“Il laboratorio linguistico” agli albori della moderna ... · vazione dell’insegnamento Il...

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2 “Il laboratorio linguistico” agli albori della moderna concezione dell’insegnamento delle lingue seconde Questo contributo prende spunto da un articolo pubblicato nel 1972 1 in cui si il- lustrano i vantaggi del “laboratorio lin- guistico” che in quegli anni rappresen- tava una visione progressista dell’inse- gnamento delle lingue seconde. Il labo- ratorio linguistico consisteva in un im- pianto elettronico costituito da una po- stazione di comando e da un certo numero di posti per gli allievi, e serviva per «rendere più effettive determinate fasi nell’apprendimento di una lingua straniera». Esso permetteva al singolo studente di lavorare in modo individua- le sull’ascolto e sulla produzione orale. Grazie ad un posto di lavoro munito di cuffie e di registratore, l’allievo poteva ascoltare diverse fonti sonore e rispon- dere ad alta voce svolgendo esercizi si- stematici e strutturali. Dal metodo tradizionale “grammatica-traduzione” al comportamentismo Il laboratorio linguistico era lo stru- mento principale del metodo didattico audiolinguale e audiovisivo. Questo metodo si contrapponeva al metodo della “grammatica-traduzione” im- prontato sulla metodologia dell’inse- gnamento delle lingue antiche. Per l’approccio grammatico-traduzionale che era in vigore fino alla fine dell’800, l’obiettivo principale consisteva nella padronanza della grammatica e del lessico di una lingua, padronanza che veniva testata tramite delle traduzioni. Questo metodo non teneva conto degli aspetti orali di una lingua. Come rea- Un mercato schizofrenico di Rita Beltrami* zione a tale modalità di apprendimen- to, a partire dall’inizio del ‘900 diversi movimenti di riforma hanno cercato di promuovere un insegnamento più at- tivo incentrato sulla lingua parlata. A partire dagli anni ’50 si faceva strada il metodo audiolinguale e audiovisivo nel quale si inseriva il laboratorio lin- guistico. L’accento veniva messo sulla competenza orale che permetteva di interagire nelle situazioni di comuni- cazione quotidiane. Lo strutturalismo americano di Bloomfield (1917 e 1933) di Brigitte Jörimann Vancheri* cronache odierne. Chi è alla ricerca in questo momento di un posto di apprendistato da cuoco piange lacrime amare perché non riesce a trovarlo e nel contempo la VISCOM (As- sociazione svizzera per la comunicazione visiva) lancia se- gnali di allarme perché non trova dei giovani interessati a coprire i posti di apprendistato di Tecnologo di stampa e Operatore postpress. Certo chi è interessato alla cucina fa- rà fatica a pensare di entrare nel mondo della grafica. Ma al primo sembrerà che i posti di tirocinio non ci sono, al se- condo che invece mancano le persone per svolgere gli ap- prendistati. Le aziende si lamentano poiché non trovano giovani inte- ressati e disponibili, o forse i candidati ci sono ma non han- no le attitudini che servono o presentano un profilo che non soddisfa l’azienda. I genitori a loro volta si lamentano che le aziende spesso neanche rispondono alle lettere di candidatura dei propri figli. I panettieri-pasticceri-confettieri lanciano segnali di allar- me perché meno giovani si presentano per stage e posti di tirocinio; gli orientatori raccogliendo i segnali dei giovani che seguono, si lamentano che questi non trovano posti di tirocinio in quella professione e che addirittura talvolta non riescono nemmeno a svolgere uno stage. È un mercato che potremmo definire “schizofrenico” quel- lo dei posti di tirocinio: un mercato dove né si vende né si compra, ma dove si negoziano posti di tirocinio, fra un’a- zienda che offre la possibilità di imparare un mestiere e una persona che cerca un posto di formazione in apprendi- stato. Di anno in anno la preoccupazione non manca: ci sa- ranno posti a sufficienza per tutti? E quest’anno i segnali al momento non sono dei migliori: a metà giugno si contano un centinaio di aziende in meno disposte ad assumere ri- spetto allo scorso anno. Ma è l’analisi qualitativa quella che più dà il suo carattere schizofrenico. Gli esempi sono Anche in questo numero ricordiamo i quarant’anni della rivista “Scuola tici- nese” rivisitando un articolo degli anni Settanta e proponendo delle riflessioni sulle analogie e sulle differenze riscon- trabili tra presente e passato.

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“Il laboratorio linguistico” agli albori della moderna concezione dell’insegnamento delle lingue seconde

Questo contributo prende spunto da un articolo pubblicato nel 19721 in cui si il-lustrano i vantaggi del “laboratorio lin-guistico” che in quegli anni rappresen-tava una visione progressista dell’inse-gnamento delle lingue seconde. Il labo-ratorio linguistico consisteva in un im-pianto elettronico costituito da una po-stazione di comando e da un certo numero di posti per gli allievi, e serviva per «rendere più effettive determinate fasi nell’apprendimento di una lingua straniera». Esso permetteva al singolo studente di lavorare in modo individua-le sull’ascolto e sulla produzione orale. Grazie ad un posto di lavoro munito di cuffie e di registratore, l’allievo poteva ascoltare diverse fonti sonore e rispon-dere ad alta voce svolgendo esercizi si-stematici e strutturali.

Dal metodo tradizionale “grammatica-traduzione” al comportamentismoIl laboratorio linguistico era lo stru-mento principale del metodo didattico

audiolinguale e audiovisivo. Questo metodo si contrapponeva al metodo della “grammatica-traduzione” im-prontato sulla metodologia dell’inse-gnamento delle lingue antiche. Per l’approccio grammatico-traduzionale che era in vigore fino alla fine dell’800, l’obiettivo principale consisteva nella padronanza della grammatica e del lessico di una lingua, padronanza che veniva testata tramite delle traduzioni. Questo metodo non teneva conto degli aspetti orali di una lingua. Come rea-

Un mercato schizofrenico di Rita Beltrami*

zione a tale modalità di apprendimen-to, a partire dall’inizio del ‘900 diversi movimenti di riforma hanno cercato di promuovere un insegnamento più at-tivo incentrato sulla lingua parlata.A partire dagli anni ’50 si faceva strada il metodo audiolinguale e audiovisivo nel quale si inseriva il laboratorio lin-guistico. L’accento veniva messo sulla competenza orale che permetteva di interagire nelle situazioni di comuni-cazione quotidiane. Lo strutturalismo americano di Bloomfield (1917 e 1933)

di Brigitte Jörimann Vancheri*

cronache odierne. Chi è alla ricerca in questo momento di un posto di apprendistato da cuoco piange lacrime amare perché non riesce a trovarlo e nel contempo la VISCOM (As-sociazione svizzera per la comunicazione visiva) lancia se-gnali di allarme perché non trova dei giovani interessati a coprire i posti di apprendistato di Tecnologo di stampa e Operatore postpress. Certo chi è interessato alla cucina fa-rà fatica a pensare di entrare nel mondo della grafica. Ma al primo sembrerà che i posti di tirocinio non ci sono, al se-condo che invece mancano le persone per svolgere gli ap-prendistati.Le aziende si lamentano poiché non trovano giovani inte-ressati e disponibili, o forse i candidati ci sono ma non han-no le attitudini che servono o presentano un profilo che non soddisfa l’azienda. I genitori a loro volta si lamentano che le aziende spesso neanche rispondono alle lettere di candidatura dei propri figli.I panettieri-pasticceri-confettieri lanciano segnali di allar-me perché meno giovani si presentano per stage e posti di tirocinio; gli orientatori raccogliendo i segnali dei giovani che seguono, si lamentano che questi non trovano posti di tirocinio in quella professione e che addirittura talvolta non riescono nemmeno a svolgere uno stage.

È un mercato che potremmo definire “schizofrenico” quel-lo dei posti di tirocinio: un mercato dove né si vende né si compra, ma dove si negoziano posti di tirocinio, fra un’a-zienda che offre la possibilità di imparare un mestiere e una persona che cerca un posto di formazione in apprendi-stato. Di anno in anno la preoccupazione non manca: ci sa-ranno posti a sufficienza per tutti? E quest’anno i segnali al momento non sono dei migliori: a metà giugno si contano un centinaio di aziende in meno disposte ad assumere ri-spetto allo scorso anno. Ma è l’analisi qualitativa quella che più dà il suo carattere schizofrenico. Gli esempi sono

Anche in questo numero ricordiamo i quarant’anni della rivista “Scuola tici-nese” rivisitando un articolo degli anni Settanta e proponendo delle riflessioni sulle analogie e sulle differenze riscon-trabili tra presente e passato.

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Mercato schizofrenico o autismo che pervade ogni campo rispettivo con difficoltà non solo di comprensione ma a volte anche di ascolto? Forse entrambe le cose. Ma malgra-do la sua schizofrenia e le sue difficoltà, il sistema funzio-na. Non accontenta tutti, ma alla fine ci saranno quasi 3000 giovani che con il prossimo anno scolastico inizieranno un apprendistato in azienda.I mediatori, orientatori e ispettori, contribuiscono a far funzionare questo sistema: gli orientatori aiutano i giova-ni a sviluppare dei progetti – forzatamente al plurale – tesi alla ricerca di un compromesso confacente fra interessi, capacità e possibilità date dal mercato, mentre gli ispettori presenti sul territorio si impegnano a sensibilizzare e tro-vare le aziende disponibili ad assumere.Negli ultimi anni questa collaborazione si è meglio defini-ta per cercare di premere sul sistema e incidervi in modo positivo, anche se le difficoltà sono evidenti per gli addetti al lavoro: le ragazze, spesso condizionate da scelte di gen-der si trovano con una paletta minore di scelte e con mag-giori difficoltà di inserimento quando i profili in uscita dal-la scuola dell’obbligo sono poco brillanti. La stereotipizza-zione dei mestieri vale anche per i maschi, con difficoltà ad entrare in campi “targati” al femminile: un ragazzo inten-

zionato a entrare nel settore del commercio e con una pa-gella scolastica mediocre farà molta più fatica di una ra-gazza a trovare il posto di tirocinio.Alcune regioni, inoltre, sono più sfavorite rispetto ad altre: un giovane del Mendrisiotto farà più fatica di un suo coeta-neo luganese a trovare un posto di tirocinio nella sua regio-ne, notoriamente più povera nella sua offerta.Infine, per i giovani che presentano dei curricoli scolastici deboli, ma soprattutto chiari segnali di comportamenti problematici, sarà più difficile trovare un posto di tiroci-nio. Se mettiamo i panni del datore di lavoro possiamo certo ben comprendere come l’inserimento in azienda di un giovane a rischio non sia una scelta facile da assumere quando si ha una ditta da portare avanti, con già molte dif-ficoltà.Il mercato dei posti di tirocinio si rivela dunque fluttuante, a voci discordanti, con difficoltà evidenti, ma offre un’op-portunità importante per i giovani che vogliono continua-re la loro formazione a stretto contatto con il mondo del la-voro e un’occasione preziosa per le aziende di formare dall’interno i giovani ad un mestiere.

* Direttrice dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale

dava la base linguistica al metodo: la lingua veniva descritta come un siste-ma strutturato in regole sintattiche e pragmatiche; i diversi livelli di analisi – la fonologia, la morfologia e la sin-tassi – venivano considerati a pari tito-lo. Da qui nasce una didattica che vuole esercitare sistematicamente delle strutture linguistiche (pattern drills) che devono portare a delle abitudini lingui-stiche (habits). Dal punto di vista della psicologia dell’apprendimento, questo metodo si iscrive nella tradizione del comportamentismo (behaviourism); in particolare Skinner (1957) descrive la lingua come una forma di comporta-mento: il processo di apprendimento avviene secondo la legge dello stimolo (stimulus) e della risposta (response). Sul piano didattico si pensava che delle strutture sintattiche potevano essere apprese passo per passo secondo una progressione grammaticale che anda-va dal semplice al complesso, e dove le strutture grammaticali da imparare venivano presentate in testi e frasi co-struite ad hoc e con esercizi che per-mettevano di esercitare puntualmente un problema grammaticale con il co-siddetto “drilling”. Infatti i vantaggi del laboratorio linguistico, che riportiamo nel seguente riquadro, corrispondono a questa visione dell’apprendimento di una lingua seconda:

«Il LL porta a una intensificazione del lavoro degli allievi; tutti gli allievi possono eserci-tarsi simultaneamente. Gli allievi parlano molto di più. Quel “parlare” si svolge in con-dizioni controllate. Perciò non è da paragonare con un soggiorno all’estero, dove il di-scente parla anche di più che in classe, ma all’estero parla liberamente, senza controllo, con una motivazione molto forte. Quanto più l’allievo fa esercitazioni che preparano la comunicazione, tanto più diventa redditizia la conversazione spontanea tra insegnante e allievo. Anche la strutturazione del materiale d’esercizio porta a una intensificazione; il ripetersi di molti esercizi analoghi giova a un consolidamento delle conoscenze che può essere raggiunto così velocemente e semplicemente solo con i “media” auditivi. […] Il LL porta ad una individualizzazione dell’apprendimento della lingua. Ogni al-lievo può essere confrontato individualmente e direttamente con la lingua. L’uso delle cuffie dà un senso di isolamento, un contatto intimo colla lingua, una chiarezza di suo-no uguale per tutti gli allievi e facilita la concentrazione. […] Il LL porta a un’oggetti-vazione dell’insegnamento. Il processo di apprendimento non è determinato da influs-si emozionali. Il nastro non si stanca, non si arrabbia! Il LL permette la presentazione della lingua da parte di “native speakers”: voci alte e basse, voci di uomini e di donne, di giovani e di vecchi. […] Possono essere introdotte anche delle varianti linguistiche. Ora non dovrebbe più succedere che un allievo, trovandosi alla stazione di Parigi, di Londra o di Berlino, non capisca una parola e non sia capace di farsi capire. I program-mi registrati su nastro possono essere elaborati secondo i criteri della linguistica e del-la psicologia del l’apprendimento. Il LL facilita il controllo della comprensione e dell’e-spressione orali di ogni allievo» (“Scuola ticinese”, numero 10, ottobre 1972).

Malgrado la presenza di idee molto im-portanti che troveranno il loro posto nei successivi sviluppi (comprensione ora-le, individualizzazione, differenziazio-ne), questa visione comportamentista dell’apprendimento per cui basta pre-sentare degli “spezzoni” di lingua, come dei piccoli cubetti lego, ed esercitarsi ad infinitum, possibilmente in un isola-mento dove nessuna emozione viene a

turbare il processo di apprendimento, è stata superata dalla svolta cognitivista che costituisce tutt’oggi la base dell’in-segnamento delle lingue seconde.

La svolta cognitivistaIl comportamentismo non si interes-sava dei processi cognitivi messi in at-to durante l’apprendimento e focaliz-

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zava la sua attenzione sulle risposte innescate da determinati stimoli, per cui la mente umana veniva considera-ta una specie di “black box”. Negli anni Sessanta sia il linguista Chomsky (1961) con la sua teoria della gramma-tica universale, sia Piaget (1964) con il suo approccio olistico dello sviluppo cognitivo mettono in discussione la teoria della “black box” e cominciano a interrogarsi sui processi cognitivi necessari per l’apprendimento.La svolta cognitivista non ha portato subito ad un cambiamento dell’ap-proccio didattico, ma negli anni Set-tanta e Ottanta comincia a farsi strada l’approccio comunicativo. Anche se il metodo audiolinguale con il laborato-rio linguistico cercava di tenere mag-giormente conto delle diverse situa-zioni comunicative, si focalizzava a tal punto sulle strutture linguistiche che non riusciva a sviluppare in modo ade-guato l’espressione libera. L’approccio comunicativo pone invece come obiet-tivo ultimo la riuscita dell’atto comu-nicativo in situazioni quotidiane. È il momento della teorizzazione della “competenza comunicativa” (Hymes 1972). A livello didattico viene svilup-pata la teoria degli atti linguistici (Piepho 1974). Al centro dell’attenzione sta il discente come soggetto attivo all’interno del suo processo di acquisi-zione di una lingua. Canale e Swain (1980) sviluppano un modello che di-stingue quattro grandi ambiti di com-petenza linguistica:1. la competenza grammaticale;2. la competenza discorsiva;3. la competenza sociolinguistica;4. la competenza strategica.L’apprendimento di una lingua deve avvenire all’interno di situazioni il più possibile autentiche.L’approccio comunicativo è stato ap-profondito e affinato negli anni suc-cessivi e ha portato a diversi altri mo-delli: al giorno d’oggi si è imposto l’ap-proccio orientato all’azione. Al centro sta l’individuo che deve interagire con un dato contesto, adempiendo a de-terminati compiti (task). Per fare ciò deve compiere delle azioni per le quali necessita di determinate competenze e strategie linguistiche e non-lingui-stiche adeguate al contesto. Questa vi-sione ha portato all’elaborazione del Quadro comune europeo di riferimento per

le lingue (QCER), pubblicato dal Consi-glio d’Europa nel 2001. Gli autori del QCER si sono chiesti quali strumenti linguistici fossero necessari per poter risolvere un determinato compito co-municativo. In risposta a questa do-manda hanno definito le competenze – comprensione orale, produzione orale, interazione (orale), lettura e scrittura – che una persona deve met-tere in atto quando risolve il compito. Hanno così distribuito le descrizioni di queste competenze su una scala glo-bale che va da un livello elementare (A1/A2) ad un livello intermedio (B1/B2) fino ad un livello avanzato (C1/C2). Un’altra idea fondamentale del Qua-dro è il concetto di plurilinguismo: ogni persona che parla più lingue svi-luppa una competenza plurilingue e pluriculturale che le permette di usare le lingue per comunicare e di prendere parte a interazioni culturali, in quanto padroneggia, a livelli diversi, compe-tenze in più lingue ed esperienze in più culture. Ciò che si sa di una lingua – conoscenze, ma anche strategie di apprendimento e di uso – interagisce con le conoscenze di altre lingue. A li-vello europeo e svizzero i diversi curri-cula dell’insegnamento delle lingue seguono la filosofia del QCER basato sull’approccio orientato all’azione e improntato allo sviluppo di una com-petenza plurilingue e pluriculturale. Anche i lavori sulla Revisione del piano di studio del Canton Ticino attualmente in corso seguono questo indirizzo. L’o-biettivo è quello di dare ai nostri allievi gli strumenti per aprirsi alle altre cul-ture e lingue, sviluppando attraverso un apprendimento coordinato delle

BibliografiaBloomfield, Leonard (1914): An Introduction to the Study of Language, New York: Henery Holt and Co.Bloomfield, Leonard (1933): Language. Chicago: Uni-versity Press.Canale, Michael, Merrill Swain (1980): Theoretical bases of communicative approaches to second lan-guage teaching and testing. In: Applied Linguistics 1, 1-47.Chomsky, Noam (1961): Some methodical remarks on generative grammar. In: Word 17/1, 219-234.HarmoS-Konsortium Fremdsprachen (2007): Kompe-tenzmodell und Standards (im Auftrag der EDK).Council of Europe (2002): Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegna-mento, valutazione. Milano: La Nuova Italia-Oxford.Hutterli Sandra, Stotz Daniel & Zappatore Daniela (2008): Do you parlez andere lingue? Fremdsprachen lernen in der Schule, Zürich: Verlag Pestalozzianum.Hymes, Dell H. (1972): Models of the interaction of language and social life. In: Gumperz, John J., Dell H.Hymes (ed.): Directions in Sociolinguistics: The Ethnography of Communication, New York.Piaget, Jean (1964): Six etudes de psychologie. Genève: Gonthier.Piepho, Hans-Eberhard (1974): Kommunikative Kom-petenz als übergeordnetes Lernziel im Englischunter-richt, Limburg: Frankonius.Skinner, Burrhus F. (1957): Verbal Behaviour, Acton Massachusetts: Copley Publishing Group.

Nota1 Christoph Flügel, Il laboratorio linguistico, in «Scuo-la ticinese», numero 10, ottobre 1972.

“Il laboratorio linguistico” agli albori della moderna concezione dell’insegnamento delle lingue seconde

tre lingue seconde le competenze e le strategie necessarie per divenire dei futuri parlanti plurilingui.

* Consulente per le lingue della Divisione della scuola