Il luogo della memoria. L’opera di Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze

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«L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre ad ogni istante». Perché questa intuizione di Pavese non resti una suggestione estetica, ma diventi un’esperienza, la vita di ognuno di noi ha bisogno di un luogo che renda presente l’ideale e richiami continuamente la coscienza. Un luogo il cui modello ideale sono stati per secoli monasteri e conventi: una casa tra le nostre case, in cui la memoria dello scopo del vivere sia quotidianamente sostenuta e renda denso l’istante. Il convento domenicano di San Marco a Firenze fu affrescato da Beato Angelico, un frate dell’Ordine, che sentiva in sé questa urgenza ideale e la espresse con la genialità che gli era propria, quella di un grande artista del Rinascimento. È nato così un luogo di memoria, un luogo in cui la bellezza dell’arte è tutta piegata a sostenere la coscienza di uomini che volevano vivere l’ideale in tutte le pieghe della

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Mariella Carlo� i

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Mariella Carlo� i

è nata a Perugia nel 1960, dove si è laureata in le� ere, ma da molti anni vive a Firenze.Insegnante alle scuole secondarie superiori, si è interessata di arte con pubblicazioni, conferenze e mostre dida� iche. Per la Società Editrice Fiorentina ha pubblicato Il lavoro e l’ideale. Il ciclo delle formelle del Campanile di Gio� o (2008); Il bene di tu� i. Gli a� reschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenze� i nel Palazzo Pubblico di Siena (2010), Il cuore di Siena. La Maestà di Duccio di Buoninsegna (2011) e Ante gradus. Quando la certezza diventa creativa. Gli a� reschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena (2011).

In copertinaBeato Angelico, Annunciazione, particolare, Museo di San Marco, Firenze

(foto di Nicolò Orsi Ba� aglini, Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le A� ività Culturali)

«L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre ad ogni istante».Perché questa intuizione di Pavese non resti una suggestione estetica, ma diventi un’esperienza, la vita di ognuno di noi ha bisogno di un luogo che renda presente l’ideale e richiami continuamente la coscienza. Un luogo il cui modello ideale sono stati per secoli monasteri e conventi: una casa tra le nostre case, in cui la memoria dello scopo del vivere sia quotidianamente sostenuta e renda denso l’istante.Il convento domenicano di San Marco a Firenze fu a� rescato da Beato Angelico, un frate dell’Ordine, che sentiva in sé questa urgenza ideale e la espresse con la genialità che gli era propria, quella di un grande artista del Rinascimento.È nato così un luogo di memoria, un luogo in cui la bellezza dell’arte è tu� a piegata a sostenere la coscienza di uomini che volevano vivere l’ideale in tu� e le pieghe della vita quotidiana.

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Referenze fotograficheNicolò Orsi Battaglini, Firenze (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)

È vietata la riproduzione o duplicazione, con qualsiasi mezzo, delle immagini contenute nel volume

L’Editore desidera ringraziare Mariapia Cattolico per il prezioso e intelligente aiuto

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5INTRODUZIONE

La vita dell’uomo si svolge laggiù tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni gior-no che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. È un fastidio alla fine […]. C’è una burrasca che rinnova le campagne – né la morte né i grossi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fa-stidioso come mosche d’estate – quest’è il vivere che taglia le gambe.

Cesare Pavese, in questa pagina dei Dialo-ghi con Leucò, ha ben identificato il dramma dell’uomo, la pena che ogni giorno porta con sé: è la fatica della vita quotidiana, quella ri-petizione di cose che rende tutto banale, fa-stidioso, che ottunde la coscienza e uccide la speranza.

Dio si è fatto uomo proprio per rispon-dere a questo dramma: è diventato compa-gno delle nostre giornate perché avessero il sapore dell’eccezionale, perché «era neces-

sario che l’eroico diventasse normale, quo-tidiano, e che il normale, quotidiano diven-tasse eroico» (Giovanni Paolo II, Norcia marzo ). Per questo il Mistero, l’ec-cezionale che il cuore presente in ogni cosa e che ogni esperienza sembra deludere, è diventato in Cristo un incontro umano. Chi ha avuto la grazia di imbattersi, due-mila anni fa o oggi, in questa Presenza co-nosce il sapore di una novità inaspettata e non sopporta più di continuare stanca-mente l’esistenza.

«L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sem-pre ad ogni istante». Perché questa intuizio-ne di Pavese non resti una suggestione esteti-ca, ma diventi un’esperienza, la vita di ognu-no di noi ha bisogno di un luogo che renda presente l’ideale e richiami continuamente la coscienza. Un luogo il cui modello ideale so-no stati per secoli monasteri e conventi: una casa tra le nostre case, in cui la memoria dello

Introduzione

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scopo del vivere sia quotidianamente soste-nuta e renda denso l’istante.

Il convento domenicano di San Marco a Firenze fu affrescato da Beato Angelico, un frate dell’Ordine, che sentiva in sé questa ur-genza ideale e la espresse con la genialità che gli era propria, quella di un grande artista del Rinascimento.

È nato così un luogo di memoria, un luogo in cui la bellezza dell’arte è tutta piegata a so-stenere la coscienza di uomini che volevano vivere l’ideale in tutte le pieghe della vita quotidiana.

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Il convento di San Marco

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Il gennaio il papa Eugenio IV dona ai frati di San Domenico a Fiesole il monastero e la chiesa di San Marco, su richiesta di Cosi-mo de’ Medici, signore di Firenze da pochi anni. Il convento di Fiesole era stato fondato all’inizio del XV secolo da Giovanni Domi-nici, seguace del vasto movimento di rinno-vamento dell’ordine domenicano promosso da Caterina da Siena e proseguito con l’ele-zione a maestro generale dei Frati Predicato-ri di Raimondo da Capua, confessore e disce-polo della santa senese. In anni tremendi per la vita di tutta la Chiesa – basti pensare al trasferimento ad Avignone della sede papale (-), alla lunga crisi dell’autorità pa-pale che la storia ha chiamato Scisma d’Occi-dente (-) – Caterina riportò l’urgen-za di una rinnovata fedeltà al carisma dome-nicano originale: il convento di Fiesole nac-que per assecondare questo desiderio di ri-forma e creare un luogo che svolgesse una funzione esemplare nell’Ordine.

Eugenio IV e Cosimo guardavano con in-teresse la riforma dell’osservanza avviata nel convento fiesolano – alcuni frati del quale vi-vevano da pochi mesi nel piccolo convento fiorentino di San Giorgio alla Costa – e vole-vano che avesse una visibilità maggiore in tutta la Chiesa. Il complesso monastico di San Marco, fondato alla fine del XIII secolo dai benedettini-silvestrini, era in piena deca-denza spirituale e materiale: il pontefice im-pose allora uno scambio di conventi tra i do-menicani osservanti, residenti in San Gior-gio, e i monaci del ben più ampio e centrale cenobio marciano. Su tali eventi abbiamo un testimone oculare di eccezione, sant’Antoni-no Pierozzi, frate in quegli anni del convento di Fiesole e futuro arcivescovo di Firenze:

Abitando il Monastero di San Marco in Firenze i monaci Silvestrini, militanti sotto la regola di S. Benedetto, ed essendo la loro fama oscura e poco Veduta del chiostro di Sant’Antonino

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penitenza per i suoi peccati, spendendo nel grande cantiere del convento . fiorini, il quadruplo di quanto concordato con il pa-pa.

Avendo Cosimo atteso alle cose temporali della sua città, nelle quali non poteva essere ch’egli non vi avessi messo assai della coscientia, come fanno i più di quegli che governano gli stati et vogliono essere inanzi agli altri, conascendo questo, vide che a vole-re che Iddio gli avessi misericordia et conservassilo in questi beni temporali, bisognava volgersi alle co-se pie, altrimenti conosceva ch’elle non potevano durare sanza questo mezzo, et per questo donde egli si procedessi nollo so, allui pareva avere danari di non molto buono aquisto. Et per volere levarsi questo peso d’in sulle ispalle, sendo in Firenze papa Eugenio, conferì colla Sua Sanctità, quello gli pare-va che la sua coscientia lo gravassi. Papa Eugenio avendo messa l’Oservantia in Sancto Marco, et non vi sendo luogo comodo per quegli religiosi, disse a Cosimo di quello suo pensiero aveva, voleva che per sua sodisfactione e per isgravare la sua conscientia vi murassi fiorini dieci mila. Murati i dieci mila, et non bastando a finire uno munistero di tutto quello bisognava, lo finì del tutto, et spese in tutto più di fiorini quaranta mila; et non solo murò la casa, ma e gli provide di tutte le cose necessarie al vivere.

Il convento fu riprogettato da Michelozzo: al piano terra i locali comuni – chiesa, refet-

grata al popolo della detta chiesa, piacque ad Euge-nio IV far visitare detto Monastero da alcuni prela-ti e fare inquisizione sulla vita di essi. Fatta al Papa la relazione sulla rilassatezza e dissoluta conversa-zione di essi, attesa specialmente la supplica di Co-simo e Lorenzo de’ Medici, nonché dei popolani della detta chiesa, concesse il Monastero di San Marco ai Frati Predicatori viventi nell’osservanza nel convento di S. Domenico della diocesi di Fieso-le e nel convento di S. Giorgio di Firenze uniti. [La detta concessione fu fatta] a modo di permuta o transazione, disponendo che i Frati Predicatori abi-tanti in S. Giorgio andassero ad abitare a S. Marco e i Monaci Silvestrini passassero a quello di S. Giorgio, coi beni immobili di S. Marco, eccettuati un campo, poi trasformato in pometo, e alcune ca-sette situate presso la chiesa [di S. Marco]. Alla quale sentenza obbedirono i Frati Predicatori. I Silvestrini, invece, pur accettando il luogo di S. Giorgio, appellarono al Concilio di Basilea. Cosa che loro, però non giovò.

Fatto lo scambio, fu Cosimo de’ Medici che si accollò l’onere economico della ristrut-turazione di San Marco, incaricando dei la-vori il suo architetto di fiducia Michelozzo. Uno storico fiorentino dell’epoca, Vespasia-no da Bisticci, ci rivela che il mecenatismo di Cosimo aveva come ragione un suggerimen-to avuto da Eugenio IV: Cosimo finanziò l’impresa del restauro di San Marco come

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in uno spazioso giardino con alberi da frutto. Fece fare poi una biblioteca così lunga e larga che in Italia non ve ne sono altre, arricchendola di note-voli libri di diverse materie non solo in lingua lati-na, ma anche greca, che erano appartenuti a Nic-colò de’ Nicoli, uomo studioso di ambedue le lin-gue. La stessa chiesa, poi, fu consacrata dal Cardi-nale Capuano nel giorno dell’Epifania, venendo alla stessa chiesa di S. Marco il Papa Eugenio IV coi cardinali ed altri prelati di curia dal convento di S. Maria Novella, dove risiedeva […] cosa che avvenne nel .

Antonino Pierozzi diventò nel priore di San Marco e certamente ebbe un ruolo di primo piano nell’affrescatura del convento per opera di un frate che come lui proveniva da Fiesole e che con lui ebbe un rapporto for-te di stima e di amicizia, come documentato da tanti episodi attestati dalle fonti: stiamo parlando di quel fra Giovanni che la storia chiama Beato Angelico.

torio, capitolo, ospizio – hanno un accesso dal chiostro principale; al secondo piano tro-vano posto le celle dei frati e la vasta bibliote-ca. Lo spazio riflette i caratteri del primo Ri-nascimento fiorentino: i particolari architet-tonici in grigia pietra serena si stagliano sulle pareti intonacate di bianco. I lavori vennero iniziati nel e il giorno dell’Epifania del Eugenio IV consacrò il convento ormai terminato. L’impresa ci viene descritta dallo stesso Antonino Pierozzi, ammirato dal pon-tefice e dallo stesso Cosimo de’ Medici per la santità della sua vita e per la sua opera di ri-formatore dell’Ordine domenicano:

Preso possesso del convento, Cosimo [de’ Me-dici], quale uomo magnifico distrutte, come ina-datte e inutili, le primitive costruzioni, cominciò a edificare, non cessando finché non portò tutto alla perfezione, come ora appare, aggiungendo alla chiesa la sola cappella maggiore. Completati il pri-mo e il secondo chiostro, trasformò l’attiguo orto

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