IL LUTTO: ELEMENTI TEORICI - Fondazione Maruzza Lefebvre … · Sono figli e figlie della sete che...
Transcript of IL LUTTO: ELEMENTI TEORICI - Fondazione Maruzza Lefebvre … · Sono figli e figlie della sete che...
1
IL LUTTO: ELEMENTI TEORICI
*…+ I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, E benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri: Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: Esse abitano la casa del domani,
Che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro,
Ma non farvi simili a voi: La vita procede e non s'attarda sul passato.
Voi siate gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L'arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito,
E vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell'arciere;
Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell'arco. (G.K. Gibran, “Il Profeta”)
Il lutto
La morte, così come la nascita, rientra nel ciclo vitale con semplice ineluttabilità, che pre-
scinde da complicate costruzioni ideologiche e filosofiche. Nella psiche umana, tuttavia, la
sua presa di coscienza, accettazione ed elaborazione diventano realtà complesse e spesso
insopportabili da gestire.
In particolare, la scomparsa di un bambino può costituire, per i genitori, un evento traumati-
co su cui dover ricostruire l’intera esistenza: i bambini, infatti, assumono un’enorme impor-
tanza simbolica per la coppia genitoriale in termini di capacità di generare e di speranza per
il futuro (Guarino, 2006); ogni famiglia è dotata di omeostasi e ogni cambiamento al suo in-
terno può minacciare il suo equilibrio, costringendo i suoi membri ad adoperarsi per ristabi-
lirne uno nuovo.
Oppenheim (2003) rileva che i genitori, alla morte del proprio figlio, si trovano in uno stato di
dolorosa incredulità, pieni di sensi di colpa, annientati e svuotati di ogni volontà: ciò che vie-
ne leso in maniera massiccia in un genitore è la capacità di pensare al futuro con fiducia e al
passato con affetto, senza contaminarli di rimpianto. Nel lavoro psicoterapeutico con questi
soggetti è necessario, innanzitutto, ristabilire un buon grado di autostima e “legittimità di
essere” – persone prima e genitori poi.
In soggetti con una buona struttura di personalità e un buon supporto sociale, il lavoro di e-
laborazione del lutto1 si anima in maniera del tutto naturale e porta, in tempi relativamente
1 Il lutto è definibile come uno: “… stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha
fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una
persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo, o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la
perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili. Dal lutto, che comporta sempre
2
contenuti e comuni (da sei mesi a un anno), a una ridefinizione strutturalmente funzionale
delle caratteristiche psico-relazionali.
Per far riferimento a una teoria classica [che unisce le intuizioni bowlbiane sulla rottura dei
legami affettivi e sulle fasi di separazione (Bowlby, 1982) – 1) torpore e chiusura emozionale;
2) rabbia e ricerca dell’oggetto perduto; 3) disperazione e 4) riorganizzazione – all’esperienza
clinica con malati in fase terminale di vita e con i loro congiunti] di elaborazione del lutto – la
“teoria a cinque fasi” (“fasi” e non “stadi”, come nella teoria freudiana classica, perché si
presuppone la possibilità che i diversi momenti possano sovrapporsi, ripresentarsi, non pre-
sentarsi con uguale intensità, alternarsi, etc.) di Kübler Ross (1990; 2002) – possiamo definire
il “lavoro di elaborazione del lutto” come un percorso che si snoda secondo i seguenti punti:
fase della negazione o del rifiuto: caratterizzata da rifiuto dell'esame di realtà e pro-
cesso di rifiuto psicotico della verità;
fase della rabbia: caratterizzata da chiusura e ritiro in sé, attribuzione esterna (a Dio,
ai medici, etc.) o interna (all’incapacità di essere genitori)dei propri dolori e senti-
mento di essere incompresi;
fase della contrattazione o del patteggiamento: caratterizzata dalla verifica delle pro-
prie capacità di ripresa e delle risorse esterne e dalla ristrutturazione dell’esame di
realtà;
fase della depressione (reattiva o preparatoria): caratterizzata dalla presa di consape-
volezza che il dolore della perdita non è esclusivo e che la morte è ineluttabile;
fase dell’accettazione: caratterizzata dall’elaborazione completa della perdita vissuta
e dall’accettazione della nuova condizione di vita.
Il ciclo fisiologico di elaborazione individuale della perdita di un figlio, in alcuni casi, questo
processo viene bloccato in fasi intermedie, instaurando quadri di lutto complicato: una sfida
per il futuro immediato dovrebbe essere l’individuazione precoce, anche attraverso la valu-
tazione psicometrica, di indici specifici di rischio, la definizione di raccomandazioni cliniche di
intervento per la presa in carico dei genitori in gruppi psicoterapeutici dedicati.
Il lutto complicato
Il processo fisiologico del lutto si può definire come un insieme di comportamenti, individuali
e sociali, relativi alla perdita di una persona significativa: è individuabile come un percorso
un’identificazione con l’oggetto perduto, si esce attraverso un processo di elaborazione psichica o «lavoro del
lutto» come dice S. Freud, che prevede uno stato di diniego in cui il soggetto rifiuta l’idea che la perdita abbia
avuto luogo, uno stadio di accettazione in cui la perdita viene ammessa, e uno stadio di distacco dall’oggetto
perduto con reinvestimento su altri oggetti della libido a esso legata. Il «lavoro del lutto» richiede un certo
tempo per il ritiro degli investimenti libidici, e l’umanità ha sempre provveduto a occupare questo tempo con
cerimonie e pratiche rituali. Un blocco nel «lavoro del lutto» porta alla melanconia, che insorge quando il
soggetto sente l’oggetto perduto come una parte ineliminabile di sé da cui non si può separarsi se non
separandosi da se stesso. In questo caso il dolore del lutto da normale diventa patologico.”, (Galimberti, 1999,
617).
3
(scandito da quattro fasi, comunemente riconosciute: stordimento, struggimento, dispera-
zione, riorganizzazione) caratterizzato dalla necessità di una profonda ristrutturazione del
mondo interno del soggetto sopravvissuto, non potendo essere, per lo stesso, sufficiente un
accomodamento alla situazione (Guarino, 2006).
Più specificatamente, tre temi centrali emergono nei genitori quando muore un loro figlio:
la perdita del senso di competenza e potere personali,
la perdita di una parte del sé, e
la perdita di una persona importante della quale le caratteristiche uniche era-
no parte integrante del sistema familiare (Field e Behrman, 2003).
Il Modello a doppio binario del lutto
Nella teorizzazione del modello a Doppio Binario del lutto (Two-Track Model of Bereave-
ment; vedi Fig. 1), Rubin e Malkinson (2001) hanno individuato gli elementi costitutivi
dell’elaborazione di una perdita, analizzando le dinamiche di reazione al lutto proprie delle
coppie genitoriali.
Questo modello prende in considerazione sia il processo di elaborazione del lutto sia i suoi
esiti vedendoli come due binari – due insiemi multidimensionali di elementi psicologici – di-
stinti ma capaci di influenzarsi l’un con l’altro.
Il Binario I si riferisce agli esiti dell’evento lutto e descrive le reazioni biopsicosociali alla per-
dita.
Il Binario II si focalizza sulla relazione con il figlio defunto e sul suo attaccamento e descrive
l’iter di trasformazione degli stessi e sulle caratteristiche del nuovo legame che si instaura tra
i genitori e i figli deceduti. Il percorso dei genitori sopravvissuti su questi binari può essere
sia di carattere adattivo sia maladattivo.
Caratteristiche psicologiche del lutto complicato
Il Modello a Doppio Binario del lutto (Rubin e Malkinson, 2001) permette di individuare tre
aree distinte di dimensioni, cognitive e di personalità, caratterizzanti una risposta patologica
al lutto:
dimensioni di personalità;
tratti cognitivi di cambiamento di prospettiva di vita e temporale;
fattori di rischio e reazioni psicologiche al lutto.
Un atteggiamento in cui gli elementi di “conoscenza” dell’evento traumatico abbiano una
qualità negativa, dolorosa e non “pensabile”, porta alla sottolineatura degli aspetti patologici
presenti in una mente sana: questo passaggio può essere pericolosamente attuabile nei sog-
getti che hanno vissuto un trauma profondo come quello della perdita di un figlio e ne van-
no, a fini preventivi, individuati i fattori di rischio. Escludendo dalla discussione i disturbi di
personalità strutturati (che costituiscono fattori di rischio specifici), si può affermare che ge-
nitori con caratteristiche di personalità di bassa energia, chiusura mentale, tendenza alla de-
4
pressione e alla malinconia, alta emotività o tendenza alla repressione delle emozioni e inca-
pacità di riconoscimento ed espressione delle stesse, introversione (Stroebe e Schut, 2001),
e che hanno un pensiero orientato alla continua nostalgia del passato, al fatalismo e a una
visione negativa della prospettiva di vita propria e altrui, al momento della morte di un figlio
potrebbero vedere queste caratteristiche enfatizzarsi e ostacolare una risoluzione naturale
del processo di elaborazione della perdita (Guarino, 2006).
Fig. 1 – Modello a Doppio Binario del lutto (modif. da Rubin e Malkinson, 2001)
Per individuare precocemente il rischio di sviluppo di chiari quadri di complicazione del lutto,
si rende necessaria la conoscenza dell’eventuale presenza, nella storia personale del genito-
re a lutto, dei seguenti fattori di sviluppo di lutto complicato: storia di alterazioni e disfun-
zioni dell'ambiente familiare; difficoltà di coppia, crisi, problemi di rapporto con i figli prece-
denti al lutto; assenza o inadeguatezza di supporto sociale; precedenti lutti irrisolti che si
riattivano in concomitanza col nuovo lutto o un numero considerevole di perdite e/o abban-
doni; antecedenti di sofferenza psicologica o di disturbi del comportamento; abuso di alcol,
farmaci o sostanze stupefacenti. La raccolta di questi dati sensibili relativi ai genitori a lutto
BINARIO I – FUNZIONAMENTO BINARIO II – RELAZIONE COL DEFUNTO
ENTRAMBI I BINARI POSSONO ESSERE PERCORSI SIA IN MANIERA ADATTIVA SIA IN MANIERA DISADATTIVA
ANSIA SENTIMENTI E TRATTI DEPRESSIVI PROBLEMI FISICI SINTOMI DI NATURA PSICHIATRICA QUALITÀ DELLE RELAZIONI FAMILIARI RELAZIONI INTERPERSONALI LIVELLI DI AUTOSTIMA FIDUCIA IN SE STESSI COSTRUZIONE DI SENSO LAVORO COINVOLGIMENTO NELLA ROUTINE QUOTIDIANA
FANTASIE, RICORDI, SOGNI DISTANZA EMOTIVA PREOCCUPAZIONE CIRCA EVENTUALI ALTRE PERDITE PERCORSO CONPLETO DEL PROCESSO FISIOLOGICO DEL LUTTO IDEALIZZAZIONE E TRASFORMAZIONE DELLA PERDITA IMPATTO SULL’AUTOPERCEZIONE CONFLITTI INTERNI / RELAZIONALI SENTIMENTI POSITIVI / NEGATIVI NEL RIPENSARE AL DEFUNTO
5
dovrebbe essere effettuata in fasi precocissime: la condivisione di queste informazioni in
un’équipe multidisciplinare ben funzionante e la possibilità di non abbandonare, alla morte
del figlio, la famiglia a se stessa, aiuterebbe a dare senso e sostanza al concetto di continuità
delle cure (o di presa in carico specialistica, nel caso di morti traumatiche).
Tutti i genitori nutrono sogni per il futuro dei loro figli: quando i figli muoiono, muoiono an-
che i sogni. La morte della capacità di pensare al futuro sembra presente in quasi tutte le
condizioni di lutto dei genitori. (Christ et al., 2002)
In un importante studio sulle conseguenze della morte di figli in età evolutiva, Kazak e Noll
(2004) hanno presentato tre livelli di rischio familiare per lutto patologico:
popolazione a basso rischio, 60% delle famiglie: generalmente figli e famiglie con un
buon funzionamento; coping adattivo agli stressor legati a malattie/morti pediatri-
che; supporto sociale adeguato; nessuna evidenza di psicopatologie o altri gravi pro-
blemi; genitori e figli mostrano una buona abilità di modulazione gli effetti del di-
stress; credenze realistiche circa la vita e il futuro;
popolazione specifica a medio rischio, 33% delle famiglie: presenza di alcuni fattori
psico-sociali che possono predisporre la famiglia al rischio; il coping è più spesso di-
sadattivo che adattivo; problemi di adherence presenti o passati alle terapie di soste-
gno psicologico; è possibile un sovraccarico non gestibile di stressor;
popolazione target ad alto rischio, 7% delle famiglie: significative e persistenti diffi-
coltà sociali e/o psicologiche; famiglie multiproblematiche; poche e poco tangibili ri-
sorse psicologiche e sociali; inadeguatezza del coping agli stressor.
Secondo Stroebe e Schut (2001) si può affermare che la popolazione di famiglie target inve-
ste energie per attuare (ri)costruzioni di significato negative che, se costituite di azioni e
pensieri orientati alla perdita (vedi Fig. 2), si possono cristallizzare nei seguenti tipi di lutto
complicato:
lutto cronico eventi non correlati al lutto del figlio attivano dolore e depressione;
argomenti legati alla perdita e sentimenti di disperazione emergono nella conversa-
zione quotidiana; sussiste incapacità a riprendere le redini della propria vita anche
dopo anni dalla morte del bambino;
lutto ritardato eventi di lutto recenti o altri eventi legati al tema della perdita atti-
vano risposte eccessive, con ricomparsa di paure legate alla morte lontana del figlio;
incapacità a parlare del figlio morto, anche dopo anni, senza provare un dolore in-
sopportabile e intenso.
Tab. 1 – Lutto complicato (da Biondi, Costantini & Grassi, 1995, modif.)
Congelamento
(la stanza del congiunto assume aspetti di museo)
Lutto evitato Idealizzazione
6
(esagerazione delle ineguagliabili qualità del defunto)
Mantenimento della rabbia e della colpa e rifiuto di dire
addio al congiunto
Lutto ritardato Eventi di perdita recenti o altri eventi attivano risposte eccessive,
con ricomparsa di temi legati alla morte lontana del proprio caro
Incapacità a parlare del congiunto, anche dopo anni, senza
provare un dolore insopportabile ed intenso
Lutto cronico
Eventi non correlati al congiunto attivano dolore e
depressione
Temi di perdita e disperazione emergono nella conversazione
quotidiana
Incapacità a riprendere la propria vita quotidiana ad anni
dalla scomparsa del congiunto
Scarsa attenzione per la propria salute
(lasciarsi andare fisicamente)
Abuso di stupefacenti, alcool o farmaci
Lutto inibito Preoccupazioni continue e pensieri di morte
Incontrollabilità dei comportamenti
(violazione di leggi, promiscuità, etc.)
Dolore cronico
Disturbi
psicosomatici
Sviluppo di sintomi simili a quelli della malattia che portò a
morte il congiunto
Decisioni impulsive senza riflessione
(cambiamenti repentini della vita)
Malattie cerebrali, cardiovascolari e infettive
Aumento della mortalità
Depressione maggiore
Psicosi breve
Psicopatologia Disturbi dell'alimentazione
Disturbi d'ansia
Disturbo Post Traumatico da Stress
Qualora invece le azioni e i pensieri delle famiglie a rischio siano orientate alla riorganizza-
zione (Stroebe e Schut, 2001; vedi Fig. 2) si possono configurare i seguenti tipi di lutto pato-
logico:
lutto inibito scarsa attenzione per la propria salute, abuso di stupefacenti, alcol o
farmaci, ruminazioni e pensieri di morte; messa in atto di comportamenti a rischio;
7
lutto evitato congelamento dei sentimenti legati alla morte del figlio; la stanza del
bambino è intoccabile e assume aspetti di museo con concomitante idealizzazione
delle doti del defunto; mantenimento della rabbia e della colpa e rifiuto di dire addio
al bambino morto.
In entrambi i casi possono emergere nella persona con lutto complicato: disturbi psicosoma-
tici, sviluppo di sintomi simili a quelli della malattia del figlio morto, aumento della mortalità,
cambiamenti improvvisi e inspiegabili della routine quotidiana, episodi di depressione mag-
giore, psicosi breve, disturbi dell'alimentazione, disturbi d'ansia e Disturbo Post Traumatico
da Stress (vedi Tab. 1), (Biondi, Costantini e Grassi, 1995; Baussant-Crenn, 2003).
Fig. 2 – Costellazione dinamica degli aspetti psicologici nel lutto complicato e non (modif. da Stroebe e Schut,
2001)
FATTORI DI RISCHIO E REAZIONI
PSICOLOGICHE AL
LUTTO
TRATTI COGNITIVI
DI CAMBIAMENTO
DI PROSPETTIVA DI
VITA E TEMPORALE
DIMENSIONI DI
PERSONALITÀ
RISPOSTE ORIENTATE ALLA PERDITA
[possono essere (ri)costruzioni di significato sia po-sitive sia negative] Lavoro pressoché continuo sul lutto Intrusione dell’evento lutto nella vita quotidiana Rottura di legami, costruzione di nuovi legami e rilo-cazione (cognitiva ed emotiva) della persona scom-parsa Rifiuto o evitamento di cambiamenti tendenti alla riorganizzazione
RISPOSTE ORIENTATE ALLA RIORGANIZZAZIONE
[possono essere (ri)costruzioni di significato sia po-sitive sia negative] Fare nuove cose Aspettarsi cambiamenti positivi nella vita Tentativi di distrazione dall’evento lutto Rifiuto o evitamento del lutto Costruzione di un nuovo ruolo sociale, una nuova i-dentità, nuove relazioni
8
Interventi individuali o in gruppo?
Gli interventi che da più parti sono proposti alle persone in lutto, riunendole in gruppi, assol-
vono molteplici funzioni e comportano alcuni importanti vantaggi rispetto a un’elaborazione
individuale. Il gruppo ha funzione di accompagnamento e sostegno: la persona in lutto può
beneficiare del rapporto con persone che condividono la sua stessa condizione, che possono
comprendere i suoi bisogni troppo spesso negati dal contesto sociale circostante e nello
stesso tempo possono sostenerla nel suo processo di adattamento. Gli altri restituiscono alla
persona in lutto un senso di normalità delle proprie reazioni. Inoltre, la partecipazione a
gruppi favorisce il mantenimento o la ripresa di contatti sociali in un momento in cui si tende
a isolarsi e stimola a prendersi cura di sé, pur nella percezione del dolore e dello sconforto.
Creare uno spazio e un tempo in cui viene riconosciuto il proprio diritto al dolore consente la
possibilità di riconoscere ed elaborare le proprie emozioni e i propri sentimenti. Il fine ultimo
è la riorganizzazione della persona in lutto, nella direzione di accettazione della nuova realtà.
Friedman (in Corbella, Girelli e Marinelli, 2004, 31) afferma che: “L’omogeneità si può defini-
re principalmente secondo i termini della composizione del gruppo e dei temi affrontati.
Spesso queste categorie sono combinate: composizione dei partecipanti e focalità sul tema.
*…+ Per la definizione di un gruppo omogeneo, una delle più naturali distinzioni è relativa alla
soggettività dell’esperienza vissuta: i partecipanti condividono sentimenti quali la convinzio-
ne che chi non appartiene alla popolazione del gruppo (omogeneo) «non riuscirebbe a capi-
re» ciò che sta accadendo.” Un intervento di sostegno a un lutto così naturalmente difficile e
complesso può evitare la medicalizzazione del dolore e lo sviluppo di franchi quadri psicopa-
tologici. (Guarino, 2006).
Il gruppo di supporto psicoterapeutico, inoltre, si differenzia da un gruppo di auto-aiuto per
la presenza di uno psicoterapeuta come conduttore e di un setting ben definito.
L’importanza delle relazioni interpersonali è evidente, per l’individuo, non solo nel suo am-
biente sociale e relazionale allargato ma anche nel microcosmo gruppale: nello specifico,
uno dei fattori terapeutici di gruppo, come teorizzato da Yalom (1974) e ripreso da Yalom e
Leszcz (2009), è l’apprendimento interpersonale.
Per Yalom e Leszcz (2009), l’apprendimento interpersonale è un fattore vasto e complesso
che – attraverso l’analisi e l’uso dei concetti di comunicazione emotiva e relazionale – può
essere associato agli elementi terapeutici tipici della terapia individuale: insight, elaborazio-
ne del transfert, esperienza emotiva correttiva. Inoltre, nel gruppo questo fattore si arricchi-
sce delle risultanti caratteristiche della situazione di gruppo oltre che del lavoro del terapeu-
ta.
Ogni occasione di riflessione è un completamento del processo di apprendimento interper-
sonale: quando il discorso del gruppo è troppo denso, quando gli eventi di vita assorbono e
rendono impossibile una riflessione meno condizionata dalle urgenze emotive, uno sguardo
all’apparenza più neutro può permettere pensieri nuovi (Bion, 1972).
9
Aspetti costitutivi del gruppo psicoterapeutico per genitori a lutto
Le caratteristiche essenziali del gruppo di psicoterapia per genitori a lutto (caratteristiche
concordi con gli elementi evidenziati da una recente revisione della letteratura scientifica in-
ternazionale, Mancini e Bonanno, 2006) sono:
composizione omogenea rispetto alle caratteristiche dei partecipanti (genitori che
hanno perso figli in età evolutiva con rischio di complicazione del processo di elabo-
razione del lutto o con presenza di lutto complicato conclamato);
composizione eterogenea rispetto alla fase di lutto e alla causa della morte del figlio
(patologia oncologica, patologia cronico-grave o evento traumatico);
numero totale massimo di partecipanti per gruppo: 10-15;
durata di frequenza media: 1-2 anni;
struttura aperta del gruppo con introduzione di nuovi genitori a lutto e concomitante
uscita dal gruppo dei genitori che hanno concluso il percorso terapeutico attraverso
la partecipazione di questi ultimi a un solo incontro mensile per sei mesi;
frequenza d'incontro: quindicinale;
durata della singola seduta: 2 ore.
Nella teorizzazione del modello a Doppio Binario del lutto (Two-Track Model of Bereave-
ment), Rubin e Malkinson (2001) hanno individuato gli elementi costitutivi dell’elaborazione
di una perdita, analizzando le dinamiche di reazione al lutto proprie delle coppie genitoriali:
questi sono gli elementi teorici specifici – all’interno di una cornice teorica aspecifica, rispet-
to al trattamento di persone in fase di elaborazione di lutto e a rischio di sviluppare un lutto
complicato, riferibile ai modelli di conduzione di gruppi a orientamento psicodinamico – che
hanno guidato il pensiero.
Questo modello prende in considerazione sia il processo di elaborazione del lutto sia i suoi
esiti vedendoli come due binari – due insiemi multidimensionali di elementi psicologici – di-
stinti ma capaci di influenzarsi l’un con l’altro. Il Binario I si riferisce agli esiti dell’evento lutto
e descrive le reazioni biopsicosociali alla perdita; il Binario II si focalizza sulla relazione con il
figlio defunto e sul suo attaccamento e descrive l’iter di trasformazione degli stessi e sulle
caratteristiche del nuovo legame che si instaura tra i genitori e i figli deceduti. Il percorso dei
genitori sopravvissuti su questi binari può essere sia di carattere adattivo sia maladattivo.
Shedler (2010) individua sette elementi fondamentali che caratterizzano e differenziano la
psicoterapia psicodinamica dalle altre tecniche terapeutiche: l’analisi di questi punti favori-
sce l’individuazione di alcuni elementi che potrebbero essere compatibili con le dinamiche
che emergono in gruppi particolari come quelli psicoterapeutici “omogenei” per genitori che
hanno vissuto il lutto di un figlio.
Ritornando ai “punti” evidenziati da Shedler (2010), sottolineiamo alcuni meccanismi specifi-
ci che si possono più facilmente riscontrare in questo tipo di gruppi terapeutici; la presenza
degli altri partecipanti al gruppo e, a parità di importanza, dello psicoterapeuta, può permet-
10
tere al paziente di “vedere” qualcosa che lo caratterizza ma che, per la portata emotiva che
lo caratterizza, spesso è invisibile:
1. focalizzare sugli affetti (affect) e sull’espressione delle emozioni
2. esplorare i tentativi tesi a evitare pensieri e sentimenti disturbanti
3. identificare temi e modalità ricorrenti
4. discutere di esperienze passate (focalizzazione sullo sviluppo)
5. focalizzare sui rapporti interpersonali
6. focalizzare sulla relazione terapeutica
7. esplorare desideri e fantasie
Una (ri)elaborazione profonda che consideri gli aspetti costitutivi della storia individuale dei
partecipanti permette di favorire lo sviluppo di capacità individuali di ripresa psicologica e di
attribuzione di senso accettabile dell’esperienza.
La composizione omogenea del gruppo per caratteristiche del trauma permette allo stesso di
essere vissuto come un gruppo (psicoterapeutico) di apprendimento per esperienza (Bion,
1971; 1972; 1973): “… apprendere dall’esperienza costituisce la forma più profonda di ap-
prendimento perché legata all’esperienza più viscerale e mitica: si tratta di processi inconsci
molto profondi, alla cui base si può pensare di trovare passioni e sensazioni, oltre che il mito.
In altri termini, si tratta di realizzare una trasformazione dal gruppo di base al gruppo di lavo-
ro, …”. (Di Maria e Formica, 2009, 32).
La comunanza delle caratteristiche dell’esperienza traumatica facilita l’espressione di pen-
sieri che si ritengono troppo intimi, o penosi, o personali e permette all’individuo, attraverso
il gruppo, di lavorarci e di modificarli. Il gruppo è contenuto e contenitore, è curato e curante
dei singoli membri: il terapeuta vigila, contiene, reindirizza e utilizza la capacità di rêverie
(materna) per permettere al gruppo di metabolizzare e le informazioni emotive e trasfor-
marle in elementi che permetteranno di rafforzare la funzione cognitiva di elaborazione e
l’apparato per pensare di ciascun partecipante (Bion, 1972, 1973; Pines, a cura di, 1988;
Lόpez Corvo, 2006).
Altri elementi clinici
La funzione riflessiva
La funzione riflessiva (Fonagy & Target, 2001) è l’acquisizione evolutiva che permette al sog-
getto di rispondere sia al comportamento di coloro con i quali entra in relazione sia alla con-
cezione dei loro sentimenti, credenze e speranze.
In definitiva, possiamo dire che l’attività psicoterapeutica permette di elicitare nei singoli gli
elementi tipici dei processi di mentalizzazione (Allen, Fonagy e Bateman, 2010), quali il tene-
re a mente la mente, il considerare gli stati mentali propri e degli altri, il comprendere i frain-
tendimenti, il vedere se stessi dall’esterno e gli altri dall’interno, l’ attribuire una qualità men-
11
tale alle cose o sviluppare una prospettiva mentale, rafforzando gli effetti della pratica clini-
ca.
Vedere i cambiamenti nel tempo, farsi ascoltare e poter dire l’indicibile: come prendere
consapevolezza dei propri progressi
Comunicare significa far partecipe e partecipare, rendere comune ad altri, dividere insieme,
corrispondere trasmettere informazioni: la comunicazione è presente in ogni ambiente della
vita umana, in ogni gruppo sociale e rappresenta l’elemento costitutivo dei rapporti tra le
persone (Guarino, Serantoni, De Santi, 2007).
L’importanza dei processi comunicativi nel (set)ting gruppale sono sottolineati da Di Maria e
Formica (2009) quando individuano come uno degli elementi principali della processualità di
gruppo le “comunicazioni – interazioni visibili e invisibili”.
Far partecipare chi è assente
I fratelli “… sopravvissuti ai fratelli …”, come li chiamò un padre del gruppo per genitori a lut-
to, soffrono per la mancanza e l’inaccessibilità al dolore del genitore; soffrono anche per un
sentimento lancinante d’invisibilità, colpa e incomprensione: questi stessi sentimenti vengo-
no vissuti dai loro genitori, bloccando inesorabilmente la comunicazione in famiglia.
Poter rompere, anche per un momento, questo muro di incomprensibilità, porta un sollievo
tangibile.
Non siamo soli
Possiamo parlare di sentimenti di solitudine e diversità in chi sperimenta l’elaborazione di
una perdita importante; parlando di universalità come fattore terapeutico di gruppo, Yalom
e Leszcz (2009, 27) scrivono che: “Molti individui intraprendono la terapia con la triste con-
vinzione di essere senza uguali nella loro disgrazia, di avere essi soli certi problemi, pensieri,
impulsi e fantasie spaventosi o inaccettabili. Vi è in questo un fondo di verità, dal momento
che molti pazienti hanno dovuto affrontare forme non comuni di tensioni esistenziali e sono
di solito dominati e influenzati da elementi psichici perlopiù inconsci.”.
Questo è vero in parte per ognuno di noi, tuttavia molti pazienti vivono in maniera decisa-
mente più intensa questo senso di unicità poiché vivono esperienze di forte isolamento e in-
comprensione sociale (Yalom & Leszcz, 2009).
“… e lasciatemi divertire!” …
… questa è l’esortazione di Palazzeschi citata da Fasolo (2009) nel rammentarci quanto
l’umorismo – inteso sia come capacità personale sia come strumento terapeutico – risulti
uno strumento assai efficace per il superamento di impasse emozionali che potrebbero ren-
dere difficoltosa la comunicazione nell’hic et nunc della seduta terapeutica: strumento,
l’umorismo, tanto importante, tuttavia, quanto delicato da gestire.
12
Bibliografia
Allen, J.G., Fonagy, P., & Bateman, A.W. (2010). La mentalizzazione nella pratica clinica. Milano: Raf-
faello Cortina.
Aranda, S. and Milne, D. (2000). Guidelines for the assessment of complicated bereavement risk in family members of people receiving palliative care. Melbourne: Centre for Palliative Care.
Baussant-Crenn, C. (2003). Le deuil: aspects clinique, théoriques, thérapeutiques. In: Bercovitz, A., a cura di, Accompagner des personnes en deuil – L’expérience du Centre François-Xavier Ba-gnoud. Toulouse: Erès, cap. 1, pp. 1-20.
Bion, W.R. (1972). Apprendere dall’esperienza. Roma: Armando. Bion, W.R. (1973). Attenzione e interpretazione. Roma: Armando. Biondi, M., Costantini, A. e Grassi, L. (1995). La mente e il cancro. Roma: Il Pensiero Scientifico. Bowlby, J. (1982). Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano: Raffaello Cortina. Christ, G.H., Siegel, K., Christ, A.E. (2002). Adolescent grief: “It never really hit me...until it actually
happened.” Journal of the American Medical Association, vol. 288(10), pp. 1269-1278. Di Maria, F. & Formica, I. (2009). Fondamenti di gruppoanalisi. Bologna: Il Mulino. Fasolo, F. (2009). Gruppoanalisi e salute mentale. Padova: Cluep. Field, M.J. and Behrman, R.E., editors, (2003). When children die: improving palliative and end-of-life
care for children and their families / Committee on Palliative and End-of-Life Care for Children and Their Families, Board on Health Sciences Policy. Washington DC: NAP.
Fonagy, P. & Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Milano: Raffaello Cortina. Friedman, R. (2004). Intervista. In S. Corbella, R. Girelli, & S. Marinelli, a cura di, Gruppi omogenei, pp.
31-37. Roma: Borla. Galimberti, U. (1999). Psicologia. Torino: Garzanti. Guarino, A. (2006). Psiconcologia dell’età evolutiva. Trento: Erickson. Guarino, A., Serantoni, G., & De Santi, A. (2007). Formazione alla comunicazione negli screening. In A.
Federici (a cura di) Screening: Profilo complesso di assistenza. (Appendice in sito internet collegato: http://www.pensiero.it/screening/pdf/appendice_03.pdf pp. 1-3). Roma: Il Pensiero Scienti-fico.
Kazak, A. and Noll, R. (2004). Child death from pediatric illness: conceptualizing intervention from a family-system and public health perspective. Professional Psychology: Research and Practice, vol. 35(3), 219-226.
Kübler Ross, E. (1990). La morte e il morire. Padova: Cittadella Editore. Kübler Ross, E. (2002). La morte e la vita dopo la morte. Roma: Edizioni Mediterranee. López Corvo, R.E. (2005). Dizionario dell'opera di Wilfred R. Bion. Roma: Borla. Mancini, A.D. and Bonanno (2006). Bereavement. In: Fisher J.E. and O’Donohue W.T., editors, Practi-
tioner’s guide to evidence-based psychotherapy. New York: Springer, cap. 11, pp. 122-130. Mancini, A.D. and Bonanno (2006). Bereavement. In: Fisher J.E. and O’Donohue W.T., editors, Practi-
tioner’s guide to evidence-based psychotherapy. New York: Springer, cap. 11, pp. 122-130. Oppenheim, D. (2003). Crescere con il cancro. Esperienze vissute da bambini e adolescenti. Trento:
Erickson. Pines, M.(a cura di) (1988). Bion e la psicoterapia di gruppo. Roma: Borla. Proust, M. (1923). À la recherche du temps perdu – La prisonnière. Torino: Einaudi (tr. it. P. Serini,
1967). Rubin, S.S. and Malkinson R. (2001). Parental response to child loss across the lyfe cycle: clinical and
research perspectives. In: Stroebe, M.S., Hansson, R.O., Stroebe, W. and Schut, H., editors, Handbook of bereavement research: Consequences, coping, and care. Washington, D.C: American Psychological Association, cap. 10, pp. 219-240.
13
Rubin, S.S. and Malkinson R. (2001). Parental response to child loss across the lyfe cycle: clinical and research perspectives. In: Stroebe, M.S., Hansson, R.O., Stroebe, W. and Schut, H., editors, Handbook of bereavement research: Consequences, coping, and care. Washington, D.C: American Psychological Association, cap. 10, pp. 219-240.
Shedler, J. (2010). L’efficacia della terapia psicodinamica. Psicoterapia e Scienze Umane, XLIV, 1: 9-34. Siegel, D.J. (2001). La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale. Milano: Raffa-
ello Cortina. Stroebe, M.S. and Schut, H. (2001). Models of coping with bereavement: a review. In: Stroebe, M.S.,
Hansson, R.O., Stroebe, W. and Schut, H., editors, Handbook of bereavement research: Con-sequences, coping, and care. Washington, D.C: American Psychological Association, cap. 17, pp. 375-404.
Stroebe, M.S., Hansson, R.O., Stroebe, W. and Schut, H., editors, (2001). Handbook of bereavement research: Consequences, coping, and care. Washington, D.C: American Psychological Associa-tion.
Yalom I.D. (1974). The theory and practice of group psychotherapy. New York: Basic Books. Yalom, I.D. & Leszcz, M. (2009). Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo. Torino: Bollati Borin-
ghieri.