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109 ROBERTO FUSCO Il finanziamento del patrimonio culturale in Italia: la complementarietà tra intervento pubblico e privato * SOMMARIO: 1. Le potenzialità reddituali del patrimonio culturale – 2. Gli strumenti di finanziamento pubblico alla cultura – 3. La compartecipazione dei privati nel finanziamento del patrimonio culturale – 4. Le forme di finanziamento del patrimonio culturale immateriale – 5. Le nuove prospettive per il finanziamento del patrimonio culturale La cultura è il petrolio d’Italia e deve essere sfruttata 1 1. LE POTENZIALITÀ REDDITUALI DEL PATRIMONIO CULTURALE L’Italia è dotata di un patrimonio culturale (materiale e immateriale) qualita- tivamente e quantitativamente straordinario, che costituisce una risorsa assai Il presente lavoro rientra nell’ambito del progetto “Patrimonio culturale immateriale e wel- fare culturale: il ruolo delle comunità patrimoniali”, finanziato dall’Università degli Studi di Trieste tramite Bando FRA 2016. 1 La definizione di cultura come petrolio d’Italia risale al 1986 e si deve a Gianni De Michelis, allora Ministro del lavoro nel secondo governo Craxi. Tale frase fu riportata dal giornalista Roberto Suro in un articolo pubblicato sul New York Times del 21 dicembre 1986 intitolato “Saving the Treasures of Italy”. Nonostante tale paragone si presti a svariate e sensate contestazioni, non si può negare che tale frase esprima in maniera incisiva e diretta l’inefficacia dello sfruttamento reddituale del patrimonio artistico-culturale nel nostro Paese che perdura ancora oggi.

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RoBeRto fusCo

Il finanziamento del patrimonio culturale in Italia: la complementarietà tra intervento pubblico e privato*

sommaRio: 1. Le potenzialità reddituali del patrimonio culturale – 2. Gli strumenti di finanziamento pubblico alla cultura – 3. La compartecipazione dei privati nel finanziamento del patrimonio culturale – 4. Le forme di finanziamento del patrimonio culturale immateriale – 5. Le nuove prospettive per il finanziamento del patrimonio culturale

La cultura è il petrolio d’Italia e deve essere sfruttata1

1. le PotenZialità ReDDituali Del PatRimonio CultuRale

L’Italia è dotata di un patrimonio culturale (materiale e immateriale) qualita-tivamente e quantitativamente straordinario, che costituisce una risorsa assai

• Il presente lavoro rientra nell’ambito del progetto “Patrimonio culturale immateriale e wel-fare culturale: il ruolo delle comunità patrimoniali”, finanziato dall’Università degli Studi di Trieste tramite Bando FRA 2016.1 La definizione di cultura come petrolio d’Italia risale al 1986 e si deve a Gianni De Michelis, allora Ministro del lavoro nel secondo governo Craxi. Tale frase fu riportata dal giornalista Roberto Suro in un articolo pubblicato sul New York Times del 21 dicembre 1986 intitolato “Saving the Treasures of Italy”. Nonostante tale paragone si presti a svariate e sensate contestazioni, non si può negare che tale frase esprima in maniera incisiva e diretta l’inefficacia dello sfruttamento reddituale del patrimonio artistico-culturale nel nostro Paese che perdura ancora oggi.

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rilevante per il nostro Paese sia in termini sociali che economici per la collet-tività complessivamente considerata. È noto come le risorse artistico-culturali e la loro gestione possano incidere sul sistema economico di un determinato paese in diversi modi: possono costituire una fonte diretta di ricavi, possono influire sul turismo e più in generale possono determinare effetti positivi in altri settori economici di un territorio2. L’arte e la cultura, infatti, oltre a costi-tuire un fattore di coesione e di integrazione sociale, rappresentano un pilastro attorno al quale ancorare lo sviluppo economico3.

Lo “sfruttamento” di tale risorsa, però, nel nostro Paese, non avviene an-cora in maniera assai efficiente4. Attualmente il nostro patrimonio artistico-culturale, più che costituire una risorsa, rappresenta un costo, un insieme di beni di interesse pubblico che necessita ingenti finanziamenti per la sua con-servazione più che generare ricavi. Infatti, se è vero che il mantenimento e la tutela di tale patrimonio determina dei costi, è però altrettanto vero che esso ha delle notevolissime potenzialità economiche attualmente non sfruttate in maniera adeguata5.

Quindi, se la cultura attualmente costituisce una voce di costo da finan-ziare, è agevole comprendere come il tema del suo finanziamento sia un ar-gomento cruciale, soprattutto nel periodo attuale in cui la perdurante “lunga crisi” che attanaglia il nostro Paese ha determinato una consistente riduzione dei finanziamenti nel settore culturale e non solo. A questo deve aggiungersi il crescente “controllo” dell’Unione europea sui finanziamenti pubblici alla cultura, potenzialmente in contrasto con il divieto di aiuti di Stato6.

2 Secondo S. Cassese, Il futuro della disciplina dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., n. 7/2012, p. 782, l’Italia è una “source nation” cioè un Paese dove l’offerta culturale supera la domanda. Alle “source nations” (Italia, Grecia, Spagna), si contrappongono le “market na-tions” dove la domanda supera l’offerta.3 A.M. GamBino, Per uno sviluppo del patrimonio culturale: la leva fiscale, in Analisi giu-ridica dell’economia, n. 1/2007, p. 109. In tal senso, più di recente anche G. SCiullo, I beni culturali quale risorsa collettiva da tutelare – una spesa, un investimento, in Aedon, n. 3/2017, secondo il quale “… il nesso tra il patrimonio culturale e la crescita socioeconomica delle collettività può considerarsi come dato acquisito”.4 In tal senso: A.L. TaRasCo, La redditività del patrimonio culturale. Efficienza aziendale e promozione culturale, Torino, 2006 e F.M. emmanuele, Arte e finanza, Napoli, 2012.5 Sul tema della cultura come risorsa si veda il contributo di: V. FRanCo, La cultura come risorsa e come valore, in Aedon, n. 3/2007.6 Le dimensioni del presente contributo non permettono di affrontare la complessa proble-matica relativa al divieto di aiuti di Stato in ambito culturale, per il quale si rimanda ai seguenti contributi: C.E. BalDi, Disciplina comunitaria degli aiuti di stato e politica culturale europea. La incoerenza di un sistema fortemente burocratizzato, in Aedon, n. 3/2014; Id., Il finanzia-mento del patrimonio e delle attività culturali. Come evitare le insidie delle regole europee, in Aedon, n. 2/2015; Id., Finanziamento della cultura e regole di concorrenza. Nuove prospettive

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Tale conseguente contenimento degli stanziamenti pubblici può portare ad un pericoloso depauperamento del patrimonio culturale con un consequenzia-le arretramento nella sua tutela e valorizzazione. Esso, infatti, prima ancora che “sfruttato” come una possibile risorsa, va tutelato e valorizzato come pre-scritto dalla nostra Costituzione7.

I fondi (pubblici e privati) destinati alla cultura, infatti, sono finalizzati al soddisfacimento di una duplice finalità: la prima (che possiamo definire come finalità primaria) consiste nella conservazione e tutela del patrimonio artistico; la seconda (finalità secondaria) consiste nella valorizzazione di det-to patrimonio. Tale seconda finalità – che costituisce pur sempre una finalità necessaria – a sua volta si può ulteriormente scomporre in due obiettivi da perseguire: la valorizzazione in funzione della fruizione e della utilizzazione; e la valorizzazione in funzione della sua potenzialità economica. Tali aspetti, ormai, non possono essere considerati disgiuntamente poiché, come si avrà modo di argomentare nel prosieguo, la gestione in forma economico-impren-ditoriale dei servizi culturali ne consente una valorizzazione anche dal punto di vista della concreta fruizione a vantaggio del pubblico8.

I finanziamenti, quindi, sono importanti non solo per la gestione e la con-servazione del patrimonio esistente, obiettivo minimo da perseguire, ma non per questo di scontata realizzazione9. Questi sono pure imprescindibili per

dal ripensamento della Commissione europea, in Aedon, n. 3/2016; Id., L’intervento pubblico in campo culturale. Il faticoso iter di linee guida condivise, in Aedon, n. 2/2018.7 Pare opportuno a proposito rammentare che l’art. 9, comma 2 della nostra Costituzione prevede che la Repubblica debba tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione. L’art. 117, comma 2, lett. s) Cost. prevede la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre l’art. 117, comma 3, Cost. include tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni quella relativa alla valorizzazione dei beni culturali (e ambientali) e promozione e organizzazione di attività culturali.8 In tal senso A. BaRtolini, Beni culturali (voce), in Enc. del dir., Annali VI, Milano, 2014, p. 123.9 Il caso più noto alle cronache è quello del sito archeologico di Pompei, interessato da di-versi crolli dovuti al maltempo e alle condizioni di degrado e di scarsa manutenzione. Tale situazione ha portato all’adozione di misure emergenziali per la riqualificazione del sito che trovano la loro disciplina nell’art. 1 del d.l. n. 91/2013, conv. in l. n. 112/2013. Tali norme han-no come obiettivo il potenziamento delle funzioni di tutela dell’area archeologica di Pompei, in attuazione del cd. “Grande Progetto Pompei” approvato dalla Commissione Europea con la Decisione n. C(2012) 2154 del 29 marzo 2012, poi modificata con la decisione C(2016) 1497 del 10 marzo 2016. Il progetto è stato finanziato con 74,2 milioni di fondi europei e con 29,8 milioni di fondi nazionali. Per un approfondimento sulla “questione Pompei” si rinvia a: P. FeRRi – L. Zan, Pompei dieci anni dopo. Ascesa e declino dell’autonomia gestionale, in Aedon n. 1-2/2012; L. Casini, Il decreto valore cultura: “senza pietre non c’è arco”, in Giorn. dir. amm., n. 2/2014; M. NaCCi, L’innovazione dell’amministrazione dei beni culturali in Italia, in Il capitale culturale, n. 9/2014, p. 203 ss.

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un’implementazione dell’efficienza nello sfruttamento delle risorse, che è propedeutica alla auspicata trasformazione della cultura da mero costo per le casse dello Stato a potenziale risorsa a favore delle stesse.

In un’ottica di maggiore efficienza nello sfruttamento del patrimonio cul-turale, infatti, i (nuovi) finanziamenti potrebbero essere rivolti non (tanto) alla manutenzione del patrimonio, ma alla sua valorizzazione, innestando così un circolo virtuoso in cui i finanziamenti (pubblici e privati) generano utili da reindirizzare alla ulteriore valorizzazione (economica e non) degli stessi.

Si tratta forse di un quadro connotato da un’eccessiva astrattezza, soprat-tutto avendo contezza dell’attuale situazione in cui versa attualmente il settore della cultura nel nostro Paese, ma c’è anche chi sostiene che basta volgere lo sguardo ad altre realtà a noi vicine per percepire come il concetto di un’effi-ciente “impresa culturale”10 che produca utili da reinvestire non sia un mirag-gio, ma piuttosto un modello da perseguire11.

Partendo da tali premesse – forse parzialmente ultronee ma strettamente connesse al tema oggetto di tale contributo – si proverà a tracciare una breve panoramica degli strumenti di finanziamento del patrimonio culturale (ma-teriale e immateriale) previsti nel nostro Paese, al fine di valutare come gli investimenti privati possano contribuire al rilancio di questo settore in modo che esso generi maggiori ricavi gravando meno sulla finanza pubblica.

2. Gli stRumenti Di finanZiamento PuBBliCo alla CultuRa

La principale forma di sostentamento del patrimonio culturale è sicuramente costituita dai finanziamenti di provenienza pubblica.

Essi si dividono in finanziamenti diretti, ossia tutte le somme di denaro de-stinate dallo Stato e dagli altri enti pubblici a sostegno dei beni e delle attività artistico-culturali (fondi provenienti dalle entrate fiscali, dalla messa a reddito del patrimonio culturale, dalle sovvenzioni, etc.); e in finanziamenti indiretti,

10 Sul concetto di “impresa culturale” vedasi: G. FioRi, L’impresa culturale: modello e gestio-ne, in Analisi giuridica dell’economia, n. 1/2007, p. 15 ss.11 Secondo A.L. TaRasCo, Il governo efficiente del patrimonio culturale, in Riv. Giur. del Mezzogiorno, XXVII, n. 3/2013, p. 458: “… è innegabile che l’indice di redditività – cioè la produttività economica in rapporto alle risorse culturali impiegate – delle istituzioni museali straniere sia di gran lunga superiore a quello italiano. … Se, infatti, applicassimo all’immenso patrimonio culturale italiano, solo in parte censito e in minima parte valutato nei suoi aspetti economici, l’indice di redditività dei Paesi stranieri più virtuosi nella gestione del settore, se ne ricaverebbe la consolante conclusione che l’amministrazione del turismo e del patrimonio culturale può rappresentare un’importante posta attiva del bilancio statale e della Repubblica tutta, in grado di finanziare altri settori della vita pubblica”.

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consistenti in tutte quelle prestazioni che, pur non trasferendo denaro a favore degli enti e delle organizzazioni culturali, ne favoriscono il finanziamento e quindi il funzionamento (politiche di incentivazione fiscale a favore delle elar-gizioni liberali, sponsorizzazioni, etc.).

Tra i finanziamenti diretti primeggiano gli stanziamenti di risorse prove-nienti dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali che trovano la loro copertura nelle entrate tributarie generali o in quelle appositamente reperite attraverso specifici vincoli di destinazione. Tali finanziamenti costituiscono le “fonda-menta” finanziarie sulle quali si basa la gestione del patrimonio culturale nel nostro Paese12.

Oltre alle somme derivanti dalla finanza pubblica, costituiscono parte at-tiva del sostegno alla cultura anche i corrispettivi prodotti dall’impiego red-ditizio del patrimonio culturale pubblico che sia suscettibile di essere sfrut-tato economicamente. Secondo l’art. 110 del d.lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali), nei casi di gestione diretta di beni culturali da parte della pubblica amministrazione, i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d’in-gresso ai luoghi di interesse culturale, i canoni provenienti dai beni affidati

12 Negli anni più recenti sono intervenute nuove autorizzazioni di spesa che, in taluni casi, hanno previsto l’istituzione nello stato di previsione del MiBACT di appositi fondi. A titolo esemplificativo si cita l’art. 7, comma 1, della l. n. 106/2014 che ha previsto l’adozione (entro il 31 dicembre di ogni anno) del Piano strategico “Grandi Progetti Beni culturali”, che individua beni o siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici. Per la realizzazione degli interventi del Piano è stata autorizzata la spesa di 5 milioni per il 2014, di 30 milioni per il 2015 e di 50 milioni per il 2016. Quanto agli anni successivi, il meccanismo di finanziamento previsto originariamente dal d.l. n. 83/2014 è stato superato con la legge di stabilità 2016 (art. 1, c. 337, della l. n. 208/2015), che ha autoriz-zato la spesa di 70 milioni per il 2017 e di 65 milioni per il 2018.Più di recente la legge di bilancio del 2018 (l. n. 205/2017) ha trasferito nello stato di previsione del MiBACT risorse per complessivi 92,5 milioni per il 2018, provenienti dal Fondo investi-menti (di cui all’art. 1, c. 140, della l. n. 232/2016), anch’esso istituito nello stato di previsione del MEF, destinati a spese per il restauro, la conservazione, la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio architettonico, storico, artistico, dell’architettura, dell’arte contemporanea e del paesaggio, del patrimonio archeologico, del patrimonio archivistico e del patrimonio librario. Sempre la medesima legge di bilancio 2018 ha autorizzato la spesa di un milione per il 2018 e di 2,5 milioni dal 2019, per la tutela e per la promozione del patrimonio morale, culturale e storico di alcuni specifici luoghi della memoria della lotta al nazifascismo, della Resistenza e della Guerra di Liberazione (art. 1, c. 333, l. n. 205/2017) e ha autorizzato un milione per il 2018 e mezzo milione ogni anno dal 2019 per il funzionamento dei soggetti giuridici creati o partecipati dal MiBACT al fine di rafforzare l’azione di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (art. 1, c. 321, l. n. 205/2017). Il riparto delle risorse per il 2018 è stato operato con d.m. n. 193/2018. (fonte: Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, tema del 29 novem-bre 2018, Servizio studi della Camera dei deputati, consultabile all’indirizzo web https://temi.camera.it).

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in concessione ed i corrispettivi di riproduzione sui beni culturali, vengono versati ai soggetti pubblici a cui appartengono tali beni mobili o immobili, per venire poi devoluti alle casse del MiBACT che può trattenere gli introiti derivanti dalla gestione di tali beni13.

La norma poi prevede degli specifici vincoli di destinazione per i proventi derivanti dalla vendita di biglietti d’ingresso agli istituti ed ai luoghi di inte-resse culturale. Nel caso in cui essi appartengano allo Stato, essi sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicurezza, la conservazione e il funziona-mento degli istituti e dei luoghi della cultura appartenenti o in consegna allo Stato, nonché all’espropriazione e all’acquisto di beni culturali (anche me-diante esercizio della prelazione)14. Nel caso in cui, invece, tali luoghi o istituti appartengano ad altri soggetti pubblici, essi sono destinati all’incremento ed alla valorizzazione del patrimonio culturale15.

Sempre per quanto riguarda i finanziamenti pubblici, il Codice dei beni culturali prevede la possibilità per lo Stato di concorrere finanziariamente alle spese sostenute dai proprietari dei beni culturali per i necessari interventi conservativi16.

Il contributo può essere ottenuto sia per gli interventi imposti dal Mini-stero17, che per quelli ad iniziativa volontaria18. Con riferimento agli inter-

13 Secondo l’art. 3, comma 1 del d.l. n. 91/2013, convertito in l. n. 112/2013, i proventi di cui all’art. 110 del d.lgs. n. 42/2004 (biglietti di ingresso, canoni di concessione o corrispettivi per la riproduzione di beni culturali) sono riassegnati, a decorrere dall’anno 2014, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, allo stato di previsione della spesa dell’esercizio in corso del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Prima di tale soppressione, i proventi derivanti dai beni culturali ai sensi dell’art. 110 del Codice dei beni culturali, veni-vano restituiti dal MiBACT al MEF in omaggio al principio di unità di bilancio. Tali proventi potevano poi essere riassegnati dal MEF al MiBACT fino ad un importo massimo del 50%. Successivamente, il d.l. n. 193/2016 (art. 14, c. 1-ter, l. n. 225/2016) ha previsto che tali introiti sono destinati (oltre che alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione e al funzionamento degli istituti e luoghi della cultura appartenenti o in consegna allo Stato, nonché all’espropriazione e all’acquisto di beni culturali anche mediante l’esercizio della prelazione) anche alla valorizzazione dei medesimi istituti e luoghi della cultura.14 Art. 110, comma 3, d.lgs. n. 42/2004.15 Art. 110, comma 4, d.lgs. n. 42/2004.16 Gli interventi per i quali può essere richiesto il contributo sono quelli previsti dalla circolare ministeriale n. 264/84 dell’Ufficio Centrale beni ambientali, architettonici, archeologici, artisti-ci e storici, che ne circoscrive l’ambito alla nozione di “restauro” tradizionalmente accolta. Tra le opere ammissibili a contributo si possono annoverare a titolo esemplificativo: il rifacimento di tetti, il consolidamento di fondazioni e strutture murarie, la predisposizione di impianti idri-ci, igienico-sanitari, elettrici, la tinteggiatura, il restauro beni mobili quali affreschi, quadri e statue, etc.17 Ai sensi dell’art. 32, d.lgs. n. 42/2004.18 Ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 42/2004.

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venti imposti, sebbene in linea di principio essi siano a carico del proprie-tario, qualora i beni oggetto di intervento si rivelino di particolare rilevanza o di uso pubblico, il Ministero può concorrere alla spesa nella misura che ritiene opportuna comunicandolo alla parte privata19. Se, invece, il restauro o gli altri interventi conservativi originano dal soggetto proprietario, è ne-cessaria sempre una preventiva richiesta di autorizzazione alla realizzazione dell’intervento al Ministero. Il sovraintendente competente, in sede di au-torizzazione, dovrà pronunciarsi anche sulla (eventuale) richiesta di con-cessione del contributo20. In caso di intervento volontario il Ministero ha il potere di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario per un ammontare non superiore alla metà della stessa21. L’attribuzione dei contributi richiesti avviene di regola a lavori ultimati e collaudati, ma vi è anche la possibilità per il Ministero di erogare degli acconti sulla base degli stati di avanzamen-to dei lavori22.

In alternativa alla concessione del contributo direttamente al beneficiario, l’art. 37 del d.lgs. n. 42/2004 prevede anche la possibilità per il Ministero di concedere contributi in conto interessi su mutui o su altre forme di finan zia mento23.

19 L’art. 34, d.lgs. n. 42/2004, distingue le due ipotesi di realizzazione diretta degli interventi da parte del Ministero o da parte del proprietario. Quando gli interventi vengono eseguiti di-rettamente dall’autorità pubblica, il Ministero determina la somma da porre a carico del pro-prietario e ne cura il relativo recupero nelle forme previste dalla normativa in materia di riscos-sione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato. Se, invece, il sovraintendente non ritiene necessaria l’esecuzione diretta degli interventi, il proprietario può presentare un progetto delle opere da realizzare che deve essere approvato dal sovraintendente. Dopo tale approvazione, le spese sostenute dal proprietario vengono rimborsate dal Ministero nella misura in cui ritenga di contribuire all’intervento.20 L’art. 42, comma 1 della l. n. 35/2012 ha introdotto, all’art. 31 del d.lgs. n. 42/2004, il comma 2-bis secondo il quale: “L’ammissione dell’intervento autorizzato ai contributi statali previsti dagli articoli 35 e 37 è disposta dagli organi del Ministero in base all’ammontare delle risorse disponibili, determinate annualmente con decreto ministeriale, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze”.21 Ai sensi dell’art. 35, comma 1 del d.lgs. n. 42/2004, il proprietario potrà derogare a tale limite soltanto quando gli interventi sono di particolare rilevanza o riguardano beni in uso o in godimento pubblico. Ai sensi del successivo comma 3, per la determinazione della percentuale del contributo da versare al proprietario, il Ministero deve tenere conto degli altri contributi conseguiti e dei relativi benefici fiscali ottenuti.22 Art. 36, commi 1 e 2, d.lgs. n. 42/2004. Il successivo comma 3 precisa che il beneficiario è tenuto alla restituzione degli acconti percepiti se gli interventi non sono stati regolarmente eseguiti.23 Il contributo è concesso nella misura massima corrispondente agli interessi calcolati ad un tasso annuo di sei punti percentuali sul capitale erogato ed è corrisposto direttamente dal Ministero all’istituto di credito secondo le modalità stabilite in apposite convenzioni. Anche in

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Lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, ai sensi dell’art. 113, d.lgs. n. 42/2004, possono poi anche concorrere al finanziamento degli interventi di valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata. L’entità del sostegno va commisurato alla rilevanza dei beni culturali oggetto dell’intervento e le modalità della valorizzazione vanno concertate attraverso un accordo tra il soggetto pubblico finanziatore e il soggetto privato proprietario.

La espressa possibilità per il Ministero di concorrere al finanziamento de-gli interventi di conservazione e di valorizzazione dei beni culturali di proprie-tà dei privati, ovviamente, non preclude, ma si affianca alla generale facoltà del Governo di concedere altri tipi di sovvenzioni ai sensi dell’art. 12 della l. n. 241/1990 per il perseguimento della tutela e della valorizzazione del patri-monio culturale. E nell’ambito dell’attività di valorizzazione dei beni cultura-li, non è – altrettanto ovviamente – precluso alle regioni e agli altri enti locali, procedere autonomamente alla concessione di finanziamenti e di sovvenzioni a favore dei beni culturali24.

Il principale strumento di finanziamento pubblico indiretto dell’arte è, in-vece, costituito dall’insieme degli sgravi fiscali accordati dal legislatore tri-butario ai contribuenti, ossia dalle entrate a cui il governo centrale (e quelli locali) rinuncia a causa delle agevolazioni tributarie concesse ai soggetti pri-vati che effettuano erogazioni liberali o investimenti nel settore della cultura o anche che semplicemente posseggano dei beni culturali. Le rationes delle varie agevolazioni sono diverse, pur avendo tutte il minimo comune denomi-natore del favor verso la cultura: alcune vengono previste al fine di compen-sare i gravosi obblighi di conservazione e manutenzione posti a carico di detta tipologia di beni, altre sono dirette ad incentivare gli investimenti privati nella cultura, ed altre ancora sono destinate alla valorizzazione dei beni del patri-monio artistico-culturale.

Diverse sono le forme che può assumere l’incentivazione fiscale: si va dalle detrazioni, al riconoscimento di crediti d’imposta e alla completa esenzione per determinati tributi. Rispetto al recente passato, però, diverse forme di incentivazione sono state soppresse a causa della perdurante crisi economica.

Innanzitutto è stata eliminata la possibilità di applicare ai beni immobili di valore storico e artistico la minore delle tariffe d’estimo previste per le abita-

tal caso la stipula del contratto di mutuo dovrà essere preceduta dalla preventiva autorizzazione dell’intervento da parte del sovraintendente.24 A. BaRtolini, Beni culturali (voce), in Enc. del dir., Annali VI, Milano, 2014, pag. 124.

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zioni della zona censuaria nella quale è collocato il bene immobile25. Con l’a-bolizione di tale agevolazione – ad opera dell’art. 4, comma 5-quater del d.l. n. 16/2012 (convertito in l. n. 44/2012) – cambia il regime impositivo diretto per i redditi derivanti da tale categoria di immobili: ora bisogna distinguere l’ipotesi dell’immobile locato da quella dell’immobile libero. Per quanto ri-guarda gli immobili locati, la tassazione avviene in base alla rendita effetti-vamente percepita con i proventi della locazione26. Per quel che riguarda gli immobili non messi a reddito, la tassazione per il possesso avviene comunque sulla base della rendita effettiva dell’immobile e non più sulla (inferiore) ren-dita figurativa.

Nonostante alcuni interventi di riforma in senso restrittivo dei benefici, le forme di agevolazione fiscale applicabili ad oggi sono ancora molte. In tal sede, senza alcuna pretesa di completezza nella loro elencazione e nella loro analisi, ci si limita ad evidenziare alcune tra le più significative delle vigenti misure.

Un beneficio fiscale di assoluto rilievo è previsto in materia di imposta municipale unica (IMU) di natura patrimoniale dovuta al possessore di immo-bili. Ai sensi dell’art. 13, comma 3 lett. a) del d.l. n. 201/2001, viene ridotta di metà la base imponibile da cui calcolare l’imposta per i fabbricati storico-artistici previsti dall’art. 10 del d.lgs. n. 42/2004.

Delle agevolazioni sono poi previste anche riguardo all’imposta di registro per i trasferimenti degli immobili di interesse storico-artistico: attualmente l’imposta di registro è dovuta nella misura del 9% con un minimo dovuto pari a Euro 1.000, mentre fino al 31.12.2013 l’imposta di registro applicata era

25 Tale agevolazione, prevista dall’art. 11, comma 2, l. n. 413/1991, è stata abrogata dall’art. 4, comma 5-quater, d.l. n. 16/2012, convertito in l. n. 44/2012. Secondo A. GamBa, Immobili di interesse storico-artistico: vincolo all’immobile o al proprietario?, in Il Commercialista Veneto, n. 218, 3-4/2014: “Per capire la portata e l’importanza dell’agevolazione in questione, va evidenziato che la norma disponeva l’applicabilità di tale criterio “in ogni caso”, ovvero a prescindere dall’utilizzo dell’immobile; ciò significava che, in caso di locazione, il relativo canone risultava essere, per il percipiente, assolutamente irrilevante ai fini tributari. Il proprie-tario-locatore veniva, infatti, comunque tassato in base alla “rendita figurativa”, a differenza delle locazioni ordinarie, per le quali il reddito è sempre stato costituito dal maggiore tra il canone di locazione, ridotto forfettariamente del 15% (5% dal 2013), a titolo di spese, e la ren-dita catastale rivalutata.” La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. Un., 9 marzo 2011, n. 5518) aveva definito tale regime agevolativo come “una sorta di regime tributario sostitutivo” e “come peculiare modalità di imposizione astrattamente determinata senza alcun rapporto con il valore reale (locativo o fondiario) del bene tassato”.26 Più precisamente dal 2012 occorre confrontare la rendita effettiva dell’immobile (riva-lutata ed abbattuta del 50%) con il canone di locazione (ridotto forfettariamente del 35%). Difficilmente il corrispettivo derivante dai canoni di locazione sarà inferiore al valore della ren-dita: pertanto, il riferimento per la tassazione degli immobili locati sarà quasi sempre il canone di locazione stesso.

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pari al 3% a condizione che l’acquirente non venisse meno agli obblighi di conservazione dell’immobile oggetto di trasferimento27.

Anche con riguardo alle imposte per la successione28 e per la donazione29, i beni immobili di interesse artistico-culturale godono di un trattamento di favore.

Un regime particolare è previsto anche in materia di IVA per i trasferimenti di beni mobili: si applica un’aliquota ridotta del 10% per le importazioni di oggetti d’arte e per le vendite interne di determinate opere d’arte quando la vendita è effettuata direttamente dai loro autori o dai loro eredi30.

Un’altra forma di incentivazione fiscale è quella consistente nella possi-bilità di detrarre le spese sostenute per gli interventi di ristrutturazione degli edifici avente valore storico-artistico: tali interventi sono detraibili dall’impo-sta lorda al 19% nella misura effettivamente restata a carico del contribuente31. Tale agevolazione specificamente prevista per gli immobili di valore culturale è cumulabile con la detrazione prevista per i lavori di ristrutturazione edilizia disciplinata dall’art. 16-bis del d.P.R. n. 917/1986 (Testo unico delle imposte

27 Tale cambiamento è avvenuto a seguito dell’art. 26, comma 1 del d.l. n. 104/2013, conver-tito in l. n. 128/2013 che ha sostituito l’art. 10, comma 1 del d.lgs. n. 23/2011. A parziale tem-peramento di tale forte inasprimento del valore dell’imposta di registro, si deve tenere da conto che, a seguito della riforma, l’art. 10, comma 3 del d.lgs. n. 23/2011prevede ora che le imposte catastali siano dovute nella misura fissa di Euro 50 cadauna, anziché in misura proporzionale alla destinazione dell’immobile.28 Ai sensi dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 346/1990, relativo alle imposte di successione, gli immobili vincolati vengono esclusi dalla base imponibile. Ai sensi dell’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 346/1990, invece, qualora nell’attivo ereditario vi siano dei beni non ancora assoggettati a vincolo ma che ne abbiano i requisiti di idoneità, l’erede (o il legatario) avrà diritto ad una riduzione del 50% sull’imposta dovuta. In tal caso: “… l’erede o legatario deve presentare l’in-ventario dei beni per i quali ritiene spettante la riduzione, con la descrizione particolareggiata degli stessi e con ogni notizia idonea alla loro identificazione, al competente organo periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, il quale attesta per ogni singolo bene l’esistenza delle caratteristiche di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089; … ”29 Ai sensi dell’art. 59, comma 1, d.lgs. n. 346/1990, relativo alle imposte dovute per gli atti di donazione, per gli immobili già soggetti a vincolo al momento del trasferimento si applica l’imposta di registro pari a Euro 200; per quelli non ancora assoggettati al vincolo al momento della donazione viene effettuata la riduzione del 50% come per il caso di successione. 30 Ai sensi dell’art. 39, d.l. n. 41/1995, convertito in l. n. 85/1995. Sul punto si vedano le circolari 22 giugno 1995, n. 177/E e 17 maggio 2010, n. 24/E dell’Agenzia delle entrate, conte-nenti alcune linee guida sulla procedura da seguire per ottenere tale agevolazione.31 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 15, comma 1, lett. g) T.U.I.R. e 31, comma 2, d.lgs. n. 42/2004. Ai fini della detrazione è importante dimostrare la necessarietà degli interven-ti: quindi, quando essi non siano imposti dal Ministero, dovranno essere approvati dal soprain-tendente competente per territorio, previo accertamento della loro congruità effettuato d’intesa con il competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze.

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sui redditi)32. In tal caso, però, la detrazione del 19% per la spesa rimasta ef-fettivamente a carico per i lavori su immobili vincolati viene abbattuta della metà e, quindi, si avrà un risparmio netto del 9,5%33.

Un’altra misura di incentivazione ha, invece, riguardato le erogazioni libe-rali effettuate dai soggetti privati che siano essi singoli cittadini, fondazioni o imprese. Essa – come si avrà modo di argomentare nel prosieguo di tale con-tributo – è rivolta all’aumento dei finanziamenti dei soggetti privati nel settore.

Nell’ambito della categoria dei finanziamenti pubblici all’arte possono es-sere classificati anche i fondi che l’Unione Europea destina al sostegno della cultura.

La Commissione Europea insiste da anni per il perseguimento di tre diver-si obiettivi in campo culturale: la promozione della diversità culturale e del dialogo interculturale; la promozione della cultura come elemento vitale nelle relazioni dell’Unione Europea; la promozione della cultura quale attrattore della creatività nella cornice della Strategia di Lisbona e di Europe 202034.

La cultura si è, però, affacciata in ritardo nell’ambito degli obiettivi di azione dell’Unione. Essa fa il suo ingresso appena nel 1992, con l’art. 151 del Trattato di Maastricht (ora art. 167 del Trattato sul funzionamento dell’Unio-ne Europea) il quale prendeva in considerazione per la prima volta la “cultura” come obiettivo dell’azione dell’Unione35.

Tale norma ha costituito la base normativa per il primo programma in ma-teria di cultura, il “Programma quadro 2000”, che, con un (contenuto) budget di 167 milioni distribuiti in 5 anni, costituiva il primo programma europeo in materia culturale, al quale poi ne sono seguiti altri. Nella programmazione eu-ropea in tale settore bisogna poi ricordare il “Programma Cultura 2007-2013” che, con una dotazione di circa 400 milioni di Euro, ha promosso la coope-razione transnazionale tra creatori, artisti e istituzioni culturali, contribuendo alla valorizzazione del patrimonio culturale comune in Europa36.

32 L’art. 16-bis del T.U.I.R. è stato introdotto dal d.l. n. 201/2011, convertito in l. n. 214/2011. Tale detrazione, inizialmente stabilita nella misura del 36%, è stata poi innalzata al 50% ed è tuttora vigente in tal misura a seguito di diverse proroghe legislative. 33 Art. 16-bis, comma 6, T.U.I.R.34 D. D’ORsoGna, Diritti culturali per lo sviluppo umano, intervento al convegno “Nuove alleanze. Diritto ed economia per la cultura e l’arte”, in Atti del Convegno di Nuoro, 14-15 ottobre 2011 e in Rivista di arte e critica, 2014.35 Sul tema vedasi: L. Castellina, Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura nella co-struzione dell’Europa, Pisa, 2008; M. Santone, “We are more”: da Jean Monnet alle origini del Programma Cultura, in www.ufficiostudi.beniculturali.it.36 Il “Programma Cultura 2007-2013” è stato istituito dalla Decisione 1855/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006. Per un approfondimento sugli

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Diversi sono attualmente i finanziamenti e le altre iniziative che l’Unione svolge in ambito culturale. Tra i finanziamenti “diretti”37 ad oggi è in vigore il programma dal nome “Europa creativa”, il quale metterà a disposizione all’incirca un miliardo e quarantasei milioni di Euro nell’arco di sette anni, con l’intento di rafforzare i settori culturali e creativi in Europa38. Importanti per il settore culturale sono anche i fondi strutturali che fanno parte dei fi-nanziamenti “indiretti”39 messi a disposizione dall’Unione Europea. I fondi strutturali europei, infatti, si sono spesso rivelati fondamentali per l’avvio di progetti relativi alla riqualificazione e alla nuova realizzazione di strutture destinate alla cultura o anche ad altre forme di valorizzazione delle risorse culturali di un determinato territorio.

3. la ComPaRteCiPaZione Dei PRivati nel finanZiamento Del PatRimonio CultuRale

I finanziamenti pubblici costituiscono la parte quantitativamente più rilevan-te dei finanziamenti al patrimonio culturale. Si è visto, però, come a causa del quadro congiunturale dell’economia italiana e degli effetti delle misure di riequilibrio strutturale dei conti pubblici, le politiche in materia di attività culturali da alcuni anni si sviluppano in un quadro economico caratterizzato dalla progressiva riduzione degli stanziamenti.

Questa diminuzione, oltre che alla perdurante crisi economica, è dovuta probabilmente anche al fatto che molto spesso le scelte politiche hanno pe-

obiettivi e sui risultati del programma vedasi: A. BRANCH, The European Union Culture Programme, in www.ufficiostudi.beniculturali.it. 37 I fondi diretti (o a gestione diretta) sono quelli che vengono erogati direttamente dalla Commissione Europea ai beneficiari finali, che possono essere sia pubbliche amministrazioni sia soggetti privati (imprese o anche singoli cittadini).38 Tra gli obiettivi “specifici” del programma ritroviamo: il supporto alla capacità del settore culturale e creativo europeo di operare a livello transnazionale; la promozione della circolazio-ne transnazionale delle opere culturali e creative e degli operatori culturali; il rafforzamento della capacità finanziaria dei settori culturali e creativi. A sostegno del patrimonio cultura-le concorrono poi vari altri programmi di finanziamento dell’UE, tra cui “Orizzonte 2020”, “Erasmus+”, “Europa per i cittadini”, a riprova del fatto che la cultura può essere poliedrica e interconnessa con vari altri settori.39 I fondi strutturali (o a gestione indiretta) sono quei fondi gestiti dalle amministrazioni centrali e regionali dei vari Stati membri che vengono utilizzati per finanziare i progetti pre-sentati da altre pubbliche amministrazioni. Le autorità nazionali, regionali o locali svolgono quindi una funzione di mediazione rispetto alla Commissione Europea gestendo le risorse europee.

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nalizzato i beni culturali a favore di altri settori dell’economia di maggior impatto sul corpo elettorale40.

Il contributo dei finanziatori privati, però, non può essere considerato come un rimedio sostitutivo al finanziamento pubblico. Non è un caso che in nessun Paese del mondo il sistema della cultura sia autosufficiente dal punto di vista finanziario41. Questo è dovuto essenzialmente a due fattori: la gran parte dei beni appartenenti al patrimonio culturale è di proprietà statale; e buona parte di essi non è suscettibile di uno sfruttamento economico diretto.

Il finanziamento privato alla cultura pertanto va piuttosto inteso in termini di complementarietà alla spesa pubblica piuttosto che in termini di sostituzio-ne42. Tali forme di finanziamento, infatti, sono destinate ad integrarsi e soprat-tutto ad incentivarsi.

Le forme “classiche” di finanziamento privato all’arte sono le sponsoriz-zazioni ed i contributi provenienti dalle fondazioni bancarie. Esse trovano la loro espressa disciplina nel d.lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio) come modificato per venire incontro alle nuove esigenze di reperimento delle risorse43.

Il contratto di sponsorizzazione di beni culturali può essere definito come un contratto atipico, consensuale, sinallagmatico e a titolo oneroso, per ef-fetto del quale una parte (sponsee) si obbliga a consentire l’uso della propria immagine (o del proprio nome) al fine di promuovere un marchio, un nome, un’immagine, un’attività o un prodotto di un altro soggetto (sponsor)44. Tale contratto, previsto all’art. 120 del d.lgs. n. 42/2014 in relazione ai beni cul-

40 G. FiDone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 1-2/2012.41 A.M. GamBino, Per uno sviluppo del patrimonio culturale: la leva fiscale, in Analisi giuri-dica dell’economia, n. 1/2007, p. 110.42 A. CRismani, ART-BONUS: strumento partecipativo alla gestione del bene pubblico, in www.federalismi.it, n. 19/2014, p. 18.43 I principali decreti legislativi che sono intervenuti sul Codice dei beni culturali sono: il d.lgs. n. 156/2006 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali”; e il d.lgs. n. 62/2008 “Ulteriori disposizioni integra-tive e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali”. Il d.lgs. n. 62/2008 ha modificato completamente la disciplina precedentemente prevista per i contratti di sponsorizzazione.44 G. FiDone, op. cit. Sulle sponsorizzazioni in generale vedasi: M. BianCa, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990; M. Renna, Le sponsorizzazioni, in F. MastRoaGostino (a cur a di), La collaborazione pubblico-privato e l’ordinamento amministrativo, Torino 2011, p. 523 ss. Con riferimento specifico alle sponsorizzazioni in ambito culturale vedasi: G. PiPeRata, Commento all’art. 120, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del pa-esaggio, Bologna, 2007, p. 435 ss.; G. PiPeRata, Servizi per il pubblico e sponsorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 3/2008; R. ChiePPa, Il nuovo regime delle erogazioni libe-rali e delle sponsorizzazioni: il settore dei beni culturali e l’intervento delle fondazioni, in

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turali, individua il possibile oggetto delle prestazioni delle parti: lo sponsor (soggetto privato) eroga un contributo (in beni o servizi) finalizzato alla pro-gettazione o all’attuazione di iniziative volte alla tutela o alla valorizzazione del patrimonio culturale; lo sponsee (soggetto pubblico o privato) concede l’associazione del nome (del marchio, dell’immagine, dell’attività o del pro-dotto) del soggetto erogatore all’immagine pubblica dell’iniziativa sponsoriz-zata45. Tale associazione deve avvenire attraverso modalità compatibili con il carattere storico-artistico del bene, che vanno esplicitate nel contratto di sponsorizzazione.

Possono essere oggetto di sponsorizzazioni iniziative dei Ministeri, degli enti pubblici, ma anche di persone giuridiche private senza fine di lucro o di soggetti privati su beni culturali di loro proprietà. Il vantaggio dello sponsor sta nella associazione del nome all’iniziativa, mentre il vantaggio conseguito dallo sponsee può variare a seconda che il contributo dello sponsor sia costitu-ito da una somma di denaro o dallo svolgimento materiale di una determinata attività. Ciò che è essenziale è che tale prestazione sia compatibile con le esi-genze di tutela del patrimonio culturale e la verifica di tale compatibilità viene effettuata dal Ministero.

L’amministrazione può stipulare tre diversi tipi di contratti di sponsorizza-zione di interventi su beni culturali46.

La prima è la sponsorizzazione “tecnica”. Essa consiste in una forma di partenariato estesa alla progettazione e alla realizzazione di parte o di tutto l’intervento a cura e a spese dello sponsor delle prestazioni richieste47.

La seconda è la sponsorizzazione “pura”. In questo tipo di modello lo sponsor si impegna unicamente a finanziare, anche mediante accollo, le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi dell’appalto dovuti dall’amministrazione.

Aedon, n. 2/2013; G. ManfReDi, Le sponsorizzazioni dei beni culturali e il mercato, in Aedon, n. 1/2014; P.F. UnGaRi, La sponsorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 1/2014.45 P. BaRReRa, Commento all’art. 120 d.lgs. n. 42/2004, in M.A. SanDulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, p. 907.46 Tale tripartizione è ripresa dal d.m. del Ministero per i beni e le attività culturali del 19.12.2012 (in G.U. n. 60 del 12.3.2013) recante le “Norme tecniche e le linee guida in materia di sponsorizzazioni di beni culturali anche in funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi sui beni culturali”.47 Oltre ai lavori per la realizzazione dell’intervento, le prestazioni rese dallo sponsor possono consistere anche in servizi e forniture ad esso strumentali (ad esempio, servizi di installazione e montaggio di attrezzature e impianti, forniture degli arredi da collocare nei locali) o in servizi e forniture autonomi (ad esempio servizi necessari all’organizzazione di mostre all’interno di istituti della cultura pubblici).

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Infine, la terza è la sponsorizzazione “mista” (ossia risultante dalla combi-nazione delle prime due) in cui lo sponsor può, per esempio, curare e fornire direttamente la sola progettazione, limitandosi ad erogare il finanziamento per le lavorazioni previste.

Ad ogni tipologia di sponsorizzazione corrisponde un diverso regime giu-ridico che determina delle importanti differenze anche riguardo alle modalità di scelta da adottare per l’individuazione dello sponsor, il quale deve essere necessariamente un soggetto privato48.

Le modalità attraverso le quali va scelto lo sponsor sono ricostruibili attra-verso l’analisi del combinato disposto degli artt. 19 e 151 del d.lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici)49.

In primo luogo occorre distinguere quando si è al di sopra e quando al di sotto della soglia dei 40.000 Euro. Nel caso in cui ci si trovi al di sotto di tale soglia, è sufficiente procedere all’affidamento di tali contratti a norma dell’art. 4 del Codice dei contratti, ossia nel rispetto dei principi di economicità, effi-cacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubbli-cità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (e nel generale rispetto delle norme della contabilità pubblica e dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori)50. Nell’opposto caso in cui l’importo sia superiore, la scelta dello

48 Infatti, sebbene con l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 62/2008, che ha riformulato l’art. 120 del Codice dei beni culturali, è stato tolto il riferimento esclusivo ai soggetti privati come possibili sponsor di iniziative pubbliche, l’impossibilità per un soggetto pubblico di essere sponsor di-scende dall’art. 6, comma 9 del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, secondo il quale: “A de-correre dall’anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.” Tale espresso divieto, quin-di, vale anche per le sponsorizzazioni previste all’art. 120 del Codice dei beni culturali. A tal riguardo P. BaRReRa, op. cit., p. 916, evidenzia il problematico contrasto per le amministrazioni pubbliche che non possono effettuare sponsorizzazioni in senso proprio, ma possono bensì erogare a terzi contributi ai sensi dell’art. 12 della l. n. 241/1990.49 L’art. 151, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 (Sponsorizzazioni e forme speciali di parternaria-to), inserito nello specifico capo degli “Appalti nel settore dei beni culturali”, non fa altro che richiamare la disciplina generale delle sponsorizzazioni prevista all’art. 19 dello stesso Codice dei contratti pubblici. A tal proposito in dottrina (A. Sau, La disciplina dei contratti pubbli-ci relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, n. 1/2017) si è parlato di “normalizzazione” delle procedure di affidamento dei contratti pub-blici relativi ai beni culturali. Per un’analisi delle più recenti modifiche apportate alla disciplina delle sponsorizzazioni dei beni culturali si rinvia a: C. Benelli (a cura di) Beni culturali: la disciplina delle sponsorizzazioni, Giuffrè, 2017.50 R. ChiePPa, op. cit. Secondo l’A.: “Prima ancora dell’entrata in vigore del codice degli appalti, la giurisprudenza ha affermato che le pubbliche amministrazioni sono tenute a una procedura trasparente e non discriminatoria per individuare lo sponsor; non proprio le tipiche procedure dell’appalto, ma una procedura comunque di evidenza pubblica anche informale

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sponsor deve avvenire attraverso l’espletamento di una procedura concorsua-le semplificata il cui svolgimento è disciplinato dall’art. 19 del Codice dei contratti. L’affidamento di un contratto di sponsorizzazione (pura o tecnica) è subordinato alla pubblicazione, per almeno trenta giorni, sul sito istituzionale dell’amministrazione di un avviso pubblico con il quale si comunica l’avve-nuta ricezione di una proposta di sponsorizzazione o si rende nota la ricerca di uno sponsor segnalando, nel primo caso, il contenuto della proposta con-trattuale ricevuta ed indicando sinteticamente, nell’uno come nell’altro caso, l’oggetto dell’intervento, la tipologia di sponsorizzazione proposta o cui l’am-ministrazione è interessata e l’associazione promozionale richiesta o offerta come controprestazione51.

Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, il contratto può essere liberamente negoziato52 purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di pa-rità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse: infatti, una volta decorsi i trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso con il ricevi-mento di una proposta di sponsorizzazione, l’amministrazione potrà procede-re alla stipula del contratto con il soggetto proponente definendo nel dettaglio, attraverso una negoziazione, le clausole contrattuali; nel caso in cui, invece, entro detto termine pervengano più proposte contrattuali, l’amministrazione dovrà procedere ad un minimo confronto concorrenziale53.

L’altro strumento di finanziamento all’arte che trova un esplicito ricono-scimento nel Codice dei beni culturali sono le intese con le fondazioni ban-carie, dirette alla pianificazione e (soprattutto) al finanziamento di attività di valorizzazione delle arti e della cultura.

Le fondazioni sono soggetti privati, non assimilabili né alle pubbliche amministrazioni né ad organismi di diritto pubblico54. Esse costituiscono uno dei risultati di quel lungo processo di privatizzazione che ha investito il no-stro sistema bancario a partire dagli anni ’90 del secolo scorso e che ha visto tali fondazioni diventare prima enti conferenti le partecipazioni delle imprese bancarie, e poi, dopo l’imposta dismissione delle relative quote, le ha viste

per individuare lo sponsor. Del resto, non si può escludere che possano esservi più soggetti che possono avere interesse a sponsorizzare una determinata amministrazione.”51 A. Sau, op. cit.52 L’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 prescrive che il contraente debba sempre possedere i requisiti di ordine generale prescritti dall’art. 80 del medesimo codice dei contratti.53 Sulle modalità di tale confronto concorrenziale si rinvia alla circolare interpretativa del 9 giugno 2016 avente ad oggetto “Sponsorizzazione di beni culturali – articolo 120 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – articoli 19 e 151 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.54 Cons. di St., sez. VI, 3 marzo, 2010, n. 1255, in www.giustizia-amministrativa.it.

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trasformarsi da istituti di credito di natura pubblica a soggetti di diritto privato volti al perseguimento di fini di utilità sociale55.

Le fondazioni bancarie nel nostro Paese svolgono un ruolo essenziale per la valorizzazione della cultura: infatti, il principale settore d’intervento delle fondazioni è il settore “arte, attività e beni culturali”, che riceve oltre il 30% delle risorse finanziarie erogate56. Esse pertanto costituiscono il volano più imponente ed efficace di integrazione delle risorse pubbliche nelle politiche di tutela e valorizzazione del patrimonio storico e artistico della Nazione e di promozione delle attività culturali57.

Il ruolo delle fondazioni bancarie a supporto della cultura è cristallizzato all’art. 121 del d.lgs. n. 42/2004, secondo il quale il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare con le fondazioni dei protocolli d’intesa diretti al finanziamento di interventi di valorizzazione del patrimonio culturale. La parte pubblica può concorrere, con proprie risorse finanziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli di intesa.

Il protocollo d’intesa è qualcosa di più penetrante del contratto di sponso-rizzazione: qui la parte privata (fondazione) non si limita a versare una somma di denaro per garantire l’associazione del suo nome (o marchio) all’attività sponsorizzata, ma partecipa direttamente alla programmazione degli interven-ti oltre che al loro finanziamento. Le fondazioni potranno limitarsi ad erogare risorse finanziarie (pur nel contesto di una programmazione condivisa) o alter-nativamente potranno intervenire direttamente nella gestione degli interventi di conservazione e di restauro (esecuzione dei lavori) o nelle azioni di valo-rizzazione finalizzate alla fruizione (gestione di servizi)58. Ciò dipenderà dal contenuto del protocollo d’intesa che lascia un ampio margine di scelta alle parti dell’accordo nel definire le reciproche competenze nella realizzazione dell’intervento59. Lo strumento più utilizzato dalle fondazioni per gli interven-

55 Per un approfondimento sull’evoluzione delle fondazioni bancarie si rinvia a: F. MeRusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata. Cronache di una riforma decennale, Torino, 2000; M. ClaRiCh – A. PisanesChi, Le fondazioni bancarie. Dalla holding creditizia all’ente non-profit, Bologna, 2001; G. PaGliaRi, Fondazioni bancarie: profili giuridici, Milano, 2004.56 M. MotRoni, Ruolo e funzione delle fondazioni bancarie nel settore “arte, attività e beni culturali”, in www.amministrazioneincammino.it, 2011, p. 1.57 P. BaRBeRa, Commento all’art. 121, in M.A. SanDulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, p. 918.58 R. ChiePPa, Il nuovo regime delle erogazioni liberali e delle sponsorizzazioni: il settore dei beni culturali e l’intervento delle fondazioni, in Aedon, n. 2/2013.59 Secondo il T.A.R. Lazio (Roma), sez. I, n. 7283, in www.giustizia-amministrativa.it, l’atti-vità delle fondazioni deve attenersi al rispetto di due limiti: 1) le fondazioni non possono sosti-tuirsi alle amministrazioni pubbliche compiendo in via autonoma attività di loro competenza;

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ti a favore della collettività sono le erogazioni liberali, ma nulla vieta alle fon-dazioni di stipulare contratti di sponsorizzazione: l’elemento di distinzione tra tali tipologie è data dalla assenza (erogazioni liberali) o dalla presenza (spon-sorizzazioni) di corrispettivo, ma a volte la linea di confine tra tali tipologie di finanziamento può essere incerta60. Tale distinzione ha importanza sotto un duplice profilo: dal lato del soggetto pubblico, se si tratta di sponsorizzazione, l’amministrazione non deve dare nulla in cambio e quindi non sarà obbligata a rispettare le norme del Codice dei contratti per la scelta dello sponsor; dal lato della fondazione, la diversa qualificazione del contributo potrà incidere sui benefici fiscali conseguibili.

Sono poi anche possibili altre forme di collaborazione tra le fondazioni e i soggetti pubblici di cui all’art. 121 del Codice dei beni culturali: per esempio, le fondazioni ben potranno assumere le vesti di concessionarie di servizi o di lavori, o risultare aggiudicatarie di procedure di appalti pubblici banditi dagli stessi soggetti, ben potendo le fondazioni essere considerate operatori econo-mici ammessi a partecipare alle procedure di evidenza pubblica.

Le fondazioni pertanto hanno un ruolo importante nel finanziamento della cultura. Esse, però, non esauriscono i contributi provenienti dal settore privato che, seppur in minor parte, può contare sul supporto di altri soggetti privati, siano essi singoli cittadini, imprese o altri soggetti privati dotati di personalità giuridica.

Tali (altri) soggetti privati possono contribuire in diversi modi al finanzia-mento della cultura: possono, come si è visto, stipulare contratti di sponsoriz-zazione; possono ricevere in concessione beni o servizi, pagando un corrispet-tivo come canone di concessione61; possono limitarsi ad esserne dei fruitori pagando il prezzo dei relativi servizi; e possono, infine, finanziare la cultura attraverso la concessione di erogazioni liberali.

Per favorire tali erogazioni il legislatore ha introdotto un regime fiscale di estremo favore per coloro i quali decidano di compiere versamenti in denaro a sostegno della cultura. Si tratta del c.d. Art Bonus, un’agevolazione fiscale attraverso la quale viene riconosciuto un credito d’imposta a beneficio delle

2) la pubblica amministrazione non può delegare alle fondazioni l’esercizio di scelte discrezio-nali di propria competenza. 60 Affronta diffusamente il tema delle distinzioni tra sponsorizzazioni ed elargizioni liberali il d.m. del Ministero per i beni e le attività culturali del 19.12.2012 (in G.U. n. 60 del 12.3.2013). Sul tema vedasi anche: R. ChiePPa, op. cit.61 A.L. TaRasCo, Il problema giuridico ed economico delle concessioni d’uso dei beni cultu-rali, in Il diritto dell’economia, n. 2/2017, p. 731 ss.

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persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro a fa-vore della cultura o dello spettacolo62.

Le erogazioni liberali effettuate in denaro che danno diritto al credito di imposta devono essere riferite ai seguenti interventi: a) manutenzione, prote-zione e restauro di beni culturali pubblici; b) sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche, dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazio-nali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione; c) realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusi-vamente attività nello spettacolo. La misura del credito d’imposta che viene riconosciuta è pari al 65% dell’importo versato (ripartito in tre quote annuali di pari importo) e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive.

L’agevolazione è prevista a favore di tutti i soggetti privati indipendente-mente dalla loro natura e dalla loro forma giuridica, superando così l’attuale dicotomia prevista dalle disposizioni del T.U.I.R. che riconoscono una de-trazione del 19% per le persone fisiche, ma solo una deduzione dalla base imponibile per le persone giuridiche63. Quello che cambia – a seconda della qualifica del soggetto erogante – sono i limiti massimi di spettanza del credito, che è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15% del reddito imponibile, mentre ai soggetti titolari di reddito d’impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui64.

62 Tale agevolazione fiscale, inizialmente introdotta dal d.l. n. 83/2014, convertito in l. n. 106/2014 come un incentivo temporaneo, è stata resa permanente con la legge di stabilità n. 208/2015. Per un’analisi dell’istituto si rinvia a: A. CRismani, ART-BONUS: strumento par-tecipativo alla gestione del bene pubblico, in www.federalismi.it, n. 19/2014; G. Pennisi, Art bonus. Un commento al decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 del 2014, in Astrid, Rassegna, n. 11/2014, p. 1 ss. Sull’introduzione dell’Art Bonus vedasi anche: R. LuPi, L’Art Bonus come sovvenzione pubblica in forma di “credito d’imposta”, C. BaRBati, Lo spettacolo nel decreto “Art Bonus”. Conferme e silenzi e G. Gallo, Il decreto Art Bonus e la riproducibilità dei beni culturali, tutti pubblicati in Aedon n. 3/2014.63 Con la circolare 24/e del 31 luglio 2014, l’Agenzia delle entrate ha poi esplicitato in ma-niera compiuta e dettagliata l’ambito di applicazione dell’istituto e gli adempimenti da svolgere per fruire del beneficio.64 Un regime “ibrido” è previsto per gli imprenditori individuali e per gli enti non commerciali che, però, esercitino anche attività commerciale. Tali categorie di soggetti usufruiscono del cre-dito di imposta con le modalità e i limiti previsti per i titolari del reddito d’impresa se effettuano le erogazioni liberali nell’ambito dell’attività commerciale. Qualora, invece, essi effettuino le erogazioni liberali nell’ambito della loro attività personale (o istituzionale), ad essi si appliche-rà il regime agevolativo applicabile ai soggetti privati.

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Tale istituto è un esempio di integrazione tra il finanziamento pubblico (consistente nella rinuncia dello Stato a una quota di tributi dovuti da un sog-getto) e il finanziamento privato (consistente nella erogazione di denaro). Attraverso l’agevolazione fiscale lo Stato cerca di attrarre i capitali privati destinati alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico-culturale. Lo Stato, quindi, ricorre allo strumento delle agevolazioni fiscali che surrogano i finanziamenti pubblici e possono essere proficuamente “attribuite” piegando la via tributaria a fini extrafiscali, in linea con le moderne concezioni dello Stato interventista e della finanza funzionale65.

4. le foRme Di finanZiamento Del PatRimonio CultuRale immateRiale

Negli ultimi anni l’ambito del patrimonio culturale sta progressivamente al-largando i suoi confini66. In tale nozione non vengono più ricompresi esclu-sivamente i beni materiali (mobili ed immobili), ma anche tutta una serie di attività e di tradizioni vive che si trasmettono di generazione in generazio-ne: espressioni orali, incluso il linguaggio, arti dello spettacolo, pratiche so-ciali, riti e feste, tradizioni, solo per citare alcuni esempi. Si tratta del c.d. “pa-trimonio culturale immateriale” che viene definito dall’UNESCO come “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”67. L’art. 11 della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale demanda agli Stati contraenti il compito di individuare gli elementi del patrimonio cul-turale immateriale presente sul proprio territorio e di adottare i provvedimenti opportuni a garantirne la tutela. A tal fine nel nostro Paese sono state istituite

65 A. CRismani, ART-BONUS: strumento partecipativo alla gestione del bene pubblico, in www.federalismi.it, n. 19/2014, p. 22.66 Sul tema si rinvia al contributo di M. VeCCo, L’evoluzione del concetto di patrimonio cul-turale, Milano, 2007.67 Art. 2, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale imma-teriale, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 dalla XXXII sessione della Conferenza generale dell’UNESCO. Tale Convenzione è stata ratificata nel nostro ordinamento con la l. n. 167/2007. Con riferimento al tema dell’ “immaterialità”, occorre non confondere il “patrimonio culturale immateriale” quale insieme di tradizioni vive ed intangibili trasmesse dai nostri antenati, dal c.d. “interesse o valore culturale” che, secondo M.S. Giannini, è quel “bene immateriale” che andrebbe a caratterizzare la cosa materiale cui inerisce, pur rimanendo distinta da questa e dai profili prettamente economici che la caratterizzano. A tal proposito si rinvia al fondamentale contributo di M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 3 ss.

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due differenti liste: la “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immate-riale” e la “Lista del patrimonio immateriale che necessita di urgente tutela”68.

Il valore crescente che viene riconosciuto al patrimonio culturale immate-riale risiede soprattutto nel mantenimento della diversità culturale e della tra-smissione della conoscenza e delle competenze da una generazione all’altra, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.

Il patrimonio culturale immateriale è un concetto tanto affascinante quanto sfuggevole in merito al quale illustri studiosi hanno cercato di dare una siste-mazione e di perimetrarne i limiti69. Alcuni inizialmente ne hanno addirittura negato l’esistenza o l’autonomia concettuale, ma la disputa appare ormai su-perata dal riconoscimento del concetto a livello normativo, sia europeo che nazionale70.

68 Tra gli elementi italiani iscritti nella “Lista rappresentativa del patrimonio culturale im-materiale” si possono citare: l’Opera dei Pupi siciliani (2008), il Canto a tenore sardo (2008); la Dieta mediterranea (2013); la Vite ad alberello di Pantelleria (2014), la Falconeria (2016) e l’Arte dei pizzaiuoli napoletani (2017).69 Senza alcuna pretesa di esaustività, sul tema del patrimonio culturale immateriale si se-gnalano: C. BoRtolotto, Il patrimonio immateriale secondo l’Unesco: analisi e prospettive, Roma, 2008; G. BoRtolotti – R. MeaZZa (a cura di), Beni immateriali. La Convenzione Unesco e il folklore, in Erreffe, n. 64/2011; A. BaRtolini – D. BRunelli – C. CafoRio (a cura di), I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche (Atti del Convegno Assisi, 25-27 ottobre 2012), Napoli, 2012; T. SCovaZZi – B. UBeRtaZZi – L. ZaGato (a cura di), Il patrimonio culturale intangibile nelle sue diverse dimensioni, Milano, 2012; A. GualDani, I beni culturali immate-riali: ancora senza ali?, in Aedon, n. 1/2014; M. BRoCCa, Tutela e valorizzazione del patri-monio culturale immateriale tra Stato e autonomie territoriali, in A. GeRmanò – G. StRamBi (a cura di), La valorizzazione del patrimonio culturale immateriale di interesse agricolo (Atti del Seminario, Firenze, 21 aprile 2015), Milano, 2015, p. 69 ss.; A.L. TaRasCo, Beni e attività culturali tra materialità e immaterialità, in A.L. TaRasCo, Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, Napoli, 2017, p. 51 ss.; S. BalDin, I beni culturali immateriali e la partecipazione della società nella loro salvaguardia: dalle convenzioni internazionali alla normativa in Italia e Spagna, in DPCE online, n. 3/2018, p. 593 ss.; F.E. GRisostolo, La sal-vaguardia del patrimonio culturale immateriale: recenti tendenze in area europea, in DPCE online, n. 3/2018, p. 723 ss.; T. SCovaZZi, La definizione del patrimonio culturale intangibile, in M. Golinelli (a cura di), Patrimonio culturale e creazione di valore, Milano, 2012, p. 152 ss.; C.A. D’AlessanDRo, La tutela giuridica del patrimonio culturale immateriale in Francia. Spunti ricostruttivi, in Federalismi.it, n. 23/2018.70 Per un approfondimento sul dibattito circa l’esistenza del patrimonio culturale immateriale si rinvia a: A. BaRtolini – D. BRunelli – C. CafoRio (a cura di), op. cit. (Atti del Convegno Assisi, 25-27 ottobre 2012). Nell’ambito di tale congresso si segnalano gli interventi di: G. MoRBiDelli, Il valore immateriale dei beni culturali; A. BaRtolini, L’immaterialità dei beni culturali; G. SeveRini, Immaterialità dei beni culturali?; S. Fantini, Beni culturali e valorizza-zione della componente immateriale; M. DuGato, Strumenti giuridici per la valorizzazione dei beni culturali immateriali; e C. LamBeRti, Ma esistono i beni culturali immateriali?, contributi pubblicati anche in Aedon, n. 1/2014.

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Ciò premesso occorre verificare come è finanziato il patrimonio culturale immateriale.

Sicuramente la parte preponderante dei finanziamenti (al pari del patrimo-nio materiale) è garantita da appositi fondi pubblici (nazionali ed europei), ma anche i privati possano concorrere al suo finanziamento.

Con riferimento ai fondi pubblici, la l. n. 44/2017 (modificando la l. n. 77/2006) ha esteso le misure speciali di tutela e fruizione applicabili ai siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella Lista del patrimonio mondiale UNESCO, anche agli elementi italiani ricompresi nelle Liste UNESCO del patrimonio mondiale immateriale71.

Inoltre, sempre più negli ultimi anni, si registrano anche finanziamenti pub-blici non statali. Diverse sono infatti le regioni (e gli enti locali) che destinano specifici finanziamenti rivolti alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali immateriali. Per esempio la Regione Campania, con avviso 16 luglio 2018, ha stanziato delle risorse finanziarie sia per valorizzare e promuovere le eccel-lenze dei beni immateriali del patrimonio campano già riconosciuti nella Lista UNESCO del Patrimonio Culturale Immateriale (ovvero, “Rete delle grandi macchine a spalla italiane/Gigli di Nola”, “Dieta Mediterranea” e “L’arte del Pizzaiuolo napoletano”), sia per sostenere la candidatura per l’iscrizione nella medesima Lista di nuovi elementi del patrimonio immateriale campano72.

Ma, oltre ai finanziamenti pubblici, il patrimonio culturale immateriale ben può attrarre anche risorse private come i contributi delle fondazioni bancarie e i proventi derivanti dalle sponsorizzazioni. Esemplificativa a tal proposito è l’iniziativa con cui annualmente il Comune di Sassari ricerca sponsor per fi-nanziare una serie di eventi tra i quali la “Festa dei Candelieri”, che nel 2013 è stata inserita nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO (insieme alle altre feste delle macchine a spalla italiane) e rico-nosciuta bene immateriale patrimonio dell’umanità73.

71 Con la circolare del Segretario generale del MiBACT del 3 maggio 2018, n. 17, sono stati stabiliti i criteri e le modalità di erogazione dei fondi destinati alle misure di sostegno previste dalla l. n. 77/2006 per gli elementi del patrimonio culturale immateriale. A seguire, il 24 maggio 2018 è stato emanato l’avviso per la presentazione delle proposte di intervento di cui all’art. 4, comma 1 della Legge 20 febbraio 2006, n. 77 recante “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti e degli elementi italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella «lista del patrimonio mondiale», posti sotto la tutela dell’UNESCO”, da finanziarsi a valere sull’esercizio finanziario 2018 (consultabile all’indirizzo web www.beniculturali.it).72 La dotazione finanziaria complessiva per il finanziamento è pari ad Euro 1.350.000, ma il finanziamento per ogni proposta progettuale non potrà, in ogni caso, essere superiore a Euro 200.000. L’avviso è consultabile all’indirizzo web www.regione.campania.it.73 L’avviso (già scaduto) per l’anno 2018 è consultabile all’indirizzo web www.comune.sassari.it.

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Più problematico appare invece il finanziamento del patrimonio immate-riale attraverso lo strumento dell’Art Bonus, poiché le elargizioni che dan-no diritto al credito d’imposta sono solamente quelle tassativamente previste dall’art. 1 della l. n. 106/2014 e, quindi, il finanziamento in favore di un bene immateriale, per generare tale credito, andrebbe ricondotto in una delle fatti-specie normativamente previste.

5. le nuove PRosPettive PeR il finanZiamento Del PatRimonio CultuRale

Dal breve affresco nel quale sono stati rappresentati i principali strumenti di finanziamento della cultura, emerge che essa, attualmente, più che una risorsa costituisce un peso che grava quasi esclusivamente sulle casse pubbliche, una voce di costo per il soddisfacimento della quale si è alla continua ricerca di risorse. Infatti, nonostante i diversi strumenti a disposizione dei soggetti pri-vati per “entrare” nel finanziamento (ed in parte pure nella gestione) del patri-monio culturale, il loro contributo è ancora troppo modesto rispetto a quello pubblico e soprattutto rispetto alle effettive necessità del settore.

Le ragioni di tale stato di fatto sono diverse e di non facile risoluzione. Sicuramente il periodo di crisi, che sta attanagliando il nostro sistema eco-nomico da diversi anni e che ha caratterizzato una drastica diminuzione delle risorse pubbliche destinate alla cultura, non agevola la situazione. Ma è al-trettanto certo che una più efficiente gestione delle risorse esistenti – e ci si riferisce sia alle risorse finanziarie destinate, sia al patrimonio suscettibile di una redditività economica – porterebbe dei sicuri benefici al settore.

Ma procedendo ad un’analisi delle inefficienze nella gestione del patri-monio culturale, si rischierebbe di debordare dal tema di tale contributo, tra l’altro, senza probabilmente riuscire a dare risposte esaurienti74. Ci si limiterà, quindi, a fornire alcune considerazioni sugli orizzonti futuri del finanziamento

74 Per un’indagine sulle inefficienze dello sfruttamento del patrimonio culturale italiano si rin-via a: A.L. TaRasCo, Potenzialità redditive del patrimonio culturale e dinamiche organizzative, in Id., Il patrimonio culturale. Modelli di gestione e finanza pubblica, Napoli, 2017, p. 241. L’A. sostiene che: “… le principali cause della cattiva gestione del patrimonio culturale ita-liano possono ricondursi alla contemporanea azione di quattro fattori principali che, agendo simultaneamente, producono effetti negativi: 1. Eccesso di concentrazione dei beni culturali nel territorio italiano; 2. Eccesso di pubblicizzazione della gestione di quei beni culturali; 3. Esiguità delle risorse economiche a disposizione; Orientamento culturale incentrato sulla con-siderazione del patrimonio culturale come ineludibile fonte di spesa e non (anche) come fonte di entrata”.

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della cultura senza soffermarsi (se non incidentalmente) sul pur interessante e connesso tema della sua gestione e valorizzazione75.

Si è visto come gli strumenti di finanziamento a favore del patrimonio culturale (materiale e immateriale) siano diversi. Agli stanziamenti pubblici (statali e comunitari) si affiancano quelli delle fondazioni e degli altri soggetti privati che contribuiscono nella massima parte attraverso atti di donazione o attraverso altre forme di erogazioni liberali, ma anche attraverso la stipula di contratti di sponsorizzazione.

Pertanto, data la straordinaria dotazione del patrimonio culturale del nostro Paese, la dottrina si interroga se il settore della cultura sia o meno in grado di autofinanziarsi: c’è chi sostiene che tale obiettivo è irraggiungibile, in quanto non esistono Paesi in cui tale settore risulta autosufficiente dal punto di vista finanziario76; e c’è chi, al contrario, afferma che esso, nel nostro Paese, potreb-be addirittura finanziare altri settori dell’economia77.

Tale dibattito evidenzia come siano ancora indeterminate le potenzialità di autofinanziamento della cultura78, anche se bisogna prendere atto che in tutta Europa il settore dei musei è quasi completamente finanziato con fondi pubblici79. Quel che è certo, invece, è che i finanziamenti privati possono co-

75 Tra i tanti contributi sul tema della valorizzazione dei beni culturali si rinvia a: L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3/2001, p. 651 e ss.; M. DuGato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio di pubblica utilità, in www.aedon.mulino.it, n. 2/2007; D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, 2011; G. FiDone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 1-2/2012; L. Casini, Ereditare il futuro, Bologna, 2016, p. 105 ss.76 A.M. GamBino, Per uno sviluppo del patrimonio culturale: la leva fiscale, in Analisi giuri-dica dell’economia, n. 1/2007, p. 110. In tal senso anche A.F. Leon, La lenta modernizzazione dei beni culturali, in Economia della cultura, XXII, 2012 (Numero speciale “Poli museali d’eccellenza nel mezzogiorno: gestioni a confronto nel contesto europeo”), p. 27.77 A.L. TaRasCo, Il governo efficiente del patrimonio culturale, in Riv. Giur. del Mezzogiorno, XXVII, n. 3/2013, p. 458.78 Secondo G. DomeniChini, Il difficile rapporto tra cultura e mercato in Italia. Note a margine della ricerca “Le attività culturali e lo sviluppo economico: un esame a livello territoriale, in Il capitale culturale, n. 6/2013, p. 186: “Mettere in luce l’utilità materiale che la società può trar-re da tale risorsa (dalla cultura) rappresenta infatti la precondizione per qualsiasi operazione di tutela del patrimonio, giacché si preserva e si promuove ciò di cui si percepisce il valore. Anche se la dimensione economica non rappresenta l’unica forma di utilità che la cultura può generare”.79 J. O’HaGan, Stato e arte: la cassetta degli attrezzi, in Economia della cultura, XIII, n. 1/2013, p. 23. Sullo specifico tema dei musei si rinvia a: A. CRismani, I musei tra l’immagi-nario collettivo e la realtà giuridica e gestionale, in Aedon, n. 3/2013; Id., Cultura e sistema museale, intervento al convegno “Nuove alleanze. Diritto ed economia per la cultura e l’arte”, in Atti del Convegno di Nuoro, 14-15 ottobre 2011 e in Rivista di arte e critica, 2014.

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stituire una straordinaria spinta verso un efficiente sfruttamento delle risorse culturali presenti sul territorio nazionale.

Bisogna ovviamente stare attenti a non passare da un eccesso all’altro80: la cultura, prima che una (potenziale) risorsa produttiva, costituisce pur sempre un patrimonio da conservare, una ricchezza da valorizzare ma con un occhio di riguardo alla sua tutela81. Devono perciò rimanere ferme quelle prerogative di regolazione che nel nostro Paese sono di competenza dello Stato, il quale deve vigilare per assicurare una adeguata tutela dei beni (pub-blici e privati) di interesse pubblico, quali sono quelli afferenti al patrimonio artistico-culturale82.

Tale particolare regime di tutela previsto per questi beni, però, non deve costituire un ostacolo allo sviluppo della loro capacità reddituale, che va a vantaggio del sistema economico e della collettività in generale. La tutela e la valorizzazione di tale patrimonio devono concorrere a formare una funzione unitaria destinata a tradursi in una politica attiva di “messa in valore” dei beni culturali83.

Premesso un tanto occorre ora vedere quali siano i possibili rimedi neces-sari per raggiungere, o quantomeno per avvicinarsi, ad un sistema di “sosteni-bilità finanziaria” della cultura che gravi meno sulle casse pubbliche.

Una maggiore efficienza si dovrebbe richiedere innanzitutto allo Stato, che è di gran lunga il primo soggetto finanziatore. Prioritaria sarebbe una diminuzione degli sprechi delle risorse destinate al settore, da perseguire at-traverso una riorganizzazione della governance interistituzionale che si ap-palesa eccessivamente articolata e immotivatamente complessa nonostante le recenti riforme84. Inoltre, prendendo atto delle riduzioni degli stanziamen-

80 D. D’ORsoGna, Diritti culturali per lo sviluppo umano, intervento al convegno “Nuove alleanze. Diritto ed economia per la cultura e l’arte”, in Atti del Convegno di Nuoro, 14-15 ottobre 2011 e in Rivista di arte e critica, 2014.81 Sui rapporti tra la tutela e la valorizzazione vedasi: S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Gior. dir. amm., n. 7/1998, p. 674 ss.82 Per una definizione dell’attività di regolazione si rinvia a F.G. SCoCa, Attività amministra-tiva (voce), in Enc. dir., Aggiorn. VI, Milano, 2002, p. 76, secondo il quale “la regolazione deve essere considerata unitariamente, dato che la sua stessa ragion d’essere consiste nella vigilanza (inteso il termine in senso comprensivo) su determinati settori in cui operano i privati, al fine di garantirne l’andamento in modo fisiologico.”83 M. MaZZonCini, La definizione dei ruoli dei soggetti pubblici e privati nel settore culturale alla luce del vigente quadro normativo costituzionale, in F. MaRChetti (a cura di), L’intervento privato nel settore dei beni culturali. Aspetti fiscali e amministrativi, 2012, in www.fondazione-brunovisentini.eu, p. 17. 84 Sull’organizzazione del Ministero prima della riforma del 1998 si rinvia a: S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Rass. Arch. St., 1975, p. 116 ss.; M.S. Giannini, Infine

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ti in tale settore, si dovrebbe provvedere ad una diversa assegnazione dei contributi pubblici, basata non solo sul pregio culturale dei beni oggetto di tutela, ma anche sull’efficienza della gestione e sulla produttività culturale dei siti e degli istituti finanziati; infatti, la nobile funzione culturale diventa spesso l’alibi dietro al quale nascondere inefficienze, diseconomicità o veri e propri privilegi85.

Andrebbe poi incoraggiato ulteriormente l’ingresso di nuovi soggetti finan-ziatori privati, ma soprattutto ne andrebbe valorizzato il ruolo. Attualmente i contributi maggiori vengono erogati dalle fondazioni bancarie, mentre il ruolo degli altri soggetti privati, sotto forma di erogazioni liberali e sponsorizzazio-ni, è assolutamente residuale.

Sul fronte delle erogazioni liberali, sarebbe auspicabile un allargamento del perimetro applicativo dell’Art Bonus nel finanziamento del patrimonio culturale immateriale.

Inoltre potrebbe risultare decisivo il fatto di non relegare i privati a meri soggetti finanziatori, rendendoli invece partecipi di una più ampia e respon-sabile gestione dei luoghi della cultura, cercando di incentivare la gestione congiunta pubblico-privata delle istituzioni culturali o la loro esternalizzazio-ne (fermo restando il potere di controllo pubblico)86. Non sembrano, infatti, potersi rinvenire, tra i principi del nostro ordinamento, limiti oggettivi alla possibilità per i soggetti privati di provvedere (o di partecipare) alla gestione dei beni culturali, che vadano oltre la necessità di assicurare la tutela del pa-trimonio culturale87.

un’organizzazione per i beni culturali, in M.S. Giannini, Scritti, vol. X, Milano, 2008, p. 405 ss. Per la struttura del Ministero dopo la riforma del 1998 vedasi: C. BaRBati, Funzioni del Ministero per i beni e le attività culturali nella più recente legislazione, in Aedon, n. 1/1999; G. CoRso, Il Ministero per i beni e le attività culturali (artt. 52-54), in A. PaJno – L. ToRChia (a cura di), La riforma del governo, Bologna, 2000, p. 375 ss. Tra i contributi più recenti vedasi: L. Casini, Il mito di Sisifo ovvero la quarta riorganizzazione del Ministero per le attività cul-turali, in Giorn. dir. amm., n. 10/2010, p. 1006 ss.; Id., Il patrimonio culturale e le sue regole. Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, n. 1-2/2012.85 A.L. TaRasCo, ult. op. cit., p. 453.86 Sul tema della gestione dei beni culturali e sui problematici rapporti tra gestione e valoriz-zazione si rinvia a P. MiChiaRa, Considerazioni sulla partecipazione dei privati alla gestione dei beni culturali di appartenenza pubblica, in A. PoliCe (a cura di), I beni pubblici: tutela, va-lorizzazione e gestione, Milano, 2008, p. 393 ss.; G. SeveRini, Principi della valorizzazione dei beni culturali, in M.A. SanDulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, p. 876 ss.; S. GaRDini, La valorizzazione integrata dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2/2016, p. 403 ss.87 M. MaZZonCini, op. cit., p. 21.

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135il finanziamento del patrimonio culturale in italia

Gli strumenti per attuare sul piano pratico l’auspicata sinergia tra pubblico e privato possono essere diversi: oltre allo strumento “classico” concessorio previsto dal Codice dei beni culturali agli artt. 115 (per le attività di valorizza-zione) e 117 (per i servizi destinati al pubblico), possono essere utilizzati an-che nel settore dei beni culturali gli strumenti di partenariato pubblico-privato resi finalmente esplicitamente applicabili al settore dei beni culturali dall’art. 151 d.lgs. n. 50/201688. Naturalmente sempre nel rispetto dell’attività di tutela riservata allo Stato.

A prescindere dalla forma di collaborazione o di esternalizzazione indivi-duata, affinché i soggetti privati si sentano “attratti” dall’investire nel settore dell’arte, occorrerà prevedere operazioni che consentano al privato investito-re di ottenere direttamente, dentro l’operazione, il ritorno dell’investimento sostenuto89.

È, pertanto, auspicabile una vera e propria sinergia tra il pubblico e il pri-vato nella gestione dei beni culturali e dei luoghi destinati alla loro fruizione, che rafforzi il legame tra il mondo economico e i soggetti pubblici operanti nel settore90.

L’Italia è uno dei più grandi detentori di beni culturali, ed il loro più ef-ficiente sfruttamento grazie alla sinergia pubblico-privato può portare: come primo effetto (diretto) un aumento delle risorse necessarie per il settore a be-neficio delle casse pubbliche; e come secondo effetto (indiretto) la crescita dell’offerta culturale con la consequenziale implementazione dei servizi e del-le strutture ad essa dedicate.

Si può quindi intuire come il delineato percorso di cambiamento appaia lungo e di non facile percorribilità. Appare improbabile – quantomeno nel breve periodo – che il settore della cultura riesca ad autofinanziarsi comple-tamente svincolandosi dalla necessità di ingenti finanziamenti pubblici, indi-spensabili per le attività di conservazione e di tutela del patrimonio esistente. L’auspicabile crescente aumento dei finanziamenti da parte di soggetti privati, che andrebbero resi maggiormente partecipi (e responsabili) nella gestione del

88 Sugli strumenti di partenariato pubblico-privato in generale si rinvia a: R. DiPaCe, Partenariato pubblico-privato e contratti atipici, Milano, 2006; G.C. FeRRoni (a cura di), Il partenariato pubblico-privato, Torino, 2011. Sull’applicazione del partenariato pubblico-pri-vato ai beni culturali vedasi: T.S. MusumeCi, La cultura ai privati. Il partenariato pubblico-privato (sponsorizzazioni e project financing) ed altre iniziative, Padova, 2012. Sulla disciplina dei contratti pubblici in ambito culturale alla luce delle recenti modifiche apportate dal nuovo codice dei contratti pubblici si veda: A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, n. 1/2017.89 G. FiDone, op. cit.90 M. MaZZonCini, op. cit., p. 21.

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patrimonio culturale, dovrebbe quantomeno alleggerire le necessità finanzia-rie gravanti sul settore pubblico91.

Infatti, l’apporto del settore privato potrebbe incidere in maniera positiva, oltre che dal punto di vista finanziario, anche dal punto di vista del know-how, fungendo da volano verso quel processo di efficientamento che possa final-mente invertire la scarsa redditività attuale del patrimonio artistico e cambiare il paradigma della cutura, da costo a risorsa.

91 Per un approfondimento sull’intervento dei soggetti privati nel settore culturale si rinvia a: A. Di MaJo – F. MaRChetti – P.A. Valentino (a cura di), L’intervento dei privati nella cultura. Profili economici, fiscali e amministrativi, Firenze, 2013.