Anteprima Galleria delle Armi

25

description

Anteprima Galleria delle Armi di Salvio Esposito, edito da Marotta&Cafiero editori

Transcript of Anteprima Galleria delle Armi

Page 1: Anteprima Galleria delle Armi
Page 2: Anteprima Galleria delle Armi
Page 3: Anteprima Galleria delle Armi

La città raccontata

7

Page 4: Anteprima Galleria delle Armi
Page 5: Anteprima Galleria delle Armi

Salvio Esposito

GALLERIA DELLE ARMI

Marotta & Cafieroeditori

Page 6: Anteprima Galleria delle Armi

Questo libro è rilasciato con licenza Creative Commons “Attribuzione - NonCommerciale - Non Opere Derivate 2.0”, consultabile in rete all’indirizzohttp://creativecommons.org. Pertanto questo libro è libero e può essere ri-prodotto e distribuito con ogni mezzo fisico, meccanico o elettronico, a con-dizione che la riproduzione del testo avvenga integralmente e senzamodifiche, ad uso privato e a fini non commerciali.

Attribuzione - Non Commerciale - Non Opere Derivate 2.0

Tu sei libero:

• di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pub-blico, rappresentare, eseguire o recitare l’opera.Alle seguenti condizioni:

Attribuzione. Devi riconoscere il contributo dell’autore originario.Non Commerciale. Non puoi usare quest’opera per scopi commer-ciali.Non Opere Derivate. Non puoi alterare o trasformare quest’opera.• In occasione di ogni atto di riutilizzazione o distribuzione, devi chia-rire agli altri i termini della licenza di quest’opera.• Se ottieni il permesso dal titolare del diritto d’autore, è possibile ri-nunciare ad ognuna di queste condizioni.

©Marotta & Cafiero editoriVia Andrea Pazienza 2580144 Napoliwww.marottaecafiero.it

ISBN: 978-88-88234-99-1Copertina di Tiziana MastropasquaEditing a cura di Ileana Bonadies e Rossella Sabatini

Page 7: Anteprima Galleria delle Armi

Ad Emi,la cui bellezza

ci accompagni per sempre.

Alle mie figlie,col desiderio che trovino nell’arte

la realizzazione.

A Valérie,al suo sorriso.

Page 8: Anteprima Galleria delle Armi
Page 9: Anteprima Galleria delle Armi

9

Prologo

“Quanno ’a capa è partutacertamente

’a capa è ccapa...Ch’è fatta, treno...”

Eduardo De Filippo

Il tempo non è un valore assoluto. Per me infatti il viaggio daNapoli a Balvano dura da tutta una vita.

Come per Miele Domenico, ad esempio, che quella mattinapartì da Cicciano molto presto. Doveva raggiungere Bella-Muro,vicino Potenza. Andava in quei posti per comprare l’olio. Erauna cosa che faceva abitualmente, ma quelli erano tempi parti-colari.

Faticò non poco ad arrivare alla stazione di Salerno, a causadelle strade bloccate e della scarsità dei mezzi di trasporto, quasitutti requisiti dagli americani. Quando finalmente vi giunse, salìsul primo convoglio utile. Era un merci composto da una cin-quantina di vagoni, in parte scoperti e in parte chiusi. Sarebbestato un viaggio scomodo ma non c’era altra soluzione quelgiorno. Prese posto su uno dei carri, nella parte posteriore deltreno e aspettò con pazienza che fosse sostituito il potente lo-

Page 10: Anteprima Galleria delle Armi

10

comotore elettrico con uno a vapore: la linea da Battipaglia aPotenza non era elettrificata.

Il treno finalmente partì con il solito stridio dei merci. Facevaancora freddo perché, si sa, da queste parti marzo è pazzo.

A Battipaglia vide salire un padre col figlio di circa dieci ododici anni. I due si sistemarono quasi in coda, in un carro sco-perto a sponde alte. Riuscirono a non farsi scoprire dagli ame-ricani. I militari, in quella stazione, avevano fatto sgombrare iltreno da decine delle centinaia di persone che, durante le fer-mate, lo avevano preso d’assalto. I più scendevano da un lato perrisalire dall’altro. Quei pochi che rinunciarono al viaggio ebberola possibilità di ringraziare la Madonna.

In quella tarantella serale, il dirigente centrale di Battipagliadecise di aggiungere un altro locomotore al treno. La macchinaera disponibile perché avrebbe dovuto recarsi a Potenza, doveera richiesta per un merci di ritorno su Napoli. Così invece diformare un altro convoglio, si decise di agganciarla in testa. Iltreno aveva necessità di una trazione maggiorata visto che conquel carico umano non avrebbe di certo superato gli aspri pen-dii che l’itinerario prevedeva a partire da Baragiano.

Miele Domenico era infastidito dai continui tamponamentidei vagoni tra loro. Pensava alla Festa di Sant’Antuono. Que-st’anno era stata la prima dopo la liberazione. Era riuscita pro-prio bene. Gli animali erano stati benedetti in chiesa, falò e fiumidi vino avevano riscaldato la fredda notte invernale. La gentesembrava finalmente felice di ballare al suono della tammorra.Evelina, la moglie, aveva fatto il suo dovere quella notte.

Pensava allo stemma di Cicciano sul gonfalone del Comune.Vi è rappresentata una mano che tocca una zizza. Si convinseche la parola Cicciano provenisse in realtà da Zizzano e che ilsuo paese si chiamasse così perché lì, le donne, avevano tutte lazizza bella come quella della moglie, bella come si è belle a di-ciassette anni. Ebbe appena il tempo di pensare: “Chi festeggia

Page 11: Anteprima Galleria delle Armi

11

Sant’Antuono l’anno nuovo passa buono”, che si addormentò,stanco per essersi alzato presto quel giorno.

I paesi si susseguivano lenti: Contursi Terme, Sicignano degliAlburni, Buccino, Romagnano, Balvano. Era da poco passata lamezzanotte. Miele Domenico iniziò a prepararsi a scendere.

Il treno imboccò la galleria per arrestarsi dopo poco. Il fumodivenne eccessivo e l’aria irrespirabile. Si mise una sciarpa sunaso e bocca, scese e iniziò a proseguire verso l’uscita, verso lacoda del convoglio. Arrivato a guardare la notte umida, si sentìquasi mancare e per paura che il treno ripartisse senza di lui, la-sciandolo in quel posto solitario, risalì sul vagone scoperto, ilterzultimo, mezzo dentro e mezzo fuori la galleria. Ebbe ap-pena il tempo di riconoscere, abbracciato forte al figlio, il si-gnore visto salire a Battipaglia, quando svenne, si addormentòo tutt’e due.

Si ritrovò, il giorno dopo, nella casa dell’ex fascio di Balvano.Guardandosi allo specchio, si accorse che i suoi capelli eranodiventati bianchi. Chiese del passeggero visto a Battipaglia e ri-visto prima di perdere i sensi. Gli risposero che era stato trovatovivo, ancora abbracciato al figlio morto e che era uscito pazzo.

“Uoglio e carne nun ce ne steva e allora accummin-ciaji a ghi’ cu treno a ri pparte ra campagna roppo Pu-tenza pe l’accatta’. Nun pavàvamo u biglietto, stritti nt’iccarrozze cumme alici nt’i perietti e quacche vota facé-vamo u viaggio ‘a fora i vaguni, stisi ncoppa all’imperiale.Turnàvamo carrichi cumme a muli, farina, carne, nzogna,u beniddio, annascuso sotto i cappuotti. Primmo ‘i trasi’nta stazione u treno rallentava ncoppa u ponte i lignammeca l’americani avevano fatto sottufronte, addò stevano navota i puonti ‘i prete, chilli ca i teteschi avevano fattozumpa’. Uno ‘i nuje tirava a manetta ru freno e ce vuttà-vamo nterra, mmiezo î cchiastre. Sartàvamo ncoppa î fer-

Page 12: Anteprima Galleria delle Armi

12

riate e po’ ce a smammàvamo cumme a mariuoli pi vica-rielli ‘i vasciammare e sangiuseppe. Nun putévamo scen-nere nta stazione arò ce steva a pulissa mericana, ciertimaronni ‘i niri ca ce stingeniavano cumme a mmappine ’icesso. Quanno u treno se uastaje, sott’a gallaria i Balvan,murettono cristiani a centinara, strafucati a ru fummo ralocomotiva. Io me salvaji currenno ntu scuro, scarpe-sanno uommeni e ffemmene caruti pe terra e senza sta’ assèntere allucchi e chianti nta chill’inferno niro. Aggiofatto tutta na vernata chella vita, annanzi e areta, ncoppai staffuni, rinto î vaguni cu ll’animali, pe purtà chellarrobba ca sulo ‘i contrubbanno, pe chi teneva sordi ‘aspennere, se puteva accatta’ a Torre. Tutto chello ca nunmangiàvamo a casa u vennévamo pure nuje ‘i cuntrub-banno e accussì m’abbuscavo a jurnata”.1

Page 13: Anteprima Galleria delle Armi

13

Uno

Che caldo. La città è invivibile con quest’afa e questa piazzami sembra più che mai inafferrabile, anonima in queste giornatemolli. Chissà perché i “compagni” si incontrano qui, fuori a unbar con il nome di un santo… Sangiuliano. Se lo viene a saperePaolo VI va a finire che lo fa santo patrono di Leningrado eprotettore dei comunisti.

Leone mi ha ridetto che è dissoccupato, con due ‘s’, e ci hatenuto a rimarcarlo con la sua pronuncia. Mi sento diverso da luima qualcosa ci accomuna: io, pensionato, vivo la stessa con-traddizione di non potere più “faticare”.

Oggi tutto è strampalato. L’asfalto dà l’impressione di tre-molare, il caldo sembra sfumare tutti i contorni. Mi volto versoun’edicola e l’immagine di una copertina mi fa sgranare gli occhi:Aldo Moro con un giornale tra le mani, davanti al petto, e un ti-tolo assurdo sotto: “Scusate abitualmente vesto Marzotto”. E latragedia si trasforma nella mia mente. Lo vedo come me, in at-tesa. Lui non ha niente da dire. Adesso non è il suo tempo.

E dove sarà finito il mio? In quegli anni forti della guerra oin questi anni, in questa guerra?

Il tempo è davvero un’invenzione tutta umana. Non esisteun organo del corpo che lo misuri, perciò siamo costretti a por-tare l’orologio. Gli occhi ci fanno vedere, le orecchie sentire, maper percepire il tempo o quello che ne è in noi la rappresenta-zione, non ci rimane che ascoltare il ritmo del cuore o contare

Page 14: Anteprima Galleria delle Armi

14

gli intervalli tra un’alitata e l’altra. In realtà tutto succede in unistante. Si nasce e si muore in un istante e si comprende il sensodelle cose nella stessa infinitesima frazione di secondo. Così glianni, i mesi, i giorni non sono altro che un’invenzione dellamente umana, per calcolare, ragionare, soffrire per nascita, ma-lattia, invecchiamento e morte. E noi medici – io per buonaparte della mia esistenza – non abbiamo fatto altro che com-battere stupidamente contro queste sofferenze, senza capiremolto, perdendo spesso inutili battaglie.

Adesso lui, Moro, con la sua pallida espressione, mi ricordala fine dell’animale braccato. Prima era lì allo stagno, a bere in-sieme a tutti gli altri suoi simili. Poi, d’un tratto, il predatore ir-rompe sulla scena. Lui scappa e mentre corre sembra chiedersi:“Perché proprio a me? Guarda bello, eravamo in tanti allo sta-gno; perché hai scelto proprio me? Ma allora fai davvero? Nonè uno scherzo?” No, non è proprio uno scherzo. L’animale ca-pisce che quello non è più il suo tempo, che lo spiraglio apertoper lui sul mondo si sta chiudendo. Niente di più naturale, sem-bra dire, anzi non sembra dire proprio nulla, come nulla mi parestia pensando Aldo Moro, a poche ore dall’esecuzione. Il suospiraglio, come quello della gazzella, si sta chiudendo. L’istanteè prossimo. Niente di più naturale. E ora che ci faccio caso, lascritta satirica, irriverente, senza senso, al di sotto del suo visonon rasato, mi fa morire dalle risate.

Mi piace quando siamo in tanti a pensare contemporanea-mente la stessa cosa. Come a Capodanno, intorno alla mezza-notte, o come quando suonavano la sirena, le campane, i colpidella contraerea. Correvamo, con i malati che ne avevano la pos-sibilità, così come prevedevano gli improvvisati piani di sgom-bero dei reparti e degli ambienti ospedalieri in caso di incursioniaeree sulla città. Al terribile segnale sonoro ci dirigevamo spe-ditamente verso la galleria della direttissima di piazza Cavour overso il ricovero di piazza San Gaetano. Da lì, dopo aver disceso

Page 15: Anteprima Galleria delle Armi

15

centoquaranta gradini, accedevamo contemporaneamente agliinferi e allo splendore delle cisterne romane.

Momenti sublimi in cui è troppo poco pensare se la faccendasia bella o brutta. Istanti decisivi, in cui bisogna fare, piuttostoche riflettere sul da farsi. Attimi in cui tanti, me compreso, cer-cavano con gli altri il coraggio nelle parole scritte su questo san-tino sbiadito, donatomi dalla bionda torrese. A stento riesco oraa leggerci:

“In caso di pericolo, a causa dell’incursione aerea, re-citate con fede e con sincero… (non si legge)… accom-pagnato dal desiderio… (non si legge)… appena possibilela Giaculatoria “GESÙ MIO MISERICORDIA”… Co-mando a voi incursioni, qualunque voi siate, in Nomedella Santissima Trinità di obbedire subito e di allonta-narvi dai nostri confini e di andare a inabissarvi nel maredisabitato o in luogo dove non potete arrecare alcundanno nel Nome del Pa+dre e del Fi+gliulo e delloSpi+rito Santo. Così sia. Or su levati, o Cristo, aiutaci, eliberaci per il Tuo Nome. Tu che salvasti Pietro nel mare,affrettati a Salvarci. Mostraci, o Signore, la tua Potenzaaffinché i nostri nemici non ci deridano e dicano: “Dov’èil loro Dio?… PREGHIAMO. Ti preghiamo o Signoredi difendere questa città mediante intercessione (ma nonsi legge bene) della nostra celeste Vergine da tutte le av-versità e salvarci (qui non si legge completamente per lapiegatura che ha consunto la carta) dalle insidie dei nostrinemici”.2

Perciò il tempo non è quel giorno o quell’anno, ma esatta-mente quell’istante nel quale, dopo aver tirato lo starter, homesso in moto la mia vita. Quell’attimo in cui ho deciso dal pro-fondo del cuore, in cui ho sentito di aver posto la causa origi-

Page 16: Anteprima Galleria delle Armi

16

nale. Non perché qualcuno mi aveva detto di farlo, ma sempli-cemente perché era “quel tempo”, e a pensarci bene non sonosicuro che avvenne, che avverrà, oppure che stia avvenendo.

Page 17: Anteprima Galleria delle Armi

17

Due

Il rock è una musica dannosa per le orecchie. Però c’è qual-cosa in questa accozzaglia di rumori che decisamente mi affa-scina. Credo sia l’importanza del fenomeno, la capacità diattrarre la maggior parte dei giovani di quest’epoca, di affasci-narli, di unirli in un messaggio profondamente umano che sem-bra annunciare il cambiamento, la rivoluzione.

Il mio amico Giorgios Antoniadis ha capito perfettamentel’essenza di questa diabolica musica e le sue potenzialità.Quando dalla Grecia è arrivato a Napoli per sfuggire alle per-secuzioni del regime dei colonnelli, ha preso in gestione una salacinematografica di terza categoria, un pidocchietto: l’Italnapoli,a via Tasso, in cima alla salita che da corso Vittorio Emanueleporta al Vomero. L’anziana mamma fa la cassiera, lui la ma-schera. È convinto che è col rock che si farà la rivoluzione. Cosìda anni proietta solo tre film: Tommy, Easy Ryder e Woodstock.

I ragazzi arrivano tutti insieme, ed ogni dieci o quindici fannoun biglietto. Lui cerca di contarli, poi immancabilmente pro-nuncia la frase: “Siete in biù! Siete in biù!”

I ragazzi spingono. Gridano anche loro: “Siete in biù! Sietein biù!” E in poco tempo si accomodano, “di stramacchio”, suisedili graffiati e cigolanti del cinema. Prendono a “rollare” e,allo smorzarsi delle luci, rischiarano pericolosamente la sala conle braci dei loro spinelli. Giorgios lascia correre, perché dice chesenza disubbidienza e trasgressione non può esservi rivoluzione.

Page 18: Anteprima Galleria delle Armi

18

Così ci accomodiamo, anche noi inebriati dal fumo passivo deglistupefacenti giovani compagni.

Woodstock è il cortometraggio che più mi piace. L’avrò vistododici volte. Saranno i fumi dell’hashish ma anche io mi esaltoa guardare e ad ascoltare. C’è quel pazzo, col nome da cane dapasseggio, che pare abbia ingoiato un rasoio elettrico, tanto èvibrante e tagliente la sua interpretazione e il modo di sbattersi.Altri giovani si esibiscono, bellissimi, in un contorno di felicitàdove tutti sono protagonisti.

Ciò che più mi commuove arriva verso la fine del film e diquegli splendidi tre giorni di pace, amore e libertà: Jimi Hendrixsi presenta sul palco nell’alba livida e inizia a scomporre le notedell’inno americano. Il nero mancino con in testa una scarola, cirammenta che la guerra è al servizio degli interessi degli impe-rialisti americani, come per il Vietnam, così anche per il con-flitto di cui sono stato testimone. Io credevo che la musica fosseSchubert e la filosofia l’unico modo di capire qualcosa degli es-seri umani, ma dopo aver visto i ragazzi nel film, dopo aver sen-tito cantare quelli in sala come se fossero lì, dopo aver letto eascoltato i testi delle canzoni di Dylan e Morrison, ho capitoche tra Platone, Aristotele e compagnia cantante, il modo piùsemplice per capirci qualcosa è proprio quello della compagniacantante.

I ragazzi miei vicini di casa hanno anche loro un comples-sino. Il più delle volte mi distruggono i timpani, è vero, però infondo ammiro la loro lotta e con loro condivido la gioia cheesprimono nelle note musicali. In più oggi succede qualcosa didiverso. Uno dei ragazzini, avranno quindici o sedici anni, haportato il contrabbasso. L’ho visto dalla finestra camminare conquel fardello. Quel pacco nero mi era sembrato un uomo in-cappottato che lo teneva per mano. Ora, con l’orecchio incollatoal muro, aspetto di sapere come e cosa suoneranno con quellostrumentone dalla voce di mucca. Suona con l’archetto il gio-

Page 19: Anteprima Galleria delle Armi

19

vane e l’amichetto lo accompagna con una chitarra acustica.Diamine! Hanno arrangiato, in una qualche maniera, Era de Mag-gio. La ragazzetta, che fino a ieri ha urlacchiato come una gallinaspennata imitando la defunta Janis, ora si è trasfigurata. Adessonon fanno musica, è la musica che fa al posto loro, e la voce diquell’estemporaneo angelo mi sembra venire da un’altra parte,da un posto remoto in cui non è mai stata. La musica l’attra-versa, come la luce polverosa attraversa il vetro della mia casa divecchio, ed io mi trovo nella perturbante sensazione di essere lìinsieme a loro, di essere in quel posto ma anche in un altro, disuonare intimamente con quei ragazzi, dall’altra parte del muro.

Dalle 16:30 del 18 alle 17:00 del 21 marzo del ’44 l’eru-zione ebbe inizio con un aumento sostanziale dell’attivitàstromboliana e con intensa attività effusiva caratterizzatadall’emissione di piccole colate lungo il versante orientalee meridionale del Gran Cono. Seguì a breve distanza ditempo un’ulteriore colata sul versante settentrionale cheprocedendo poi verso occidente raggiunse nella mattinatadel giorno 21 gli abitati di San Sebastiano e Massa, deva-standoli.

Dalle 17:15 del 21 alla mattinata del 22 marzo una vio-lenta attività esplosiva pose fine all’alimentazione lavica ediede inizio a spettacolari fontane di lava alte fino a duechilometri. Tale attività durò fino alla tarda mattinata delgiorno 22 marzo.

Dalle 12:00 del 22 alle 14:00 del 23 marzo ci fu unafase caratterizzata dalla formazione di una colonna erut-tiva sostenuta alta fino a sei chilometri e dispersa dai ventiin direzione SE.

Dalle 14:00 del 23 marzo al 29 marzo ebbero luogonumerose esplosioni freatomagmatiche (generate dall’in-terazione del magma con l’acqua superficiale) associate

Page 20: Anteprima Galleria delle Armi

20

ad intensa attività sismica. Il 24 marzo un’intensa emis-sione di cenere chiara imbiancò gran parte del cono. L’at-tività andò progressivamente diminuendo fino a cessaredel tutto il 29 marzo.3

Page 21: Anteprima Galleria delle Armi

21

Tre

Quando Regina, la mia prima figlia, era piccola, passavo in-finiti momenti con lei. Voleva sempre giocare ed io, seppurestanco, dicevo di sì, cosa che poi non ho fatto con la seconda.Ancora oggi mi pongo l’inutile interrogativo se ho fatto megliocon Regina o con Tilde. I bambini nascono già diversi, perciònon sapremo mai cosa è peggio o cosa è meglio. Quindi inutileperdere tempo. Nel caso delle mie figliole, poi, posso affermarecon certezza che una è nata riccia e l’altra frolla e che se una èla mia figlia preferita, l’altra è senza dubbio la mia prediletta.

Regina ha lo sguardo triste ed è già da un po’ che ho smessodi chiederle: “Tutto bene?” visto che sono stato mandato al miopaese già una quattordicina di volte. “Ah il mio paese!” ho pen-sato, e così mi sono tolto l’abitudine di indagare sulla sua vita.Io non le dico niente di suo marito, ma è lì che si addensa il suodolore, è lì che si intasa la circolazione del suo mondo emotivoed è lì che come tutti gli esseri umani attratti dal surplus di ec-citazione, lei ritorna, come io ogni tanto torno, esortato da lei,al mio paese, al luogo della mia origine, tanto odiato, tanto pre-cocemente fuggito e tanto inevitabilmente desiderato.

Come disse Henley: “Io sono il padrone del mio destino: iosono il capitano della mia anima”. Quindi faccia come crede.Questa bambina è capace, a quasi trent’anni, di farmi arrabbiarecome quando ne aveva dieci. Però mi ha fatto un grande regalo:Michele. Michele è un bambinone di dieci anni o forse nove.

Page 22: Anteprima Galleria delle Armi

22

Questo non so mai dirlo con certezza perché negli anni in cui ènato mi è sembrato di riemergere da un sogno. Si chiama ictusla malattia che devo ringraziare. Ho quasi nostalgia di queigiorni, perché quel crepuscolo, quella specie di allucinazione miha consentito di fare luce nella mia vita. Del resto la parola al-lucinazione contiene nella sua radice la particella lux, che ri-chiama il concetto di luce, percezione, illuminazione. Uno statoalterato di coscienza per raggiungere il quale i rompitimpanirockettari miei vicini devono spendere decine di migliaia di lirein spinelli, cannoni e affini. Così, proprio in quel tempo senzatempo, è nato il nipotazzo maschio, forse quel maschio che, nelmio matrimonio attorcigliato come un nastro della musicassetta,non ha fatto in tempo ad arrivare.

Adesso perciò io gli dico sempre: “Michele Michelasso,mangi bevi e vai a spasso; Michele Michelino, gambe veloci ecervello fino; Michele Michelaccio, come nel west io ti prendoal laccio!”

Lui ride, corre ed io lo inseguo, ma dopo un poco ho l’af-fanno. Allora lui per continuare a giocare si lascia prendere. Io lolego con una sciarpa, un maglione o con un filo di spago, o fingodi farlo, e lui finalmente prigioniero si dichiara “perditore”.

Gli dico: “Chiedi perdono Gringo!”E lui: “Mai!”E io: “Allora lo hai voluto tu!”E via solletico e morsi sul culetto e risa e grida fino a quando

arriva la mamma urlando di smetterla, che gli faccio male, chelo sfreno. Lo sfreno... mica è un treno... cosa c’entra tutto que-sto con quel treno! Regina, ma perché stai sempre così incazzata!

Oggi è venerdì e insieme al martedì e al mercoledì sono igiorni in cui mi sento più felice. Sono i giorni dell’allenamentodi Michele ed io posso accompagnarlo al campo di rugby colmio Motom. Anche prima ci andavamo col Motom, ma di na-scosto, senza dirlo alla madre. A Michele ho sempre detto che

Page 23: Anteprima Galleria delle Armi

23

non si dicono bugie, salvo quelle a fin di bene, e siccome sulMotom non esistono essere umani o animali, creature senzientio insenzienti, entità, presenze, spiriti visibili e invisibili, santi,dei dell’olimpo o divinità orientali più felici di noi in quei mo-menti, abbiamo concordato di non dire nulla, tanto non direnon è proprio una bugia e, anche se lo fosse, è a fin di bene, enoi ci vogliamo bene. Perciò sul Motom grido: “Qual è il nonnopiù bello del mondo?”

E lui: “Giuseppe, detto Pinoooo”.“E il più veloce Motom?”“Quello di Giuseppe detto Pinooooo!”Allora io, imitando il mitico Thor, il super eroe del suo fu-

metto preferito, sentenzio: “Invero ti condurrò in un istante alluogo della battaglia, per Asgard!”

E lo sento stringersi forte mentre accelero a manetta e ilMotom mi sembra il Superalce che avevo negli anni dopo laguerra.

L’unica cosa è che dobbiamo arrivare fino al campo del-l’Italsider e quando fa freddo la mamma si preoccupa.

Oggi piove a dirotto e Michele ha urlato: “Dio sei grande!”I bambini si rotolano nel fango. Mi avvicino a un signore per

scambiare quattro chiacchiere. È un medico, il papà di un com-pagno di squadra di Michele che, per spirito di partecipazione,fa anche le visite di idoneità alla squadra.

“Collega”, dico, “ma siamo sicuri che ai bambini fa bene tuttaquest’acqua?”

A lui non piace fare il medico. Riconosco questa sensazioneper averla vista in me e in tanti colleghi al Policlinico dove la-voravo.

“Guarda che stanno meglio di noi. Dopo gli danno il tè, glifanno fare una doccia bollente e a casa non rompono le scatole.Solo che dopo gli allenamenti devo mettere il catenaccio al fri-gorifero.”

Page 24: Anteprima Galleria delle Armi

24

Rido solo un poco. Arriva Michele. Mi dice che gli dolgonole gambe. Gli alzo la tuta fradicia e le vedo tumefatte. È un’eru-zione del derma. Si presenta con il caratteristico rash cutaneo.Appare manifestarsi con piccole papille e macchie di colorerosso-violaceo. È palpabile.

“Mi sembra una porpora di Schonlein-Henoch”, sentenziail collega.

Dico a Michele di abbassare le mutande. Riscontro una pic-cola lesione ad andamento vagamente concavo sullo scroto. Glichiedo se in questi giorni ha avuto bruciori alla bocca.

“Apri la bocca a nonno.”Ha circa cinque afte localizzate sulla mucosa orale.“No... ha anche lui la Behçet!” farfuglio sottovoce.Il collega mi chiede cosa è, eccetera eccetera, ma le sue pa-

role si scompongono come i miei pensieri e si riformano fram-miste alle urla dei bambini, ai richiami delle mamme, al rumoredei tacchetti sul cemento, in un caleidoscopio colorato che sitrasforma velocemente.

Il cielo già buio del tardo pomeriggio di dicembre si coloradi rosso porpora in un tramonto artificiale, pieno di tepore. Èla colata dell’Italsider. La sirena suona ancora.

Hulusi Behçet (Costantinopoli, 20 febbraio 1889 – 8marzo 1948) ha avuto un’infanzia difficile: ha perso moltopresto sua madre ed è stato allevato dalla nonna. Questobuio evento ha caratterizzato negativamente la sua interaesistenza e rappresenta con ogni probabilità la causa delsuo carattere introverso. Ha completato gli studi primaria Damasco, all’epoca facente parte dell’Impero Otto-mano, in ragione dell’attività lavorativa del padre, impa-rando a padroneggiare correttamente il francese, iltedesco ed il latino. La scelta della professione di medicoè da addebitare alla sua spiccata curiosità. Si è laureato al-

Page 25: Anteprima Galleria delle Armi

25

l’Accademia medica militare di Gülhane, visto che la for-mazione medica civile non era disponibile nell’ImperoOttomano in quegli anni. Dopo la laurea, nel 1910 si èspecializzato in dermatologia e malattie veneree. Durantela prima guerra mondiale ha lavorato nell’ospedale mili-tare di Edirne, trasferendosi, dopo gli eventi bellici, primain Ungheria, a Budapest e poi in Germania, a Berlino.Dopo il suo ritorno in Turchia nel 1923, ha sposato Re-fika Davaz, la figlia di un noto diplomatico, da cui haavuto una bambina. Nello stesso anno, ha avuto un inca-rico presso l’ospedale di Costantinopoli, come specialistain malattie veneree, per poi passare al policlinico univer-sitario della stessa città, esercitando, in quel tempo, anchela professione privata. Nel 1933, presso la stessa struttura,fonda il reparto di Dermatologia e Malattie veneree. Hapubblicato numerosi articoli sia in Turchia sia all’estero.Era un assiduo frequentatore di congressi nazionali ed in-ternazionali, tanto che il famoso patologo tedesco prof.Schwartz, ebbe a dire di lui: “È uno scienziato ben notodappertutto, ma nel suo paese potreste non trovarlo, per-ché è sempre all’estero a presentare i suoi risultati”.