IL VIAGGIO · informazione sul posto, un signo-re sì offrì di spiegarci le informa- ... Sotto il...

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CLASSE QUINTA ANNO SCOLASTICO 2016-17 SCUOLA PRIMARIA NEREO MERIGHI DI NOVAGLIE I NOSTRI RACCONTI FANTASY IL VIAGGIO Il viaggio è un tema che si presta per un racconto Fantasy… quindi ognuno di noi ha scelto, prima di tutto, verso dove voleva che fosse diretto il suo viaggio… poi ha scritto la sua storia… se- guendo le regole tipiche del genere ed inserendo gli elementi ca- ratteristici richiesti perché il testo potesse funzionare. Per noi i racconti che abbiamo scritto, appunto, sono riusciti. Quindi li abbiamo raccolti per chi li volesse leggere...

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CLASSE QUINTA ANNO SCOLASTICO 2016-17

SCUOLA PRIMARIA NEREO MERIGHI DI NOVAGLIE

I NOSTRI RACCONTI

FANTASY

IL VIAGGIO

Il viaggio è un tema che si presta per un racconto Fantasy…

quindi ognuno di noi ha scelto, prima di tutto, verso dove voleva

che fosse diretto il suo viaggio… poi ha scritto la sua storia… se-

guendo le regole tipiche del genere ed inserendo gli elementi ca-

ratteristici richiesti perché il testo potesse funzionare. Per noi i

racconti che abbiamo scritto, appunto, sono riusciti. Quindi li

abbiamo raccolti per chi li volesse leggere...

Mi svegliai, sentii un rumore..."toc toc toc". Poi un uomo altissimo che distrusse la porta della vecchia baracca. Entrò e mi disse che dovevo partire subito per salvare il regno di Biscrit. Tirò fuori dalla giacca due spada, un mitra e ottanta granate stordenti. Io par-tii subito, ma era troppo tardi: la foresta di Scrinc era già stata distrutta da un mucchio di giganteschi ratti schifosi. Io scappai impaurito. Poi però provai a vedere che effetto facevano le granate e quindi la lanciai una granata che uccise un topo. In questo attirai l'attenzione dei topi che mi inse-guivano. Io presi la mia moto e scappai con i ratti che mi inseguivano. Io, con le spade, li uccisi. E poi li finii con la mitragliatrice e scappai fin quando la moto non si ruppe. Un grande ratto mi saltò sopra e mi inseguì cercando di uccidermi, ma io presi una delle granate gliela tirai addosso e... Morì. Io scappai nella palude, dove trovai il lupo della vergogna che aveva come ser-vitori dei licantropi. Mi avvicinai in modo silenzioso e uccisi le guardie lican-tropi. Però il lupo mi catturò, ma venne in mio aiuto il Volpino di Ferro che distrus-se il braccio del lupo. Quindi trovai la sua spada e lo uccisi. I suoi servitori si bloccarono e io feci in tempo a scappare. Il mio mondo era salvo e io me ne tornai nella baracca. Vennero tutti i complimenti che mi meritavo e, da quel giorno, diventai un eroe. Fui onorato da tutti i popoli sulla terra e tutti mi conoscevano come Jack-X. Ma è da tanto tempo ormai sono diventato vecchio e stanco. Aspetto il mio nobile e coraggioso successore che finirà quello che ho iniziato: sconfiggere per sempre le forze del male che stanno cercando di dominare il mondo e di distruggere i pochi eroi ancora rimasti.

FEDERICO UN VIAGGIO VERSO GIOVE

GIOVANNI UN VIAGGIO VERSO LA MORTE

Io sono Federico vivevo sulla Ter-ra, in un posto tranquillo, e avevo una bella famiglia. Però la mia famiglia non sapeva che sarei dovuto andare in mis-sione. Così senza che nessuno della mia famiglia mi vedesse, partii e arri-vai a Marte. Il perfido Ice Wizard voleva di-struggere tutti i pianeti e viveva a Giove. Mi mancava abbastanza per arri-vare a Giove, però io avevo un amico che era venuto con me. Si chiamava Actropolous, che è un dinosauro gigantesco. Questo dinosauro era il cucciolo di cui mi potevo fidare. E poi arrivai a Giove, la terra del nemico; prima di batterlo dovevo superare cinque sfide: una partita

a carte, una partita a calcio, una partita a basket, una partita a hockey, una sfida contro il pupaz-zo di Ice Wizard. Io vinsi tutte e cinque le sfide, però per l’ultima ci avevo messo un po' di tempo. “Allora -disse Ice Wizard- ce l'a-vete fatta, finalmente!”. “Attaccate miei prodi e uccideteli, vai Octoropolous!”. E io e Octoropolous li uccidemmo tutti. Allora iniziò la lotta con Ice Wi-zard e, dopo un po', il cattivo mo-rì. Io e Octoropolous vincemmo e festeggiammo. Quindi io tornai a casa: che bella esperienza!

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GAIA UN VIAGGIO VERSO LA LIBERTÁ DEL POPOLO

<Caro diario, mi trovo nelle celle degli orchi e sono prigioniera. Sono nelle mani di quei brutti ceffi. Non so se riuscirò a salvare il regno anche stavolta: gli orchi mi hanno tolto tutte le armi che avevo e non posso fuggire servendomi di una forcina, o sì!? Mi chiedo se mi uccideranno. Tanto vale provare ad uscire con la forcina. Tua Rosie.> Mi avvicinai alla porta, infilai il braccio fuori dalle sbarre e “clac”! Il lucchetto si aprì. Pensai subito: "Filiamo, prima che arrivino le guardie.". Arrivai nella stalla reale e presi un cavallo per fuggire. Giunsi alla capanna della Maga Manò. Lei mi disse: "Posso preparare una pozione in grado di sconfiggere gli orchi, ma non ho gli ingredienti.". Io partii per andare a prendere gli ingredienti: "Con un cavallo sarebbe stato più facile". Così pensai. Arrivai a Malgaroseta, il lago più grande del mondo. Mi trasformai in sirena grazie ai fiori di Serenella. Mi tuffai e nuotai per ore e ore nel lago e, al tramonto, arrivai a riva. Mi ritrasformai in umana e mi fermai lì per mangiare. "Ma... il mio panino è sparito!" escla-mai. "Mi sa che a qualcuno piace fare gli scherzi". Una voce rispose: "Proprio così!". Era un folletto arrampicato sull'albero. "Vuoi venire con me a salvare il regno dagli orchi di pietra?". Chiesi io. "Sì!!!" -rispose subito lui- "Mi chiamo Bino e non sono gradito dal mio villaggio. Quindi vengo qui!". "Io mi chiamo Rosie e vivo nel palazzo di marmo bianco. Il mio compito è salvare il mio regno dagli orchi di pietra.". Risposi io. "Forza, andiamo!”. Propose lui. Io e Bino ci incamminammo e arrivammo al bosco delle mille trappole. Maga Manò aveva bisogno di un frutto dell'albero ingannatore: solo uno era il vero frutto che non faceva scattare trappole. Bino stava per continuare il cammino, quando lo fermai: "Bino, la foresta è piena di trappole e... vabbè, guarda…". Presi un masso e lo lanciai nella foresta. Scattarono le trappole. Tutte quante. Ci incamminammo e arrivammo alla radura dell' albero ingannatore. Presi dei sassi e li lanciai sui frutti che accesero le trappole. Era rimasto solo il frutto giusto sull'albero: doveva essere nostro. Bino si arrampicò e... "Sì!" -urlai- "Abbiamo preso il frutto!". Serviva un'unghia di... orco di pietra. Ci facemmo catturare e, mentre la guardia delle celle dormiva, gli tagliammo l'unghia. Scappammo con la forcina e andammo da Maga Manò che mise gli ingredienti nel pentolone. Ci disse :"Dovete spargere questa pozione su tutto il palazzo di marmo bianco.". Andammo al cannone spara-coriandoli e ci versammo la pozione. "Boom!!!" Sparammo la pozione e gli orchi di pietra non tornarono più negli anni successivi. Dopo tutto, la barriera non glielo permetteva.

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SVEVA UN VIAGGIO VERSO... IL PASSATO

Era un tranquillo giorno di Mag-gio del 2016 in cui andai a scuola, poi andai a fare merenda e, ad un tratto, mi venne una curiosità scaturita da quello che avevamo fatto a scuola: volevo andare a vedere cosa e come svolgevano le varie attività nel passato. Così, visto che in classe avevo de-gli amici molto in gamba, mi feci aiutare da loro a costruire una macchina del tempo. Ci vollero due settimane per co-struirla. La costruimmo grande perché Matilde voleva venire con me. Così andammo dal 2016 al 1002 (d.C.): nel Medioevo. Quando fummo arrivate c'erano tutte casette fatte in legno e noi (io e la mia migliore amica) erava-mo vestite in modo strano: io ero vestita da principessa, la mia ami-ca, invece, era vestita da dama. Non c'erano ancora le auto, ma c'erano i carri trainati da buoi o cavalli. Così chiedemmo in giro qualche informazione sul posto, un signo-re sì offrì di spiegarci le informa-zioni sul posto e ci disse: "Buongiorno, sono il pittore Giot-to, come posso aiutarvi?". Io dissi: "Ci servirebbe qualche informazione sul posto...". Lui disse: "Come vedete, qui da-vanti a voi c'è un meraviglioso castello e io lo sto dipingendo con i miei colori che vanno benissi-mo!”. La mia amica gli chiese: "Ma si può andarlo a visitare?". Lui le rispose: "Sì, ma fate atten-zione: da poco il re è stato ucciso e visto che il re non aveva figli doveva succedergli suo fratello Ercole. Si dice che sia stato pro-prio lui ad ucciderlo per prendere il suo trono.".

Io chiesi: "Ma quando verrà inco-ronato?". “Proprio domani.". Disse lui con aria preoccupata. La mia compagna di viaggio gli si rivolse: "Noi siamo del 2016 e ti avverto che le matite che vanno meglio si chiamano Giotto, pro-prio come te. Comunque noi vole-vamo chiederti se potessi ospitar-ci per la notte, così domani andre-mo (ci guiderai tu) al castello.". La mattina avevamo (io e la Ma-tilde) sonno, perché avevamo dor-mito malissimo dopo aver passato tutta la notte su dei "materassi" di paglia. Quando fummo arrivate (con l'aiuto di Giotto) al castello, assi-stemmo all'incoronazione; però volevamo saperne qualcosa in più di che cosa fosse morto l'ex re. Quindi ci nascondemmo sotto un tavolo per tutta la festa e, alla not-te, andammo in cerca di tracce. Sotto il letto del nuovo re c'era una spada con delle gocce di san-gue. Sentimmo un rumore di passi e... "boom!". All'improvviso cadde una lancia appesa al muro per bellezza e il re si svegliò, ci vide e disse: "Guardie, uccidete queste ragazzi-ne!". Ma le guardie non c'erano perché le aveva legate Giotto che, magi-camente, ci venne a salvare, come un vero e proprio eroe. Quindi gli portammo la spada con del sangue e dicemmo che era stato il fratello Ercole ad uccidere il vero re. Così venne arrestato e al trono ci andò suo figlio (cioè il nipote del re) Giuseppe. Allora salutammo con grande onore e gratitudine Giotto e tor-nammo a casa.

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FILIPPO UN VIAGGIO VERSO L'INFINITO

Ero nella pizzeria dove lavoravo quando, ad un certo punto, la mia amica Fran entrò e mi salutò con un cenno. Poi si avvicinò a Rhea, la mia Oviraptor. La salutò offrendole un po' di mozzarella. Poi venne verso di me e mi spiaccicò in faccia una tremenda foto unticcia proveniente dall'archivio del suo pessimo giornale pieno di pettegolezzi. Mi avvicinai al forno cercando di scorgere meglio la persona seduta sul tavolo della foto. “Ma è mio nonno Harry!”. Dissi mentre percorrevo avanti e indietro la cucina del locale. Fran mi fece segno di sì con la testa. “Aspetta -dissi- quel vaso minoico non l'ho mai visto prima!”. In effetti, di fianco a mio nonno c'era un vaso che non avevo mai notato (ovvio, non c'era mai stato prima) e vicino al vaso c'era un diario: quello lo conoscevo eccome. Era il famoso diario di mio nonno. Molto bravo per avere diciassette anni. Mi decisi che era giunto il momento di porre fine a quel caso. Ad un certo punto entrarono dalla porta due individui poco raccomandabili vestiti di nero. Tirarono fuori due pistole e ce le puntarono addosso, urlando: “Noi siamo Greta Toott e Franz Tanz, due spie della grande Zendrania. Diteci tutto sul labirinto o vi facciamo fuori!”. Io dissi: “Noi... non sappiamo quasi niente del labirinto…”. Fran continuò: “La Zendrania è un minuscolo staterello ai confini del mondo.”. Lo faceva solo per distrarli mentre Rhea li attaccava alle spalle facendo cadere loro le pistole a terra. Io, intanto, presi la mia pala tascabile e gliela diedi forte in testa. Li avevamo messi K.O. Ci sistemammo comodi sull'aereo che avevo costruito io stesso. Sorvolammo l'Oceano Pacifico, an-dammo nei pressi di Creta e ci mettemmo a scavare cercando qualche indizio utile per la nostra ricer-ca. Ad un certo punto Rhea fece un verso stridulo per richiamare l'attenzione. Io e Fran andammo verso Rhea, ma non la trovammo. Continuammo a camminare. Ad un certo punto Fran cadde in una specie di pozzo. Mi buttai anch'io. Cademmo su una superficie morbida. Ci accorgemmo che era Rhea. Mi salutò con uno “Sguech” simpatico. Da una parte c'erano degli antichi vasi minoici. Rhea si tuffò dentro uno di essi. Io la richiamai, ma senza risposta. Fran guardò dentro al vaso e vide una botola aperta. Entrò anche lei e io la seguii. Cademmo in un tunnel con pareti molto strette. Arrivati in fondo c'erano Franz Tanz e Greta Toot ad aspettarci. Greta Toott disse che la grande Zendrania aveva scoperto dove si trovava il labirinto. Fran rispose: “Ancora con questa storia! La Zendrania è un minuscolo staterello”. Mentre litigavano, io mi accorsi di una grande statua. Era la regina dei minotauri. Intanto si stava avvicinando un’ombra gigantesca che, feci notare a tutti, era un minotauro. Ci mettemmo a correre, ma Franz Tanz venne ingoiato. Il minotauro puntò su Fran e Greta, che si misero a correre. Caddero tutte e due. Ad un certo punto mi venne un'idea. Dissi a Fran di prendere la scure e di mettersela in testa. Purtroppo capì anche Greta. Si lanciarono in una furiosa lotta in cui vinse Fran. Se la mise in testa e il minotauro fece un passo indietro. Spiegai a Fran che il minotauro aveva paura delle donne con le scure sulla testa. Le uova di minotauro venivano messe nei vasi con le botole chiuse. Quando si schiudevano, con il pe-so si aprivano le botole e i cuccioli cadevano nel buco dove vedevano la statua che faceva loro da im-printing. Il mostro si mise a seguire Greta attraverso le sale del labirinto. Feci i complimenti a Fran e tornammo tutti a casa.

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MATTEA UN VIAGGIO VERSO L'OSCURITA' DI OSMERT (1)

Io sono Matilde, sono un’alleata delle forze del Bene. Mi trovavo a Magiclandius nel 2010. La mia missione era catturare e sconfiggere le forze del Male, con il mio aiutante Choco (ovvero, un cucciolo di koala). Io e Choco preparammo i bagagli e li posammo sull’astronave; par-timmo e, d'un tratto, l'astronave cominciò a scricchiolare perchè aveva finito il carburante. Però quel tipo di astronave anda-va a Metano e c'era solo un distri-butore. Allora Choco andò a prendere una tanica: "Eccomi con il Metano". Dopo che avevamo riempito l'a-stronave, io urlai: "Terra in vi-sta!". Choco si fermò e scendem-mo dall'astronave. "Siamo arrivati!!!" disse Choco. D'un tratto vidi Nixos, il mio acer-rimo nemico che abita al pianeta "Nixos il Grande". Io gli dissi: "Perché tu sei qui?". Lui: "Per conquistare questo pia-neta! Ah, dico bene, tu non hai neanche un pianeta!". Io risposi: "Ah, sì io non ho nean-che un pianeta perché non sono una come te, io voglio solo aiuta-re, perché il Bene trionferà.".

Nixos ci fece superare due insidie molto dure: la prima era che io e Choco dovevamo mangiare la spe-cialità di Mangiclandius, cioè lu-maconi alla griglia con salsa di pere; la seconda era quella di camminare a piedi nudi sui car-boni ardenti con sopra ortiche. Allora a Choco venne in mente che avevamo un'amica supereroe che si chiamava GingerX30. Lei venne e le dicemmo che Nixos ci voleva fare queste insidie e... a GingerX30 venne un'idea. Ovvero che a Nixos avremmo fat-to bere un bicchiere di falsa ca-momilla che invece era una pozio-ne che ti faceva scoppiare il corpo. Così andammo da Nixos. GingerX30 disse: "Ciao Nixos, bevi questo!". E Nixos: “No, voi non me lo fate bere!". GingerX30 gliela ficcò in gola e..."buum!". Nixos morì. GingerX30 se ne andò. Choco e io diventammo presiden-ti di Magiclandius. Il giorno dopo ci organizzarono una festa di ringraziamento per aver sconfitto Nixos. Il Bene trionferà sempre contro il Male.

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MATILDE B. UN VIAGGIO A MAGICLANDIUS

Sono Mattea, una Combattente: custodisco un elemento naturale, l'acqua, di cui ho anche i poteri! Mi trovo nella cupola sottomarina dove è cu-stodita la chiave dell'acqua (che mi porto sem-pre in viaggio). Vi racconterò una storia: il 20 Gennaio 2010 partii per una missione importantissima: do-vevo recuperare le chiavi dell'erba, del fuoco e dell'aria; che erano state sottratte (alle mie compagne custodi: Eleonora, Olga e Alice) da Osmert, che poteva essere considerato il pa-drone dell'oscurità. Era arrivato il traghetto di Tosty alle dieci del-la mattina.

Tosty è un mio grande amico e di cui mi posso ancora fidare; mi portò alla tana di Osmert che, avevo scoperto da poco, teneva prigionie-re Eleonora ed Olga! Alice era riuscita a scappare e mi aveva chie-sto aiuto: la stavo raggiungendo alla cupola d'aria, ai confini del regno di Osmert, dove era custodita la chiave dell'aria prima che Osmert la rubasse. Tosty era molto veloce; infatti arri-vammo nel cortile della cupola alle dieci e trenta. Alice mi disse: "Sei arrivata sana e salva! Ave-vo molta paura per te!". Io la rassicurai: "Ali, non c'è bisogno di spa-ventarsi! Soprattutto ora che dobbiamo rag-

MATTEA UN VIAGGIO VERSO L'OSCURITA' DI OSMERT (2)

giungere la tana di Osmert!". Così partimmo per quella grande e pericolosa avventura con i nostri draghi. Il mio è dell'acqua e si chiama Gemma e quello della Ali (che è dell'aria) si chiama Brezza. Dopo varie ore di viaggio io, Gemma, Ali e Brezza arrivammo alla tana di Osmert: era una grotta sudi-cia e piena di muffa con sporgenze colore nero lucido; come quello di una lavagna... però molto più inquietante! Avanzando vidi che, alla fine, c'era un trono ricoperto di ossa e di gemme nero lucido, su cui era seduto Osmert: con la sua faccia rugosa e nera che era attaccata al collo solo da un osso ormai giallognolo. Ma la cosa più orribile di tutte: le sue mani! Erano ossute e piene di verruche che contenevano un pus che, se ti toccava, ti "ghiacciava" e non riuscivi più a muoverti per un quarto d'ora! Non ci aveva ancora viste; quando Alice, che non sta mai ferma, fece scattare una trappola che ci im-prigionò tutte e due. Proprio in quel momento, Osmert, che stava per sedersi bene e riposare; si alzò, si diresse verso di noi e disse: "Bene, bene, bene. Guarda un po' chi abbiamo qui: la "fuggitiva" e la sua amica dall' acqua!". In quel momento avrei proprio voluto tirargli un pugno sul naso... ma poi non lo feci per due motivi: uno, ero imprigionata; due, perché il naso non ce l'aveva! Osmert ci trasportò in una stanza ancora più inquietante perché le nostre amiche erano a terra, sve-nute! Osmert disse: "Forse è meglio che facciate una chiacchieratina con le vostre amiche...He, he, he!". E se ne andò. Visto che Osmert non era più nei paraggi; decisi di mandare un messaggio con il pensiero a Gemma che era rimasta all'entrata (possiamo parlarci con la forza del pensiero) e dirle di entrare nella grotta insieme a Brezza; ma proprio in quel momento, la porta si spalancò di nuovo e... Osmert apparve sulla soglia con Gemma e Brezza che parevano molto spaventate! Osmert le cacciò dentro e usci come se niente fosse. Allora dissi a Gemma: "Ehi piccola, liberami da queste corde con i tuoi canini affilati.". E lei, senza esitazione lo fece... Dopo essermi liberata con l'aiuto di Gemma; liberai anche Alice. Allora, dovetti risvegliare le mie altre due amiche che ci abbracciarono con affetto. Dopo, io per prima, uscii dalla nostra prigione senza troppa difficoltà e... saltai addosso a Osmert che non se lo aspettava! Alice mi aiutò a imprigionare il nemico ed a portare in salvo Ele e Olly insieme alle chiavi e ai due dra-ghi. Infine dovetti eliminarlo del tutto. Gli puntai la mia chiave contro e... dissi: "Tu sparirai per sempre da questo mondo che, senza di te sarà in pace!". E lui... sparì. In realtà il suo corpo rimase a terra; mentre la sua anima, nera come il petrolio salì al cielo.

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OLGA IN VIAGGIO VERSO LA FANTASIA DI FANTASTILANDIA

Mi trovavo nello stanzino delle scope: era l'unico modo e nascon-diglio per sfuggire al prof di grammatica. A proposito: mi chiamo Olga, ci troviamo nell'anno 2017 e io ho una missione: mio padre e mia madre fanno parte della C.I.A.. Ed io faccio parte di salva il fantasy. Comunque, l'immaginazione e la fantasia a Fantastilandia stanno scomparendo, non si sa come sia potuto succedere. All’improvviso mi comparve da-vanti una lettera fluttuante! Stava lì come per magia, io la presi. So-pra c'era scritto: “Olly, sono la Ludo, devi recarti subito a Fanta-stilandia. Sembra che tutta la fan-tasia stia scomparendo. Sai la strada. Ciao. Ludo.”. Era la mia migliore amica! Mi recai subito lì grazie ad un'astro-nave della C.I.A. Arrivata, scesi. Io non sapevo nulla, ma lì mi aspettavano: Ludovica, Eleonora, Sveva e Anabel. Io chiesi loro: "Cosa ci fate qui? Non dovreste stare con me, è troppo pericolo-so!". Loro risposero: "Noi vogliamo aiutarti! Siamo tue amiche e fac-ciamo parte di salva il fantasy, quindi veniamo anche noi!". In quel momento sentimmo una voce ed eccolo lì, era proprio lui! Giludanetro l'aspira-fantasy che viveva nell'isola di Tango (lui cre-deva che noi non sapessimo che era il suo covo segreto, ma noi lo sappiamo). Lui disse con un tono maligno: "Ciao, cosa ci fate qui, siete venute a salvare Fantastilan-dia? Non credo proprio! Io sto risucchiando tutto il fantasy, per-ché, se non posso averlo io, non lo avrà nessuno!". E sparì. Poi, davanti a noi, apparve un biglietto, con su scritto: “Se mi vuoi affrontare, pericoli devi su-perare.”. Quindi partimmo, ci fermammo in una specie di palu-

de, lì ci attendeva la prima prova: c'era una pozzanghera. Allora Sveva disse: "Tutto qui quello che sai fare?”. E alla sua parola l'acqua iniziò a salire. Noi ci rifugiammo su un albero, saliva, saliva e noi dovevamo tro-vare il modo per superare la pozza o saremmo morte soffocate! Io allora dissi: "Ludo, la fune!". E mettendola come un lazo, la strinsi ad un albero e dissi: "Fate Tarzan e aggrappatevi alla fune!". E tutto andò al meglio. Andammo avanti. La seconda prova era composta da due tori. Una voce apparve nel nulla: "Salite sui tori imbestialiti e anda-te nel cuore della foresta; lì af-fronterete Giludanetro.". Noi salimmo sui tori, ma visto che erano solo due, tre salirono su uno e due sull'altro. Io e Sveva salimmo sul più grande e Ludovica, Eleonora e Anabel sull'altro. Erano veramente imbe-stialiti. Io dissi: "Per tenervi, la ragazza davanti si tenga alle corna e quelle dietro al bacino della ra-gazza davanti!". Arrivate, eravamo esauste. Comunque, eravamo pronte ad affrontare Giludanetro. In quel preciso momento Anabel toccò una foglia e spuntò davanti a noi quel cattivone! Lui ci sfidò, e noi vincemmo. Lo sconfiggemmo con il corno di uni-corno. Non lo sapevamo, ma dentro c'era una polvere che faceva diventare tutti buoni. Ah, non ve l'ho detto, ma ci aveva aiutato Chloy la supereroina di Fantastilandia e così, dopo essere restati a cena da lei, Fantastilan-dia visse sempre felice e contenta, senza più forze del male. Anabel continuava a cantare: "Grazie a chi, grazie a chi, solo grazie a noi! Siamo dei Geni!". E tutte scoppiammo a ridere!

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Mi chiamo Ludovica Adami e sono una ragazza molto avventuriera. Io e dei miei amici eravamo in barca vicino alle isole Hawaii, dove ave-vamo passato il nostro Capodanno. Ma ad un tratto la barca toccò il fondo. Allora, siccome eravamo attrezzati di tutto punto con l'occorren-te da sub, ci immergemmo. Appena entrammo in acqua trovammo un vero e proprio tesoro: la città di Atlantide e vedemmo una porta. Non la aprimmo per sicurezza, libe-rammo la barca da dei coralli e rientrammo a riva. Durante la notte ripensai a quella porta. La mattina seguente ritornammo nello stesso punto, aprimmo la porta ed entrammo in un mondo incontaminato: era semplicemente fantasti-co. Allora ci togliemmo l'attrezzatura da sub ed entrammo in questo luogo sperduto: era pieno di piante, aveva qualche sentiero poi c'era una grande struttura fatta di marmo e sassi. Ad un tratto vedemmo un bambino assieme a una donna che avanzava-no verso di noi. Arrivati sul posto ci chiamarono per nome e ci portarono alla reggia. Ma al posto di essere ben accolti, ci legarono a delle corde fatte con dell'ortica fresca. Io mi tolsi in fretta le corde di ortica stando calma, ma John e Lucy si fecero soffocare pian pianino. Ad un tratto io e Giacomo, che eravamo gli unici rimasti, dopo l’incidente e volemmo esplorare la città di At-lantide per informarci. Arrivati ad un'abitazione detta "sacra" scoprimmo che appunto dentro c'era un uomo di nome Jonathan. Lo conoscevo perché un po' di tempo prima l'avevo visto sul giornale. Allora con le forze che mi restavano andai a combattere per questo po-polo di Atlantide, un popolo ridotto in schiavitù per colpa di lui, un uo-mo malvagio. Quindi io mi presi un legnetto molto lavorato lo usai alla Harry Potter e… indovinate un po'? Pietrificai un guerriero. Così, con vari incantesi-mi e colpi di bacchetta, arrivai a lui: Jonathan. Lo uccisi con un incantesimo che formulai così: "crucius buf ". E morì. Allora liberammo tutti gli abitanti. Ci accompagnarono all'uscita e ci rivestimmo con le tute da sub. Purtroppo, siccome dei miei compagni erano morti, li salutammo per l'ultima volta. Ritornammo a riva e promettemmo di non parlare mai più a nessuno di quell'accaduto... Per appunto lasciarli stare per sempre...

LUDOVICA UN VIAGGIO VERSO ATLANTIDE

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ELEONORA UN VIAGGIO VERSO IL MISTERO DEL MONDO DEI IFLOPPI

Ero affacciata alla finestra di ca-mera mia, con una sensazione strana. Mi presento, mi chiamo Eleonora e adoro i misteri da risolvere. Sentivo che stava per accadere qualcosa, ma cosa? In quel mo-mento, la mia missione, era trova-re un mistero da risolvere. Arrivò notte; mi svegliai e mi af-facciai ancora alla finestra. Com-parve una luce; era acciecante, non si vedeva niente. A un certo punto, vidi una fenice dorata che parlò, e mi disse: "Tu, vieni con me.". Apparve un sacchettino con den-tro una polverina e mi disse di spargermela addosso. Cominciai a volare. Poi, in cielo, apparve una porta anch'essa dorata e ci volai dentro. Arrivai in un luogo incan-tato, pieno di fenici e di esserini minuscoli e molto carini; avevano faccine cicciottose e paffute, e cavalcavano le fenici. Io chiesi: "Chi siete?". E loro mi risposero: "Siamo quelli dell'altro-mondo, ma chiamaci pure <Ifloppi>.". "C'è una minaccia" -continuò- "c'è un mago cattivo chiamato <Dracor> e minaccia di distrug-gerci! Aiutaci, siamo in crisi e, se non ci aiuti, il nostro mondo sarà distrutto!". "Io sono Eleonora... e va bene, vi aiuto.”. Risposi io. "Prima devi prepararti però!". Disse Ilfloppi. "Abita al confine tra il nostro regno e quello morto. E' pericoloso, dovrai fare atten-zione.". Mi accompagnò una fenice enor-me, della mia grandezza. Arrivai. Tutto era morto e deser-to, non c'era neanche un fiorelli-no, tutto era grigio e buio. All'improvviso apparve Dracor. Era alto, magro, con aria malefi-ca, quasi come un ghigno piantato nella sua faccia magra e pallida. Era completamente vestito di ne-ro e aveva un cappello anch'esso nero, con occhi neri come la not-te. "Voi, voi, vi permettete di invade-

re la mia solitudine?". Disse con voce funebre e inquietante. "In nome del Bene sì!". Dissi io. "Allora dovrete prima affrontar-mi.". E fece apparire fiamme gigante-sche che ci circondarono. Io, salii sulla mia fenice e volai alto lontana dalle fiamme! Iniziò a scagliare contro di me delle palle infuocate, ma io le schivai tutte. All'improvviso apparve un eserci-to di mostri senza testa. Io tornai indietro, perché l'esercito era troppo grande. Dissi tutto ai Ifloppi, e ci organiz-zammo per bene. Arrivammo nascosti, nella fortez-za di Dracor. Ognuno di noi cavalcava una feni-ce. La fortezza era immersa nel buio. A custodirla, c'erano dei troll bi-torzoluti, verdastri, muniti di cla-va. Così, ci nascondemmo dietro una cascata, ma non una cascata nor-male, una cascata di sangue! "La leggenda dice che, chi tocca il sangue della cascata, è destinato a morire!" Disse Pling, un esserino dei Ifloppi. "Guardate!" -gridai- “C’è una pie-tra!”. “È la pietra del nostro mondo. Dracor l’aveva rubata! Ora che l’abbiamo ripresa, andiamo a sconfiggere Dracor.”. Disse Pling. Coì entrammo, difficilmente, ma arrivammo alla sala del trono, dove c’era Dracor. Combattemmo per ore e ore, fin-ché a Pling non cadde la pietra verso Dracor e lo polverizzò. Tornammo nel mondo de Ifloppi, reinserimmo la pietra nella sua grotta ed il mondo tornò colorato e bello. “Io ora torno a casa.”. Dissi. “Sì, ma prendi la tua fenice come premio.”. “Ok! Grazie!”. Risposi, contenta. E così tornai a casa e, da quel giorno, cercai sempre di aiutare gli altri in difficoltà.

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Ero sul letto e mi ero quasi addormentata. D'un tratto sentii un rumore muoversi verso di me; stetti ferma, presi la pentola e... “SBAM!!!!”. Guardai di fianco e... era un piccolo elfetto con le orecchie più grandi di lui. Restai a fissarlo più di venti minuti; poi incominciò a muoversi e a sve-gliarsi. Io ero impaurita più che mai, ma pensavo che dargli un’altra padellata fosse sleale. Lui mi spiegò cosa era successo e allora partii con l’elfetto, che si chia-mava Riccardo. Eravamo arrivati dopo un viaggio molto spericolato. Riccardo mi disse: "Da qui in poi continuerai tu: io non posso invadere il territorio di Scor!!!!!!". "E chi sarebbe questo Scoooor?!?!". "Sarebbe il mio perfido nemico.". "Allora ci andrò... sola... tutta sola... troppo sola... solissimissi-ma!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”. Proseguii il mio cammino. Poi sentii un rumore... il mostro... era tornato... e mi voleva rapire. Ma un piccolo cagnolino con i super-poteri mi salvò con un morso al piede e poi scomparve nel nulla!!! Allora decisi di tenerlo: lo avevo chia-mato Totò. Decidemmo di proseguire; stavamo entrando nel territorio di Scooooooooooor!!!!!!!!!! Salimmo nel castello e vedemmo lui: Scor. Io gli dissi: "Non ti conviene sfidarmi!". Ma lui non mi ascoltò. Allora gli diedi una padellata: "Sbam sbam eee… sbam!!!!". Avevamo sconfitto Scor; eravamo degli eroi. Andammo a prendere il tesoro dell’arcobaleno e lo portammo da Ric-cardo. Lui ci disse: “Siete stati bravissimi!”. Ad un certo punto mi ritrovai nel mio letto con Totò… Era stato un sogno!

ALICE UN VIAGGIO VERSO… IL TESORO DELL’ARCOBALENO

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MATILDE C. UN VIAGGIO VERSO MATILDARIA, LA TERRA DEGLI UNICORNI (1)

Tornata a casa dalla bella passeg-giata, mi venne voglia di leggere un libro. Cominciai a leggere: "Cara Matilde…". Pensai: “Eh? Questo libro sta par-lando di me?”. Appassionata tornai a leggere. "…Abbiamo bisogno di te, gli elfi neri con i loro draghi, stanno uc-cidendo noi e gli unicorni. Non sappiamo più come fare: sono cento miliardi di anni che com-battiamo, e non riusciamo più a difenderci.". Sorpresa da questa novità tornai alla realtà: era il 2006 ed io avevo dodici anni. Chiesi alla mamma se era vera questa cosa, e lei mi rispose: "Ci saranno milioni di Matilde in questo mondo, non penso che quella sia tu.". Ormai erano settimane che io ri-leggevo queste frasi, chiedendomi cosa caspita fossero queste favole cambiate. Poi decisi di fare una cosa saggia: leggere tutte quante le pagine del libro per capire quella strana sto-ria. "Abbiamo bisogno del tuo animo guerriero come il significa-to del tuo nome, ci serve qualcosa che ci salvi la pelle. Sono morti migliaia di unicorni, centauri e cavalli alati. Miliardi di gocce di sangue sacro sono state versate, il nemico è sempre più forte e ab-biamo bisogno di te. Sono rimasti solo cinque elfi guerrieri, siamo quasi senza bava di lumaca e, sen-za di essa, non possiamo difen-derci.". Non avevo capito: allora ero io l'eroina? Ricominciai a leggere: "Forse non sai chi siamo noi. Siamo gli abi-tanti di Matildaria e siamo i cu-stodi di tutte le creature simili agli unicorni. Siamo una specie di Elfi, siamo solo in cinque in que-sto momento, siamo soli in una battaglia per il nostro popolo.". Ad un certo punto mi accorsi che, tra le pagine del libro, c'era una bustina color bianco-perla. La aprii, conteneva un anello con sopra un corno di unicorno e delle ali. Dentro alla bustina trovai an-

che un bigliettino con su scritto: "Ti sei mai chiesta a cosa serve quell'arco di pietra che c'è in ca-mera tua? Indossando questo anello e attraversando l'arco di pietra, potrai arrivare comoda-mente nella terra di Matildaria e tornare ancora più velocemente a casa tua, ti aspettiamo il prima possibile.". Era firmato: <Il primo Guerriero, custode degli unicorni>. In quel momento capii che non avrei dovuto dire niente a mia mamma e che avrei dovuto fare tutto di nascosto. Ero io l'eroina, dovevo salvare la mia terra. En-trai nel portale. Come per magia, mi trasformai in un'elfa, avevo un arco, una tutina da eroina, dei sandali a tutta gam-ba e delle ali. Atterrai con un po' di sforzi e, ad accogliermi, c'erano gli abitanti rimasti, con le trombe, per festeg-giarmi. Il secondo custode guer-riero mi accolse dicendomi: "Bene, è arrivata la nostra salva-trice, voglio che le sia data la stanza più comoda e che le siano garantiti la servitù e il massimo rispetto.". Io dissi: "Con tutto il rispetto per questa terra, vi faccio presente che io devo vivere in due mondi paralleli senza che mi scoprano. Per questo desidero dormire nel mio letto, ma vi prometto che, quando voi farete lampeggiare il mio anello, mi inventerò un di-scorso per lasciare il mio mondo e venire qui. Promesso, nel nome di imperatrice di questo popolo, vi giuro tutta la fedeltà possibile.". "Accettiamo le tue scuse, visto che ci hai promesso di aiutarci, ma ora ti dobbiamo condurre alla fonte.". Disse il terzo custode de-gli unicorni. Entrammo in una caverna con miliardi e miliardi di cunicoli e il quarto custode sembrava cono-scerli tutti, invece io mi ero già persa e non me li ricordavo più. Arrivati alla "fonte" trovai una stanza molto illuminata dove c'e-ra un barile pieno di bava di lu-maca. 12

"Questa è la poca bava che ci rimane e va usata con moderazione perché le lumache sono morte per la mancanza di amore tra gli Elfi neri e gli Elfi bianchi custodi degli unicorni. Devi sapere che il nostro nemico, Opacus Neftali, con i suoi seguaci (gli elfi neri), sta distruggendo Matil-daria per impossessarsi del sangue di unicorno, fondamentale per ritor-nare giovani.”. Disse il quinto guerriero custode degli unicorni. E il primo parlò: "Il nostro nemico viveva nelle tenebre, ed ha distrutto molti altri regni della fantasia. Matildaria è stata stabilita come capitale delle sue città tenebrose. Ora vive nella rocca di Dragonis, a due passi da Matildaria.”. Tutti e cinque insieme mi donarono un po' dei loro poteri in modo da averne a sufficienza, li riunii nel mio anello e poi decidemmo che sa-remmo partiti la mattina seguente. Me ne tornai a casa e chiesi alla mamma se si fosse domandata dove fossi finita tutto quel tempo. Ma lei mi rispose: "Cara, non capisco, sono passati solo cinque minuti da quando hai ricominciato a leggere quel libraccio.". Andai a letto dopo aver mangiato una cena ricca e mi prepa-rai per la battaglia dell'indomani. Entrai nel mio mondo, alle sette di mattina, andai a casa dei miei amici Elfi e decidemmo di partire al momento, per combattere. Rimanemmo pazienti ad aspettare il nemico, ma fino a mezzogiorno non arrivò nessuno. All'improvviso, uno stormo di draghi neri, totalmente neri, arrivò sul campo. Erano pieni di armi, totalmente pieni di armi ed erano brutti, totalmente brutti. I miei amici Elfi mi donarono uno "spara-bava-di-lumaca" che si rivelò molto utile perché, se sparata sugli occhi, non permette di vedere e non si toglie. In quel momento vedemmo un'orrenda creatura spararci una freccia mortale e tutti cercarono di schivarla, ma il primo custode degli unicorni fu trafitto al cuore e morì. I pochi unicorni, spinti dalla morte del loro custode prediletto, si uniro-no a noi, ci aiutarono facendoci salire sulla loro groppa e li circondam-mo. Opacus Neftali, non sapendo più cosa fare, scoccò frecce a vanvera, ma noi le schivammo tutte. Però una colpì il secondo custode degli uni-corni. Cercammo in tutti i modi di fermare Opacus Neftali, ma lui era troppo forte. Allora il quinto custode (cioè Saggezza) disse: "Dobbiamo escogi-tare un piano; avendoli circondati possiamo solo stringerci e soffocar-li.". Allora chiedemmo agli unicorni di stringerci e noi, con le lame in mano, provammo a tagliuzzarli, ma erano ancora troppo lontani. Con tantissimi sforzi ci avvicinammo ancora di più, ma il nemico uccise il terzo custode. Rimanevano solo io, il quarto custode, il quinto e i sei unicorni. Io e il quinto eravamo talmente arrabbiati che ci prendemmo per mano e, come per magia, dai nostri cuori uscì una striscia color vio-letto che colpì il nemico. Egli, per tutta risposta, uccise il quarto custo-de, e il quinto lo ridusse un mucchietto di cenere. Ma rimanevano i suoi seguaci. Senza il loro capo erano inutili e bastò un po' di bava di lumaca per distruggerli. Ora però veniva la parte difficile, dovevano restituire agli altri popoli la loro cultura strappata da anni di guerra. Con sforzi estremi ci riuscim-mo. Tornai al villaggio e, con i miei poteri, diedi vita ad altri unicorni. Avevo salvato il mio popolo, avevo preservato me stessa e il quinto cu-stode. Il Bene, come in tutte le favole, trionfa sul male. Io tornai a casa e rac-contai alla mamma tutto quello che avevo vissuto. Lei mi disse che ero stata proprio brava. Ogni tanto tornai nel mio popolo a giocare, ma mi rimase nel cuore l'a-more dei cinque fratelli custodi e soprattutto del quinto. Avevo salvato la leggenda degli unicorni.

MATILDE C. UN VIAGGIO VERSO MATILDARIA, LA TERRA DEGLI UNICORNI (2)

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Io sono Anabel. Ero una bambina come le altre finché... un giorno, andando a scuola, trovai una vecchia casa abbandonata e, dato che sono molto curiosa, entrai. Dentro non sembrava esserci nessuno, ma appena dietro il divano c'era un coniglietto alato. Che paura! Era la cosa più strana che avessi mai visto nella mia vita e pensate che di cose strane ne ho viste, io. Il coni-glio iniziò a scappare e io lo inseguii. Lui mi portò in una piccola stanza tutta nera con una minuscola porta rosa fluo. Entrai: "Sapete, con quel colore era impossibile resistere!". Allora entrai, ma quello che c'era dietro la porta era completamente un altro mondo, tutto colorato e tutto felice. C'erano draghi, unicorni, centauri e molti altri mostri strani. Appena entrai, tutti mi vennero addosso, sembrava un gigantesco tornado tutto colorato. Iniziai a correre più veloce di un razzo, loro mi inseguirono fino ad un vicolo cieco. Lì mi dovetti fermare. Pensavo fossero cattivi, ma in verità erano tutti gentili. Fra la gente c'era una donna tutta vestita di nero; era nero come il car-bone; brutta come un pagliaccio con le rughe; era uguale a una mosca. D'un tratto me la trovai davanti agli occhi: "Perché sei qui!”. Urlò lei. "Io in verità non so come sono arrivata qui.". Dissi io, un po' spaventa-ta. Lei mi disse: "Io sono la regina della collina della magia; quella che creò tutte queste belle cose.". Due gentili folletti mi accolsero bene. Almeno loro. La regina mi impri-gionò nella torre più alta del castello, per fortuna che lì c'era Blob, un vecchio troll gentile che mi liberò. Dopo che ero scappata, dovetti ritornare nel mio mondo, ignara del de-stino che mi aspettava. Quando ero ritornata nel mio mondo, mia madre era molto preoccupa-ta. Lei mi chiese dove fossi stata, ma io non glielo potevo dire, neanche per sogno. Le dissi che ero arrivata tardi perché aveva iniziato a piovere e non avevo l'ombrello quindi avevo dovuto aspettare due ore e mezzo. Per fortuna che la mamma di Alice mi aveva visto inzuppata, quindi mi aveva portato a casa sua. Da quel momento, passato a ridere e a scherzare, erano passate tre ore. Dopo mi ero ricordata di venire a casa da lei. Quindi avevo preso il taxi fino a casa. Infatti allora le dissi: "Mi dovresti dare cinque euro!”. Lei me li diede, quindi, dopo aver pagato il tassista, andai a dormire. E questa è stata la miglior giornata del mondo!

ANABEL UN VIAGGIO VERSO LA MAGIA

Testi e disegni

Classe quinta

Novaglie