico del 2005 ha inoltre introdotto il “Sistema del marchio collettivo

regionale” al fine di proteggere e rafforzare i marchi regionali, tramite la registrazione di un nome

regionale e un nome generico di prodotto o servizio (es. Aomori-Ringo per le mele di Aomori).

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Marchi di servizio

La suddetta legge fornisce protezione anche per alcuni oggetti che non sono qualificati come marchi,

oppure che sono qualificati come tali ma non registrati.

Marchi non registrabili

Sono tali se sono identici o simili alla bandiera nazionale, al crisantemo imperiale, alle decorazioni,

medaglie o bandiere nazionali straniere, stemmi o qualsiasi altro emblema di Stato, al simbolo delle

Nazioni Unite, alla Croce Rossa o qualsiasi altra organizzazione internazionale; sono inoltre non

registrabili marchi consistenti in ritratti, nomi o pseudonimi noti tra i consumatori, o che possano

creare confusione con i beni e i servizi.

Il marchio noto

Vi è la possibilità di inibire la registrazione o cancellare un marchio noto nei seguenti casi:

Se una persona presenta domanda di registrazione di un marchio noto usato da un'altra per le stesse

merci e/o servizi simili prima della domanda dell'effettivo utilizzatore ed essa viene accolta,

l'utilizzatore legittimo può inoltrare una richiesta di invalidazione

Il successore in un'attività d'affari che utilizza un marchio non registrato è considerato il legale

proprietario ma, in caso di iscrizione di altri, gli può essere richiesto di applicare indicazioni per

evitare confusioni

Se un marchio diventa famoso tale che un suo utilizzo possa creare confusione tra i consumatori, la

domanda di registrazione del non-utilizzatore verrà respinta

Legge di prevenzione della concorrenza sleale

Essa prevede misure protettive come l'inibitoria dell'uso da parte di terzi, la corresponsione di danni

e altre misure; il titolare di un marchio registrato famoso può chiedere la registrazione di loghi

difensivi (detti “marchi difensivi”) identici a quello registrato in relazione a prodotti e servizi diversi

da quelli inizialmente designati.

Il processo di registrazione

Ogni Paese membro dell'Accordo di Nizza, compreso il Giappone, è tenuto ad applicare la

ripartizione in 45 classi merceologiche (32 per le merci e 8 per i servizi), indicandola nei documenti

e nelle pubblicazioni ufficiali delle proprie registrazioni; La notifica delle ragioni di rifiuto è rilasciata

se i beni/servizi sono designati a 8 o più gruppi simili per classe; è inoltre consigliabile estendere la

protezione ai Paesi nei quali si trovano i principali fabbricanti concorrenti e i principali mercati di

sbocco dei prodotti, per bloccare all'origine eventuali contraffazioni.

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Al momento della richiesta di registrazione si consiglia di interpellare un consulente brevettuale

(benrishi); come per la domanda, si incorre nel pagamento dei diritti di iscrizione in due fasi

quinquennali.

Tasse per la domanda di registrazione (tôroku-ryô)

Art. 40, Legge n. 127 del 1959

Secondo tale legge il soggetto richiedente dovrà pagare una tassa per ogni domanda presentata

pagando rispettivamente per:

• Un marchio in una classe: 12.000¥

• Un marchio in classi multiple: 12.000¥ per la prima classe, 8.600¥ per ogni classe

supplementare

• Tassa di registrazione: 37.600¥ al marchio per classe

• Spese di rinnovo: 48.500¥ per classe

• Quote extra (parcelle legali, ecc.)

Registrazione internazionale dei marchi

È una procedura semplificata di registrazione e rinnovo del marchio che permette la concessione di

tanti marchi nazionali o “regionali” (es. marchio comunitario) quanti sono i Paesi designati nella

domanda; è sufficiente presentare un'unica domanda di registrazione all'OMPI (Organizzazione

Mondiale della Proprietà Industriale) tramite l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, e il costo del

deposito del marchio internazionale è meno elevato della somma dei costi di singoli depositi

nazionali. Successivamente il marchio viene preso in considerazione dagli Uffici Marchi dei Paesi

designati, i quali potranno eventualmente emettere un rifiuto di registrazione qualora non vengano

soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa locale. È possibile replicare a tale rifiuto mediante un

mandatario abilitato nel Paese in questione.

Per ottenere i diritti sul marchio in Giappone da un Paese straniero la domanda deve essere

depositata presso l'Ufficio Brevetti Giapponese, e se si ha intenzione di richiedere la registrazione

di un marchio solo in questo Paese o in un limitato numero di Paesi si può depositare la domanda

ai sensi della Convenzione di Parigi o dell'Accordo di Madrid.

Validità e durata della registrazione del marchio

Una volta registrato, un marchio è protetto per 10 anni a decorrere dalla data di registrazione

presumendo che esso non venga invalidato o cancellato, e questa protezione può essere rinnovata

per ulteriori periodi decennali, versando i diritti ogni 5 anni. La domanda per il rinnovo va presentata

preferibilmente 6 mesi prima della scadenza, ma si può anche presentarla 6 mesi dopo, con il

raddoppio dei costi.

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La recente riforma ha introdotto delle novità:

• La registrazione può essere rifiutata se il marchio è noto in Giappone o in un Paese estero e

se il fine della registrazione è ingiusto (fenomeno del free riding, lo sfruttamento parassitario

di un marchio noto all'estero)

• I marchi attualmente suddivisi nell'antica classificazione giapponese vengono riclassificati

secondo la prassi internazionale

• Chiunque può intentare un'azione di cancellazione per marchi non utilizzati

• L’uso del marchio nei 3 mesi precedenti la registrazione non è più ritenuto un uso

legittimamente sufficiente a respingere l'azione di cancellazione

• La cancellazione ha effetto retroattivo, dall'inizio dell'azione di eliminazione

Cancellazione dei marchi

I marchi possono essere registrati anche se non sono in uso in base alla regola della priorità (first-

to-file), ma dopo tre anni una terza parte può presentare una petizione per la sua cancellazione;

l’uso di un marchio non si limita alla sua visualizzazione, ma anche alla stampa in un opuscolo, in

una pubblicità, o la visualizzazione su un sito internet.

Con la diffusione delle nuove tecnologie e di internet è stata facilitata la registrazione “abusiva” di

nomi a dominio; iscrivere con nome a dominio un marchio di fabbrica registrato e appartenente a

un altro soggetto non costituisce una violazione delle norme di protezione, ma può costituire un

atto di concorrenza sleale, così come il nome utilizzato come indirizzo del sito web ha anche lo scopo

di identificare i prodotti e l'attività del proprietario del sito.

Nel caso di un accordo di rappresentanza stipulato tra una società straniera e una nipponica, se

l'agente della società giapponese fa domanda di registrazione del marchio della società estera senza

giusta causa o permesso, il titolare del marchio può presentare una petizione per l'annullamento

della registrazione giapponese.

Tutela del made in Italy

L'Italia è tra gli Stati che più soffrono la concorrenza dei prodotti provenienti dai Paesi asiatici: dal

1993 a oggi, ad eccezione di alcuni anni, si è registrata una costante diminuzione delle quote di

mercato nei comparti dell'abbigliamento (vestiario, calzature, accessori, gioielleria), beni per la casa

e altri; inoltre l'Italia è il primo produttore in Europa e terzo nel mondo dopo Cina e Paesi emergenti

di merce contraffatta.

Negli ultimi anni Consorzi, Associazioni e Istituzioni hanno creato marchi collettivi di certificazione

della reale provenienza delle produzioni e della qualità sociale e ambientale delle loro filiere in

difesa del made in Italy, e nel 2003 a Bruxelles si è tenuto il Primo Congresso mondiale sulla Lotta

alla Contraffazione, e la Commissione Europea ha adottato nel triennio 2005-2008 delle misure

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doganali volte a garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, e nel 2009 il Consiglio degli

Affari generali e Relazioni esterne dell'UE ha deciso di adottare il nuovo piano d'azione doganale di

lotta alla contraffazione per il periodo 2009-2012.

In Italia è nata la Direzione Generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti Marchi

(UIBM), che ingloba le funzioni dell'Alto Commissario e dell'UIBM.

A novembre 2009 il Parlamento Europeo ha votato a larga maggioranza il regolamento che istituisce

l'obbligo della denominazione d'origine per alcuni prodotti che entrano nel territorio dell'Unione,

quali prodotti tessili, gioielleria, abbigliamento, calzature, mobili, cuoio, lampade, ceramiche, vetro,

borse e borsette.

Tuttavia, anche il Giappone risente dei fenomeni di contraffazione derivanti dalle vendite effettuate

via internet, sia dai prodotti provenienti da Cina e Corea, sia dal fatto che i controlli doganali per le

merci in entrata e le sanzioni applicate per le merci contraffatte sono ancora insufficienti, e

l'importazione di tali merci per uso personale è ancora considerata legale.

Nel dicembre 2009 Italia e Giappone hanno firmato un accordo di cooperazione doganale che

semplifica le procedure e contrasta la contraffazione dei prodotti di lusso, mediante lo scambio di

informazioni sulle merci che infrangono i diritti di proprietà intellettuale; recentemente tuttavia si

sono riscontrati casi di utilizzo di etichette riportanti la dicitura “made in Italy” su capi di

abbigliamento prodotti al di fuori dell'Italia da parte di distributori giapponesi. Pertanto è stato

creato l'International Intellectual Property Protection Forum (IIPPF) che ha istituito degli intellectual

Property Research Groups (IPGs) per lo scambio di informazioni sulle misure anti-contraffazione.

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IL VANTAGGIO STRATEGICO DEL MADE IN ITALY NEI MERCATI GLOBALI

A cura di Junji Tsuchiya – Direttore Istituto Studi Italiani, Dipartimento di Sociologia, Università

Waseda, Tokyo

Il termine “made in Italy” è oggi oggetto di forti dibattiti. Recentemente sono affiorate alcune

criticità soprattutto riguardanti la sua identità, ovvero cosa si intenda effettivamente per made in

Italy e quale sia la sua ragion d’essere.

In questa sede cercheremo di fare chiarezza su alcuni punti critici del made in Italy, analizzando

innanzi tutto la “crisi d’identità” di cui è investito all’interno dello scenario economico

internazionale, per poi passare ad affrontare il dilemma delle strategie commerciali dei brand di

lusso.

Passeremo quindi a rassegna le caratteristiche di base all’interno delle difficili condizioni

dell’economia globale e i vantaggi strategici del made in Italy, tenendo in considerazione l’aumento

del valore del made in Italy a fronte della forte concorrenzialità globale e delle recenti ottiche di

sostenibilità e responsabilità sociale delle imprese, ma anche dal punto di vista dei cambiamenti di

stile di vita e dell’etica del consumo.

Il settore del lusso e la lotta con il mercato globale

Se da un lato l’industria del lusso subisce continue riorganizzazioni del settore in conseguenza ad

acquisti di società e strategie multilaterali, dagli anni ‘90 è esposta alle controversie dovute alla

diminuzione dei consumi e alla depressione del mercato, all’intensificarsi delle concorrenza sul

mercato globale, alla fluttuazione della finanza internazionale e ai cambiamenti dello stile di vita dei

consumatori, riuscendo comunque a sopravvivere ai periodi di “vento contrario” dell’economia.

Con l’intensificarsi della depressione si inizia a parlare di un crollo del “mito del brand”.

È risaputo che lo sfatamento di questo mito non è l’unica causa del peggioramento di questa

situazione poiché il mercato dei brand di lusso, invece di ridursi, sta allargando i suoi sbocchi

commerciali verso i consumatori di nuovi Paesi emergenti e i brand vincenti stanno riscontrando un

continuo aumento delle vendite.

Le industrie del fashion, che tradizionalmente nascono come maison di lusso di piccola scala e a

conduzione familiare, dagli anni ’80 si trasformano rapidamente in società per azioni, con l’obiettivo

di investire capitali nel mercato globale e di parteciparvi attivamente.

La riorganizzazione del mondo del fashion, effettuata durante il periodo di stagnazione economica,

ha apportato dei cambiamenti nell’efficienza del management delle aziende, creando un

bipolarismo molto marcato tra le aziende vincenti e quelle perdenti.

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Nel processo “sviluppo-produzione-distribuzione-vendita” la strategia del taglio dei costi ha portato

a effetti molto significativi soprattutto nel settore del lusso, creando uno shock nel mercato globale.

Le industrie hanno così cominciato a delocalizzare la produzione, creando distretti industriali al fine

di ridurre i costi, ma così facendo si è andato riducendo il valore dei prodotti. Questi prodotti che

richiedono molta manodopera hanno cominciato a circolare nel mercato globale, aumentando i

costi di produzione per le piccole imprese, che sono costrette in molti casi a chiudere.

Dagli anni ’90 anche le industrie dei brand di lusso hanno iniziato a delocalizzare la produzione verso

Paesi dai costi di manodopera più bassa, ottenendo però un deterioramento della qualità dei

prodotti.

È stato quindi necessario arrivare a dei compromessi capaci di garantire una produzione di alta

qualità ma a basso costo, e non è difficile immaginare quali siano stati tali compromessi.

I prodotti di lusso sono caratterizzati da alta qualità e da una produzione artigianale, e proprio per

questo motivo è difficile espandere il loro mercato mantenendo questi standard.

Infatti l’immissione nel mercato di prodotti a basso costo provenienti da altri Paesi porta al crollo

dei prezzi e a una crisi del mercato.

Poiché molte delle piccole-medio imprese che producevano in modo tradizionale non sono in grado

di mantenere gli elevati costi, spesso sono costrette a chiudere, mentre alcuni brand di lusso

riescono a sopravvivere alla crisi grazie a espedienti diversi, come delocalizzazione della produzione

o riduzione dei salari, anche se la situazione rimane tutt’ora critica.

Il mantenimento dell’alta qualità è un elemento indispensabile per garantire competitività alle

aziende di lusso, in quanto apporta valore sia al prodotto che all’azienda. Inoltre, è anche la

premessa per mantenere un comportamento leale e di vantaggio a livello di prezzi rispetto a

competitor in altri Paesi.

La qualità dei materiali, le tecniche di produzione, la funzionalità del design e i servizi aggiuntivi

costituiscono la proprietà intellettuale del produttore, e tentare di produrre qualcosa che non abbia

queste caratteristiche per espandere il proprio mercato comporta un grosso rischio.

Fast luxury

Oggi i prodotti di lusso vengono realizzati in varie centinaia di copie e acquistati soprattutto dalle

persone più abbienti dei Paesi emergenti. Con la diffusione del logo dei brand in tutto il mondo si

inizia a parlare di “democratizzazione del lusso”, anche se persistono numerose contraddizioni.

Innanzitutto, maggiore è la diffusione di un marchio, minore è il suo prestigio. Originariamente i

prodotti di lusso erano destinati a una ridotta élite di clienti, a rappresentarne il simbolo di prestigio

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economico e sociale, e non avevano alcun connotato di democraticità. Ciò che poteva essere

acquistato da tutti non era considerato lusso.

Il sistema di “produzione-distribuzione-controllo qualità”, che grazie alle recenti tecnologie è stato

completamente razionalizzato e reso sempre più efficiente, viene definito oggi “McDonaldizzato”.

Le aziende di fashion prestano un’attenzione particolare nel raggiungere gli obiettivi trimestrali

delle vendite e riducono sempre più la durata della vita del prodotto, al fine di crearne dei nuovi che

seguano il più possibile le tendenze del momento.

Per favorire il crearsi di una clientela abituale, si propone un vasto assortimento di prodotti a basso

costo, come piccoli oggetti in cuoio, profumi e sciarpe e si favorisce il più possibile la circolazione

delle merci assicurandosi alti profitti.

Negli interessi degli investitori, non c’è solo l’estetica del brand, ma anche i proventi dell’azienda.

Eccetto per i prodotti esclusivi, la capacità di mantenere il potere del lusso si sta indebolendo.

Il movimento di democratizzazione dei brand di lusso sta rendendo sempre più sottile la linea di

confine con i prodotti di massa a basso costo, definiti “fast fashion”.

Infatti, anche se vengono definiti “fast fashion” tutti i brand a basso prezzo, grazie all’elevata qualità

del design e a un sistema razionale di produzione-vendita che assicura una clientela fissa,

rappresentano una minaccia per i brand di lusso.

Il punto focale del fast fashion è lo stile casual. Nonostante negli ultimi anni ci siano stati numerosi

tentativi di collaborazione con i brand di lusso, questi ultimi hanno sempre rifiutato per timore di

vedere ridotto il valore dei loro prodotti.

Mentre il cosiddetto “mito del brand” continua a crollare, le aziende di lusso cercano di creare e

proteggere il valore del loro marchio, espandendo le sedi principali, rafforzando i rapporti con i

consumatori, attivando collaborazioni con artisti e celebrità, chiudendo i negozi che non

garantiscono sufficiente fatturazione e implementando le strategie pubblicitarie.

Per evitare la perdita o la diluizione del valore del brand, è necessario attuare delle strategie a fronte

delle situazioni di rischio.

Tali strategie possono essere riassunte nei seguenti cinque punti:

1. Proteggere l’esclusività del valore dei brand ponendo un limite al numero dei nuovi entranti

nella community del brand, rischio rappresentato dall’aumento di nuovi Paesi emergenti nel

mercato globale, e la penetrazione nel mercato di prodotti di massa. Ciò è attuabile nella

pratica:

a. Effettuando delle distinzioni nella classe dei nuovi compratori

b. Suddividendo e gerarchizzando i contenuti del brand, preservando e creando una

seconda linea di nuovi brand che ostacoli l’avvicinamento di nuovi compratori alle

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linee del fast fashion preservando la distinzione dei possessori del brand e dei

compratori precedenti

c. Limitando i volumi di produzione e di vendita (regolamentazione dei volumi)

d. Limitando la vendita dei prodotti (limitazione dell’accesso all’acquisto dei prodotti).

2. Implementare la flessibilità concentrando la gestione organizzativa e riducendo il campo

d’azione, onde evitare il rischio di un ritardo nella corrispondenza con i cambiamenti di

mercato. Come provvedimento concreto ciò si traduce con la creazione di una produzione

flessibile ai cambiamenti del mercato e una condotta aziendale dinamica, passando dal

modello Fordista a quello Ferrari – produzioni in quantità limitate destinate esclusivamente

a un numero ristretto di clienti vip.

3. Difendere una gestione ravvicinata dell’azienda da manovre finanziare internazionali che

indeboliscono la gestione del brand. Concretamente, questo significa evitare di esporre le

azioni aziendali all’acquisto da parte di soggetti esterni alla gestione.

4. Segmentare il mercato in base alla qualità, in risposta all’evoluzione del fast fashion di

espandere sempre più il mercato sia per prodotti a basso prezzo che per quelli ad alto livello

di design e funzionalità.

Come contromisura pratica, è necessario incrementare il valore aggiunto, sia passando da

una produzione labour intensive a una knowledge intensive – tramite l’adozione di soluzioni

con design di avanguardia e lo sviluppo di nuovi materiali ed elevata funzionalità – che

garantendosi la fedeltà del cliente attraverso il meccanismo della membership e la creazione

di una vera e propria brand community che possa proporre uno stile di vita basato sul

marchio.

5. Rafforzare la gestione del sistema di produzione e promuovere attività di CSR (responsabilità

sociale d’impresa) per rispondere efficacemente alle sfide del movimento di

antiglobalizzazione.

In questo caso, la soluzione consiste nel prevenire episodi di lavoro illegale e di transazioni

poco trasparenti, radicando nell’azienda processi di compliance e di accountability.

Poiché l’industria del lusso deve continuamente sostenere la creazione di brand ad alto valore

aggiunto tramite la vendita di prodotti ad alto valore aggiunto, si può dire che il valore del brand è

il valore dell’azienda. Un percorso di espansione aziendale che non mantenga la qualità risulta

presto fatale.

In un tale contesto, come può il “made in Italy” mantenere il valore del suo brand o creare un nuovo

stile? Prima di cercare di rispondere a tale domanda, dovremmo provare a capire nuovamente che

cosa sia il made in Italy.

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Cos’è il made in Italy?

I problemi che al giorno d’oggi il made in Italy sta affrontando non possono essere limitati al settore

del lusso. Il made in Italy, inteso come marchio di “Paese d’origine”, coinvolge tutte le categorie di

beni che vengono prodotti all’interno del suo territorio. Il significato di “frontiera” si sta affievolendo

sempre di più come conseguenza della globalizzazione del sistema “capitale-lavoro-produzione-

consumo”: oggi si può davvero parlare di “prodotto nazionale” inteso come “prodotto-Paese

d’origine”?

In uno scenario in cui la globalizzazione sta sgretolando il concetto di “stato nazionale” e i movimenti

conservatori stanno cercando di rafforzare l’identità dello stato e dei cittadini, il concetto di “Paese

d’origine”, continua a perdere valenza a fronte della multinazionalizzazione della produzione, e la

rivalutazione del made in Italy è sempre più reclamata.

Ma cosa si intende per made in Italy? E’ possibile superare questa crisi globale d’identità?

La parola “made in Italy” evoca in ognuno di noi un’immagine dai contorni e dai colori più variegati.

Il mondo dell’immaginazione non ha infatti limiti. Inoltre, questo binomio si riveste di significati

diversi in base al diverso contesto culturale. Eppure il “made in Italy” viene considerato in modo

univoco ignorando la contaminazione dai vari elementi stranieri di design, stile e gusto frutto di

collaborazioni o di idee di altri Paesi in conseguenza agli investimenti e alla globalizzazione, e non è

quindi semplice definirne l’origine.

In un’ottica globale, richiedere la cittadinanza e il Paese d’origine potrebbe non avere senso.

Tuttavia, il termine “made in Italy” non indica solamente il Paese d’origine – per inciso, il significato

del concetto di “Paese d’origine” non è così ovvio, e attualmente solleva spesso controversie tra vari

Paesi sulla definizione di commercio e diritto commerciale internazionale in relazione ai diritti di

proprietà intellettuale.

Il concetto di Paese d’origine comprende al suo interno l’insieme delle abitudini lavorative e della

struttura produttiva, che sono simbolicamente il valore del prodotto, le caratteristiche della

struttura economico-industriale, l’artigianalità tradizionale, il design, il senso dei valori e il senso

estetico che sono profondamente radicati in quella particolare cultura storica.

Nonostante non siano ben chiare le “caratteristiche” intrinseche del termine “Italia”, si parla

comunque di made in Italy mantenendo incerti i significati.

Ad esempio, nel caso della moda italiana, è necessario fare attenzione al significato dell’aggettivo

“italiana”. È probabile che l’immagine e il significato di ciò che in Giappone viene definito “moda

italiana” e ciò che gli italiani identificano come tale non corrispondano. Il negozio giapponese a cui

è sufficiente sventolare una bandiera tricolore fuori dal locale per essere considerato “italiano”, per

un italiano potrebbe essere una volgare imitazione, al limite della truffa commerciale. Eppure non

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si può semplicemente dire che l’immagine di Italia che hanno i giapponesi sia falsa, mentre quella

che ne hanno gli italiani sia autentica.

Non è proponibile una logica per cui italiano sia solo ciò che un italiano sottoscrive come tale. Come

detto prima, non ha senso appellarsi alla nazionalità per etichettare un prodotto come degno di

essere italiano. C’è quindi bisogno di trovare un altro modo per definire cosa può o meno essere

definito “italiano”.

In un’epoca che definiamo postmoderna, non esiste problema di più difficile risoluzione. Questo

perché non esiste un elemento di “italianità” capace di fungere da criterio universale in base a cui

definire in maniera assoluta e legittima un oggetto come “inconfondibilmente italiano”.

La globalizzazione sempre più incalzante mette in discussione i concetti tradizionali di “popolo” e di

“nazione”. Sta creando delle mutilazioni all’interno del sistema delle istituzioni, dei fondamenti

tradizionali della nazione e dell’etnia, causando dei ripensamenti dell’identità politica, economica e

storica. La definizione di “italiano” o di “italianità” non si sottraggono a questo processo.

Del resto, non c’è logica più aberrante che cercare di estrarre da quella che è la società italiana una

presunta forma di pensiero unitaria, assumendo ingenuamente che sia un insieme omogeneo. Di

più, concetti come nazionalità e etnia fanno spesso il paio con quelli di discriminazione e di

pregiudizio, i cui effetti nefasti abbondano sui libri di storia. Nel caso dell’Italia, poi, non c’è lavoro

storico più dissennato, stante la difficoltà senza pari di riassumere la diversità di etnie e nazionalità

al suo interno.

Nonostante tutto questo, come già menzionato, ci sono dei movimenti conservatori che si

oppongono a questa crisi d’identità: il loro obiettivo è di rafforzare l’identità culturale, a fronte del

rischio di contrasto tra culture diverse, attraverso la riduzione delle distanze tra le culture e

l’attivazione di contatti. Questi movimenti enfatizzano la necessità che i temi della moda italiana e

del made in Italy vengano discussi all’interno del Paese, considerato che, a causa della

globalizzazione, si rischia di perdere l’identità italiana. In un mondo globalizzato è necessario che gli

italiani si pongano il quesito “che cos’è l’Italia”.

Dato che l’italianità cambia di epoca in epoca, è bene considerarla come qualcosa di mutevole e con

accezioni diverse di volta in volta. Sullo sfondo dei continui cambiamenti storici e culturali,

l’immagine dell’Italia si trasforma in modo infinito e di conseguenza l’identità dell’Italia e degli

italiani continuerà ad essere espressa in modi diversi.

“Italianità” del fashion italiano

Il fashion italiano, capace di trasformare in modo caleidoscopico il nostro corpo avvolgendolo in una

luce magica, quale “italianità” crea attraverso i suoi molteplici simboli?

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Non si può negare che il binomio “Italian fashion”, oltre al significato letterale detenga un’intensa

forza di “risvegliare un’immagine”. Se si considera l’immagine del fashion italiano come composto

da duplici strati di un’immagine della società “Italia” e di un’immagine che ritrae il mondo “Fashion”,

naturalmente questa visione sarebbe veramente ricca di diversità. Nell’immagine in cui inizialmente

viene creato, in un primo dialogo con la realtà, il made in Italy potrebbe unire un punto diverso a

seconda del punto di vista da cui si comprende la realtà, e al contrario tale immagine, senza bisogno

di guardare il problema di stereotipi e pregiudizi, spesso vincola l’essenza della comprensione della

realtà.

In pratica, guardando la storia dell’Italia così come la guarderebbe uno storico della moda, è difficile

distinguere sin dall’inizio una storia della moda “peculiare” nell’Italia delle rivalità feudali e della sua

scissione in piccoli stati lungo i secoli; sono diventati necessari una cornice analitica definita “civiltà

mediterranea” e un quadro chiamato “occidente” in senso ancor più lato. La difficoltà di trovare

uno stile italiano o “l’italianità” di un tema di moda negli abiti occidentali di epoca moderna, si

applica anche al rapporto storico tra abbigliamento e società.

Possiamo riconoscere l’origine dell’italianità che caratterizza il fashion italiano di oggi, in un contesto

storico dalla modernità alla contemporaneità, cioè in un’epoca di industrializzazione e

democratizzazione passata da un modello tradizionale per cui “lo status sociale decide lo stile di

vita” a uno moderno secondo cui “lo stile di vita decide lo status sociale”, dopo un’epoca in cui

vengono abolite una dopo l’altra le regole della moda e in cui naturalmente il significato della critica

al lusso scompare.

In particolare l’industria della moda moderna italiana a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del

XX secolo crea una propria identità nello scontro con la Francia, che già a quel tempo aveva preso

l’iniziativa nella commercializzazione del fashion. Infatti è l’epoca in cui il vecchio negozio gestito

dai fratelli Bocconi a Milano rinasce come “Grande Magazzino Rinascente”, battezzato da Gabriele

D’Annunzio nel 1917, e in cui due anni dopo viene realizzato U.P.I.M. (“Unico Prezzo Italiano

Milano”). Nel XX secolo l’Italia ha proposto un suo stile diverso dalla Francia e ha così trovato una

sua armonia. La designer di moda Rosa Genoni ha rafforzato uno stile semplice e non

eccessivamente decorato come quello francese, mentre l’“entrave” (gonna che si assottigliava alle

ginocchia) e le “culottes” che andavano di moda in Francia erano soggette a critiche in Italia. Ma

anche in Italia l’alta moda di molti sarti era all’alba di una nascita in germe, ma si dovette aspettare

la fine della Seconda Guerra Mondiale perché fiorisse.

Nell’epoca della Seconda Guerra Mondiale, in cui Mussolini istituisce una produzione nazionale pura

di abbigliamento (l’autarchia), insieme al suono del fascismo viene promosso con forza un

movimento di fashion nazionalistico che espone l’“italianità” in una forma di contrapposizione alla

Francia. Nella corrente del sistema della produzione nazionale pura sotto il regime fascista è

risaputo che sono state istituite una dopo l’altra, per iniziativa di Fortunato Albanese e dell’editrice

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della rivista femminile “Lidel” Lydia De Liguoro, l’Istituto Artistico Nazionale della Moda Italiana

(I.A.N.M.I.) nel 1928, Ente Autonomo per la Mostra Permanente Nazionale della Moda

(E.A.M.P.N.M.) nel 1932 – uniti in seguito nell’Ente Nazionale della Moda (E.N.M.) nel 1935 – e che

si sono tenute ripetutamente conferenze ed esposizioni che sfoggiano il fashion italiano.

In questo periodo anche il gergo della moda francese viene tradotto in italiano, e il negozio dal nome

inglese “Standard” viene ribattezzato “Standa” (1937). Nonostante si esegua il controllo e la

gestione su entrambi i lati duro e morbido in quanto linea politica di cultura nazionalistica,

l’influenza del mondo della moda di Parigi rimane enorme, e non si può dire che tale linea politica

abbia avuto successo. Tuttavia nel processo di modernizzazione l’industria della moda italiana, in

“subappalto” del mondo della moda francese, costruisce una struttura di produzione di fashion

originale facendo attecchire un sistema che crea prodotti di alta qualità a un prezzo inferiore

rispetto a quelli francesi, con un design semplice e materiali di qualità. Con l’attività della Camera

Sindacale della Moda Italiana istituita a Roma nel 1958 dal marchese Giovanni Battista Giorgini,

protagonista del “made in Italy”, riorganizzatasi in una casa di Roma nel 1962 come Camera

Nazionale della Moda Italiana, e del gruppo del settore tessile e della moda “Sistema Moda Italia:

l’Associazione Italiana delle Industrie della Filiera Tessile Abbigliamento”, il fashion italiano del

dopoguerra da un periodo di ricostruzione postbellico arriva a una crescita economica di alto livello.

Dalla fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70, l’Italia è interessata da un periodo di transizione in

cui riesce a superare le difficoltà legate alla crisi petrolifera e a entrare in un nuovo periodo di

crescita economica. Durante questi anni, la caduta della struttura mondiale che si era stabilita con

la Guerra Fredda e la nascita dell’Unione Europea concorrono a definire una situazione economica

che avanza verso la globalizzazione e a trasformare il volto del fashion italiano. È in queste

circostanze storiche che avviene il cambiamento strutturale del settore produttivo che racchiude

l’industria del fashion in Italia, che a sua volta porta a cambiare anche lo stile di vita e il senso dei

valori dei consumatori. L’italianità intrinseca nel fashion italiano emerge come risultato di questa

serie di cambiamenti.

Struttura base del made in Italy

Secondo la ricerca “Esecutivo novembre 2007” realizzata da Eurisko, le peculiarità del made in Italy

si concentrano nei seguenti punti:

• Estetica nello stile e nel design

• “Spirito di manifattura” artigianale ricca di creatività e fantasia

• Ricchezza di cultura che fa parte di una propria identità locale dalla lunga tradizione

• Forza dei “legami sociali” di tipo familiare, d'amicizia o territoriali, tipici delle attività

regionali o a gestione familiare

• Ricchezza di diversità sia a livello naturale che culturale

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• Una “filosofia di vita” del trascorrere ogni giorno serenamente e con gioia

Si comprende come molte di queste peculiarità siano dovute a strutture di produzione e fondamenti

di vita dai tratti locali di un made in Italy strettamente legato alle società regionali.

Si capisce pertanto che sono i gruppi di piccole e medie imprese, concentrati nelle regioni di

produzione e per lo più a gestione familiare, a sostenere la struttura di produzione artigianale tipica

italiana.

Di solito il sistema di produzione regionale, non solo nel settore della moda, dispone di condizioni

favorevoli, caratteristiche per le industrie legate al territorio che possono favorire un'accelerazione

di vendite e produzione: la costruzione di fiducia e assicurazione di qualità per i prodotti regionali;

un'attività di coordinatori (“l'impannatore di Prato”, il “converter” di Como ecc.) che facciano da

intermediari nel sistema delle regioni produttrici specializzate; l'utilizzo di misure per la promozione

dello sviluppo industriale regionale che racchiudono l'accumulo di know-how tecnici; la raccolta

fondi e la formazione di talenti; la flessibilità di performance di produzione; e il network tra le

aziende.

Di fatto, nelle zone di produzione italiane, dal periodo di ricostruzione post bellico la filosofia di

design che unisce in sé sia lo spirito di iniziativa, che anticipa i fondamenti di produzione artistica

degli artigiani e il gusto del periodo, sia efficacia ed estetica, ha permesso lo sviluppo costante di

una capacità creativa in grado di indirizzare le tendenze mondiali.

L'Italia, grande Paese della moda e fortemente dipendente dalle esportazioni, a partire dagli anni

Ottanta, in un contesto caratterizzato dalla veloce espansione della globalizzazione, sta cercando di

ottenere il suo spazio nel mercato mondiale puntando su brand di alto livello attraverso un

particolare sistema di produzione che genera beni ad alto valore aggiunto e continua a differenziarsi

nettamente dai prodotti ad alta intensità di manodopera straniera.

Di certo sull'onda della globalizzazione si aggrava lo svuotamento della produzione locale

tradizionale, così come aumenta il senso di crisi per la successione generazionale

nell'amministrazione delle regioni di produzione e per la formazione di personale esperto, mentre

anche il carico di rischio riguardante i limiti del sistema di vendita e distribuzione distintivo della

piccola-media impresa è altrettanto pesante.

Però ciò che merita attenzione nel sistema artigianale definito anche “terza Italia” dalle compagnie

mondiali, non è altro che ciò che si nasconde dietro alla competitività richiesta a una produzione

diversificata e in piccoli lotti di prodotti ad alto valore aggiunto, che non può trovare realizzazione

nelle sole teorie di rendimento dei costi di produzione.

Inoltre, nell'ambiente artigiane di piccola scala, il significato del sistema di produzione regionale di

oggi sta nella nascita di idee inedite e nell’indipendenza di imprenditori creativi. Si può dire che il

potenziale globale del fashion italiano stia proprio nel carattere “locale”.

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Per quanto riguarda la supremazia strategica di questo sistema di produzione locale, ad esempio nel

campo della moda, il sistema di produzione italiano dipende dalle esportazioni ma, soprattutto a

partire dal rapido sviluppo della globalizzazione dopo gli anni Ottanta, si è assistito a una particolare

capacità di creare prodotti ad alto valore aggiunto che dipendono però in grande parte dal sistema

della regione produttrice all'interno del Paese.

In pratica, con la globalizzazione, la divisione con i Paesi a basso costo di manodopera e l'estensione

della produzione di tessile e abbigliamento nei Paesi a basso costo, è riuscita a sopraffare forti rivali

come la Cina e i Paesi dell'Europa orientale ma, l'ottenimento di una porzione per i prodotti italiani

in questa economia mercantile globale, è in parte tamponato dal sistema di produzione regionale.

La struttura industriale che ha come base la piccola e media impresa, grazie alla flessibilità che

permette di rispondere ai cambiamenti del mercato attraverso organizzazioni amministrative su

piccola scala, è diventata il punto di forza strategico per il made in Italy nel mercato globalizzato.

Generalmente il sistema delle regioni produttrici, composto da aziende che vantano uno stretto

legame con il territorio, presenta la seguenti caratteristiche:

1. Base di produzione artigianale, amministrazione familiare, sviluppo di un network tra le

aziende e performance flessibili sono le caratteristiche del sistema basato sul

raggruppamento delle piccole medie imprese

2. Capacità di utilizzare le risorse del territorio (fornitura all'interno della regione di materie

prime e prodotti semilavorati, disponibilità e formazione di lavoratori locali, vicinanza

dell'impresa e riduzione dei tempi di fabbricazione come fattori temporali, legami sociali per

conoscenza o presentazione, utilizzo del network tra imprese, prestiti e finanziamenti dalle

banche locali, conoscenza, condivisione di tecnologia e accumulazione di know-how);

coscienza dello spirito del territorio e dei legami dell'identità locale; politiche di sviluppo

dell'industria locale (consulenza amministrativa, diffusione di informazioni, indagini di

ricerca, formazione del personale ecc.); garanzia della qualità e fiducia verso i prodotti

dell'intera area di produzione

3. Pianificazione del sistema di divisione del lavoro e del processo di fabbricazione;

coordinamento del management (Ripartizione: suddivisione del processo di fabbricazione e

outsourcing alle imprese estere/Specializzazione: forte propensione verso il processo di

fabbricazione in sezioni speciali/Specializzazione tecnica dei prodotti: qualità, prezzo, target

di consumatori, particolarità del mercato di entrata/Occupazione specializzata del

coordinator della produzione regionale: progettazione merci, coordinamento e

pianificazione delle imprese della regione).

Pur presentando limiti nella distribuzione e vendita, nella capacità di assicurare personale

competente e successione generazionale tipici della piccola media impresa, scarsità d'intervento

politico attraverso politiche per le aziende locali e pressione delle imprese globali che svuotano le

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imprese locali e le basi della produzione, in questo sistema di produzione regionale è importante

che venga attribuita importanza alla ripresa delle zone produttrici e alla formazione delle nuove

regioni come tema della politica industriale, non solo per le piccole e medie imprese che hanno

grande motivazione per l'avanzamento delle esportazione dei prodotti nazionali verso il mercato

globale, ma anche per le strategie globali dei grandi brand affinché possano acquisire una posizione

con condizioni strutturali molto profittevoli.

Il vantaggio strategico del made in Italy

Interrogandosi su cos'è il made in Italy, è importante sottolineare nuovamente la particolarità

derivante dal suo carattere locale.

Il carattere locale che sostiene dalla base il valore del made in Italy è costruito sulla ricchezza e sulla

bellezza della natura, di una vita basata sulle relazioni personali locali, su un senso estetico e su uno

stile di vita che rispettano la diversità delle culture regionali, su una filosofia che riscopre

l'accoglienza e il quieto vivere, lontano dagli sconvolgimenti del mondo esterno e in

contrapposizione ai cambiamenti di un'epoca in continua accelerazione.

Inoltre, è proprio questo carattere locale che va a costituire un mondo non conciliabile con quello

globale.

Ciò che si trova nel mondo del locale non è il “grande discorso” che descrive la società globalizzata,

ma un “piccolo racconto” della comunità locale fatto di un valori estetici che si realizzano nella

diversità, nella difformità, e in uno scorrere del tempo che sia slow e non fast.

La particolarità del made in Italy che deriva da questo carattere locale è un’antitesi alla

globalizzazione. Ponendosi in contrapposizione con le tendenze del mercato, che con la

globalizzazione di oggi cambiano di corrente e di velocità, il nuovo senso dei valori può creare una

grande svolta.

Questa svolta viene descritta pienamente da espressioni quali “da globale a locale”, “da fast a slow”

o dal passaggio da “more is better” a “small is beautiful”.

I cambiamenti in direzione di questi valori si stanno riflettendo negli atteggiamenti al consumo e nei

comportamenti al momento dell'acquisto.

Dal globale al locale

Di fatto, che la globalizzazione venga messa in luce o in ombra, dipende molto dal senso dei valori e

dalle convinzioni del critico. Distinguere ciò che è positivo da ciò che è negativo è quindi una

questione di valutazione. Non resta che dire che la globalizzazione racchiude in sé entrambi i lati. Si

può però affermare che il mondo globale ha creato inevitabilmente un mondo locale. Il carattere

locale e la globalizzazione sono di fatto due facce della stessa medaglie e se non ci fosse la

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globalizzazione non ci sarebbe nemmeno bisogno di discutere sulla questione locale. Il mercato

globale crea il mercato locale e la coscienza globale richiama quella locale.

L'espansione della cultura globale fa fiorire quella locale, e più la globalizzazione avanza più anche

la localizzazione si rafforza come reazione ad essa. Mentre la globalizzazione estende la

standardizzazione e la comproprietà culturale all'interno della compenetrazione di culture diverse

e fa avanzare l'appianamento delle culture nell'uniformità e nell'omogeneità, all'unisono avanza

anche la localizzazione che, proprio come inversione di questo processo, difende la singola identità

culturale.

Mentre la globalizzazione è il vettore dell'unificazione, si può dire che la localizzazione sia il vettore

della molteplicità. Il made in Italy è spinto violentemente dentro al turbine dello scontro di questi

due vettori. Non appena si getta il proprio carattere locale e si prende il timone di brand globali

uniformi, senza nazionalità o anche multinazionali, si perde il nucleo dell'identità del made in Italy.

Nei prodotti globali non c'è il carattere italiano così come non c'è quello americano, nordeuropeo,

spagnolo o giapponese. Ciò che si trova sono solo gli 'standard globali'.

Il made in Italy nell'epoca globale, sostenendo il proprio carattere locale (italiano), potrà dar prova

della sua identità insistendo su unicità e particolarità del valore del brand per i prodotti ad alto

valore aggiunto, pur presentandosi in antitesi con il mercato globale.

Da “fast” a “slow”

La strategia locale del made in Italy, è strettamente collegata al cambiamento dei valori che si può

osservare nello stile di vita delle aziende odierne e che possiamo definire “processo di

rallentamento”. Dallo spirito consumistico “more is better” che ha caratterizzato la società

(consumistica) del dopoguerra, siamo passati a “small is beautiful”, alle antitesi quali “simple living”

e “voluntary simplicity”, che avevano supportato per lungo tempo la scelta critica al consumo. Si

potrebbero collocare su quest’ampliamento i nuovi stili di vita e i comportamenti nella società quali

consumo etico LOHAS69 e lo Slow Life. L’ideologia che sta alla base deI locavore70, il consumo dei

prodotti regionali, l’agriturismo, progettando il mantenimento e lo sviluppo delle zone ad alta

produttività e la produzione locale può essere identificato in un modo di vivere agiato e da una vita

alimentare sana. Le azioni che si basano sulla responsabilità sociale garantiscono prodotti finiti di

alta qualità come quelli spinti dal made in Italy e la sua ricerca di tracciabilità.

L’idea che i consumatori considerino il consumo come un problema loro ha come obiettivo

principale il raggiungimento della responsabilità sociale e la messa in pratica del consumo etico

69 Lifestyle of Health and Sustainability

70 Persone che vogliono mangiare solo i prodotti locali direttamente in loco

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attraverso l’imparzialità sociale. Anche in Italia i promotori di quest’ideologia hanno una posizione

diversa da quella di chi promuove lotte politiche anti-globalizzazione. Questo tipo di movimento

politico mette a stretto controllo le attività industriali e cerca di spingere azioni di riforma attraverso

forme di protesta e campagne anti-consumo, anti-pubblicità etc. e sono spesso accompagnate da

un modo di agire violento, da un ideologia intollerante che cerca di mettere alle strette il

consumatore, dal quale però, per reazione, rischia di essere emarginato.

Il movimento local/slow, mentre mantiene la distanza dalle logiche della produzione servile al

mercato globale, cerca di mantenere una vita “ricca” secondo una logica di intimità e uno stile di

vita in armonia con la società. Anche il fair trade e l’alternative banking condividono la stessa idea

di fondo. In questi movimenti i consumatori sono consapevoli del loro senso di responsabilità e di

giustizia sociale. Non si tratta di stabilire se il cammino intrapreso da questi movimenti sia giusto o

meno, ma è ormai un dato di fatto che i movimenti dei consumatori non possono essere fermati o

rallentati nella loro ricerca di sviluppo sostenibile e di una società in simbiosi capace di apprezzare

sia il valore di un prodotto che concetti di 'local' e 'slow’.

Tra questi, lo stile di vita anti-consumistico tesse un filo che riconduce alla responsabilità morale e

alle attività delle imprese.

Lo slogan morale dei consumatori “pensare globalmente e agire localmente”, fa appello a una lotta

comune da affrontare assieme alle aziende-partner, mirando a una sostenibilità su scala globale. Il

made in Italy ha iniziato a ottenere un grande significato nei confronti di argomentazioni che

possano rispondere a questa richiesta sociale. Da questo punto di vista si può dire che il made in

Italy sta progressivamente rafforzando la propria posizione strategica sul mercato globale.

Made in Italy e sostenibilità

All’interno delle correnti di “consumo etico” e “responsabilità sociale dell’azienda” riecheggiano

slogan come “pensare globalmente, agire localmente” o “da fast a slow”, sia da parte dei

consumatori che dei produttori, ed entrambi si mostrano sempre più inclini a trovare un punto

comune di collaborazione per attingere a un nuovo valore del brand.

Si può dire che per il lusso, guardando verso la riabilitazione del valore dei brand, sia il momento di

riesaminare in modo fondamentale i propri passi.

È impossibile che le aziende che sono sotto lo sguardo attento del mercato globale non abbiano

interesse ad adottare una strategia di mercato che preveda un contributo alla comunità attraverso

equità, giustizia e responsabilità sociale. E le aziende del settore fashion non fanno eccezione.

In realtà, il discorso deve essere allargato anche a consumo etico, eticità dell’azienda e fashion etico.

Si può dire che l’eticità ormai sia una preposizione imperativa.

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Perfino le aziende di fast fashion, incarnazione della globalizzazione, mostrano una certa sensibilità

verso tale tendenza, considerato che proprio l’adempimento delle responsabilità sociali può

decretare la loro sopravvivenza.

Per sopravvivere nel mercato globale, il made in Italy deve puntare la propria progettazione sui

concetti di “local” e “slow” in maniera distintiva dagli altri brand, trovando nel valore e nelle idee

dell’uomo d’oggi le strategie che gli permettano di arrivare a un livello superiore.

Sicuramente le possibilità di sviluppo sostenibile della società hanno un significato anche nello

sviluppo ininterrotto proprio del mercato.

Anche per il merchandising strategico dei brand di lusso un sistema produttivo ad alto spreco di

risorse non può essere più accettato come strategia di gestione. Gattinoni, brand italiano dalla lunga

storia, nel 2003 ha ideato un vestito fatto di borse per la spesa, avvicinandosi alle riconsiderazioni

sul consumismo, ma l'eco marketing che attribuisce grande importanza allo sviluppo di prodotti nel

rispetto dell'ambiente, sta diventando la strategia strumentale di atteggiamento per l'innalzamento

del valore del brand dei propri prodotti.

Anche la green fashion e lo sviluppo di nuovi materiali che riducono l’impatto ambientale può essere

definita una strategia promozionale, migliorando i prodotti ad alto valore aggiunto e uno stile di alto

livello con un messaggio sociale. La borsa Fendi 'Carmina Campus', che ha suscitato grande

interesse, realizzata con materiali di recupero, promuovendo il nuovo style e la nuova categoria Eco-

chic, si è posta come una completa novità.

Il concetto di 'cool brand', movimento che implementa le possibilità di business elevando il valore

dei nuovi brand creati in rapporto a un principio, vede come indispensabile la partecipazione del

consumatore, e non il consenso.

In questo senso i cool brand possono essere valutati positivamente sia per i principi innati che per

l’aspetto amministrativo nei confronti del trattamento del brand, promuovendo uno nuovo stile di

vita e un modo di vivere alternativo che sensibilizza l'attitudine del consumatore nei confronti della

protezione dell'ambiente e alla giustizia sociale, nella lotta sociale per la simbiosi delle diverse

culture.

Mentre i brand di lusso lottano con accanimento sul mercato internazionale, i giovani consumatori

che li seguono sono decisamente cresciuti: una generazione che ha il coraggio di sfidare la creazione

di nuovi brand e valutarne lo spirito imprenditoriale.

Nell’attività industriale di oggigiorno l’azienda non sopravvive nel mercato globale se non risponde

alle aspettative sulle responsabilità sociali. Il made in Italy porta un messaggio di località molto forte

che si appella al mondo “globale”, e “essere locale” è una condizione indispensabile per mantenere

il livello di qualità e proteggere la propria originalità da quella degli altri. È continuare ad affermare

la propria identità senza sprofondare nel vortice dell’omologazione. È una filosofia di “slow life” che

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vive in simbiosi con le molteplici diversità rendendo sostenibile la società multicolore. Anche il

movimento di “Slow Food” nato in Italia poggia su tali fondamenti, oltre che sul made in Italy.

L’“italianità” del made in Italy è l’espressione della missione della società: ricercare “l’essenza”

dell’umanità attraverso un nuovo stile. I piani strategici riferiti a questo mercato globale devono

tenere in considerazione non solo le aziende di brand giganteschi che conquistano rapidamente il

mercato globale, ma anche i segni dell’avvento di un nuovo stile di vita di un consumatore critico.

La ricerca dei consumatori di uno “stile di vita” alternativo indica anche la nuova direzione verso la

quale il made in Italy dovrebbe dirigersi.

Come il vino locale di qualità eccellente trascende il tempo e si afferma con profumo e gusto unici,

il made in Italy nel mercato globale deve affermare la propria identità attraverso una filosofia di

slow life con un design e materiali locali. La supremazia strategica del made in Italy nel mercato

globale risiede proprio nella possibilità di poter rispondere alle richieste di sostenibilità di questa

società simbiotica.

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ALCUNE DELLE IMPRESE ITALIANE DEL SETTORE DEL FASHION IN GIAPPONE

Aeffe Japan Co., Ltd.

Benetton Japan Co., Ltd.

Borsalino Japan Co., Ltd.

Brioni Japan Co., Ltd.

Bruno Magli Japan Co., Ltd.

Buttero Japan Co., Ltd.

Diadora Japan Co., Ltd.

Etro Japan Co., Ltd.

Furla Japan Co., Ltd.

Gas Japan Co., Ltd.

Geox Japan K.K.

Giorgio Armani Japan Co., Ltd.

Loro Piana Japan Co., Ltd.

LVJ Group K.K. Emilio Pucci Company

LVJ Group K.K. Fendi Japan

Max Mara Japan Co., Ltd.

Marni Japan Co., Ltd.

Moncler Japan Corp.

Pal Zileri Japan Co., Ltd.

Piero Guidi Japan Co., Ltd.

Prada Japan Co., Ltd.

Roberta di Camerino Far East Inc.

Roberto Cavalli Japan Co., Ltd.

Tod’s Japan K.K.

Trussardi Japan Co., Ltd.

Versace Japan Co., Ltd.

Zegna Japan Co., Ltd