IL MUSEO DEL MONDO 3 - Annunciazione Di Beato Angelico (1438-40) - Repubblica 13.01.2013

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R CULT I 56 DOMENICA 13 GENNAIO 2013 la Repubblica IL MUSEO DE L MONDO gure. Il focus dell’affresco infat- tièproprioquellaparetebianca, abbacinant e, fra l’angelo e Ma- ria. È uno spazio vuoto, come una pagina, che attira l’occhio e dunque il pensiero: spazio di contemplazio ne, rivelazione. Ma Maria non deve avere il mantoblu,comeilcielo stellato? Forse Angelico non ha avuto il tempo di finire il dipinto: fu chiamato dal papa, partì per Ro- ma. Lasciò l’abito di Maria allo statodipreparazione.Eppurein un’opera rarefatta come questa ogni scelta è indizio di un signi- ficato. Maria e l’angelo si somi- gliano e sono speculari anche nei gesti – nell’istante in cui il messaggero si inchina a una mortale,eladonnaricevelo Spi- rito Santo dentro di sé. Ma non sono identici. L’angelo rivela la presenza di Dio, che è luce – e ir- radia tutto intorno, batte sulla parete di fondo e illumina ogni cosa. L’angelo non ha corpo.  Anche Maria ha perso consi- stenza. Guardate la sua strana posizione, il panneggio quasi concavo del vestito là dove do- vrebbe esserci l’osso del ginoc- chio. Scelta da Dio, dopo avergli detto di sì, sarà mediatrice e sal- vatrice dell’umanità. Però resta una donna, ed è nel suo corpo reale che tutto si compie. Così la luce la investe, ma non la attra- versa. Guardate la parete alle sue spalle. C’è un’ombra. Maria fa ombra. All’Angelico ormai basta una pennellata per dire che cosa distingue gli angeli da- gli esseri mortali. Lui, invece, ormai veniva considerato un angelo. Già po- chi anni dopo la morte lo chia- mavano“pittoreangelico”(pro- prio nel senso che, come gli an- geli, vedeva Dio), e beato. Dal 1982, per volontà di Giovanni Paolo II, frate Giovanni è beato davvero. © RIPRODUZIONE RISERVATA MELAN IA MAZZUCC O  L o s paz i o bianco di Beato A n g e l ico nella sua Annunciazione “astratta”  L FOTODIBASSOCANNARSA L’ARTISTA Guido di Piero, detto il Beato  Angeli co (1395 ca-1455 ) e ntra nel convento di San Domenico a Fiesole con il nome di Fra’ Giovanni. Diventa tra i maggiori pittori fiorentini del primo Rinascimento. Affresca il convento di San Marco a Firenze. Dal 1446 è a Roma per lavorare alla Cappella Niccolina per papa Niccolò V; dipinge poi nella cattedrale di Orvieto. Muore a Roma. Viene proclamato Beato da papa Wojtyla KLEE “Ad Parnassum” (6 gennaio) L’OPERA Beato Angelico: “Annunciazione” (1438-40), affresco, Firenze, convento di San Marco, cella 3 minascoste dalle ali dell’angelo e gli archi della volta sono tutto ciò che resta dell’architettura. Lo spazio è indeterminato e os- sessivo, come in un sogno. Né un esterno né un interno: una cavità intima, che evoca la cella reale, e il reale chiostro del con- vento. Sulla sinistra, un rettan- golo verde allude al giardino della casa di Maria, a Nazareth, o al giardino dell’Eden da cui fu espulso Adamo (poiché l’An- nunciazion e avvia la redenzio- ne dell’umanità dal peccato di  Adamo). Anche il tempo è astratto.L’eventoinfattinonac- cade al momento del racconto di san Luca: è il suo ricordo. Ciò dimostra la presenza anacroni- stica di un testimone vissuto se- colidopo,ilmartirePietroda Ve- rona dalla testa sanguinante. In- dossa il saio bianco e nero del- l’ordine domenican o, lo stesso del pittore e del frate della cella n. 3 cui l’opera è destinata. La scena è come una visione: l’im- magine mentale dell’Annun- ciazione. Cioè Pietro (il frate, il pittore) sta meditando sul mi- sterocentraledel cristianesimo: l’Incarnazio ne di Dio nel ventre di una donna. La Vergine e l’angelo appaio- no, come emergendo dal bianco dell’intonaco. Sottili, diafani, inverosimili .Nonparlano.Il pit- tore presuppone il dialogo del  Vangelo – lo allude. L’economia dei segni è totale, i colori sono pochissimi. Rosso il sangue sul cranio del martire e lo spirito santo che arde in forma di fiam- mella; verde il prato immagina- rio e le piume delle ali dell’ange- lo; legno l’umile panchetto di Maria; oro le aureole e i capelli; rosa l’abito di Gabriele e di Ma- ria. Ma è il bianco che domina. Bianco il libro, bianco il pavi- mento, bianco il soffitto, bianco il muro sullo sfondo. Ha lo stes- socoloredell’intonacodellacel- la che circonda il dipinto, e del dipintostessoprimacheil pitto- re vi disegnasse e colorisse le fi- a cella numero 3, nel corridoio est del convento domenicano di San Marco, a Firenze, è un mo- nolocale con una porta e una fi- nestra. Eppure là dentro, sulla parete,c’èl’operapiùradicaledi uno dei pittori più facili e insie- me complessi della storia del- l’arte, che in quarant’anni di at- tività fu assai prolifico benché, come ci racconta Vasari, essen- do uomo di santa vita non lavorò mai per denaro: frate Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro detto Guidolino – insom- ma, il Beato Angelico. In San Marco il Beato Angeli- co dipinse una cinquantina di opere, anche servendosi di col- laboratori, assistenti e seguaci. Le più personali non le trovate però nei corridoi, nei refettori o nelle stanze dei laici, ma nelle celle dei frati. Anche Angelico era frate domenicano. Dipinge- va, in sostanza, per se stesso. Per questo quegli affreschi rappre- sentano un caso rarissimo nella storia dell’arte – paragonabile a quello di Tintoretto alla Scuola di San Rocco: creati in libertà, con poveri strumenti materiali (pigmentidioriginevegetale,le- ganti organici, pennelli fatti con pelidianimali),rivelanoquanto profondo, altissimo e sottile possa essere il pensiero di un ar- tista. La cella numero 3 oggi è bian- ca e vuota. Forse anche intorno al 1443, quando ci entrò il primo frate.Cisaràstatounletto,unin- ginocchiatoio, un braciere, qualche utensile per la vita quo- tidiana. Il soggetto dell’affresco è l ’Annunciazione. Beato Ange- lico ha dipinto almeno 15 An- nunciazion i: e una addirittura a pochi metri, nel corridoio del convento. Eppure questa le su- pera tutte. È nuda, essenziale, spoglia. Ricordate la laconicità enigmatica dei 13 versetti del  Vangelo di San Luca? Ebbene,  Angelico qui realizza l’assoluto equivalente della scrittura. La pittura diventa astratta quanto la parola. Si tratta di una trascri- zione, non di una descrizione.  Angelico non illustra il racc onto del Vangelo a un ignorante che nonsaleggere;quila pitturanon è la Bibbia dei poveri. I frati do- menicani già conoscono le sa- cre scritture. Angelico può eli- minare tutti i dettagli narrativi e naturalistici. Due colonne se- LA GALLERIA

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RCULTI 56

DOMENICA 13 GENNAIO 2013

la Repubblica 

IL MUSEODELMONDO

gure. Il focus dell’affresco infat-ti è proprio quella parete bianca,abbacinante, fra l’angelo e Ma-ria. È uno spazio vuoto, comeuna pagina, che attira l’occhio edunque il pensiero: spazio dicontemplazione, rivelazione.

Ma Maria non deve avere ilmanto blu, come il cielo stellato?Forse Angelico non ha avuto iltempo di finire il dipinto: fuchiamato dal papa, partì per Ro-ma. Lasciò l’abito di Maria allostato di preparazione. Eppure inun’opera rarefatta come questaogni scelta è indizio di un signi-ficato. Maria e l’angelo si somi-gliano e sono speculari anchenei gesti – nell’istante in cui ilmessaggero si inchina a unamortale, e la donna riceve lo Spi-rito Santo dentro di sé. Ma nonsono identici. L’angelo rivela lapresenza di Dio, che è luce – e ir-radia tutto intorno, batte sullaparete di fondo e illumina ognicosa. L’angelo non ha corpo.

 Anche Maria ha perso consi-stenza. Guardate la sua stranaposizione, il panneggio quasiconcavo del vestito là dove do-vrebbe esserci l’osso del ginoc-chio. Scelta da Dio, dopo averglidetto di sì, sarà mediatrice e sal-vatrice dell’umanità. Però restauna donna, ed è nel suo corporeale che tutto si compie. Così laluce la investe, ma non la attra-versa. Guardate la parete allesue spalle. C’è un’ombra. Mariafa ombra. All’Angelico ormaibasta una pennellata per direche cosa distingue gli angeli da-gli esseri mortali.

Lui, invece, ormai venivaconsiderato un angelo. Già po-chi anni dopo la morte lo chia-mavano “pittore angelico” (pro-prio nel senso che, come gli an-geli, vedeva Dio), e beato. Dal1982, per volontà di GiovanniPaolo II, frate Giovanni è beatodavvero.

© RIPRODUZIONE RISERVATA 

MELANIA MAZZUCCO

 Lo spazio bianco di Beato Angeliconella sua Annunciazione “astratta” 

L

FOTODIBASSO CANNARSA 

L’ARTISTA 

Guido di Piero, detto il Beato Angelico (1395 ca-1455) entranel convento di San Domenicoa Fiesole con il nome di Fra’Giovanni. Diventa tra i maggioripittori fiorentini del primoRinascimento. Affresca il conventodi San Marco a Firenze. Dal 1446è a Roma per lavorare alla CappellaNiccolina per papa Niccolò V;dipinge poi nella cattedraledi Orvieto. Muore a Roma. Vieneproclamato Beato da papa Wojtyla

KLEE

“AdParnassum”(6 gennaio)

L’OPERA 

Beato Angelico:“Annunciazione”(1438-40),affresco,Firenze,convento di SanMarco, cella 3

minascoste dalle ali dell’angeloe gli archi della volta sono tuttociò che resta dell’architettura.Lo spazio è indeterminato e os-sessivo, come in un sogno. Néun esterno né un interno: unacavità intima, che evoca la cellareale, e il reale chiostro del con-vento. Sulla sinistra, un rettan-golo verde allude al giardinodella casa di Maria, a Nazareth,o al giardino dell’Eden da cui fuespulso Adamo (poiché l’An-nunciazione avvia la redenzio-ne dell’umanità dal peccato di Adamo). Anche il tempo èastratto. L’evento infatti non ac-cade al momento del raccontodi san Luca: è il suo ricordo. Ciò

dimostra la presenza anacroni-stica di un testimone vissuto se-coli dopo, il martire Pietro da Ve-rona dalla testa sanguinante. In-dossa il saio bianco e nero del-l’ordine domenicano, lo stessodel pittore e del frate della cellan. 3 cui l’opera è destinata. Lascena è come una visione: l’im-magine mentale dell’Annun-ciazione. Cioè Pietro (il frate, ilpittore) sta meditando sul mi-stero centrale del cristianesimo:l’Incarnazione di Dio nel ventredi una donna.

La Vergine e l’angelo appaio-no, come emergendo dal biancodell’intonaco. Sottili, diafani,inverosimili. Non parlano. Il pit-

tore presuppone il dialogo del Vangelo – lo allude. L’economiadei segni è totale, i colori sonopochissimi. Rosso il sangue sulcranio del martire e lo spiritosanto che arde in forma di fiam-mella; verde il prato immagina-rio e le piume delle ali dell’ange-lo; legno l’umile panchetto diMaria; oro le aureole e i capelli;rosa l’abito di Gabriele e di Ma-ria. Ma è il bianco che domina.Bianco il libro, bianco il pavi-mento, bianco il soffitto, biancoil muro sullo sfondo. Ha lo stes-so colore dell’intonaco della cel-la che circonda il dipinto, e deldipinto stesso prima che il pitto-re vi disegnasse e colorisse le fi-

a cella numero 3, nel corridoioest del convento domenicano diSan Marco, a Firenze, è un mo-nolocale con una porta e una fi-nestra. Eppure là dentro, sullaparete, c’è l’opera più radicale diuno dei pittori più facili e insie-me complessi della storia del-l’arte, che in quarant’anni di at-tività fu assai prolifico benché,come ci racconta Vasari, essen-do uomo di santa vita non lavoròmai per denaro: frate Giovannida Fiesole, al secolo Guido diPietro detto Guidolino – insom-ma, il Beato Angelico.

In San Marco il Beato Angeli-

co dipinse una cinquantina diopere, anche servendosi di col-laboratori, assistenti e seguaci.Le più personali non le trovateperò nei corridoi, nei refettori onelle stanze dei laici, ma nellecelle dei frati. Anche Angelicoera frate domenicano. Dipinge-va, in sostanza, per se stesso. Perquesto quegli affreschi rappre-sentano un caso rarissimo nellastoria dell’arte – paragonabile aquello di Tintoretto alla Scuoladi San Rocco: creati in libertà,con poveri strumenti materiali(pigmenti di origine vegetale, le-ganti organici, pennelli fatti conpeli di animali), rivelano quantoprofondo, altissimo e sottilepossa essere il pensiero di un ar-tista.

La cella numero 3 oggi è bian-ca e vuota. Forse anche intorno

al 1443, quando ci entrò il primofrate. Ci sarà stato un letto, un in-ginocchiatoio, un braciere,qualche utensile per la vita quo-tidiana. Il soggetto dell’affrescoè l’Annunciazione. Beato Ange-lico ha dipinto almeno 15 An-nunciazioni: e una addirittura apochi metri, nel corridoio delconvento. Eppure questa le su-pera tutte. È nuda, essenziale,spoglia. Ricordate la laconicitàenigmatica dei 13 versetti del Vangelo di San Luca? Ebbene, Angelico qui realizza l’assolutoequivalente della scrittura. Lapittura diventa astratta quantola parola. Si tratta di una trascri-zione, non di una descrizione. Angelico non illustra il raccontodel Vangelo a un ignorante chenon sa leggere; qui la pittura nonè la Bibbia dei poveri. I frati do-

menicani già conoscono le sa-cre scritture. Angelico può eli-minare tutti i dettagli narrativi enaturalistici. Due colonne se-

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