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Il Gioco:

la storia

Se vogliamo indicare la storia del gioco, la sua nascita e la sua evoluzione, non possiamo esimerci

dal raccontare la storia dell’ uomo. Esso infatti, essendo parte costituente la persona, non può che

esistere, mutare e svilupparsi in concomitanza con essa. Gioco e uomo sono indissolubilmente

legati, ma forse quest’ aspetto oggi viene nascosto. Forse oggi l’ attività ludica viene intesa

semplicemente come parte integrante dell’ età infantile(fig.1) e limitata

a questa. Forse oggi non riveste più l’ importanza che merita e anzi, se

un adulto gioca viene guardato con sospetto dalla società e allontanato,

perché adultità è sinonimo di serietà, ed il gioco non è una cosa seria.

Ma questo chi lo afferma? Su quali basi? Quali prove ci sono che essere

persone mature significa allontanare la propria capacità creativa, la

propria immaginazione, l’ unica possibilità di essere liberi? Credo che il

discorso possa essere ricondotto al grigiore della società moderna,

costituita da schemi ormai fissati, immersa in un capitalismo sfrenato

che amplia sempre più il divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri, prendendosi gioco dei principi di

solidarietà, uguaglianza e libertà riconosciuti a livello mondiale.

Che ruolo ha il gioco in tutto questo? Naturalmente non è funzionale allo sviluppo sociale visto da

un’ ottica come quella appena descritta e dunque viene relegato ad attività marginale e ne si

misconosce l’ importanza.

Ma facciamo un passo indietro, partiamo dal principio.

L’ Età Antica

Grazie agli importantissimi scavi archeologici e alle preziose fonti letterarie ed artistiche siamo a

venuti a conoscenza di giochi e di giocattoli che il mondo antico, dai sumeri agli egizi, dai greci ai

romani, ha inventato e prodotto. Questo cospicuo ed affascinante materiale ritrovato ha permesso di

aprire una porta sul mondo del gioco nell’ antichità: sorprendentemente scopriamo che i bambini

dell’ antichità utilizzavano giochi, passatempi e giocattoli simili a quelli di oggi, sia nella forma che

nella sostanza, “creando, in tal modo, un senso di continuità, un allegro girotondo in cui i millenni

di storia si incontrano gioiosamente e quasi si annullano” come ha affermato Marco Fittà, noto

studioso del settore, in Giochi e giocattoli nell’ antichità.

Fig. 1 Il gioco nell’ età infantile

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E' molto bella l’ immagine “dell’ allegro girotondo” perché oltre ai millenni vengono cancellati i

confini e le distanze, le lingue e le differenze etniche, i contesti storici di popolazioni vissute agli

albori della storia, ma che sembrano coetanee dei nostri figli. Tutto ciò è straordinario e ci spinge a

cercare di approfondire di più questo argomento.

I bambini dell’ antichità avevano a disposizione numerose opportunità di gioco, come ad esempio

dondolarsi sull’ altalena, saltare alla corda, lanciare l’ aquilone, giocare a rimbalzello, al tiro alla

fune o cavalcare un bastone. Come ben vediamo, tutto ciò

sembrerebbe rispecchiare la realtà quotidiana di un qualsiasi parco

giochi dei nostri giorni, ma con la differenza di uno scarto temporale

di millenni. Prendiamo ad esempio il gioco dei birilli( fig.2): questo

gioco risale addirittura al IV millennio a.C.

Di tutte le attività ludiche infantili abbiamo dei precisi riferimenti

artistici. Rimaniamo colpiti dalle raffigurazioni di bambini che

giocano a moscacieca, a nascondino, mentre corrono o si azzuffano

tra di loro, oppure intenti al gioco delle noci o a quello degli astragali (simili ai dadi) (fig.3), che

troviamo nella scultura, nella pittura, nella ceramica, nelle decorazioni delle tombe di tutte le civiltà

antiche. Ci soffermiamo soprattutto su due giochi, qui sopra menzionati, che furono molto in voga

sia in Grecia che a Roma: il gioco delle noci ed il gioco degli astragali. I due passatempi, che

permettevano molte varianti di gioco, presupponevano abilità e concentrazione e venivano praticati

da bambini di entrambi i sessi. Le noci avevano un significato particolare: si diceva “non giochiamo

più al gioco delle noci” per indicare l’ abbandono dell’ infanzia per entrare nella vita adulta; invece,

l’ astragalo, (inteso come ossicino del tarso su cui poggiano la tibia e

il perone, in questo caso veniva scelto quello delle pecore e di tutti

gli ovini), usato come un dado, era considerato quasi un simbolo

dell’ infanzia.

I bambini avevano con gli adulti un rapporto molto stretto e diretto:

insieme a loro giocavano e costruivano i propri giochi, ma

arrivavano fino ad imitare le loro occupazioni simulando gare tra

gladiatori, corse del circo, oppure dispute tra giudici o lotte tra

soldati.

Dopo aver considerato il gioco, passiamo ad occuparci degli strumenti di divertimento: i giocattoli

dell’ antichità.

Fig. 2 Birilli

Fig. 3 Gioco degli astragali

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I reperti archeologi ci permettono di affermare che i primi veri e propri giocattoli riproducevano

armi ed aratri (a simboleggiare le due attività principali delle primitive popolazioni, cioè la guerra e

l’agricoltura), oppure oggetti di uso quotidiano, realizzati in miniatura ed in forme più rudimentali.

Anche la bambola può essere ritenuta uno dei primi giocattoli infantili; inizialmente ebbe un valore

più complesso di quello esclusivamente ludico, legato, cioè, alla sfera della religiosità primitiva e

alla fertilità femminile.

La bambola intesa propriamente come giocattolo viene fatta risalire, grosso modo, al 2000 a.C.,

nell’ Egitto faraonico ed era realizzata in diversi materiali come l’ avorio, il legno e la terracotta. Le

bambole simboleggiavano l’ infanzia delle bambine; l’ atto di abbandonarle, donandole alle divinità,

era sinonimo di abbandono dell’ infanzia per iniziare la vita adulta, che coincideva con una precoce

vita matrimoniale.

Le scoperte archeologiche hanno portato in evidenza che in tutte le civiltà

antiche ricorrono costantemente alcuni tipi di giocattoli: tutti gli animali da

trainare, ritrovati in grandissima quantità nelle tombe dei bambini, i simboli

della tenera età come i sonagli, le trottole, i preziosissimi rocchetti come lo

yo - yo, i carrettini, i cerchi e le marionette.

I giocattoli venivano regalati ai bambini in diverse occasioni: prima di tutto

al momento della nascita, quando veniva imposto il nome al neonato (come era costume romano),

durante le feste religiose (le Antesterie in Grecia o i Saturnali a Roma), come ricompensa per i

risultati scolastici, come gratifica per qualche obbiettivo raggiunto, oppure come consolazione per

un problema di malattia.

Sia in Grecia che a Roma esistevano attività specializzate per la costruzione di giocattoli, come

palle, trottole ed astragali, che venivano venduti nelle agorà greche o nelle piccole fiere romane del

giocattolo. Persino personaggi di grande prestigio come il matematico Archimede si cimentarono

nella creazione di vari congegni per il gioco: in particolare, Archita inventò i “crepitacula”,

comunemente chiamati sonaglini.

Ma il balocco possedeva anche un’ altra valenza: grazie soprattutto ai giochi, maschi e femmine

imparavano a conoscere i propri ruoli.

Ci sono dei giochi che maschi e femmine facevano insieme, come giocare alla palla e alla trottola,

ma ce n’ erano altri che segnavano proprio la distinzione dei due sessi: alle bambine venivano dati

gli utensili da cucina o le bambole con arredi e corredi, mentre ai maschietti si regalavano cerchi,

carrettini e soldatini in stagno (conosciuti universalmente da romani, etruschi, greci ed egizi).

Fig. 4 Sonaglini

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Il Medioevo

Il Medioevo non apportò nessun cambiamento rispetto ai secoli passati: i bambini avevano sempre

molte possibilità di gioco, si divertivano a giocare con le biglie, con il cerchio e con i bastoni, si

allenavano con la mazza e la boccia di legno, come facevano gli adulti nei tornei cavallereschi, o

creavano giochi di abilità con la palla, imitando i saltimbanchi. In verità, nei primi secoli del

Medioevo, il giocattolo e la bambola vissero un periodo incerto: pochi sono stati i rinvenimenti

archeologici e scarse le notizie letterarie. Il vuoto, che contraddistingue questi secoli, può essere

spiegato dai lunghi periodi di invasioni barbariche, che distrussero e condizionarono la vita delle

popolazioni, portando miseria sociale e povertà di commerci. Inoltre i giocattoli e le bambole erano

costruiti in casa con mezzi di fortuna, in forme rozze e con materiali talmente deperibili, da non

lasciare traccia dopo il loro temporaneo utilizzo. Le prime bambole medioevali che ci sono

pervenute risalgono non prima del 1200 - 1300.

I giocattoli dei periodi successivi sembrano essere il riflesso delle conoscenze tecniche dell’ epoca,

come mulinelli ad alette, piccoli mulini a vento, chiuse e forni: esistevano degli artigiani che

realizzavano oggetti appositamente creati per l’ infanzia. Ma questa era una situazione molto

privilegiava che apparteneva solo ai bambini delle case aristocratiche, perché i bambini degli altri

ceti sociali, soprattutto quelli più miseri, realizzavano da soli i propri giocattoli, utilizzando i pochi

materiali a loro disposizione, spesso ciottoli, pezzi di legno, erba, conchiglie e pezzi di stoffe che

trovavano in casa.

A differenza del giocattolo dell’ antichità, quello medioevale probabilmente non presentava una

precisa distinzione tra maschi e femmine: i bambini giocavano indistintamente con la bambola o con

la palla. Ma sicuramente aveva un’ altra funzione, veniva, cioè, utilizzato per influenzare il destino e

la posizione sociale dei bambini: al futuro prete l’ altare in miniatura o piccoli oggetti liturgici, al

militare i soldatini di piombo o di terracotta oppure piccoli cannoni, spade di legno, archi con le

frecce, cavalli - bastone. Alle bambine, invece, che dovevano prepararsi alla futura vita coniugale,

venivano regalati fusi per filare, stoviglie ed arnesi per cucinare, ma soprattutto bambole per

sognare il ruolo di mamma.

Il Rinascimento

Solo nel Rinascimento si realizza un vero salto di qualità per quanto riguardava il giocattolo. Le

prime fabbriche di bambole di cui si ha notizia compaiono nel XV secolo in Germania, a

Norimberga, dove già dal finire del 1300 si erano formate corporazioni di maestri artigiani

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specializzati nella fabbricazione del legno. In seguito nel 1500 anche i Paesi

Bassi cominciarono a produrre bambole in legno( fig.5), a cui si aggiunse alla

fine del secolo la produzione francese in gesso e cartapesta. In particolare fu

creato un modello vestito molto raffinato e costoso, realizzato solo per i reali e le

classi aristocratiche, chiamato la “parisienne”, perché fabbricato a Parigi.

Insieme con la bambola e al suo corredo vestiario, inizia anche una raffinata

produzione di piccoli oggetti: preziose stoviglie, lussuosi corredi, elaborate case.

Era nota da tempo l’ importanza del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino

e i più illustri pensatori affermavano il ruolo educativo del gioco infantile. Già

nel 1500 Montaigne (1533 - 1592) sosteneva che i giochi dei fanciulli dovessero

essere giudicati come le loro azioni più serie.

Il Seicento e il Settecento

Nel 1600 il filosofo e pedagogo inglese John Locke( 1632 - 1704) riteneva fondamentale per il

bambino apprendere attraverso il gioco: la sua concezione pedagogica risulta straordinariamente

attuale.

"Tutti i giochi e tutti gli svaghi dei bambini debbono essere diretti a formare abitudini buone ed

utili, altrimenti saranno la causa di quelle cattive. Ogni cosa che i bambini fanno, in quella tenera

età lascia loro qualche impressione, e da essa ricevono una tendenza al bene o la male; ed ogni

cosa che abbia un' influenza di questo genere non dovrebbe essere trascurata"4

L’ apparire del libro “Pensieri sull’ educazione” di Locke(fig.5) nel 1693

creò certo una piccolissima breccia nelle radicate convinzioni puritane in

Inghilterra, ma il filosofo, sostenendo il valore positivo del gioco, fu il

primo ad incoraggiare la curiosità dei bambini, considerandola un

importante strumento di apprendimento.

Meno di un secolo dopo, nel 1762, venne pubblicato l’ “Emilio” di Jean

Jacques Rousseau5 (1712 - 1778), nel quale venne sottolineato un altro

aspetto molto importante: il gioco come fonte di gioia, il migliore degli stimoli per l’ attività del

bambino. Ma nonostante la straordinaria influenza della sua opera, Rousseau non poteva

4 Cfr John Locke “Pensieri sull’ educazione”, Firenze, La Nuova Italia, 1946, pp. 177- 178. 5 Jean Jacques Rousseau: filosofo svizzero

Fig.5 Bambola

in legno

Fig. 6 J. Locke

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sconfiggere da solo le convinzioni più conservatrici sull' allevamento dei bambini e sul ruolo del

gioco. Si facevano avanti nella società, soprattutto inglese, le idee del Metodismo6 e dell’

Anglicanesimo Evangelico7, che affermavano che la volontà dei bambini doveva essere fermata e,

di conseguenza, scoraggiato il gioco e proibiti i giocattoli.

Al di là di queste radicate convinzioni, che interessavano solo un settore della società settecentesca,

gran parte della pedagogia riteneva che il movimento e l’ esercizio fisico fossero necessari per una

crescita armoniosa del corpo dei fanciulli, per cui i fanciulli furono incoraggiati a divertirsi al salto

della corda, a moscacieca, a nascondino, al gioco della bandiera, a rincorrersi…

In questa ricerca storica ci vengono in aiuto preziose raffigurazioni

artistiche( fig.7) che ci fanno conoscere meglio come si divertivano i

bambini dell’ epoca.

E’ molto interessante soffermarci su un aspetto molto curioso che

riguarda la bambola del 1600 e del 1700; in quel periodo storico la

bambola ebbe anche una funzione diversa da quella giocosa, e cioè

diventò messaggera della moda parigina in tutte le corti reali o

principesche o nelle case dell’ alta borghesia per fare conoscere le ultime novità in fatto di

abbigliamento.

Ma verso la seconda metà del XVIII secolo avvenne un cambiamento, una

inversione di rotta verso una maggiore espansione della fabbricazione dei

giocattoli. La distribuzione avveniva ora attraverso diversi canali di vendita:

i venditori ambulanti che smerciavano gli articoli nelle fiere e nei mercati e

le nascenti botteghe specializzate che, oltre ai tradizionali giocattoli,

incominciavano a proporre oggetti per l’infanzia come giochi di carte,

tombole, giochi dell’oca(fig.8), abbecedari, immagini a stampa con soggetti

infantili. Questa svolta nella seconda metà del secolo significava che gli

adulti prestavano maggiore attenzione al mondo dei bambini, dedicando loro più tempo e investendo

in modo più cospicuo in materiale didattico.

Il Settecento deve essere ricordato come il secolo nel quale incominciarono a fare la loro comparsa i

primi giochi che derivavano dalle grandi invenzioni del secolo, come le lanterne magiche, che

6 Metodismo: una delle denominazioni del protestantesimo sorta nel 1729 per opera di alcuni studenti dell’ università di Oxford definiti ironicamente “metodisti” dai loro colleghi per via dell’ impegno metodico profuso nella devozione e per il rigore etico della loro vita. 7 Anglicanesimo Evangelico: confessione cristiana, i cui fedeli costituiscono la Chiesa di Inghilterra, nota anche come Chiesa anglicana.

Fig.7 Ritratto di una bambina che gioca

Fig.8 Gioco dell’ oca

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utilizzavano le leggi dell’ ottica per proiettare immagini, e i sorprendenti ed ingegnosi giocattoli

animati, che sfruttavano le conoscenze delle leggi fisiche e i dinamismi della legge di gravità.

Il grande interesse del 1700 per tali congegni portò alla realizzazione delle prime bambole

meccaniche: infatti nel 1701 in Inghilterra, che era diventato produttore di bambole soprattutto di

cera, fu venduto un bambolotto che, grazie ad un dispositivo interno, poteva girare gli occhi ed

emettere vagiti. Inoltre nel 1737 a Parigi furono costruite bambole semoventi e addirittura musicali.

Si dovrà aspettare quasi un secolo, il 1823, per le bambole parlanti, e il 1826, per quelle che

camminavano e aprivano e chiudevano gli occhi. Si arrivò anche bambole che mandavano baci, che

piangevano e persino nuotavano.

L' Ottocento

La pedagogia del 1800 è una pedagogia che esorta al gioco: Friedrich Fröbel,

(1782 - 1852)(fig.9), educatore e pedagogista tedesco affermava che il gioco è

la vera attività naturale del bambino, riconoscendone l’ insostituibile valore

educativo. Inoltre sottolineava che i giochi non devono essere sottovalutati

nella loro importanza ma in quanto portatori di significato: in essi l’ uomo

proietta se stesso e da questi dipendono le future relazioni del bambino con la

propria famiglia, con la società civile e con Dio.

Nella società ottocentesca il giocattolo diventò sempre più importante. In Germania, Inghilterra e

Francia nacquero fabbriche per la produzione in serie di materiale ludico, che incominciò ad essere

suddiviso a seconda dei ceti, delle età e del sesso dei bambini.

Vennero costruiti i primi giocattoli meccanici e si cominciò a

diffondere la prima produzione di massa, concepita come attività

industriale. Già nel 1793 il commerciante di giocattoli( fig.10)

Bestelmeier di Norimberga aveva a disposizione nei suoi cataloghi

più di 12000 articoli (bambole, soldati, animali etc.), in tutte le

possibili varianti dalla più piccola alla più grande, dalla più

economica alla più raffinata. In una fabbrica tedesca tra il 1754 e il

1884 si produsse un miliardo di bambole in porcellana, mentre in un

solo anno, il 1893, a Sonneberg furono fabbricate 2 milioni di

testine di bambole.

L’ industria del giocattolo visse la sua stagione d’ oro tra il 1850 e il

1914, un periodo segnato da grandi mutamenti storici, sociali e

Fig.9 F. Frobel

Fig.10 Giocattoli

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culturali. Particolare successo riscossero i giocattoli in latta tra i

bambini dell’ epoca, perché oltre alla precisione nella fattura e

nella ricerca di eleganza nelle forme e nei colori, riproducevano

le grandi invenzioni avvenute nel campo della meccanica. Infatti

con questo materiale furono realizzati carrozze a cavallo

(fig.11), automobili, navi, trenini( fig.12), dotate di sofisticati

meccanismi ed azionate dal vapore; inoltre furono creati con la

latta anche giochi meccanici che raffiguravano animali, clowns,

acrobati o curiose raffigurazioni di mestieri, dotati di movimenti

automatici molto semplici.

L’ industria del giocattolo incise in modo preponderante sull’

economia del Paesi produttori, ma l’ Italia iniziò tardi la produzione di balocchi: per i giocattoli in

legno la prima industria sembra essere nata ad Asiago nel 1885 ad opera di Giovanni Lobbia,

mentre la prima industria di giocattoli e di bambole è stata la Furga di Canneto sull’ Oglio

(Mantova) fondata nel 1872 da Luigi Furga Gomini.

Proprio nel campo della produzione di bambole si assistette ad una produzione enorme di esemplari,

destinata sia al mercato europeo che americano, per potere soddisfare una

clientela in grande espansione, sempre più esigente e ormai viziata da un

continuo avvicendarsi di prodotti sempre nuovi.

Negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento iniziarono e si svilupparono industrie del

settore, soprattutto tedesche, che proprio tra le due guerre raggiungono l’

apice nella perfezione della costruzione, nella qualità dei materiali impiegati

e nella scelta dei soggetti.

Ma la seconda guerra mondiale sconvolse completamente ogni equilibrio

possibile, segnando profondamente anche le produzioni di balocchi. Le

fabbriche furono chiuse distrutte o adibite ad altri usi, le materie prime si

esaurirono, non ci furono più ordini o richieste di giochi. Lentamente, nella

faticosa fase di ricostruzione, cominciò a cambiare qualcosa: si iniziò,

soprattutto, a fare uso di nuovi materiali , come la celluloide e la plastica,

che apportarono una vera rivoluzione nella produzione di bambole(fig.13) e

balocchi. Il resto è storia dei nostri giorni.

Fig.11 Carrozza con cavallo

Fig.12 Trenino

Fig.13 Le prime “Barbie” (1955)

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La pedagogia moderna

Le teorie pedagogiche di John Dewey (1859 - 1952), Sergej Hessen (1887 - 1950) e soprattutto di

Jean Piaget (1896 – 1980 ) affermarono in maniera inequivocabile il ruolo fondamentale del gioco

nel processo di apprendimento e formazione del bambino; e di conseguenza il giocattolo fu

considerato uno strumento fondamentale, parte integrante di questo processo.

Proprio sulla base delle idee innovative di Dewey e di Maria Montessori (1870 - 1952), nel 1899

nacque a Brooklyn il primo Children Museum (Museo dei Bambini), cui seguì a breve distanza il

Children Museum di Boston. Questa rivoluzionaria sperimentazione fu dettata dalla consapevolezza

che le metodologie di apprendimento infantile divergevano nettamente da quelle degli adulti e i

bambini apprendevano più facilmente attraverso il gioco e la partecipazione attiva in attività diverse

da quelle tradizionali come leggere e scrivere. Il bambino imparava giocando e sperimentando

alcune realtà che rappresentano un continuo stimolo alla creatività e all’ immaginazione.

Dalle prime esperienze di struttura educativo - museale è stata fatta molta strada; attualmente solo

negli Stati Uniti esistono 300 musei per bambini finalizzati a tre attività di apprendimento: imparare

facendo, imparare esplorando, imparare toccando. Sono raggruppati sotto la definizione “Hands - on

– museums” e possiedono una loro associazione AYM (Association of Youth Museums).

Gli anni 70 hanno visto uno sviluppo straordinario di iniziative museali rivolte ai bambini in

Europa, ma in Italia solo nel dicembre 1998 è stato aperto a Genova il primo Museo dei Bambini, e

sono in previsione le aperture di altri Musei a Milano, Roma, Siena e Napoli.

Un altro aspetto da sottolineare è il progressivo interesse per la storia del gioco e del giocattolo, che

vede nascere iniziative, esposizioni, mostre d’ arte, con il coinvolgimento attivo anche dei bambini,

per fare conoscere come giocavano i fanciulli di una volta (come avviene presso il Centro per la

cultura ludica di Torino oppure presso l' Accademia del gioco dimenticato a Milano).

Inoltre in questi anni sono stati aperti molti musei del giocattolo con diverse specializzazioni, e

questo ha permesso di registrare un incremento considerevole del numero di appassionati e di

collezionisti.

Gioco e Filosofia

Il gioco è stato oggetto di studio anche da parte della filosofia dove, grazie all’ interesse di J.

Huizinga(fig.14) e di G. Bateson, gli vengono attribuite nuove caratteristiche e proprietà.

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Il filosofo olandese Johan Huizinga( 1872 – 1945) esprime la sua opinione sul gioco nell’ opera

Homo ludens dove questo è visto come un complesso sistema culturale:

“La cultura sorge in forma ludica, è dapprima giocata… ciò non significa

che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle

sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in

forme e stati d'animo lucidi: in tale "dualità-unità" di cultura e gioco, gioco è

il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre

la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al

caso.”8

In Homo ludens non si afferma soltanto che ogni cultura fa posto a manifestazioni ludiche o che il

gioco si fissa subito come forma di cultura. Una volta identificate le caratteristiche del gioco si

arriva all’ assunzione che queste siano le medesime della cultura e che quindi la cultura, sin dall’

antichità, si manifesta come gioco. Ogni azione umana appare agli oggi di Huizinga come un gioco.

Da qui una nuova classificazione dell’ uomo: oltre che “sapiens”, oltre che “faber”, l’ uomo è

“ludens”.

La stessa civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco.Tracce di questa convinzione dell’

autore si possono ritrovare sin dagli scritti del 1903. Per Huizinga non si trattava di domandare

quale posto occupasse il gioco tra i fenomeni culturali, ma in quale misura la cultura avesse

carattere di gioco. Si trattava quindi di integrare i due concetti.

Si deve dunque riconoscere il merito di Huizinga l’ aver analizzato molti caratteri del gioco e

dimostrato l’ importanza del suo ruolo nello sviluppo stesso della civiltà. Egli intendeva fornire una

definizione esatta della specifica natura del gioco, insita nelle manifestazioni di ogni cultura: le arti,

la filosofia, la poesia, le istituzioni giuridiche e persino nei tornei medioevali. Ma se è vero che

Huizinga scopre il gioco dove prima di lui non si era saputo riconoscerlo, è anche vero che egli

trascura intenzionalmente la descrizione e la classificazione dei giochi stessi, come se rispondessero

tutti agli stessi bisogni ed esprimessero il medesimo atteggiamento psicologico. La sua opera, in

definitiva, non è uno studio dei giochi ma una ricerca sulla fecondità dello spirito ludico in

riferimento ad un’ unico tipo di gioco, ovvero quello che R. Caillois definirà gioco di competizione.

Gregory Bateson invece, individua l'essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio: dato che i

giochi sono qualcosa che “non è quello che sembra”, perché un’ attività ludica sia veramente tale

8 Cfr. J. Huizinga “Homo ludens”, Torino, Einaudi Editore, 1979, pag. 55.

Fig.14 J. Huizinga

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ogni giocatore deve poter affermare: “Questo è un gioco”, cioè ci deve essere la consapevolezza che

l’ azione è fittizia e che “meta-comunica” questa sua finzione. Il gioco inteso in senso

metacomunicativo rivelerebbe dunque la sua natura del “come se”, e la sua creazione di un mondo

irreale in cui azioni fittizie simulano azioni reali.

Gioco e Sociologia

Per acquisire una visione d’ insieme sullo sviluppo del gioco come oggetto

di studio non possiamo non tener conto della prospettiva sociologica, la

quale, con Roger Caillois (1913 – 1978)(fig.15), definisce il gioco come

un’ attività:

- libera: ovvero il giocatore non può essere obbligato a partecipare;

- separata: entro limiti di spazio e di tempo;

- incerta: lo svolgimento e il risultato non possono essere decisi a priori;

- improduttiva: non crea né beni, né ricchezze, né altri elementi di novità;

- regolata: con regole che sospendono le leggi ordinarie;

- fittizia: consapevole della sua irrealtà.

Il gioco è considerato come un attitudine naturale, ma anche nelle sue più strutturate e finalizzate

forme, rispecchia i complessi meccanismi mediante i quali le società elaborano e trasmettono i

propri modi di organizzare il mondo. Attività allo stesso tempo libera e vincolata, creativa e

ripetitiva, che ha accompagnato la civiltà umana, arricchendosi via via di significati simbolici e

rituali. Effettuando una ricerca e ricomposizione di osservazioni riguardanti il gioco, sparse tra

etologi, pedagogisti, filosofi, etnologi, letterati e teatranti, Caillois ha realizzato un importante

saggio del 1958 intitolato “I giochi egli uomini” dove tenta una classificazione di attività e regole

apparentemente lontane. Sottolinea così una possibile differenziazione delle pratiche ludiche,

riconducendole a quattro tipologie fondamentali:

- giochi di competizione( agon) : tutte le competizioni, sia sportive che mentali;

- giochi di azzardo (alea ovvero la sorte, il caso): tutti i giochi dove il fattore primario è la fortuna;

- giochi di simulacro( mimicry o la maschera): o “giochi di ruolo” dove si diventa “altro”;

- giochi di vertigine(ilinx): tutti quei giochi in cui si gioca a provocare noi stessi.

Questi si combinerebbero tra loro determinando le due facce, opposte e complementari del gioco: il

ludus, inteso come scaltrezza, calcolo, abilità e pazienza; la paideia, percepita invece come

improvvisazione, turbolenza. Il gioco in Caillois diventa sintesi delle diverse concezioni del mondo

da parte delle società e la sua sociologia è costruita sulla base di queste classificazioni.

Fig.15 R. Caillois

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L’ autore ne evidenzia anche il difetto: il gioco poggia sul piacere di vincere l’ ostacolo, ma un

ostacolo arbitrario, quasi fittizio, istituito alla misure del giocatore e da lui accettato. La realtà non

offre queste gentilezze. Tuttavia, pur essendo il suo limite, sempre secondo Caillois, questo è parte

di esso, e senza questa caratteristica sarebbe sprovvisto della sua fertilità.

Gioco e Psicologia

Nonostante siano state diverse le discipline che hanno assunto l’ attività ludica come oggetto di

studio attribuendogli diversi ed importanti ruoli, è solo con la psicologia che questo diventa il

protagonista dello sviluppo psicologico e soprattutto della personalità del bambino.

In particolare modo sono stati due gli studiosi che per molto tempo hanno dominato il campo delle

ricerche e delle teorie sul gioco: Edward H. Carr e la sua teoria del post-esercizio, secondo la quale

l’ attività ludica servirebbe a ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e Karl Groos con la

teoria del pre-esercizio, che vede il gioco come momento propedeutico alla vita adulta.

L’ opposizione insita in queste due teorizzazioni venne meno solo grazie all’ opera di Jean Piaget

che, come vedremo in seguito, riconobbe al gioco una funzione centrale nello sviluppo della sfera

cognitiva personale e della personalità.

Un ulteriore affinamento dell’ interpretazione dell’ attività ludica viene dallo psicologo russo Lev

Semenocic Vygotskji che considera il gioco anche come forza attiva per l’ evoluzione affettiva ed

umana del ragazzo, non solo cognitiva come in Piaget. Vygotskij evidenzia la funzione

emancipatrice assolta dallo stesso nei confronti dei vincoli contestuali e situazionali. Nel gioco il

pensiero e la realtà oggettuale non coincidono in modo stringente e le azioni prendono forma grazie

all’ influsso delle idee e non sotto l’ egida delle cose. Per questa ragione il gioco consente al

bambino di transitare nella zona di sviluppo prossimale mediante la quale si realizza una

anticipazione dello sviluppo; da qui la critica di Vygotskij alle visioni del gioco come attività non

finalistica e non produttiva, in quanto, seppur atto totalmente gratuito, costituisce un eccezionale

elemento di crescita e di definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti.

Il Gioco: un nuovo strumento della psicoanalisi

A partire dall’ esempio di Sigmund Freud (1856 – 1939), padre della psicoanalisi, il gioco e le sue

interpretazioni divennero parte essenziale delle tecniche psicodinamiche infantili che hanno

permesso di approfondire le conoscenze sui meccanismi psichici nel corso dello sviluppo.

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La prima applicazione del gioco in questo nuovo campo la si ebbe

nel trattamento del piccolo Hans, un bambino di cinque anni, la cui

paura improvvisa dei cavalli preoccupava il padre, amico e paziente

di Freud. Lo psicologo non seguì direttamente Hans ma lo trattò

attraverso il padre che del bambino annotava il comportamento

spontaneo, i discorsi, i sogni e i giochi. Freud interpretò nell’ ambito

delle sue teorie il gioco spontaneo in cui Hans faceva finta di essere

un cavallo come sintomatico non tanto della paura ispirata da un

evento reale, bensì di quelle paure più generali e di quegli

atteggiamenti che il bambino cercava di affrontare e raggiungere nel

corso dello sviluppo.

Sempre in riferimento a Freud( fig. 16), il gioco acquisì importanza non solo a fini diagnostici ma

anche terapeutici. Tale aspetto emerge dalla descrizione del “gioco del rocchetto” che egli ci da in

“Al di là del principio di piacere”.

Per presentare questo gioco Freud(figura 1) descrive un bambino di diciotto mesi che fa sparire e

riapparire a suo piacimento un rocchetto attaccato a un filo e che ne saluta la ricomparsa con un

allegro “o – o - o”. Lo studioso interpreta questo semplice gioco come un tentativo del piccolo di

dominare una situazione per lui inquietante, rappresentata dall’ allontanarsi della mamma: con il

rituale della scomparsa e ricomparsa del rocchetto il bambino, secondo Freud, immagina di

allontanare la mamma da sé e di farla ritornare a suo piacimento. E’ attraverso la ripetizione dell’

esperienza sottoforma di gioco che il piccolo assume una parte attiva e diventa, per così dire,

padrone della situazione.

L’ introduzione del gioco nella psicoanalisi come valido strumento interpretativo ebbe vita prolifica

e divenne elemento integrante gli studi e le teorie di diversi psicologi post freudiani. Tra questi

ricordiamo Melanie Klein (1882 - 1960), Anna Freud (1895 - 1982), Erik H. Erikson (1902 - 1980)

e Donald W. Winnicott (1896 - 1971).

M. Klein ( fig. 17) ritenne il gioco il metodo essenziale per il trattamento

psicoanalitico dei bambini e iniziò ad applicarlo sin dal 1919.

La studiosa lo ritenne il mezzo principale attraverso il quale si manifestano le

tensioni a vari livelli e se ne servì per rendere i bambini consapevoli dei loro

conflitti emotivi in quanto, per la Klein, la consapevolezza era l’ unica via

che permettesse di eliminare i disturbi psichici.

L’ importanza del gioco per la Klein è evidenziata dalla rilevanza che questo

assume nella sua opera: per la psicologa l’ attività ludica consente di soddisfare i desideri,

Fig.16.Anna Freud e Sigmund Freud

Fig.17 Melanie Klein

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controllare e trionfare sulla realtà mediante processi di proiezione finalizzati a trasformare gli stati

d’ angoscia e ad eliminarli.

Attraverso il gioco il bambino simbolizza desideri, paure, piaceri, conflitti e preoccupazioni.

L’ analista, giocando con lui, può renderlo consapevole delle sue proiezioni e dei suoi vissuti:

partendo dall’ osservazione di come il bambino gioca deve cercare di capire ciò che pensa e,

successivamente, deve trovare il modo di comunicarglielo. Per esempio se il bambino gioca con una

bambola come se questa rappresentasse la sorella, l’ analista comunica la sua impressione al

bambino e dalle modalità in cui quest’ ultimo reagisce, approvando, negando o continuando a

giocare l’ analista trova conferma o smentita alla sua ipotesi. Una tranquilla negazione dell’

interpretazione suggerita può, per esempio, indicarne l’ erroneità, mentre una negazione violenta

può approssimativamente confermarne la validità.

Nella situazione terapeutica di gioco si realizza quindi un trasferimento delle emozioni.

La teoria Kleinana è stata però oggetto di critiche da parte di autori illustri quali Jean Piaget e John

Bowlby giustificate dall’ impossibilità di poter descrivere i processi intrapsichici in un epoca così

precoce.

Un’ altra critica alla teoria del gioco della Klein ci viene da Anna Freud che considerò le

interpretazioni date al bambino dall’ analista soltanto un aspetto della terapia e ritenne il gioco un

mezzo per rieducare il piccolo paziente e per offrirli la possibilità di sviluppare il proprio senso di

autostima e di fiducia. Il fattore terapeutico più importante per alleviare le ansie del bambino,

rieducarlo e permettergli di assumere le competenze necessarie ad instaurare rapporti sociali

positivi secondo Anna Freud corrisponde al ruolo educativo svolto dall’ analista. Perciò cercare di

rintracciare il significato simbolico nelle azioni che il bambino esprime giocando può essere

fuorviante perché non sempre il gioco simboleggia qualcosa che sfugge alla coscienza di colui che

gioca. Può infatti accadere che nel gioco venga semplicemente riprodotto qualche eventi di cui si è

stati testimoni senza che vi siano altri significati dietro a questa rappresentazione. La psicologa

indica come metodo di studio l’ interpretazione e la considerazione del gioco in base della

situazione familiare del bambino, delle sue esperienze sia insignificanti che importanti, dei suoi

desideri, delle sue paure, delle sue speranze, e il servirsi del gioco per ottenere la sua fiducia e la sua

confidenza, indispensabili per un buon rapporto terapeutico. Per Anna Freud assumono particolare

importanza i giochi di rappresentazione, ovvero quelle attività attraverso le quali il bambino

trasferisce una sua esperienza angosciante su oggetti esterni riuscendo così ad assimilarla. Come

esempio la stessa Anna Freud riporta il caso di un suo piccolo paziente che, subito dopo una seduta

dal dentista, riprodusse la situazione giocando e cambiando il suo ruolo, da minacciato a

minacciante.

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Il gioco, nella storia della psicoanalisi, assunse anche la forma di

psicoterapia spontanea. Questa interpretazione venne data da E. H. Erikson

(fig. 18) nel tracciare la sua teoria dello sviluppo infantile dove afferma che il

gioco, grazie alle sue caratteristiche compensatorie, permette al bambino di

superare molte delle difficoltà che incontra nel corso dello sviluppo.

Attraverso l’ attività ludica può realizzare i suoi desideri e può eseguire con

la fantasia ciò gli è impedito o che non è capace di fare nella realtà.

Un’ altra interpretazione del gioco proviene invece D. W. Winnicott (fig. 19) che nelle sue

teorizzazioni sulla funzione ludica vede quest’ ultima come condizione dell’ adattamento umano alla

realtà e che si realizza attraverso gli “ oggetti transizionali”. Questi sono intesi da Winnicott come

appartenenti ad un’ area intermedia tra il mondo soggettivo e quello dell’ obiettività e tramite gli

stessi il bambino progredisce verso il simbolismo. Infatti il gioco è inteso da Winnicott come uno

spazio potenziale o transizionale tra il bambino e la madre, come un’ area intermedia che esprime il

passaggio tra il Sé e il non Sé, tra il simbolo e la cosa simboleggiata e permette pertanto l’

acquisizione dell’ attività simbolica.

Il primo oggetto transizionale può essere l’ angolo di una coperta e funge da

sostituto simbolico che protegge dalla perdita e si distingue sia dal Sé che dall’

oggetto perduto. Per concludere si evidenzia che gli oggetti transizionali sono

soggetti a un disinvestimento progressivo, ma vengono mantenuti nella

religione, nella vita immaginativa e nell’ arte. Il gioco, per Winnicott, è forse

l’ unica attività che permette al bambino, così come all’ adulto di scoprire il

suo vero Sé, che viene trovato grazie all’ utilizzo della propria creatività, unico

mezzo che permette all’ individuo di raggiungere tale obiettivo.

Altri apporti agli studi sulla dimensione logica in rapporto allo sviluppo evolutivo ci vengono dati

da George Herbert Mead e Jerome Bruner. Mead si è interessato al gioco indagandone i fattori

sociali implicati, i quali favorirebbero nel soggetto la strutturazione del Sé da un lato e, dall’ altro, l’

emergere della consapevolezza dell’ esistenza dell’ Altro. In modo particolare ciò avviene nel gioco

simbolico, dove i bambini hanno l’ opportunità di immaginare se stessi come se fossero altre

persone, rilevare le differenze e le similitudini con gli altri e osservare le cose da una prospettiva

diversa da quella abituale. Bruner invece rivolge la propria attenzione al gioco in relazione ai

processi di apprendimento, mettendo in luce come le diverse attività di gioco proposte a bambini e

ragazzi incidano in modo determinante sulle capacità di attivare strategie per la ricerca di soluzioni

a problemi, nel caso di compiti ben strutturati e finalizzati al raggiungimento di obiettivi predefiniti

Fig.18 Erik Erikson Erik H. Erikson

Fig.19 Donald Woods Winnicott

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e procedure euristiche, per orientarsi in situazioni non ben definite e finalizzate a uno scopo

preciso.

Gioco e sviluppo secondo Jean Piaget

Le attività che l’ uomo svolge nella sua vita sono per la gran parte caratterizzate dal medesimo fine,

la soluzione di problemi. Tuttavia ve ne sono altre che l’ essere umano svolge nonostante sembrino

prive di una ragione pratica immediata e svincolate dagli schemi della realtà: i giochi.

Il gioco offre al bambino la possibilità di esercitare il suo repertorio di abilità, funge cioè da

palestra, e lo gratifica con il senso di efficacia che nasce in lui facendo e

rifacendo qualcosa che gli riesce bene. L’ imitazione arricchisce il suo

patrimonio di schemi. Jean Piaget ( 1896 – 1980 ) , psicologo svizzero

famoso soprattutto grazie ai suoi studi sullo sviluppo cognitivo, afferma

che assimilando, il gioco fornisce nuovi modi di guardare alla realtà. In

particolare Piaget( fig.20) distingue tre tipi di giochi: i giochi d’

esercizio, i giochi simbolici e quelli basati su regole.

I giochi del primo tipi si sviluppano nel periodo che Piaget definisce senso-motorio, che va dai 0-18

mesi. Questa forma primitiva del gioco non comporta alcun simbolismo ne alcuna tecnica

specificamente ludica, ma consiste nel ripetere per puro divertimento delle attività acquisite altrove

a scopo d’ adattamento: ad esempio il bambino avendo scoperto per caso la possibilità di far

dondolare un oggetto sospeso, riproduce il risultato dapprima per adattarvisi e per capirlo, il che non

è un gioco, poi invece utilizza questa condotta per puro piacere o per il gusto di essere causa e per

affermare un sapere appena appreso( come fa l’ adulto ad esempio, quando ha una nuova auto). È il

piacere di agire sulla realtà che permette di parlare di gioco vero e proprio. Il gioco dei sonagli è una

prima forma di attività ludica, caratteristica di questa fase dello sviluppo. Siamo all’ incirca nel

quarto mese di vita.

Anche quando, verso i 7-12 mesi il bambino si diverte a trovare gli oggetti spostando ciò che li

nasconde si parla di giochi d’ esercizio. Non è ancora presente una sperimentazione attiva e

sistematica, alla quale si arriverà verso i 18 mesi, età in cui inizia a comparire anche il gioco

simbolico, parte centrale della vita infantile. Questo corrisponde alla funzione essenziale che il

gioco svolge nella vita del bambino: costretto ad adattarsi ad un mondo sociale di grandi, i cui

interessi e regole gli sono estranei, e ad un mondo fisico che ancora non capisce, non riesce a

soddisfare i bisogni affettivi e intellettuali. Indispensabile a ciò è la presenza del gioco che permette

di trasformare il reale per assimilazione ai bisogni dell’ io e attraverso l’ imitazione realizza un

Fig. 20 J. Piaget

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accomodamento ai modelli esteriori. Il gioco farebbe quindi da tramite alle due modalità di

apprendimento piagetiane: l’ assimilazione9 e l’ accomodamento10.

È inoltre indispensabile che il bambino disponga di un proprio mezzo d’ espressione, cioè di un

sistema di significati costruiti da lui: tale è il sistema dei simboli caratteristici del gioco simbolico.

Questo tipo di gioco non è semplice assimilazione, ma è assimilazione assicurata da un linguaggio

simbolico costruito dall’ io e modificabile a seconda dei bisogni.

Il simbolismo ludico può giungere ad adempiere la funzione che per un adulto sarebbe rappresentata

dal linguaggio interiore: invece di ripensare semplicemente ad un avvenimento interessante o

impressionante, il bambino ha bisogno di un simbolo più diretto che gli permetta di rivivere l’

evento anziché accontentarsi di un’ evocazione mentale. Per far capire meglio quest’ affermazione

Piaget riporta diversi esempi, tra i quali uno vede come protagonista una bambina che rimase molto

colpita da un’ anatra spennata sul tavolo della cucina. La sera la bimba venne trovata distesa sul

sofà, tanto che la si credeva malata. Quando le si domandò rispose con voce spenta < sono l’ anatra

morta!>.

Il gioco simbolico si manifesta anche in altre modalità quali fingere di mangiare, di lavarsi o di

telefonare. Non sono più semplici rituali perché il bambino non ha bisogno di alcuna corrispondenza

tra l’ oggetto implicato nell’ azione e lo schema eseguito: può prendere qualsiasi oggetto e far finta

di telefonare. Il gioco simbolico presuppone quindi la capacità rappresentativa, egli fa finta che gli

oggetti esistano e ciò gli permette di rivivere e trasformare la realtà per soddisfare i suoi bisogni e

per divertirsi.

Questo tipo di attività ludica è molto importante anche perché permette di superare le esperienze

negative tramite una loro riproduzione nel gioco.

I giochi con regole, infine, appaiono più tardi, verso i 6 anni di età. Tra questi vi sono i giochi di

squadra e il monopoli ad esempio. La loro tarda maturazione è dovuta al fatto che necessitano della

presenza di capacità operatorie e rapporti basati sulla reciprocità e sull’ uguaglianza. Coesistono con

i due precedenti tipi di gioco e rappresentano la base dello sviluppo del gioco adulto.

Secondo Piaget dunque vi è un forte relazione tra l’ età evolutiva e la tipologia di gioco che si

sviluppa: se per i primi due anni di vita abbiamo solo il gioco d’ esercizio, a questo si aggiunge poi

il gioco simbolico che, integrandosi nelle attività sociali del bambino sotto forma di giochi socio-

drammatici, nei quali ogni partecipante (incluse anche bambole e animali di pezza) recita un ruolo,

9 Assimilazione: secondo Piaget è il processo attraverso il quale i dati dell’ esperienza vengono incorporati negli schemi mentali dell’ individuo senza che tali schemi vengano modificati. (Roberta Senatore “Normalità e patologie nel corso dello sviluppo”, Bulzoni Editore, 2002, pag. 94). 10 Accomodamento: secondo Piaget è il processo attraverso il quale i dati dell’ esperienza modificano gli schemi mentali, per renderli idonei a nuovi aspetti conoscitivi. (Roberta Senatore “Normalità e patologie nel corso dello sviluppo”, Bulzoni Editore, 2002, pag. 94).

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lo accompagna per tutta l’ età prescolare per poi diminuire. Gioco d’ esercizio e gioco simbolico

sono comunque presenti per tutte l’ infanzia e la fanciullezza. Per il gioco di regole, che

inizialmente consiste nell’ imitazione dei giochi di regole dei ragazzi più grandi, si deve aspettare ai

7-8 anni affinché assuma carattere spontaneo.

Questa tipologia rappresenta la maggior parte dei giochi, compresi quelli motori, presenti nell’ età

adulta.